Il turismo internazionale continua a crescere. Congiuntura economica e fattori geopolitici non sembrano in grado di modificarne, nel medio-lungo termine, il trend di sviluppo.
L’Italia ha intercettato il trend positivo ed ha visto crescere gli arrivi in modo significativo (ca. +50% in 15 anni)
Siamo più attrattivi senza riuscire, tuttavia, a generare maggior valore perché la permanenza media continua a scendere, è passata da 4,1 giorni del 2001 a 3,6 giorni del 2015, e con essa la spesa per arrivo passata da oltre 1.000 euro del 2001(a prezzi 2015) a poco meno di 700 del 2015.
Un fenomeno che mette in evidenza una importante criticità del nostro modello di offerta dal momento che nel turismo l’obiettivo non è principalmente quello di attrarre i turisti ma soprattutto quello di trattenerli perché in questo modo crescano le occasioni di spesa e, dunque, le entrate valutarie.
Il turismo internazionale in Italia continua ad essere prevalentemente europeo, oggi pesa per oltre il 70% in leggero calo rispetto a quindici anni fa quando i flussi di origine europea rappresentavano il 74% del totale. Ma negli ultimi anni cresce anche il peso dei Paesi extra-europei.
Il turismo internazionale continua a crescere. Congiuntura economica e fattori geopolitici non sembrano in grado di modificarne, nel medio-lungo termine, il trend di sviluppo.
L’Italia ha intercettato il trend positivo ed ha visto crescere gli arrivi in modo significativo (ca. +50% in 15 anni)
Siamo più attrattivi senza riuscire, tuttavia, a generare maggior valore perché la permanenza media continua a scendere, è passata da 4,1 giorni del 2001 a 3,6 giorni del 2015, e con essa la spesa per arrivo passata da oltre 1.000 euro del 2001(a prezzi 2015) a poco meno di 700 del 2015.
Un fenomeno che mette in evidenza una importante criticità del nostro modello di offerta dal momento che nel turismo l’obiettivo non è principalmente quello di attrarre i turisti ma soprattutto quello di trattenerli perché in questo modo crescano le occasioni di spesa e, dunque, le entrate valutarie.
Il turismo internazionale in Italia continua ad essere prevalentemente europeo, oggi pesa per oltre il 70% in leggero calo rispetto a quindici anni fa quando i flussi di origine europea rappresentavano il 74% del totale. Ma negli ultimi anni cresce anche il peso dei Paesi extra-europei.
Relazione annuale sull'economia italiana pubblicata da Banca d'Italia 30-05-2013LIVIO LANTERI
Relazione annuale sull'economia italiana pubblicata da Banca d'Italia 30-05-2013
Scarica il documento integrale.
Sulla pagina Scribd di Antoitalia trovi anche l'Appendice Statistica e le Considerazioni Finali del Governatore di Bankitalia.
I documenti sono resi pubblici sul sito di bankitalia.
www.antoitalia.it
Scenari Economici Giugno 2017 - Presentazione Luca PaolazziConfindustria
Le slide proiettate nel corso della presentazione del rapporto Scenari Economici - giugno 2017 dal direttore del Centro Studi Confindustria Luca Paolazzi.
Principali variabili economiche da monitorare r2.pptxgiovanni facco
monitoraggio delle principali variabili economiche: come stiamo andando ? qui sono raccolti e aggiornati i principali indicatori economici fonte Istat, Ocse, Bce, Bankitalia...
17° appuntamento annuale dei CIO italiani -
Oltre i confini della trasformazione digitale: le sfide di un mondo in versione beta
Baveno, 22-25 giugno 2017
Principali variabili economiche da monitorare giovanni facco
Perché e a quale scopo individuare e raccogliere i principali indicatori economici del nostro paese?Il motivo è molto semplice e banale: negli ultimi anni , complice il web, sono resi disponibili volumi incredibili di dati prima consultabili solo in forma cartacea e solo dopo mesi e mesi dalla loro pubblicazione o messa a disposizione;Oggi sono disponibili immediatamente siamo inondati e affoghiamo .. nei numeri. Dati e numeri sempre più articolati, sezionati , dettagliati … ma vi è il rischio di non capire più come stanno le cose proprio per un eccesso di informazione quantitativa e numerica.Questo documento quindi vuole rispondere a queste esigenze: avere in un report i principali indicatori a portata di mano e in qualsiasi momento poterli consultare e vederli tutti insieme; i dati sono collocati in un arco temperale (in funzione anche della disponibilità del dato ) consentendo quindi di misurare gli scostamenti e di capire se nel tempo questi valori migliorano o peggiorano;
aggiornare con frequenza i dati utilizzando sempre e solo fonti ufficiali in questo modo ognuno può farsi una idea e tirare le proprie conclusioni.
Scenari Economici 2016 - La risalita modesta e i rischi di instabilitàConfindustria
Le slide proiettate alla presentazione del rapporto Scenari Economici del Centro Studi Confindustria il 01/07/2016 a Milano presso la sede di Assolombarda
Relazione annuale sull'economia italiana pubblicata da Banca d'Italia 30-05-2013LIVIO LANTERI
Relazione annuale sull'economia italiana pubblicata da Banca d'Italia 30-05-2013
Scarica il documento integrale.
Sulla pagina Scribd di Antoitalia trovi anche l'Appendice Statistica e le Considerazioni Finali del Governatore di Bankitalia.
I documenti sono resi pubblici sul sito di bankitalia.
www.antoitalia.it
Scenari Economici Giugno 2017 - Presentazione Luca PaolazziConfindustria
Le slide proiettate nel corso della presentazione del rapporto Scenari Economici - giugno 2017 dal direttore del Centro Studi Confindustria Luca Paolazzi.
Principali variabili economiche da monitorare r2.pptxgiovanni facco
monitoraggio delle principali variabili economiche: come stiamo andando ? qui sono raccolti e aggiornati i principali indicatori economici fonte Istat, Ocse, Bce, Bankitalia...
17° appuntamento annuale dei CIO italiani -
Oltre i confini della trasformazione digitale: le sfide di un mondo in versione beta
Baveno, 22-25 giugno 2017
Principali variabili economiche da monitorare giovanni facco
Perché e a quale scopo individuare e raccogliere i principali indicatori economici del nostro paese?Il motivo è molto semplice e banale: negli ultimi anni , complice il web, sono resi disponibili volumi incredibili di dati prima consultabili solo in forma cartacea e solo dopo mesi e mesi dalla loro pubblicazione o messa a disposizione;Oggi sono disponibili immediatamente siamo inondati e affoghiamo .. nei numeri. Dati e numeri sempre più articolati, sezionati , dettagliati … ma vi è il rischio di non capire più come stanno le cose proprio per un eccesso di informazione quantitativa e numerica.Questo documento quindi vuole rispondere a queste esigenze: avere in un report i principali indicatori a portata di mano e in qualsiasi momento poterli consultare e vederli tutti insieme; i dati sono collocati in un arco temperale (in funzione anche della disponibilità del dato ) consentendo quindi di misurare gli scostamenti e di capire se nel tempo questi valori migliorano o peggiorano;
aggiornare con frequenza i dati utilizzando sempre e solo fonti ufficiali in questo modo ognuno può farsi una idea e tirare le proprie conclusioni.
