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Prosa e poesia delle origini
Le prime testimonianze
di volgare nei testi pratici e letterari
Nei testi pratici, dopo le prime attestazioni dal IX-X secolo,
l'affermazione del volgare si verifica prima in Toscana (che ha una
ricca documentazione già̀ duecentesca) e a Venezia (fine
Duecento), dove è presente anche un veneziano coloniale,
d'oltremare (de la da mar: una lingua ibrida e convenzionale legata
ai commerci, variegata di elementi slavi, bizantini, arabi).
In Lombardia solo Mantova ha testi pratici tardo-duecenteschi,
mentre per Milano bisognerà aspettare il Trecento.
L'esistenza di ceri medi alfabetizzati, di una borghesia comunale e
mercantile, di confraternite religiose di laici, è un fattore
importante che sollecita l'impiego del volgare per usi notarili,
amministrativi, epistolari, memorialistici, tecnici, scientifici ecc.
(anche se la lingua più usata continua ad essere il latino).
Il volgare nei testi pratici
Dal Duecento il volgare inizia ad entrare anche nell'ambito delle scuole e
delle università, istituzioni tradizionalmente legate al latino, ma sensibili
alle nuove esigenze della vita civile e politica.
In queste sedi si inizia a sentire la necessità di un volgare
sovramunicipale, di larga comprensibilità che sia arricchito delle tecniche
della retorica latina: fioriscono i manuali di ars dictandi in volgare, come
la fortunata Rettorica di Brunetto Latini (un volgarizzamento del De
inventione di Cicerone).
Il più autorevole magister bolognese che, all'inizio del Duecento, si
occupa di allargare la retorica al volgare è Guido Faba che, soprattutto
con le opere Gemma purpurea (un prontuario per scrivere lettere) e
Parlamenta et epistole (modelli di discorsi pubblici in volgare e di lettere
in latino), cerca per primo di fissare dei modelli per una prosa letteraria
italiana.
Il volgare e i dottori
Le esperienze volgari di prosa letteraria iniziano piuttosto tardi
soprattutto a causa del grande prestigio di cui godono il latino e il
francese.
Nella seconda metà del Duecento, Guittone d'Arezzo sperimenta con le
sue Lettere morali e religiose una prosa complessa, ricercata, fortemente
compenetrata di elementi della tradizione lirica.
A fine Duecento in Toscana inizia una tradizione di prosa narrativa
didattico-moraleggiante sul modello degli exempla latini. Essa si
compone soprattutto di raccolte di brevi novelle come i Fiori e vita di
filosafi e d'altri savi e d'imperadori e il Novellino, entrambe di un anonimi
autori fiorentini. Queste opere sono accomunate dalla semplicità stilistica
e da un'organizzazione sintattico-testuale piuttosto semplice,
caratterizzata dalla paratassi e dalla giustapposizione.
Prima prosa letteraria volgare
Nella prima metà del Trecento, soprattutto in area veneta e
toscana, iniziano a circolare le traduzioni in prosa dei romanzi
francesi del ciclo arturiano riscuotendo grande fortuna presso il
pubblico aristocratico e borghese.
I testi più importanti sono il Tristano e la Tavola ritonda. Questa
prosa d'intrattenimento è caratterizzata dalla ripetizione di formule,
di lessico e di schemi sintattici. La presenza di francesismi è
massiccia, anche per il bilinguismo dei traduttori.
Nel Tristano riccardiano (la versione di fine Duecento conservata
nella Biblioteca Riccardiana di Firenze), per esempio, si trovano
adattamenti dal francese al volgare fiorentino come brisciare
'rompere', brocciare 'spronare', e veri e propri errori di traduzione,
come cuore a cuore che traduce cors a cors 'corpo a corpo'.
Prima prosa letteraria volgare
La letteratura devota in volgare è un filone particolarmente
ricco e diffuso anche a livelli popolari, comprendente
volgarizzamenti dal latino ma anche dal toscano, come il Libru
di li vitii e di li virtuti, traduzione in siciliano, nella seconda
metà del Trecento, della versione toscana del Bencivenni della
Somme le roi.
Sul versante del racconto storiografico e della cronaca, testi
come il trecentesco Libro de la destructione de Troya,
volgarizzamento napoletano dal latino scritto da Guido delle
Colonne, e la Cronica di Anonimo Romano (metà XIV sec.)
testimoniano la vitalità delle tradizioni di scrittura locali.
Prima prosa letteraria volgare
I modelli da cui dipende la poesia delle origini sono essenzialmente
i seguenti:
• la poesia epica francese (le chansons de geste)
• la poesia ritmica mediolatina, soprattutto quella innologica
(come Stabat mater doloròsa)
• la prosa ritmica latina
• la poesia trobadorica provenzale (dalla fine del XII sec.)
La poesia lirica che darà origine alla nostra lingua non è la sola a
comparire nella penisola italiana nel Basso Medioevo. A fianco di
essa si sviluppano altri importanti filoni di poesia in volgari che
rappresentano la vitalità delle tradizioni linguistico-culturali locali.
Poesia delle origini
Tra la fine del XII e i primi del XIII secolo si collocano i primi
documenti poetici in volgare con qualche intento letterario, che
rinviano a un'area culturale che va dalla Toscana alle Marche, alla
Campania: si tratta dei Ritmi anonimi, ricollegabili alla letteratura
giullaresca, componimenti metricamente irregolari come il ritmo
laurenziano (toscano), il ritmo marchigiano di Sant'Alessio, il ritmo
cassinese (Montecassino).
Questi testi mostrano già lo sforzo di superare le forme idiomatiche
locali sia in direzione del latino, sia del francese e del provenzale,
sia in direzione di un certo conguagliamento regionale, e tuttavia
non riescono a costituirsi in una tradizione volgare autonoma di
prestigio.
Ritmi anonimi
Ritmi anonimi
dal Ritmo Cassinese dal Ritmo di Sant'Alessio
Eo, sinjuri, s'eo fabello,
lo bostru audire compello:
de questa bita interpello
e ddell'altra bene spello.
