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“Ivan ce l’avrebbe fatta”
Es 12:11 Mangiatelo in questa maniera:
con i vostri fianchi cinti,
con i vostri calzari ai piedi
e con il vostro bastone in mano;
e mangiatelo in fretta
Cari amici,
1) Quando ero piccolino, 10-12 anni, conobbi il tennis per puro caso:
non avevo la televisione col telecomando e non ero capace ad alzarmi
per andare a cambiare canale. Sul canale dove trasmettevano i
cartoni a un certo punto compariva il tennis e fu così che io imparai
per abitudine le regole e conobbi uno dei miei miti: Ivan, l’allora
numero uno del mondo. Ricordo di aver passato ore a vederlo
giocare e di aver pensato che se fossi stato sano, sarei stato forte
quanto lui.
Ricordo che per un certo periodo la passione fu totalizzante e che ne
parlai con tutti, persino con i miei fisioterapisti di allora. Ricordo che
in quel periodo cercavano con scarsi risultati di insegnarmi a passare
dal letto alla carrozzina… ma era tempo sprecato. Io pensavo a come
avrei potuto battere Ivan se fossi stato sano, quelle ridicole manovre
non mi interessavano. Passavo ore a fantasticare… il resto era solo
noia…
Poi un giorno un terapista, alludendo all’esercizio, mi disse “Ivan ce
la farebbe”. Mi sentii punto sul vivo e mi incavolai molto. Quella sera
non riuscii a rifugiarmi nella consueta fantasia, era come se non me
ne ritenessi più degno in ragione dell’incapacità di eseguire quanto
mi veniva richiesto. L’indomani, arrabbiatissimo, compii l’esercizio
piuttosto facilmente… Ciò che imparai quella notte è che la mia
partita non era una finta e piacevole ipotesi, che ero libero di
scegliermi e di condurre a mio piacimento, ma un’urgenza concreta,
forse banale, forse noiosa, ma imprescindibile nel suo richiamo a
farmi essere chi sono e non la brutta copia di un eroe da fumetto.
Prima di pensare a ciò che sarebbe potuto essere, avrei dovuto
occuparmi di ciò che era e mi chiamava ad essere.
2) Perché vi racconto questo? Perché mentre mi trovavo
recentemente in un bar per me inconsueto a ordinare con disgusto
un caffè decaffeinato, mi è capitato di sentire un gruppo di persone
che, dopo aver pronunciato a profusione banalità celoduriste contro
gli immigrati, dicevano con mia somma sorpresa che durante la
Seconda Guerra Mondiale sarebbero stati certamente contro Hitler e
i campi di concentramento. Mi sono ricordato istintivamente di quel
terapista e di Ivan e mi è venuto in mente quanto sia profondamente
sbagliato fantasticare di successi in prove ipotetiche per nasconderci
il fatto che falliamo quelle reali che la vita ci mette davanti. Chi voglia
farsi bello come alfiere dei diritti umani e della dignità personale,
violate barbaramente nei campi di concentramento, deve cominciare
con i barboni sotto casa e con i disperati sui barconi. Questo la vita ci
mette davanti, questo misura la cifra di essere uomini spirituali e non
teste di quiz.
3) Anzitutto il testo ci invita, in continuità con quanto andiamo
dicendo, a mangiare di ciò che abbiamo, a pensare alla realtà, alla vita
e alla prova che ci è stata data, senza voli pindarici. Questa è la nostra
realtà, una realtà con una dose di fortuna e una di sfortuna, con
qualche luce e qualche ombra… essa è ciò che abbiamo per maturare
una sempre più profonda consapevolezza spirituale. Essa costituisce
lo strumento in nostro possesso, il medium, attraverso cui mettere in
atto quell’impegno di agenti di speranza che ci identificano come
singoli e come gruppo, strumento di giustizia e di pace, come dice il
nostro inno Spirit of Life.