Scenari Economici 2016 - La risalita modesta e i rischi di instabilitàConfindustria
Le slide proiettate alla presentazione del rapporto Scenari Economici del Centro Studi Confindustria il 01/07/2016 a Milano presso la sede di Assolombarda
Nel 2013 i titoli obbligazionari detenuti direttamente dalle famiglie ammontano al 16% delle attività finanziarie totali, un valore molto elevato se confrontato con quello di Germania (4,2%), Francia (1,4%) e Spagna (1,1%). Considerando anche le obbligazioni detenute in modo indiretto attraverso investimenti assicurativi, previdenziali e di risparmio gestito, il peso delle obbligazioni sale a circa il 39% delle attività finanziarie.
Si tratta per la quasi totalità di titoli pubblici, bancari o emessi da società di grandi dimensioni. Le Pmi si finanziano invece quasi esclusivamente attraverso il canale del credito bancario. Un canale di apertura delle Pmi alla raccolta di capitale obbligazionario è costituito dai mini bond , introdotti dal decreto Sviluppo del governo Monti, che offrono l’opportunità di ottenere finanziamenti a tasso fisso o variabile con scadenze superiori ai 36 mesi. Tra novembre 2012 e giugno 2014 sono stati emessi mini bond per un importo di 5,7 miliardi da parte di 36 imprese non finanziarie italiane.
Nell’area euro, il peggioramento della congiuntura economica ha un carattere comune a tutti i principali paesi: la debolezza degli investimenti . In Italia, il taglio ha interessato con particolare intensità la componente pubblica, ridottasi di oltre un terzo negli ultimi quattro anni.
Relazione al bilancio di previsione 2014 - Città di TorinoGianguido Passoni
Relazione di accompagnamento al bilancio di previsione 2014 della Città di Torino. Documento approvato dall'aula il 30 settembre.
Il bilancio di previsione 2014 della Città di Torino pareggia a 1 miliardo 356 milioni di euro, 27 in meno rispetto al previsionale assestato del 2013. In particolare le entrate tributarie ammontano a 899 milioni di euro, in leggero aumento rispetto al 2013, ampiamente compensate da una riduzione di quelle extratributarie (canoni, concessioni, interessi e fitti attivi, mense e contravvenzioni) che ammontano a 263 milioni di euro.
La spesa per personale continua a ridursi. Nel 2014 rispetto al 2013 questa scende di oltre 5,5 milioni di euro, incidendo sul totale della spesa corrente per il 33,99%. Negli ultimi sei anni, i dipendenti sono diminuiti di 1.419 unità pari a circa il 12%, mentre i dirigenti sono scesi a 123 unità con una riduzione di oltre il 25% e quelli a contratto sono passati dalle 27 unità del 2008 alle 6 attualmente in servizio.
Confermate anche per il 2014 misure destinate ad alleggerire il peso delle imposte sui redditi delle famiglie torinesi. Nel dettaglio, per il pagamento della Tasi sono state previste detrazioni di 110 euro per immobili con rendita catastale fino a 700 euro e di 30 euro per ogni figlio di età inferiore ai 26 anni. Sempre per la tassa sui servizi indivisibili è stato istituito di un fondo di sostegno di un milione e 300mila euro per pensionati e lavoratori dipendenti proprietari esclusivamente di prima casa, che dichiarano un reddito Isee inferiore a 17mila euro. Di una analoga misura nel 2013 hanno beneficiato quasi 10.000 nuclei. Per il pagamento della Tari le agevolazioni prevedono una riduzione del 50% per i redditi sino a 13mila euro, del 35% per quelli da 13mila a 17mila e per i redditi da 17mila a 24mila euro l’importo sarà ridotto del 25%.
Anche nel 2014 - così come già fatto nel 2013 – la Città di Torino ha aderito al decreto sbloccacrediti con l’obiettivo di diminuire il debito verso i fornitori e ridare così ossigeno ad un sistema che sconta una ormai endemica mancanza di liquidità. Risultati apprezzabili anche sul fronte del debito complessivo che diminuisce di altri 112 milioni.
Mentre prosegue l’attività di risanamento, Torino deve tornare a crescere: aumentano, dopo anni di contrazione, le risorse destinate al Piano degli investimenti che passano dai 177 milioni del 2013 ai 201 di quest’anno.
Intervento di Fabrizio Guelpa, Servizio Industry & Banking, Intesa Sanpaolo al Meeting ACEF 2015 - 23/10/2015
VEDI TUTTI GLI INTERVENTI SU http://www.economiaefinanza.org/atti
Nell’intervento sono messi in evidenza i numerosi miglioramenti sia nelle stime sia nelle analisi che sono condotte attualmente in Banca d’Italia consentiti dalla disponibilità del nuovo indice dei prezzi all’importazione dei prodotti industriali consentirà
A dicembre 2014, le risorse accumulate dalle forme pensionistiche complementari rappresentano circa l’8% del Pil e il 3% delle attività finanziarie delle famiglie italiane. Gli iscritti ammontano a circa 6,6 milioni e le risorse destinate alle prestazioni hanno raggiunto i 126 mld di euro. Il tasso di partecipazione ha raggiunto il 25,6% rispetto alla forza lavoro e il 29,5% rispetto agli occupati, tuttavia, solo il 15% per cento della forza di lavoro al di sotto dei 35 anni è iscritto a una forma pensionistica complementare.
A fine 2013 lo stock di investimenti dei fondi pensione indirizzati in Italia ammontava a circa 30 mld di euro, di questi solo 2,1 mld erano indirizzati alle imprese italiane. Per convogliare una maggiore quota del risparmio previdenziale nell’economia reale italiana occorre superare alcuni limiti tecnici ed incentivare l’investimento in strumenti come i fondi chiusi attraverso i quali investire in private equity, mini-bond ed energie rinnovabili, presenti in misura marginale solo nel portafoglio di alcuni fondi pensione preesistenti.
A dicembre ha prevalso l’incertezza sui mercati finanziari globali. Un’incertezza alimentata so- prattutto dalla caduta del prezzo del petrolio. La discesa dell’oro nero, iniziata a fine estate, si è intensificata dopo la riunione di novembre dell’Opec nella quale è stato deciso di mante- nere invariati gli attuali livelli di produzione. E così il greggio ha continuato a perdere terreno, salvo qualche breve sosta, fino a toccare i mini- mi a oltre cinque anni. Uno scenario appesantito dalle tensioni in Russia con il rublo che è crolla- to ai minimi storici. Mosca paga principalmente proprio la caduta dei prezzi del petrolio che ha acuito i timori di una recessione nel 2015. Nel frattempo in Europa si attende con rinnovato in- teresse la prossima riunione della Bce (22 gen- naio). Dal 2015 la Bce terrà, infatti, i suoi meeting ogni sei settimane e non più a inizio mese. A gen- naio potrebbero arrivare indicazioni più puntuali sulle nuove possibili misure non convenzionali da attuare per contrastare il rischio deflazione.
