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Banca Nazionale del Lavoro
Gruppo BNP Paribas
Via Vittorio Veneto 119
00187 Roma
Autorizzazione del Tribunale
di Roma n. 159/2002
del 9/4/2002
Le opinioni espresse
non impegnano la
responsabilità
della banca.

Imprese che operano sui mercati esteri per
classi di addetti
70

(2011, in % sul totale imprese della categoria)

60
50

45,2

40

48,5

49,3

36,1
29,4

30
20

48,8

21,7
13,3

10
0

3-9 addetti
Imprese senza relazioni

10-49 addetti

50-249 addetti

250 addetti e oltre

Imprese con relazioni

Fonte: elaborazioni Servizio Studi BNL su dati Istat.

45
16 dicembre
2013
Direttore responsabile:
Giovanni Ajassa
tel. 0647028414
giovanni.ajassa@bnlmail.com

I dati dell’ultimo censimento Istat rivelano una crescita del numero delle imprese di
340mila unità rispetto a dieci anni prima. La variazione si deve all’aumento del
numero delle unità produttive nelle costruzioni e nei servizi, che ha più che bilanciato
il calo registrato nell’industria in senso stretto dove si contano circa 100mila imprese
e 900mila addetti in meno del 2001. Nel complesso le imprese italiane risultano per
la gran parte (95,2%) concentrate nella fascia dimensionale micro (0-9 addetti),
mentre le grandi (oltre 250 addetti) rimangono poco numerose (0,08% del totale). La
frammentazione del sistema produttivo italiano è tuttavia in parte mitigata dalla
presenza di una fitta rete di relazioni: il 63,3% delle unità produttive italiane dichiara
di intrattenere almeno una relazione stabile con un’altra impresa o un’istituzione. Tra
le microimprese partecipano ad accordi 60 imprese su 100; percentuale che arriva al
90% tra le grandi
I dati del censimento evidenziano una concentrazione delle quote di proprietà e un
carattere prevalentemente familiare della governance: nell’81% delle imprese
italiane la gestione dipende direttamente dalla famiglia proprietaria o controllante.
16 dicembre 2013

Le imprese italiane secondo l’ultimo censimento Istat
Simona Costagli  06-47027054 – simona.costagli@bnlmail.com
In dieci anni il sistema produttivo italiano ha visto crescere il numero delle
imprese attive ma ha assistito a un graduale ridimensionamento dell’industria. A
fronte di un aumento complesivo di 340mila unità produttive totali (grazie alla
forte crescita nelle costruzioni e nei servizi) l’industria in senso stretto ha perso
circa 100mila imprese e 900mila addetti. La contrazione ha riguardato soprattutto
il tessile, abbigliamento, cuoio e pelli, settore che tra i due censimenti ha perso
30mila imprese e 280mila addetti.
La distribuzione per addetti conferma la forte concentrazione delle imprese
italiane nella fascia dimensionale delle microimprese (0-9 addetti): nel 2011
4.214.630 unità (il 95,2% del totale) appartenevano a questa categoria, seguita
dalle piccole imprese (4,4% del totale), dalle medie (0,5%) e infine dalle grandi,
che con 3.468 unità rappresentano lo 0,08% del totale.
I dati evidenziano una concentrazione delle quote di proprietà e un carattere
prevalentemente familiare della governance: nell’81% delle imprese italiane la
gestione dipende direttamente dalla famiglia proprietaria o controllante, mentre
solo nel 5% dei casi è affidata a un manager. La conduzione da parte di un
manager è legata alla dimensione dell’impresa: per le micro questa forma
gestionale si limita al 3,2% dei casi, mentre arriva al 40 nel caso delle grandi
imprese.
La frammentazione del sistema produttivo italiano è in parte mitigata dalla
presenza di una fitta rete di relazioni: il 63,3% delle unità produttive italiane
dichiara di intrattenere almeno una relazione stabile con un’altra impresa o
un’istituzione. Tra le microimprese partecipano ad accordi 60 imprese su 100;
percentuale che arriva al 90% tra le grandi.
Una valutazione della performance delle imprese non è possibile con i dati del
censimento; tuttavia, utilizzando i dati di altre indagini Istat di recente
pubblicazione è possibile trarre alcune indicazioni interessanti, soprattutto con
riferimento alle imprese micro. Il contributo di questa categoria dimensionale al
valore aggiunto dell’economia produttiva negli ultimi anni è leggermente sceso:
nel 2007, anno precedente l’avvio della prima recessione, il loro peso era pari al
32,5%, valore passato al 31,4% nel 2011. Le imprese di minore dimensione
continuano inoltre a soffrire un notevole gap di produttività rispetto a quelle più
grandi: nel 2011 il valore aggiunto per addetto in un’impresa con meno di 10
addetti era pari in media a 29.500 euro, il 37% in meno di quello registrato nella
classe immediatamente più grande (10-19 addetti).
Si conferma molto piccola la dimensione media delle imprese italiane
I dati relativi all’ultimo censimento dell’industria rilasciati in questi giorni dall’Istat
permettono di tracciare un quadro puntuale della realtà produttiva italiana, sia dal punto
di vista strutturale, sia relativamente a fenomeni più complessi come le strategie
adottate, gli ostacoli alla competitività, i mercati di riferimento e la governance. Nel
2011 in Italia risultavano attive 4.425.950 imprese, oltre tre quarti delle quali (76,3%)
operanti nel comparto dei servizi, seguite dalle costruzioni (13,3%) e dal manifatturiero.
Nei servizi è il commercio all’ingrosso, al dettaglio e riparazioni a coprire la porzione
maggiore, con 1,15 milioni di imprese, mentre nel manifatturiero il settore più pesante
in termini di numerosità delle imprese è la metallurgia (oltre 75mila unità), seguito dal
tessile (quasi 64mila) e dall’alimentare (58mila circa).