4) Ma perché in fretta? Se quella del Principale fosse davvero stata
una profezia e i fedeli avessero davvero saputo in anticipo l’ora
dell’evento, non avrebbero avuto fretta, avrebbero potuto prepararsi
prima e far le cose con calma. Perché allora la fretta? La fretta credo
stia a significare non tanto un aspetto di durata temporale, ma quello
di importanza valoriale all’interno dell’economia quotidiana di
ciascuno. Vivo alcune cose in fretta perché so che esse non hanno per
me valore assoluto. Applicando la conversione, la metanoia, come il
maestro ci invita a fare, devo impegnarmi a vedere quelle esperienze
con un’ottica diversa, come qualcosa di volatile e transeunte per dirla
con Parker. Spesso buona parte della nostra vita è impegnata ad
arrabbiarci per questioni mondane che non hanno alcun rilievo da
un punto di vista spirituale. Perché io sono disabile e altri no? Questa
domanda, che pur mi ha tormentato per anni, non ha alcun senso. La
disabilità è una di quelle cose da guardare in fretta, da vivere
orientandola verso quelli che sono i miei reali obiettivi spirituali. Le
domande da farci sono altre: in che modo io posso usare ciò che ho
nel processo di elevazione spirituale attraverso il quale voglio
coronare la mia esistenza? Come possono essere queste esperienze
che io vivo, belle o brutte che siano, combustibile per la mia vita
spirituale?
5) Voglio essere chiaro: nessuno ha mai detto che dobbiamo
rinunciare al pane, che il pane debba essere cattivo, o che dobbiamo
disprezzare il pane. Le flagellazioni le lascio volentieri a miei colleghi
stipendiati. La vita è una figata di cui è nostro dovere fare esperienza
totalmente, profondamente e compiutamente. Il verso però ci dice
anche come fare:
 Con la cintura indossata: che ci impone dei limiti di
moderazione e continenza in tutto ciò che facciamo
 Col bastone in pugno: simbolo dell’axis mundi, che ci ricorda in
ogni momento la prospettiva e la cartina di tornasole a partire
dalla quale dobbiamo giudicare. L’impugnatura definisce ed
unisce due aspetti: la parte bassa del bastone è l’aspetto
tradizionale, costituito da particolari abitudini spirituali o testi
sacri; la parte alta del bastone sono i nostri Princìpi, alla luce dei
quali vagliamo la bontà di ciò che ci circonda. In fondo il
bastone impugnato rappresenta le forti radici e le libere ali del
nostro inno
 Infine i calzari: essi ci separano dal terreno, ci ricordano ancora
una volta che noi non apparteniamo alla realtà che
contingentemente viviamo, ma siamo lì per trascenderla,
facendone oggetto di trasformazione spirituale. Se volete, lo
stesso motivo per cui in alcune culture è uso togliere le scarpe,
è quello per cui qui ci viene detto di metterle, la consapevolezza
di appartenere a un certo luogo, sacro, e non a un altro, le cose
che quotidianamente ci capitano
6) In conclusione dunque, come spesso accade, la metanoia biblica ci
chiama ad un duplice compito, antitetico e complementare: da un
punto di vista spirituale ci invita a fissarci sul presente,
trasformandolo con quello che abbiamo in un mattoncino del Regno
che stiamo costruendo; dal punto di vista materiale invece ci ricorda
che noi non apparteniamo al presente e da esso dobbiamo
periodicamente saperci chiamare fuori. La preghiera/meditazione è
l’esperienza che quotidianamente serve a ricordarci che quello citato
non è un evento diacronico, capitato una volta qualche migliaio di
anni fa e buonanotte, ma un evento sincronico, esperienza costante
cui dobbiamo fare costantemente attenzione senza farci distrarre. Di
essa il Maestro disse: Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né
l'ora. (Mt 25:13)
Faccio mia allora questa esortazione e ci invito tutti a vegliare,
usando il dialogo congregazionale come esperienza che ci tenga desti
l’un l’atro, affinché non finiamo tutti come addormentati come i
discepoli nel giardino di Getsemani (Mt 26:40) o come qualche
spacciatore d’odio contemporaneo.