Sono una minoranza (il 38%) gli Italiani disposti a sacrificarsi per sostenere il rilancio del Paese. I sacrifici più duri da accettare sarebbero quelli relativi al welfare, all’aumento dell’età pensionabile e al peggioramento delle condizioni di lavoro, sia in termini di contratto, che di salario. In generale, viene preferita una riduzione di tasse su imprese e lavoro a fronte di un aumento di quelle su consumi e ricchezza patrimoniale. E anche l’ipotesi dell’Iva al 25% risulta più digeribile, sempre a patto che l’imposizione fiscale sul lavoro e sulle attività produttive venga mitigata. Quanto al grado di fiducia, il suo livello resta stabile: a ottobre si è attestato a 3,45 punti, contro i 3,54 del mese precedente. Sul tema del risparmio, negli ultimi 30 giorni si registra un calo della propensione, con il 14,2% degli Italiani che si dice pronto ad aumentare la quota di risorse messe da parte, contro il 15,5 di settembre.
A settembre scorso l’ammontare dei prestiti nell’area euro è risultato inferiore di 200 miliardi rispetto a un anno prima (-1,2%) tornando ai valori di maggio 2008. Rispetto al picco massimo di settembre 2011, lo stock dei finanziamenti è diminuito di 718 miliardi attestandosi a 10.581 miliardi.
In presenza di un contesto economico divenuto estremamente complesso l’Ocse già
prima dello scoppio della crisi dei mutui subprima suggeriva di introdurre
l’educazione finanziaria nei programmi scolastici. Solo dopo il 2007 tuttavia
l’esigenza di dotare le giovani generazioni di un bagaglio utile in campo finanziario ha
spinto molti paesi ad adottare programmi di educazione specifici. A metà 2014 erano
circa 50 i governi che avevano intrapreso programmi di educazione finanziaria o che
avevano in progetto di avviarne
Settore auto: un andamento a più velocità
Il settore automotiv e a livello globale sembra essere tornato su valori di crescita interessanti. I dati sulla produzione di nuovi veicoli evidenziano un incremento del 4% nel 2013 che potrebbe confermarsi anche per il 2014. Gli Stati Uniti nel 2013 sono tornati ai livelli produttivi pre-crisi. Il mercato europeo, pur avendo registrato nei primi nove mesi del 2014 un incremento del 5,8% delle immatricolazioni, rimane 25 punti percentuali sotto il livello del 2007 con ampie differenze tra i paesi. Ponendo pari a 100 le auto immatricolate nel 2007, la Germania nel 2013 ha raggiunto quota 92, il Regno Unito 91, la Spagna 75, la Francia 58; l’Italia si è fermata a 52.
Negli anni più recenti le imprese di maggiore dimensione hanno fortemente accentuato la propensione a detenere riserve di liquidità. Per l’intensità raggiunta questa propensione alla liquidità viene indicata tra i fattori corresponsabili (e non in misura marginale) della sterilizzazione degli stimoli monetari adottati dalle autorità dei principali paesi per favorire una più rapida uscita dalla crisi.
E’ l’immigrazione la grande preoccupazione delle famiglie Italiane. Una su due, la ritiene la criticità più rilevante: le notizie che da mesi arrivano dal Canale di Sicilia angosciano in profondità il Paese, per i loro drammatici risvolti umanitari. Sul fronte interno, il 44% degli Italiani nei prossimi 12 mesi si aspetta che vengano approvate le riforme di cui tanto si è discusso: da quella del lavoro a quella della pubblica amministrazione; da quella della giustizia a quella della scuola. Per quanto riguarda il grado di fiducia, il dato resta stabile sui valori dei mesi precedenti: 3,54 punti, contro i 3,53 di agosto e i 3,55 di luglio.
Risale la propensione al risparmio: il 15,5 degli italiani lo aumenterà nei prossimi 12 mesi. A settembre, si era impegnato in questa direzione il 13,1.
Alla ripresa autunnale lo scenario economico si presenta a due facce.
Quella rassicurante di conferma delle buone dinamiche e prospettive extra-europee.
E quella preoccupante di deterioramento del quadro già debole nell’Eurozona e in Italia.
Il contesto rimane caratterizzato dai cambiamenti su scala globale portati dalla crisi: minore ampliamento
dei commerci internazionali, investimenti frenati dalla perdurante incertezza e condizioni
più selettive del credito bancario1.
Tutti fattori che abbassano il profilo dello sviluppo mondiale.
Tempo di riforme
I nuovi dati innalzano intorno al 44 per cento il valore raggiunto in Italia dal tasso disoccupazione giovanile. Oltre al problema della disoccupazione, le difficoltà del mercato giovanile del lavor o sono riscontrabili nella consistente riduzione tra gli occupati di età inferiore ai 35 anni dei dipendenti con contratto a tempo indeterminato.
I migranti e la crisi economica
Le tensioni geo-politiche ai confini dell’Europa e il protrarsi della debolezza del ciclo economico in molti paesi dell’area hanno contribuito a modificare i flussi migratori interni e internazionali sia in termini di numerosità sia nella scelta dei paesi di destinazione. L’allargamento a est dei paesi aderenti all’Unione e il perdurare di elevati tassi di disoccupazione in molte economie della zona euro hanno favorito la dinamica delle migrazioni interne, con una polarizzazione verso la Germania che nel 2013 è divenuto il primo paese di destinazione in Europa e il secondo tra le economie sviluppate dopo gli Stati Uniti.
Negli ultimi anni una serie di fenomeni economici e politici hanno portato molti a ritenere che l’ordine economico mondiale disegnato a partire da Bretton Woods sia ormai da rivedere. L’idea è che il concetto stesso di libero scambio, che del vecchio ordine rappresentava uno dei pilastri portanti, sia destinato nel prossimo futuro ad avere un ruolo progressivamente meno centrale nello stimolare la crescita mondiale.
Le famiglie italiane spenderanno in media 710 € per l’istruzione dei figli, circa 10 € in più rispetto allo scorso anno. E il 5% di queste dovrà ricorrere a un prestito per farvi fronte.
Il risparmio gestito nel corso del 2014 ha continuato ad evidenziare una dinamica di sviluppo molto positiva. Il patrimonio a luglio ha toccato un nuovo massimo pari a 1.480 mld di euro, un valore dell’11% superiore a quello di dicembre 2013. Nei primi sette mesi del 2014 la raccolta netta ha raggiunto i 75,7 miliardi, un valore superiore a quello relativo all'intero 2013 (62 mld di euro) che già costituiva il miglior risultato dal 1999. Nel 2014 sono stati i fondi comuni a trainare la raccolta del risparmio gestito.
