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JACOPONE DA TODI




          Doris Nátia Cavallari
                          USP
            Trabalho para fins
            didáticos sem fins
                     lucrativos
JACOPONE DA TODI


          Jacopo de’
           Benedetti
           nacque
           intorno al
           1236 a
           Todi
JACOPONE DA TODI

        E morì nel
         convento di S.
         Lorenzo di
         Collazzone
         (fra Perugia e
         Todi) nel 1306
VITA
              JACOPONE DA TODI
Studiò diritto a Bologna, poi ritornò
   nella sua città dove fu avvocato e
   notaio.

Nel 1268, durante una festa, gli morì
   la moglie, in seguito al crollo del
   pavimento della sala, e Jacopo
   scoprì, sotto le eleganti vesti di lei,
   uno strumento di penitenza, il
   cilizio. Sconvolto Jacopo
   abbandonò ogni cosa, professione,
   parenti, amici, distribuì ai poveri
   ogni suo avere e visse per dieci
   anni vita di penitente. Le sue
   penitenze sono piuttosto
   esasperate, assurde.
   Dopo 10 anni fu ammesso
   nell’ordine francescano (era
   partidario degli Spirituali) e qui
   studiò teologia e compose le sue
   laudi.
JACOPONE DA TODI E LO SPIRITO DI
               LIBERTÀ
Probabilmente nato nel XII secolo, lo              materiale e spirituale: il processo
    "Spirito di Libertà" si diffuse in Europa         portava infine all'indiamento, cioè
    nel secolo successivo, con dottrine che           il raggiungimento di Dio e la totale
    facilmente si integravano nella mistica
    tradizionale; il fermento religioso era           identificazione con lui. Dunque
    vivo nell'alto Medioevo, ma spesso                l'anima doveva annullarsi per poi
    fioriva con gruppi spontanei che la               fondersi con Dio: a questo punto
    Chiesa poteva non riconoscere o                   era impeccabile, ferma in una
    ostacolare, al fine di evitare deviazioni         sorta di paradiso sulla terra. Idea
    dalla regola, sbandi anarchici dal                che non rientrava più
    controllo dell'ordine ufficiale.                  nell'ortodossia cristiana e non
Nel 1311, il movimento fu quindi accusato             poteva esser accettata dalla
    di eresia dal concilio di Vienna,                 Chiesa.
    nell'ambito della condanna dei
    "begardi", corrispondenti agli italiani        Iacopone da Todi condusse
    "bizzochi" (cioè penitenti al di fuori della      la vita del bizzoco per circa dieci
    Chiesa ufficiale), tra i quali le idee del        anni, quindi era probabilmente
    Libero Spirito avevano preso piede.               venuto a contatto con le idee dello
La dottrina del Libero Spirito, al di là delle        Spirito della Libertà. In particolare
    posizioni moderate o estremiste dei vari          alcune laude appaiono influenzate
    gruppi, insisteva su un momento                   dalla dottrina:
    ascetico iniziale di mortificazione,
    digiuno, povertà                                         Povertat'è null'avere
                                                              e nulla cosa poi volere
Da http://www.iacoponetodi.it/it                              e onne cosa possedere
                                                              en spirito de libertate...
BONIFACIO VIII
       Benedetto Caetani, nato ad
           Anagni nel 1235, fu eletto Papa
           col nome di Bonifacio VIII, il
           giorno della vigilia di Natale del
           1294 dal Conclave radunatosi
           nel Castelnuovo di Napoli, in
           base alla costituzione di
           Gregorio X sull'elezione
           pontificia, dieci giorni dopo il
           "gran rifiuto" di Celestino V.
       Il suo papato durò dal 1294-1303

       Il primo, vero e proprio, atto
           politico di Bonifacio VIII fu
           quello di ratificare il trattato
           (precedentemente vergato da
           Celestino V) tra Carlo II e
           Giacomo II d'Aragona, in base
           al quale la Sicilia si sarebbe
           riunita al regno angioino.
BONIFACIO VIII
Nella bolla Clericis laicos, emessa     Anche in Italia Bonifacio VIII avrebbe
   nel 1296, minacciò di                   dovuto fare i conti con l'ostilità di
   scomunicare i laici che avessero        alcuni membri dell'aristocrazia
   imposto tasse agli ecclesiastici,       romana, in particolare con la
                                           famiglia Colonna: i due cardinali
   senza il consenso della Chiesa di       Giacomo e Pietro dichiararono
   Roma. In Germania e in                  nulla la sua elezione e montarono
   Inghilterra i sovrani si                contro il papa un'opposizione sia
   uniformarono a tale                     da parte del popolo che del clero,
   disposizione; in Francia, invece,       che si estese anche all'ordine degli
   il re Filippo il Bello emanò due        Spirituali Francescani, il cui
   editti contrari, con                    portavoce, Jacopone da Todi,
   l'approvazione dei vescovi              inveì contro Bonifacio VIII
   francesi.                               chiamandolo "novello anticristo".
Davanti a tale irrigidimento, che       Jacopone lottò contro l'esercito
   avrebbe potuto portare a                papale, ma fu catturato dai suoi
   Bonifacio VIII gravi ripercussioni      eserciti nel 1298,nel suo rifugio
   economiche, autonomistiche e            alla Rocca Palestrina. Lui fu
   politiche, il pontefice fece            incarcerato, scomunicato e rimase
   retromarcia, autorizzando il re a       in prigione fino alla morte del
                                           papa.
   riscuotere le imposte del clero      Da:
   solo in casi di emergenza.                 http://www.racine.ra.it/lcalighieri/Giubileo/bonif
                                              acio_viii.htm
O papa Bonifazio
Jacopone scrisse
durante la priogionia
(1298-1303) questa
epistola in versi,
ardente supplica a
papa Bonifazio VIII
perché lo liberi dalla
scomunica, ma fa, al
tempo stesso una
dignitosa e forte
affermazione della
propria innocenza e
della propria inalterata   Bonifacio VIII invia Carlo di Valois
                                in delegazione dalle fazioni
e autentica professione       guelfe", 1301, miniatura di scuola
di vita cristina.                fiorentina - Roma, Biblioteca
                                      Apostolica Vaticana
O papa Bonifazio
O papa Bonifazio,
                             non de questa materia,
eo porto el tuo prefazio
                             ma d’altro modo prelia.
e la maledezzone
                             Si tu sai sì schirmire
e scommunicazione.
                             che me sacci ferire,
Con la lengua forcuta
                             tengote bene esperto,
m’hai fatta esta feruta:
                             si me fieri a scoperto:
che co la lengua ligne
                             c’aio dui scudi a collo,
e la piaga ne stigne;
                             e s’io no i me ne tollo,
ca questa mia ferita
                             per secula infinita
non pò esser guarita
                             mai non temo ferita.
per altra condezione
                             El primo scudo, sinistro,
senza assoluzïne.
                             l’altro sede al deritto.
Per grazïa te peto
                             Lo sinistro scudato,
che me dichi: “Absolveto”,
                             un diamante aprovato:
e le altre pene me lassi
                             nullo ferro ci aponta,
finch’io del mondo passi.
                             tanto c’è dura pronta:
Puoi, si te vuol provare
                             quest’è l’odïo mio,
e meco esercetare,
                             ionto a l’onor di Dio.