2
16 dicembre 2013

La distribuzione per addetti conferma la forte concentrazione delle imprese italiane
nella fascia dimensionale minore (0-9 addetti): alla data del censimento 4.214.630
imprese (il 95,2% del totale) appartenevano a questa categoria, seguita dalle piccole
(10-49 addetti) pari al 4,4% del totale, dalle medie (0,5%) e infine da quelle con più di
250 addetti, che con 3.468 unità rappresentano lo 0,08% del totale. Con i dati è
possibile anche esaminare le code estreme della distribuzione, scopriamo così che in
Italia oltre 3,3 milioni di imprese hanno meno di 3 addetti; in particolare oltre il 55% del
totale ha un solo addetto. Le imprese mono-addetto nel nostro paese sono concentrate
prevalentemente nei servizi, con punte che arrivano all’80% circa del totale settore
nelle attività professionali, scientifiche e tecniche e al 75% nella sanità e assistenza
sociale; tuttavia il loro peso non è trascurabile neanche nel comparto manifatturiero,
dove rappresentano il 32% del totale delle unità produttive, con punte del 40% nel
legno carta e stampa, e del 28% circa nella metallurgia e prodotti in metallo e nel
comparto dell’elettronica.
All’estremo opposto, le imprese con più di mille addetti sono nel nostro paese solo 620,
distribuite in modo piuttosto uniforme tra i vari settori. Spiccano tuttavia le 103 attive nel
commercio, le 89 che operano nel noleggio e agenzie di viaggio e le 67 nelle attività
finanziarie e assicurative, mentre ne troviamo solo 38 nel comparto manifatturiero.
La distribuzione delle imprese italiane per
classe di addetti
(2011, % del totale)
60

56,0

50
40
30
20
10

15,6
4,6

14,1
4,9

0

Manifatturiero

2,4

0,6

1,2 0,3

0,1 0,03 0,05 0,02 0,01

totale

Fonte: elaborazioni Servizio Studi BNL su dati Istat

Rispetto al precedente censimento (2001) le imprese italiane sono aumentate di
340mila unità e gli addetti occupati sono 700mila in più. I dieci anni trascorsi hanno
portato però a una sostanziale riduzione del peso dell’industria in senso stretto, dove si
contano circa 100mila imprese e 900mila addetti in meno. La contrazione
dell’occupazione ha riguardato soprattutto il tessile, abbigliamento, cuoio e pelli, settore
che ha perso 30mila imprese (-32%) e 280mila addetti in dieci anni. Per contro, il
numero delle imprese è salito nelle costruzioni e soprattutto nei servizi, con punte di
oltre 350mila addetti in più nella ristorazione, 230mila nelle attività professionali,
280mila nel noleggio e agenzie di viaggio e 150mila nella sanità e assistenza sociale.
La specificità della struttura produttiva italiana si osserva dal confronto con rilevazioni
analoghe a livello Ue-28 dalle quali si evidenzia come il peso del nostro paese sul
totale tenda a decrescere all’aumentare della classe di addetti; le microimprese italiane
rappresentano il 17,8% del totale di questa classe dimensionale nei 28 paesi della Ue,

3
16 dicembre 2013

mentre le medie sono solo il 7,3% delle corrispondenti imprese complessivamente
attive nella Ue. Analoghe considerazioni valgono per il valore aggiunto: le imprese
italiane contribuiscono all’11,2% del valore aggiunto della Ue, ma mentre per le
microimprese il contributo sulla classe corrispondente arriva al 15,7%, nel caso delle
grandi si arresta all’8,8%.
Il censimento dedica un approfondimento dettagliato alle caratteristiche strutturali e
strategiche delle imprese con almeno tre addetti, caratteristiche che spaziano dalla
governance alle scelte in termini di innovazione, leve competitive,
internazionalizzazione. Si tratta di poco più di un milione di realtà produttive che
occupano nel complesso 12,5 milioni di addetti. La governance prevalente è di tipo
molto semplificato: nella maggior parte delle imprese il socio principale è rappresentato
da una persona fisica (91,8%), nel 7,9% dei casi da una holding, una banca o un’altra
impresa, mentre solo lo 0,3% delle unità produttive italiane risulta avere come socio
principale un ente pubblico o la pubblica amministrazione. I valori medi nascondono
però realtà profondamente diverse, soprattutto a seconda della dimensione aziendale:
solo la metà delle medie imprese è di proprietà di una persona fisica, rapporto che
scende a una su quattro nel caso delle grandi imprese, dove risulta di gran lunga
prevalente la presenza, come primo socio, di una holding, banca o altra impresa
(69%).
Tipologia del socio principale per classe di
addetti
(2011, in % del totale delle imprese della classe)
100

94,8

90

83,9

80

69,0

70
60

54,2

50

42,8

40
30

25,3

20
10
0

15,4
5,1
3-9
persona fisica

10-49
holding, banca, altra impresa

50-249

250 e più

ente pubblico, pubblica amministrazione

Fonte: elaborazioni Servizio Studi BNL su dati Istat

Oltre alla concentrazione della proprietà, i dati evidenziano un carattere
prevalentemente familiare della gestione: nell’81% delle imprese italiane questa
dipende direttamente dalla famiglia proprietaria o controllante, mentre solo nel 5% dei
casi è affidata a un manager (interno o esterno) e nel 13,7% a forme alternative (ad
esempio la gestione diretta da parte di imprese controllanti). La conduzione
manageriale è fortemente legata alla dimensione dell’impresa: per le microimprese si
limita al 3,2% dei casi, percentuale che supera di poco il 10 nel caso delle piccole e
arriva al 40 nel caso delle grandi, dove comunque il controllo familiare rimane
prevalente. Né la collocazione territoriale, né il settore di attività sembrano avere
un’influenza sul tipo di gestione.

4
16 dicembre 2013

Le relazioni tra le imprese
La frammentazione del sistema produttivo italiano che si legge dai dati strutturali è in
parte corretta dalla presenza di una fitta rete di relazioni produttive e collaborative, di
tipo formale e informale, attivate dalle imprese: il 63,3% delle unità produttive italiane
con almeno 3 addetti dichiara infatti di intrattenere almeno una relazione stabile con
un’altra impresa o istituzione. Anche la capacità/volontà di creare accordi è influenzata
dalla dimensione: tra le microimprese partecipano ad accordi contrattuali o informali 60
imprese su 100; percentuale che arriva a 76,6 nel caso delle piccole, a 84 tra le medie
e sfiora il 90% tra le imprese grandi. Il settore delle costruzioni è quello in cui si
osserva la maggiore propensione ad attivare relazioni produttive (ne sono coinvolte
poco meno di 9 imprese su dieci), seguito dall’industria in senso stretto (76%) e dai
servizi, dove le meno coinvolte sono le imprese del commercio (59,3%) e quelle attive
nelle altre attività di servizi (52,1%). Nel manifatturiero in particolare, i settori che più
risultano caratterizzati dalla presenza di relazioni tra imprese (oltre l’80%) sono quelli
delle apparecchiature elettriche, la farmaceutica, l’elettronica-ottica e i macchinari; per
contro, percentuali comprese tra il 70-75% − comunque elevate, quindi − si osservano
nei settori più tradizionali, come l’alimentare e il tessile.
Tra le diverse tipologie di relazione le imprese italiane prediligono gli accordi di
commessa (74,1%) e di subfornitura (56,6%), mentre meno frequenti risultano gli
accordi formali quali i consorzi (7% delle imprese), il franchising (3,3%) o le joint
ventures o associazioni temporanee d’impresa (6,3%). Circa il 15,6% delle unità
produttive italiane è poi coinvolto in accordi “informali”.
Tipologia delle relazioni per settore
(2001, imprese che dichiarano di intrattenere
almeno una relazione stabile con altre aziende o
istituzioni)
90
80

