1. JACOPONE DA TODI
Doris Nátia Cavallari
USP
Trabalho para fins
didáticos sem fins
lucrativos
2. JACOPONE DA TODI
Jacopo de’
Benedetti
nacque
intorno al
1236 a
Todi
3. JACOPONE DA TODI
E morì nel
convento di S.
Lorenzo di
Collazzone
(fra Perugia e
Todi) nel 1306
4. VITA
JACOPONE DA TODI
Studiò diritto a Bologna, poi ritornò
nella sua città dove fu avvocato e
notaio.
Nel 1268, durante una festa, gli morì
la moglie, in seguito al crollo del
pavimento della sala, e Jacopo
scoprì, sotto le eleganti vesti di lei,
uno strumento di penitenza, il
cilizio. Sconvolto Jacopo
abbandonò ogni cosa, professione,
parenti, amici, distribuì ai poveri
ogni suo avere e visse per dieci
anni vita di penitente. Le sue
penitenze sono piuttosto
esasperate, assurde.
Dopo 10 anni fu ammesso
nell’ordine francescano (era
partidario degli Spirituali) e qui
studiò teologia e compose le sue
laudi.
5. JACOPONE DA TODI E LO SPIRITO DI
LIBERTÀ
Probabilmente nato nel XII secolo, lo materiale e spirituale: il processo
"Spirito di Libertà" si diffuse in Europa portava infine all'indiamento, cioè
nel secolo successivo, con dottrine che il raggiungimento di Dio e la totale
facilmente si integravano nella mistica
tradizionale; il fermento religioso era identificazione con lui. Dunque
vivo nell'alto Medioevo, ma spesso l'anima doveva annullarsi per poi
fioriva con gruppi spontanei che la fondersi con Dio: a questo punto
Chiesa poteva non riconoscere o era impeccabile, ferma in una
ostacolare, al fine di evitare deviazioni sorta di paradiso sulla terra. Idea
dalla regola, sbandi anarchici dal che non rientrava più
controllo dell'ordine ufficiale. nell'ortodossia cristiana e non
Nel 1311, il movimento fu quindi accusato poteva esser accettata dalla
di eresia dal concilio di Vienna, Chiesa.
nell'ambito della condanna dei
"begardi", corrispondenti agli italiani Iacopone da Todi condusse
"bizzochi" (cioè penitenti al di fuori della la vita del bizzoco per circa dieci
Chiesa ufficiale), tra i quali le idee del anni, quindi era probabilmente
Libero Spirito avevano preso piede. venuto a contatto con le idee dello
La dottrina del Libero Spirito, al di là delle Spirito della Libertà. In particolare
posizioni moderate o estremiste dei vari alcune laude appaiono influenzate
gruppi, insisteva su un momento dalla dottrina:
ascetico iniziale di mortificazione,
digiuno, povertà Povertat'è null'avere
e nulla cosa poi volere
Da http://www.iacoponetodi.it/it e onne cosa possedere
en spirito de libertate...
6. BONIFACIO VIII
Benedetto Caetani, nato ad
Anagni nel 1235, fu eletto Papa
col nome di Bonifacio VIII, il
giorno della vigilia di Natale del
1294 dal Conclave radunatosi
nel Castelnuovo di Napoli, in
base alla costituzione di
Gregorio X sull'elezione
pontificia, dieci giorni dopo il
"gran rifiuto" di Celestino V.
Il suo papato durò dal 1294-1303
Il primo, vero e proprio, atto
politico di Bonifacio VIII fu
quello di ratificare il trattato
(precedentemente vergato da
Celestino V) tra Carlo II e
Giacomo II d'Aragona, in base
al quale la Sicilia si sarebbe
riunita al regno angioino.
7. BONIFACIO VIII
Nella bolla Clericis laicos, emessa Anche in Italia Bonifacio VIII avrebbe
nel 1296, minacciò di dovuto fare i conti con l'ostilità di
scomunicare i laici che avessero alcuni membri dell'aristocrazia
imposto tasse agli ecclesiastici, romana, in particolare con la
famiglia Colonna: i due cardinali
senza il consenso della Chiesa di Giacomo e Pietro dichiararono
Roma. In Germania e in nulla la sua elezione e montarono
Inghilterra i sovrani si contro il papa un'opposizione sia
uniformarono a tale da parte del popolo che del clero,
disposizione; in Francia, invece, che si estese anche all'ordine degli
il re Filippo il Bello emanò due Spirituali Francescani, il cui
editti contrari, con portavoce, Jacopone da Todi,
l'approvazione dei vescovi inveì contro Bonifacio VIII
francesi. chiamandolo "novello anticristo".
