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PONTIFICIO ISTITUTO AMBROSIANO
DI MUSICA SACRA
Viale Gorizia, 4 – Milano
ANNO ACCADEMICO
1999 – 2000
LORENZO PEROSI
NEGLI ANNI
DELLA
RIFORMA DELLA
MUSICA SACRA
TESI DI MAGISTERO IN CANTO GREGORIANO
E MUSICA SACRA
AUTORE : Enrico Francesco Vercesi
RELATORE : M° Don Valentino Donella
2
3
DON LORENZO PEROSI
AL LAVORO NEL SUO STUDIO
PALAZZO DEL SANT’OFFIZIO
ROMA
4
TESI DI MAGISTERO IN CANTO GREGORIANO E MUSICA SACRA
“Lorenzo Perosi negli anni della riforma della musica sacra”
Autore: Enrico Francesco Vercesi – Relatore: M° Don Valentino Donella
ELENCO DEI CAPITOLI
Premessa.
1. Introduzione storica.
2. Gli anni dell’infanzia perosiana (1872 – 1889).
3. La formazione ed i primi incarichi (1890 – 1894).
4. Maestro della Cappella Marciana di Venezia (1894 – 1898).
5. La nomina di Perosi alla Cappella Sistina e primi anni (1898).
6. L’avvento di Pio X: Il Motu Proprio “Inter sollecitudines pastoralis et
officii” (1903).
7. Il Motu Proprio “Quo Collegium Cantorum Xystini Sacrarii rectius
constituitur ac proprio statuto ornatur” (1905).
8. La scuola dei ragazzi cantori della Cappella Musicale Pontificia.
9. Una lunga interruzione (1911 – 1930).
10. Gli ultimi anni ed il consolidamento del mito perosiano (1930 – 1956).
Conclusioni.
Appendice :
. Documenti e fotografie originali dell’epoca.
5
PREMESSA
Come giusto ed opportuno, è il caso di premettere alcune linee che
possano guidare ad una lettura più propria di questo lavoro, per evitare di
incappare in incongruenze di vario genere come, ad esempio, snaturate
interpretazioni dei contenuti e degli anni di riferimento di quest’opera; tali
linee verranno poi ritrovate nell’ultimo capitolo, quello al termine del quale
saranno presenti le conclusioni del percorso intrapreso in queste pagine.
In particolare sembra fondamentale evidenziare i seguenti passaggi:
1. In questa tesi non si parla e non si analizza tutta la vita e tutte le
opere di Lorenzo Perosi e, parallelamente, non si discute della sola
riforma della musica sacra. Sono entrambi argomenti più ampi, già
da molti autori trattati e sviscerati anche nei minimi dettagli; in
quest’opera gli obiettivi di fondo sono altri, benché i riferimenti alla
vita di Perosi ed alla riforma siano continui e sempre validi;
2. Il lavoro cerca di illustrare solo alcuni aspetti di un personaggio
musicale, peraltro superbamente inserito nella riforma, quali:
a. Il rinnovamento di alcune strutture musicali di prestigio quali
la Cappella Marciana di Venezia e soprattutto la Cappella
Musicale Pontificia Sistina;
b. Il rinnovamento del linguaggio musicale liturgico specie alla
luce dei dettami della riforma di Pio X;
c. Alcuni aspetti complementari della personalità di Perosi tra i
quali, soprattutto, quelli compositivi, ad ampio raggio (come
l’oratorio e la musica strumentale), che ne completano la
maturità artistica e professionale.
3. Inoltre una introduzione storica al primo capitolo ed una breve
appendice nella quale sono raccolte copie di documenti dell’epoca
contribuiscono a rendere, almeno nelle intenzioni, più completo tutto
il lavoro.
Con questo spirito va preso questo mio sforzo. Ringrazio il Signore per
avermi dato l’opportunità di terminare il lavoro e tutte le persone, a partire
da don Valentino Donella, che vi si sono interessate; mi auguro di riuscire a
chiarire alcuni punti oscuri della attività di Lorenzo Perosi, nella speranza che
6
ciò possa essere di giovamento a qualcun altro. Ringrazio il mio coro, SS
Nabore e Felice di Stradella per l’affetto e l’incoraggiamento verso di me.
Portalbera – Milano, 7 maggio 2000
ENRICO VERCESI
7
Capitolo primo
INTRODUZIONE STORICA: L’OTTOCENTO
E’ stato detto che ogni uomo è figlio del suo tempo. Anche Lorenzo
Perosi lo era; figlio di quell’Ottocento che, magari, iniziava a diramarsi,
sciorinando le sue “code riformiste”, sotto i profili armonici e tonali; figlio
dell’Italia lirica, teatrale e melodrammatica, dell’Italia rossiniana o verdiana;
figlio di una musica sacra che, in quegli anni, aveva definitivamente perso la
sua identità, il suo ruolo e piegata la sua ispirazione al balbettamento ed allo
scopiazzamento teatraleggiante. Non è possibile dire che Perosi fosse
immune da tutto quest’influsso: neppure è verosimile sostenere che la sua
opera non subì, almeno parzialmente, le seduzioni vetero – romantiche. E’
certo, al contrario, che Don Lorenzo mitigò gli effetti negativi di tali prassi, né
esaltò i lati buoni, portò il risultato alla completa sublimazione grazie
all’opera della sua genialità.
L’Ottocento musicale, in Europa, è dominato dal Romanticismo: nato in
Inghilterra ed inteso come “descrizione di cose lontane”, ha i suoi primi
esponenti, in campo letterario con gli inglesi Colleridge – che scrive Ballata
del pescatore povero – e Gray. In Germania l’azione dello “Sturm und Drang” e
del “Gruppo di Jena” dei fratelli Schlegg, impongono definitivamente il nuovo
movimento culturale, soppiantando il classicismo e seppellendo il barocco
totalmente. Ciò avvenne in un contesto ove l’ambito filosofico iniziò ad
accorgersi del potere comunicativo della musica sulle masse, ben più ampio
di quello della poesia e più forte di qualsiasi altra forma artistica; fino a quel
momento né la musica, né il musicista vennero considerati rispettivamente
arte e artista a tutti gli effetti proprio perché la filosofia non aveva promosso
tali figure.
Fu proprio un giovane esponente del gruppo di Jena, Wilhelm
Heinrich Wackenroder, morto ad appena venticinque anni, a parlare per la
prima volta di musica come arte matura, approdando “ad una visione dell’arte
come dono divino ed effusione estatica, di cui la pittura e la musica sono esempi più
puri che non la poesia, per l’inadeguatezza della parola a rendere l’ineffabile”1. Tale
linea fu ripresa – ed applicata – dal filosofo e musicista Ernst Theodor
Amadeus Hoffmann, del quale ricordiamo lo scritto “Musica religiosa antica e
moderna” del 1814, ma soprattutto da Arthur Schopenauer (1788 – 1860) che,
1 Nuova enciclopedia della letteratura, pag. 1045, Garzanti Editore.
8
nei suoi lavori, riserva un posto particolare alla musica, quale arte del sentire:
essa “non è, come le altre arti, l’immagine delle idee, bensì l’immagine della volontà
stessa”2. Senza contare, inoltre, l’influenza avuta su Wagner da parte dello
scritto Il mondo come volontà e rappresentazione, che il filosofo, nel 1819, preparò
per la propria abilitazione: provocato ed incoraggiato da idee così innovative,
Wagner partorì svariate opere, la più importante delle quali è, forse, L’anello
dei nibelunghi. Chiaro fu, allora, che la musica venne eletta ad un posto
prioritario, in campo artistico e culturale, e con essa, anche il musicista si
impose come l’Artista, capace di essere il primario veicolo nella descrizione,
nella rappresentazione.
In Italia le cose furono ben diverse. Il Romanticismo, praticamente, non
si avvertì – tranne in pochi sprazzi di opere o di rara musica strumentale –
essendo l’ambiente dominato dal melodramma; se ciò da un lato risultò un
fenomeno comprensibile e giustificabile, dall’altro fu allo stesso modo
dannoso e controproducente, anche in virtù della lettura che ne fece la
storiografia tedesca. E’, infatti, innegabile che l’opera - e spesso il teatro stesso
– divennero veicoli di congiunzione e di unione negli animi del popolo italico
che, ancora, non poteva definirsi “italiano”3; ma, d’altro canto, la musica
strumentale non venne praticamente coltivata e le forme musicali estranee al
teatro, vennero esiliate da ogni luogo che potesse ospitare esecuzioni. Dal
canto suo, la storiografia tedesca giocò ad esaltare taluni aspetti,
minimizzandone altri: così, dire musica italiana voleva dire melodramma e
dire Rossini voleva dire opera buffa. Un falso, una lettura aleatoria che, ancor
oggi, è difficile da debellare.
In sintesi, il romanticismo portò dei cambiamenti e delle trasformazioni,
rispetto al settecento, che possono riassumersi in una parola: emancipazione.
Della musica, del musicista, delle forme, persino della tonalità tradizionale e
dell’armonia classica, fino alla totale disgregazione del linguaggio, sfociata
nella dodecafonia, nella serialità e nella crisi che, ancora tuttora, di fatto,
perdura. Per chiarire “la rivoluzione più evidente portata dal romanticismo … è
data dalla voglia di autonomia nei confronti di norme o imposizioni esterne. Si
potrebbe semplificare affermando che col Romanticismo si consacrarono le ragioni
2 Op. cit. pag. 880.
3 Si racconta un episodio che possa chiarificare tale argomentazione. Nello studio di Giovanni
Ricordi, grande magnate ed editore musicale di inizio secolo erano in riunione Domenico Barbaja
(impresario napoletano), Ricordi, Gioacchino Rossini e la cantante, e futura moglie, Isabella
Colbran. Quest’ultima, nel tentativo di convincere Rossini a firmare un impegno con il teatro
partenopeo, uscì con questa frase: ”Si parla tanto di unità d’Italia: perché non cominciate a farla
Voi, con la Vostra musica?!”.
9
ineludibili della musica (oggetto creato) e soprattutto degli autori (soggetto creatore).
Anzitutto le ragioni della musica: erano già state affermate col barocco con sempre
crescente convinzione fino a realizzazioni compiaciute e, a loro modo, assolute. Con i
romantici, nei decenni che vanno dal 1820 al 1890 circa, si radicalizza questa
tendenza autonomistica e l’attenzione all’opera in se stessa, a prescindere da qualsiasi
sua finalizzazione”. Inoltre “le ragioni del musicista, che si rapporta in modo nuovo
con la sua opera e con la stessa società. Per conseguire il risultato dell’opera assoluta,
egli vuole sentirsi libero nel suo lavoro (che non è più tale, identificato piuttosto col
gesto divino del creare), non obbligato da regole; lui e solo lui è regola per la sua arte,
trae tutto da se senza bisogno di appoggi o indicazioni esterne.”4
Quanto e come questa sintesi ebbe il suo influsso in Chiesa? Dopo la
premessa iniziale, è fondamentale volgere lo sguardo verso il tempio, dato
che Lorenzo Perosi nasce lì e lì lavora per tutta la sua vita; di preciso
sappiamo due cose. La prima, diretta conseguenza del mondo musicale
italiano, è che in Chiesa venne trasferito in toto l’ambiente e la forma
musicale propria del teatro; la seconda – che scaturisce dalla prima – è che
viene definitivamente sepolto il rapporto tra la musica e la funzionalità
liturgica, tra il “res” ed il “signum”, rapporto già ampiamente incrinato e
traballante in tutto il barocco. Un’apertura quindi al tutto più o meno
sconsiderato, una sorta di massificazione musicale che profuma tanto di
modernità; un’accoglienza ad “oves et boves” che annullò le molteplici forme
del canto liturgico, reprimendo la creatività dei musicisti di Chiesa i quali,
all’eccesso, e in contrasto con la prassi corrente, ritrovarono nella polifonia
cinquecentesca ed in Palestrina, soprattutto, il modello da seguire, anzi,
talvolta, da copiare.
Credo che sia una opportuna chiarificazione del tema ciò che scrisse
Mons. Ernesto Dalla Libera: “Perosi nacque (anno 1872) in tempi difficili per la
musica sacra. Non sono facili nemmeno quelli attuali, ma – poiché la storia è sempre
in movimento e la vita è cangiante – i motivi sono diversi. Allora la Chiesa soffriva
ancora le conseguenze del giuseppinismo (intrusione dei laici nella amministrazione
religiosa), della bufera rivoluzionaria francese e del laicismo massonico, che avevano
spogliato le chiese dei loro beni e messo in minorità il clero. Questa ebbe il torto di
disinteressarsi per prima cosa (come spesso avviene) della musica sacra, lasciando via
libera ai laici infatuati di musica operistica. Visto che questa, portata in Chiesa, vi
richiamava gente, il clero d’altronde impotente, lasciò correre. Tutto diventava facile:
i cantori, la musica, lo spettacolo. Ma cadevano nel ridicolo le cose più sante della
4 Valentino Donella, La musica in chiesa nei secoli XVII – XVIII – XIX, Ed. Carrara, pag. 204.
10
religione”5 E, per scendere ancor più nei particolari, la situazione era
veramente ridicola, pregna di fattori che nulla avevano di che spartire con il
rapporto liturgico; le cose stavano, dunque, nel modo che ci viene sotto
descritto.
“In ogni parrocchia prosperava una Schola Cantorum, più semplicemente
chiamata Corale o Cantoria; funzionavano stabilmente un direttore di coro, un
organista col suo immancabile follista, incaricato di azionare manualmente i mantici
dello strumento”6. Il tutto con il coordinamento di una Fabbriceria che si
accollava le spese di costruzione e manutenzione dello strumento, i modesti
stipendi dei musicisti ma anche di “ospitare nella propria parrocchia, in occasione
magari della festa patronale, compagnie vaganti e ‘specializzate’ nel cantar Messe e
Vespri. I musicanti arrivavano sui loro birocci polverosi con contrabbassi di
accompagnamento e qualche divo solista di canto. Ed era gran festa”7. In buona
sostanza si cantava, ma si cantava male. Mancava un’educazione musicale,
un approccio serio alla vocalità, dato che “la regola era di farsi sentire: cantava
meglio chi gridava più forte”8 e, nella migliore delle ipotesi, si cantava come se
ci si trovasse in teatro, con lo stesso gusto e le stesse movenze.
Per avere un’idea di quello che realmente succedeva in Chiesa, durante
lo svolgimento della liturgia, nel diciannovesimo secolo, dobbiamo chiamare
in nostro aiuto Mons. Ernesto Moneta Caglio, che spiega in maniera
esauriente la prassi musico – liturgica di quegli anni: “Raccontare ciò che
avveniva in quei tempi ha dell’incredibile, e tuttavia è storicamente certissimo. Si
cantavano Messe – plagio e Vesperi – plagio cavati dai melodrammi od oratori più in
voga del tempo: per esempio dagli ‘Orazi e Curiazi’ di Cimarosa, dalla ‘Gerusalemme’
dello Zingarelli, dall’Elisa e Claudio’ di Mercadante. Ci fu (il veronese Giuseppe
Bussola) chi introdusse, di peso in un gloria il duetto della Favorita di Donizetti; chi
imbastì tutto un credo sull’aria del ‘Là ci darem la mano, là ci direm di sì’ del Don
Giovanni di Mozart (A. Capanna, direttore della Cappella del Santo di Padova; per la
verità licenziato entro il biennio). Ivi, del resto, il record era già stato battuto dieci
anni prima da M. Balbi, che nel 1896 aveva fatto eseguire da cantati di cartello, tra il
delirio dell’immensa folla, una Messa funebre (sic) dedicata a Rossini, tutta composta
con pezzi ricavati dalle opere teatrali del maestro deceduto l’anno precedente”9.
5 Mons. Ernesto Dalla Libera, Perosi Ceciliano in Musica Sacra, Milano, 1957.
6 Valentino Donella, Cento anni di musica liturgica a Verona e in Italia, Verona 1979, pag. 14.
7 Idem, pagg. 14 – 15.
8 Idem, pag. 15.
9 Idem, pag. 15-16, raccolto da E. Teodoro Moneta Caglio, Storie di casa nostra, II.
11
Questo, quindi, il panorama: desolante e quanto mai arido, con Maestri
ormai ridotti ad un ruolo di trascrittori di cavatine e romanze, folle in delirio,
attratte dal convincimento di essere in Chiesa come in un teatro gratuito, più
che dal desiderio del sacro e dell’incontro con il loro Dio e cantanti che
“vivevano del mestiere spostandosi da una chiesa all’altra, secondo le richieste dei
parroci, trascinandosi dietro il codazzo dei fans sempre pronti ad applaudirli”10. La
situazione era grave: tanto più che, a detta di alcuni musicisti veri, con idee
giuste in testa, il clero pareva attento più ad altri problemi che a quelli
prettamente musico – liturgici11; sappiamo, infatti, che il Concilio Vaticano I
del 1870 non accenna alla questione musica sacra. Sono gli anni della
cosiddetta “riforma liturgica”, anni dove si inizia a diffondere la parola
liturgia, anni in cui si capisce che il popolo non deve essere tagliato fuori; ma,
soprattutto al vertice, il problema musica sacra tanto più diventa spinoso
quanto più viene accantonato. E se proprio il vertice non provvederà, dalla
base avverrà la riscossa.
I barlumi di una riforma si avvertirono già nella prima metà
dell’ottocento; ma i pionieri rimasero voci nel deserto, inascoltati e scavalcati.
Chi diede per primo una scossa al torpore degli anni ’30 fu Gaspare Spontini
che, nel 1838, scrisse “Rapporto intorno alla riforma della musica di chiesa” che
venne presentato alla Accademia di Santa Cecilia a Roma; capitato nelle mani
dell’abate Baini, allora Maestro della Cappella Sistina, trovò una feroce
opposizione riassunta nella dichiarazione “La musica … poteva e doveva
riformarsi senza prender norma da chi veniva dalla Prussia e dalla metropoli del più
dichiarato protestantesimo”12. A Spontini si aggiunse Jacopo Tomadini (1820 –
1883), la cui opera fu da battistrada, da apripista ai canoni che la riforma
indicherà. Singolare, poi, il caso di Charles Gounod, da molti critici
considerato compositore di transizione: se, infatti, i riformisti non videro
rispettati tutti i parametri liturgici, essi sostennero che il suo lessico poteva
indubbiamente essere considerato transitorio, “cioè proponibile solo in attesa che
la produzione offrisse qualcosa di più confacente13”.
10 Idem, pag. 17.
11 Felice Rainoldi (Sentieri della Musica Sacra – CLV Edizioni Liturgiche, Roma) racconta questo
episodio, datato 1869: “Si sa che Pio IX era un ammiratore di Rossini e della sua musica. Il
pontefice, nella visita nella visita all’esposizione di arte religiosa in Vaticano, si fa suonare, su un
organo Cavaillé – Coll, la Ouverture dalla Semiramide. Forse un omaggio al grande pesarese
scomparso: ma il fatto rivela anche un “modo” di sentire”. (Op. Cit. pag. 176 – 6).