Nasè Adam
‫נ‬ ַֽ‫ֲע‬‫ש‬ ֶׂ֥‫ה‬ ‫א‬ָ‫ד‬ ‫םד‬
Amen
Rob

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"Ivan ce l'avrebbe fatta"

  • 1. “Ivan ce l’avrebbe fatta” Es 12:11 Mangiatelo in questa maniera: con i vostri fianchi cinti, con i vostri calzari ai piedi e con il vostro bastone in mano; e mangiatelo in fretta Cari amici, 1) Quando ero piccolino, 10-12 anni, conobbi il tennis per puro caso: non avevo la televisione col telecomando e non ero capace ad alzarmi per andare a cambiare canale. Sul canale dove trasmettevano i cartoni a un certo punto compariva il tennis e fu così che io imparai per abitudine le regole e conobbi uno dei miei miti: Ivan, l’allora numero uno del mondo. Ricordo di aver passato ore a vederlo giocare e di aver pensato che se fossi stato sano, sarei stato forte quanto lui. Ricordo che per un certo periodo la passione fu totalizzante e che ne parlai con tutti, persino con i miei fisioterapisti di allora. Ricordo che in quel periodo cercavano con scarsi risultati di insegnarmi a passare dal letto alla carrozzina… ma era tempo sprecato. Io pensavo a come avrei potuto battere Ivan se fossi stato sano, quelle ridicole manovre non mi interessavano. Passavo ore a fantasticare… il resto era solo noia… Poi un giorno un terapista, alludendo all’esercizio, mi disse “Ivan ce la farebbe”. Mi sentii punto sul vivo e mi incavolai molto. Quella sera non riuscii a rifugiarmi nella consueta fantasia, era come se non me ne ritenessi più degno in ragione dell’incapacità di eseguire quanto mi veniva richiesto. L’indomani, arrabbiatissimo, compii l’esercizio piuttosto facilmente… Ciò che imparai quella notte è che la mia partita non era una finta e piacevole ipotesi, che ero libero di
  • 2. scegliermi e di condurre a mio piacimento, ma un’urgenza concreta, forse banale, forse noiosa, ma imprescindibile nel suo richiamo a farmi essere chi sono e non la brutta copia di un eroe da fumetto. Prima di pensare a ciò che sarebbe potuto essere, avrei dovuto occuparmi di ciò che era e mi chiamava ad essere. 2) Perché vi racconto questo? Perché mentre mi trovavo recentemente in un bar per me inconsueto a ordinare con disgusto un caffè decaffeinato, mi è capitato di sentire un gruppo di persone che, dopo aver pronunciato a profusione banalità celoduriste contro gli immigrati, dicevano con mia somma sorpresa che durante la Seconda Guerra Mondiale sarebbero stati certamente contro Hitler e i campi di concentramento. Mi sono ricordato istintivamente di quel terapista e di Ivan e mi è venuto in mente quanto sia profondamente sbagliato fantasticare di successi in prove ipotetiche per nasconderci il fatto che falliamo quelle reali che la vita ci mette davanti. Chi voglia farsi bello come alfiere dei diritti umani e della dignità personale, violate barbaramente nei campi di concentramento, deve cominciare con i barboni sotto casa e con i disperati sui barconi. Questo la vita ci mette davanti, questo misura la cifra di essere uomini spirituali e non teste di quiz. 3) Anzitutto il testo ci invita, in continuità con quanto andiamo dicendo, a mangiare di ciò che abbiamo, a pensare alla realtà, alla vita e alla prova che ci è stata data, senza voli pindarici. Questa è la nostra realtà, una realtà con una dose di fortuna e una di sfortuna, con qualche luce e qualche ombra… essa è ciò che abbiamo per maturare una sempre più profonda consapevolezza spirituale. Essa costituisce lo strumento in nostro possesso, il medium, attraverso cui mettere in atto quell’impegno di agenti di speranza che ci identificano come singoli e come gruppo, strumento di giustizia e di pace, come dice il nostro inno Spirit of Life.