(2011, imprese che dichiarano di intrattenere
almeno una relazione stabile con altre aziende o
istituzioni)
100

82

90

74,1

70

Tipologia delle relazioni per classe di
addetti

84
76,6

80

65,9

60

70

50

60

40

90

50
40

30
20

10,4

10
0

60

15,9

30
20
10

Commessa

Subfornitura
Totale

Accordi formali
Manifattura

Accordi informali

Fonte: elaborazioni Servizio Studi BNL su dati
Istat

0

micro

piccole

medie

grandi

Fonte: elaborazioni Servizio Studi BNL su dati
Istat

Mentre gli accordi informali riguardano soprattutto le imprese di minore dimensione (vi
ricorre circa il 16% delle micro e delle piccole) il ricorso a subfornitura e commessa non
sembra influenzato in modo rilevante dalla dimensione aziendale, quanto piuttosto dal
settore di attività: l’82% delle imprese manifatturiere, ad esempio, intrattiene rapporti di
commessa, contro il 46% delle aziende finanziarie, mentre la subfornitura è il tipo di
relazione più adottato dalle imprese attive nelle costruzioni e da quelle manifatturiere
(rispettivamente 81 e 75% di quelle che dichiarano la presenza di una relazione).

5
16 dicembre 2013

Una percentuale compresa tra il 14 e il 16% delle imprese che hanno attivato relazioni
di commessa, subfornitura o altro ha almeno una controparte straniera. Il dato è
tuttavia sintesi di situazioni estremamente variegate che nella manifattura arrivano
anche a rappresentare il 62,5% degli accordi di commessa del comparto farmaceutico,
o il 51% della subfornitura nel caso dei macchinari. La presenza di relazioni con
operatori stranieri è fortemente condizionata dalla dimensione dell’impresa: nel caso
delle grandi circa un terzo degli accordi sono infatti stretti con operatori stranieri, contro
percentuali che non arrivano al 14% nel caso delle micro.
Accordi con operatori stranieri
(2011, in % delle imprese totali che hanno la stessa tipologia di
relazione)
45
38,7

40
33,9

35

34,6

29,4

30

26,0

25
20
15

37,3

17,9
12,1

20,8

19,2

13,8 13,5

10
5
0

3-9
Commessa

10-49

50-249
Subfornitura

250 e oltre
Altri Accordi

Fonte: elaborazioni Servizio Studi BNL su dati Istat

La maggior parte degli accordi stretti dalle imprese riguarda l’attività principale (80%
delle imprese con relazioni), mentre gli accordi formali e informali vengono adottati in
prevalenza nel caso di collaborazioni che riguardano la ricerca e sviluppo, il marketing
e le attività post vendita. La principale finalità dichiarata dalle imprese alla base di ogni
tipo di relazione è la riduzione dei costi di produzione. Nel caso degli accordi formali a
questa motivazione se ne affiancano altre più complesse: circa il 20-30% delle imprese
“interconnesse” dichiara di aver attivato relazioni per innovare i prodotti o i processi,
accedere a nuove tecnologie, nuovi mercati o per cercare una maggiore flessibilità
produttiva, mentre solo 8 imprese su 100 utilizzano questo strumento per
l’internazionalizzazione. In generale la presenza di relazioni si associa all’adozione di
strategie più complesse della semplice difesa della quota di mercato: rispetto alle
cosiddette “isolate” infatti le imprese “interconnesse” adottano più frequentemente
strategie tese all’aumento della gamma di servizi e prodotti offerti, e si dichiarano
interessate alla ricerca di nuovi mercati.
Un elemento di particolare interesse riguarda la diversa propensione a operare sui
mercati internazionali da parte delle imprese “isolate” e delle “interconnesse”,
soprattutto a seconda della dimensione aziendale: tra le microimprese, ad esempio,
opera all’estero il 21,7% delle unità con relazioni, contro il 13% delle “isolate”;
all’aumentare della classe dimensionale le due percentuali si avvicinano (nel caso delle
piccole sono 36,1% e 29,4%) fino quasi ad equipararsi nel caso delle grandi.

6
16 dicembre 2013

Imprese che operano sui mercati esteri per
classi di addetti
(2011, in % sul totale imprese della categoria)
70
60
50

45,2

40

48,5

49,3

36,1
29,4

30
20

48,8

21,7
13,3

10
0

3-9 addetti
Imprese senza relazioni

10-49 addetti

50-249 addetti

250 addetti e oltre

Imprese con relazioni

Fonte: elaborazioni Servizio Studi BNL su dati Istat

Una lente d’ingrandimento sulle microimprese
Tra le aziende con almeno 3 addetti le microimprese (3-9 addetti) coprono l’80% circa
del totale. Presenti in larga misura in tutto il territorio italiano, queste unità produttive
raggiungono le percentuali più elevate in Sardegna, dove rappresentano l’86% delle
imprese con almeno 3 addetti, in Calabria (85,9%) e in Sicilia (85,1%). Per contro, le
quote più contenute si osservano in Trentino (75,8%), in Veneto (75,8%) e in Emilia
Romagna (78,2%). A livello settoriale la distribuzione è invece molto meno omogenea:
nel manifatturiero il dato medio, pari al 64,6%, è la combinazione di valori molto alti
nell’alimentare (dove poco più di tre imprese su quattro hanno tra 3 e 9 addetti), nel
legno carta e stampa (70,3%) e nelle altre industrie manifatturiere (71,5%); al contrario,
la loro presenza è molto contenuta nella farmaceutica (13,1%), nel coke e prodotti
petroliferi raffinati (40,4%) e nella chimica (45,1%).
Come si è accennato in precedenza, il 95% di queste imprese è gestito da una
persona fisica; nella maggior parte dei casi (47% circa) si tratta di persone con un’età
compresa tra i 41 e i 55 anni, mentre un altro 31% ha un’età superiore ai 55 anni. I
titolari delle microimprese italiane posseggono nella maggior parte dei casi un diploma
di scuola superiore (44%) o inferiore (34%), mentre sono poco più del 12% quelli in
possesso di una laurea e appena il 2,3% quelli con una formazione post laurea.
Le strategie adottate da questa classe di impresa sono per lo più “difensive”, ossia
dirette in larga misura al mantenimento della quota di mercato (un mercato, peraltro,
che nel 63% dei casi ha dimensioni “locali”, cioè non più estese della regione in cui ha
sede l’impresa), tuttavia il loro comportamento presenta una variabilità marcata a
seconda del comparto di appartenenza: in alcuni settori del manifatturiero, come
farmaceutica, chimica, bevande ed elettronica, una quota elevata di microimprese
dichiara di perseguire come strategia principale l’ampliamento della gamma di prodotti
e l’accesso a nuovi mercati. Il profilo strategico delle imprese d’altro canto è
condizionato e condiziona la dimensione del mercato di riferimento, le imprese che
operano esclusivamente sul mercato locale appaiono molto restie sia ad accedere a
nuovi mercati, sia a cercare collaborazioni con altre imprese.
Una valutazione della performance delle imprese non è possibile con i dati del
censimento; tuttavia, utilizzando i dati di altre indagini Istat i cui risultati sono stati