Davanti a tale irrigidimento, che Jacopone lottò contro l'esercito
avrebbe potuto portare a papale, ma fu catturato dai suoi
Bonifacio VIII gravi ripercussioni eserciti nel 1298,nel suo rifugio
economiche, autonomistiche e alla Rocca Palestrina. Lui fu
politiche, il pontefice fece incarcerato, scomunicato e rimase
retromarcia, autorizzando il re a in prigione fino alla morte del
papa.
riscuotere le imposte del clero Da:
solo in casi di emergenza. http://www.racine.ra.it/lcalighieri/Giubileo/bonif
acio_viii.htm
8. O papa Bonifazio
Jacopone scrisse
durante la priogionia
(1298-1303) questa
epistola in versi,
ardente supplica a
papa Bonifazio VIII
perché lo liberi dalla
scomunica, ma fa, al
tempo stesso una
dignitosa e forte
affermazione della
propria innocenza e
della propria inalterata Bonifacio VIII invia Carlo di Valois
in delegazione dalle fazioni
e autentica professione guelfe", 1301, miniatura di scuola
di vita cristina. fiorentina - Roma, Biblioteca
Apostolica Vaticana
9. O papa Bonifazio
O papa Bonifazio,
non de questa materia,
eo porto el tuo prefazio
ma d’altro modo prelia.
e la maledezzone
Si tu sai sì schirmire
e scommunicazione.
che me sacci ferire,
Con la lengua forcuta
tengote bene esperto,
m’hai fatta esta feruta:
si me fieri a scoperto:
che co la lengua ligne
c’aio dui scudi a collo,
e la piaga ne stigne;
e s’io no i me ne tollo,
ca questa mia ferita
per secula infinita
non pò esser guarita
mai non temo ferita.
per altra condezione
El primo scudo, sinistro,
senza assoluzïne.
l’altro sede al deritto.
Per grazïa te peto
Lo sinistro scudato,
che me dichi: “Absolveto”,
un diamante aprovato:
e le altre pene me lassi
nullo ferro ci aponta,
finch’io del mondo passi.
tanto c’è dura pronta:
Puoi, si te vuol provare
quest’è l’odïo mio,
e meco esercetare,
ionto a l’onor di Dio.
10. O papa Bonifazio
Lo deritto scudone,
d’una preta en carbone,
ignita como fuoco
d’uno amoroso ioco:
lo prossimo en amore
d’uomo enfocato ardore.
Si te vòi fare ennante,
puo’lo provar ’n estante;
e quando vol’ t’abrenca,
ch’e’ co l’amar non venca.
Volentier te parlara:
credo che te iovara.
Vale, vale, vale,
Deo te tolla onne male
e dìemole per grazia,
ch’io el porto en leta fazia.
Finisco lo trattato
en questo loco lassato.
11. JACOPONE DA TODI
La poesia e il rapporto con la scienza
La scelta umile del dialetto umbro popolare nelle laudi, è
accompagnata comunque dal bagaglio intellettuale del poeta:
termini attinti dal latino ecclesiastico, dal gergo giuridico, e dalla
lirica d'amore arricchiscono l'opera di Iacopone, insieme alla
tensione espressiva unica e a varie scelte originali, come quella della
drammatizzazione.
Forse proprio a Iacopone si deve il primo esempio di Lauda
drammatica, o dialogata: una delle sue laudi più famose
"Donna de Paradiso", è un intreccio di voci che si soffermano
sull'umana sofferenza della Madonna, la sua intesa materna e
carnale con il figlio crocefisso.