In controtendenza rispetto al calo di oltre venti punti percentuali segnato dal totale della
manifattura, la produzione italiana di birra supera oggi di tre punti percentuali i
volumi ante-crisi. Allo stesso modo, le esportazioni italiane di birra sono oggi oltre il
doppio di quelle di sette anni fa. Pur avendo un peso assai limitato sull’economia
nazionale, la performance del comparto brassicolo italiano offre spunti interessanti di
riflessione sulle leve per svilupparsi anche in tempi di crisi: innovazione, investimenti,
domanda interna.
1. 27
2 settembre
2014
Direttore responsabile:
Giovanni Ajassa
tel. 0647028414
giovanni.ajassa@bnlmail.com
Banca Nazionale del Lavoro
Gruppo BNP Paribas
Via Vittorio Veneto 119
00187 Roma
Autorizzazione del Tribunale
di Roma n. 159/2002
del 9/4/2002
Le opinioni espresse
non impegnano la
responsabilità
della banca.
I dati di PIL diffusi in agosto indicano che il peggioramento della congiuntura nell’area euro è dovuta ad una decelerazione delle esportazioni. In Italia come in Germania il valore delle vendite oltre frontiera realizzate nel II trimestre del 2014 non differisce sostanzialmente da quanto realizzato nello stesso periodo di un anno prima. Non si tratta di un fenomeno transitorio. L’export-led non è più sufficiente: tempo è di sostenere lo sviluppo dei paesi dell’unione monetaria attraverso fonti interne di riflazione della domanda aggregata e, soprattutto, degli investimenti.
Da oltre due anni tutte le principali economie europee vivono un rallentamento dell’inflazione. In Italia, questo processo appare più intenso di quanto si registri in Francia e Germania. L’inflazione francese e quella tedesca si sono ridotte di 2,1 punti percentuali, mentre quella italiana di 4, scendendo in territorio negativo ad agosto.
Il calo dell’inflazione non interessa tutte le tipologie di beni e servizi. Mentre i prezzi delle calzature e dell’abbigliamento scendono, si assiste all’aumento dei prezzi sostenuti per la riparazione degli abiti. Rincari che interessano anche le spese per la riparazione di mobili, arredi e mezzi di trasporto. È un processo solo all’inizio, che potrebbe, però, rappresentare un cambiamento nelle abitudini dei consumatori.
Esportazioni verso il mondo
(miliardi di euro)
8324423199305139103305140 GermaniaSpagnaFranciaItalia2009 II2013 II2014 II
Fonte: elaborazioni Servizio Studi BNL su dati Eurostat
2. 2
2 settembre 2014
Editoriale: Europe-led, oltre che export-led
Giovanni Ajassa 06-47028414 giovanni.ajassa@bnlmail.com
Esportazioni verso il Mondo
(miliardi di euro)
8324423199305139103305140 GermaniaSpagnaFranciaItalia2009 II2013 II2014 II
Fonte: elaborazioni Servizio Studi BNL su dati Eurostat
L'Italia non è sola. I dati agostani dei PIL dicono che la stasi dello sviluppo è un problema europeo che si chiama decelerazione dell’export. Globalmente si avverte un rallentamento del commercio internazionale. Oggi nel Mondo gli scambi crescono quanto il prodotto interno lordo. Prima della crisi ogni anno il commercio aumentava il doppio del PIL. Come dicono gli economisti, l’elasticità è scesa da due ad uno. Non è solo colpa dei nuovi focolai di tensioni geopolitiche peraltro così vicini a noi. Gli effetti maggiori della crisi ucraina e delle guerre in Nord Africa e Medio Oriente potremo avvertirli più avanti. Ciò che i dati rendono già oggi evidente è il fatto che la globalizzazione delle economie è entrata in una nuova fase. Una fase di maturità, se non di stanchezza. Una fase in cui gli “emergenti” sono oramai più che “emersi” e giganti come Cina e India cominciano a guardarsi dentro. Una fase dove le distanze tornano a contare e il "reshoring", il reimpatrio delle produzioni, inizia ad assumere dimensioni significative, almeno per i paesi che sanno stimolarlo, gli Stati Uniti in primis. La globalizzazione decelera e così fanno gli scambi all’interno del Vecchio Continente. Nel secondo trimestre del 2014 le esportazioni verso i paesi partner dell'area euro sono state, in miliardi di euro, sostanzialmente le stesse di un anno prima. Questo accade per l'Italia come pure per la Germania. Le esportazioni interne all'area della moneta unica sono ferme. È un dato preoccupante, specie se letto insieme alla pericolosa discesa dell'inflazione verso lo zero e, in alcuni casi come quello italiano, anche sotto lo zero.
Il “made in Europe” non tira più come un tempo, né fuori, né dentro i confini dell’unione monetaria. Il grande recupero dell’export europeo si è sviluppato tra il 2009 e il 2011, ma già dal 2012 i sentori del rallentamento si sono resi sempre più evidenti. Ci si può interrogare su quanto il fenomeno sia connesso agli andamenti dei cambi dell’euro contro le altre principali valute globali. Negli anni passati la forza relativa della moneta
3. 3
2 settembre 2014
unica ha riflesso l’attenzione tutta europea a privilegiare la stabilità piuttosto che la competitività e lo sviluppo. Siamo diventati un po’ la Svizzera del Mondo: capaci di attrarre investimenti finanziari piuttosto che di generare sviluppo utile a contrastare l’aumento della disoccupazione. Bene, quindi, la svolta della BCE. L’espansione, anche “non convenzionale”, della moneta e del credito contribuirà a quella riflazione della domanda aggregata che, combinata alle riforme strutturali, è ora necessaria per spezzare la spirale depressiva che incombe sull’economia europea. Se ne è parlato a Jackson Hole.
Domanda aggregata vuol dire esportazioni, investimenti e consumi. Le esportazioni vanno rilanciate, ma l’export europeo non riparte se non ripartono gli investimenti e i consumi dei grandi paesi dell’eurozona. Per rilanciare l’export e accanto all'export, occorre che l'Europa attivi fonti interne di sviluppo, cominciando da piani di investimenti in infrastrutture. Il modello dell'export-led non basta più, neppure alla Germania.
Quest’anno la Germania ha vinto il campionato del mondo di calcio. Da molti anni l’economia tedesca è campione del mondo di propensione all’export, con una incidenza delle vendite oltre frontiera di beni e servizi che ha superato il cinquanta per cento del PIL: una cifra che eccede tutte quelle registrate dalle maggiori economie mondiali, dalla Cina agli Stati Uniti e al Giappone. Allo stesso modo, massimi storici sono oggi segnati dalle propensioni all’export di paesi come Italia, Francia e Spagna. Le esportazioni possono fungere durevolmente da motore della crescita solo per un paese piccolo: un paese la cui domanda interna non ha le dimensioni per influire sull’andamento dello sviluppo nei paesi vicini e nel mondo intero. Non è questo il caso dell’Europa, dell’area dell’euro e della Germania. Tempo è di ragionare su una propulsione "ibrida" dell'economia del Vecchio Continente. Insieme all'export-led, serve un traino "Europe-led". Per tornare allo sviluppo e non cadere nella spirale della depressione gli europei devono convincersi di una cosa: dipende da noi. I trecento miliardi di euro del piano Juncker potranno essere un buon inizio.
