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IL VINO NELLA CULTURA
CLASSICA
ALCEO
• Alceo nacque nel 630 a.C. a Mitilene, nell’isola di Lesbo da
una famiglia aristocratica.
• La sua vita fu segnata dal vivo interesse politico e dalla lotta
contro il potere assolutistico dei tiranni Melancro, Mirsilo e
Pittaco; questi scontri lo portarono più volte all'esilio.
• La politica costituisce un nucleo fondamentale della sua
poesia.
• La sua poesia è spesso dedicata all’amore, al vino,
all’esaltazione del piacere: esclusivi rimedi dinanzi al carattere
effimero e precario della vita umana.
IL VINO NELLA POESIA ALCAICA
• Alceo esorta a bere senza moderazione, senza preoccuparsi di
non esagerare, aspetto tipico dell'atmosfera simposiaca da lui
vissuta.
• Il vino è celebrato come conforto al dolore o come rimedio ai
rigori invernali e all'ardore della canicola, ed evocato per dare
libera voce all'odio contro il nemico o alla esultanza per la
vittoria.
• Per Alceo il simposio fu un rito e il vino lo strumento per
esaltare la personalità e per verificare la coralità dei singoli,
svelando il compagno ai compagni. Dice Alceo: Il vino è lo
specchio dell'uomo, a indicare la bevanda come specchio
dell'intera personalità.
• Frammento 332
νῦν χρῆ μεθύσθην καί τινα πὲρ βίαν
πώνην, ἐπεὶ δὴ κάτθανε Μύρσιλος.
“Ora bisogna ubriacarsi e ciascuno a forza
beva, poiché Mirsilo è morto.”
• Frammento 335
Οὐ χρῆ κάκοισι θῦμον ἐπιτρέπην, προκόψομεν γάρ οὐδὲν
ἀσάμενοι, ὦ Βύκχι, φαρμάκων δ’ἄριστον οἶνον ὒνεικαμένοις
μεθύύσθην.
“Non bisogna rivolgere il cuore alle sventure; infatti tormentandoci
nessuna cosa giova, o Bicchide, il migliore farmaco è farsi portare il
vino e ubriacarsi.”
• “Beviamo, perché aspettare le lucerne? Breve il tempo.
O amato fanciullo, prendi le grandi tazze variopinte,
perché il figlio di Zeus e Sémele
diede agli uomini il vino
per dimenticare i dolori.
Versa due parti di acqua e una di vino;
e colma le tazze fino all’orlo:
e l’una segua subito l’altra.”
• Frammento 346
Пώνωμεν˙ τί τὰ λύχν’ ὀμμένομεν˙ δάκτυλος ἀμέρα˙
κὰδ δ’ ἄερρε κυλίχναις μεγάλαις, ἄϊτα, ποικίλαις˙
oἶνον γὰρ Σεμέλας καὶ Δίος υἶος λαθικάδεα
ἀνθρώποισιν ἔδωκ’. ἔγχεε κέρναις ἔνα καὶ δύο
Πλήαις κὰκ κεφάλας, <ἀ> δ’ἀτέραν κύλιξ
ὠθήτω
ORAZIO
• Orazio nacque l'8 dicembre del 65 a.C. a Venosa, colonia
romana fondata tra Apulia e Lucania.
• L'attività poetica di O. si svolge su piani diversi e paralleli,
coagulandosi essenzialmente su tre generi: satira esametrica,
poesia giambica e poesia lirica.
• Seppe affrontare le vicissitudini politiche e civili del suo tempo
da placido epicureo amante dei piaceri della vita, dettando
quelli che per molti sono ancora i canoni dell'ars vivendi.
• La sua vita fu piena di intimità, di raccoglimento, di appartata
contemplazione e meditazione, di semplicità, di gusto
raffinato del bello; riflette pienamente il tono e l'accento vero
della poesia oraziana.
IL VINO NELLA POESIA ORAZIANA
• Nelle odi composte dal poeta il vino possiede sempre una
posizione privilegiata.
• Non ama il vino in sé, ma l’aiuto che offre all’individuo.