L'interesse negli studi teologici è in apparente contraddizione con la
polemica tipica degli Spirituali dell'ordine francescano nei confronti
della scienza: in realtà l'oggetto della contestazione non è l'istruzione
in sé, ma il desiderio di gloria legato alla fama di cultura. Quindi la
critica di Iacopone si concentra contro tutto ciò che cancella
l'umiltà, pilastro della vita dei francescani anche nell'ambito dello
studio.
Da http://www.iacoponetodi.it/it
12. JACOPONE DA TODI
O iubelo de core
Il concetto del giubilo d’amore si
Metro trova già in Bernardo di
Schema di ballata (x x, a b, b x, Ventadorn. ...è l’amore che
tutti settenari; la rima si ripete rende buono il canto, dice
Bernardo; è il giubilo che obbliga
uguale nelle strofe II e III (-e l’uomo a cantare, dice jacopone.
so); quella b (-are) nelle strofe
I e II; assonanza, come Il motivo non per nulla si ritrova
succede spesso in Jacopone ai nello Stil Novo e in Dante, ma
vv. 3-5 e 21-23; rima siciliana mentre Jacopone esclude,
teoricamente, la nozione stessa di
(éso—iso) ai vv. 15-17. Anche a una mediazione (la cultura
livello metrico dunque un evidentemente), negli stilvovisti e
intreccio fra il registro in Dante l’accento poggia
“popolare” ( le assonanze) e pariteticamente sui due aspetti:
procedimenti tipici della poesia amore e sua trascrizione partica
cortese (le rime-refrain e la (“Amore ha fabricato ciò ch’io
rima siciliana)... limo”, Cavalcanti; “...e a quel
modo/ ch’è [Amore] ditta dentro
vo significando” , Dante).
Da ASOR ROSA, A. La poesia del
Duecento e Dante. Firenze: La
Da ASOR ROSA, A. La poesia del Duecento
Nuova Italia, 1974, p.77 e Dante. Firenze: La Nuova Italia, 1974,
p.77
13. JACOPONE DA TODI
O iubelo de core
O iubelo de core, Quanno iubelo à preso (15)
che fai cantar d'amore! lo core ennamorato,
Quanno iubel se scalda, la gente l'à 'n deriso,
sì fa l'omo cantare;
cantare pensanno el so parlato,
e la lengua barbaglia, (5) parlanno esmesurato
non sa que se parlare; de que sente calore. (20)
drento no 'l pò celare O iubel, dolce gaudio,
(tant'è granne!) el dolzore. ch'è' drento ne la mente!
Lo cor deventa savio,
Quanno iubel c'è aceso, celar so convenente;
sì fa l'omo clamare; (10) non pò esser soffrente(25)
lo cor d'amor è apreso, che non faccia clamore.
che no 'l pò comportare; Chi non à custumanza
stridenno el fa gridare te reputa empazzito,
e non virgogna allore vedenno esvalianza
com'om ch'è desvanito. (30)
Drent'à lo cor firito,
non se sente de fore
14. JACOPONE DA TODI
O iubelo de core
La lauda si sviluppa parallelamente su
due assi: l’esperienza intimamente
vissuta e ciò che ne appare al di
fuori.
Vista dall’interno, la gioia mistica
espressa dalla metafora del cuore
che si infiamma sempre più (vv.
3,9,15), è presentata come
un’esperienza intima e profonda
(v.22) da condurre alla perdita di
contatto con il mondo (vv. 31,12)
Nelle sue manifestazioni esterne si
presenta come uma progressione
verso la follia, che trapassa dal
cantare (v.4 al balbettare (v.5), dal
gridare (vv.10 e 13) al non provare
alcuna vergogna (v. 14) e al
diventare oggetto di scherno (v. 17)
dal “far clamore” (v. 26) all’apparire
impazzito (vv. 27-30).
Da ARMELLINI,G. E COLOMBO, A. La letteratura
italiana. Antologia. Duecento e Trecento. Vol. I.