Poi ke 'nn altu me 'ncastello,
ed altri bia renubello
e mmebe cendo [e] flagello.
Et arde la candela, sebe libera,
et altri mustra bïa dellibera;
Poi [ket lu] fante foe natu,
Alessiu foe prenominatu.
Lu patre ne fo letificato,
co ttut[ta] Roma lu parentatu,
et tutta Roma era assai gaudente:
maiore letitia ne avea la gente, […]
I Ritmi non si articolano in strofe regolari, ma in “lasse” di lunghezza
variabile, spesso monorima, composte da versi di lunghezza
irregolare (anisosillabici).
Il primo testo poetico in volgare di cui ci sia
noto l'autore è il Cantico di frate sole (Laudes
creaturarum) di San Francesco d'Assisi, scritto
in volgare umbro attorno al 1220.
Con San Francesco ha inizio l'importante
filone della poesia religiosa in volgare che
affianca quello, più prestigioso, della poesia
lirica italiana. La tradizione delle laudi, di
origine umbro-marchigiana e toscana è
comunque importante: copiate nei laudari
delle confraternite religiose per essere cantate
nelle processioni, e diffuse in altre aree
geografiche, già nel corso del Trecento le laudi
diventano un tramite notevole di fenomeni
linguistici mediani in regioni anche
periferiche, come il Friuli.
Poesia religiosa
Cantico di frate sole (Laudes creaturarum) di San Francesco d'Assisi (1220 ca.)
Altissimu, onnipotente, bon Signore,
tue so' le laude, la gloria e 'honore et onne benedictione.
Ad te solo, Altissimo, se konfàno et nullu homo ène dignu te mentovare.
Laudato sie, mi' Signore, cum tucte le tue creature, spetialmente messor lo frate sole, lo qual è iorno,
et allumini noi per lui. Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore, de te, Altissimo, porta
significatione.
Laudato si', mi' Signore, per sora luna e le stelle, in celu l'ài formate clarite et pretiose et belle.
Laudato si', mi' Signore, per frate vento et per aere et nubilo et sereno et onne tempo, per lo quale a
le tue creature dài sustentamento.
Laudato si', mi' Signore, per sor'aqua, la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.
Laudato si', mi' Signore, per frate focu, per lo quale ennallumini la nocte, et ello è bello et iocundo et
robustoso et forte.
Laudato si', mi' Signore, per sora nostra matre terra, la quale ne sustenta et governa, et produce
diversi fructi con coloriti flori et herba.
Laudato si', mi' Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore, et sostengo infirmitate et
tribulatione.
Beati quelli ke 'l sosterrano in pace, ka da te, Altissimo, sirano incoronati.
Laudato si' mi' Signore per sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente pò skappare:
guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali; beati quelli ke trovarà ne le tue santissime voluntati,
ka la morte secunda no 'l farrà male.
Laudate et benedicete mi' Signore' et ringratiate et serviateli cum grande humilitate.
Nel corso del Duecento si sviluppa in Italia settentrionale
un filone di poesia con finalità didattiche e moraleggianti
a opera del cremonese Gerardo Patecchio, di Uguccione
da Lodi, di Giacomino da Verona e del milanese Bonvesin
de la Riva.
Sebbene si collochi a fianco della più prestigiosa poesia
lirica, anche questo filone di testi rappresenta un
momento significativo per i volgari locali che, nobilitati
attraverso il latino e l'apporto di gallicismi, diventano
letterari ed illustri.
Poesia didattico-moraleggiante
La più antica poesia lirica in volgare attualmente nota è Quando eu stava
in le tu' cathene, una canzone d'amore anonima databile tra il 1180 e il
1220 recentemente scoperta da Alfredo Stussi sul retro di una pergamena
latina conservata nell’Archivio Storico Arcivescovile di Ravenna.
La canzone contiene una mescolanza linguistica di elementi mediani e
settentrionali (dovuti certamente all’azione di un copista) che rendono
difficile identificarne il luogo d’origine.
La sua provenienza geografica è molto problematica: se la canzone
provenisse dal nord rappresenterebbe l’unico documento di una scuola
poetica di cui non ci sono rimaste altre tracce, neppure nelle
testimonianze dei contemporanei; se invece, più probabilmente, fosse
meridionale, l’avvio della scuola siciliana andrebbe retrodatato
significativamente, prima dell’epoca di Federico II, rispetto alla datazione
tradizionale, collocata dopo il 1230.
La Carta ravennate
La scuola siciliana è quel circolo di poeti (non tutti
siciliani di nascita) che si raccolse intorno al 1230 alla
corte del coltissimo ed eclettico imperatore Federico
II, re di Sicilia e Duca di Svevia.
Con la lirica dei poeti siciliani prende forma il
linguaggio poetico italiano, come Dante ci conferma
nel De vulgari eloquentia (I, XII, 4):
“et quia regale solium erat Sicilia, factum est ut
quicquid nostri predecessores vulgariter protulerunt,
sicilianum vocetur: quod quidem retinemus et nos,
nec posteri nostri permutare valebunt.”
Scuola siciliana
La scuola siciliana impiega consapevolmente, a fini artistici, il volgare
depurato dai tratti linguistici locali più vistosi, e nobilitato attraverso il
latino e il provenzale.
da Stefano Protonotaro, Pir meu cori alligrari
Pir meu cori alligrari,
chi multu longiamenti
senza alligranza e joi d’amuri è statu,
mi ritornu in cantari,
ca forsi longiamenti
ca forsi levimenti
la dimuranza turniria in usatu
di lu troppu taciri;
e quandu l’omu ha rasuni di diri,
ben di’ cantari e mustrari alligranza,
ca senza dimustranza
joi siria sempri di pocu valuri:
dunca ben di’ cantar onni amaduri.
E si pir ben amari
cantau jujusamenti
omu chi avissi in alcun tempu amatu,
ben lu diviria fari
plui dilittusamenti
eu, chi son di tal donna inamuratu,
dundi è dulci placiri,
preju e valenza e jujusu pariri
e di billizzi cutant’abundanza
chi illu m’è pir simblanza,
quandu eu la guardu, sintir la dulzuri
chi fa la tigra in illu miraturi;
chi si vidi livari
multu crudilimenti
sua nuritura, chi ill’ha nutricatu:
e sì bonu li pari
mirarsi dulcimenti
dintru unu speclu chi li esti amustratu,
chi l’ublïa siguiri.