O papa Bonifazio

Lo deritto scudone,
d’una preta en carbone,
ignita como fuoco
d’uno amoroso ioco:
lo prossimo en amore
d’uomo enfocato ardore.
Si te vòi fare ennante,
puo’lo provar ’n estante;
e quando vol’ t’abrenca,
ch’e’ co l’amar non venca.
Volentier te parlara:
credo che te iovara.
Vale, vale, vale,
Deo te tolla onne male
e dìemole per grazia,
ch’io el porto en leta fazia.
Finisco lo trattato
en questo loco lassato.
JACOPONE DA TODI
La poesia e il rapporto con la scienza
 La scelta umile del dialetto umbro popolare nelle laudi, è
   accompagnata comunque dal bagaglio intellettuale del poeta:
   termini attinti dal latino ecclesiastico, dal gergo giuridico, e dalla
   lirica d'amore arricchiscono l'opera di Iacopone, insieme alla
   tensione espressiva unica e a varie scelte originali, come quella della
   drammatizzazione.
 Forse proprio a Iacopone si deve il primo esempio di Lauda
   drammatica, o dialogata: una delle sue laudi più famose
   "Donna de Paradiso", è un intreccio di voci che si soffermano
   sull'umana sofferenza della Madonna, la sua intesa materna e
   carnale con il figlio crocefisso.
 L'interesse negli studi teologici è in apparente contraddizione con la
   polemica tipica degli Spirituali dell'ordine francescano nei confronti
   della scienza: in realtà l'oggetto della contestazione non è l'istruzione
   in sé, ma il desiderio di gloria legato alla fama di cultura. Quindi la
   critica di Iacopone si concentra contro tutto ciò che cancella
   l'umiltà, pilastro della vita dei francescani anche nell'ambito dello
   studio.

   Da http://www.iacoponetodi.it/it
JACOPONE DA TODI
                O iubelo de core
                                       Il concetto del giubilo d’amore si
Metro                                      trova già in Bernardo di
Schema di ballata (x x, a b, b x,          Ventadorn. ...è l’amore che
  tutti settenari; la rima si ripete       rende buono il canto, dice
                                           Bernardo; è il giubilo che obbliga
  uguale nelle strofe II e III (-e         l’uomo a cantare, dice jacopone.
  so); quella b (-are) nelle strofe
  I e II; assonanza, come              Il motivo non per nulla si ritrova
  succede spesso in Jacopone ai            nello Stil Novo e in Dante, ma
  vv. 3-5 e 21-23; rima siciliana          mentre Jacopone esclude,
                                           teoricamente, la nozione stessa di
  (éso—iso) ai vv. 15-17. Anche a          una mediazione (la cultura
  livello metrico dunque un                evidentemente), negli stilvovisti e
  intreccio fra il registro                in Dante l’accento poggia
  “popolare” ( le assonanze) e             pariteticamente sui due aspetti:
  procedimenti tipici della poesia         amore e sua trascrizione partica
  cortese (le rime-refrain e la            (“Amore ha fabricato ciò ch’io
  rima siciliana)...                       limo”, Cavalcanti; “...e a quel
                                           modo/ ch’è [Amore] ditta dentro
                                           vo significando” , Dante).
Da ASOR ROSA, A. La poesia del
  Duecento e Dante. Firenze: La
                                       Da ASOR ROSA, A. La poesia del Duecento
  Nuova Italia, 1974, p.77                e Dante. Firenze: La Nuova Italia, 1974,
                                          p.77
JACOPONE DA TODI
              O iubelo de core
O iubelo de core,                 Quanno iubelo à preso (15)
   che fai cantar d'amore!        lo core ennamorato,
   Quanno iubel se scalda,            la gente l'à 'n deriso,
   sì fa l'omo cantare;
               cantare                pensanno el so parlato,
   e la lengua barbaglia, (5)         parlanno esmesurato
   non sa que se parlare;             de que sente calore. (20)
   drento no 'l pò celare              O iubel, dolce gaudio,
   (tant'è granne!) el dolzore.       ch'è' drento ne la mente!
                                      Lo cor deventa savio,
   Quanno iubel c'è aceso,            celar so convenente;
   sì fa l'omo clamare; (10)          non pò esser soffrente(25)
lo cor d'amor è apreso,               che non faccia clamore.
   che no 'l pò comportare;           Chi non à custumanza
   stridenno el fa gridare            te reputa empazzito,
   e non virgogna allore              vedenno esvalianza
                                      com'om ch'è desvanito. (30)
                                      Drent'à lo cor firito,
                                      non se sente de fore
JACOPONE DA TODI
                      O iubelo de core
La lauda si sviluppa parallelamente su
    due assi: l’esperienza intimamente
    vissuta e ciò che ne appare al di
    fuori.
Vista dall’interno, la gioia mistica
    espressa dalla metafora del cuore
    che si infiamma sempre più (vv.
    3,9,15), è presentata come
    un’esperienza intima e profonda
    (v.22) da condurre alla perdita di
    contatto con il mondo (vv. 31,12)
Nelle sue manifestazioni esterne si
    presenta come uma progressione
    verso la follia, che trapassa dal
    cantare (v.4 al balbettare (v.5), dal
    gridare (vv.10 e 13) al non provare
    alcuna vergogna (v. 14) e al
    diventare oggetto di scherno (v. 17)
    dal “far clamore” (v. 26) all’apparire
    impazzito (vv. 27-30).

Da ARMELLINI,G. E COLOMBO, A. La letteratura
   italiana. Antologia. Duecento e Trecento. Vol. I.
   Bologna:Zanichelli, 1999, p. 105
JACOPONE DA TODI
Questo parlare/ cantrare/gridare      La carità, che non permette
  diventa allora um crescente             all’uomo di salvarsi da solo è...
  atto d’umiltà e un modo di          la ragione e la sostanza stessa
  esercitare la caritas, secondo la       dell’umiltà. L’umiltà, infatti,
  concessione di San Bernardo,        si manifesta realmente solo come
  uno dei maestri di Jacopone e           comunicazione: l’incarnazione
  che pregava: “ colui il quale,          del cristo... Rappresenta lo
  preoccupato di non perdere il           svolgimento esemplare di
  suo bene, non lo partecipa, lo          questo tema: l’umiltà del Dio
  dissolve e distrugge                    che s’incarna trova la sua
  nell’egoismo. Per S. bernardo,          ragione nell’amore per gli
  la solidarietà umana, l’unità           uomini...” (Lazzari apud ASOR
  dei compagni di viaggio nel            ROSA, A. La poesia del Duecento e
  cammino dell’esistenza                 Dante. Firenze: La Nuova Italia, 1974,
  attraverso il tempo e l’eterno,        p.75)
  esige la predicazione...
JACOPONE DA TODI
O Segnor, per cortesia

Non solo per eccesso e sovrabbondanza di amore verso Dio
  Jacopone invoca su di sé ogni male, non solo per distaccarsi
  dal corpo e concepire quell’odio del mondo che condizione
  prima di rinovamento del mistico amore, ma anche, come
  spiega alla fine, per espiare quei peccati coi quali anch’egli,
  come ogni peccatore ha crocefisso Cristo, amore supremo.