Bologna:Zanichelli, 1999, p. 105
15. JACOPONE DA TODI
Questo parlare/ cantrare/gridare La carità, che non permette
diventa allora um crescente all’uomo di salvarsi da solo è...
atto d’umiltà e un modo di la ragione e la sostanza stessa
esercitare la caritas, secondo la dell’umiltà. L’umiltà, infatti,
concessione di San Bernardo, si manifesta realmente solo come
uno dei maestri di Jacopone e comunicazione: l’incarnazione
che pregava: “ colui il quale, del cristo... Rappresenta lo
preoccupato di non perdere il svolgimento esemplare di
suo bene, non lo partecipa, lo questo tema: l’umiltà del Dio
dissolve e distrugge che s’incarna trova la sua
nell’egoismo. Per S. bernardo, ragione nell’amore per gli
la solidarietà umana, l’unità uomini...” (Lazzari apud ASOR
dei compagni di viaggio nel ROSA, A. La poesia del Duecento e
cammino dell’esistenza Dante. Firenze: La Nuova Italia, 1974,
attraverso il tempo e l’eterno, p.75)
esige la predicazione...
16. JACOPONE DA TODI
O Segnor, per cortesia
Non solo per eccesso e sovrabbondanza di amore verso Dio
Jacopone invoca su di sé ogni male, non solo per distaccarsi
dal corpo e concepire quell’odio del mondo che condizione
prima di rinovamento del mistico amore, ma anche, come
spiega alla fine, per espiare quei peccati coi quali anch’egli,
come ogni peccatore ha crocefisso Cristo, amore supremo.
Jacopone invoca su di sé ogni infermità, poi di essere
abbandonato da tutti, colpito da ogni sorta di sciagura, sia in
questa vita, sia dopo la morte. È un crescendo di fantasie
cupe, scandite con un ritmo implacabile, un desiderio di
atroce dissolvimento, che sfocia sul grido di dolore e
pentimento, più umanamente persuasivo, dell’ultima
quartina (Pazzaglia, p. 153)
17. Jacopone da Todi
O Segnor, per cortesia
O Segnor, per cortesia Aia ‘l fegato rescaldato
manname la malsanìa! la milza grossa, el ventre enfiato;
A me la fevre quartana lo polmone sia piagato
la contina e la terzana, con gran tossa e parlasìa.
la doppia cotidiana A me venga le fistelli
co la grande etropesìa. con migliaia di carboncelli,
A me venga mal de denti, e li granchi siano quelli
mal de capo e mal de ventre, che tutto ripien ne sia.
a lo stomaco dolor pungente A me venga la podagra,
e’n canna la squintania; mal di ciglia sì m’aggrava,
mal de occhi e doglia di fianco la dissinteria sia piaga
e l’apostema al canto manco e l’emorroide a me se dia.
tiseco me ionga el alco, A me venga el mal del asmo,
e d’onne tempo la frenosia. iongasece quel del pasmo;
como al can me venga el rasmo
ed en vocca la grancìa.
18. Jacopone da Todi
O Segnor, per cortesia
A me lo morbo caduco Gelo granden, tempestate
de cadere en acqua e’n foco, fulgure, troni e oscuritate:
e ià mai non trovi loco non sia nulla avversitate,
ch’eo afflitto non ce sia. che non me aia in sua bailia.
A me venga cechitate, Glie demonia enfernali
muteza e sordetate, sì me sian dati a ministrali,
la miseria e povertate, che m’esserciten li mali,
e d’onne tempo attrapparìa. c’ho lucrati a mia follia.
Tanto sia el fetor fetente, Enfin del mondo a la finita
che non sia null’om vivente, sì mi duri questa vita,
che non fuga da me dolente e poi la sceverita,
posto en tanta enfermarìa. dura morte me se dia. Alegome en
En terrebele fossato sepoltura
che Regoverci è nomenato, ventre de lupo en voratura,
loco sia abbandonato, e l’arliquie e cacatura
da onne bona compagnia. en espineta e rosarìa.
19. Jacopone da Todi
O Segnor, per cortesia
Alegome en sepoltura sì se deia stupefare,
ventre de lupo en voratura, co la croce sé signare
che rio scontro no i sia en via.
e l’arliquie e cacatura
Segnor mio, non è vendetta
en espineta e rosarìa. Li tutta la pena c’ho detta:
miracul po’la morte: chè me creasti en tua diletta
chi ce ven aia le scorte,
e eo t’ho morto a villania.
e le vessazione forte
con terrebel fantasia.