• Lo esalta come farmaco delle pene dell’uomo, da un lato
come ebrezza e dall’altro come piacere moderato e naturale.
• Il simposio guadagna un profondo valore esistenziale: intorno
ad una coppa di vino ci si protegge dal tempo che passa, ci si
protegge dall’esterno, si tagliano i ponti con la finitezza, si
coglie l’unica possibile felicità, quella dell’attimo.
• Ode al monte Soratte
Vidès ut àlta stèt nive càndidum
Soràcte nèc iam sùstineànt onus
silvàe labòrantès gelùque
flùmina cònstiterìnt acùto.
5 Dissòlve frìgus lìgna supèr foco
largè repònens àtque benìgnius
depròme quàdrimùm Sabìna
ò Thaliàrche, merùm diòta.
Permìtte dìvis cètera, quì simul
10 stravère vèntos àequore fèrvido
depròeliàntis, nèc cuprèssi
nèc veterès agitàntur òrni.
Tu vedi come si levi bianco per la
neve profonda
il Soratte, come non sostengano
più il peso
i boschi affaticati e per il gelo
penetrante i ruscelli si siano
fermati.
Scaccia il freddo, ponendo legna
sul focolare
in abbondanza e più
generosamente [del solito]
versa, o Taliarco, vino puro
di quattro anni dall’anfora sabina
a due anse.
Lascia tutto il resto agli dei: non
appena essi
hanno placato i venti che si
combattono sul mare
ribollente, né i cipressi
né gli antichi frassini si agitano
più.
Quid sìt futùrum cràs, fuge quàerere et,
quem Fòrs dièrum cùmque dabìt lucro
15 adpòne nèc dulcìs amòres
spèrne, puèr, neque tù chorèas,
donèc virènti cànitiès abest
moròsa. Nùnc et càmpus et àreae
lenèsque sùb noctèm susùrri
20 còmposità repetàntur hòra,
nunc èt latèntis pròditor ìntimo
gratùs puèllae rìsus ab àngulo
pignùsque dèreptùm lacèrtis
àut digitò male pèrtinàci.
Che cosa avverrà domani, non
chiedertelo e
qualunque giorno la Sorte concederà,
mettilo
dalla parte dei guadagni e non
disprezzare
i dolci amori, finché sei giovane, né le
danze,
finché da te nel fiore degli anni è
lontana la canizie
fastidiosa. Ora il Campo Marzio, le
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e i bisbigli sommessi sul far della notte
vanno cercati all’ora concordata,
ora la gradita risata che da un angolo
nascosto
rivela la ragazza lì nascosta
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o al dito che fa poca resistenza.
• Ode I 11
Tù ne quaèsierìs, scìre nefàs,
quèm mihi, quèm tibi
fìnem dì dederìnt, Lèuconoè, nèc
Babylònios
tèmptarìs numeròs. Ùt meliùs,
quìdquid erìt, pati,
sèu plùris hiemès sèu tribuìt
Iùppiter ùltimam,
5 quaè nunc òppositìs dèbilitàt
pùmicibùs mare
Tyrrhenùm: sapiàs, vìna liquès èt
spatiò brevi
spèm longàm resecès. Dùm
loquimùr, fùgerit ìnvida
aètas: càrpe dièm, quàm
minimùm crèdula pòstero.
Non domandare, Leuconoe -
non è dato sapere - che
destino gli dei hanno assegnato
a me e a te, né consulta
gli oroscopi. Com’è meglio
tollerare ciò che sarà, sia che
Giove
ci abbia dato ancora tanti
inverni sia che questo, che
sfianca
il mar Tirreno con rocce di
pomice, sia l’ultimo: sii
assennata,
purifica il vino e recidi la
duratura speranza, ché la vita è
breve. Mentre parliamo, se ne
va il tempo geloso:
strappa l’attimo, e non fidarti
per nulla del domani.
• Ode I 37
Nunc èst bibèndum, nùnc pede lìbero
Pulsànda tèllus, nùnc Saliàribus
Ornàre pùlvinàr deòrum
Tèmpus erèt dapibùs, sodàles.