Export in % del PIL
50,70102030405060GermaniaItaliaFranciaSpagna
Fonte: elaborazioni Servizio Studi BNL su Eurostat
4. 4
2 settembre 2014
Una lettura della deflazione in Italia
P. Ciocca 06-47028431 – paolo.ciocca@bnlmail.com
Da oltre due anni tutte le principali economie europee vivono un rallentamento dell’inflazione. In Italia, questo processo appare più intenso di quanto si registri in Francia e Germania. In due anni e mezzo, l’inflazione francese e quella tedesca si sono ridotte di 2,1 punti percentuali, mentre quella italiana di 4.
In Italia, ad agosto l’inflazione armonizzata è divenuta negativa. Era già accaduto nel 2009, ma oggi questo processo appare più generalizzato e diffuso, interessando oltre l’energia anche il comparto dei beni e quello dei servizi.
La caduta dell’inflazione in Italia trova una parte importante della spiegazione nella flessione dei prezzi all’importazione. Questo rende l’effetto sulla crescita nominale del Pil meno ampio: nei primi sei mesi del 2014, l’inflazione al consumo è risultata pari allo 0,4%, mentre la crescita del deflatore del Pil si è avvicinata all’1%, portando l’aumento del Pil nominale oltre il mezzo punto percentuale, nonostante la recessione dell’economia.
Il calo dell’inflazione non interessa tutte le tipologie di beni e servizi. Mentre i prezzi delle calzature e dell’abbigliamento scendono, si assiste, infatti, all’aumento dei prezzi sostenuti per la riparazione degli abiti. Rincari che interessano anche le spese per la riparazione di mobili, arredi e mezzi di trasporto. È un processo solo all’inizio, che potrebbe, però, rappresentare un cambiamento nelle abitudini dei consumatori.
Dal rischio inflazione al rischio deflazione
Il forte processo di rallentamento della crescita dei prezzi, che ha portato a diffuse preoccupazioni per gli effetti sull’economia di un’eventuale deflazione, è in corso ormai da oltre due anni. Sebbene comune a tutta l’area euro, questo fenomeno risulta in Italia più intenso di quanto si registri in Germania e Francia.
L’inflazione in Italia
(IPCA; var. % a/a)
Il rallentamento dell’inflazione in Italia, Germania e Francia
(IPCA; var. % a/a)
-0,50,00,51,01,52,02,53,03,54,04,5 ago-97ago-98ago-99ago-00ago-01ago-02ago-03ago-04ago-05ago-06ago-07ago-08ago-09ago-10ago-11ago-12ago-13ago-14
3,82,92,7-0,20,80,6-0,50,00,51,01,52,02,53,03,54,0ItaliaGermaniaFranciaMassimo ultimi 3 anniUltimo dato disponibile*
Fonte: elaborazione Servizio Studi BNL su dati Eurostat
Fonte: elaborazione Servizio Studi BNL su dati Eurostat
*: agosto per l’Italia e la Germania, luglio per la Francia.
5. 5
2 settembre 2014
In Italia, da un’inflazione prossima al 4% nella prima parte del 2012 la crescita dei prezzi è divenuta negativa ad agosto (-0,2%). In Germania, la riduzione dell’inflazione si è fermata allo 0,8%, dal 2,9% che era stato toccato a ottobre 2011, mentre in Francia si è scesi leggermente più in basso (dal 2,7% di dicembre 2011 allo 0,6% di luglio, ultimo dato disponibile). In due anni e mezzo, l’inflazione francese e quella tedesca si sono ridotte di 2,1 punti percentuali, mentre quella italiana di 4.
Oltre la maggiore ampiezza della flessione, dallo scoppio della crisi il contesto inflazionistico italiano è stato caratterizzato da una profonda volatilità. Fino al 2006, una sostanziale stabilità portava l’inflazione ad oscillare poco sopra l’obiettivo della Banca centrale europea del 2%. Dalla seconda metà del 2007 è iniziata una fase di forti oscillazioni. Nei primi mesi della crisi si è assistito ad una rapida accelerazione che ha portato l’inflazione da valori inferiori al 2% a superare il 4%, il livello più alto degli ultimi diciotto anni. Dopo una brusca caduta, con l’inflazione misurata dall’indice armonizzato scesa in territorio negativo per la prima volta alla metà del 2009, la crescita dei prezzi ha nuovamente accelerato, avvicinandosi al 4% nella prima parte del 2012, per poi iniziare questa nuova fase di forte rallentamento.
Questa variabilità trova una parte della spiegazione nelle rapide oscillazioni che hanno interessato l’energia. La crescita dei prezzi di questa componente ha prima superato il 15% su base annua nella seconda parte del 2008, per poi crollare con flessioni prossime al 15% alla metà del 2009, per poi nuovamente accelerare con incrementi ancora superiori al 15% nella prima parte del 2012 ed infine iniziare questa nuova fase di caduta, con flessioni intorno al 3%.
Un calo diffuso tra i diversi capitoli di spesa
Già nel 2009 l’Italia aveva sperimentato un forte rallentamento della crescita dei prezzi, con l’inflazione in territorio negativo. L’attuale fase presenta, però, alcune particolarità rispetto a quanto accaduto nella prima parte della crisi. Il rallentamento della crescita dei prezzi appare oggi più generalizzato e diffuso, rendendo il calo dell’inflazione degno di maggiore attenzione.
L’inflazione in Italia per divisione di spesa
(IPCA; var. % a/a; agosto 2014)
La crescita dei prezzi per alcuni servizi alle famiglie
(IPCA; var. % a/a; luglio 2014)
-9,2-1,5-1,1-0,4-0,20,10,50,60,60,91,31,3-10-8-6-4-202ComunicazioniAbbigliamento e calzatureAbitazione, acqua, elettricità e combustibiliAlimentari e bevande non alcolicheTotaleBevande alcoliche e tabacchiServizi ricettivi e ristorazioneMobili, articoli e servizi per la casaRicreazione, spettacoli e culturaTrasportiServizi sanitari e spese per la saluteIstruzione
0,91,41,92,20,00,51,01,52,02,5Lavanderia, riparazione enoleggio abitiRiparazione apparecchiper la casaRiparazione mobili earrediRiparazione mezzi ditrasporto
Fonte: elaborazione Servizio Studi BNL su dati Eurostat
Fonte: elaborazione Servizio Studi BNL su dati Istat
Ad agosto di quest’anno, la caduta dell’indice generale è il risultato di una flessione dei prezzi delle merci, una contrazione del 3,7% di quelli dell’energia e un aumento dello
6. 6
2 settembre 2014
0,3% di quelli dei servizi. L’effetto della componente energia appare molto meno forte di quanto registrato nel 2009, quando il -0,1% dell’indice generale si accompagnava ad un -14,6% dell’energia. Ad agosto 2014, il calo dell’energia fornisce un contributo negativo alla crescita dell’indice generale pari a solo lo 0,3%, quasi un quarto di quanto la stessa componente sottraeva a luglio 2009. Anche la flessione che oggi interessa i prezzi dei beni appare più contenuta, con un contributo negativo pari a meno della metà di quello di cinque anni fa. Il rallentamento dell’inflazione interessa, però, a differenza della prima parte della crisi, anche i servizi. Alla metà del 2009, la crescita dei prezzi relativi a questa componente si manteneva al di sopra dell’1,5%, mentre adesso ci siamo avvicinati allo zero.