Cusì m’è dulci mia donna vidiri:
ca ’n lei guardandu me[t]tu in ublïanza
tutta autra mia intindanza,
sì chi istanti mi feri sou amuri
d’un colpu chi inavanza tutisuri. […]
Temi, immagini e repertorio stilistico ed espressivo vengono derivati (e
reinventati) dalla prestigiosa esperienza poetica trobadorica, già diffusa e
imitata largamente in Italia.
Nella lirica siciliana abbondano provenzalismi come dottare 'temere', miratore
'specchio' ecc., e i frequenti suffissati in -anza, -enza, -aggio, -ore, -ura, -mento
(ad esempio allegranza, amistanza 'amicizia', valenza 'valore', coraggio 'cuore',
dolzore 'dolcezza', riccura 'ricchezza', pensamento 'pensiero'). È caratteristico
l'impiego di allotropi (piacere, piacenza, piacimento; pietà, pietanza, pietade;
speme, spera, speranza, speramento) e il ricorso a dittologie sinonimiche
(temuta e dottata, crudele e spietata, v'incresca e grave ecc.).
L'alto livello della produzione di poeti come il caposcuola Jacopo da Lentini
(ritenuto l’inventore del sonetto), Guido delle Colonne, Re Enzo, Rinaldo
d'Aquino, Stefano Protonotaro fece sì che la loro poesia - prima ancora della
caduta della casa sveva (1266, battaglia di Benevento) - fosse da subito copiata e
imitata anche fuori dal Regno di Sicilia.
Scuola siciliana
In Toscana, dove si stava affermando una società
borghese ricca e la richiesta culturale era
vivacissima, furono confezionati i tre grandi
canzonieri che, giungendo intatti ai giorni nostri,
ci hanno trasmesso la lirica antica:
• il Vaticano Latino 3793 (Biblioteca Vaticana)
• il Laurenziano Rediano 9 (Biblioteca
Mediceo-Laurenziana di Firenze)
• il Palatino 418 (ora Banco Rari 217 della
Biblioteca Nazionale di Firenze)
Dalla Sicilia alla Toscana
Il più importante è il Vaticano Latino 3793, di mano fiorentina,
contenente anche le rime di poeti toscani pre-stilnovisti.
La circolazione dei testi poetici tra varie zone d’Italia avveniva tramite le figure
dei copisti.
In particolare i testi siciliani giungevano in Toscana attraverso l’opera dei copisti
toscani che, com’era consuetudine medievale, li adattavano al loro sistema
linguistico, divergente dal siciliano (soprattutto nel vocalismo).
Il risultato è una lingua composita, con un'evidente coloritura toscana, in cui
l'assunzione di tipici sicilianismi ha un intento nobilitante rispetto al toscano.
Dopo che furono perduti o andati distrutti i manoscritti federiciani con la disfatta
degli svevi, la nuova veste ibrida delle poesie siciliane fu ritenuta - anche dallo
stesso Dante - quella originale, e come tale fu imitata nelle sue caratteristiche
già dai poeti toscani della cosiddetta scuola di transizione.
Dalla Sicilia alla Toscana
La principale trasformazione che i copisti toscani applicarono ai testi siciliani fu quella
del sistema vocalico: il siciliano, che aveva cinque vocali toniche (sistema pentavocalico),
ridotte a tre (i a u) in posizione atona, fu adattato al sistema toscano a sette vocali
toniche (eptavocalico), che si riducevano a cinque in posizione atona.
La lingua dei copisti toscani, però, conservò anche diversi elementi siciliani:
• l'assenza del dittongo in è, ò aperte in sillaba libera (tipo vène, nòva)
• talvolta viene mantenuto il dittongo au, specie in parole tipiche della lirica amorosa,
come laudo, laudare
• la sopravvivenza, soprattutto in sede di rima, di esiti come nui, vui
• l'uso di forme verbali come aggio/aio ‘ho’, veggio ‘vedo’, avìa, solìa ‘aveva, soleva’
• i condizionali in -ia (ameria, crederia) e i condizionali organici (tipo fora ‘sarebbe’ <
latino fuerat)
Dalla Sicilia alla Toscana
Tutti li pinsamenti versione siciliana di Re Enzo Tutti quei pensamenti versione toscanizzata
Tutti li pinsamenti
chi 'l spirtu meu divisa
sunu pen'e duluri
sinz'alligrar, chi nu Ili s'accumpagna,
e di manti turmenti
abundu in mala guisa,
chi 'l natural caluri
ò pirdutu, tantu 'l cor batti e lagna.
Or si pò dir da manti:
chi è zò, chi nu mori,
poi ch'ai sagnatu 'l cori?
Rispundu: chi lu sagna
in quil mumentu 'l stagna,
nu pir meu ben, ma pir la sua virtuti.
La virruti ch' ill'avi
d'alcirim' e guariri
a lingua dir nu l'ausu
pir gran timanza ch'aiu nu lli sdigni;
pirò precu suavi
piatà chi mov' a giri
e faza in lei ripausu,
e merzì umilmenti si li aligni,
sì chi sia piatusa
ver mi, chi nu m'è noia
murir s'i lla 'nd'à gioia,
chi sol vivri mi placi
pir lei sirvir viraci,
plui chi pir altru beni chi m'avegna.
Tutti quei pensamenti,
che 'l spirito meo divisa,
sono pene e dolore
sanz'allegrar, che no gli s'accompagna;
e di tanti tormenti
abbondo in mala guisa,
che 'l natural colore
tutto perdo, tanto 'l cor batte e lagna.
Or si pò dir da manti:
che è ciò, che non more,
poi ch'à sagnato 'l core?
Rispondo: chi lo sagna
in quel momento 'l stagna,
non per meo ben, ma prova sua virture.