12 V. Donella, La musica in Chiesa … , pag. 26.
13 Idem, pag. 27.
12
Le opposizioni decise e veramente attive si fecero attendere fino alla
seconda metà del secolo scorso; non vennero in modo convincente, però,
dall’Italia, forse alle prese con ben altri problemi, e con un’unità nazionale
che riguardava da vicino lo stato Pontifico, il cui establishment mai come
allora si trovò in discussione. Ne è prova palese la pubblicazione Musica
Divina del musicologo tedesco Karl Proske (1794 – 1861), di ambiente
ratisbonese – quindi di scuola sassone non italiana -, ovvero sia una antologia
di “composizioni polifoniche, pubblicata in diversi tomi a partire dal 1855 e
contenente Messe, Mottetti, Salmi, Salmi, Magnificat, Vespri, Inni e Antifone dei
più rinomati compositori dei secoli XVI, XVII e XVIII …… Questa monumentale
silloge di capolavori polifonici, oltre a rivestire un enorme valore musicologico per la
preziosità dei reperti musicali offerti, è testimonianza documentaria esclusiva di
quello straordinario movimento riformatore sorto in Germania durante l’Ottocento
per contrastare lo stile concertante e operistico dilagante nella musica liturgica del
tempo, conosciuto con il nome di Movimento Ceciliano”; l’opera fu impostata in
modo tale da offrire un “thesaurus concentuum selectissimorum…. Ab
excellentissimis superioris aevi Musicis numeris harmonicis compositorum…
accuratissime in partitionem redactos ad istaurandum polyphoniam vere
ecclesiasticam”14.
Il primo segnale ‘europeo’ venne da Parigi ove nel 1861, si organizzò un
congresso di musica religiosa, durante il quale venne una netta presa di
posizione contro il canto teatraleggiante: lo stesso anno, a Milano, si costituì
la società di Santa Cecilia, con ideali riformisti, ma di carattere locale. Fu quindi
la Germania ad organizzare i successivi segnali di riforma, emanandoli dal
centro di Ratisbona; il nome della città – già conosciuto per la non riuscita
edizione di canto gregoriano e per la famosa scuola superiore di musica sacra
– si diffuse grazie a Franz Xaver Witt (1834 – 1888) che, nel 1868, fondò la
prima Società di Santa Cecilia, Allgemeiner Deutscher Cacilenverein, dando
anche vita ad una rivista, “Musica Sacra” che ne era l’organo ufficiale e che
sostituì i Fogli volanti, Fliegende Blatter, scritti da Witt e comparsi ad inizio del
1866. Inoltre, dalla Baviera, altri autori quali K. Ett, J.K. Aibilinger e C. Proske
“si prodigarono non poco per far conoscere l’antica polifonia sacra”15.
14 I Quaderni della Cartellina – Musica divina, Antologia di musiche polifoniche dei secoli XV e
XVI, a cura di Giovanni Acciai, Marco Berrini e Marco Boschini, Introduzione pag. V, Edizioni
Suvini e Zerboni, Milano 1995.
15 Valentino Donella, La musica in chiesa nei secoli ……, pag. 265.
13
Mentre, come abbiamo già detto, il Concilio Vaticano I non si mosse a
favore della musica sacra16, i vescovi tedeschi, proprio nella sede conciliare,
tentarono di far riconoscere il lavoro delle società riformatrici organizzate
secondo le direttive di Witt; l’atto che risultò da tale presa di posizione fu un
elogio, al lavoro svolto, contenuto in una lettera privata inviata dal Papa Pio
IX a Witt in data 12 agosto 1869. Tuttavia l’anno successivo è da ricordare per
la Breve Multum ad movendos animos, datata 17 dicembre e firmata da Papa
Mastai Ferretti; in sostanza il testo ratifica gli statuti della Associazione
Tedesca S. Cecilia – peraltro già approvati dalla Sacra Congregazione dei Riti
in data 20 ottobre – ed assegna un protettore vaticano a detta Associazione,
ossia il Cardinale De Luca. Nella prima parte del documento, dopo avere
introdotto l’argomento, il Papa scrive: “I Vescovi di molte diocesi dove parlasi la
lingua germanica, presero la salutare e feconda determinazione di istituire nelle stesse
diocesi, alcuni pii sodalizi, da intitolarsi a Santa Cecilia, i quali avessero lo scopo
principalissimo di ricondurre i canti sacri alle pure norme della Chiesa. Vollero che
questi sodalizi prendessero a norma la Congregazione di Santa Cecilia di quest’alma
Roma ….”17. Negli anni 1872 e 1873 avvengono le costituzioni delle Società di
S. Cecilia in Inghilterra e negli Stati Uniti e, finalmente, due anni dopo, anche
l’Italia si mosse definitivamente verso la direzione riformista. La prima tappa,
come detto del 1874, si tenne a Venezia, all’interno del Primo Congresso
Cattolico, durante il quale vennero presentate posizioni molto agguerrite da
parte di Don Guerrino Amelli, Salvatore Meluzzi e Padre Costantino
Remondini; in particolare, fu il primo ad effettuare un intervento molto
appassionato e tenace, abbozzando che “le prospettive valide, riguardano: a) una
sintonia, se possibile, o, almeno, un maggior rispetto della liturgia da parte del canto
e della musica; b) la pubblicazione di un periodico sui problemi della musica sacra; c)
la diffusione del repertorio classico, a suo avviso troppo dimenticato (egli stesso
pubblicherà la Missa Papae Marcelli di Palestrina ed i salmi di Benedetto Marcello);
la costituzione di una scuola superiore (nazionale) per la formazione dei nuovi
operatori. …… Terminato il Congresso, Amelli si adopera immediatamente per la
istituzione, a Milano, di una Scuola intitolata a S. Cecilia. Gli statuti propri vengono
approvati, l’11 novembre, dall’Arcivescovo, Monsignor Luigi Nazari de’ Conti di
Calabiana. La Scuola, inaugurata il 22 novembre nell’Oratorio di S. Carlo in Milano,
ha anche lo scopo di porsi quale esempio, perché iniziative del genere possano nascere
altrove”18. Frattanto, nello stesso anno, Franz Xavier Haberl, rientrato in
16 Fa eccezione l’intervento del Cardinale Riario Sforza di Napoli a favore della salmodia corale con
la proposta di introdurre sanzioni per coloro che non si avviano, in tempo opportuno, allo studio
del gregoriano.
17 Dal Breve apostolico di Papa Pio IX del 17 dicembre 1870, riportato in Felice Rainoldi, op. cit.
pag. 497.
18 Felice Rainoldi, opera citata, pagg. 185 – 186.
14
Germania dopo un lungo soggiorno in Italia, fonda a Ratisbona la
Kirkenmusikschule, istituto importantissimo, il cui corso durava sei mesi,
rivolto alla specializzazione dei musicisti già formati secondo l’ideale della
riforma: è, questa, una rilevante sottolineatura perché, nel 1893, troveremo
Perosi in questa scuola che, in ogni caso, sarà tappa decisiva nella sua crescita
artistica.
Nel 1876, in seno al III Congresso Cattolico, disciolto immediatamente
per tumulti politici, molti dei quali anticlericali, venne costituito un Comitato
incaricato di promuovere una generale Associazione Italiana di Santa Cecilia:
membri del comitato Amelli, Remondini, Tomadini ed altri importanti
pionieri. Un anno dopo si avvera una delle proposte di Amelli al Congresso
di Venezia: nasce, infatti, il periodico “Musica Sacra”. E’ un’ulteriore spinta
verso la definitiva nascita, quattro anni più tardi, della Generale Associazione
di Santa Cecilia, con proprio statuto e regolamento, avvenuta nel congresso in
S. Eufemia, a Milano, il 4 – 5 – 6 settembre 1880: seguirono fasi di
sbandamento – parzialmente ricucite al Congresso di Soave (Verona) nel 1889
– ma il sogno era avverato. La conclusione – e la quadratura del cerchio –
avvenne con il Motu proprio “Inter sollecitudines” del 1903, firmato da Pio X;
nell’ombra lavoravano tanti musicisti che avevano fatto della riforma il loro
scopo di vita, ciò per cui combattere, a discapito della propria esistenza, come
insegnano gli esili di Don Amelli e Padre De Santi.
Cosa voleva, cosa chiedeva questo movimento riformatore, definito
universalmente “ceciliano”? Semplicemente opporsi, invertire una tendenza,
svegliare dal torpore che perdurava da secoli una corrente che ammetteva
ogni nefandezza in Chiesa durante la liturgia. Voleva andare contro vento,
navigare nella direzione opposta, sfaldare la retorica e la formalizzazione
musicale che non poteva più essere tollerata; voleva essere “una barriera ai vizi
inveterati e ormai insopportabili della musica da chiesa, ubriacata di sinfonismo e di
teatralità sfacciata”19. Ecco l’obiettivo dei riformisti. “Capirono … che urgeva
estromettere dalle Chiese la profanità e l’incompetenza musicale: la profanità era nelle
musiche e negli stessi organi e consisteva essenzialmente nello scimmiottare melodie,
ritmi e modi esecutivi del teatro e delle sale da concerto; la non – competenza era data
dal fatto che tali musiche non corrispondevano al bisogno dei riti, né per spirito, né
per struttura e soprattutto a causa del loro sproporzionato sviluppo”20.
19 Valentino Donella, Musica in Chiesa ….., pag. 264.
20 Idem, pag. 264.
15
Il mezzo più opportuno per invertire la tendenza venne, anzitutto,
identificato nella ricerca di nuovi modelli, che si distaccassero notevolmente
da quelli contemporanei, che non ne traducessero i connotati determinanti:
ciò rese necessario un viaggio a ritroso verso la polifonia classica, la scuola
romana, Palestrina, il canto gregoriano, l’organo come strumento musicale
principale, unico e sovrano. Tali modelli rischiarono di essere assunti come
assoluti, con il pericolo di essere copiati da autori non sufficientemente
accorti; i musicisti di qualità, tuttavia, non mancarono di proporsi come
sintesi della situazione. “Infatti una schiera di compositori agguerriti, qualcuno
anche prestigioso come il Perosi in Italia, percorse la nuova strada della composizione
musicale liturgica, solo in apparenza più dimessa rispetto alla tradizione classica o
romantica. La chiesa e i riformatori, pur preferendo l’organo e solo l’organo a
sostegno delle voci, in linea di principio non preclusero l’uso di altri strumenti e della
stessa orchestra e tanto meno la via della ricerca e del criteriato aggiornamento
linguistico”21. In conclusione, molto si è detto sulla riforma, a torto o a ragione,
ma un fatto appare imprescindibile: il movimento ceciliano fu un
“impoverimento” tuttavia “provvidenziale….. Dalla prima angolazione si
continuerà ad anatemizzare cecilianesimo e ceciliani come momento ed espressione di
sottocultura; dalla seconda, senza scandalo e con umile semplicità, lo si giudicherà
per quello che fu e che rappresentò in positivo o in negativo”22.
Questo, in sintesi, è l’ambiente musicale ecclesiastico degli ultimi
trent’anni del secolo scorso; qui si inserisce, prepotentemente la figura di un
umile pretino tortonese, figlio di musicista, grande genio e perfetto interprete
dello stile riformatore. Nelle prossime pagine cercheremo di capire quale fu
l’opera di Lorenzo Perosi, ed il suo ruolo nella riforma della musica sacra di
quei decenni.
21 Idem, pag. 265.
22 Idem, pag. 271.
16
Capitolo secondo
GLI ANNI DELL’INFANZIA PEROSIANA (1872 – 1889)
Lorenzo Perosi nacque il 21 dicembre del 1872. A Tortona, sua città
natale, lavorava con zelo e dedizione il padre, Giuseppe Gaetano Perosi:
occupava, in quegli anni, il posto di Maestro di Cappella nella Cattedrale
cittadina. Giuseppe, nato a Mede Lomellina nel 1842, che discendeva da una
famiglia originaria del lodigiano, stabilitasi a Pieve Fissiraga, presso Lodi
Vecchio, attorno al diciassettesimo secolo, nella quale era tradizionalmente
nota l’arte e la cultura della musica sacra, sostituì lo zio Carlo Luigi Perosi
(1797 – 1863), alla sua morte, nel ruolo di Maestro di Cappella ed Organista a
Tortona dopo che, quest’ultimo, aveva ricoperto detto incarico per
quarant’anni; a sua volta, Carlo fu il secondo di cinque figli di Giuseppe
Perosi, bisnonno di Don Lorenzo, probabilmente capostipite della famiglia di
musicisti. Di Carlo era fratello anche Dionigi, nonno di Don Lorenzo, ed
organista a Mede Lomellina; il trasferimento quindi a Tortona avvenne nel
1863, quando si rese vacante il posto all’organo della Cattedrale.
A Tortona Giuseppe si sposò con Carolina Bernardi, dalla quale ebbe
sei figli: Carlo (1868), Lorenzo (1872), Felicina (1874), Marziano (1875), Pia
(1879) e Maria nel 1883. Fra questi troveremo Carlo, divenuto cardinale e
presente in Vaticano con Lorenzo, e Marziano, organista e compositore,
Maestro di Cappella a Milano e mai lontano dal più celebre fratello. Lorenzo
fu battezzato, nella casa paterna, il 29 dicembre 1872 dal canonico Mons.
Giuseppe Maria Cantù che gli impose anche i nomi di Pierluigi, Giuseppe,
Maria, Natale, Ireneo e Felice.
La musica sacra era, quindi, la vita della famiglia Perosi. Impossibile
pensare che Lorenzo possa avere passato i primi anni della sua vita
svincolato da questo interesse, da tale condizione. Inoltre, essendo questi anni
di fermento e di attivismo nel campo della musica liturgica, un organista e
Maestro di Cappella come Giuseppe, non poteva rimanere indifferente
all’ondata riformista di quel tempo; e, infatti, nei carteggi perosiani troviamo
il padre di Lorenzo in contatto con i maggiori esponenti di allora: Guerrino
Amelli, Salvatore Meluzzi, Angelo De Santi. Interessante chiarire
quest’aspetto con una lettera inviata, a Giuseppe Perosi, da Don Guerrino
Amelli il 31 ottobre 1876: “Pregiatissimo Signor Maestro, il Comitato Promotore23
23 Si intende il gruppo di musicisti che formeranno, l’anno successivo, la Generale Associazione
santa Cecilia per la Musica Sacra. Vedi anche pag. 13.
17
è ben lieto di annoverare la Signoria Vostra tra i propri aderenti, conoscendo le ottime
sue disposizioni e le belle doti artistiche che l’adornano. In pari tempo le affida
l’incarico di rappresentarlo in codesta diocesi di Tortona, nel promuovere gli interessi
della musica sacra, ed anche – potendolo – di estendere le proprie attività nelle diocesi
limitrofe di Alessandria, Asti ed Acqui al medesimo scopo. Ringraziandolo del favore
che vorrà arrecare accettando il suddetto incarico, mi pregio significarmi colla
massima stima, per il Comitato, Sac. Guerrino Amelli, Presidente”24.
Relativamente alla sua formazione musicale – uno sviluppo mentale,
quello di Lorenzo, totalmente impregnato da ideali riformisti – il padre
Giuseppe non mancò certamente di far valere la sua influenza. “Aveva
respirato l’aria del movimento ceciliano tra le pareti domestiche, per merito di suo
padre…. Nel 1880, all’atto in cui fu costituita la Generale Associazione Italiana S.
Cecilia, Perosi padre viene eletto relatore dell’Associazione e relatore della
Commissione per gli organi; ciò suppone che fin da prima si fosse fatto notare per le
sue convinzioni riformistiche. Seguiva, infatti, il movimento promosso da Amelli fin
dal principio, almeno nelle idee. A leggere le lettere di questo sant’uomo, che in età
giovanile era stato allievo del Seminario di Vigevano e, pure essendone uscito perché
aveva capito non essere quella la sua strada, si sforzava in ogni modo di zelare le
opere buone, tanto che fu lui a fondare la Conferenza di S. Vincenzo a Tortona, e fin
dalla prima ora si mostrò attivo collaboratore di Don Orione ancora semplice chierico,
si ha quasi l’impressione che la persona più religiosa di casa Perosi sia stato lui. Dico
quasi per non offendere il sacerdozio di Don Lorenzo, e più ancora di Don Carlo,
insignito della porpora cardinalizia”25
Giuseppe Perosi insegna musica fin dall’infanzia tenerissima ai propri
figli; il più celebre fra questi, Lorenzo, ad Arcangelo Paglialunga26 dirà: “ Io
ho sempre suonato il pianoforte: non ricordo il giorno nel quale vi ho posto le mani
sopra per la prima volta”. Il padre lo avvia allo studio dei grandi autori del
passato, come Cherubini, Clementi e Carissimi – non a caso anch’egli
eccellente compositore di oratori – ma anche, forse soprattutto, a Johann
Sebastian Bach; in questi primi anni della sua esistenza, Perosi compie gli
studi elementari a Tortona, muove le mani sul pianoforte grazie al Maestro
Luigi Romita, ma soprattutto canta nella Cappella Musicale della Cattedrale e
si reca spesso nel Duomo tortonese ad imparare dal padre che, organista,
24 Sergio Pagano, L’Epistolario “Vaticano” di Lorenzo Perosi (1867 – 1956), Ed. Marietti Genova
1996.
25 Ernesto Teodoro Moneta Caglio, Lorenzo Perosi e la riforma della musica sacra, in Musica Sacra,
Milano, nr. 90, anno 1966, pagg. 159 – 164.
26 Arcangelo Paglialunga, appassionato biografo ed amico di Perosi, autore di Lorenzo Perosi,
Roma, Ed. Paoline, 1952. La citazione riportata è a pag. 12.
18
accompagna la liturgia; già ad undici anni sarà possibile ascoltarlo
sull’organo monumentale a sostituire il titolare ed a muovere i primi passi in
un àmbito che gli sarà molto familiare: l’improvvisazione. Due amori,
dunque, che coltiverà durante tutta la sua vita, coniugandoli in modo
complementare, integrandoli e fondendoli mirabilmente: la musica e la
liturgia.
Il piccolo Lorenzo mostra subito una gran facilità ed intuizione
musicale; più o meno a dieci anni scrive la sua prima opera: un inno dedicato
a San Luigi Gonzaga. Ma la sua costituzione fisica non è molto robusta;
Perosi dimostra, già in tenera età, di far rapida conoscenza con la malattia e la
sofferenza, che lo indeboliscono e – probabilmente – contribuiranno alla
formazione dei suoi ben più gravi disturbi, verso la fine degli anni ’10, di
natura squisitamente psichica. Per ora la sua principale preoccupazione è
inevitabilmente quella di formare la sua mente musicale, tenendo
semplicemente sotto controllo le sue indisposizioni di natura digestiva ed
intestinale; nella primavera del 1882 lo troviamo, infatti, a Castelletto d’Orba
(Alessandria) e, in settembre, a Villaromagnano, per curarsi e riprendersi.
E’ importante, nel carteggio epistolare di Perosi, conoscere alcuni
aspetti dei suoi disagi fisici, lasciandoli definire dallo stesso musicista; in una
lettera al padre, inviata nell’aprile – maggio del 1882 da Castelletto d’Orba, il
giovane Lorenzo scrive: “… In quanto a me pare che le passeggiate e la buon aria
mi abbiano fatto abbastanza bene; se non avessi mal di cuore che veramente mi
tormenta, starei molto meglio; ce l’ho detto al medico, e m’ha detto che ho uno
stomaco troppo sproporzionato all’età: ‘Procuri di far moto giocando le bocce,
ginnastica e cose simili.’”27 Sempre da Castelletto, ma in giugno, il giorno 29
scrive accomiatandosi dai genitori: “Lascio, perché voglio andare a prender una
tazza di brodo che mi sento nausea, e sì che non ho ancora mangiato niente.”28 Da
notare che questa lettera fu scritta verso le ore 10 del mattino!