Onn’om che m’ode
mentuvare,
20. Jacopone da Todi
Il senso del contrasto morale atteggia tutto per antitesi e contraddizioni,
che sono cosí accostamenti di espressioni contrastanti per tono,
come di termini di significato contrario.
La stessa sintassi jacoponica, che costituisce indubbiamente una delle
maggiori difficoltà del testo, è prova di una psicologia inquieta e
combattuta: la prevalenza della coordinazione asindetica sulla
subordinazione, che dà un andamento spezzato all'espressione e i
cambiamenti di costruzione denunciano la continua reazione morale
del poeta di fronte al suo oggetto: è mescolato sempre alla visione
un giudizio che modifica e altera l'espressione; biasimo,
indignazione, disprezzo sono palesi nello stesso atteggiarsi della
frase.
Da http://www.pubblicascuola.it/Pagine/index31.html
21. Jacopone da Todi
La poesia di Jacopone è tutta dominata da interessi e problemi psicologici: lo
attesta il linguaggio, spesso assai ricco di termini astratti, di natura appunto
psicologica e riferentesi alla vita dello spirito, e povero invece di termini
concreti e riguardanti le cose materiali. Certe espressioni hanno un
significato pregnante, nascono da un complesso lavorio interno e ne sono il
segno e il risultato. Un linguaggio cosiffatto è quello di uno spirito librato in
un'atmosfera rarefatta, preoccupato del problema della propria perfezione,
continuamente tendente verso l'alto, e insieme attento ai propri movimenti,
non in modo riflesso e non con l'interesse distaccato e prevalentemente
estetico dello psicologo moderno, ma con un senso vigile, direi quasi
esasperato, della responsabilità morale che accompagna quei movimenti. Ciò
risulta evidente dal comparire di termini e frasi di una concretezza talvolta
brutale: sono espressioni di dispregio per sé medesimo, o di aborrimento per
il, peccato, che rivelano quale acuto senso Jacopone abbia del contrasto tra
la perfezione a cui aspira e la realtà della sua vita e del mondo. Il termine
energico, grossolano, plebeo è cercato con l'evidente scopo di dar forza
all'espressione, e ciò accade sopra tutto nella prima sezione del laudario
iacoponico, che contiene, come si è detto, riflessioni sul peccato, sulla vanità
delle cose terrene, sulla morte. Nell'insistenza sul tono violento e sui termini
spregiativi si coglie l'odio e direi quasi il rancore contro il mondo e le sue
brutture. A volte, per es. nello sviluppo dato al tema, pure tradizionale, della
contemplazione della morte, il particolare orrendo è rilevato con grossolana
ironia, e sono usate espressioni di immediata efficacia rappresentativa
22. Jacopone da Todi
Donna del Paradiso
«Donna del Paradiso,
lo tuo figliolo é preso ionta m’è adosso piena!
(mi è giunta la pena)
Iesù Cristo beato.
Cristo figlio se Mena,
Accurre, donna e vide
como è annunzïato».
Che la gente l’ allide
Soccurre, donna, adiuta,
(lo batte- latinismo); cà ’l tuo figliol se sputa
Credo che lo s’ occide, e la gente lo muta;
Tanto l’ò flagellato» òlo dato a Pilato».
«Como essere porria, «O Pilato, non fare
che non fece follia, el figlio meo tormentare,
Cristo, la spene mia, ch’ eo te pòzzo mustrare
om l’avesse pigliato?» como a torto è accusato».
«Madonna, ello è traduto, «Crucifige, crucifige!
Iuda si ll’à venduto; Omo che se fa rege, (29)
Trenta denar’ n’à avuto, secondo la nostra lege
Fatto n’à gran mercato». contradice al senato».
«Soccurri, Madalena,
23. Jacopone da Todi
Donna del Paradiso
che la gente l’aduce
«Prego che mm’entennate,
(che la gente porta)
(m’intendiate –intendiate il mio dolo
di madre) ove la vera luce deve essere levato».
nel meo dolor pensate!
Forsa mo vo mutate (52) «O croce, e que farai?
de que avete pensato». El figlio meo torrai?