La virtute ch'ell'ave
d'aucidermi e guarire,
a lingua dir non l'oso
per gran temenza ch'aggio non la sdigni;
onde prego soave
pietà, che mova agire,
e faccia in lei riposo,
e merzé umilmente se gli alligni,
sì che sia pietosa
ver me, che non m'è noia
morir, s'ella n'à gioia;
che sol viver mi piace
per lei servir verace,
e non per altro bene che m'avegna.
Il formarsi di una tradizione linguistica lirica si ha con alcuni poeti nati e operanti
in Toscana, etichettati come Siculo-toscani e Toscano-siculi: i primi ripropongono
con adattamenti il modello siciliano, mentre i secondi tentano più decisamente il
distacco e avviano la sperimentazione di forme relativamente più autonome. Essi
operano in centri diversi della regione - Galletto e Pucciandone Martelli a Pisa,
Folcacchiero a Siena (Siculo-toscani), Bonagiunta a Lucca, Guittone ad Arezzo,
Chiaro Davanzati, Monte Andrea e Compiuta Donzella a Firenze (Toscano-siculi) -
, ma sono accomunati dall’imitazione della maniera siciliana sulla base dei
codici toscaneggiati.
L'impasto linguistico è composito, con tracce locali consistenti (per esempio in
Bonagiunta forme lucchesi come nieve, bellesse 'bellezze', sensa 'senza'), e con
l'impiego esibito di sicilianismi (come i tipi core, eo, meo, aggio, canteraggio
'canterò', sacciate 'sappiate', canteria, smarruto ecc.).
Il lessico è un intriso di sicilianismi, latinismi e di sovrabbondanti gallicismi
(lumera, fozzon 'fattezze' ecc.; i tipici suffissati in -anza, -enza, -ura, -ore; perifrasi
provenzaleggianti come sono merzè cherente 'chiedo mercede', non è perditore
'non perde').
Poesia Siculo-toscana e Toscano-sicula
Il principio della rima imperfetta, o rima siciliana, originariamente spia della
traduzione operata sui testi siciliani originali (per es. ascoso: rinchiuso: amoroso;
savere: avere: morire che in siciliano tornano ascusu: rinclusu: amurusu; saviri:
aviri: muriri), viene istituzionalizzato nella poesia come particolare tipo di rima.
Si ritrova…
• sia il tipo più vistoso fondato sulla diversità delle vocali toniche (servire:
avere: tenere), destinato però a spegnersi presto
• sia il tipo fondato sul diverso timbro vocalico di e e di o (per esempio vène:
péne; còre: maggióre), che poteva essere aperto o chiuso in toscano, ma si
conguagliava in siciliano - che non aveva vocali chiuse - nell’unica pronuncia
colta, aperta, di certe parole. Questo secondo tipo di rima, grafica e non
fonica, si stabilirà saldamente nella tradizione poetica successiva (in
particolare il binomio amore: còre), soprattutto grazie a Petrarca.
Rima siciliana

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021 Letteratura delle origini

  • 1. Prosa e poesia delle origini Le prime testimonianze di volgare nei testi pratici e letterari
  • 2. Nei testi pratici, dopo le prime attestazioni dal IX-X secolo, l'affermazione del volgare si verifica prima in Toscana (che ha una ricca documentazione già̀ duecentesca) e a Venezia (fine Duecento), dove è presente anche un veneziano coloniale, d'oltremare (de la da mar: una lingua ibrida e convenzionale legata ai commerci, variegata di elementi slavi, bizantini, arabi). In Lombardia solo Mantova ha testi pratici tardo-duecenteschi, mentre per Milano bisognerà aspettare il Trecento. L'esistenza di ceri medi alfabetizzati, di una borghesia comunale e mercantile, di confraternite religiose di laici, è un fattore importante che sollecita l'impiego del volgare per usi notarili, amministrativi, epistolari, memorialistici, tecnici, scientifici ecc. (anche se la lingua più usata continua ad essere il latino). Il volgare nei testi pratici
  • 3. Dal Duecento il volgare inizia ad entrare anche nell'ambito delle scuole e delle università, istituzioni tradizionalmente legate al latino, ma sensibili alle nuove esigenze della vita civile e politica. In queste sedi si inizia a sentire la necessità di un volgare sovramunicipale, di larga comprensibilità che sia arricchito delle tecniche della retorica latina: fioriscono i manuali di ars dictandi in volgare, come la fortunata Rettorica di Brunetto Latini (un volgarizzamento del De inventione di Cicerone). Il più autorevole magister bolognese che, all'inizio del Duecento, si occupa di allargare la retorica al volgare è Guido Faba che, soprattutto con le opere Gemma purpurea (un prontuario per scrivere lettere) e Parlamenta et epistole (modelli di discorsi pubblici in volgare e di lettere in latino), cerca per primo di fissare dei modelli per una prosa letteraria italiana. Il volgare e i dottori
  • 4. Le esperienze volgari di prosa letteraria iniziano piuttosto tardi soprattutto a causa del grande prestigio di cui godono il latino e il francese. Nella seconda metà del Duecento, Guittone d'Arezzo sperimenta con le sue Lettere morali e religiose una prosa complessa, ricercata, fortemente compenetrata di elementi della tradizione lirica. A fine Duecento in Toscana inizia una tradizione di prosa narrativa didattico-moraleggiante sul modello degli exempla latini. Essa si compone soprattutto di raccolte di brevi novelle come i Fiori e vita di filosafi e d'altri savi e d'imperadori e il Novellino, entrambe di un anonimi autori fiorentini. Queste opere sono accomunate dalla semplicità stilistica e da un'organizzazione sintattico-testuale piuttosto semplice, caratterizzata dalla paratassi e dalla giustapposizione. Prima prosa letteraria volgare