7
16 dicembre 2013

diffusi in questi giorni 1 è possibile trarre alcune indicazioni interessanti, soprattutto con
riferimento alle microimprese. Il contributo di questa categoria dimensionale al valore
aggiunto complessivo dell’economia produttiva negli ultimi anni è leggermente sceso:
nel 2007, anno precedente l’avvio della prima recessione, il loro peso era pari al
32,5%, valore passato al 31,4% nel 2011. Il contributo al fatturato complessivo nello
stesso periodo è sceso dal 27,1% al 26,1%.
Le imprese molto piccole nel nostro paese continuano a soffrire un notevole gap di
produttività rispetto a quelle di dimensione maggiore: nel 2011 il valore aggiunto per
addetto in un’impresa con meno di 10 addetti era pari in media a 29.500 euro, un
valore peraltro in aumento rispetto a quello sia dell’anno precedente (27.600) sia del
2007 (29.100); tuttavia si tratta del 37% in meno di quello registrato nella classe
immediatamente più grande (10-19 addetti). Se confrontata con le classi maggiori la
distanza si amplia in modo esponenziale, arrivando al 100% nel confronto con le medie
e al 142% circa rispetto alle grandi.
Alla minore produttività si associa una minore retribuzione lorda per dipendente, che
risulta pari a 17.800 euro (+6,1% rispetto al 2007 e -0,4% rispetto al 2010) contro i
22.300 della classe inferiore delle piccole (10-19 addetti) e i 30mila di un addetto in una
grande impresa.
Produttività e investimenti delle imprese per
classi di addetti
(2011, mgl di euro)
80

14
71,3

70
60

59,1

50

47,3

30

5,2

20

0

6

6,9

29,5

4,4

10-19

4

5,2

0-9

Investimenti per addetto

10
8

40,5

40

10

11,7

12

2

20-49

50-249

250 e oltre

0

valore aggiunto per addetto

Fonte: elaborazioni Servizio Studi BNL su dati Istat

1

Struttura e competitività delle imprese in Italia nel 2011, Istat, dicembre 2013.

8
16 dicembre 2013

Un cruscotto della congiuntura: alcuni indicatori

Indice Itraxx Eu Financial

Indice Vix

400

60

350
300

50

250

40

200

30

150
100

20
Index Itraxx EU Financial Sector

50

set-13

nov-13

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mag-13

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mar-12

mag-12

nov-11

gen-12

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set-11

mag-11

gen-11

0

mar-11

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nov-13

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mag-13

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mar-13

set-12

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set-11

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lug-11

mag-11

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10

mar-11

0

Fonte: Thomson Reuters

Fonte: Thomson Reuters

I premi al rischio passano da 103 a 96pb.

L’indice Vix nell’ultima settimana sale a
quota 16.

Cambio euro/dollaro e quotazioni Brent

Prezzo dell’oro

(Usd per barile)

(Usd l’oncia)
2.000

130

1,5

1.900

125

1,45

1.800

1,4

1.700

120
115

1,35

110
1,3

105

1.500
1.400

nov-13

set-13

lug-13

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gen-13

set-12

lug-12

mag-12

gen-12

mar-12

set-11

1.200

nov-11

1,15

1.300

lug-11

90
gen-11 mag-11 set-11 gen-12 mag-12 set-12 gen-13 mag-13 set-13

1,2

mar-11

Cambio euro/dollaro sc.ds.

mag-11

Brent scala sin.(in Usd)

gen-11

1,25

100
95

1.600

Fonte: Thomson Reuters

Fonte: Thomson Reuters

Il tasso di cambio €/$ a 1,37. Il petrolio di qualità
Brent quota $108 al barile.

Il prezzo dell’oro rimane sotto i 1.300 dollari
l’oncia.

9
16 dicembre 2013

Borsa italiana: indice Ftse Mib

Tassi dei benchmark decennali:
differenziale con la Germania
(punti base)

24.000
22.000
20.000

1.400
1.200
1.000
800

18.000

600
400

16.000

0

12.000
gen-11 mag-11 set-11 gen-12 mag-12 set-12 gen-13 mag-13 set-13

gen-11
feb-11
mar-11
apr-11
mag-11
giu-11
lug-11
ago-11
set-11
ott-11
nov-11
dic-11
gen-12
feb-12
mar-12
apr-12
mag-12
giu-12
lug-12
ago-12
set-12
ott-12
nov-12
dic-12
gen-13
feb-13
mar-13
apr-13
mag-13
giu-13
lug-13
ago-13
set-13
ott-13
nov-13
dic-13

200

14.000

Italia

Spagna

Irlanda

Portogallo

Fonte: Thomson Reuters

Fonte: elaborazioni Servizio Studi BNL su dati
Thomson Reuters

Il Ftse Mib rimane sotto quota 18.000.

I differenziali con il Bund sono pari a 440 pb
per il Portogallo, 162 pb per l’Irlanda, 228 pb
per la Spagna e 227 pb per l’Italia.

Indice Baltic Dry

Euribor 3 mesi
(val. %)

12.000

6

10.000

5

8.000

4

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6.000

Fonte: Thomson Reuters

Fonte: Thomson Reuters

L’indice Baltic Dry nell’ultima settimana sale
oltre quota 2.000.

L’euribor 3m resta stabile poco oltre 0,20%.

Il presente documento è stato preparato nell’ambito della propria attività di ricerca economica da BNLGruppo Bnp Paribas. Le stime e le opinioni espresse sono riferibili al Servizio Studi di BNL-Gruppo BNP
Paribas e possono essere soggette a cambiamenti senza preavviso. Le informazioni e le opinioni riportate in
questo documento si basano su fonti ritenute affidabili ed in buona fede. Il presente documento è stato
divulgato unicamente per fini informativi. Esso non costituisce parte e non può in nessun modo essere
considerato come una sollecitazione alla vendita o alla sottoscrizione di strumenti finanziari ovvero come
un’offerta di acquisto o di scambio di strumenti finanziari.