Jacopone invoca su di sé ogni infermità, poi di essere
  abbandonato da tutti, colpito da ogni sorta di sciagura, sia in
  questa vita, sia dopo la morte. È un crescendo di fantasie
  cupe, scandite con un ritmo implacabile, un desiderio di
  atroce dissolvimento, che sfocia sul grido di dolore e
  pentimento, più umanamente persuasivo, dell’ultima
  quartina (Pazzaglia, p. 153)
Jacopone da Todi
                  O Segnor, per cortesia
O Segnor, per cortesia            Aia ‘l fegato rescaldato
manname la malsanìa!              la milza grossa, el ventre enfiato;
A me la fevre quartana            lo polmone sia piagato
la contina e la terzana,          con gran tossa e parlasìa.
la doppia cotidiana               A me venga le fistelli
co la grande etropesìa.           con migliaia di carboncelli,
A me venga mal de denti,          e li granchi siano quelli
mal de capo e mal de ventre,      che tutto ripien ne sia.
a lo stomaco dolor pungente       A me venga la podagra,
e’n canna la squintania;          mal di ciglia sì m’aggrava,
mal de occhi e doglia di fianco   la dissinteria sia piaga
e l’apostema al canto manco       e l’emorroide a me se dia.
tiseco me ionga el alco,          A me venga el mal del asmo,
e d’onne tempo la frenosia.       iongasece quel del pasmo;
                                  como al can me venga el rasmo
                                  ed en vocca la grancìa.
Jacopone da Todi
                  O Segnor, per cortesia
A me lo morbo caduco           Gelo granden, tempestate
de cadere en acqua e’n foco,   fulgure, troni e oscuritate:
e ià mai non trovi loco        non sia nulla avversitate,
ch’eo afflitto non ce sia.     che non me aia in sua bailia.
A me venga cechitate,          Glie demonia enfernali
muteza e sordetate,            sì me sian dati a ministrali,
la miseria e povertate,        che m’esserciten li mali,
e d’onne tempo attrapparìa.    c’ho lucrati a mia follia.
Tanto sia el fetor fetente,    Enfin del mondo a la finita
che non sia null’om vivente,   sì mi duri questa vita,
che non fuga da me dolente     e poi la sceverita,
posto en tanta enfermarìa.     dura morte me se dia. Alegome en
En terrebele fossato               sepoltura
che Regoverci è nomenato,      ventre de lupo en voratura,
loco sia abbandonato,          e l’arliquie e cacatura
da onne bona compagnia.        en espineta e rosarìa.
Jacopone da Todi
              O Segnor, per cortesia
Alegome en sepoltura          sì se deia stupefare,
ventre de lupo en voratura,   co la croce sé signare
                              che rio scontro no i sia en via.
e l’arliquie e cacatura
                              Segnor mio, non è vendetta
en espineta e rosarìa. Li     tutta la pena c’ho detta:
   miracul po’la morte:       chè me creasti en tua diletta
chi ce ven aia le scorte,
                              e eo t’ho morto a villania.
e le vessazione forte
con terrebel fantasia.
Onn’om che m’ode
   mentuvare,
Jacopone da Todi

Il senso del contrasto morale atteggia tutto per antitesi e contraddizioni,
    che sono cosí accostamenti di espressioni contrastanti per tono,
    come di termini di significato contrario.

La stessa sintassi jacoponica, che costituisce indubbiamente una delle
   maggiori difficoltà del testo, è prova di una psicologia inquieta e
   combattuta: la prevalenza della coordinazione asindetica sulla
   subordinazione, che dà un andamento spezzato all'espressione e i
   cambiamenti di costruzione denunciano la continua reazione morale
   del poeta di fronte al suo oggetto: è mescolato sempre alla visione
   un giudizio che modifica e altera l'espressione; biasimo,
   indignazione, disprezzo sono palesi nello stesso atteggiarsi della
   frase.

Da http://www.pubblicascuola.it/Pagine/index31.html
Jacopone da Todi
La poesia di Jacopone è tutta dominata da interessi e problemi psicologici: lo
   attesta il linguaggio, spesso assai ricco di termini astratti, di natura appunto
   psicologica e riferentesi alla vita dello spirito, e povero invece di termini
   concreti e riguardanti le cose materiali. Certe espressioni hanno un
   significato pregnante, nascono da un complesso lavorio interno e ne sono il
   segno e il risultato. Un linguaggio cosiffatto è quello di uno spirito librato in
   un'atmosfera rarefatta, preoccupato del problema della propria perfezione,
   continuamente tendente verso l'alto, e insieme attento ai propri movimenti,
   non in modo riflesso e non con l'interesse distaccato e prevalentemente
   estetico dello psicologo moderno, ma con un senso vigile, direi quasi
   esasperato, della responsabilità morale che accompagna quei movimenti. Ciò
   risulta evidente dal comparire di termini e frasi di una concretezza talvolta
   brutale: sono espressioni di dispregio per sé medesimo, o di aborrimento per
   il, peccato, che rivelano quale acuto senso Jacopone abbia del contrasto tra
   la perfezione a cui aspira e la realtà della sua vita e del mondo. Il termine
   energico, grossolano, plebeo è cercato con l'evidente scopo di dar forza
   all'espressione, e ciò accade sopra tutto nella prima sezione del laudario
   iacoponico, che contiene, come si è detto, riflessioni sul peccato, sulla vanità
   delle cose terrene, sulla morte. Nell'insistenza sul tono violento e sui termini
   spregiativi si coglie l'odio e direi quasi il rancore contro il mondo e le sue
   brutture. A volte, per es. nello sviluppo dato al tema, pure tradizionale, della
   contemplazione della morte, il particolare orrendo è rilevato con grossolana
   ironia, e sono usate espressioni di immediata efficacia rappresentativa
Jacopone da Todi
                   Donna del Paradiso
«Donna del Paradiso,
lo tuo figliolo é preso         ionta m’è adosso piena!
                                (mi è giunta la pena)
Iesù Cristo beato.
                                Cristo figlio se Mena,
    Accurre, donna e vide
                                como è annunzïato».
Che la gente l’ allide
                                    Soccurre, donna, adiuta,
(lo batte- latinismo);          cà ’l tuo figliol se sputa
Credo che lo s’ occide,         e la gente lo muta;
Tanto l’ò flagellato»           òlo dato a Pilato».
    «Como essere porria,         «O Pilato, non fare
che non fece follia,            el figlio meo tormentare,
Cristo, la spene mia,           ch’ eo te pòzzo mustrare
om l’avesse pigliato?»          como a torto è accusato».
    «Madonna, ello è traduto,       «Crucifige, crucifige!
Iuda si ll’à venduto;           Omo che se fa rege, (29)
Trenta denar’ n’à avuto,        secondo la nostra lege
Fatto n’à gran mercato».        contradice al senato».
«Soccurri, Madalena,
Jacopone da Todi
                            Donna del Paradiso
                                        che la gente l’aduce
«Prego che mm’entennate,
                                        (che la gente porta)
(m’intendiate –intendiate il mio dolo
     di madre)                          ove la vera luce deve essere levato».
nel meo dolor pensate!
Forsa mo vo mutate                       (52) «O croce, e que farai?
de que avete pensato».                  El figlio meo torrai?