Intanto Lorenzo affianca gli studi musicali ad una fede diversa dai
ragazzi della sua età; inserito, come già detto, in un ambiente familiare ove, in
gran parte, probabilmente le discussioni riguardavano musica sacra e, quindi,
indirettamente, la questione spirituale, il piccolo Perosi comincia a coltivare
dentro di se la volontà di consacrarsi a Dio. Nel 1887, all’età di quindici anni,
si fa terziario, adottando la firma di “Fra Lorenzo da Tortona”, e si intravede
quindi il futuro destino che caratterizzerà l’uomo Perosi trasformandolo in
27 Sergio Pagano, L’epistolario… op. cit. pag. 106.
28 Sergio Pagano, L’epistolario… op. cit. pag. 107.
19
sacerdote. Ma, almeno in questi anni, fede e musica procedono di pari passo;
se c’è una conquista sul piano spirituale, un’altra, nel 1888, delineerà l’aspetto
musicale. Infatti, nei mesi di maggio e giugno, Lorenzo, accompagnato dal
padre, soggiorna a Roma ove incontra il papa, Leone XIII, al quale offre un
album di composizioni sacre scritte nel corso di quegli anni29; ma, per quanto
commovente e toccante, la visita al Pontefice non è lo scopo principale del
soggiorno romano: Perosi sostiene, infatti, una specie di prova attitudinale –
non è possibile parlare di esame vero e proprio perché non era allievo della
scuola ne, a quanto è dato di sapere, aspirava ad esserlo – al Liceo Musicale
della Reale Accademia di Santa Cecilia, davanti ad una commissione
piuttosto qualificata30. Il giorno 6 giugno 1888, tale Commissione rilascia ai
Perosi il seguente attestato: “I sottoscritti, richiesti di esaminare il giovinetto
Lorenzo Perosi di anni 15, oltre di avere riconosciuto in lui un’attitudine veramente
non comune per l’arte musicale, lo hanno trovato bene istruito nella lettura del
pianoforte, bene iniziato in quella parte dello studio dell’armonia che si pratica nel
suonare i partimenti; hanno anche trovato degne di lode, relativamente alla sua età ed
alle sue cognizioni, le composizioni da lui presentate, nonché i saggi
d’improvvisazione che egli ha fatto all’istante sopra un tema dato. Pienamente
persuasi che, qualora il giovinetto Perosi continui a studiare sotto un buon indirizzo,
potrà riuscire un ottimo artista, sono lieti di rilasciargli la presente dichiarazione”31.
Verso la fine dell’estate di quell’anno si intensifica, da parte di
Giuseppe Perosi, un contatto che sarà notevolmente determinante nella vita
del figlio: si ha, infatti, notizia di una lettera, datata Roma, 18 agosto 1888, ed
inviata dal Padre Angelo De Santi a casa Perosi. Oltre ad una comunicazione
tecnica all’organista della Cattedrale tortonese32, il De Santi scrive: “Godo di
Renzo33: perseveri che il campo è vasto e le palme aspettano i campioni. Raccomando
molto lo studio d’accompagnamento del canto fermo in istile diatonico. Non credo si
possa offrire ai giovani cosa più feconda in cui esercitare l’ingegno”34.
29 Pare che tale album contenesse sicuramente: Ave Maria a 4 v., un inno Ave Joseph a due voci con
organo, O sacrum convivium a due voci, il mottetto Quis ascendet a una voce ed organo; Dormi, non
piangere a 6 – 8 voci tutti dedicati a Leone decimo terzo (cfr. Sergio Pagano, op. cit. pag. 2).
30 Di essa facevano parte: Filippo Marchetti, Cesare De Sanctis ed Eugenio Terziani; la lettera fu
redatta, presumibilmente, dal segretario Benedetto Mazzarella Alessansotti (cfr. Sergio Pagano, op.
cit. pag. 114 e note 40, 41 e 42).
31 Sergio Pagano, op. cit. pag. 113 – 114.
32 Comunicazione che riguardava probabilmente gli articoli che il De Santi scriveva su “La Civiltà
Cattolica”, derivanti, oltre che dalla sua esperienza personale, anche dagli studi di gregoriano e, a
Ratisbona, del “Cacilian Verein”.
33 Riferito chiaramente alla attestazione della Commissione del Liceo Musicale di S. Cecilia a Roma.
34 Sergio Pagano, op. cit., pag. 115.
20
Ma chi era padre Angelo De Santi e quale sia stato il suo ruolo nella
vicenda di Perosi è un discorso lungo e non certo esauribile in poche parole:
la sua influenza, la conoscenza della situazione musicale dell’epoca, la cultura
inestimabile in suo possesso, fecero del De Santi l’ideologo, la mente della
riforma della musica sacra ad inizio del nuovo secolo, basti pensare la sua
collaborazione nella stesura del Motu Proprio “Inter sollecitudines pastorali
et officii” di Pio X.
Angelo De Santi nacque a Trieste il 12 luglio del 1847, ove compì i
primi studi e si formò spiritualmente tanto da entrare, appena sedicenne,
nella Compagnia del Gesù ove poté estendere la sua cultura viaggiando
anche in Francia ed Austria; proprio qui, precisamente ad Innsbruck ricevette
l’ordinazione sacerdotale nel 1877 e, l’anno seguente, venne chiamato a Roma
da Papa Leone XIII a far parte di una commissione pontificia per la
promozione degli studi nella quale anche la musica giocava un ruolo
importante. La musica ebbe il vantaggio di avere nel De Santi un grosso
cultore e studioso, grazie alla sua conoscenza del gregoriano – si era
avvicinato alla metodologia di Dom Moucquerau – ed al suo sviluppo
ottenuto nei corsi seguiti a Ratisbona, che gli consentirono di ampliare anche
le sue conoscenze liturgiche. Dal 1887 apparirono sulla rivista “La Civiltà
Cattolica” i suoi primi studi sulla musica sacra, generalmente molto
apprezzati, e nel 1889 tenne addirittura la prolusione al raduno dei soci del
nascente movimento ceciliano; nei suoi articoli, De Santi combatteva la sua
battaglia a favore della musica liturgica, e del gregoriano in particolare,
contro le correnti filo – polifoniche o veriste, incontrando inevitabili ostilità,
anche da parte del clero colto. Con l’articolo del 1890 dal titolo La musica sacra
in Italia e il programma di Soave si inaugurò un periodo di difficoltà e di
polemiche per il De Santi che egli non contribuì, certo, a stemperare,
criticando compositori, ecclesiastici e laici che, a suo dire, non avevano le
necessarie cognizioni circa la autentica musica sacra e liturgica.
Nel 1894, come principale reazione ai suoi scritti, per così dire, di
“rottura”, ricevette l’ordine dai superiori di allontanarsi da Roma per almeno
cinque anni, e di non occuparsi più di musica sacra; in realtà, fu la “mente”
assieme al Cardinale Sarto del Motu Proprio “Inter sollecitudines” in
condominio, pare, anche con Perosi. Al ritorno in Roma insegnò canto e
musica sacra nel Seminario Pio, in quello Vaticano e in Sant’Apollinare: fu
eletto anche Presidente della Associazione Italiana di S. Cecilia e, nel 1919 fu
tra i fondatori della Scuola Superiore di Canto gregoriano e di musica sacra
21
(l’attuale Pontificio Istituto di Musica Sacra). Morì il 28 gennaio 1922 a
Roma35.
All’inizio della carriera di Lorenzo Perosi, De Santi è un figura di rilievo
assoluto; potremmo dire il padre ed il mecenate allo stesso tempo, l’uomo
distante, lontano, ma, in fondo, sempre presente al fianco del giovane
pupillo. Sembra necessario premettere, mentre spiegheremo più sotto
l’importanza del gesuita per il maestro tortonese, che Perosi fu per il De
Santi, l’uomo della provvidenza; egli, infatti, vedeva incarnati in don Lorenzo
tutte le soluzioni ai problemi che nutrivano le sue idee innovative – o meglio,
riparatrici – e che gli muovevano nell’animo da molti anni: vedere un giovane
sacerdote, carismatico, dotato di tali caratteristiche, già sufficientemente
formato, ma ancora con poca esperienza sul campo, non poteva che
accendere in Padre De Santi la fiamma della speranza. Questo è, forse, il
motivo per cui il gesuita prese don Lorenzo sotto la sua ala protettrice.
Nel frattempo, dopo il riconoscimento avuto all’Accademia di S.
Cecilia, Lorenzo, nell’autunno del 1888, decide di seguire i corsi di
composizione con il Maestro Michele Saladino, del Conservatorio di Milano;
le lezioni vengono impartite per corrispondenza. Motivo di tale, originale,
condizione venne spiegato dal padre in alcune lettere spedite a Padre Amelli,
a Montecassino, nell’estate del 1890. Il 24 luglio, Giuseppe Perosi spiega: “Se
l’aria del conservatorio milanese non fosse così appestata moralmente ed
artisticamente, avrei pensato di mandarlo Renzo colà, ma con che cuore un padre
può sacrificare il figlio nella tana del lupo, perché tale me lo disse un’Illustre e
coscienziosa persona cui mi ero rivolto per informazioni”; e circa un mese dopo, il
22 agosto, ribadisce: “Ebbi per questo delle vere tentazioni, perché mi furono offerti
posti gratuiti nel Conservatori e sussidi da mecenati dell’arte profana o diabolica, ma
malgrado esigenze di numerosa famiglia stetti fermo e spero in dio di non transigere
mai”36.
Alle soglie dell’anno 1890 – 1891 Giuseppe Perosi matura l’idea di
mandare Lorenzo a studiare nell’abbazia di Montecassino ove risiedeva
anche don Amelli, la duplice vocazione del figlio, quella sacerdotale e quella
musicale, imponeva una scelta di queste dimensioni. Se per l’istruzione e la
35 Le note biografiche sono liberamente tratte da S. Pagano, L’Epistolario .. op. cit. pag. 115 e da A.
Bartocci, Dizionario biografico degli italiani, 39, Roma 1991, pagg. 327 – 328.
36 Entrambi i passaggi, che fanno parte delle “Cinque lettere di Perosi padre a don Amelli”,
pubblicate da Musica sacra, 1965, pagg. 62 – 68, sono riportate in Francesco Bauducco S. J. , “Il
Padre Angelo De Santi S. J. e il M° Lorenzo Perosi”, Musica sacra, n. 90, 1966, ser. 2 (XI) pagg. 52-
59.
22
formazione spirituale poteva andar bene qualsiasi luogo – Giuseppe Perosi si
era informato circa l’Istituto di Firenze, gestito dai salesiani – la formazione
musicale lo preoccupava non poco: il 6 ottobre 1889, padre De Santi, in
risposta, scriveva di non conoscere “affatto le condizioni morali dell’Istituto di
Firenze. … … Ma (Renzo) non potrebbe continuare ancora presso di Lei, recandosi a
dare gli esami in qualche liceo? Non potrebbe, dopo un anno, recarsi a Ratisbona,
come ha fatto con tanto suo profitto il Tebaldini? .. “37. Sembra quindi chiarissima
l’intenzione di Padre De Santi di formare Lorenzo al più presto ma, tuttavia,
senza correre il pericolo di incappare in tappe a vuoto: Giuseppe Perosi,
almeno quella volta, non seguì immediatamente, le indicazioni del De Santi.
In particolare, infatti, Perosi padre preferiva mettere nelle mani di don Amelli
il futuro di un giovane molto promettente, ma che, con i tempi che correvano,
era saggio inviare subito su di una strada corretta.
L’8 novembre 1890 Don Amelli scrive a Giuseppe Perosi, comunicando
il felice arrivo a Montecassino del figlio. La vita del musicista Lorenzo Perosi
comincia qui.
37 Sergio Pagano, op. cit. pag. 127.
23
Capitolo Terzo
LA FORMAZIONE E I PRIMI INCARICHI (1890 - 1894)
Come già detto Lorenzo Perosi venne mandato all’abbazia di
Montecassino, in provincia di Frosinone, appena diciassettenne con una
qualifica stupefacente: organista e professore di musica per gli allievi del
collegio di quel monastero per tutto l’anno scolastico 1890 – 1891. Una tale
precocità – visto il corso di studi non pienamente regolare compiuto da
Lorenzo - la dice lunga sulla fama che il giovane tortonese si era già
guadagnato allora; ne è prova ulteriore una lettera, datata 26 febbraio 1889,
nella quale Perosi scrive all’organaro Alessandro Mentasti informandolo dei
futuri restauri ed accorgimenti riguardanti l’organo della Cattedrale di
Tortona. La spaventosa precisione con la quale tratta le varianti da apporre
allo strumento, tanto strutturali quanto prettamente foniche, pur con l’ausilio
del padre, dimostrano con chiarezza quale fosse, già allora, il suo livello di
preparazione e di padronanza della materia.
Pensiero universalmente condiviso è, comunque, che il soggiorno di
Montecassino fu indubbiamente positivo per Perosi su svariati fronti. Tanto
per cominciare, Montecassino fu il luogo più opportuno per dimostrare - più
che agli altri a se stesso – se la sua vocazione religiosa era veramente solida e
se fosse potuta sfociare in una ordinazione sacerdotale: lo stile di vita
contemplativo ed operoso dell’ambiente benedettino, l’austerità e la sobrietà
dell’Abbazia avrebbero certamente permesso una riflessione al giovane
terziario. Perosi – come sostiene Mons. Moneta Caglio, supportato dalle
lettere citate nel precedente capitolo – non fu chiamato a Montecassino
dall’Abate, Guerrino Amelli, ma fu il padre, Giuseppe a muoversi facendo i
primi passi verso tale direzione. Tra i motivi che lo spinsero ad avanzare
questa richiesta, oltre allo sviluppo della vocazione ed alla possibilità di
avvicinarsi al canto gregoriano38, venne addotto anche un motivo “ufficiale”
quello, cioè, “di fargli compiere qualche studio classico presso il collegio annesso
all’abbazia”39. Giuseppe Perosi, scrivendo all’Amelli, propose che il figlio
desse alcune ore di lezione di musica in cambio della ospitalità: suo intento
era quello, naturalmente, di far fruttare al massimo tale soggiorno. In tutta
38 A questo proposito va però detto che i codici presenti a Montecassino – se pure importantissimi
alla fine del secolo scorso – sono oggi privi di una importanza di tipo paleografico in quanto
trascrizioni di codici provenienti da altre abbazie: in pratica si tratta di copie.
39 E. T. Moneta Caglio, Lorenzo Perosi e la riforma della Musica Sacra, in Musica Sacra nr. 90 – 91
anno 1966 – 1967, Milano.
24
risposta l’Amelli, accettando di buon grado, offrì “a Lorenzo quattro ore di
lezione al giorno. Il povero padre si spaventò. Come avrebbe potuto reggere il suo
gracile Renzo a tante ore di insegnamento, e a trovare ancora il tempo di dedicarsi
alle materie letterarie e di preparare gli elaborati da inviare a Milano al maestro
Michele Saladino, col quale studiava per corrispondenza contrappunto e fuga?
Propose perciò che i quattro allievi si esercitassero contemporaneamente, suonando a
quattro mani su due pianoforti; metodo da lui già applicato con buon frutto a
Tortona. Fu esaudito, ma l’orario venne fissato, con criteri molto monastici e
pochissimo musicali, dalle cinque alle sei del mattino”40. Tale rigidità mosse le
lamentele del padre alla notizia che, già nella primavera del 1891, Lorenzo era
già stremato di forze e i suoi malori si fecero sempre più frequenti: con
decisione venne, in particolare, contestato l’orario che costringeva il figlio ad
un risveglio per le ore 4,30 del mattino. L’abate, Guerrino Amelli, scrivendo
da Montecassino il 21 maggio di quell’anno spiegava che “Lorenzo sta assai
meglio: ha scritto sotto l’impressione dei dolori viscerali, ma non appena ieri l’altro fu
visitato dal medico Nicoletti …. si sentì subito sollevato. … La vera causa sarà forse
cagionata da soverchia applicazione, stando seduto al piano e all’organo lunghe ore
continue, e in ciò dovrebbe moderarsi. Nessuno l’ha mai obbligato ad alzarsi alle
quattro e mezza. Io gli ho detto che insieme alla suddetta ricetta (omessa, N. d. A.)
unirò un estratto di verga o di frustino per farlo levare dal piano”41.
Chiediamoci, ora, come può avere influito sulla formazione di Perosi il
soggiorno – breve e faticoso – a Montecassino. Sicuramente l’incontro con
Padre Amelli, innanzitutto; ma, perché no, anche altre due considerazioni si
potranno fare in relazione alla sua passione per lo studio ed alla vita
monastica con l’accostamento che Perosi ebbe verso il canto gregoriano
proprio nell’Abbazia laziale.
Padre Guerrino Amelli (1848 – 1933) può essere considerato come una
figura di spicco della riforma italiana. Anch’egli si formò musicalmente in
Italia, ma il suo sviluppo concettuale avvenne grazie alla frequenza a
Ratisbona ed al conseguente incontro con il Cecilianesimo tedesco; tornato in
patria infilò un palmares di rilievo: fu relatore sulla musica sacra al I
Congresso Cattolico di Venezia (1874), fondatore della rivista “Musica sacra”
dal 1877 al 1885 quando entrò monaco nell’Abbazia di Montecassino. Trovò
intanto il tempo per fondare – e divenire il primo presidente – l’Associazione
Italiana Santa Cecilia per la Musica sacra, al I congresso di musica sacra di
Milano del 1880; più avanti, rientrato nella Associazione dopo un periodo di
40 E. T. Moneta Caglio, opera citata.
41 Sergio Pagano, opera citata, Documento numero 35 pag. 137 – 138.
25
silenzio fondò nel 1905, proprio a Montecassino, il Bollettino Ceciliano,
divenendone il primo Direttore fino al 1909. La sua cultura e la sua
erudizione, tra le altre cose, gli permisero di essere considerato valido esperto
anche in altri campi al di fuori della musica sacra quali, ad esempio, quelli
della traduzione e della ricerca paleografica. Sembra quasi scontato
concludere che Guerrino Amelli possa essere visto sotto la duplice veste di
padre spirituale di Lorenzo Perosi, ma anche di esempio di cultura e di
saggezza per un giovane che, in ogni epoca, aspira a modelli che gli
infondano una coerente testimonianza esistenziale; quanto Montecassino – e
l’Amelli in particolare – abbiano influito sulla maturazione spirituale e
religiosa di Don Lorenzo non è dato di sapere, quindi possiamo trovarci nel
campo delle congetture e delle illazioni. Ma due cose sembrano certe: se da
un lato non esiste nulla di meglio della vita contemplativa per accertarsi se la
propria è una vocazione fondata, al di là di una qualsiasi – possibile –
infatuazione per la vita religiosa, dall’altro è innegabile che il Perosi padre
non abbia inviato a Montecassino il figlio a sproposito. Più verosimile ed
intuibile potrebbe essere la versione che fosse compimento di un preciso
disegno paterno quello di verificare e testare le qualità del figlio, quasi a
volerne tracciare definitivamente il percorso di vita.