  • 5. Nella prima metà del Trecento, soprattutto in area veneta e toscana, iniziano a circolare le traduzioni in prosa dei romanzi francesi del ciclo arturiano riscuotendo grande fortuna presso il pubblico aristocratico e borghese. I testi più importanti sono il Tristano e la Tavola ritonda. Questa prosa d'intrattenimento è caratterizzata dalla ripetizione di formule, di lessico e di schemi sintattici. La presenza di francesismi è massiccia, anche per il bilinguismo dei traduttori. Nel Tristano riccardiano (la versione di fine Duecento conservata nella Biblioteca Riccardiana di Firenze), per esempio, si trovano adattamenti dal francese al volgare fiorentino come brisciare 'rompere', brocciare 'spronare', e veri e propri errori di traduzione, come cuore a cuore che traduce cors a cors 'corpo a corpo'. Prima prosa letteraria volgare
  • 6. La letteratura devota in volgare è un filone particolarmente ricco e diffuso anche a livelli popolari, comprendente volgarizzamenti dal latino ma anche dal toscano, come il Libru di li vitii e di li virtuti, traduzione in siciliano, nella seconda metà del Trecento, della versione toscana del Bencivenni della Somme le roi. Sul versante del racconto storiografico e della cronaca, testi come il trecentesco Libro de la destructione de Troya, volgarizzamento napoletano dal latino scritto da Guido delle Colonne, e la Cronica di Anonimo Romano (metà XIV sec.) testimoniano la vitalità delle tradizioni di scrittura locali. Prima prosa letteraria volgare
  • 7. I modelli da cui dipende la poesia delle origini sono essenzialmente i seguenti: • la poesia epica francese (le chansons de geste) • la poesia ritmica mediolatina, soprattutto quella innologica (come Stabat mater doloròsa) • la prosa ritmica latina • la poesia trobadorica provenzale (dalla fine del XII sec.) La poesia lirica che darà origine alla nostra lingua non è la sola a comparire nella penisola italiana nel Basso Medioevo. A fianco di essa si sviluppano altri importanti filoni di poesia in volgari che rappresentano la vitalità delle tradizioni linguistico-culturali locali. Poesia delle origini
  • 8. Tra la fine del XII e i primi del XIII secolo si collocano i primi documenti poetici in volgare con qualche intento letterario, che rinviano a un'area culturale che va dalla Toscana alle Marche, alla Campania: si tratta dei Ritmi anonimi, ricollegabili alla letteratura giullaresca, componimenti metricamente irregolari come il ritmo laurenziano (toscano), il ritmo marchigiano di Sant'Alessio, il ritmo cassinese (Montecassino). Questi testi mostrano già lo sforzo di superare le forme idiomatiche locali sia in direzione del latino, sia del francese e del provenzale, sia in direzione di un certo conguagliamento regionale, e tuttavia non riescono a costituirsi in una tradizione volgare autonoma di prestigio. Ritmi anonimi
  • 9. Ritmi anonimi dal Ritmo Cassinese dal Ritmo di Sant'Alessio Eo, sinjuri, s'eo fabello, lo bostru audire compello: de questa bita interpello e ddell'altra bene spello. Poi ke 'nn altu me 'ncastello, ed altri bia renubello e mmebe cendo [e] flagello. Et arde la candela, sebe libera, et altri mustra bïa dellibera; Poi [ket lu] fante foe natu, Alessiu foe prenominatu. Lu patre ne fo letificato, co ttut[ta] Roma lu parentatu, et tutta Roma era assai gaudente: maiore letitia ne avea la gente, […] I Ritmi non si articolano in strofe regolari, ma in “lasse” di lunghezza variabile, spesso monorima, composte da versi di lunghezza irregolare (anisosillabici).
  • 10. Il primo testo poetico in volgare di cui ci sia noto l'autore è il Cantico di frate sole (Laudes creaturarum) di San Francesco d'Assisi, scritto in volgare umbro attorno al 1220. Con San Francesco ha inizio l'importante filone della poesia religiosa in volgare che affianca quello, più prestigioso, della poesia lirica italiana. La tradizione delle laudi, di origine umbro-marchigiana e toscana è comunque importante: copiate nei laudari delle confraternite religiose per essere cantate nelle processioni, e diffuse in altre aree geografiche, già nel corso del Trecento le laudi diventano un tramite notevole di fenomeni linguistici mediani in regioni anche periferiche, come il Friuli. Poesia religiosa
  • 11. Cantico di frate sole (Laudes creaturarum) di San Francesco d'Assisi (1220 ca.) Altissimu, onnipotente, bon Signore, tue so' le laude, la gloria e 'honore et onne benedictione. Ad te solo, Altissimo, se konfàno et nullu homo ène dignu te mentovare. Laudato sie, mi' Signore, cum tucte le tue creature, spetialmente messor lo frate sole, lo qual è iorno, et allumini noi per lui. Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore, de te, Altissimo, porta significatione. Laudato si', mi' Signore, per sora luna e le stelle, in celu l'ài formate clarite et pretiose et belle. Laudato si', mi' Signore, per frate vento et per aere et nubilo et sereno et onne tempo, per lo quale a le tue creature dài sustentamento. Laudato si', mi' Signore, per sor'aqua, la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta. Laudato si', mi' Signore, per frate focu, per lo quale ennallumini la nocte, et ello è bello et iocundo et robustoso et forte. Laudato si', mi' Signore, per sora nostra matre terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba. Laudato si', mi' Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore, et sostengo infirmitate et tribulatione. Beati quelli ke 'l sosterrano in pace, ka da te, Altissimo, sirano incoronati. Laudato si' mi' Signore per sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente pò skappare: guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali; beati quelli ke trovarà ne le tue santissime voluntati, ka la morte secunda no 'l farrà male. Laudate et benedicete mi' Signore' et ringratiate et serviateli cum grande humilitate.