     «Traìan for li latruni,            come tu poniari
che sian soi compagnuni;                chi non há in sé peccato?»
che spine s’ encoroni                   (fare attenzione al nesso croce-
                                            innocenza, nucleo dottrinale
che rege ss’è clamato!».                    della passione de della
O figlio, figlio, figlio,                   redenzione)
figlio, amoroso giglio!                 (60) «Soccurre, piena di doglia,
Figlio, chi dà consiglio                ca ’l tuo figlio se spoglia;
al cor me’ angustïato?                  la gente par che voglia
     Figlio occhi iocundi,              che sia martirizzato».
figlio, co' non respundi?                   «Se i tollet’ el vestire,
    Figlio, perché t’ascundi            lassatelme vedere,
al petto o’ sì lattato?»                com’ em crudel firire
(48)    «Madonna, ecco la Croce,        tutto l’ ò ensanguenato».
Jacopone da Todi
                 Donna del Paradiso
                                    figlio meo dilicato?
«Donna, la man li è presa,          Meglio averiano fatto
ennella croc’è stesa;               ch’el cor m’ avesser tratto,
con un bollon l’ò fesa,             ch’ ennella Croce è tratto,
(con un chiodo l’hanno traffitta)   stace descilïato!»
tanto lo’n cci ò ficcato            (straziato)
L´altra manno se prende,            «O mamma, ove si’ venuta
ennella Croce se stende             mortal me dai feruta,
e lo dolor s’accende,               cà ’l tuo planger me stuta,
ch’è plu multiplicato.              che ’l veio sì afferato».
     Donna, li pè se prènno         (Il tuo pianto m’uccide perché è così
e clavallanse al lenno;                   angosciato)
onne iontur’aprenno,                     «Figlio, ch’eo m’aio anvito
tutto l’ò sdenodato».               (figlio io ne ho ben ragione per
                                          piangere)
 (76) «Et eo comenzo el corrotto
                                    figlio, pat’ e mmarito!
(lamento funebre);
                                    Figlio, chi tt’à ferito?
figlio, lo meo deporto (gioia),
                                    Figlio, chi tt’à spogliato?»
figlio, chi me tt’à morto,
Jacopone da Todi
                Donna del Paradiso
                                    (104)     «Mamma col core afflitto,
«Mamma,     perché te lagni?        entro le man te metto
Voglio che tu remagni,              de Ioanni, meo eletto;
che serve ei mei compagni           si atuo figlio appellato.
ch’ al mondo aio acquistato».        Ioanni, èsto mea mate:
    «Figlio questo non dire!
                                    tollita en caritate,
Voglio teco morire,
                                    àginne pietate,
non me voglio partire
fin che mo m’ esce ’l fiato.
                                    cà ’l core sì à furato». (111)
    C’ una aiam sepoltura,          (traffitto dal dolore)
(Che abbiamo un’unica sepoltuta)        «Figlio, t’ alma t’ è scita,
figlio de mamma scura (infelice),   (è uscita da te)
trovarse en afrantura               figlio de la smarrita,
(che si trovano nella stessa        figlio de la sparita, (disperata)
    sofferenza)                     figlio attossecato! (avvelenato)
mat’ e figlio affocato!» (ucciso)
Jacopone da Todi
               Donna del Paradiso
                               malamente trattato.
Figlio bianco e vermiglio,         Ioanni, figlio novello,
figlio senza simiglio,         mort’è lo tuo fratello:
                               ora sento ’l coltello
figlio, e a chi m’ apiglio?    (metonimia per ferita)
Figlio, pur m’ ai lassato!     (131) *che fo profetizzato.
     Figlio bianco e biondo,       Che moga figlio e mate
                               d’ una morte afferrate,
figlio volto iocondo,          trovarse abraccecate
figlio, perché t’à ’l mondo,   mate e figlio impiccato!»
figlio, così sprezzato?        (appeso alla croce, crocefisso
     Figlio dolze e placente   * che fo profetizzato. – riferimento alla
                                   profezia di Simeone che visto Gesù
(dolce e piacente – bello )        bambino, aveva detto: ”Quanto a te
                                   Maria, il dolore ti colpirà come
figlio de la dolente,              colpisce una spada) Luperini, p.39
figlio àte la gente
Jacopone da Todi
                     Donna del Paradiso
Scelte stilistiche                         struttura sintattica – prevalenza
                                              della coordinazione,
                                              specialmente per assindeto.
Stuta e lagni – questi termini usati da
   Cristo sono forme popolari,                riccorenza dell’asindeto .
   famigliari
                                            uso quasi ossessivo del
Crucifige, rege, lege sono latinismi,        vocativo anaforico figlio. (33
   sono di derivazione colte.                volte nel dialogo fra madre e
                                             figlio). Cristo, a sua volta,
Invece sputa, latruni, cumpagnuni            ripete tre volte il vocativo
   fanno parte del lessico realistico di     Mamma. L’anafora e
   impronta popolare.                        l’iterazione creano il pathos
                                             della lauda.
Da notare anche l’intonazione della         frasi esclamative col verbo
   voce di Cristo, dall’alto non solo        all’infinito
   della croce, ma di un mondo ormai        lessico fra il dotto e il popolare
   lontano da questo terreno,
   appartiene a una dimensione               allo stesso tempo (latinismi nel
   soprannaturale.                           discorso del Nunzio e della
                                             folla e locuzini quotidiane in
                                             quelle di Cristo e della
                                             madonna)
Jacopone da Todi
                Donna del Paradiso
Jacopone sposta l’attenzione della   Abbiamo un uomo e una donna che
   figura di Cristo a quella di         soffrono come qualsiasi altro
   Maria, rappresentata come            essere umano. Si veda qui
   una madre che grida la sua           l’influenza francescana che
                                        valorizza gli aspetti umani delle
   disperazione per la morte del        situazioni.
   figlio. Maria viene chiamata
   donna, madonna, piena di
   doglia, dolente e mamma..
                                     L'itinerario che porta a Dio è un
                                          cammino di amore e di dolore, una
La rappresentazione di Maria              lotta aspra e continua contro le
   come mamma addolorata e di             tentazioni del mondo e i bassi
   Gesù come uomo agonizzante             appetiti della natura umana
   (c’è un unico punto in cui             (Casella).
   l’autore si riferisce a Cristo
   come Dio) fornisce gli aspetti    Anche la posizione apparentemente
   umani della passione.                più rigoristica, quella mistica,
                                        appare in realtà solo un mondo
                                        intellettuale particolare di
                                        impostare i rapporti tra cultura e
                                        natura/esistenza.