Dicevamo la sua passione per lo studio. Perosi era solito abbandonare
“spesso la musica per darsi a studi letterari”42 ed era, da sempre, attirato dalla
conoscenza delle lingue straniere: quale miglior habitat di Montecassino,
all’incontro di monaci esteri, tedeschi e francesi, con i quali imparò a
conversare nel loro lessico! Aveva una infarinatura di quasi tutte le lingue
europee, anche polacco e russo, ed amava farne sfoggio anche sulla sua
musica quando le dediche erano ora in francese, ora in inglese, ora in tedesco.
Naturalmente non disdegnava lo studio della musica, passando varie ore
all’organo ma anche componendo i lavori da inviare a Milano al Maestro
Saladino: l’Amelli, addirittura, rispondendo al padre, parava le responsabilità
di eccessiva durezza nei confronti di Lorenzo rispondendo a tono43.
Infine il canto gregoriano. “Sotto l’aspetto musicale, Montecassino servì a
metterlo intimamente a contatto con l’arte gregoriana, arte che eserciterà su di lui
un’attrattiva fortissima. Anche qui però non bisogna esagerare. Si è detto che era
andato a Montecassino a studiarvi il canto gregoriano sui codici. A Montecassino,
infatti, non volendosi ricorrere alla edizione neomedicea di Ratisbona e mancando il
coraggio di adottare l’edizione di Solesmes, si continuava a cantare sui grossi corali di
42 E. T. Moneta Caglio, Lorenzo Perosi, op. cit. pag. 164, nota 19.
43 Vedi nota 41.
26
pergamena aperti sul leggio monumentale; ma erano manoscritti del secolo XVI.
Quando si pensa che la paleografia gregoriana si studia sui codici del secolo X e XI, si
comprende come Perosi, nel periodo di Montecassino, abbia sì potuto assimilare
l’estetica gregoriana, … , ma non sia divenuto un asso in paleografia … I colloqui
con Amelli servirono comunque a ragguagliarlo sullo stato della questione dibattuta
ad Arezzo fra Haberl e Dom Pothier: non si può dire che Perosi ne sia uscito del tutto
corazzato, perché per qualche tempo non terrà ancora una linea di condotta ben
ferma44; tuttavia la sua fiducia in Haberl come gregorianista ne fu scossa per sempre.
Nella sua prima corrispondenza da Ratisbona all’Osservatore Cattolico, spedita il 19
gennaio 1893 saluterà i solesmesi come coloro ‘che ci danno ed insegnano il retto
modo di cantare quelle melodie che fecero piangere i santi’; una bella maniera invero
di dimostrarsi disimpegnato dal suo preside”45. Il rapporto tra Perosi ed il
gregoriano inizia qui, a Montecassino; tracce di gregoriano si ritrovano nelle
melodie e nei temi dei vari mottetti, scritti, in modo particolare, per la
Cappella Sistina. La filosofia di Perosi verso il gregoriano fu quella di una
rispettosa deferenza e di un continuo rifarsi ad un tale modello: “Ho sempre
amato e stimato il canto gregoriano, e sempre più l’ho amato in quelle edizioni che più
si avvicinavano alla lezione dei venerabili codici tramandataci dalla pietà dei
claustrali. L’edizione dello studio solesmense è senza dubbio in questo momento la
migliore che si conosca e su quel Graduale, che mi è stato guida e consolazione nel
corso dei miei studi musicali, vorrei che si convergesse quello studio obbligatorio e
necessario dei seminari. Come compositore di musica potrei bene decantare le bellezze
di tante di quelle melodie, così pure e così semplici, così devote e così austere; tuttavia
non deve essere la parola dell’artista sopra la parola del Pontefice. La santa memoria
di Leone XIII ha encomiato e laudato con nobili parole gli studi gregoriani; la Santità
di Pio X, nome così caro agli amatori del decoro dell’arte in Chiesa, apertamente ha
dimostrato il suo volere ed il suo desiderio. Non vi sia perciò nessun levita che il
canto proprio della liturgia romana non conosca e non ami; e la soave austerità, una
delle belle doti del nostro rito, ritorni col canto gregoriano nelle funzioni delle nostre
belle Chiese”46. Un tale atteggiamento che il maestro tortonese mantenne anche
nella direzione della Cappella Sistina quando, durante l’esecuzione di un
canto gregoriano, la direzione veniva sistematicamente affidata ad un
cantore, Rella, che fungeva da Vice Maestro47.
44 Fino al 1903 pare che Perosi fosse dibattuto sull’uso ora dei libri corali, alla maniera di
Montecassino, ora del Graduale di Solesmes; in più di una occasione, tuttavia utilizzò, senza
troppa determinazione, vuoi l’edizione solesmese, vuoi l’edizione di Ratisbona.
45 E. T. Moneta Caglio, Lorenzo Perosi … , op. cit. pagg. 164 – 165.
46 Un “giudizio di Lorenzo Perosi sul canto gregoriano”, Roma 1904, riportato da Sergio Pagano,
L’epistolario, op. cit., pag. 525 – V.
47 Questo episodio mi è stato riferito personalmente da Domenico Bartolucci, Vice Maestro di
Perosi, dal 1952 fino al 1956 e successivamente, sostituto dello stesso Perosi quale Direttore
Perpetuo dal 1956 al 1997.
27
Questo anno, 1891, è importante anche per un motivo che ritroveremo
più avanti: il Maggiordomo del Sacro Palazzo Apostolico emana un nuovo
regolamento per la Cappella Sistina. Tale sottolineatura è importante se si
pensa che il documento che sostituirà questo sarà emanato nel 1905 da Pio X,
sotto la direzione proprio di Perosi. Sembra interessante riportarlo
interamente onde poi riprenderlo per fare i raffronti con il documento
seguente.
REGOLAMENTO PEL COLLEGIO DEI CANTORI DELLA
CAPPELLA PONTIFICIA ELABORATO D’ACCORDO COL
MAESTRO COMMENDATORE DOMENICO MUSTAFÀ
NEL MARZO 1891
Il santo padre Leone XIII prendendo in benevola considerazione le suppliche
molte volte umiliate al suo trono dai cappellani cantori pontifici, si è degnato di
approvare il seguente regolamento, che avrà vigore dal 1° aprile prossimo, restando
invariate le Descrizioni, Bolle e Costituzioni pontificie non derogate esplicitamente o
implicitamente dalle norme seguenti.
Capo I
Numero e qualità dei cantori.
a) La Cappella Pontificia sarà composta di numero 32 cantori, ossia 8 soprani,
8 contralti, 8 tenori, 8 bassi come pel passato.
b) Nel numero dei 32 non si contemplano i giubilati, ed i dichiarati impotenti
al voto segreto dato per bussolo dalla Cappella intera;
c) Nel caso che qualcuno dei 32 cantori per queste ragioni non potesse
intervenire, si chiamerà un cantore delle basiliche patriarcali, della voce
occorrente, come si è praticato in questi ultimi anni, purché non vi siano
sopranumeri;
d) Pei cantori, che non vi sono altrimenti astretti, è derogato l’obbligo (comune
a tutti i beneficiati) del celibato, e si tollera che per le circostanze de’ tempi
siano dispensate anche da quello dell’abito e della tonsura (cf. Cap. IIIa);
e) I coniugati si chiameranno semplicemente cantori; gli altri cappellani
cantori. Da questi si potrà passare tra quelli;
f) Le persone in sacris avranno sempre la preferenza nelle ammissioni
caeteris paribus;
g) L’ordine della decananza nel servizio non verrà modificato dall’appartenere
ai cappellani, o ai cantori, ma si terrà solamente conto del tempo
dell’ammissione.
28
h) Ai 32 cantori saranno aggregati non meno di quattro fanciulli scelti di
preferenza nella Scuola Pontificia di S. Salvatore in Lauro, o di un istituto
ecclesiastico.
Capo II
Servizio dei cantori.
Nulla è innovato circa gli obblighi dei cantori ed in special maniera si prescrive
che le accademie o prove si tengano dal 1° novembre al 30 giugno, due volte al mese, e
quando si credesse opportuno, sotto pena della puntatura e di multe del direttore o del
maestro.
Capo III
Emolumento dei cantori.
a) L’attuale emolumento L. 118,25 avrà sempre ragione di beneficio pe’
cappellani cantori di titolo per la sacra ordinazione.
b) Tutti i cantori di primo, secondo e terzo servizio, meno quelli che in
avvenire appartenessero a basiliche patriarcali, riceveranno un soprassoldo
mensile di L. 21,75.
c) Nulla è innovato circa il soprassoldo ora esistente per quelli di secondo e
terzo servizio.
d) I cantori goderanno delle stesse propine di cui godono i cappellani cantori,
compresa anche la partecipazione alla cassa di sovvenzione, non avranno
però i diritti e privilegi che emanerebbero dalla condizione di ecclesiastici e
famigliari del pontefice.
e) I fanciulli non avranno emolumento, ma un equa distribuzione per ciascuna
Accademia o pubblica esecuzione.
f) Sono abolite le cariche di diacono e suddiacono, ed alla mancanza degli
attuali investiti, saranno anche aboliti gli offici di secondo scrittore e sotto
custode.
g) I cantori che eserciteranno l’officio di diacono e suddiacono di cappella,
avranno per ciascuno la distribuzione di L. 5 ogni volta.
h) Dandosi la vacanza degli attuali impiegati le cariche ed impieghi saranno
conferiti ai componenti la cappella con le norme tenute finora, ma con
emolumento minore per metà degli attuali.
Capo IV
Disposizioni transitorie
a) E’ transitoriamente tollerato che le cariche maggiori siano esercitate dai
cantori non cappellani.
b) Parimenti si tollera che questi esercitino una professione. Devono però
riportarne espressamente licenza dal maggiordomo.
29
Dal Vaticano li 7 marzo 89.
Il maggiordomo di sua santità
Prefetto dei sacri palazzi apostolici
+ Luigi arcivescovo di Pietra.
La Cappella Sistina in una foto di fine Ottocento. Si riconosce sdraiato
Alessandro Moreschi e, seduto con il cappello,
il Direttore Perpetuo Domenico Mustafà.
Rientrando al nostro Perosi, che abbiamo lasciato nell’estate del 1891
spossato dall’esperienza di Montecassino, occorre subito dire che anche quel
periodo fu fondamentale nella vicenda vissuta dal tortonese; infatti Giuseppe
Perosi inoltrò regolare domanda di ammissione al conservatorio di Milano
nel quale il figlio era già allievo epistolare di Michele Saladino. E proprio a
30
quest’ultimo Perosi padre si rivolse affinchè lo illuminasse sui passi da
compiere per arrivare alla iscrizione nel prestigioso istituto musicale
milanese: “Egregio maestro, Le accludo un estratto, dai Regolamenti di questo
Conservatorio, per l’ammissione degli alunni. Ella vi troverà quanto occorre per
inoltrare la domanda, ciò che potrà aver luogo nel settembre, alla Direzione del
prelodato istituto. In quanto all'esame da subire davanti all’apposita Commissione
composta dai professori dell’Istituto, per Renzo, son convinto, è cosa lieve; leggere a
prima vista un basso numerato sul pianoforte, e poi svolgere un piccolo tema onde
giudicare l’attitudine dell’aspirante. … Sono dispiacente non poterle suggerire mezzo
efficace per ottenere un sussidio governativo. Non conosco precedenti che possano
servire di guida onde raggiungere lo scopo. Forse una speciale raccomandazione al
Ministero della P(ubblica) I(struzione) potrebbe essere utilissima, ma per far questo
sarebbe opportuna una persona influente, anzi amica del suddetto Ministro. Ed il
Comune di Tortona non può, in tal caso avuto riguardo delle speciali attitudini di
Renzo, fare atto di giustizia? … Suo dev.mo Michele Saladino”48. Mentre il padre
ed il maestro palermitano si interessano della formazione della giovane
promessa, Lorenzo continua la sua estate, sofferente e malaticcio; dal
carteggio epistolare si trovano molte missive verso la propria famiglia ove le
vacanze passate tra Sampierdarena e Varazze non sembrano avere effetti
benefici; comunque prima dell’autunno ritorna a Tortona e si ributta, su
indicazione probabilmente di Saladino, nello studio assiduo della fuga a
quattro parti. Intanto, benchè le condizioni fisiche fossero sempre precarie, si
fece intensa l’opera di convincimento ad entrare in conservatorio a Milano;
tutto questo, però, in aperta opposizione con quanto sosteneva Giuseppe
Perosi qualche anno prima sull’ambiente milanese49: cosa può aver fatto
cambiare così radicalmente idea al padre? Chiediamo aiuto ancora a Mons.
Moneta Caglio: “è più facile che il suggerimento (di entrare in conservatorio, N.
d. A.) gli sia venuto dagli ambienti di Milano, dove i suoi risultati … avevano acceso
inattese speranze tra i dirigenti di Musica Sacra. Perosi era entrato in Conservatorio
sostenendovi regolare esame di idoneità il 20 aprile 189250; C. Gatti enumera una
serie di persone che possono averlo raccomandato, da Amelli al Gallignani e al conte
Lurani, onde ottenere l’ammissione ad anno incominciato – anzi, quasi finito – è
probabile però che più di tutti valesse il giudizio dell’insegnante che doveva
48 Sergio Pagano, op. cit. pagg. 138 – 139; la lettera porta la data del 28 giugno 1891.
49 Vedi nota 36.
50 Esiste una differenza di date: Michele Saladino dava appuntamento a Perosi per il “giorno martedì
19 corrente (aprile) alle 10 antimeridiane” (Sergio Pagano, op. cit. pag. 145); Mons. Moneta usufruisce
probabilmente del ricordo, forse un po’ sbiadito di Carlo Gatti, condiscepolo di Perosi in
conservatorio, nell’opera Il ritorno di Perosi, in La lettura, Corriere della Sera, 37 (n. 5, maggio 1937),
pag. 435.
31
accettarlo: il M° Saladino”51. Anno quasi finito, si diceva: infatti, cosa più unica
che rara, Perosi sostenne l’esame di ammissione, al conservatorio di Milano,
ad anno praticamente concluso, ossia a distanza di circa due mesi dagli esami
finali della classe cui il tortonese fu destinato, quella di fuga. La sua idoneità
fu comprovata dal risultato della prova: 7,79, un voto apparentemente basso
ma il più alto ottenuto in quell’anno. L’esame finale fu sostenuto nella
seconda metà del mese di giugno e le relative pagelle consegnate il giorno
2752 e grande deve essere stata la sorpresa di Perosi e della sua famiglia nel
verificare la straordinaria serie di valutazioni conseguite: 10 – 10 – 10 – 9,50;
“un risultato straordinariamente lusinghiero, anche se la media complessiva fu
tenuta, non sappiamo perché, al livello più basso: 9,50. Si volle forse tener presente
che il candidato era stato fin troppo favorito nell’ammissione ad anno inoltrato? Non
si può dirlo. A quei tempi il 10 era rarissimo a Milano; non l’ebbe neanche Puccini. I
ceciliani avevano dunque tutte le ragioni per esultare”53.
Prima di esaminare in breve le ragioni ed i motivi di esultanza dei
ceciliani, i quali speravano – a giusta causa – di aver trovato l’incarnazione
vivente e la personificazione del loro uomo ideale, soffermiamoci su due
aspetti che ancora attirano la nostra attenzione e che emergono, nuovamente,
dal carteggio epistolare di Perosi. Il primo aspetto è relativo al rapporto
Perosi – Conservatorio; se da un lato il musicista non dimenticò mai questo
istituto facendogli, ad esempio, omaggio della sua prima raccolta con la
dedica54, dall’altro è possibile che Renzo non fosse attirato più di tanto
dall’ambiente milanese, anzi è probabile che considerasse Milano un
passaggio obbligato della sua formazione ma nulla di più. Inoltre era
infastidito dalla “anticamera del teatro”, così lo definiva, rappresentata
dall’ambiente meneghino. “… Ho sentito dire che alla metà di giugno si fanno gli
esami; tanto meglio! A dir la verità ne sono già stufo e ristufo della baraonda del
Conservatorio. Per tutti i contri mi si dice di andare ai teatri, ma io tengo duro e
spero, con l’aiuto della Madonna, di non mai metter piede sulla scena, come anche di
tirarmi via presto dal Conservatorio di Milano che del teatro moderno è l’anticamera!
Per fortuna c’è nella biblioteca del Conservatorio la raccolta delle opere Palestriniane
dell’Haberl e mi passo con quei libri qualche ora tutti i giorni di vera consolazione e
contento”55. La lettera, di cui riporto uno stralcio, è spedita da Perosi al padre
il giorno 25 aprile 1892, ossia cinque giorni dopo l’esame di idoneità; perciò il
51 E. T. Moneta Caglio, Lorenzo Perosi …, op. cit. n. 91, 1967, pag. 16.
52 E. T. Moneta Caglio, Lorenzo Perosi …, op. cit. n. 91, 1967, pag. 17.
53 E. T. Moneta Caglio, idem.
54 “Alla Biblioteca del R. Conservatorio di Milano l’olim discepolo” in E. T. Moneta Caglio, idem.
55 Sergio Pagano, op. cit. pag. 146.
32
giovane Renzo, oltre ad essere un ventenne con le idee chiare sul proprio
futuro di musicista e di apostolo della musica sacra, si era immediatamente
fatto una precisa idea sull’ambiente milanese e sull’inquinamento, per così
dire, che la sua indole puramente ispirata poteva subire da un simile infuso
di teatralità ed operismo, peraltro, imperanti a quel tempo.
Ma un’altra questione, dopo il felice conseguimento del diploma a
Milano, diventa subito spinosa ed attuale: quale futuro immediato doveva
avere il giovane Renzo ma, sembra di leggere tra le righe, come poter evitare
di bruciare questa splendida promessa, mancando, magari di fargli compiere
qualche passo opportuno e perdere, quindi, l’opportunità di presentarlo
come l’uomo della provvidenza? Per questo i grandi “mecenati” di Perosi si
mettono subito all’opera per indicare la strada, a loro parere, migliore
possibile, dibattendo se era il caso di battere sul chiodo della formazione
musicale, vista la fresca conferma ottenuta in un habitat proibitivo come
Milano, oppure se indicare, quale percorso primario da accostare, come già
accaduto, ai successi musicali, quello della formazione spirituale con la
coltivazione di una vocazione destinata a sfociare verso l’epilogo del
sacerdozio. Il primo, in ordine di tempo, è padre Angelo De Santi con una
lettera datata 12 luglio della quale riporto alcuni passaggi significativi:
“Carissimo Renzo, mi congratulo vivamente del buon esito dei tuoi esami al
Conservatorio e del titolo di Maestro che oramai ti conviene. Quanto all’andare a
Ratisbona tu sai già come io la penso. Ti gioverebbe assai per un verso, ma per l’altro
Malines sarebbe meglio. Ma tu stesso mi vieni fuori con un’altra questione. Se
veramente vuoi dedicarti allo studio ecclesiastico, mi sembra che non c’è più tempo da
perdere. Un corso di studi lo devi fare, per quanto abbreviato … e finita la teologia
potrai allora, più maturo d’anni, fare un viaggio d’arte e passare qualche mese o a
Ratisbona o a Milano. Il Mitterer56 fece pure così. Ecco dunque il mio consiglio: entra
in seminario e pensa subito a seguire la tua vocazione. Per te nulla di meglio del
Seminario Vaticano … Naturalmente i seminaristi ti bramano fra loro e mi
domandano sempre se vieni e quando. Io non so davvero se tu possa trovare nido
migliore di questo, dove avrai occasione di fare i tuoi studi e di vivere davvero in
mezzo all’arte gregoriana e palestriniana, con un bellissimo organo a tua
disposizione. …”57.