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  • 1. Banca Nazionale del Lavoro Gruppo BNP Paribas Via Vittorio Veneto 119 00187 Roma Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 159/2002 del 9/4/2002 Le opinioni espresse non impegnano la responsabilità della banca. Imprese che operano sui mercati esteri per classi di addetti 70 (2011, in % sul totale imprese della categoria) 60 50 45,2 40 48,5 49,3 36,1 29,4 30 20 48,8 21,7 13,3 10 0 3-9 addetti Imprese senza relazioni 10-49 addetti 50-249 addetti 250 addetti e oltre Imprese con relazioni Fonte: elaborazioni Servizio Studi BNL su dati Istat. 45 16 dicembre 2013 Direttore responsabile: Giovanni Ajassa tel. 0647028414 giovanni.ajassa@bnlmail.com I dati dell’ultimo censimento Istat rivelano una crescita del numero delle imprese di 340mila unità rispetto a dieci anni prima. La variazione si deve all’aumento del numero delle unità produttive nelle costruzioni e nei servizi, che ha più che bilanciato il calo registrato nell’industria in senso stretto dove si contano circa 100mila imprese e 900mila addetti in meno del 2001. Nel complesso le imprese italiane risultano per la gran parte (95,2%) concentrate nella fascia dimensionale micro (0-9 addetti), mentre le grandi (oltre 250 addetti) rimangono poco numerose (0,08% del totale). La frammentazione del sistema produttivo italiano è tuttavia in parte mitigata dalla presenza di una fitta rete di relazioni: il 63,3% delle unità produttive italiane dichiara di intrattenere almeno una relazione stabile con un’altra impresa o un’istituzione. Tra le microimprese partecipano ad accordi 60 imprese su 100; percentuale che arriva al 90% tra le grandi I dati del censimento evidenziano una concentrazione delle quote di proprietà e un carattere prevalentemente familiare della governance: nell’81% delle imprese italiane la gestione dipende direttamente dalla famiglia proprietaria o controllante.
  • 2. 16 dicembre 2013 Le imprese italiane secondo l’ultimo censimento Istat Simona Costagli  06-47027054 – simona.costagli@bnlmail.com In dieci anni il sistema produttivo italiano ha visto crescere il numero delle imprese attive ma ha assistito a un graduale ridimensionamento dell’industria. A fronte di un aumento complesivo di 340mila unità produttive totali (grazie alla forte crescita nelle costruzioni e nei servizi) l’industria in senso stretto ha perso circa 100mila imprese e 900mila addetti. La contrazione ha riguardato soprattutto il tessile, abbigliamento, cuoio e pelli, settore che tra i due censimenti ha perso 30mila imprese e 280mila addetti. La distribuzione per addetti conferma la forte concentrazione delle imprese italiane nella fascia dimensionale delle microimprese (0-9 addetti): nel 2011 4.214.630 unità (il 95,2% del totale) appartenevano a questa categoria, seguita dalle piccole imprese (4,4% del totale), dalle medie (0,5%) e infine dalle grandi, che con 3.468 unità rappresentano lo 0,08% del totale. I dati evidenziano una concentrazione delle quote di proprietà e un carattere prevalentemente familiare della governance: nell’81% delle imprese italiane la gestione dipende direttamente dalla famiglia proprietaria o controllante, mentre solo nel 5% dei casi è affidata a un manager. La conduzione da parte di un manager è legata alla dimensione dell’impresa: per le micro questa forma gestionale si limita al 3,2% dei casi, mentre arriva al 40 nel caso delle grandi imprese. La frammentazione del sistema produttivo italiano è in parte mitigata dalla presenza di una fitta rete di relazioni: il 63,3% delle unità produttive italiane dichiara di intrattenere almeno una relazione stabile con un’altra impresa o un’istituzione. Tra le microimprese partecipano ad accordi 60 imprese su 100; percentuale che arriva al 90% tra le grandi. Una valutazione della performance delle imprese non è possibile con i dati del censimento; tuttavia, utilizzando i dati di altre indagini Istat di recente pubblicazione è possibile trarre alcune indicazioni interessanti, soprattutto con riferimento alle imprese micro. Il contributo di questa categoria dimensionale al valore aggiunto dell’economia produttiva negli ultimi anni è leggermente sceso: nel 2007, anno precedente l’avvio della prima recessione, il loro peso era pari al 32,5%, valore passato al 31,4% nel 2011. Le imprese di minore dimensione continuano inoltre a soffrire un notevole gap di produttività rispetto a quelle più grandi: nel 2011 il valore aggiunto per addetto in un’impresa con meno di 10 addetti era pari in media a 29.500 euro, il 37% in meno di quello registrato nella classe immediatamente più grande (10-19 addetti). Si conferma molto piccola la dimensione media delle imprese italiane I dati relativi all’ultimo censimento dell’industria rilasciati in questi giorni dall’Istat permettono di tracciare un quadro puntuale della realtà produttiva italiana, sia dal punto di vista strutturale, sia relativamente a fenomeni più complessi come le strategie adottate, gli ostacoli alla competitività, i mercati di riferimento e la governance. Nel 2011 in Italia risultavano attive 4.425.950 imprese, oltre tre quarti delle quali (76,3%) operanti nel comparto dei servizi, seguite dalle costruzioni (13,3%) e dal manifatturiero. Nei servizi è il commercio all’ingrosso, al dettaglio e riparazioni a coprire la porzione maggiore, con 1,15 milioni di imprese, mentre nel manifatturiero il settore più pesante in termini di numerosità delle imprese è la metallurgia (oltre 75mila unità), seguito dal tessile (quasi 64mila) e dall’alimentare (58mila circa). 2