Jacopone da Todi
                Donna del Paradiso
Al centro dell’attenzione stanno l’umana sofferenza della Madonna e la
   sua intesa materna e carnale con il figlio crocefisso. L’esperienza
   della morte di Cristo non è glorificata astratamente, ma
   rappresentata come estrema condizione del dolore umano: la
   radicalità di Jacopone qui non determina un’esaltazione della
   natura divina morente, ma amplia al massimo il campo dell’umanità
   sua e dei suoi rapporti. La madre Maria è lo specchio terreno e il
   fulcro di questo legame dei due misteri della Passione e
   dell’Incarnazione: con perfetta consapevolezza teologica e dottrinale,
   e non certo per rozza intuizione di sentimenti, come è stato spesso
   ritenuto, Jacopone fonde nella figura della Madonna i due termini
   coinvolti nel grande mito cristiano. Ella è il doppio terreno di Cristo
   (cfr.vv. 132-135 - Che moga figlio e mate/ d’ una morte afferrate,/
   trovarse abraccecate/ mate e figlio impiccato), con la sua purezza, e
   perciò degna di un rapporto di fusione con Dio, e con la sua
   sofferenza; ed è un modello di umanità redenta, segnata dalla svolta
   definitiva della Passione e affidata alla continuità della lezione
   evangelica (cfr.vv. 104-111 e 128 sg). L’aspetto ‘teatrale’ è conforme
   alla volontà francescana di messaggio cristiano e di partecipazione
   popolare ad esso... (Romano Luperini)
JACOPONE DA TODI
La poesia di Jacopone testimonia una
   continua e tormentosa battaglia
   nell’animo suo, nella ricerca di una
   fusione mistica con Dio, che è un
   morire a se stessi e al mondo. Solo
   attraverso l’abominio e l’odio di sé,
   del suo corpo, della sua anima, della
   vita intera, solo mediante questa
   totale distruzione e suprema
   disperazione egli pensava di potersi
   liberare dalla natura umana misera e
   peccaminosa e giungere al vero,
   supremo amore di Dio, una
   travolgente, inebriante esperienza
   mistica. Jacopone tendeva a questa
   assoluta e lacerante solitudine, a non
   essere più un io, povero grumo di
   orgoglio, egoismo e passione; era
   pessimista di fronte al mondo che
   non vedeva come armoniosa
   creazione di Dio, ma insozzato e
   corrotto dal peccato, pessimista
   davanti agli uomini che sentiva
   incapaci d’ amare.” (Pazzaglia, p.152)

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  • 3. JACOPONE DA TODI E morì nel convento di S. Lorenzo di Collazzone (fra Perugia e Todi) nel 1306
  • 4. VITA JACOPONE DA TODI Studiò diritto a Bologna, poi ritornò nella sua città dove fu avvocato e notaio. Nel 1268, durante una festa, gli morì la moglie, in seguito al crollo del pavimento della sala, e Jacopo scoprì, sotto le eleganti vesti di lei, uno strumento di penitenza, il cilizio. Sconvolto Jacopo abbandonò ogni cosa, professione, parenti, amici, distribuì ai poveri ogni suo avere e visse per dieci anni vita di penitente. Le sue penitenze sono piuttosto esasperate, assurde. Dopo 10 anni fu ammesso nell’ordine francescano (era partidario degli Spirituali) e qui studiò teologia e compose le sue laudi.
  • 5. JACOPONE DA TODI E LO SPIRITO DI LIBERTÀ Probabilmente nato nel XII secolo, lo materiale e spirituale: il processo "Spirito di Libertà" si diffuse in Europa portava infine all'indiamento, cioè nel secolo successivo, con dottrine che il raggiungimento di Dio e la totale facilmente si integravano nella mistica tradizionale; il fermento religioso era identificazione con lui. Dunque vivo nell'alto Medioevo, ma spesso l'anima doveva annullarsi per poi fioriva con gruppi spontanei che la fondersi con Dio: a questo punto Chiesa poteva non riconoscere o era impeccabile, ferma in una ostacolare, al fine di evitare deviazioni sorta di paradiso sulla terra. Idea dalla regola, sbandi anarchici dal che non rientrava più controllo dell'ordine ufficiale. nell'ortodossia cristiana e non Nel 1311, il movimento fu quindi accusato poteva esser accettata dalla di eresia dal concilio di Vienna, Chiesa. nell'ambito della condanna dei "begardi", corrispondenti agli italiani Iacopone da Todi condusse "bizzochi" (cioè penitenti al di fuori della la vita del bizzoco per circa dieci Chiesa ufficiale), tra i quali le idee del anni, quindi era probabilmente Libero Spirito avevano preso piede. venuto a contatto con le idee dello La dottrina del Libero Spirito, al di là delle Spirito della Libertà. In particolare posizioni moderate o estremiste dei vari alcune laude appaiono influenzate gruppi, insisteva su un momento dalla dottrina: ascetico iniziale di mortificazione, digiuno, povertà Povertat'è null'avere e nulla cosa poi volere Da http://www.iacoponetodi.it/it e onne cosa possedere en spirito de libertate...
  • 6. BONIFACIO VIII Benedetto Caetani, nato ad Anagni nel 1235, fu eletto Papa col nome di Bonifacio VIII, il giorno della vigilia di Natale del 1294 dal Conclave radunatosi nel Castelnuovo di Napoli, in base alla costituzione di Gregorio X sull'elezione pontificia, dieci giorni dopo il "gran rifiuto" di Celestino V. Il suo papato durò dal 1294-1303 Il primo, vero e proprio, atto politico di Bonifacio VIII fu quello di ratificare il trattato (precedentemente vergato da Celestino V) tra Carlo II e Giacomo II d'Aragona, in base al quale la Sicilia si sarebbe riunita al regno angioino.
  • 7. BONIFACIO VIII Nella bolla Clericis laicos, emessa Anche in Italia Bonifacio VIII avrebbe nel 1296, minacciò di dovuto fare i conti con l'ostilità di scomunicare i laici che avessero alcuni membri dell'aristocrazia imposto tasse agli ecclesiastici, romana, in particolare con la famiglia Colonna: i due cardinali senza il consenso della Chiesa di Giacomo e Pietro dichiararono Roma. In Germania e in nulla la sua elezione e montarono Inghilterra i sovrani si contro il papa un'opposizione sia uniformarono a tale da parte del popolo che del clero, disposizione; in Francia, invece, che si estese anche all'ordine degli il re Filippo il Bello emanò due Spirituali Francescani, il cui editti contrari, con portavoce, Jacopone da Todi, l'approvazione dei vescovi inveì contro Bonifacio VIII francesi. chiamandolo "novello anticristo". Davanti a tale irrigidimento, che Jacopone lottò contro l'esercito avrebbe potuto portare a papale, ma fu catturato dai suoi Bonifacio VIII gravi ripercussioni eserciti nel 1298,nel suo rifugio economiche, autonomistiche e alla Rocca Palestrina. Lui fu politiche, il pontefice fece incarcerato, scomunicato e rimase retromarcia, autorizzando il re a in prigione fino alla morte del papa. riscuotere le imposte del clero Da: solo in casi di emergenza. http://www.racine.ra.it/lcalighieri/Giubileo/bonif acio_viii.htm
  • 8. O papa Bonifazio Jacopone scrisse durante la priogionia (1298-1303) questa epistola in versi, ardente supplica a papa Bonifazio VIII perché lo liberi dalla scomunica, ma fa, al tempo stesso una dignitosa e forte affermazione della propria innocenza e della propria inalterata Bonifacio VIII invia Carlo di Valois in delegazione dalle fazioni e autentica professione guelfe", 1301, miniatura di scuola di vita cristina. fiorentina - Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana
  • 9. O papa Bonifazio O papa Bonifazio, non de questa materia, eo porto el tuo prefazio ma d’altro modo prelia. e la maledezzone Si tu sai sì schirmire e scommunicazione. che me sacci ferire, Con la lengua forcuta tengote bene esperto, m’hai fatta esta feruta: si me fieri a scoperto: che co la lengua ligne c’aio dui scudi a collo, e la piaga ne stigne; e s’io no i me ne tollo, ca questa mia ferita per secula infinita non pò esser guarita mai non temo ferita. per altra condezione El primo scudo, sinistro, senza assoluzïne. l’altro sede al deritto. Per grazïa te peto Lo sinistro scudato, che me dichi: “Absolveto”, un diamante aprovato: e le altre pene me lassi nullo ferro ci aponta, finch’io del mondo passi. tanto c’è dura pronta: Puoi, si te vuol provare quest’è l’odïo mio, e meco esercetare, ionto a l’onor di Dio.