56 Ignaz Martin Mitterer (1850 – 1924), compositore austriaco, molto ispirato in quanto a musica
sacra, fu prima ordinato sacerdote nel 1874 e poi intraprese la sua definitiva formazione musicale
studiando a Ratisbona (1876 – 1877), quindi lavorò a Roma onde tornare, nel 1885, come
Kapellmeister a Ratisbona.
57 Sergio Pagano, op. cit. pag. 147 – 148. Inoltre, in un’altra lettera inviata il 31 luglio, De Santi
sollecita a Giuseppe Perosi una decisione quanto mai rapida (op. cit. pag. 149).
33
Ma accanto a De Santi, qualcun altro si interessava del futuro di Perosi,
ossia l’abate di Montecassino che, un anno dopo l’uscita del giovane Renzo
dalla comunità, chiedeva ancora notizie sui suoi progressi, manifestando un
certo interesse sulla eventualità di un ritorno in abbazia; quindi scrive a
Giuseppe Perosi il 31 luglio di quella fondamentale estate del 1892: “… Ora
mi premerebbe avere notizie di lei e del figlio, e se possiamo contare sul di lui ritorno
o se dovremo pensare diversamente. Tanto per nostra regola, dovendo provvedere in
tempo. Le sarò grato d’un cenno sollecito”58.
Durante il mese successivo le riflessioni sul futuro di Perosi sono
sconvolte da un fatto estremamente interessante; l’architetto Pietro Saccardo,
presentato a Giuseppe Perosi dal comune amico Giambattista Paganuzzi, il 24
agosto, scrive a nome della Commissione Capitolare della Basilica di S. Marco di
Venezia offrendo l’incarico, per un anno, di organista al giovane Lorenzo;
dietro a questa operazione, manco a dirlo, il padre Angelo de Santi che,
indicando al Saccardo la preminenza della vocazione sacerdotale del pupillo,
rinunciava, per quel periodo ad averlo a Roma, in considerazione dell’ottima
credibilità ed affidabilità offerta dal seminario di Venezia. I fatti si
concretizzarono per una serie di coincidenze: Maestro di Cappella a San
Marco era Giovanni Tebaldini, ed organista Oreste Ravanello.
Quest’ultimo, non potendo evitare l’arruolamento, lasciò libero il posto ad un
sostituto, un certo signor Cipolla di Brescia, il quale a sua volta, ottenne il
posto stabile di organista a Savigliano quindi, dal 1° ottobre, il posto sarebbe
stato vacante. Data l’ulteriore coincidenza relativa al fatto che l’altro
organista, della vecchia scuola, si riduceva a suonare nelle Messe senza
Cappella e che a Venezia i buoni organisti non riscuotevano la fiducia della
Commissione, il de Santi intervenne segnalando il Perosi. In relazione
all’entità dell’incarico ecco cosa scrive il Saccardo: “… Siccome per una delle
disposizioni transitorie gli organisti in oggi sono due, l’uno dei quali suona quando
non interviene la Cappella, così l’obbligo del suo signor figlio sarebbe quello di
suonare in tutte le funzioni indicate nella tabella annessa al Regolamento, del quale
Le invio sotto fascia una copia. Ha pur l’obbligo di assistere a 48 prove d’assieme ed a
prestare l’opera sua due volte per settimana, di sera, alla Schola cantorum … “59. Un
incarico difficile da rifiutare, se consideriamo la giovanissima età di Perosi,
l’agiatezza della sistemazione e la validità, anche da un punto di vista
formativo, del seminario e della scuola di teologia; inoltre, sarà sicuramente
passato nella mente del padre che un simile ingaggio, pur se transitorio,
avrebbe costituito un buon lancio pubblicitario per il figlio, una operazione di
58 Sergio Pagano, op. cit. pag. 148 – 149.
59 Sergio Pagano, op. cit. pag. 152.
34
immagine tra le più opportune. Ma accadde, ancora, che, nel bel mezzo delle
riflessioni sulla possibilità di accettare o meno tale allettante proposta, un
intervento ben qualificato aiutò i Perosi a scegliere la strada, forse, al
momento, meno sponsorizzata: Ratisbona. Questo intervento fu del conte
Francesco Lurani; amico di famiglia, cultore di musica e cantante (al punto
che Perosi gli assegnò addirittura la parte di S. Pietro durante la prima
esecuzione della Trasfigurazione60), di fatto, fornì i mezzi finanziari necessari
alla permanenza a Ratisbona e lo ospitò più volte nella sua villa a Cernusco
Lombardone. Il suo intervento fu risolutivo quanto perentorio: “Egregio
Signore (Giuseppe Perosi, N. d. A.), sto per partire per Cernusco; non le mando
quindi che due righe in tutta fretta per pregarla a non accettare la proposta fatta a
Renzo. Sarebbe per lui proprio un anno sciupato! Renzo deve andare a Ratisbona (mi
perdoni la frase!). Là è il suo ambiente, là potrà acquistare quelle cognizioni che
faranno davvero per lui. E quando tornerà in patria non gli mancherà un posto adatto
per lui, ne son certo. Del resto credo che né Vostra Signoria, né Renzo avranno
pensato compiacere all’idea dell’anno da passare a Venezia per solo comodo altrui!
…”61. Probabilmente questa perentorietà fu ciò che serviva ai Perosi per
spazzare ogni dubbio, o ancor meglio, il giovane Renzo necessitava di una
spinta seria, caparbia e protettrice. Fugati quindi i dubbi, Lorenzo Perosi si
prepara alla partenza per Ratisbona.
La Kirkenmusikschule di Ratisbona fu fondata da Franz Xavier Haberl nel
1874 era un istituto all’avanguardia in relazione agli insegnamenti musicali e
compositivi nell’ottica della riforma della musica sacra; fu un tipico caso di
impegno di fine ottocento verso una concettualità non solo rivista nella
pratica musicale, ma anche in quanto a tecniche didattiche è possibile
sostenere una differenza sostanziale con altri istituti addetti
all’insegnamento. Anzitutto non era una vera e propria scuola, ma una
istituzione privata che rappresentava un corso di perfezionamento superiore
che iniziava il 15 gennaio e terminava il 15 luglio; come linea, questo corso
poteva apparire una sintesi tra il gregoriano e la polifonia “alla Palestrina”,
ma di fatto inquadrava un po’ tutti quei musicisti che vi passavano, in uno
stile troppo tedesco e rigido, che finiva talvolta per tarpare le ali della fantasia
creativa dei singoli artisti. Lorenzo Perosi parte da Milano il 10 gennaio del
1893 alla volta di Ratisbona dove resta fino al 9 giugno dello stesso anno ed il
soggiorno, come già detto, è tutto a carico del conte Francesco Lurani. Il
grande problema di Perosi, almeno inizialmente, fu quello del tedesco, ma
una sua predisposizione all’apprendimento delle lingue straniere rese
60 E. T. Moneta Caglio, op. cit. pag. 19.
61 Sergio Pagano, op. cit. pag. 153.
35
piuttosto sterile questa preoccupazione; ad ogni buon conto le quattro ore di
lezione giornaliere di Ratisbona lasciavano grande spazio alle prove dei
ragazzi della Cappella, allo studio sull’organo e alla composizione; è lo stesso
Perosi che ci offre una tale testimonianza: “Carissimo padre, scrivo in fretta in
fretta due linee perché sono addirittura occupato … ho da finire un Kyrie, un Sanctus
ed Agnus Dei a 3 voci senza accompagnamento per monache; lavoro che m’ha dato da
fare il Direttore; ho da scrivere altri due Veni creator Spiritus a 3 voci; tutto ciò per
questa settimana …”62. Comunque anche il corso di Ratisbona si concluse in
modo egregio, tanto più che Perosi ebbe il primo attestato, segno di grande
successo per il giovane tortonese. Ma al termine della esperienza tedesca
chiediamoci cosa lasciò il corso di Haberl nella professionalità di Renzo e
chiediamo aiuto a Mons. Moneta Caglio.
“Egli era soddisfatto degli studi compiuti a Ratisbona, dove le sue convinzioni
ceciliane erano state rinsaldate contro ogni attacco e dove gli era stato sviscerato ogni
segreto della composizione polifonica. Ma ciò avvenne senza che ne uscisse
definitivamente alterata la sua personalità artistica. Ed è quello che costituisce una
differenza capitale fra lui e gli altri italiani che studiarono a Ratisbona. Questi
tornarono tutti più o meno inquadrati nei rigidi schemi tedeschi … in fondo al loro
stile o alle loro idee rimase sempre una tracci di Ratisbona. Fu appena sul principio
che la sua produzione (di Perosi) risentì dei modelli tedeschi; ma si trattò di un
fenomeno passeggero e sembra che già fin d’allora desse a vedere di voler battere
un’altra via … Haberl, il quale doveva aver intuito la musicalità dell’allievo e non
poteva certamente condividere questi indirizzi, sperò forse di sopirli utilizzandolo in
un altro campo: quello dell’organo. Gli offerse la cattedra di organo alla
Kirchenmusikschule. Non bisogna sorvolare su questa offerta. La fama del Perosi
compositore ha oscurato quella dell’organista; ma organista lo era, e di prim’ordine
… Insomma, fino a questo momento appare perfettamente giustificato l’invito
rivoltogli da Haberl, tanto è vero che a Perosi esso non dispiacque affatto”63. Ma
accanto a questa allettante proposta, l’intervento di Angelo De Santi fu,
questa volta, decisivo; offertosi, quest’ultimo, di fare da mediatore tra il
musicista ed il Vescovo di Imola, scrive al giovane maestro il 15 agosto 1893,
proponendogli l’incarico di insegnante di canto gregoriano nel locale
seminario. Incarico che Perosi accetta, su committenza di Mons. Domenico
Baruzzi, segretario di S. E. Mons. Luigi Tesorieri, Vescovo di Imola, che gli
propone l’offerta il giorno 18 settembre 1893; ai primi di novembre, ossia con
l’apertura dell’anno scolastico del seminario, Perosi inizia, dunque, la sua
attività didattica che, di lì a qualche mese, si tramuterà in quella di esecutore
62 Sergio Pagano, op. cit. pag. 155.
63 E. T. Moneta Caglio, Lorenzo Perosi, op. cit. pagg. 19 – 20.
36
come Maestro di Cappella della cattedrale emiliana, nonché di compositore.
“Nel programma della Settimana Santa in Cattedrale a Imola figurarono ben 11 pezzi
di canto di sua composizione, tra cui una messa a 5 voci, oltre a un buon numero di
falsi bordoni … sulle prime, forse, non ebbe tanto la sensazione che la sua strada fosse
quella di comporre, quanto quella di dirigere una Schola Cantorum: ‘il mio desiderio,
il fine dei miei studi, sarà sempre quello di poter avere un giorno una cappella fatta a
dovere’. Bisogna dire che ad Imola, …, si rivelarono subito le sue doti di attivista
capace di stimolare e trascinare i seminaristi sl canto, accendendoli di zelo per gli
indirizzi della riforma, ma si rivelarono insieme le deficienze di interprete; don Palo
Borroni – uno dei suoi più intimi – parlò addirittura di esecuzione ‘vertiginosa’. Ma
insieme diceva: ‘Ho veduto una cosa ammirabile: un seminario trasformato, si può
dire, in una cappella musicale’. Più avanti negli anni, il maestro dichiarerà
spontaneamente di sentirsi prima un compositore e poi un direttore. Tale vocazione
gli apparve sempre più chiara di fronte al favore che riscossero le sue musiche. Ma ciò
avverrà principalmente durante il periodo di Venezia”64.
Perosi, in quell’estate del 1894, ricevette l’incarico di Maestro di
Cappella della Basilica patriarcale di Venezia. Naturalmente accettò. Gli anni
di apprendistato, per lui, finivano qui.
64 E. T. Moneta Caglio, Lorenzo Perosi, op. cit. pagg.24 – 25.
37
Capitolo quarto
MAESTRO DELLA CAPPELLA MARCIANA DI VENEZIA (1894 – 1898)
La Cappella Musicale della Basilica Patriarcale di Venezia, ancora in
quegli anni, era una istituzione piena di lustro e di decoro dalla quale, un po’
come in tutte le Cappelle Musicali di un certo livello, erano passati musicisti
decisamente importanti, quali, ad esempio, Croce, Zarlino, Legrenzi e
Monteverdi su tutti. Ma, in quel tempo di riforma, anch’essa viveva una
situazione un po’ instabile, sia per fattori esterni – una ristrutturazione è
sempre un momento di passaggio e di transizione, ove occorrono uomini
attenti alle esigenze di collegamento tra le novità ed un passato irrinunciabile,
uomini di conduzione, insomma, capaci di traghettare al nuovo porto senza
eccessivi traumi – ma anche, forse soprattutto, per ragioni interne. “C’erano da
sistemare i rapporti con il M° Coccon. Questi era organista, pur avendo il posto di
maestro primario; il direttore del coro gli era quindi subordinato. Di qui gli attriti
con Tebaldini, che stanco della situazione insostenibile, aveva optato per Padova. Il
Coccon non era avverso a tutte le idee della riforma, dal momento che nel suo esposto
alla S. Congregazione dei Riti del 1893 giudicava ‘serio e chiaro’ il Regolamento del
1884, emanato per cacciare la musica teatrale dal tempio; rivendicava anzi a se il
merito di avere bandito da Venezia ‘quanto maggiormente si opponesse allo spirito
dell’attuale riforma’. Ma doveva essere di cultura piuttosto scarsa se, parlando della
polifonia cinquecentesca, scriveva: ‘Il ritorno al genere primitivo non è logico. Allora
la melodia non era ancora venuta al mondo’. … Egli non poteva prevedere che la
melodia sarebbe rientrata trionfalmente nella musica sacra italiana, ma proprio per
merito del giovane maestrino che stava per soffiargli il posto. In fondo il suo esposto
dimostrava che la sua questione con Tebaldini era soprattutto una questione di
rivalità personale, per effetto della quale tralasciava perfino di fare distinzione tra la
musica di Palestrina e quelle tedesche di Witt, Hanisch, Piel, Haller, Mitterer, di cui
Tebaldini aveva inondato la Marciana. Di queste ultime non aveva tutti i torti nel
lamentare il ‘monotono e compassato svolgimento’; alla prima certamente non si
poteva rivolgere la stessa accusa. E’ logico, con simili premesse, che il Coccon avrebbe
combattuto Perosi allo stesso modo che Tebaldini. La Procuratìa se ne rese
perfettamente conto, perché, non volendo che si ripetesse il bis del caso Tebaldini,
adottò l’unica misura atta a sanare la situazione: con lettera del 22 maggio 1894
collocò a riposo il M° Niccolò Coccon, conservandogli tuttavia titolo ed incarico con
un’adeguata pensione e l’obbligo di prestare servizio quelle volte in cui si fosse
ritenuto opportuno di chiamarlo”65.
65 E. T. Moneta Caglio, Lorenzo Perosi, pag. 25 – 26.
38
Avevamo lasciato Perosi verso la fine del suo incarico ad Imola. Prima
di ricevere ufficialmente la proposta da Venezia, il giovane Renzo si promise
in parola con Parma, la quale ad opera del M° Gallignani, si mosse per
tempo: il 19 marzo del 1894 l’Amministrazione della Fabbrica della
Cattedrale di Parma, offrì il posto di M° di Cappella ed organista con lo
stipendio di 1.200 lire annue e vitto e alloggio presso il seminario diocesano.
L’incarico sarebbe partito, ovviamente, dal 1° di ottobre successivo. Perosi,
sapendo bene che il posto ad Imola era troppo stretto e comunque a tempo
determinato, era quasi risoluto ad accettare. Ma la forza di Padre De Santi lo
indusse ad attendere ancora; in serbo per lui c’era ben altro.
Lorenzo Perosi nei gli anni veneziani.
La prima mossa fu una lettera del 5 aprile dell’architetto Pietro
Saccardo66 che, con insistenza, scrisse un appassionato memoriale al
Cardinale Giuseppe Sarto, Patriarca di Venezia: “… perdoni se torno ad
incomodarLa per la scelta del nuovo Maestro … Il reverendo Padre De Santi mi dà
splendide informazioni del Perosi, mi dice però che egli non potrebbe entrare
direttamente nelle trattative, e mi consiglia a farle o direttamente o per mezzo della
66Vedi Capitolo terzo, pag. 33.
39
bontà e della degnazione della Eminenza Vostra, che mostrasi favorevolissima a
questa scelta. …”67. Segue un ricordo del lustro storicamente conquistato dalla
Cappella Marciana e dei suoi maestri; inoltre un accenno alla spinosa
questione del rapporto Coccon – Tebaldini con il consiglio di nominare il
nuovo direttore anche Maestro primario; infine un passaggio estremamente
importante: “Aggiungo che trattandosi di persona fornita di requisiti occorrenti in
modo singolare, com’è del Perosi, da quello che ne dice il reverendo Padre De Santi, è
fuori di dubbio che la Fabbriceria valendosi dalle facoltà concessale dall’articolo 14 del
Regolamento, ed essendo già in questo d’accordo col reverendissimo Capitolo e con
Mons. Vicario, ometterebbe l’aprimento del concorso e dispenserebbe dall’esame il
concorrente … “68. Che a Venezia venisse chiamato un giovane chierico di 22
anni è già strano, ma addirittura senza neppure conoscerlo direttamente gli
fosse aperta la strada della nomina senza normale concorso, la dice lunga
sulla fama, la personalità ed anche il livello artistico conquistato da Lorenzo
Perosi in quei primi anni di lavoro. In ogni caso si mosse un quadrunviro per
portare Renzo alla Marciana: oltre a De Santi e al Cardinal Sarto, ebbero un
grande ruolo, come detto, l’architetto Pietro Saccardo e l’Avvocato Ettore
Sorger; quest’ultimo prese parte attivamente al Congresso di musica sacra di
Milano, prendendo più volte la parola e riscuotendo non pochi consensi.
Inoltre diventerà, insieme con Giuseppe Patrizio il benefattore veneziano di
Perosi accompagnandolo, addirittura alla prima esecuzione della Risurrezione
a Roma nel 1898.
Ma andiamo con ordine. Nell’aprile di quel 1894 Lorenzo Perosi scrive
al padre Giuseppe una lettera il cui post scriptum è illuminante per capire lo
stato abbastanza confusionale del giovane musicista: “ … Per Venezia non ho
preso alcuna deliberazione. Saccardo mi scrive stamattina una lunga lettera, ed a
quanto pare lusinghiera molto: ma aspetto”69; come abbiamo già visto, Perosi era
già in parola ufficialmente con Parma e non era certo tipo da rimangiarsi la
promessa così facilmente: ma questo passaggio è facilmente comprensibile.