Ad agosto 2014, quattro degli undici capitoli di spesa che compongono l’indice generale hanno registrato un’inflazione negativa. I prezzi degli alimentari si sono ridotti di quasi lo 0,5% rispetto allo scorso anno. Sul calo ha pesato la brusca flessione dei prodotti freschi, con i prezzi della frutta scesi a luglio, ultimo dato disponibile per le singole tipologie di bene e servizio, di quasi il 10%. L’inflazione è divenuta negativa anche nel capitolo abitazione, acqua, elettricità e combustibili e in quello dell’abbigliamento e calzature. Nel primo caso, il calo dei prezzi è il risultato di un’ampia flessione di quelli del gas e di una leggera contrazione degli affitti per l’abitazione, mentre in forte crescita si mantengono i prezzi per la fornitura dell’acqua e la raccolta dei rifiuti. Gli unici capitoli a registrare aumenti dei prezzi superiori all’1% sono quello dei servizi sanitari e spese per la salute e quello dell’istruzione.
Una deflazione che viene anche dall’estero
La caduta che interessa l’inflazione in Italia trova una parte importante della spiegazione nella flessione dei prezzi all’importazione. L’impatto della debolezza della domanda interna, sebbene evidente, risulta per ora meno significativo.
I prezzi all’importazione dei prodotti industriali e il tasso di cambio euro/dollaro
I prezzi all’importazione per tipologia di prodotto
(var. % mag. 2014/mag. 2013)
1,101,151,201,251,301,351,401,451,50-6-4-2024681012 gen-11mar-11mag-11lug-11set-11nov-11gen-12mar-12mag-12lug-12set-12nov-12gen-13mar-13mag-13lug-13set-13nov-13gen-14mar-14mag-14 Prezzi all'importazione (var. % a/a; sc. sn.)Tasso di cambio EUR/USD (sc. ds.)
-4,7-4,4-4,2-3,7-2,2-2,1-2,1-1,8-1,7-1,6-1,4-0,5-0,4-0,30,4-5-4-3-2-101MetalliMezzi di trasportoCoke e prod. petrol. ElettronicaManifatturieroChimicaTotaleLegno, carta e stampaAlimentareApp. elettriciAltre att. manifatt. MacchinatiFarmaceuticaGomma, plast. e min. n. metal. Tessile e abbigliamento
Fonte: elaborazione Servizio Studi BNL su dati Istat e Thomson Reuters
Fonte: elaborazione Servizio Studi BNL su dati Istat
I prezzi all’importazione sperimentano una crescita negativa da oltre un anno. All’inizio del 2011, l’inflazione riferita ai prodotti acquistati dall’estero era superiore al 9%, guidata dalla componente energia, che con prezzi in crescita di quasi il 30% spiegava più della metà dell’aumento complessivo. Nei mesi successivi, l’inflazione importata ha rallentato, per poi divenire negativa. La flessione, dopo essersi avvicinata al 4%, è
7. 7
2 settembre 2014
risultata pari ad oltre il 2% a maggio 2014, ultimo dato disponibile. Diversi fattori contribuiscono a spiegare l’andamento dei prezzi all’importazione. Negli ultimi due anni, una certa rilevanza ha assunto l’evoluzione del cambio. Tra luglio 2012 e maggio 2014 si è assistito ad un apprezzamento dell’euro nei confronti del dollaro superiore al 10%, che ha reso meno costosi gli acquisti dall’estero.
Per i beni e i servizi importati, l’inflazione negativa interessa oggi tutti i raggruppamenti principali di industrie, risultando meno intensa per i beni di consumo (-0,7%) e per l’energia (-1,5%), che arriva a spiegare solo una piccola parte della flessione complessiva. Il calo dei prezzi si avvicina, invece, al 3% per i beni strumentali e per quelli intermedi, questi ultimi da soli spiegano quasi la metà della caduta dell’indice generale.
Guardando i singoli settori di attività economica, a maggio solo il comparto del tessile e abbigliamento ha registrato una crescita, sebbene moderata, dei prezzi pagati per acquistare prodotti dall’estero. Tutti gli altri settori che compongono il manifatturiero hanno, invece, subito una caduta dei prezzi, con flessioni che hanno superato il 4% nei mezzi di trasporto e nei metalli. In alcuni comparti l’inflazione negativa importata è ormai diventato un dato quasi strutturale. Il settore dei metalli, che all’inizio del 2011 registrava crescite dei prezzi all’importazione prossime al 20%, è in deflazione da oltre due anni. Il periodo di prezzi negativi risulta ancora più lungo per i prodotti farmaceutici, con una flessione iniziata nella prima parte del 2011.
Inflazione negativa e deflatore del Pil
Parlando di deflazione, è necessario ragionare anche sull’impatto che la variazione dei prezzi ha sull’andamento del Pil in valore. A parità di quantità, prezzi in discesa si accompagnano ad una caduta dei valori correnti, rendendo ancora più complesso il rispetto degli obiettivi di finanza pubblica in termini di rapporto deficit/Pil e debito/Pil.