  • 10. O papa Bonifazio Lo deritto scudone, d’una preta en carbone, ignita como fuoco d’uno amoroso ioco: lo prossimo en amore d’uomo enfocato ardore. Si te vòi fare ennante, puo’lo provar ’n estante; e quando vol’ t’abrenca, ch’e’ co l’amar non venca. Volentier te parlara: credo che te iovara. Vale, vale, vale, Deo te tolla onne male e dìemole per grazia, ch’io el porto en leta fazia. Finisco lo trattato en questo loco lassato.
  • 11. JACOPONE DA TODI La poesia e il rapporto con la scienza  La scelta umile del dialetto umbro popolare nelle laudi, è accompagnata comunque dal bagaglio intellettuale del poeta: termini attinti dal latino ecclesiastico, dal gergo giuridico, e dalla lirica d'amore arricchiscono l'opera di Iacopone, insieme alla tensione espressiva unica e a varie scelte originali, come quella della drammatizzazione.  Forse proprio a Iacopone si deve il primo esempio di Lauda drammatica, o dialogata: una delle sue laudi più famose "Donna de Paradiso", è un intreccio di voci che si soffermano sull'umana sofferenza della Madonna, la sua intesa materna e carnale con il figlio crocefisso.  L'interesse negli studi teologici è in apparente contraddizione con la polemica tipica degli Spirituali dell'ordine francescano nei confronti della scienza: in realtà l'oggetto della contestazione non è l'istruzione in sé, ma il desiderio di gloria legato alla fama di cultura. Quindi la critica di Iacopone si concentra contro tutto ciò che cancella l'umiltà, pilastro della vita dei francescani anche nell'ambito dello studio.  Da http://www.iacoponetodi.it/it
  • 12. JACOPONE DA TODI O iubelo de core Il concetto del giubilo d’amore si Metro trova già in Bernardo di Schema di ballata (x x, a b, b x, Ventadorn. ...è l’amore che tutti settenari; la rima si ripete rende buono il canto, dice Bernardo; è il giubilo che obbliga uguale nelle strofe II e III (-e l’uomo a cantare, dice jacopone. so); quella b (-are) nelle strofe I e II; assonanza, come Il motivo non per nulla si ritrova succede spesso in Jacopone ai nello Stil Novo e in Dante, ma vv. 3-5 e 21-23; rima siciliana mentre Jacopone esclude, teoricamente, la nozione stessa di (éso—iso) ai vv. 15-17. Anche a una mediazione (la cultura livello metrico dunque un evidentemente), negli stilvovisti e intreccio fra il registro in Dante l’accento poggia “popolare” ( le assonanze) e pariteticamente sui due aspetti: procedimenti tipici della poesia amore e sua trascrizione partica cortese (le rime-refrain e la (“Amore ha fabricato ciò ch’io rima siciliana)... limo”, Cavalcanti; “...e a quel modo/ ch’è [Amore] ditta dentro vo significando” , Dante). Da ASOR ROSA, A. La poesia del Duecento e Dante. Firenze: La Da ASOR ROSA, A. La poesia del Duecento Nuova Italia, 1974, p.77 e Dante. Firenze: La Nuova Italia, 1974, p.77
  • 13. JACOPONE DA TODI O iubelo de core O iubelo de core, Quanno iubelo à preso (15) che fai cantar d'amore! lo core ennamorato, Quanno iubel se scalda, la gente l'à 'n deriso, sì fa l'omo cantare; cantare pensanno el so parlato, e la lengua barbaglia, (5) parlanno esmesurato non sa que se parlare; de que sente calore. (20) drento no 'l pò celare O iubel, dolce gaudio, (tant'è granne!) el dolzore. ch'è' drento ne la mente! Lo cor deventa savio, Quanno iubel c'è aceso, celar so convenente; sì fa l'omo clamare; (10) non pò esser soffrente(25) lo cor d'amor è apreso, che non faccia clamore. che no 'l pò comportare; Chi non à custumanza stridenno el fa gridare te reputa empazzito, e non virgogna allore vedenno esvalianza com'om ch'è desvanito. (30) Drent'à lo cor firito, non se sente de fore
  • 14. JACOPONE DA TODI O iubelo de core La lauda si sviluppa parallelamente su due assi: l’esperienza intimamente vissuta e ciò che ne appare al di fuori. Vista dall’interno, la gioia mistica espressa dalla metafora del cuore che si infiamma sempre più (vv. 3,9,15), è presentata come un’esperienza intima e profonda (v.22) da condurre alla perdita di contatto con il mondo (vv. 31,12) Nelle sue manifestazioni esterne si presenta come uma progressione verso la follia, che trapassa dal cantare (v.4 al balbettare (v.5), dal gridare (vv.10 e 13) al non provare alcuna vergogna (v. 14) e al diventare oggetto di scherno (v. 17) dal “far clamore” (v. 26) all’apparire impazzito (vv. 27-30). Da ARMELLINI,G. E COLOMBO, A. La letteratura italiana. Antologia. Duecento e Trecento. Vol. I. Bologna:Zanichelli, 1999, p. 105
  • 15. JACOPONE DA TODI Questo parlare/ cantrare/gridare La carità, che non permette diventa allora um crescente all’uomo di salvarsi da solo è... atto d’umiltà e un modo di la ragione e la sostanza stessa esercitare la caritas, secondo la dell’umiltà. L’umiltà, infatti, concessione di San Bernardo, si manifesta realmente solo come uno dei maestri di Jacopone e comunicazione: l’incarnazione che pregava: “ colui il quale, del cristo... Rappresenta lo preoccupato di non perdere il svolgimento esemplare di suo bene, non lo partecipa, lo questo tema: l’umiltà del Dio dissolve e distrugge che s’incarna trova la sua nell’egoismo. Per S. bernardo, ragione nell’amore per gli la solidarietà umana, l’unità uomini...” (Lazzari apud ASOR dei compagni di viaggio nel ROSA, A. La poesia del Duecento e cammino dell’esistenza Dante. Firenze: La Nuova Italia, 1974, attraverso il tempo e l’eterno, p.75) esige la predicazione...