Una offerta di queste dimensioni, che poteva costituire – e fu in realtà – un
trampolino di lancio insperato verso le più alte mete, non poteva passare
certo indifferente; inoltre la scuola che lo corteggiava da Parma, scrive il
Saccardo, era il conservatorio locale, ossia una scuola statale. Infine Perosi
provava un comprensibile senso di gratitudine verso il M° Gallignani,
“direttore di quel conservatorio, l’uomo che fino a questo momento era stato il suo
maggior propagandista. La fama da lui creata attorno a Perosi sulle colonne di
67 Sergio Pagano, op. cit., pagg. 169 – 170.
68 Idem.
69 Sergio Pagano, op. cit., pag. 173.
40
Musica Sacra aveva non poco contribuito a procurargli il mecenate che lo inviasse a
Ratisbona”70. A coronamento di queste incertezze, arrivavano le non poco
rassicuranti notizie da Venezia, in particolare modo, oltre che da una certa
indecisione da parte della Procuratìa, dal M° Coccon che “era tutt’altro che
rassegnato ad accettare il provvedimento che l’aveva colpito; e anch’egli aveva le sue
buone ragioni. Contava allora 67 anni; un po’ presto per essere mandato in pensione
contro sua volontà; tanto più che a quei tempi non si andava in pensione con l’ultimo
stipendio. L’ambiente musicale veneziano doveva trovarsi sorpreso di questo atto di
forza contro uno dei loro, in favore di un forestiero di 21 anni”71.
Di fronte a tutte queste fonti di turbativa, il ruolo probabilmente più
decisivo in assoluto fu giocato dal Cardinal Sarto in persona che incontro
Perosi ufficialmente il 25 maggio 1894, insieme a Sorger e a Saccardo che
furono “tecnici” della trattativa. Dalle stesse parole del Cardinale, rivolte al
padre qualche giorno dopo72: “Egregio Signor Maestro, ieri l’altro ebbi il piacere
di fare la personale conoscenza dell’ottimo suo figlio Lorenzo, e sento il bisogno di
porgere anche a Lei i miei ringraziamenti perché ha concorso con la sua autorità e coi
suoi consigli a fargli accettare definitivamente il posto di Maestro nella Cappella di S.
Marco di Venezia. Si persuada pure che Lorenzino non poco corrisponderà alla
aspettazione dei Veneziani, ma in breve sarà amato da tutti con affetto. Se poi il
Signore mi vorrà, quando che sia, a Venezia73, io gli sarò più che padre amico
affettuoso … “ 74. Da questo scritto si capisce al volo che Lorenzo Perosi, il 25
maggio 1894, tornò da Padova, dopo aver incontrato il Cardinal Sarto e la
delegazione della Procuratìa veneziana, con l’accordo di divenire il nuovo
Maestro di Cappella della Basilica Patriarcale di S. Marco, con grande
soddisfazione dei due uomini che, nell’ombra, avevano preparato questo
grande approdo: Giuseppe Perosi ed Angelo De Santi. Ecco interamente
riportata la lettera di nomina.
70 E. T. Moneta Caglio, Lorenzo Perosi, op. cit. n. 3, 1967, pag. 100.
71 Idem, pagg. 100 – 101.
72 La lettera qui riportata porta la data del 28 maggio ed il Cardinale parla dell’incontro come
avvenuto “ieri l’altro”, quindi, teoricamente, il 26. Ma una tale incongruenza è dovuta,
probabilmente, ad un ricordo sbagliato di Giuseppe Sarto, in quanto la data del 25 maggio, ossia
dell’incontro di Padova, è annotata nel diario personale di Padre De Santi, di suo pugno. La data è
inoltre confermata dalla lettera, riportata in seguito, della Fabbriceria di S. Marco ove si fa preciso
riferimento al 25 maggio.
73 Giuseppe Sarto resse il patriarcato di Venezia dal giugno 1893 fino al 4 agosto 1903, giorno della
sua elezione al trono pontificio con il nome di Pio X. Benchè eletto patriarca nel 1893, il Sarto fu
tenuto fuori dalla sua nuova diocesi fino all’anno seguente da una lunga e puntigliosa controversia
fra Santa Sede e governo italiano per la concessione del regio exequatur. La nota è presa
interamente da Sergio Pagano, op. cit. pag. 169, nota n. 203.
74 Sergio Pagano, op. cit., pagg. 173 – 174.
41
I Fabbriceri di S. Marco di Venezia a Lorenzo Perosi75
Venezia, 8 giugno 1894
Stimatissimo signor Professore,
dopo l’abboccamento ch’ebbe luogo in Padova il giorno 25 maggio u. s. fra la
Signoria Vostra ed una deputazione di questa Fabbriceria, lo scrivente non poté
riunirsi in seduta che il giorno 5 corrente, per deliberare definitivamente
sull’argomento.
Avuta pertanto relazione come siano stati felicemente risolti i dubbi che
tenevano sospeso alquanto l’animo della Signoria Vostra e come la Signoria Vostra
siasi risolto ad accettare senz’altro il posto di Maestro della Cappella Musicale della
Basilica di S. Marco, questa Fabbriceria, col pieno consenso delle Autorità diocesane,
Le conferisce definitivamente la detta carica, con tutte le attribuzioni portate dal
regolamento 5 marzo 1892, già da Lei posseduto, e con lo stipendio annessovi.
Ad ogni buon fine si dichiara di accettare in via di concessione personale
dovuta ai distinti meriti della Signoria Vostra le tre condizioni poste con la Sua
lettera 6 maggio u. s.76.
La Signoria Vostra entrerà in carica col primo di ottobre p. v., e da quel giorno
Le decorrerà lo stipendio. Sarebbe però desiderabile che la sua venuta potesse avere
luogo ai primi di settembre, affine di approfittare delle vacanza scolastiche dei
fanciulli cantori per la loro istruzione.
Alla Sua venuta sarà provveduto a tutte quelle combinazioni che potranno
facilitare alla Signoria Vostra il disimpegno delle sue attribuzioni.
Voglia compiacersi la Signoria Vostra di un cortese riscontro e gradire i sensi
della più perfetta osservanza.
I Fabbriceri
A. Carlo Bianchini
Roberto Boldin
Donà conte Antonio
Pietro Saccardo
In quell’estate 1894 anche l’altro determinante aspetto della vita di
Perosi ricevette un impulso estremamente importante: infatti il Vicario
capitolare di Venezia, Mons. Francesco Mion, il 29 agosto gli comunica
75 La lettera è riportata in Sergio Pagano, op. cit. pagg. 174 – 175.
76 A quanto è dato di sapere questa lettera è andata perduta; quindi poco o nulla si sa delle tre
condizioni suggerite da Perosi. Abbozzo due ipotesi: la promessa dell’istituzione di una Schola
puerorum al modello di Ratisbona e la possibilità, in breve tempo, di accedere agli ordini
sacerdotali, cosa che, in effetti come vedremo, avverrà in brevissimo tempo.
42
l’ammissione all’iter di studi seminariali immediatamente precedenti il
sacerdozio; non è sbagliato dichiarare che, anche in questo caso, come prassi
dell’epoca, l’ammissione agli ordini minori, al diaconato e al presbiterato fu
incredibilmente veloce. Infatti, da Mantova, il Cardinal Sarto ammette agli
ordini minori il chierico Lorenzo Perosi il 2 settembre dello stesso anno; solo
venti giorni dopo viene ammesso al suddiaconato; il 10 agosto 1895, giorno di
S. Lorenzo, Perosi viene ammesso al diaconato onde, per finire, ricevere
l’ammissione al presbiterato, e quindi l’ordinazione sacerdotale, per mano del
Cardinal Sarto, il 21 settembre 1895. Il giorno dopo celebra la sua prima
Messa al santuario di Loreto.
Tornando a quella fatidica estate 1894, è opinione diffusa che
l’appuntamento più importante fu certamente la visita a Solesmes, centro
nella Francia meridionale che diventa il vero epicentro della riforma e
restaurazione gregoriana; i pionieri, Dom Pothier, per ciò che concerne la
rivisitazione delle versioni melodiche, e Dom Mocquerau, per il discorso
relativo all’interpretazione ritmica e la paleografia, gettano le basi intanto per
togliere a Ratisbona le edizioni, ormai obsolete, del canto gregoriano ma,
soprattutto, per avviare un lavoro critico e costruttivo i cui frutti si
inizieranno a cogliere nei primi anni del nuovo secolo. Perosi, come già detto
a proposito di Montecassino, era estremamente attratto dal canto gregoriano;
ma, per usare un termine più adiacente, è possibile dire che egli fu veramente
affascinato dalla purezza e dalla nobiltà dell’antico canto, tanto da non
rendersene all’altezza, almeno a livello personale. La sua vacanza francese,
nel luglio di quell’anno, invitato direttamente da Dom Mocquerau77,
dovrebbe essere stata, quindi, un’oasi nella quale Perosi trovò modo di
apprendere perfezionare le sue conoscenze con il canto gregoriano, proprio
nel luogo ove maggiormente questa scienza ritrovava il suo antico splendore.
Al rientro da Solesmes, risolte le ultime pratiche ad Imola, avvenne la
partenza verso la sua nuova destinazione il 14 agosto del 1894; una volta a
Venezia gli venne assegnata la Chiesa di S. Maria della Salute, prossima al
seminario patriarcale, per il servizio liturgico.
Il primo impegno di Perosi come Maestro di Cappella a Venezia fu
presumibilmente l’8 di ottobre del 1894, ossia il giorno della dedicazione
della Basilica Patriarcale: “ … a Venezia sono aspettato. Avrei avuto tanta voglia
di starmene quieto fino a ottobre, invece Tebaldini ha declinato l’impegno che aveva
77 Sergio Pagano, op. cit. pag. 177, documento n. 74. Il Mocquerau invitò con insistenza Perosi in
particolare modo cogliendo l’occasione della festa di S. Benoit.
Lorenzo perosi e gli anni della riforma della musica sacra
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  • 1. PONTIFICIO ISTITUTO AMBROSIANO DI MUSICA SACRA Viale Gorizia, 4 – Milano ANNO ACCADEMICO 1999 – 2000 LORENZO PEROSI NEGLI ANNI DELLA RIFORMA DELLA MUSICA SACRA TESI DI MAGISTERO IN CANTO GREGORIANO E MUSICA SACRA AUTORE : Enrico Francesco Vercesi RELATORE : M° Don Valentino Donella
  • 2. 2
  • 3. 3 DON LORENZO PEROSI AL LAVORO NEL SUO STUDIO PALAZZO DEL SANT’OFFIZIO ROMA
  • 4. 4 TESI DI MAGISTERO IN CANTO GREGORIANO E MUSICA SACRA “Lorenzo Perosi negli anni della riforma della musica sacra” Autore: Enrico Francesco Vercesi – Relatore: M° Don Valentino Donella ELENCO DEI CAPITOLI Premessa. 1. Introduzione storica. 2. Gli anni dell’infanzia perosiana (1872 – 1889). 3. La formazione ed i primi incarichi (1890 – 1894). 4. Maestro della Cappella Marciana di Venezia (1894 – 1898). 5. La nomina di Perosi alla Cappella Sistina e primi anni (1898). 6. L’avvento di Pio X: Il Motu Proprio “Inter sollecitudines pastoralis et officii” (1903). 7. Il Motu Proprio “Quo Collegium Cantorum Xystini Sacrarii rectius constituitur ac proprio statuto ornatur” (1905). 8. La scuola dei ragazzi cantori della Cappella Musicale Pontificia. 9. Una lunga interruzione (1911 – 1930). 10. Gli ultimi anni ed il consolidamento del mito perosiano (1930 – 1956). Conclusioni. Appendice : . Documenti e fotografie originali dell’epoca.
  • 5. 5 PREMESSA Come giusto ed opportuno, è il caso di premettere alcune linee che possano guidare ad una lettura più propria di questo lavoro, per evitare di incappare in incongruenze di vario genere come, ad esempio, snaturate interpretazioni dei contenuti e degli anni di riferimento di quest’opera; tali linee verranno poi ritrovate nell’ultimo capitolo, quello al termine del quale saranno presenti le conclusioni del percorso intrapreso in queste pagine. In particolare sembra fondamentale evidenziare i seguenti passaggi: 1. In questa tesi non si parla e non si analizza tutta la vita e tutte le opere di Lorenzo Perosi e, parallelamente, non si discute della sola riforma della musica sacra. Sono entrambi argomenti più ampi, già da molti autori trattati e sviscerati anche nei minimi dettagli; in quest’opera gli obiettivi di fondo sono altri, benché i riferimenti alla vita di Perosi ed alla riforma siano continui e sempre validi; 2. Il lavoro cerca di illustrare solo alcuni aspetti di un personaggio musicale, peraltro superbamente inserito nella riforma, quali: a. Il rinnovamento di alcune strutture musicali di prestigio quali la Cappella Marciana di Venezia e soprattutto la Cappella Musicale Pontificia Sistina; b. Il rinnovamento del linguaggio musicale liturgico specie alla luce dei dettami della riforma di Pio X; c. Alcuni aspetti complementari della personalità di Perosi tra i quali, soprattutto, quelli compositivi, ad ampio raggio (come l’oratorio e la musica strumentale), che ne completano la maturità artistica e professionale. 3. Inoltre una introduzione storica al primo capitolo ed una breve appendice nella quale sono raccolte copie di documenti dell’epoca contribuiscono a rendere, almeno nelle intenzioni, più completo tutto il lavoro. Con questo spirito va preso questo mio sforzo. Ringrazio il Signore per avermi dato l’opportunità di terminare il lavoro e tutte le persone, a partire da don Valentino Donella, che vi si sono interessate; mi auguro di riuscire a chiarire alcuni punti oscuri della attività di Lorenzo Perosi, nella speranza che
  • 6. 6 ciò possa essere di giovamento a qualcun altro. Ringrazio il mio coro, SS Nabore e Felice di Stradella per l’affetto e l’incoraggiamento verso di me. Portalbera – Milano, 7 maggio 2000 ENRICO VERCESI
  • 7. 7 Capitolo primo INTRODUZIONE STORICA: L’OTTOCENTO E’ stato detto che ogni uomo è figlio del suo tempo. Anche Lorenzo Perosi lo era; figlio di quell’Ottocento che, magari, iniziava a diramarsi, sciorinando le sue “code riformiste”, sotto i profili armonici e tonali; figlio dell’Italia lirica, teatrale e melodrammatica, dell’Italia rossiniana o verdiana; figlio di una musica sacra che, in quegli anni, aveva definitivamente perso la sua identità, il suo ruolo e piegata la sua ispirazione al balbettamento ed allo scopiazzamento teatraleggiante. Non è possibile dire che Perosi fosse immune da tutto quest’influsso: neppure è verosimile sostenere che la sua opera non subì, almeno parzialmente, le seduzioni vetero – romantiche. E’ certo, al contrario, che Don Lorenzo mitigò gli effetti negativi di tali prassi, né esaltò i lati buoni, portò il risultato alla completa sublimazione grazie all’opera della sua genialità. L’Ottocento musicale, in Europa, è dominato dal Romanticismo: nato in Inghilterra ed inteso come “descrizione di cose lontane”, ha i suoi primi esponenti, in campo letterario con gli inglesi Colleridge – che scrive Ballata del pescatore povero – e Gray. In Germania l’azione dello “Sturm und Drang” e del “Gruppo di Jena” dei fratelli Schlegg, impongono definitivamente il nuovo movimento culturale, soppiantando il classicismo e seppellendo il barocco totalmente. Ciò avvenne in un contesto ove l’ambito filosofico iniziò ad accorgersi del potere comunicativo della musica sulle masse, ben più ampio di quello della poesia e più forte di qualsiasi altra forma artistica; fino a quel momento né la musica, né il musicista vennero considerati rispettivamente arte e artista a tutti gli effetti proprio perché la filosofia non aveva promosso tali figure. Fu proprio un giovane esponente del gruppo di Jena, Wilhelm Heinrich Wackenroder, morto ad appena venticinque anni, a parlare per la prima volta di musica come arte matura, approdando “ad una visione dell’arte come dono divino ed effusione estatica, di cui la pittura e la musica sono esempi più puri che non la poesia, per l’inadeguatezza della parola a rendere l’ineffabile”1. Tale linea fu ripresa – ed applicata – dal filosofo e musicista Ernst Theodor Amadeus Hoffmann, del quale ricordiamo lo scritto “Musica religiosa antica e moderna” del 1814, ma soprattutto da Arthur Schopenauer (1788 – 1860) che, 1 Nuova enciclopedia della letteratura, pag. 1045, Garzanti Editore.
  • 8. 8 nei suoi lavori, riserva un posto particolare alla musica, quale arte del sentire: essa “non è, come le altre arti, l’immagine delle idee, bensì l’immagine della volontà stessa”2. Senza contare, inoltre, l’influenza avuta su Wagner da parte dello scritto Il mondo come volontà e rappresentazione, che il filosofo, nel 1819, preparò per la propria abilitazione: provocato ed incoraggiato da idee così innovative, Wagner partorì svariate opere, la più importante delle quali è, forse, L’anello dei nibelunghi. Chiaro fu, allora, che la musica venne eletta ad un posto prioritario, in campo artistico e culturale, e con essa, anche il musicista si impose come l’Artista, capace di essere il primario veicolo nella descrizione, nella rappresentazione. In Italia le cose furono ben diverse. Il Romanticismo, praticamente, non si avvertì – tranne in pochi sprazzi di opere o di rara musica strumentale – essendo l’ambiente dominato dal melodramma; se ciò da un lato risultò un fenomeno comprensibile e giustificabile, dall’altro fu allo stesso modo dannoso e controproducente, anche in virtù della lettura che ne fece la storiografia tedesca. E’, infatti, innegabile che l’opera - e spesso il teatro stesso – divennero veicoli di congiunzione e di unione negli animi del popolo italico che, ancora, non poteva definirsi “italiano”3; ma, d’altro canto, la musica strumentale non venne praticamente coltivata e le forme musicali estranee al teatro, vennero esiliate da ogni luogo che potesse ospitare esecuzioni. Dal canto suo, la storiografia tedesca giocò ad esaltare taluni aspetti, minimizzandone altri: così, dire musica italiana voleva dire melodramma e dire Rossini voleva dire opera buffa. Un falso, una lettura aleatoria che, ancor oggi, è difficile da debellare. In sintesi, il romanticismo portò dei cambiamenti e delle trasformazioni, rispetto al settecento, che possono riassumersi in una parola: emancipazione. Della musica, del musicista, delle forme, persino della tonalità tradizionale e dell’armonia classica, fino alla totale disgregazione del linguaggio, sfociata nella dodecafonia, nella serialità e nella crisi che, ancora tuttora, di fatto, perdura. Per chiarire “la rivoluzione più evidente portata dal romanticismo … è data dalla voglia di autonomia nei confronti di norme o imposizioni esterne. Si potrebbe semplificare affermando che col Romanticismo si consacrarono le ragioni 2 Op. cit. pag. 880. 3 Si racconta un episodio che possa chiarificare tale argomentazione. Nello studio di Giovanni Ricordi, grande magnate ed editore musicale di inizio secolo erano in riunione Domenico Barbaja (impresario napoletano), Ricordi, Gioacchino Rossini e la cantante, e futura moglie, Isabella Colbran. Quest’ultima, nel tentativo di convincere Rossini a firmare un impegno con il teatro partenopeo, uscì con questa frase: ”Si parla tanto di unità d’Italia: perché non cominciate a farla Voi, con la Vostra musica?!”.