5 Ante hàc nefàs depròmere Caècubum
Cellìs avìtis, dùm Capitòlio
Regìna dèmentìs ruìnas
Fùnus et ìmperiò paràbat
Contàminàto cùm grege tùrpium
10 Morbò viròrum, quìdlibet ìnpotens
Speràre fòrtunàque dùlci
Èbria. Sèd minuìt furòrem
Vix ùna sòspes nàvis ab ìgnibus,
mentèmque lýmphatàm Mareòtico
15 redègit ìn veròs timòres
Ora bisogna bere, ora con piede libero
bisogna colpire la terra: ora con cibi
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era tempo, o compagni.
Prima era empio stillare il Cecubo
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rovine dementi
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ricondusse ai veri timori
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cacciatore
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nobilmente
volendo morire e non da donna
temette la spada né in terre
nascoste
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Caèsar ab Ìtalià volàntem
Remìs adùrgens àccipitèr velut
Mollìs colùmbas àut leporèm citus
Venàtor ìn campìs nivàlis
20 Haèmoniaè, daret ùt catènis
Fatàle mònstrum. Quaè generòsius
Perìre quaèrens nèc mulièbriter
Expàvit ènsem nèc latèntis
Clàsse cità reparàvit òras,
Osò anzi guardare la reggia
abbattuta
con volto sereno, e forte
maneggiare
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veleno assorbisse nel corpo,
più fiera per aver deciso di morire;
naturalmente sdegnando di
essere condotto
come una persona qualunque con
le crudeli Liburne
lei donna regale in un superbo
trionfo.
25 Ausa èt iacèntem vìsere règiam
Voltù serèno, fòrtis et àsperas
Tractàre sèrpentès, ut àtrum
Còrpore cònbiberèt venènum,
delìberàta mòrte feròcior:
30 saevìs Libùrnis scìlicet ìnvidens
privàta dèducì supèrbo
nòn humilìs mulièr triùmpho.
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Alceo e Orazio: il vino nella cultura classica

  • 1. IL VINO NELLA CULTURA CLASSICA
  • 2. ALCEO • Alceo nacque nel 630 a.C. a Mitilene, nell’isola di Lesbo da una famiglia aristocratica. • La sua vita fu segnata dal vivo interesse politico e dalla lotta contro il potere assolutistico dei tiranni Melancro, Mirsilo e Pittaco; questi scontri lo portarono più volte all'esilio. • La politica costituisce un nucleo fondamentale della sua poesia. • La sua poesia è spesso dedicata all’amore, al vino, all’esaltazione del piacere: esclusivi rimedi dinanzi al carattere effimero e precario della vita umana.
  • 3. IL VINO NELLA POESIA ALCAICA • Alceo esorta a bere senza moderazione, senza preoccuparsi di non esagerare, aspetto tipico dell'atmosfera simposiaca da lui vissuta. • Il vino è celebrato come conforto al dolore o come rimedio ai rigori invernali e all'ardore della canicola, ed evocato per dare libera voce all'odio contro il nemico o alla esultanza per la vittoria. • Per Alceo il simposio fu un rito e il vino lo strumento per esaltare la personalità e per verificare la coralità dei singoli, svelando il compagno ai compagni. Dice Alceo: Il vino è lo specchio dell'uomo, a indicare la bevanda come specchio dell'intera personalità.
  • 4. • Frammento 332 νῦν χρῆ μεθύσθην καί τινα πὲρ βίαν πώνην, ἐπεὶ δὴ κάτθανε Μύρσιλος. “Ora bisogna ubriacarsi e ciascuno a forza beva, poiché Mirsilo è morto.” • Frammento 335 Οὐ χρῆ κάκοισι θῦμον ἐπιτρέπην, προκόψομεν γάρ οὐδὲν ἀσάμενοι, ὦ Βύκχι, φαρμάκων δ’ἄριστον οἶνον ὒνεικαμένοις μεθύύσθην. “Non bisogna rivolgere il cuore alle sventure; infatti tormentandoci nessuna cosa giova, o Bicchide, il migliore farmaco è farsi portare il vino e ubriacarsi.”