  • 3. 4) Ma perché in fretta? Se quella del Principale fosse davvero stata una profezia e i fedeli avessero davvero saputo in anticipo l’ora dell’evento, non avrebbero avuto fretta, avrebbero potuto prepararsi prima e far le cose con calma. Perché allora la fretta? La fretta credo stia a significare non tanto un aspetto di durata temporale, ma quello di importanza valoriale all’interno dell’economia quotidiana di ciascuno. Vivo alcune cose in fretta perché so che esse non hanno per me valore assoluto. Applicando la conversione, la metanoia, come il maestro ci invita a fare, devo impegnarmi a vedere quelle esperienze con un’ottica diversa, come qualcosa di volatile e transeunte per dirla con Parker. Spesso buona parte della nostra vita è impegnata ad arrabbiarci per questioni mondane che non hanno alcun rilievo da un punto di vista spirituale. Perché io sono disabile e altri no? Questa domanda, che pur mi ha tormentato per anni, non ha alcun senso. La disabilità è una di quelle cose da guardare in fretta, da vivere orientandola verso quelli che sono i miei reali obiettivi spirituali. Le domande da farci sono altre: in che modo io posso usare ciò che ho nel processo di elevazione spirituale attraverso il quale voglio coronare la mia esistenza? Come possono essere queste esperienze che io vivo, belle o brutte che siano, combustibile per la mia vita spirituale? 5) Voglio essere chiaro: nessuno ha mai detto che dobbiamo rinunciare al pane, che il pane debba essere cattivo, o che dobbiamo disprezzare il pane. Le flagellazioni le lascio volentieri a miei colleghi stipendiati. La vita è una figata di cui è nostro dovere fare esperienza totalmente, profondamente e compiutamente. Il verso però ci dice anche come fare:  Con la cintura indossata: che ci impone dei limiti di moderazione e continenza in tutto ciò che facciamo  Col bastone in pugno: simbolo dell’axis mundi, che ci ricorda in ogni momento la prospettiva e la cartina di tornasole a partire dalla quale dobbiamo giudicare. L’impugnatura definisce ed unisce due aspetti: la parte bassa del bastone è l’aspetto
  • 4. tradizionale, costituito da particolari abitudini spirituali o testi sacri; la parte alta del bastone sono i nostri Princìpi, alla luce dei quali vagliamo la bontà di ciò che ci circonda. In fondo il bastone impugnato rappresenta le forti radici e le libere ali del nostro inno  Infine i calzari: essi ci separano dal terreno, ci ricordano ancora una volta che noi non apparteniamo alla realtà che contingentemente viviamo, ma siamo lì per trascenderla, facendone oggetto di trasformazione spirituale. Se volete, lo stesso motivo per cui in alcune culture è uso togliere le scarpe, è quello per cui qui ci viene detto di metterle, la consapevolezza di appartenere a un certo luogo, sacro, e non a un altro, le cose che quotidianamente ci capitano 6) In conclusione dunque, come spesso accade, la metanoia biblica ci chiama ad un duplice compito, antitetico e complementare: da un punto di vista spirituale ci invita a fissarci sul presente, trasformandolo con quello che abbiamo in un mattoncino del Regno che stiamo costruendo; dal punto di vista materiale invece ci ricorda che noi non apparteniamo al presente e da esso dobbiamo periodicamente saperci chiamare fuori. La preghiera/meditazione è l’esperienza che quotidianamente serve a ricordarci che quello citato non è un evento diacronico, capitato una volta qualche migliaio di anni fa e buonanotte, ma un evento sincronico, esperienza costante cui dobbiamo fare costantemente attenzione senza farci distrarre. Di essa il Maestro disse: Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l'ora. (Mt 25:13) Faccio mia allora questa esortazione e ci invito tutti a vegliare, usando il dialogo congregazionale come esperienza che ci tenga desti l’un l’atro, affinché non finiamo tutti come addormentati come i discepoli nel giardino di Getsemani (Mt 26:40) o come qualche spacciatore d’odio contemporaneo.
  • 5. Nasè Adam ‫נ‬ ַֽ‫ֲע‬‫ש‬ ֶׂ֥‫ה‬ ‫א‬ָ‫ד‬ ‫םד‬ Amen Rob