  • 3. 16 dicembre 2013 La distribuzione per addetti conferma la forte concentrazione delle imprese italiane nella fascia dimensionale minore (0-9 addetti): alla data del censimento 4.214.630 imprese (il 95,2% del totale) appartenevano a questa categoria, seguita dalle piccole (10-49 addetti) pari al 4,4% del totale, dalle medie (0,5%) e infine da quelle con più di 250 addetti, che con 3.468 unità rappresentano lo 0,08% del totale. Con i dati è possibile anche esaminare le code estreme della distribuzione, scopriamo così che in Italia oltre 3,3 milioni di imprese hanno meno di 3 addetti; in particolare oltre il 55% del totale ha un solo addetto. Le imprese mono-addetto nel nostro paese sono concentrate prevalentemente nei servizi, con punte che arrivano all’80% circa del totale settore nelle attività professionali, scientifiche e tecniche e al 75% nella sanità e assistenza sociale; tuttavia il loro peso non è trascurabile neanche nel comparto manifatturiero, dove rappresentano il 32% del totale delle unità produttive, con punte del 40% nel legno carta e stampa, e del 28% circa nella metallurgia e prodotti in metallo e nel comparto dell’elettronica. All’estremo opposto, le imprese con più di mille addetti sono nel nostro paese solo 620, distribuite in modo piuttosto uniforme tra i vari settori. Spiccano tuttavia le 103 attive nel commercio, le 89 che operano nel noleggio e agenzie di viaggio e le 67 nelle attività finanziarie e assicurative, mentre ne troviamo solo 38 nel comparto manifatturiero. La distribuzione delle imprese italiane per classe di addetti (2011, % del totale) 60 56,0 50 40 30 20 10 15,6 4,6 14,1 4,9 0 Manifatturiero 2,4 0,6 1,2 0,3 0,1 0,03 0,05 0,02 0,01 totale Fonte: elaborazioni Servizio Studi BNL su dati Istat Rispetto al precedente censimento (2001) le imprese italiane sono aumentate di 340mila unità e gli addetti occupati sono 700mila in più. I dieci anni trascorsi hanno portato però a una sostanziale riduzione del peso dell’industria in senso stretto, dove si contano circa 100mila imprese e 900mila addetti in meno. La contrazione dell’occupazione ha riguardato soprattutto il tessile, abbigliamento, cuoio e pelli, settore che ha perso 30mila imprese (-32%) e 280mila addetti in dieci anni. Per contro, il numero delle imprese è salito nelle costruzioni e soprattutto nei servizi, con punte di oltre 350mila addetti in più nella ristorazione, 230mila nelle attività professionali, 280mila nel noleggio e agenzie di viaggio e 150mila nella sanità e assistenza sociale. La specificità della struttura produttiva italiana si osserva dal confronto con rilevazioni analoghe a livello Ue-28 dalle quali si evidenzia come il peso del nostro paese sul totale tenda a decrescere all’aumentare della classe di addetti; le microimprese italiane rappresentano il 17,8% del totale di questa classe dimensionale nei 28 paesi della Ue, 3
  • 4. 16 dicembre 2013 mentre le medie sono solo il 7,3% delle corrispondenti imprese complessivamente attive nella Ue. Analoghe considerazioni valgono per il valore aggiunto: le imprese italiane contribuiscono all’11,2% del valore aggiunto della Ue, ma mentre per le microimprese il contributo sulla classe corrispondente arriva al 15,7%, nel caso delle grandi si arresta all’8,8%. Il censimento dedica un approfondimento dettagliato alle caratteristiche strutturali e strategiche delle imprese con almeno tre addetti, caratteristiche che spaziano dalla governance alle scelte in termini di innovazione, leve competitive, internazionalizzazione. Si tratta di poco più di un milione di realtà produttive che occupano nel complesso 12,5 milioni di addetti. La governance prevalente è di tipo molto semplificato: nella maggior parte delle imprese il socio principale è rappresentato da una persona fisica (91,8%), nel 7,9% dei casi da una holding, una banca o un’altra impresa, mentre solo lo 0,3% delle unità produttive italiane risulta avere come socio principale un ente pubblico o la pubblica amministrazione. I valori medi nascondono però realtà profondamente diverse, soprattutto a seconda della dimensione aziendale: solo la metà delle medie imprese è di proprietà di una persona fisica, rapporto che scende a una su quattro nel caso delle grandi imprese, dove risulta di gran lunga prevalente la presenza, come primo socio, di una holding, banca o altra impresa (69%). Tipologia del socio principale per classe di addetti (2011, in % del totale delle imprese della classe) 100 94,8 90 83,9 80 69,0 70 60 54,2 50 42,8 40 30 25,3 20 10 0 15,4 5,1 3-9 persona fisica 10-49 holding, banca, altra impresa 50-249 250 e più ente pubblico, pubblica amministrazione Fonte: elaborazioni Servizio Studi BNL su dati Istat Oltre alla concentrazione della proprietà, i dati evidenziano un carattere prevalentemente familiare della gestione: nell’81% delle imprese italiane questa dipende direttamente dalla famiglia proprietaria o controllante, mentre solo nel 5% dei casi è affidata a un manager (interno o esterno) e nel 13,7% a forme alternative (ad esempio la gestione diretta da parte di imprese controllanti). La conduzione manageriale è fortemente legata alla dimensione dell’impresa: per le microimprese si limita al 3,2% dei casi, percentuale che supera di poco il 10 nel caso delle piccole e arriva al 40 nel caso delle grandi, dove comunque il controllo familiare rimane prevalente. Né la collocazione territoriale, né il settore di attività sembrano avere un’influenza sul tipo di gestione. 4
  • 5. 16 dicembre 2013 Le relazioni tra le imprese La frammentazione del sistema produttivo italiano che si legge dai dati strutturali è in parte corretta dalla presenza di una fitta rete di relazioni produttive e collaborative, di tipo formale e informale, attivate dalle imprese: il 63,3% delle unità produttive italiane con almeno 3 addetti dichiara infatti di intrattenere almeno una relazione stabile con un’altra impresa o istituzione. Anche la capacità/volontà di creare accordi è influenzata dalla dimensione: tra le microimprese partecipano ad accordi contrattuali o informali 60 imprese su 100; percentuale che arriva a 76,6 nel caso delle piccole, a 84 tra le medie e sfiora il 90% tra le imprese grandi. Il settore delle costruzioni è quello in cui si osserva la maggiore propensione ad attivare relazioni produttive (ne sono coinvolte poco meno di 9 imprese su dieci), seguito dall’industria in senso stretto (76%) e dai servizi, dove le meno coinvolte sono le imprese del commercio (59,3%) e quelle attive nelle altre attività di servizi (52,1%). Nel manifatturiero in particolare, i settori che più risultano caratterizzati dalla presenza di relazioni tra imprese (oltre l’80%) sono quelli delle apparecchiature elettriche, la farmaceutica, l’elettronica-ottica e i macchinari; per contro, percentuali comprese tra il 70-75% − comunque