  • 9. 9 ineludibili della musica (oggetto creato) e soprattutto degli autori (soggetto creatore). Anzitutto le ragioni della musica: erano già state affermate col barocco con sempre crescente convinzione fino a realizzazioni compiaciute e, a loro modo, assolute. Con i romantici, nei decenni che vanno dal 1820 al 1890 circa, si radicalizza questa tendenza autonomistica e l’attenzione all’opera in se stessa, a prescindere da qualsiasi sua finalizzazione”. Inoltre “le ragioni del musicista, che si rapporta in modo nuovo con la sua opera e con la stessa società. Per conseguire il risultato dell’opera assoluta, egli vuole sentirsi libero nel suo lavoro (che non è più tale, identificato piuttosto col gesto divino del creare), non obbligato da regole; lui e solo lui è regola per la sua arte, trae tutto da se senza bisogno di appoggi o indicazioni esterne.”4 Quanto e come questa sintesi ebbe il suo influsso in Chiesa? Dopo la premessa iniziale, è fondamentale volgere lo sguardo verso il tempio, dato che Lorenzo Perosi nasce lì e lì lavora per tutta la sua vita; di preciso sappiamo due cose. La prima, diretta conseguenza del mondo musicale italiano, è che in Chiesa venne trasferito in toto l’ambiente e la forma musicale propria del teatro; la seconda – che scaturisce dalla prima – è che viene definitivamente sepolto il rapporto tra la musica e la funzionalità liturgica, tra il “res” ed il “signum”, rapporto già ampiamente incrinato e traballante in tutto il barocco. Un’apertura quindi al tutto più o meno sconsiderato, una sorta di massificazione musicale che profuma tanto di modernità; un’accoglienza ad “oves et boves” che annullò le molteplici forme del canto liturgico, reprimendo la creatività dei musicisti di Chiesa i quali, all’eccesso, e in contrasto con la prassi corrente, ritrovarono nella polifonia cinquecentesca ed in Palestrina, soprattutto, il modello da seguire, anzi, talvolta, da copiare. Credo che sia una opportuna chiarificazione del tema ciò che scrisse Mons. Ernesto Dalla Libera: “Perosi nacque (anno 1872) in tempi difficili per la musica sacra. Non sono facili nemmeno quelli attuali, ma – poiché la storia è sempre in movimento e la vita è cangiante – i motivi sono diversi. Allora la Chiesa soffriva ancora le conseguenze del giuseppinismo (intrusione dei laici nella amministrazione religiosa), della bufera rivoluzionaria francese e del laicismo massonico, che avevano spogliato le chiese dei loro beni e messo in minorità il clero. Questa ebbe il torto di disinteressarsi per prima cosa (come spesso avviene) della musica sacra, lasciando via libera ai laici infatuati di musica operistica. Visto che questa, portata in Chiesa, vi richiamava gente, il clero d’altronde impotente, lasciò correre. Tutto diventava facile: i cantori, la musica, lo spettacolo. Ma cadevano nel ridicolo le cose più sante della 4 Valentino Donella, La musica in chiesa nei secoli XVII – XVIII – XIX, Ed. Carrara, pag. 204.
  • 10. 10 religione”5 E, per scendere ancor più nei particolari, la situazione era veramente ridicola, pregna di fattori che nulla avevano di che spartire con il rapporto liturgico; le cose stavano, dunque, nel modo che ci viene sotto descritto. “In ogni parrocchia prosperava una Schola Cantorum, più semplicemente chiamata Corale o Cantoria; funzionavano stabilmente un direttore di coro, un organista col suo immancabile follista, incaricato di azionare manualmente i mantici dello strumento”6. Il tutto con il coordinamento di una Fabbriceria che si accollava le spese di costruzione e manutenzione dello strumento, i modesti stipendi dei musicisti ma anche di “ospitare nella propria parrocchia, in occasione magari della festa patronale, compagnie vaganti e ‘specializzate’ nel cantar Messe e Vespri. I musicanti arrivavano sui loro birocci polverosi con contrabbassi di accompagnamento e qualche divo solista di canto. Ed era gran festa”7. In buona sostanza si cantava, ma si cantava male. Mancava un’educazione musicale, un approccio serio alla vocalità, dato che “la regola era di farsi sentire: cantava meglio chi gridava più forte”8 e, nella migliore delle ipotesi, si cantava come se ci si trovasse in teatro, con lo stesso gusto e le stesse movenze. Per avere un’idea di quello che realmente succedeva in Chiesa, durante lo svolgimento della liturgia, nel diciannovesimo secolo, dobbiamo chiamare in nostro aiuto Mons. Ernesto Moneta Caglio, che spiega in maniera esauriente la prassi musico – liturgica di quegli anni: “Raccontare ciò che avveniva in quei tempi ha dell’incredibile, e tuttavia è storicamente certissimo. Si cantavano Messe – plagio e Vesperi – plagio cavati dai melodrammi od oratori più in voga del tempo: per esempio dagli ‘Orazi e Curiazi’ di Cimarosa, dalla ‘Gerusalemme’ dello Zingarelli, dall’Elisa e Claudio’ di Mercadante. Ci fu (il veronese Giuseppe Bussola) chi introdusse, di peso in un gloria il duetto della Favorita di Donizetti; chi imbastì tutto un credo sull’aria del ‘Là ci darem la mano, là ci direm di sì’ del Don Giovanni di Mozart (A. Capanna, direttore della Cappella del Santo di Padova; per la verità licenziato entro il biennio). Ivi, del resto, il record era già stato battuto dieci anni prima da M. Balbi, che nel 1896 aveva fatto eseguire da cantati di cartello, tra il delirio dell’immensa folla, una Messa funebre (sic) dedicata a Rossini, tutta composta con pezzi ricavati dalle opere teatrali del maestro deceduto l’anno precedente”9. 5 Mons. Ernesto Dalla Libera, Perosi Ceciliano in Musica Sacra, Milano, 1957. 6 Valentino Donella, Cento anni di musica liturgica a Verona e in Italia, Verona 1979, pag. 14. 7 Idem, pagg. 14 – 15. 8 Idem, pag. 15. 9 Idem, pag. 15-16, raccolto da E. Teodoro Moneta Caglio, Storie di casa nostra, II.
  • 11. 11 Questo, quindi, il panorama: desolante e quanto mai arido, con Maestri ormai ridotti ad un ruolo di trascrittori di cavatine e romanze, folle in delirio, attratte dal convincimento di essere in Chiesa come in un teatro gratuito, più che dal desiderio del sacro e dell’incontro con il loro Dio e cantanti che “vivevano del mestiere spostandosi da una chiesa all’altra, secondo le richieste dei parroci, trascinandosi dietro il codazzo dei fans sempre pronti ad applaudirli”10. La situazione era grave: tanto più che, a detta di alcuni musicisti veri, con idee giuste in testa, il clero pareva attento più ad altri problemi che a quelli prettamente musico – liturgici11; sappiamo, infatti, che il Concilio Vaticano I del 1870 non accenna alla questione musica sacra. Sono gli anni della cosiddetta “riforma liturgica”, anni dove si inizia a diffondere la parola liturgia, anni in cui si capisce che il popolo non deve essere tagliato fuori; ma, soprattutto al vertice, il problema musica sacra tanto più diventa spinoso quanto più viene accantonato. E se proprio il vertice non provvederà, dalla base avverrà la riscossa. I barlumi di una riforma si avvertirono già nella prima metà dell’ottocento; ma i pionieri rimasero voci nel deserto, inascoltati e scavalcati. Chi diede per primo una scossa al torpore degli anni ’30 fu Gaspare Spontini che, nel 1838, scrisse “Rapporto intorno alla riforma della musica di chiesa” che venne presentato alla Accademia di Santa Cecilia a Roma; capitato nelle mani dell’abate Baini, allora Maestro della Cappella Sistina, trovò una feroce opposizione riassunta nella dichiarazione “La musica … poteva e doveva riformarsi senza prender norma da chi veniva dalla Prussia e dalla metropoli del più dichiarato protestantesimo”12. A Spontini si aggiunse Jacopo Tomadini (1820 – 1883), la cui opera fu da battistrada, da apripista ai canoni che la riforma indicherà. Singolare, poi, il caso di Charles Gounod, da molti critici considerato compositore di transizione: se, infatti, i riformisti non videro rispettati tutti i parametri liturgici, essi sostennero che il suo lessico poteva indubbiamente essere considerato transitorio, “cioè proponibile solo in attesa che la produzione offrisse qualcosa di più confacente13”. 10 Idem, pag. 17. 11 Felice Rainoldi (Sentieri della Musica Sacra – CLV Edizioni Liturgiche, Roma) racconta questo episodio, datato 1869: “Si sa che Pio IX era un ammiratore di Rossini e della sua musica. Il pontefice, nella visita nella visita all’esposizione di arte religiosa in Vaticano, si fa suonare, su un organo Cavaillé – Coll, la Ouverture dalla Semiramide. Forse un omaggio al grande pesarese scomparso: ma il fatto rivela anche un “modo” di sentire”. (Op. Cit. pag. 176 – 6). 12 V. Donella, La musica in Chiesa … , pag. 26. 13 Idem, pag. 27.
  • 12. 12 Le opposizioni decise e veramente attive si fecero attendere fino alla seconda metà del secolo scorso; non vennero in modo convincente, però, dall’Italia, forse alle prese con ben altri problemi, e con un’unità nazionale che riguardava da vicino lo stato Pontifico, il cui establishment mai come allora si trovò in discussione. Ne è prova palese la pubblicazione Musica Divina del musicologo tedesco Karl Proske (1794 – 1861), di ambiente ratisbonese – quindi di scuola sassone non italiana -, ovvero sia una antologia di “composizioni polifoniche, pubblicata in diversi tomi a partire dal 1855 e contenente Messe, Mottetti, Salmi, Salmi, Magnificat, Vespri, Inni e Antifone dei più rinomati compositori dei secoli XVI, XVII e XVIII …… Questa monumentale silloge di capolavori polifonici, oltre a rivestire un enorme valore musicologico per la preziosità dei reperti musicali offerti, è testimonianza documentaria esclusiva di quello straordinario movimento riformatore sorto in Germania durante l’Ottocento per contrastare lo stile concertante e operistico dilagante nella musica liturgica del tempo, conosciuto con il nome di Movimento Ceciliano”; l’opera fu impostata in modo tale da offrire un “thesaurus concentuum selectissimorum…. Ab excellentissimis superioris aevi Musicis numeris harmonicis compositorum… accuratissime in partitionem redactos ad istaurandum polyphoniam vere ecclesiasticam”14. Il primo segnale ‘europeo’ venne da Parigi ove nel 1861, si organizzò un congresso di musica religiosa, durante il quale venne una netta presa di posizione contro il canto teatraleggiante: lo stesso anno, a Milano, si costituì la società di Santa Cecilia, con ideali riformisti, ma di carattere locale. Fu quindi la Germania ad organizzare i successivi segnali di riforma, emanandoli dal centro di Ratisbona; il nome della città – già conosciuto per la non riuscita edizione di canto gregoriano e per la famosa scuola superiore di musica sacra – si diffuse grazie a Franz Xaver Witt (1834 – 1888) che, nel 1868, fondò la prima Società di Santa Cecilia, Allgemeiner Deutscher Cacilenverein, dando anche vita ad una rivista, “Musica Sacra” che ne era l’organo ufficiale e che sostituì i Fogli volanti, Fliegende Blatter, scritti da Witt e comparsi ad inizio del 1866. Inoltre, dalla Baviera, altri autori quali K. Ett, J.K. Aibilinger e C. Proske “si prodigarono non poco per far conoscere l’antica polifonia sacra”15. 14 I Quaderni della Cartellina – Musica divina, Antologia di musiche polifoniche dei secoli XV e XVI, a cura di Giovanni Acciai, Marco Berrini e Marco Boschini, Introduzione pag. V, Edizioni Suvini e Zerboni, Milano 1995. 15 Valentino Donella, La musica in chiesa nei secoli ……, pag. 265.
  • 13. 13 Mentre, come abbiamo già detto, il Concilio Vaticano I non si mosse a favore della musica sacra16, i vescovi tedeschi, proprio nella sede conciliare, tentarono di far riconoscere il lavoro delle società riformatrici organizzate secondo le direttive di Witt; l’atto che risultò da tale presa di posizione fu un elogio, al lavoro svolto, contenuto in una lettera privata inviata dal Papa Pio IX a Witt in data 12 agosto 1869. Tuttavia l’anno successivo è da ricordare per la Breve Multum ad movendos animos, datata 17 dicembre e firmata da Papa Mastai Ferretti; in sostanza il testo ratifica gli statuti della Associazione Tedesca S. Cecilia – peraltro già approvati dalla Sacra Congregazione dei Riti in data 20 ottobre – ed assegna un protettore vaticano a detta Associazione, ossia il Cardinale De Luca. Nella prima parte del documento, dopo avere introdotto l’argomento, il Papa scrive: “I Vescovi di molte diocesi dove parlasi la lingua germanica, presero la salutare e feconda determinazione di istituire nelle stesse diocesi, alcuni pii sodalizi, da intitolarsi a Santa Cecilia, i quali avessero lo scopo principalissimo di ricondurre i canti sacri alle pure norme della Chiesa. Vollero che questi sodalizi prendessero a norma la Congregazione di Santa Cecilia di quest’alma Roma ….”17. Negli anni 1872 e 1873 avvengono le costituzioni delle Società di S. Cecilia in Inghilterra e negli Stati Uniti e, finalmente, due anni dopo, anche l’Italia si mosse definitivamente verso la direzione riformista. La prima tappa, come detto del 1874, si tenne a Venezia, all’interno del Primo Congresso Cattolico, durante il quale vennero presentate posizioni molto agguerrite da parte di Don Guerrino Amelli, Salvatore Meluzzi e Padre Costantino Remondini; in particolare, fu il primo ad effettuare un intervento molto appassionato e tenace, abbozzando che “le prospettive valide, riguardano: a) una sintonia, se possibile, o, almeno, un maggior rispetto della liturgia da parte del canto e della musica; b) la pubblicazione di un periodico sui problemi della musica sacra; c) la diffusione del repertorio classico, a suo avviso troppo dimenticato (egli stesso pubblicherà la Missa Papae Marcelli di Palestrina ed i salmi di Benedetto Marcello); la costituzione di una scuola superiore (nazionale) per la formazione dei nuovi operatori. …… Terminato il Congresso, Amelli si adopera immediatamente per la istituzione, a Milano, di una Scuola intitolata a S. Cecilia. Gli statuti propri vengono approvati, l’11 novembre, dall’Arcivescovo, Monsignor Luigi Nazari de’ Conti di Calabiana. La Scuola, inaugurata il 22 novembre nell’Oratorio di S. Carlo in Milano, ha anche lo scopo di porsi quale esempio, perché iniziative del genere possano nascere altrove”18. Frattanto, nello stesso anno, Franz Xavier Haberl, rientrato in 16 Fa eccezione l’intervento del Cardinale Riario Sforza di Napoli a favore della salmodia corale con la proposta di introdurre sanzioni per coloro che non si avviano, in tempo opportuno, allo studio del gregoriano. 17 Dal Breve apostolico di Papa Pio IX del 17 dicembre 1870, riportato in Felice Rainoldi, op. cit. pag. 497. 18 Felice Rainoldi, opera citata, pagg. 185 – 186.
  • 14. 14 Germania dopo un lungo soggiorno in Italia, fonda a Ratisbona la Kirkenmusikschule, istituto importantissimo, il cui corso durava sei mesi, rivolto alla specializzazione dei musicisti già formati secondo l’ideale della riforma: è, questa, una rilevante sottolineatura perché, nel 1893, troveremo Perosi in questa scuola che, in ogni caso, sarà tappa decisiva nella sua crescita artistica. Nel 1876, in seno al III Congresso Cattolico, disciolto immediatamente per tumulti politici, molti dei quali anticlericali, venne costituito un Comitato incaricato di promuovere una generale Associazione Italiana di Santa Cecilia: membri del comitato Amelli, Remondini, Tomadini ed altri importanti pionieri. Un anno dopo si avvera una delle proposte di Amelli al Congresso di Venezia: nasce, infatti, il periodico “Musica Sacra”. E’ un’ulteriore spinta verso la definitiva nascita, quattro anni più tardi, della Generale Associazione di Santa Cecilia, con proprio statuto e regolamento, avvenuta nel congresso in S. Eufemia, a Milano, il 4 – 5 – 6 settembre 1880: seguirono fasi di sbandamento – parzialmente ricucite al Congresso di Soave (Verona) nel 1889 – ma il sogno era avverato. La conclusione – e la quadratura del cerchio – avvenne con il Motu proprio “Inter sollecitudines” del 1903, firmato da Pio X; nell’ombra lavoravano tanti musicisti che avevano fatto della riforma il loro scopo di vita, ciò per cui combattere, a discapito della propria esistenza, come insegnano gli esili di Don Amelli e Padre De Santi. Cosa voleva, cosa chiedeva questo movimento riformatore, definito universalmente “ceciliano”? Semplicemente opporsi, invertire una tendenza, svegliare dal torpore che perdurava da secoli una corrente che ammetteva ogni nefandezza in Chiesa durante la liturgia. Voleva andare contro vento, navigare nella direzione opposta, sfaldare la retorica e la formalizzazione musicale che non poteva più essere tollerata; voleva essere “una barriera ai vizi inveterati e ormai insopportabili della musica da chiesa, ubriacata di sinfonismo e di teatralità sfacciata”19. Ecco l’obiettivo dei riformisti. “Capirono … che urgeva estromettere dalle Chiese la profanità e l’incompetenza musicale: la profanità era nelle musiche e negli stessi organi e consisteva essenzialmente nello scimmiottare melodie, ritmi e modi esecutivi del teatro e delle sale da concerto; la non – competenza era data dal fatto che tali musiche non corrispondevano al bisogno dei riti, né per spirito, né per struttura e soprattutto a causa del loro sproporzionato sviluppo”20. 19 Valentino Donella, Musica in Chiesa ….., pag. 264. 20 Idem, pag. 264.
  • 15. 15 Il mezzo più opportuno per invertire la tendenza venne, anzitutto, identificato nella ricerca di nuovi modelli, che si distaccassero notevolmente da quelli contemporanei, che non ne traducessero i connotati determinanti: ciò rese necessario un viaggio a ritroso verso la polifonia classica, la scuola romana, Palestrina, il canto gregoriano, l’organo come strumento musicale principale, unico e sovrano. Tali modelli rischiarono di essere assunti come assoluti, con il pericolo di essere copiati da autori non sufficientemente accorti; i musicisti di qualità, tuttavia, non mancarono di proporsi come sintesi della situazione. “Infatti una schiera di compositori agguerriti, qualcuno anche prestigioso come il Perosi in Italia, percorse la nuova strada della composizione musicale liturgica, solo in apparenza più dimessa rispetto alla tradizione classica o romantica. La chiesa e i riformatori, pur preferendo l’organo e solo l’organo a sostegno delle voci, in linea di principio non preclusero l’uso di altri strumenti e della stessa orchestra e tanto meno la via della ricerca e del criteriato aggiornamento linguistico”21. In conclusione, molto si è detto sulla riforma, a torto o a ragione, ma un fatto appare imprescindibile: il movimento ceciliano fu un “impoverimento” tuttavia “provvidenziale….. Dalla prima angolazione si continuerà ad anatemizzare cecilianesimo e ceciliani come momento ed espressione di sottocultura; dalla seconda, senza scandalo e con umile semplicità, lo si giudicherà per quello che fu e che rappresentò in positivo o in negativo”22. Questo, in sintesi, è l’ambiente musicale ecclesiastico degli ultimi trent’anni del secolo scorso; qui si inserisce, prepotentemente la figura di un umile pretino tortonese, figlio di musicista, grande genio e perfetto interprete dello stile riformatore. Nelle prossime pagine cercheremo di capire quale fu l’opera di Lorenzo Perosi, ed il suo ruolo nella riforma della musica sacra di quei decenni. 21 Idem, pag. 265. 22 Idem, pag. 271.