  • 12. Nel corso del Duecento si sviluppa in Italia settentrionale un filone di poesia con finalità didattiche e moraleggianti a opera del cremonese Gerardo Patecchio, di Uguccione da Lodi, di Giacomino da Verona e del milanese Bonvesin de la Riva. Sebbene si collochi a fianco della più prestigiosa poesia lirica, anche questo filone di testi rappresenta un momento significativo per i volgari locali che, nobilitati attraverso il latino e l'apporto di gallicismi, diventano letterari ed illustri. Poesia didattico-moraleggiante
  • 13. La più antica poesia lirica in volgare attualmente nota è Quando eu stava in le tu' cathene, una canzone d'amore anonima databile tra il 1180 e il 1220 recentemente scoperta da Alfredo Stussi sul retro di una pergamena latina conservata nell’Archivio Storico Arcivescovile di Ravenna. La canzone contiene una mescolanza linguistica di elementi mediani e settentrionali (dovuti certamente all’azione di un copista) che rendono difficile identificarne il luogo d’origine. La sua provenienza geografica è molto problematica: se la canzone provenisse dal nord rappresenterebbe l’unico documento di una scuola poetica di cui non ci sono rimaste altre tracce, neppure nelle testimonianze dei contemporanei; se invece, più probabilmente, fosse meridionale, l’avvio della scuola siciliana andrebbe retrodatato significativamente, prima dell’epoca di Federico II, rispetto alla datazione tradizionale, collocata dopo il 1230. La Carta ravennate
  • 14. La scuola siciliana è quel circolo di poeti (non tutti siciliani di nascita) che si raccolse intorno al 1230 alla corte del coltissimo ed eclettico imperatore Federico II, re di Sicilia e Duca di Svevia. Con la lirica dei poeti siciliani prende forma il linguaggio poetico italiano, come Dante ci conferma nel De vulgari eloquentia (I, XII, 4): “et quia regale solium erat Sicilia, factum est ut quicquid nostri predecessores vulgariter protulerunt, sicilianum vocetur: quod quidem retinemus et nos, nec posteri nostri permutare valebunt.” Scuola siciliana La scuola siciliana impiega consapevolmente, a fini artistici, il volgare depurato dai tratti linguistici locali più vistosi, e nobilitato attraverso il latino e il provenzale.
  • 15. da Stefano Protonotaro, Pir meu cori alligrari Pir meu cori alligrari, chi multu longiamenti senza alligranza e joi d’amuri è statu, mi ritornu in cantari, ca forsi longiamenti ca forsi levimenti la dimuranza turniria in usatu di lu troppu taciri; e quandu l’omu ha rasuni di diri, ben di’ cantari e mustrari alligranza, ca senza dimustranza joi siria sempri di pocu valuri: dunca ben di’ cantar onni amaduri. E si pir ben amari cantau jujusamenti omu chi avissi in alcun tempu amatu, ben lu diviria fari plui dilittusamenti eu, chi son di tal donna inamuratu, dundi è dulci placiri, preju e valenza e jujusu pariri e di billizzi cutant’abundanza chi illu m’è pir simblanza, quandu eu la guardu, sintir la dulzuri chi fa la tigra in illu miraturi; chi si vidi livari multu crudilimenti sua nuritura, chi ill’ha nutricatu: e sì bonu li pari mirarsi dulcimenti dintru unu speclu chi li esti amustratu, chi l’ublïa siguiri. Cusì m’è dulci mia donna vidiri: ca ’n lei guardandu me[t]tu in ublïanza tutta autra mia intindanza, sì chi istanti mi feri sou amuri d’un colpu chi inavanza tutisuri. […]
  • 16. Temi, immagini e repertorio stilistico ed espressivo vengono derivati (e reinventati) dalla prestigiosa esperienza poetica trobadorica, già diffusa e imitata largamente in Italia. Nella lirica siciliana abbondano provenzalismi come dottare 'temere', miratore 'specchio' ecc., e i frequenti suffissati in -anza, -enza, -aggio, -ore, -ura, -mento (ad esempio allegranza, amistanza 'amicizia', valenza 'valore', coraggio 'cuore', dolzore 'dolcezza', riccura 'ricchezza', pensamento 'pensiero'). È caratteristico l'impiego di allotropi (piacere, piacenza, piacimento; pietà, pietanza, pietade; speme, spera, speranza, speramento) e il ricorso a dittologie sinonimiche (temuta e dottata, crudele e spietata, v'incresca e grave ecc.). L'alto livello della produzione di poeti come il caposcuola Jacopo da Lentini (ritenuto l’inventore del sonetto), Guido delle Colonne, Re Enzo, Rinaldo d'Aquino, Stefano Protonotaro fece sì che la loro poesia - prima ancora della caduta della casa sveva (1266, battaglia di Benevento) - fosse da subito copiata e imitata anche fuori dal Regno di Sicilia. Scuola siciliana
  • 17. In Toscana, dove si stava affermando una società borghese ricca e la richiesta culturale era vivacissima, furono confezionati i tre grandi canzonieri che, giungendo intatti ai giorni nostri, ci hanno trasmesso la lirica antica: • il Vaticano Latino 3793 (Biblioteca Vaticana) • il Laurenziano Rediano 9 (Biblioteca Mediceo-Laurenziana di Firenze) • il Palatino 418 (ora Banco Rari 217 della Biblioteca Nazionale di Firenze) Dalla Sicilia alla Toscana Il più importante è il Vaticano Latino 3793, di mano fiorentina, contenente anche le rime di poeti toscani pre-stilnovisti.