elevate, quindi − si osservano nei settori più tradizionali, come l’alimentare e il tessile. Tra le diverse tipologie di relazione le imprese italiane prediligono gli accordi di commessa (74,1%) e di subfornitura (56,6%), mentre meno frequenti risultano gli accordi formali quali i consorzi (7% delle imprese), il franchising (3,3%) o le joint ventures o associazioni temporanee d’impresa (6,3%). Circa il 15,6% delle unità produttive italiane è poi coinvolto in accordi “informali”. Tipologia delle relazioni per settore (2001, imprese che dichiarano di intrattenere almeno una relazione stabile con altre aziende o istituzioni) 90 80 (2011, imprese che dichiarano di intrattenere almeno una relazione stabile con altre aziende o istituzioni) 100 82 90 74,1 70 Tipologia delle relazioni per classe di addetti 84 76,6 80 65,9 60 70 50 60 40 90 50 40 30 20 10,4 10 0 60 15,9 30 20 10 Commessa Subfornitura Totale Accordi formali Manifattura Accordi informali Fonte: elaborazioni Servizio Studi BNL su dati Istat 0 micro piccole medie grandi Fonte: elaborazioni Servizio Studi BNL su dati Istat Mentre gli accordi informali riguardano soprattutto le imprese di minore dimensione (vi ricorre circa il 16% delle micro e delle piccole) il ricorso a subfornitura e commessa non sembra influenzato in modo rilevante dalla dimensione aziendale, quanto piuttosto dal settore di attività: l’82% delle imprese manifatturiere, ad esempio, intrattiene rapporti di commessa, contro il 46% delle aziende finanziarie, mentre la subfornitura è il tipo di relazione più adottato dalle imprese attive nelle costruzioni e da quelle manifatturiere (rispettivamente 81 e 75% di quelle che dichiarano la presenza di una relazione). 5
  • 6. 16 dicembre 2013 Una percentuale compresa tra il 14 e il 16% delle imprese che hanno attivato relazioni di commessa, subfornitura o altro ha almeno una controparte straniera. Il dato è tuttavia sintesi di situazioni estremamente variegate che nella manifattura arrivano anche a rappresentare il 62,5% degli accordi di commessa del comparto farmaceutico, o il 51% della subfornitura nel caso dei macchinari. La presenza di relazioni con operatori stranieri è fortemente condizionata dalla dimensione dell’impresa: nel caso delle grandi circa un terzo degli accordi sono infatti stretti con operatori stranieri, contro percentuali che non arrivano al 14% nel caso delle micro. Accordi con operatori stranieri (2011, in % delle imprese totali che hanno la stessa tipologia di relazione) 45 38,7 40 33,9 35 34,6 29,4 30 26,0 25 20 15 37,3 17,9 12,1 20,8 19,2 13,8 13,5 10 5 0 3-9 Commessa 10-49 50-249 Subfornitura 250 e oltre Altri Accordi Fonte: elaborazioni Servizio Studi BNL su dati Istat La maggior parte degli accordi stretti dalle imprese riguarda l’attività principale (80% delle imprese con relazioni), mentre gli accordi formali e informali vengono adottati in prevalenza nel caso di collaborazioni che riguardano la ricerca e sviluppo, il marketing e le attività post vendita. La principale finalità dichiarata dalle imprese alla base di ogni tipo di relazione è la riduzione dei costi di produzione. Nel caso degli accordi formali a questa motivazione se ne affiancano altre più complesse: circa il 20-30% delle imprese “interconnesse” dichiara di aver attivato relazioni per innovare i prodotti o i processi, accedere a nuove tecnologie, nuovi mercati o per cercare una maggiore flessibilità produttiva, mentre solo 8 imprese su 100 utilizzano questo strumento per l’internazionalizzazione. In generale la presenza di relazioni si associa all’adozione di strategie più complesse della semplice difesa della quota di mercato: rispetto alle cosiddette “isolate” infatti le imprese “interconnesse” adottano più frequentemente strategie tese all’aumento della gamma di servizi e prodotti offerti, e si dichiarano interessate alla ricerca di nuovi mercati. Un elemento di particolare interesse riguarda la diversa propensione a operare sui mercati internazionali da parte delle imprese “isolate” e delle “interconnesse”, soprattutto a seconda della dimensione aziendale: tra le microimprese, ad esempio, opera all’estero il 21,7% delle unità con relazioni, contro il 13% delle “isolate”; all’aumentare della classe dimensionale le due percentuali si avvicinano (nel caso delle piccole sono 36,1% e 29,4%) fino quasi ad equipararsi nel caso delle grandi. 6
  • 7. 16 dicembre 2013 Imprese che operano sui mercati esteri per classi di addetti (2011, in % sul totale imprese della categoria) 70 60 50 45,2 40 48,5 49,3 36,1 29,4 30 20 48,8 21,7 13,3 10 0 3-9 addetti Imprese senza relazioni 10-49 addetti 50-249 addetti 250 addetti e oltre Imprese con relazioni Fonte: elaborazioni Servizio Studi BNL su dati Istat Una lente d’ingrandimento sulle microimprese Tra le aziende con almeno 3 addetti le microimprese (3-9 addetti) coprono l’80% circa del totale. Presenti in larga misura in tutto il territorio italiano, queste unità produttive raggiungono le percentuali più elevate in Sardegna, dove rappresentano l’86% delle imprese con almeno 3 addetti, in Calabria (85,9%) e in Sicilia (85,1%). Per contro, le quote più contenute si osservano in Trentino (75,8%), in Veneto (75,8%) e in Emilia Romagna (78,2%). A livello settoriale la distribuzione è invece molto meno omogenea: nel manifatturiero il dato medio, pari al 64,6%, è la combinazione di valori molto alti nell’alimentare (dove poco più di tre imprese su quattro hanno tra 3 e 9 addetti), nel legno carta e stampa (70,3%) e nelle altre industrie manifatturiere (71,5%); al contrario, la loro presenza è molto contenuta nella farmaceutica (13,1%), nel coke e prodotti petroliferi raffinati (40,4%) e nella chimica (45,1%). Come si è accennato in precedenza, il 95% di queste imprese è gestito da una persona fisica; nella maggior parte dei casi (47% circa) si tratta di persone con un’età compresa tra i 41 e i 55 anni, mentre un altro 31% ha un’età superiore ai 55 anni. I titolari delle microimprese italiane posseggono nella maggior parte dei casi un diploma di scuola superiore (44%) o inferiore (34%), mentre sono poco più del 12% quelli in possesso di una laurea e appena il 2,3% quelli con una formazione post laurea. Le