  • 16. JACOPONE DA TODI O Segnor, per cortesia Non solo per eccesso e sovrabbondanza di amore verso Dio Jacopone invoca su di sé ogni male, non solo per distaccarsi dal corpo e concepire quell’odio del mondo che condizione prima di rinovamento del mistico amore, ma anche, come spiega alla fine, per espiare quei peccati coi quali anch’egli, come ogni peccatore ha crocefisso Cristo, amore supremo. Jacopone invoca su di sé ogni infermità, poi di essere abbandonato da tutti, colpito da ogni sorta di sciagura, sia in questa vita, sia dopo la morte. È un crescendo di fantasie cupe, scandite con un ritmo implacabile, un desiderio di atroce dissolvimento, che sfocia sul grido di dolore e pentimento, più umanamente persuasivo, dell’ultima quartina (Pazzaglia, p. 153)
  • 17. Jacopone da Todi O Segnor, per cortesia O Segnor, per cortesia Aia ‘l fegato rescaldato manname la malsanìa! la milza grossa, el ventre enfiato; A me la fevre quartana lo polmone sia piagato la contina e la terzana, con gran tossa e parlasìa. la doppia cotidiana A me venga le fistelli co la grande etropesìa. con migliaia di carboncelli, A me venga mal de denti, e li granchi siano quelli mal de capo e mal de ventre, che tutto ripien ne sia. a lo stomaco dolor pungente A me venga la podagra, e’n canna la squintania; mal di ciglia sì m’aggrava, mal de occhi e doglia di fianco la dissinteria sia piaga e l’apostema al canto manco e l’emorroide a me se dia. tiseco me ionga el alco, A me venga el mal del asmo, e d’onne tempo la frenosia. iongasece quel del pasmo; como al can me venga el rasmo ed en vocca la grancìa.
  • 18. Jacopone da Todi O Segnor, per cortesia A me lo morbo caduco Gelo granden, tempestate de cadere en acqua e’n foco, fulgure, troni e oscuritate: e ià mai non trovi loco non sia nulla avversitate, ch’eo afflitto non ce sia. che non me aia in sua bailia. A me venga cechitate, Glie demonia enfernali muteza e sordetate, sì me sian dati a ministrali, la miseria e povertate, che m’esserciten li mali, e d’onne tempo attrapparìa. c’ho lucrati a mia follia. Tanto sia el fetor fetente, Enfin del mondo a la finita che non sia null’om vivente, sì mi duri questa vita, che non fuga da me dolente e poi la sceverita, posto en tanta enfermarìa. dura morte me se dia. Alegome en En terrebele fossato sepoltura che Regoverci è nomenato, ventre de lupo en voratura, loco sia abbandonato, e l’arliquie e cacatura da onne bona compagnia. en espineta e rosarìa.
  • 19. Jacopone da Todi O Segnor, per cortesia Alegome en sepoltura sì se deia stupefare, ventre de lupo en voratura, co la croce sé signare che rio scontro no i sia en via. e l’arliquie e cacatura Segnor mio, non è vendetta en espineta e rosarìa. Li tutta la pena c’ho detta: miracul po’la morte: chè me creasti en tua diletta chi ce ven aia le scorte, e eo t’ho morto a villania. e le vessazione forte con terrebel fantasia. Onn’om che m’ode mentuvare,
  • 20. Jacopone da Todi Il senso del contrasto morale atteggia tutto per antitesi e contraddizioni, che sono cosí accostamenti di espressioni contrastanti per tono, come di termini di significato contrario. La stessa sintassi jacoponica, che costituisce indubbiamente una delle maggiori difficoltà del testo, è prova di una psicologia inquieta e combattuta: la prevalenza della coordinazione asindetica sulla subordinazione, che dà un andamento spezzato all'espressione e i cambiamenti di costruzione denunciano la continua reazione morale del poeta di fronte al suo oggetto: è mescolato sempre alla visione un giudizio che modifica e altera l'espressione; biasimo, indignazione, disprezzo sono palesi nello stesso atteggiarsi della frase. Da http://www.pubblicascuola.it/Pagine/index31.html
  • 21. Jacopone da Todi La poesia di Jacopone è tutta dominata da interessi e problemi psicologici: lo attesta il linguaggio, spesso assai ricco di termini astratti, di natura appunto psicologica e riferentesi alla vita dello spirito, e povero invece di termini concreti e riguardanti le cose materiali. Certe espressioni hanno un significato pregnante, nascono da un complesso lavorio interno e ne sono il segno e il risultato. Un linguaggio cosiffatto è quello di uno spirito librato in un'atmosfera rarefatta, preoccupato del problema della propria perfezione, continuamente tendente verso l'alto, e insieme attento ai propri movimenti, non in modo riflesso e non con l'interesse distaccato e prevalentemente estetico dello psicologo moderno, ma con un senso vigile, direi quasi esasperato, della responsabilità morale che accompagna quei movimenti. Ciò risulta evidente dal comparire di termini e frasi di una concretezza talvolta brutale: sono espressioni di dispregio per sé medesimo, o di aborrimento per il, peccato, che rivelano quale acuto senso Jacopone abbia del contrasto tra la perfezione a cui aspira e la realtà della sua vita e del mondo. Il termine energico, grossolano, plebeo è cercato con l'evidente scopo di dar forza all'espressione, e ciò accade sopra tutto nella prima sezione del laudario iacoponico, che contiene, come si è detto, riflessioni sul peccato, sulla vanità delle cose terrene, sulla morte. Nell'insistenza sul tono violento e sui termini spregiativi si coglie l'odio e direi quasi il rancore contro il mondo e le sue brutture. A volte, per es. nello sviluppo dato al tema, pure tradizionale, della contemplazione della morte, il particolare orrendo è rilevato con grossolana ironia, e sono usate espressioni di immediata efficacia rappresentativa
  • 22. Jacopone da Todi Donna del Paradiso «Donna del Paradiso, lo tuo figliolo é preso ionta m’è adosso piena! (mi è giunta la pena) Iesù Cristo beato. Cristo figlio se Mena, Accurre, donna e vide como è annunzïato». Che la gente l’ allide Soccurre, donna, adiuta, (lo batte- latinismo); cà ’l tuo figliol se sputa Credo che lo s’ occide, e la gente lo muta; Tanto l’ò flagellato» òlo dato a Pilato». «Como essere porria, «O Pilato, non fare che non fece follia, el figlio meo tormentare, Cristo, la spene mia, ch’ eo te pòzzo mustrare om l’avesse pigliato?» como a torto è accusato». «Madonna, ello è traduto, «Crucifige, crucifige! Iuda si ll’à venduto; Omo che se fa rege, (29) Trenta denar’ n’à avuto, secondo la nostra lege Fatto n’à gran mercato». contradice al senato». «Soccurri, Madalena,
  • 23. Jacopone da Todi Donna del Paradiso che la gente l’aduce «Prego che mm’entennate, (che la gente porta) (m’intendiate –intendiate il mio dolo di madre) ove la vera luce deve essere levato». nel meo dolor pensate! Forsa mo vo mutate (52) «O croce, e que farai? de que avete pensato». El figlio meo torrai? «Traìan for li latruni, come tu poniari che sian soi compagnuni; chi non há in sé peccato?» che spine s’ encoroni (fare attenzione al nesso croce- innocenza, nucleo dottrinale che rege ss’è clamato!». della passione de della O figlio, figlio, figlio, redenzione) figlio, amoroso giglio! (60) «Soccurre, piena di doglia, Figlio, chi dà consiglio ca ’l tuo figlio se spoglia; al cor me’ angustïato? la gente par che voglia Figlio occhi iocundi, che sia martirizzato». figlio, co' non respundi? «Se i tollet’ el vestire, Figlio, perché t’ascundi lassatelme vedere, al petto o’ sì lattato?» com’ em crudel firire (48) «Madonna, ecco la Croce, tutto l’ ò ensanguenato».