  • 18. La circolazione dei testi poetici tra varie zone d’Italia avveniva tramite le figure dei copisti. In particolare i testi siciliani giungevano in Toscana attraverso l’opera dei copisti toscani che, com’era consuetudine medievale, li adattavano al loro sistema linguistico, divergente dal siciliano (soprattutto nel vocalismo). Il risultato è una lingua composita, con un'evidente coloritura toscana, in cui l'assunzione di tipici sicilianismi ha un intento nobilitante rispetto al toscano. Dopo che furono perduti o andati distrutti i manoscritti federiciani con la disfatta degli svevi, la nuova veste ibrida delle poesie siciliane fu ritenuta - anche dallo stesso Dante - quella originale, e come tale fu imitata nelle sue caratteristiche già dai poeti toscani della cosiddetta scuola di transizione. Dalla Sicilia alla Toscana
  • 19. La principale trasformazione che i copisti toscani applicarono ai testi siciliani fu quella del sistema vocalico: il siciliano, che aveva cinque vocali toniche (sistema pentavocalico), ridotte a tre (i a u) in posizione atona, fu adattato al sistema toscano a sette vocali toniche (eptavocalico), che si riducevano a cinque in posizione atona. La lingua dei copisti toscani, però, conservò anche diversi elementi siciliani: • l'assenza del dittongo in è, ò aperte in sillaba libera (tipo vène, nòva) • talvolta viene mantenuto il dittongo au, specie in parole tipiche della lirica amorosa, come laudo, laudare • la sopravvivenza, soprattutto in sede di rima, di esiti come nui, vui • l'uso di forme verbali come aggio/aio ‘ho’, veggio ‘vedo’, avìa, solìa ‘aveva, soleva’ • i condizionali in -ia (ameria, crederia) e i condizionali organici (tipo fora ‘sarebbe’ < latino fuerat) Dalla Sicilia alla Toscana
  • 20. Tutti li pinsamenti versione siciliana di Re Enzo Tutti quei pensamenti versione toscanizzata Tutti li pinsamenti chi 'l spirtu meu divisa sunu pen'e duluri sinz'alligrar, chi nu Ili s'accumpagna, e di manti turmenti abundu in mala guisa, chi 'l natural caluri ò pirdutu, tantu 'l cor batti e lagna. Or si pò dir da manti: chi è zò, chi nu mori, poi ch'ai sagnatu 'l cori? Rispundu: chi lu sagna in quil mumentu 'l stagna, nu pir meu ben, ma pir la sua virtuti. La virruti ch' ill'avi d'alcirim' e guariri a lingua dir nu l'ausu pir gran timanza ch'aiu nu lli sdigni; pirò precu suavi piatà chi mov' a giri e faza in lei ripausu, e merzì umilmenti si li aligni, sì chi sia piatusa ver mi, chi nu m'è noia murir s'i lla 'nd'à gioia, chi sol vivri mi placi pir lei sirvir viraci, plui chi pir altru beni chi m'avegna. Tutti quei pensamenti, che 'l spirito meo divisa, sono pene e dolore sanz'allegrar, che no gli s'accompagna; e di tanti tormenti abbondo in mala guisa, che 'l natural colore tutto perdo, tanto 'l cor batte e lagna. Or si pò dir da manti: che è ciò, che non more, poi ch'à sagnato 'l core? Rispondo: chi lo sagna in quel momento 'l stagna, non per meo ben, ma prova sua virture. La virtute ch'ell'ave d'aucidermi e guarire, a lingua dir non l'oso per gran temenza ch'aggio non la sdigni; onde prego soave pietà, che mova agire, e faccia in lei riposo, e merzé umilmente se gli alligni, sì che sia pietosa ver me, che non m'è noia morir, s'ella n'à gioia; che sol viver mi piace per lei servir verace, e non per altro bene che m'avegna.
  • 21. Il formarsi di una tradizione linguistica lirica si ha con alcuni poeti nati e operanti in Toscana, etichettati come Siculo-toscani e Toscano-siculi: i primi ripropongono con adattamenti il modello siciliano, mentre i secondi tentano più decisamente il distacco e avviano la sperimentazione di forme relativamente più autonome. Essi operano in centri diversi della regione - Galletto e Pucciandone Martelli a Pisa, Folcacchiero a Siena (Siculo-toscani), Bonagiunta a Lucca, Guittone ad Arezzo, Chiaro Davanzati, Monte Andrea e Compiuta Donzella a Firenze (Toscano-siculi) - , ma sono accomunati dall’imitazione della maniera siciliana sulla base dei codici toscaneggiati. L'impasto linguistico è composito, con tracce locali consistenti (per esempio in Bonagiunta forme lucchesi come nieve, bellesse 'bellezze', sensa 'senza'), e con l'impiego esibito di sicilianismi (come i tipi core, eo, meo, aggio, canteraggio 'canterò', sacciate 'sappiate', canteria, smarruto ecc.). Il lessico è un intriso di sicilianismi, latinismi e di sovrabbondanti gallicismi (lumera, fozzon 'fattezze' ecc.; i tipici suffissati in -anza, -enza, -ura, -ore; perifrasi provenzaleggianti come sono merzè cherente 'chiedo mercede', non è perditore 'non perde'). Poesia Siculo-toscana e Toscano-sicula
  • 22. Il principio della rima imperfetta, o rima siciliana, originariamente spia della traduzione operata sui testi siciliani originali (per es. ascoso: rinchiuso: amoroso; savere: avere: morire che in siciliano tornano ascusu: rinclusu: amurusu; saviri: aviri: muriri), viene istituzionalizzato nella poesia come particolare tipo di rima. Si ritrova… • sia il tipo più vistoso fondato sulla diversità delle vocali toniche (servire: avere: tenere), destinato però a spegnersi presto • sia il tipo fondato sul diverso timbro vocalico di e e di o (per esempio vène: péne; còre: maggióre), che poteva essere aperto o chiuso in toscano, ma si conguagliava in siciliano - che non aveva vocali chiuse - nell’unica pronuncia colta, aperta, di certe parole. Questo secondo tipo di rima, grafica e non fonica, si stabilirà saldamente nella tradizione poetica successiva (in particolare il binomio amore: còre), soprattutto grazie a Petrarca. Rima siciliana

Editor's Notes

  1. La fonologia (o fonematica) è lo studio dei fonemi e si distingue dalla fonetica che è lo studio dei foni.
  2. Sono di grande interesse nelle varie aree anche i testi scolastici, i glossari, gli esercizi grammaticali e di traduzione, anche se qui la presenza del volgare è di solito strumentale all'apprendimento del latino. Brunetto latini, fiorentino, è stato un grande mediatore della cultura francese e latina e maestro di Dante (scrive il Tresor in lingua d'oïl e il Tesoretto in volgare fiorentino).