strategie adottate da questa classe di impresa sono per lo più “difensive”, ossia dirette in larga misura al mantenimento della quota di mercato (un mercato, peraltro, che nel 63% dei casi ha dimensioni “locali”, cioè non più estese della regione in cui ha sede l’impresa), tuttavia il loro comportamento presenta una variabilità marcata a seconda del comparto di appartenenza: in alcuni settori del manifatturiero, come farmaceutica, chimica, bevande ed elettronica, una quota elevata di microimprese dichiara di perseguire come strategia principale l’ampliamento della gamma di prodotti e l’accesso a nuovi mercati. Il profilo strategico delle imprese d’altro canto è condizionato e condiziona la dimensione del mercato di riferimento, le imprese che operano esclusivamente sul mercato locale appaiono molto restie sia ad accedere a nuovi mercati, sia a cercare collaborazioni con altre imprese. Una valutazione della performance delle imprese non è possibile con i dati del censimento; tuttavia, utilizzando i dati di altre indagini Istat i cui risultati sono stati 7
  • 8. 16 dicembre 2013 diffusi in questi giorni 1 è possibile trarre alcune indicazioni interessanti, soprattutto con riferimento alle microimprese. Il contributo di questa categoria dimensionale al valore aggiunto complessivo dell’economia produttiva negli ultimi anni è leggermente sceso: nel 2007, anno precedente l’avvio della prima recessione, il loro peso era pari al 32,5%, valore passato al 31,4% nel 2011. Il contributo al fatturato complessivo nello stesso periodo è sceso dal 27,1% al 26,1%. Le imprese molto piccole nel nostro paese continuano a soffrire un notevole gap di produttività rispetto a quelle di dimensione maggiore: nel 2011 il valore aggiunto per addetto in un’impresa con meno di 10 addetti era pari in media a 29.500 euro, un valore peraltro in aumento rispetto a quello sia dell’anno precedente (27.600) sia del 2007 (29.100); tuttavia si tratta del 37% in meno di quello registrato nella classe immediatamente più grande (10-19 addetti). Se confrontata con le classi maggiori la distanza si amplia in modo esponenziale, arrivando al 100% nel confronto con le medie e al 142% circa rispetto alle grandi. Alla minore produttività si associa una minore retribuzione lorda per dipendente, che risulta pari a 17.800 euro (+6,1% rispetto al 2007 e -0,4% rispetto al 2010) contro i 22.300 della classe inferiore delle piccole (10-19 addetti) e i 30mila di un addetto in una grande impresa. Produttività e investimenti delle imprese per classi di addetti (2011, mgl di euro) 80 14 71,3 70 60 59,1 50 47,3 30 5,2 20 0 6 6,9 29,5 4,4 10-19 4 5,2 0-9 Investimenti per addetto 10 8 40,5 40 10 11,7 12 2 20-49 50-249 250 e oltre 0 valore aggiunto per addetto Fonte: elaborazioni Servizio Studi BNL su dati Istat 1 Struttura e competitività delle imprese in Italia nel 2011, Istat, dicembre 2013. 8
  • 9. 16 dicembre 2013 Un cruscotto della congiuntura: alcuni indicatori Indice Itraxx Eu Financial Indice Vix 400 60 350 300 50 250 40 200 30 150 100 20 Index Itraxx EU Financial Sector 50 set-13 nov-13 lug-13 mag-13 gen-13 mar-13 set-12 nov-12 lug-12 mar-12 mag-12 nov-11 gen-12 lug-11 set-11 mag-11 gen-11 0 mar-11 set-13 nov-13 lug-13 mag-13 gen-13 mar-13 set-12 nov-12 lug-12 mag-12 gen-12 mar-12 set-11 nov-11 lug-11 mag-11 gen-11 10 mar-11 0 Fonte: Thomson Reuters Fonte: Thomson Reuters I premi al rischio passano da 103 a 96pb. L’indice Vix nell’ultima settimana sale a quota 16. Cambio euro/dollaro e quotazioni Brent Prezzo dell’oro (Usd per barile) (Usd l’oncia) 2.000 130 1,5 1.900 125 1,45 1.800 1,4 1.700 120 115 1,35 110 1,3 105 1.500 1.400 nov-13 set-13 lug-13 mar-13 mag-13 nov-12 gen-13 set-12 lug-12 mag-12 gen-12 mar-12 set-11 1.200 nov-11 1,15 1.300 lug-11 90 gen-11 mag-11 set-11 gen-12 mag-12 set-12 gen-13 mag-13 set-13 1,2 mar-11 Cambio euro/dollaro sc.ds. mag-11 Brent scala sin.(in Usd) gen-11 1,25 100 95 1.600 Fonte: Thomson Reuters Fonte: Thomson Reuters Il tasso di cambio €/$ a 1,37. Il petrolio di qualità Brent quota $108 al barile. Il prezzo dell’oro rimane sotto i 1.300 dollari l’oncia. 9
  • 10. 16 dicembre 2013 Borsa italiana: indice Ftse Mib Tassi dei benchmark decennali: differenziale con la Germania (punti base) 24.000 22.000 20.000 1.400 1.200 1.000 800 18.000 600 400 16.000 0 12.000 gen-11 mag-11 set-11 gen-12 mag-12 set-12 gen-13 mag-13 set-13 gen-11 feb-11 mar-11 apr-11 mag-11 giu-11 lug-11 ago-11 set-11 ott-11 nov-11 dic-11 gen-12 feb-12 mar-12 apr-12 mag-12 giu-12 lug-12 ago-12 set-12 ott-12 nov-12 dic-12 gen-13 feb-13 mar-13 apr-13 mag-13 giu-13 lug-13 ago-13 set-13 ott-13 nov-13 dic-13 200 14.000 Italia Spagna Irlanda Portogallo Fonte: Thomson Reuters Fonte: elaborazioni Servizio Studi BNL su dati Thomson Reuters Il Ftse Mib rimane sotto quota 18.000. I differenziali con il Bund sono pari a 440 pb per il Portogallo, 162 pb per l’Irlanda, 228 pb per la Spagna e 227 pb per l’Italia. Indice Baltic Dry Euribor 3 mesi (val. %) 12.000 6 10.000 5 8.000 4 set-13 set-12 gen-13 mag-13 mag-12 set-11 gen-12 set-10 gen-11 mag-11 set-09 gen-10 mag-10 set-08 gen-09 mag-09 mag-08 set-07 0 gen-08 1 0 set-06 2 2.000 gen-07 mag-07 3 4.000 gen-08 apr-08 lug-08 ott-08 gen-09 apr-09 lug-09 ott-09 gen-10 apr-10 lug-10 ott-10 gen-11 apr-11 lug-11 ott-11 gen-12 apr-12 lug-12 ott-12 gen-13 apr-13 lug-13 ott-13 6.000 Fonte: Thomson Reuters Fonte: Thomson Reuters L’indice Baltic Dry nell’ultima settimana sale oltre quota 2.000. L’euribor 3m resta stabile poco oltre 0,20%. Il presente documento è stato preparato nell’ambito della propria attività di ricerca economica da BNLGruppo Bnp Paribas. Le stime e le opinioni espresse sono riferibili al Servizio Studi di BNL-Gruppo BNP Paribas e possono essere soggette a cambiamenti senza preavviso. Le informazioni e le opinioni riportate in questo documento si basano su fonti ritenute affidabili ed in buona fede. Il presente documento è stato divulgato unicamente per fini informativi. Esso non costituisce parte e non può in nessun modo essere considerato come una sollecitazione alla vendita o alla sottoscrizione di strumenti finanziari ovvero come un’offerta di acquisto o di scambio di strumenti finanziari. 10