«Traìan for li latruni, come tu poniari
che sian soi compagnuni; chi non há in sé peccato?»
che spine s’ encoroni (fare attenzione al nesso croce-
innocenza, nucleo dottrinale
che rege ss’è clamato!». della passione de della
O figlio, figlio, figlio, redenzione)
figlio, amoroso giglio! (60) «Soccurre, piena di doglia,
Figlio, chi dà consiglio ca ’l tuo figlio se spoglia;
al cor me’ angustïato? la gente par che voglia
Figlio occhi iocundi, che sia martirizzato».
figlio, co' non respundi? «Se i tollet’ el vestire,
Figlio, perché t’ascundi lassatelme vedere,
al petto o’ sì lattato?» com’ em crudel firire
(48) «Madonna, ecco la Croce, tutto l’ ò ensanguenato».
24. Jacopone da Todi
Donna del Paradiso
figlio meo dilicato?
«Donna, la man li è presa, Meglio averiano fatto
ennella croc’è stesa; ch’el cor m’ avesser tratto,
con un bollon l’ò fesa, ch’ ennella Croce è tratto,
(con un chiodo l’hanno traffitta) stace descilïato!»
tanto lo’n cci ò ficcato (straziato)
L´altra manno se prende, «O mamma, ove si’ venuta
ennella Croce se stende mortal me dai feruta,
e lo dolor s’accende, cà ’l tuo planger me stuta,
ch’è plu multiplicato. che ’l veio sì afferato».
Donna, li pè se prènno (Il tuo pianto m’uccide perché è così
e clavallanse al lenno; angosciato)
onne iontur’aprenno, «Figlio, ch’eo m’aio anvito
tutto l’ò sdenodato». (figlio io ne ho ben ragione per
piangere)
(76) «Et eo comenzo el corrotto
figlio, pat’ e mmarito!
(lamento funebre);
Figlio, chi tt’à ferito?
figlio, lo meo deporto (gioia),
Figlio, chi tt’à spogliato?»
figlio, chi me tt’à morto,
25. Jacopone da Todi
Donna del Paradiso
(104) «Mamma col core afflitto,
«Mamma, perché te lagni? entro le man te metto
Voglio che tu remagni, de Ioanni, meo eletto;
che serve ei mei compagni si atuo figlio appellato.
ch’ al mondo aio acquistato». Ioanni, èsto mea mate:
«Figlio questo non dire!
tollita en caritate,
Voglio teco morire,
àginne pietate,
non me voglio partire
fin che mo m’ esce ’l fiato.
cà ’l core sì à furato». (111)
C’ una aiam sepoltura, (traffitto dal dolore)
(Che abbiamo un’unica sepoltuta) «Figlio, t’ alma t’ è scita,
figlio de mamma scura (infelice), (è uscita da te)
trovarse en afrantura figlio de la smarrita,
(che si trovano nella stessa figlio de la sparita, (disperata)
sofferenza) figlio attossecato! (avvelenato)
mat’ e figlio affocato!» (ucciso)
26. Jacopone da Todi
Donna del Paradiso
malamente trattato.
Figlio bianco e vermiglio, Ioanni, figlio novello,
figlio senza simiglio, mort’è lo tuo fratello:
ora sento ’l coltello
figlio, e a chi m’ apiglio? (metonimia per ferita)
Figlio, pur m’ ai lassato! (131) *che fo profetizzato.
Figlio bianco e biondo, Che moga figlio e mate
d’ una morte afferrate,
figlio volto iocondo, trovarse abraccecate
figlio, perché t’à ’l mondo, mate e figlio impiccato!»
figlio, così sprezzato? (appeso alla croce, crocefisso
Figlio dolze e placente * che fo profetizzato. – riferimento alla
profezia di Simeone che visto Gesù
(dolce e piacente – bello ) bambino, aveva detto: ”Quanto a te
Maria, il dolore ti colpirà come
figlio de la dolente, colpisce una spada) Luperini, p.39
figlio àte la gente
27. Jacopone da Todi
Donna del Paradiso
Scelte stilistiche struttura sintattica – prevalenza
della coordinazione,
specialmente per assindeto.