  • 5. • “Beviamo, perché aspettare le lucerne? Breve il tempo. O amato fanciullo, prendi le grandi tazze variopinte, perché il figlio di Zeus e Sémele diede agli uomini il vino per dimenticare i dolori. Versa due parti di acqua e una di vino; e colma le tazze fino all’orlo: e l’una segua subito l’altra.” • Frammento 346 Пώνωμεν˙ τί τὰ λύχν’ ὀμμένομεν˙ δάκτυλος ἀμέρα˙ κὰδ δ’ ἄερρε κυλίχναις μεγάλαις, ἄϊτα, ποικίλαις˙ oἶνον γὰρ Σεμέλας καὶ Δίος υἶος λαθικάδεα ἀνθρώποισιν ἔδωκ’. ἔγχεε κέρναις ἔνα καὶ δύο Πλήαις κὰκ κεφάλας, <ἀ> δ’ἀτέραν κύλιξ ὠθήτω
  • 6. ORAZIO • Orazio nacque l'8 dicembre del 65 a.C. a Venosa, colonia romana fondata tra Apulia e Lucania. • L'attività poetica di O. si svolge su piani diversi e paralleli, coagulandosi essenzialmente su tre generi: satira esametrica, poesia giambica e poesia lirica. • Seppe affrontare le vicissitudini politiche e civili del suo tempo da placido epicureo amante dei piaceri della vita, dettando quelli che per molti sono ancora i canoni dell'ars vivendi. • La sua vita fu piena di intimità, di raccoglimento, di appartata contemplazione e meditazione, di semplicità, di gusto raffinato del bello; riflette pienamente il tono e l'accento vero della poesia oraziana.
  • 7. IL VINO NELLA POESIA ORAZIANA • Nelle odi composte dal poeta il vino possiede sempre una posizione privilegiata. • Non ama il vino in sé, ma l’aiuto che offre all’individuo. • Lo esalta come farmaco delle pene dell’uomo, da un lato come ebrezza e dall’altro come piacere moderato e naturale. • Il simposio guadagna un profondo valore esistenziale: intorno ad una coppa di vino ci si protegge dal tempo che passa, ci si protegge dall’esterno, si tagliano i ponti con la finitezza, si coglie l’unica possibile felicità, quella dell’attimo.
  • 8. • Ode al monte Soratte Vidès ut àlta stèt nive càndidum Soràcte nèc iam sùstineànt onus silvàe labòrantès gelùque flùmina cònstiterìnt acùto. 5 Dissòlve frìgus lìgna supèr foco largè repònens àtque benìgnius depròme quàdrimùm Sabìna ò Thaliàrche, merùm diòta. Permìtte dìvis cètera, quì simul 10 stravère vèntos àequore fèrvido depròeliàntis, nèc cuprèssi nèc veterès agitàntur òrni. Tu vedi come si levi bianco per la neve profonda il Soratte, come non sostengano più il peso i boschi affaticati e per il gelo penetrante i ruscelli si siano fermati. Scaccia il freddo, ponendo legna sul focolare in abbondanza e più generosamente [del solito] versa, o Taliarco, vino puro di quattro anni dall’anfora sabina a due anse. Lascia tutto il resto agli dei: non appena essi hanno placato i venti che si combattono sul mare ribollente, né i cipressi né gli antichi frassini si agitano più.
  • 9. Quid sìt futùrum cràs, fuge quàerere et, quem Fòrs dièrum cùmque dabìt lucro 15 adpòne nèc dulcìs amòres spèrne, puèr, neque tù chorèas, donèc virènti cànitiès abest moròsa. Nùnc et càmpus et àreae lenèsque sùb noctèm susùrri 20 còmposità repetàntur hòra, nunc èt latèntis pròditor ìntimo gratùs puèllae rìsus ab àngulo pignùsque dèreptùm lacèrtis àut digitò male pèrtinàci. Che cosa avverrà domani, non chiedertelo e qualunque giorno la Sorte concederà, mettilo dalla parte dei guadagni e non disprezzare i dolci amori, finché sei giovane, né le danze, finché da te nel fiore degli anni è lontana la canizie fastidiosa. Ora il Campo Marzio, le piazze e i bisbigli sommessi sul far della notte vanno cercati all’ora concordata, ora la gradita risata che da un angolo nascosto rivela la ragazza lì nascosta e il pegno strappato alle braccia o al dito che fa poca resistenza.