  • 24. Jacopone da Todi Donna del Paradiso figlio meo dilicato? «Donna, la man li è presa, Meglio averiano fatto ennella croc’è stesa; ch’el cor m’ avesser tratto, con un bollon l’ò fesa, ch’ ennella Croce è tratto, (con un chiodo l’hanno traffitta) stace descilïato!» tanto lo’n cci ò ficcato (straziato) L´altra manno se prende, «O mamma, ove si’ venuta ennella Croce se stende mortal me dai feruta, e lo dolor s’accende, cà ’l tuo planger me stuta, ch’è plu multiplicato. che ’l veio sì afferato». Donna, li pè se prènno (Il tuo pianto m’uccide perché è così e clavallanse al lenno; angosciato) onne iontur’aprenno, «Figlio, ch’eo m’aio anvito tutto l’ò sdenodato». (figlio io ne ho ben ragione per piangere) (76) «Et eo comenzo el corrotto figlio, pat’ e mmarito! (lamento funebre); Figlio, chi tt’à ferito? figlio, lo meo deporto (gioia), Figlio, chi tt’à spogliato?» figlio, chi me tt’à morto,
  • 25. Jacopone da Todi Donna del Paradiso (104) «Mamma col core afflitto, «Mamma, perché te lagni? entro le man te metto Voglio che tu remagni, de Ioanni, meo eletto; che serve ei mei compagni si atuo figlio appellato. ch’ al mondo aio acquistato». Ioanni, èsto mea mate: «Figlio questo non dire! tollita en caritate, Voglio teco morire, àginne pietate, non me voglio partire fin che mo m’ esce ’l fiato. cà ’l core sì à furato». (111) C’ una aiam sepoltura, (traffitto dal dolore) (Che abbiamo un’unica sepoltuta) «Figlio, t’ alma t’ è scita, figlio de mamma scura (infelice), (è uscita da te) trovarse en afrantura figlio de la smarrita, (che si trovano nella stessa figlio de la sparita, (disperata) sofferenza) figlio attossecato! (avvelenato) mat’ e figlio affocato!» (ucciso)
  • 26. Jacopone da Todi Donna del Paradiso malamente trattato. Figlio bianco e vermiglio, Ioanni, figlio novello, figlio senza simiglio, mort’è lo tuo fratello: ora sento ’l coltello figlio, e a chi m’ apiglio? (metonimia per ferita) Figlio, pur m’ ai lassato! (131) *che fo profetizzato. Figlio bianco e biondo, Che moga figlio e mate d’ una morte afferrate, figlio volto iocondo, trovarse abraccecate figlio, perché t’à ’l mondo, mate e figlio impiccato!» figlio, così sprezzato? (appeso alla croce, crocefisso Figlio dolze e placente * che fo profetizzato. – riferimento alla profezia di Simeone che visto Gesù (dolce e piacente – bello ) bambino, aveva detto: ”Quanto a te Maria, il dolore ti colpirà come figlio de la dolente, colpisce una spada) Luperini, p.39 figlio àte la gente
  • 27. Jacopone da Todi Donna del Paradiso Scelte stilistiche struttura sintattica – prevalenza della coordinazione, specialmente per assindeto. Stuta e lagni – questi termini usati da Cristo sono forme popolari, riccorenza dell’asindeto . famigliari  uso quasi ossessivo del Crucifige, rege, lege sono latinismi, vocativo anaforico figlio. (33 sono di derivazione colte. volte nel dialogo fra madre e figlio). Cristo, a sua volta, Invece sputa, latruni, cumpagnuni ripete tre volte il vocativo fanno parte del lessico realistico di Mamma. L’anafora e impronta popolare. l’iterazione creano il pathos della lauda. Da notare anche l’intonazione della  frasi esclamative col verbo voce di Cristo, dall’alto non solo all’infinito della croce, ma di un mondo ormai  lessico fra il dotto e il popolare lontano da questo terreno, appartiene a una dimensione allo stesso tempo (latinismi nel soprannaturale. discorso del Nunzio e della folla e locuzini quotidiane in quelle di Cristo e della madonna)
  • 28. Jacopone da Todi Donna del Paradiso Jacopone sposta l’attenzione della Abbiamo un uomo e una donna che figura di Cristo a quella di soffrono come qualsiasi altro Maria, rappresentata come essere umano. Si veda qui una madre che grida la sua l’influenza francescana che valorizza gli aspetti umani delle disperazione per la morte del situazioni. figlio. Maria viene chiamata donna, madonna, piena di doglia, dolente e mamma.. L'itinerario che porta a Dio è un cammino di amore e di dolore, una La rappresentazione di Maria lotta aspra e continua contro le come mamma addolorata e di tentazioni del mondo e i bassi Gesù come uomo agonizzante appetiti della natura umana (c’è un unico punto in cui (Casella). l’autore si riferisce a Cristo come Dio) fornisce gli aspetti Anche la posizione apparentemente umani della passione. più rigoristica, quella mistica, appare in realtà solo un mondo intellettuale particolare di impostare i rapporti tra cultura e natura/esistenza.
  • 29. Jacopone da Todi Donna del Paradiso Al centro dell’attenzione stanno l’umana sofferenza della Madonna e la sua intesa materna e carnale con il figlio crocefisso. L’esperienza della morte di Cristo non è glorificata astratamente, ma rappresentata come estrema condizione del dolore umano: la radicalità di Jacopone qui non determina un’esaltazione della natura divina morente, ma amplia al massimo il campo dell’umanità sua e dei suoi rapporti. La madre Maria è lo specchio terreno e il fulcro di questo legame dei due misteri della Passione e dell’Incarnazione: con perfetta consapevolezza teologica e dottrinale, e non certo per rozza intuizione di sentimenti, come è stato spesso ritenuto, Jacopone fonde nella figura della Madonna i due termini coinvolti nel grande mito cristiano. Ella è il doppio terreno di Cristo (cfr.vv. 132-135 - Che moga figlio e mate/ d’ una morte afferrate,/ trovarse abraccecate/ mate e figlio impiccato), con la sua purezza, e perciò degna di un rapporto di fusione con Dio, e con la sua sofferenza; ed è un modello di umanità redenta, segnata dalla svolta definitiva della Passione e affidata alla continuità della lezione evangelica (cfr.vv. 104-111 e 128 sg). L’aspetto ‘teatrale’ è conforme alla volontà francescana di messaggio cristiano e di partecipazione popolare ad esso... (Romano Luperini)
  • 30. JACOPONE DA TODI La poesia di Jacopone testimonia una continua e tormentosa battaglia nell’animo suo, nella ricerca di una fusione mistica con Dio, che è un morire a se stessi e al mondo. Solo attraverso l’abominio e l’odio di sé, del suo corpo, della sua anima, della vita intera, solo mediante questa totale distruzione e suprema disperazione egli pensava di potersi liberare dalla natura umana misera e peccaminosa e giungere al vero, supremo amore di Dio, una travolgente, inebriante esperienza mistica. Jacopone tendeva a questa assoluta e lacerante solitudine, a non essere più un io, povero grumo di orgoglio, egoismo e passione; era pessimista di fronte al mondo che non vedeva come armoniosa creazione di Dio, ma insozzato e corrotto dal peccato, pessimista davanti agli uomini che sentiva incapaci d’ amare.” (Pazzaglia, p.152)