Il deflatore del Pil e l’inflazione al consumo in Italia
La crescita del Pil a prezzi correnti in Italia
-3-2-1012345 II 1997II 1998II 1999II 2000II 2001II 2002II 2003II 2004II 2005II 2006II 2007II 2008II 2009II 2010II 2011II 2012II 2013II 2014 Differenza deflatore del Pil-inflazione al consumo armonizzata (punti percentuali) Deflatore del Pil (var. % a/a)
-6-4-20246 II 2006IV 2006II 2007IV 2007II 2008IV 2008II 2009IV 2009II 2010IV 2010II 2011IV 2011II 2012IV 2012II 2013IV 2013II 2014 Differenza crescita Pil nominale-costante (punti percentuali)Pil nominale (var. % a/a)
Fonte: elaborazione Servizio Studi BNL su dati Eurostat e Istat
Fonte: elaborazione Servizio Studi BNL su dati Istat
Prima di andare a guardare i numeri è, però, necessaria una precisazione. Per calcolare il Pil a prezzi correnti non viene considerato l’indice dei prezzi al consumo ma un altro indicatore, chiamato deflatore. Questa non è una semplice differenza terminologica, ma assume una rilevanza pratica. Per calcolare l’indice dei prezzi al consumo vengono considerati i prezzi di tutti i beni e servizi che compongono il paniere indipendentemente dalla loro provenienza. Tutto ciò fa sì che la riduzione del prezzo di
8. 8
2 settembre 2014
un bene, sia esso prodotto internamente sia esso acquistato dall’estero, determina una spinta ad un rallentamento dell’inflazione generale, la cui intensità dipenderà dal peso che quel bene ha all’interno del paniere. Diversa la situazione per il calcolo del deflatore. Il Pil di un paese è uguale alla somma dei consumi, della spesa pubblica, degli investimenti e delle esportazioni. Da questo valore devono essere sottratte le importazioni, che non rappresentano beni o servizi prodotti internamente e, quindi, non devono essere ricompresi nel calcolo del Pil. Se accade che i prezzi delle importazioni scendono, a parità di quantità comprata dall’estero si ridurrà il loro valore, con un effetto positivo sul Pil. Per il calcolo del deflatore del Pil non è, dunque, irrilevante la provenienza del singolo bene. L’andamento dei prezzi all’importazione non si va ad aggiungere a quello degli altri beni o servizi come accade per l’inflazione, ma è come se venisse sottratto. Un’inflazione all’importazione negativa ha, quindi, un effetto di contenimento sull’inflazione al consumo ma spinge verso l’alto il deflatore, con un effetto positivo per il Pil in valore.
Per immaginare gli effetti della deflazione sui valori correnti, non è, quindi, corretto traslare la variazione dei prezzi al consumo direttamente sul Pil. È necessario andare a vedere quali sono le principali determinanti della minore inflazione. Il fatto che la tendenza verso la deflazione sia oggi anche il risultato di un calo dei prezzi all’importazione, piuttosto che il solo frutto della debolezza della domanda interna, assume, dunque, risvolti di particolare importanza. Uno sguardo ai numeri aiuta a capire.
In Italia, il rallentamento della crescita dei prezzi appare meno evidente se guardato dal lato del deflatore. All’inizio del 2012, il deflatore del Pil cresceva di quasi il 2% su base annua. Nel II trimestre 2014, l’aumento è risultato pari allo 0,7%. Un calo di poco più di 1 punto percentuale, che si confronta con i 4 persi dall’inflazione
Questo andamento trova spiegazione nella differente crescita dei prezzi all’importazione. All’inizio del 2012 i prezzi al consumo aumentavano di circa il 3,5%, con l’indice dei prezzi relativo alle importazioni che cresceva di oltre il 4,5%. L’aumento del valore delle importazioni si accompagnava ad un contenimento della crescita del deflatore del Pil, che si fermava sotto il 2%, con una differenza negativa di oltre l’1,5% rispetto all’inflazione al consumo. Con prezzi all’importazione in crescita, l’effetto dell’aumento dei prezzi sul Pil risultava molto più basso di quello immaginabile guardando la sola inflazione. Nel I trimestre 2012, il Pil in quantità si riduceva dell’1,7% e quello in valore cresceva di solo lo 0,1%, mentre un’inflazione al consumo al 3,5% avrebbe fatto immaginare un aumento prossimo al 2%. La crescita dei prezzi all’importazione è poi gradualmente divenuta negativa, risultando pari a -2,9% nel I trimestre 2014 e a -1,6% nel II. Tutto ciò ha determinato un aumento del deflatore del Pil maggiore di quello dell’indice dei prezzi al consumo. Nel complesso dei primi 6 mesi di quest’anno il deflatore del Pil è aumentato dello 0,9%, mentre l’inflazione al consumo si è fermata allo 0,4%. Una differenza positiva tra la crescita del deflatore del Pil e l’inflazione al consumo pari a 0,5 punti percentuali rappresenta un elemento di particolare interesse se confrontato con il valore medio degli ultimi diciassette anni pari a -0,1%. L’effetto della variazione dei prezzi sul Pil è, dunque, risultato maggiore di quello immaginabile guardando la sola inflazione. Nella prima metà del 2014, mentre il Pil in quantità si è ridotto dello 0,3% nel confronto con lo stesso periodo dell’anno precedente quello in valore è aumentato dello 0,6%. Un’inflazione al consumo dello 0,4% avrebbe portato a pensare ad una sostanziale stagnazione del valore corrente.
9. 9
2 settembre 2014
Uno sguardo al passato
Per completare il discorso, un ultimo aspetto merita di essere sottolineato. Come visto in precedenza, l’andamento dei prezzi in Italia risulta spesso differente da quello di Francia e Germania. Questa particolarità caratterizza la fase attuale di forte rallentamento dei prezzi, ma è possibile rintracciarla anche nel periodo precedente, quando a preoccupare non era la deflazione quanto il rischio che i prezzi potessero aumentare troppo rapidamente.
Tra il 1996 e il 2012, l’Italia ha sempre sperimentato un aumento dei prezzi superiore a quello registrato nelle altre due principali economie dell’area euro. Nei quindici anni considerati, l’inflazione annua italiana è stata pari in media al 2,3%, a fronte dell’1,7% della Francia e dell’1,6% della Germania. Il differenziale tra l’inflazione italiana e quella degli altri due paesi è risultato positivo in tutti gli anni considerati, con la sola esclusione del 2007 per la Germania e del 2004 e 2010 per la Francia. Anche negli anni della crisi il nostro Paese ha sperimentato un’inflazione che nella media è risultata maggiore di quella degli altri due paesi, nonostante un indebolimento della domanda interna molto più intenso di quello francese e tedesco. Complessivamente, dal 1996 al 2012, l’indice dei prezzi al consumo è aumentato del 44% in Italia, 16 punti percentuali più della Germania e 12 più della Francia.
Questa più rapida crescita dei prezzi è il risultato di dinamiche differenziate a livello di singola tipologia di bene e servizio, con alcuni aspetti di particolare interesse. La maggiore inflazione non è derivata da più alti costi energetici, quanto soprattutto dalla più rapida crescita dei prezzi degli alimentari, delle spese per l’abitazione e di quelle per i servizi sanitari.
Tra il 1996 e il 2012, i prezzi dell’energia sono aumentati in Italia complessivamente di quasi il 90%, a fronte del 110% in Germania, mentre quelli dei generi alimentari hanno registrato una crescita prossima al 40%, quasi 15 punti percentuali in più di quanto accaduto in Germania. Un contributo positivo alla maggiore inflazione è venuto, ad esempio, da latte, formaggio e uova, ma soprattutto dai prodotti vegetali. In sedici anni il prezzo di verdure e ortaggi è aumentato di oltre 40 punti percentuali in più di quanto registrato in Germania. Tra le spese per l’abitazione, cresciute di oltre il 70%, le famiglie italiane hanno dovuto affrontare aumenti significativi delle tariffe per la raccolta dei rifiuti, cresciute di quasi il 90%, oltre 50 punti più della Germania, e per la fornitura di acqua, queste ultime più che raddoppiate. Tra i diversi capitoli che compongono il paniere per il calcolo dell’inflazione, l’istruzione è l’unico nel quale l’Italia ha registrato un andamento dei prezzi più moderato nei confronti sia della Francia sia della Germania.