  • 10. • Ode I 11 Tù ne quaèsierìs, scìre nefàs, quèm mihi, quèm tibi fìnem dì dederìnt, Lèuconoè, nèc Babylònios tèmptarìs numeròs. Ùt meliùs, quìdquid erìt, pati, sèu plùris hiemès sèu tribuìt Iùppiter ùltimam, 5 quaè nunc òppositìs dèbilitàt pùmicibùs mare Tyrrhenùm: sapiàs, vìna liquès èt spatiò brevi spèm longàm resecès. Dùm loquimùr, fùgerit ìnvida aètas: càrpe dièm, quàm minimùm crèdula pòstero. Non domandare, Leuconoe - non è dato sapere - che destino gli dei hanno assegnato a me e a te, né consulta gli oroscopi. Com’è meglio tollerare ciò che sarà, sia che Giove ci abbia dato ancora tanti inverni sia che questo, che sfianca il mar Tirreno con rocce di pomice, sia l’ultimo: sii assennata, purifica il vino e recidi la duratura speranza, ché la vita è breve. Mentre parliamo, se ne va il tempo geloso: strappa l’attimo, e non fidarti per nulla del domani.
  • 11. • Ode I 37 Nunc èst bibèndum, nùnc pede lìbero Pulsànda tèllus, nùnc Saliàribus Ornàre pùlvinàr deòrum Tèmpus erèt dapibùs, sodàles. 5 Ante hàc nefàs depròmere Caècubum Cellìs avìtis, dùm Capitòlio Regìna dèmentìs ruìnas Fùnus et ìmperiò paràbat Contàminàto cùm grege tùrpium 10 Morbò viròrum, quìdlibet ìnpotens Speràre fòrtunàque dùlci Èbria. Sèd minuìt furòrem Vix ùna sòspes nàvis ab ìgnibus, mentèmque lýmphatàm Mareòtico 15 redègit ìn veròs timòres Ora bisogna bere, ora con piede libero bisogna colpire la terra: ora con cibi degni dei Salii ornare l’altare degli Dei era tempo, o compagni. Prima era empio stillare il Cecubo dalle cantine degli avi, mentre la regina rovine dementi preparava al Campidoglio e morte al potere (di Roma). con il gregge incontaminato dei turpi per la malattia uomini, sfrenata nello sperare qualunque cosa e ebbra per la dolce fortuna. Ma frenò la pazzia una sola nave a stento salva dai fuochi e la mente invasata dal vino Mareotico ricondusse ai veri timori
  • 12. Cesare, che incalzava dall’Italia lei che volava via con i remi, come uno sparviero le molli colombe o il veloce cacciatore la lepre nei campi della nevosa Emonia, per mettere in catene il mostro fatale, lei che più nobilmente volendo morire e non da donna temette la spada né in terre nascoste con la veloce flotta riparò. Caèsar ab Ìtalià volàntem Remìs adùrgens àccipitèr velut Mollìs colùmbas àut leporèm citus Venàtor ìn campìs nivàlis 20 Haèmoniaè, daret ùt catènis Fatàle mònstrum. Quaè generòsius Perìre quaèrens nèc mulièbriter Expàvit ènsem nèc latèntis Clàsse cità reparàvit òras,
  • 13. Osò anzi guardare la reggia abbattuta con volto sereno, e forte maneggiare gli aspri serpenti, affinché il nero veleno assorbisse nel corpo, più fiera per aver deciso di morire; naturalmente sdegnando di essere condotto come una persona qualunque con le crudeli Liburne lei donna regale in un superbo trionfo. 25 Ausa èt iacèntem vìsere règiam Voltù serèno, fòrtis et àsperas Tractàre sèrpentès, ut àtrum Còrpore cònbiberèt venènum, delìberàta mòrte feròcior: 30 saevìs Libùrnis scìlicet ìnvidens privàta dèducì supèrbo nòn humilìs mulièr triùmpho.