  3. Guittone d'Arezzo dei Frati Gaudenti (Beata Gloriosa Vergine Maria) è importantissimo per la storia della nostra letteratura anche per il suo Canzoniere di poesie (50 canzoni e 251 sonetti) che con importa nella poesia volgare italiana il modello del trobar clus dei trovatori francesi (modello per Dante e per molti poeti successivi). Il Novellino è una raccolta di novelle tratte da fonti latine antiche o medievali e dalla tradizione provenzale. I protagonisti sono personaggi illustri dell'antichità (come Alessandro Magno, Traiano o Socrate), della Bibbia (Davide, Salomone), della mitologia classica e medievale (Ercole, Artù) e, molto spesso, anche della storia coeva (Federico II, Carlo d'Angiò).
  4. La Somme le roi è un romanzo allegorico-moraleggiante sul giardino dei vizi e delle virtù. La Cronica di Anonimo Romano è la storia di Cola di Rienzo (che nella prima metà del Trecento tentò di restaurare il comune nella città di Roma straziata dai conflitti tra papi e aristocratici).
  5. Il termine trovatori deriva dal termine trobar, e cioè “poetare, fare poesia”. La lirica trobadorica fiorisce alla fine del XI secolo nella regione della Francia meridionale della Linguadoca o Occitania.
  6. 'Altissimo, onnipotente, buon Signore / tue sono le lodi, la gloria e l'onore, e ogni benedizione'
  7. il legame di rima o assonanza non è sentito come necessario, così come la regolarità del ritmo. Si può però definire poesia perché il testo è diviso in periodi di frase più o meno ritmici (detti cola) grazie ad assonanze (Signore-honore) e ripetizioni anaforiche (Laudato si’- Laudato si’). San Francesco proveniva dal ceto medio ma aveva avuto una buona formazione: sapeva di certo il provenzale e il latino e conosceva i modelli della poesia francese e mediolatina.
  8. Alcune delle opere di questi autori hanno temi escatologici (il De Ierusalem celesti e il De Babilonia civitate infernali di Giacomino da Verona, il Libro delle tre scritture di Bonvesin de la Riva) e si possono considerare come i precursori della Commedia dantesca (anche se non ne toccano minimamente i vertici di complessità tematica e linguistica, di realismo e di tecnica poetica).
  9. La poesia scoperta da Alfredo Stussi nel 1999 ha rimesso in discussione la datazione della nascita in Italia della lirica amorosa il cui precursore, si pensava essere Iacopo da Lentini capofila della scuola siciliana e ritenuto l’inventore del sonetto.
  10. Federico II Hohenstaufen (1194-1250), figlio di Federico I e padre di Manfredi, fu re di Sicilia (dal 1198 al 1250), Duca di Svevia (come Federico VII, dal 1212 al 1216), re di Germania (dal 1212 al 1220) e Imperatore del Sacro Romano Impero 'poiché il regno era in Sicilia, accadde che tutto ciò che i nostri predecessori produssero in volgare si chiami siciliano: un uso che anche noi conserviamo, e che i nostri posteri non saranno capaci di mutare'.
  11. Stefano Protonotaro (Messina XIII sec.) è uno degli ultimi poeti della Scuola siciliana. Di lui ci restano tre canzoni, tra le quali Pir meu cori alligrari, che è uno dei tre testi della Scuola siciliana pervenutoci nel siciliano illustre della raffinata corte sveva (gli altri due sono di Re Enzo), grazie alla sua trascrizione fatta nel XVI sec. dal filologo G.M. Barbieri dal Libro Siciliano, un codice oggi perduto. (Tutti gli altri testi ci sono pervenuti in versioni “toscanizzate” da copisti toscani.) La sua struttura è il modello della canzone provenzale: sono cinque strofe (stanze) di dodici settenari ed endecasillabi, unissonans (monorimi), costituite dalla fronte (di due piedi identici, abC abC) e dalla sirima (di due volte, dDE eFF), cui segue un congedo (tornada), dalla struttura uguale a quella della sirima.
  12. Allotropi sono parole di significato diverso, ma derivanti dallo stesso etimo; le dittologie sono due vocaboli di diverso etimo ma di uguale significato. La Battaglia di Benevento segnò la vittoria di Carlo d’Angiò, mandato dal Papa a guidare l’esercito guelfo, contro Manfredi di Svevia, figlio di Federico II (è presentato nel III del Purgatorio tra i negligenti).
  13. In questi tre canzonieri sono contenuti i canzonieri dei poeti siciliani, ma tutti allestiti da copisti toscani. http://www.bncf.firenze.sbn.it/Bib_digitale/Manoscritti/b_r_217/main.htm
  14. Il processo di travestimento messo in atto dai copisti ha come spia principale l’analisi della rima, la sede più conservativa del verso. Mentre per i siciliani, secondo il modello provenzale, la rima doveva essere perfetta, troviamo nei canzonieri rime imperfette come ascoso: rinchiuso: amoroso (Jacopo da Lentini, Maravigliosamente); savere: avere: morire (in Amor non vol eh 'io chiami). Si tratta di rime che però tornano perfette proprio se si restituisce il vocalismo siciliano (ascusu: rinclusu: amurusu; saviri: aviri: muriri).
  15. 'poiché il regno era in Sicilia, accadde che tutto ciò che i nostri predecessori produssero in volgare si chiami siciliano: un uso che anche noi conserviamo, e che i nostri posteri non saranno capaci di mutare'.
  16. Era normale che un copista medievale intervenisse a normalizzare un testo senza preoccuparsi troppo del testo originale. Vocali toniche: duluri > dolore; caluri > calore; sunu > sono; piatusa > piatosa; Vocali atone protoniche e postoniche: virtuti > virtute; pirdutu > perduto; pinsamenti > pensamenti Trasformano il dittongo au nel toscano o: ; ausu > oso; ripausu > riposo il sicilianissimo alcirimi diventa aucidermi Non vengono dittongati core e more (dai siciliani cori e mori)
  17. 'poiché il regno era in Sicilia, accadde che tutto ciò che i nostri predecessori produssero in volgare si chiami siciliano: un uso che anche noi conserviamo, e che i nostri posteri non saranno capaci di mutare'.
  18. 'poiché il regno era in Sicilia, accadde che tutto ciò che i nostri predecessori produssero in volgare si chiami siciliano: un uso che anche noi conserviamo, e che i nostri posteri non saranno capaci di mutare'.