Stuta e lagni – questi termini usati da
Cristo sono forme popolari, riccorenza dell’asindeto .
famigliari
uso quasi ossessivo del
Crucifige, rege, lege sono latinismi, vocativo anaforico figlio. (33
sono di derivazione colte. volte nel dialogo fra madre e
figlio). Cristo, a sua volta,
Invece sputa, latruni, cumpagnuni ripete tre volte il vocativo
fanno parte del lessico realistico di Mamma. L’anafora e
impronta popolare. l’iterazione creano il pathos
della lauda.
Da notare anche l’intonazione della frasi esclamative col verbo
voce di Cristo, dall’alto non solo all’infinito
della croce, ma di un mondo ormai lessico fra il dotto e il popolare
lontano da questo terreno,
appartiene a una dimensione allo stesso tempo (latinismi nel
soprannaturale. discorso del Nunzio e della
folla e locuzini quotidiane in
quelle di Cristo e della
madonna)
28. Jacopone da Todi
Donna del Paradiso
Jacopone sposta l’attenzione della Abbiamo un uomo e una donna che
figura di Cristo a quella di soffrono come qualsiasi altro
Maria, rappresentata come essere umano. Si veda qui
una madre che grida la sua l’influenza francescana che
valorizza gli aspetti umani delle
disperazione per la morte del situazioni.
figlio. Maria viene chiamata
donna, madonna, piena di
doglia, dolente e mamma..
L'itinerario che porta a Dio è un
cammino di amore e di dolore, una
La rappresentazione di Maria lotta aspra e continua contro le
come mamma addolorata e di tentazioni del mondo e i bassi
Gesù come uomo agonizzante appetiti della natura umana
(c’è un unico punto in cui (Casella).
l’autore si riferisce a Cristo
come Dio) fornisce gli aspetti Anche la posizione apparentemente
umani della passione. più rigoristica, quella mistica,
appare in realtà solo un mondo
intellettuale particolare di
impostare i rapporti tra cultura e
natura/esistenza.
29. Jacopone da Todi
Donna del Paradiso
Al centro dell’attenzione stanno l’umana sofferenza della Madonna e la
sua intesa materna e carnale con il figlio crocefisso. L’esperienza
della morte di Cristo non è glorificata astratamente, ma
rappresentata come estrema condizione del dolore umano: la
radicalità di Jacopone qui non determina un’esaltazione della
natura divina morente, ma amplia al massimo il campo dell’umanità
sua e dei suoi rapporti. La madre Maria è lo specchio terreno e il
fulcro di questo legame dei due misteri della Passione e
dell’Incarnazione: con perfetta consapevolezza teologica e dottrinale,
e non certo per rozza intuizione di sentimenti, come è stato spesso
ritenuto, Jacopone fonde nella figura della Madonna i due termini
coinvolti nel grande mito cristiano. Ella è il doppio terreno di Cristo
(cfr.vv. 132-135 - Che moga figlio e mate/ d’ una morte afferrate,/
trovarse abraccecate/ mate e figlio impiccato), con la sua purezza, e
perciò degna di un rapporto di fusione con Dio, e con la sua
sofferenza; ed è un modello di umanità redenta, segnata dalla svolta
definitiva della Passione e affidata alla continuità della lezione
evangelica (cfr.vv. 104-111 e 128 sg). L’aspetto ‘teatrale’ è conforme
alla volontà francescana di messaggio cristiano e di partecipazione
popolare ad esso... (Romano Luperini)
30. JACOPONE DA TODI
La poesia di Jacopone testimonia una
continua e tormentosa battaglia
nell’animo suo, nella ricerca di una
fusione mistica con Dio, che è un
morire a se stessi e al mondo. Solo
attraverso l’abominio e l’odio di sé,
del suo corpo, della sua anima, della
vita intera, solo mediante questa
totale distruzione e suprema
disperazione egli pensava di potersi
liberare dalla natura umana misera e
peccaminosa e giungere al vero,
supremo amore di Dio, una
travolgente, inebriante esperienza
mistica. Jacopone tendeva a questa
assoluta e lacerante solitudine, a non
essere più un io, povero grumo di
orgoglio, egoismo e passione; era
pessimista di fronte al mondo che
non vedeva come armoniosa
creazione di Dio, ma insozzato e
corrotto dal peccato, pessimista
davanti agli uomini che sentiva
incapaci d’ amare.” (Pazzaglia, p.152)