Una riflessione per concludere
Tutti questi numeri ci dicono quanto sia complesso il fenomeno dell’inflazione. Alcuni aspetti meritano di essere sottolineati.
Oggi ci si preoccupa soprattutto degli effetti negativi che un’eventuale deflazione potrebbe avere sulla crescita economica. Quanto sta accadendo in Spagna ci dice, però, che la realtà può essere anche molto diversa dalla teoria. In Spagna, i prezzi scendono, ad agosto l’inflazione è stata pari a -0,5%, ma l’economia cresce, trainata dai consumi che, secondo alcuni osservatori, traggono spinta da un recupero del potere d’acquisto dei redditi favorito proprio dal calo dei prezzi.
Ci si preoccupa, inoltre, dell’effetto che un’inflazione in calo può avere sul rispetto dei vincoli del bilancio pubblico. I numeri dell’Italia ci dicono, però, che per capire quanto sta realmente accadendo non è sufficiente analizzare l’inflazione generale, ma è
10. 10
2 settembre 2014
necessario guardarci dentro. Prezzi all’importazione che si riducono rendono l’impatto sulla crescita del Pil nominale meno grave di quanto sembrerebbe a prima vista.
La lettura dei dati sull’inflazione è, inoltre, utile per sottolineare alcune criticità che caratterizzano il nostro Paese, oltre che per descrivere alcuni cambiamenti che ci interessano come risultato di sette anni di crisi.
Confrontando il presente con il passato, emerge un aspetto di particolare interesse: oggi, che a preoccupare è la deflazione, i prezzi italiani scendono più rapidamente di quelli francesi e tedeschi; ieri, che a preoccupare era l’inflazione, i nostri prezzi crescevano più velocemente. Questo deve portarci a pensare che, forse, nel nostro Paese, qualcosa non funziona correttamente nel processo di formazione dei prezzi.
Molto interessante appare quanto accade all’indice dei prezzi relativo al comparto abbigliamento e calzature. La flessione dei prezzi sta interessando i tessuti, gli indumenti, gli accessori e le calzature. Gli unici prezzi ad aumentare sono quelli dei servizi di lavanderia, riparazione e noleggio abiti. Queste dinamiche vanno oltre il capitolo abbigliamento e calzature: i prezzi per la riparazione degli elettrodomestici crescono di quasi l’1,5% e quelli per la riparazione di mobili, arredi e mezzi di trasporto di circa il 2%. Nonostante si tratti di un processo solo all’inizio, questi dati potrebbero essere rappresentativi di un cambiamento nelle abitudini dei consumatori, con una maggiore attenzione per i servizi di riparazione dei beni a disposizione a scapito dell’acquisto di prodotti nuovi. I prezzi dei primi possono, quindi, continuare a crescere, mentre le imprese che vendono prodotti nuovi sono chiamate ad una maggiore prudenza nella formazione dei prezzi, per cercare di contrastare la debolezza della domanda.
11. 11
2 settembre 2014
Un cruscotto della congiuntura: alcuni indicatori
Indice Itraxx Eu Financial
Indice Vix
050100150200250300350400 gen-11mar-11mag-11lug-11set-11nov-11gen-12mar-12mag-12lug-12set-12nov-12gen-13mar-13mag-13lug-13set-13nov-13gen-14mar-14mag-14lug-14
1011121314151617181920 gen-13feb-13mar-13apr-13mag-13giu-13lug-13ago-13set-13ott-13nov-13dic-13gen-14feb-14mar-14apr-14mag-14giu-14lug-14
Fonte: Thomson Reuters
Fonte: Thomson Reuters
I premi al rischio scendono da 63 a 60.
L’indice Vix nell’ultima settimana oscilla intorno a 12.
Cambio euro/dollaro e quotazioni Brent
(Usd per barile)
Prezzo dell’oro
(Usd l’oncia)
1,251,271,291,311,331,351,371,3995100105110115120gen-13lug-13gen-14lug-14Brent scala sin.(in Usd)Cambio euro/dollaro sc.ds.
1.2001.3001.4001.5001.6001.7001.8001.9002.000 gen-11mar-11mag-11lug-11set-11nov-11gen-12mar-12mag-12lug-12set-12nov-12gen-13mar-13mag-13lug-13set-13nov-13gen-14mar-14mag-14lug-14
Fonte: Thomson Reuters
Fonte: Thomson Reuters
Il tasso di cambio €/$ a 1,31. Il petrolio di qualità Brent quota $101 al barile.
Il prezzo dell’oro torna sotto i 1.300 dollari l’oncia.
12. 12
2 settembre 2014
Borsa italiana: indice Ftse Mib
Tassi dei benchmark decennali: differenziale con la Germania
(punti base)
12.00014.00016.00018.00020.00022.00024.000gen-11lug-11gen-12lug-12gen-13lug-13gen-14lug-14
ItaliaSpagnaIrlandaPortogallo050100150200250300350400450
Fonte: Thomson Reuters
Fonte: elaborazioni Servizio Studi BNL su dati Thomson Reuters
Il Ftse Mib nell’ultima settimana torna sopra quota 20.000.
I differenziali con il Bund sono pari a 230 pb per il Portogallo, 89 pb per l’Irlanda, 138 pb per la Spagna e 154 pb per l’Italia.
Indice Baltic Dry
Euribor 3 mesi
(val. %)
02.0004.0006.0008.00010.00012.000 gen-08lug-08gen-09lug-09gen-10lug-10gen-11lug-11gen-12lug-12gen-13lug-13gen-14lug-14
0123456 set-06mar-07set-07mar-08set-08mar-09set-09mar-10set-10mar-11set-11mar-12set-12mar-13set-13mar-14
Fonte: Thomson Reuters
Fonte: Thomson Reuters
L’indice Baltic Dry nell’ultima settimana supera quota 1.100.
L’euribor 3m quota 0,16%.
Il presente documento è stato preparato nell’ambito della propria attività di ricerca economica da BNL- Gruppo Bnp Paribas. Le stime e le opinioni espresse sono riferibili al Servizio Studi di BNL-Gruppo BNP Paribas e possono essere soggette a cambiamenti senza preavviso. Le informazioni e le opinioni riportate in questo documento si basano su fonti ritenute affidabili ed in buona fede. Il presente documento è stato divulgato unicamente per fini informativi. Esso non costituisce parte e non può in nessun modo essere considerato come una sollecitazione alla vendita o alla sottoscrizione di strumenti finanziari ovvero come un’offerta di acquisto o di scambio di strumenti finanziari.