  • 16. 16 Capitolo secondo GLI ANNI DELL’INFANZIA PEROSIANA (1872 – 1889) Lorenzo Perosi nacque il 21 dicembre del 1872. A Tortona, sua città natale, lavorava con zelo e dedizione il padre, Giuseppe Gaetano Perosi: occupava, in quegli anni, il posto di Maestro di Cappella nella Cattedrale cittadina. Giuseppe, nato a Mede Lomellina nel 1842, che discendeva da una famiglia originaria del lodigiano, stabilitasi a Pieve Fissiraga, presso Lodi Vecchio, attorno al diciassettesimo secolo, nella quale era tradizionalmente nota l’arte e la cultura della musica sacra, sostituì lo zio Carlo Luigi Perosi (1797 – 1863), alla sua morte, nel ruolo di Maestro di Cappella ed Organista a Tortona dopo che, quest’ultimo, aveva ricoperto detto incarico per quarant’anni; a sua volta, Carlo fu il secondo di cinque figli di Giuseppe Perosi, bisnonno di Don Lorenzo, probabilmente capostipite della famiglia di musicisti. Di Carlo era fratello anche Dionigi, nonno di Don Lorenzo, ed organista a Mede Lomellina; il trasferimento quindi a Tortona avvenne nel 1863, quando si rese vacante il posto all’organo della Cattedrale. A Tortona Giuseppe si sposò con Carolina Bernardi, dalla quale ebbe sei figli: Carlo (1868), Lorenzo (1872), Felicina (1874), Marziano (1875), Pia (1879) e Maria nel 1883. Fra questi troveremo Carlo, divenuto cardinale e presente in Vaticano con Lorenzo, e Marziano, organista e compositore, Maestro di Cappella a Milano e mai lontano dal più celebre fratello. Lorenzo fu battezzato, nella casa paterna, il 29 dicembre 1872 dal canonico Mons. Giuseppe Maria Cantù che gli impose anche i nomi di Pierluigi, Giuseppe, Maria, Natale, Ireneo e Felice. La musica sacra era, quindi, la vita della famiglia Perosi. Impossibile pensare che Lorenzo possa avere passato i primi anni della sua vita svincolato da questo interesse, da tale condizione. Inoltre, essendo questi anni di fermento e di attivismo nel campo della musica liturgica, un organista e Maestro di Cappella come Giuseppe, non poteva rimanere indifferente all’ondata riformista di quel tempo; e, infatti, nei carteggi perosiani troviamo il padre di Lorenzo in contatto con i maggiori esponenti di allora: Guerrino Amelli, Salvatore Meluzzi, Angelo De Santi. Interessante chiarire quest’aspetto con una lettera inviata, a Giuseppe Perosi, da Don Guerrino Amelli il 31 ottobre 1876: “Pregiatissimo Signor Maestro, il Comitato Promotore23 23 Si intende il gruppo di musicisti che formeranno, l’anno successivo, la Generale Associazione santa Cecilia per la Musica Sacra. Vedi anche pag. 13.
  • 17. 17 è ben lieto di annoverare la Signoria Vostra tra i propri aderenti, conoscendo le ottime sue disposizioni e le belle doti artistiche che l’adornano. In pari tempo le affida l’incarico di rappresentarlo in codesta diocesi di Tortona, nel promuovere gli interessi della musica sacra, ed anche – potendolo – di estendere le proprie attività nelle diocesi limitrofe di Alessandria, Asti ed Acqui al medesimo scopo. Ringraziandolo del favore che vorrà arrecare accettando il suddetto incarico, mi pregio significarmi colla massima stima, per il Comitato, Sac. Guerrino Amelli, Presidente”24. Relativamente alla sua formazione musicale – uno sviluppo mentale, quello di Lorenzo, totalmente impregnato da ideali riformisti – il padre Giuseppe non mancò certamente di far valere la sua influenza. “Aveva respirato l’aria del movimento ceciliano tra le pareti domestiche, per merito di suo padre…. Nel 1880, all’atto in cui fu costituita la Generale Associazione Italiana S. Cecilia, Perosi padre viene eletto relatore dell’Associazione e relatore della Commissione per gli organi; ciò suppone che fin da prima si fosse fatto notare per le sue convinzioni riformistiche. Seguiva, infatti, il movimento promosso da Amelli fin dal principio, almeno nelle idee. A leggere le lettere di questo sant’uomo, che in età giovanile era stato allievo del Seminario di Vigevano e, pure essendone uscito perché aveva capito non essere quella la sua strada, si sforzava in ogni modo di zelare le opere buone, tanto che fu lui a fondare la Conferenza di S. Vincenzo a Tortona, e fin dalla prima ora si mostrò attivo collaboratore di Don Orione ancora semplice chierico, si ha quasi l’impressione che la persona più religiosa di casa Perosi sia stato lui. Dico quasi per non offendere il sacerdozio di Don Lorenzo, e più ancora di Don Carlo, insignito della porpora cardinalizia”25 Giuseppe Perosi insegna musica fin dall’infanzia tenerissima ai propri figli; il più celebre fra questi, Lorenzo, ad Arcangelo Paglialunga26 dirà: “ Io ho sempre suonato il pianoforte: non ricordo il giorno nel quale vi ho posto le mani sopra per la prima volta”. Il padre lo avvia allo studio dei grandi autori del passato, come Cherubini, Clementi e Carissimi – non a caso anch’egli eccellente compositore di oratori – ma anche, forse soprattutto, a Johann Sebastian Bach; in questi primi anni della sua esistenza, Perosi compie gli studi elementari a Tortona, muove le mani sul pianoforte grazie al Maestro Luigi Romita, ma soprattutto canta nella Cappella Musicale della Cattedrale e si reca spesso nel Duomo tortonese ad imparare dal padre che, organista, 24 Sergio Pagano, L’Epistolario “Vaticano” di Lorenzo Perosi (1867 – 1956), Ed. Marietti Genova 1996. 25 Ernesto Teodoro Moneta Caglio, Lorenzo Perosi e la riforma della musica sacra, in Musica Sacra, Milano, nr. 90, anno 1966, pagg. 159 – 164. 26 Arcangelo Paglialunga, appassionato biografo ed amico di Perosi, autore di Lorenzo Perosi, Roma, Ed. Paoline, 1952. La citazione riportata è a pag. 12.
  • 18. 18 accompagna la liturgia; già ad undici anni sarà possibile ascoltarlo sull’organo monumentale a sostituire il titolare ed a muovere i primi passi in un àmbito che gli sarà molto familiare: l’improvvisazione. Due amori, dunque, che coltiverà durante tutta la sua vita, coniugandoli in modo complementare, integrandoli e fondendoli mirabilmente: la musica e la liturgia. Il piccolo Lorenzo mostra subito una gran facilità ed intuizione musicale; più o meno a dieci anni scrive la sua prima opera: un inno dedicato a San Luigi Gonzaga. Ma la sua costituzione fisica non è molto robusta; Perosi dimostra, già in tenera età, di far rapida conoscenza con la malattia e la sofferenza, che lo indeboliscono e – probabilmente – contribuiranno alla formazione dei suoi ben più gravi disturbi, verso la fine degli anni ’10, di natura squisitamente psichica. Per ora la sua principale preoccupazione è inevitabilmente quella di formare la sua mente musicale, tenendo semplicemente sotto controllo le sue indisposizioni di natura digestiva ed intestinale; nella primavera del 1882 lo troviamo, infatti, a Castelletto d’Orba (Alessandria) e, in settembre, a Villaromagnano, per curarsi e riprendersi. E’ importante, nel carteggio epistolare di Perosi, conoscere alcuni aspetti dei suoi disagi fisici, lasciandoli definire dallo stesso musicista; in una lettera al padre, inviata nell’aprile – maggio del 1882 da Castelletto d’Orba, il giovane Lorenzo scrive: “… In quanto a me pare che le passeggiate e la buon aria mi abbiano fatto abbastanza bene; se non avessi mal di cuore che veramente mi tormenta, starei molto meglio; ce l’ho detto al medico, e m’ha detto che ho uno stomaco troppo sproporzionato all’età: ‘Procuri di far moto giocando le bocce, ginnastica e cose simili.’”27 Sempre da Castelletto, ma in giugno, il giorno 29 scrive accomiatandosi dai genitori: “Lascio, perché voglio andare a prender una tazza di brodo che mi sento nausea, e sì che non ho ancora mangiato niente.”28 Da notare che questa lettera fu scritta verso le ore 10 del mattino! Intanto Lorenzo affianca gli studi musicali ad una fede diversa dai ragazzi della sua età; inserito, come già detto, in un ambiente familiare ove, in gran parte, probabilmente le discussioni riguardavano musica sacra e, quindi, indirettamente, la questione spirituale, il piccolo Perosi comincia a coltivare dentro di se la volontà di consacrarsi a Dio. Nel 1887, all’età di quindici anni, si fa terziario, adottando la firma di “Fra Lorenzo da Tortona”, e si intravede quindi il futuro destino che caratterizzerà l’uomo Perosi trasformandolo in 27 Sergio Pagano, L’epistolario… op. cit. pag. 106. 28 Sergio Pagano, L’epistolario… op. cit. pag. 107.
  • 19. 19 sacerdote. Ma, almeno in questi anni, fede e musica procedono di pari passo; se c’è una conquista sul piano spirituale, un’altra, nel 1888, delineerà l’aspetto musicale. Infatti, nei mesi di maggio e giugno, Lorenzo, accompagnato dal padre, soggiorna a Roma ove incontra il papa, Leone XIII, al quale offre un album di composizioni sacre scritte nel corso di quegli anni29; ma, per quanto commovente e toccante, la visita al Pontefice non è lo scopo principale del soggiorno romano: Perosi sostiene, infatti, una specie di prova attitudinale – non è possibile parlare di esame vero e proprio perché non era allievo della scuola ne, a quanto è dato di sapere, aspirava ad esserlo – al Liceo Musicale della Reale Accademia di Santa Cecilia, davanti ad una commissione piuttosto qualificata30. Il giorno 6 giugno 1888, tale Commissione rilascia ai Perosi il seguente attestato: “I sottoscritti, richiesti di esaminare il giovinetto Lorenzo Perosi di anni 15, oltre di avere riconosciuto in lui un’attitudine veramente non comune per l’arte musicale, lo hanno trovato bene istruito nella lettura del pianoforte, bene iniziato in quella parte dello studio dell’armonia che si pratica nel suonare i partimenti; hanno anche trovato degne di lode, relativamente alla sua età ed alle sue cognizioni, le composizioni da lui presentate, nonché i saggi d’improvvisazione che egli ha fatto all’istante sopra un tema dato. Pienamente persuasi che, qualora il giovinetto Perosi continui a studiare sotto un buon indirizzo, potrà riuscire un ottimo artista, sono lieti di rilasciargli la presente dichiarazione”31. Verso la fine dell’estate di quell’anno si intensifica, da parte di Giuseppe Perosi, un contatto che sarà notevolmente determinante nella vita del figlio: si ha, infatti, notizia di una lettera, datata Roma, 18 agosto 1888, ed inviata dal Padre Angelo De Santi a casa Perosi. Oltre ad una comunicazione tecnica all’organista della Cattedrale tortonese32, il De Santi scrive: “Godo di Renzo33: perseveri che il campo è vasto e le palme aspettano i campioni. Raccomando molto lo studio d’accompagnamento del canto fermo in istile diatonico. Non credo si possa offrire ai giovani cosa più feconda in cui esercitare l’ingegno”34. 29 Pare che tale album contenesse sicuramente: Ave Maria a 4 v., un inno Ave Joseph a due voci con organo, O sacrum convivium a due voci, il mottetto Quis ascendet a una voce ed organo; Dormi, non piangere a 6 – 8 voci tutti dedicati a Leone decimo terzo (cfr. Sergio Pagano, op. cit. pag. 2). 30 Di essa facevano parte: Filippo Marchetti, Cesare De Sanctis ed Eugenio Terziani; la lettera fu redatta, presumibilmente, dal segretario Benedetto Mazzarella Alessansotti (cfr. Sergio Pagano, op. cit. pag. 114 e note 40, 41 e 42). 31 Sergio Pagano, op. cit. pag. 113 – 114. 32 Comunicazione che riguardava probabilmente gli articoli che il De Santi scriveva su “La Civiltà Cattolica”, derivanti, oltre che dalla sua esperienza personale, anche dagli studi di gregoriano e, a Ratisbona, del “Cacilian Verein”. 33 Riferito chiaramente alla attestazione della Commissione del Liceo Musicale di S. Cecilia a Roma. 34 Sergio Pagano, op. cit., pag. 115.
  • 20. 20 Ma chi era padre Angelo De Santi e quale sia stato il suo ruolo nella vicenda di Perosi è un discorso lungo e non certo esauribile in poche parole: la sua influenza, la conoscenza della situazione musicale dell’epoca, la cultura inestimabile in suo possesso, fecero del De Santi l’ideologo, la mente della riforma della musica sacra ad inizio del nuovo secolo, basti pensare la sua collaborazione nella stesura del Motu Proprio “Inter sollecitudines pastorali et officii” di Pio X. Angelo De Santi nacque a Trieste il 12 luglio del 1847, ove compì i primi studi e si formò spiritualmente tanto da entrare, appena sedicenne, nella Compagnia del Gesù ove poté estendere la sua cultura viaggiando anche in Francia ed Austria; proprio qui, precisamente ad Innsbruck ricevette l’ordinazione sacerdotale nel 1877 e, l’anno seguente, venne chiamato a Roma da Papa Leone XIII a far parte di una commissione pontificia per la promozione degli studi nella quale anche la musica giocava un ruolo importante. La musica ebbe il vantaggio di avere nel De Santi un grosso cultore e studioso, grazie alla sua conoscenza del gregoriano – si era avvicinato alla metodologia di Dom Moucquerau – ed al suo sviluppo ottenuto nei corsi seguiti a Ratisbona, che gli consentirono di ampliare anche le sue conoscenze liturgiche. Dal 1887 apparirono sulla rivista “La Civiltà Cattolica” i suoi primi studi sulla musica sacra, generalmente molto apprezzati, e nel 1889 tenne addirittura la prolusione al raduno dei soci del nascente movimento ceciliano; nei suoi articoli, De Santi combatteva la sua battaglia a favore della musica liturgica, e del gregoriano in particolare, contro le correnti filo – polifoniche o veriste, incontrando inevitabili ostilità, anche da parte del clero colto. Con l’articolo del 1890 dal titolo La musica sacra in Italia e il programma di Soave si inaugurò un periodo di difficoltà e di polemiche per il De Santi che egli non contribuì, certo, a stemperare, criticando compositori, ecclesiastici e laici che, a suo dire, non avevano le necessarie cognizioni circa la autentica musica sacra e liturgica. Nel 1894, come principale reazione ai suoi scritti, per così dire, di “rottura”, ricevette l’ordine dai superiori di allontanarsi da Roma per almeno cinque anni, e di non occuparsi più di musica sacra; in realtà, fu la “mente” assieme al Cardinale Sarto del Motu Proprio “Inter sollecitudines” in condominio, pare, anche con Perosi. Al ritorno in Roma insegnò canto e musica sacra nel Seminario Pio, in quello Vaticano e in Sant’Apollinare: fu eletto anche Presidente della Associazione Italiana di S. Cecilia e, nel 1919 fu tra i fondatori della Scuola Superiore di Canto gregoriano e di musica sacra
  • 21. 21 (l’attuale Pontificio Istituto di Musica Sacra). Morì il 28 gennaio 1922 a Roma35. All’inizio della carriera di Lorenzo Perosi, De Santi è un figura di rilievo assoluto; potremmo dire il padre ed il mecenate allo stesso tempo, l’uomo distante, lontano, ma, in fondo, sempre presente al fianco del giovane pupillo. Sembra necessario premettere, mentre spiegheremo più sotto l’importanza del gesuita per il maestro tortonese, che Perosi fu per il De Santi, l’uomo della provvidenza; egli, infatti, vedeva incarnati in don Lorenzo tutte le soluzioni ai problemi che nutrivano le sue idee innovative – o meglio, riparatrici – e che gli muovevano nell’animo da molti anni: vedere un giovane sacerdote, carismatico, dotato di tali caratteristiche, già sufficientemente formato, ma ancora con poca esperienza sul campo, non poteva che accendere in Padre De Santi la fiamma della speranza. Questo è, forse, il motivo per cui il gesuita prese don Lorenzo sotto la sua ala protettrice. Nel frattempo, dopo il riconoscimento avuto all’Accademia di S. Cecilia, Lorenzo, nell’autunno del 1888, decide di seguire i corsi di composizione con il Maestro Michele Saladino, del Conservatorio di Milano; le lezioni vengono impartite per corrispondenza. Motivo di tale, originale, condizione venne spiegato dal padre in alcune lettere spedite a Padre Amelli, a Montecassino, nell’estate del 1890. Il 24 luglio, Giuseppe Perosi spiega: “Se l’aria del conservatorio milanese non fosse così appestata moralmente ed artisticamente, avrei pensato di mandarlo Renzo colà, ma con che cuore un padre può sacrificare il figlio nella tana del lupo, perché tale me lo disse un’Illustre e coscienziosa persona cui mi ero rivolto per informazioni”; e circa un mese dopo, il 22 agosto, ribadisce: “Ebbi per questo delle vere tentazioni, perché mi furono offerti posti gratuiti nel Conservatori e sussidi da mecenati dell’arte profana o diabolica, ma malgrado esigenze di numerosa famiglia stetti fermo e spero in dio di non transigere mai”36. Alle soglie dell’anno 1890 – 1891 Giuseppe Perosi matura l’idea di mandare Lorenzo a studiare nell’abbazia di Montecassino ove risiedeva anche don Amelli, la duplice vocazione del figlio, quella sacerdotale e quella musicale, imponeva una scelta di queste dimensioni. Se per l’istruzione e la 35 Le note biografiche sono liberamente tratte da S. Pagano, L’Epistolario .. op. cit. pag. 115 e da A. Bartocci, Dizionario biografico degli italiani, 39, Roma 1991, pagg. 327 – 328. 36 Entrambi i passaggi, che fanno parte delle “Cinque lettere di Perosi padre a don Amelli”, pubblicate da Musica sacra, 1965, pagg. 62 – 68, sono riportate in Francesco Bauducco S. J. , “Il Padre Angelo De Santi S. J. e il M° Lorenzo Perosi”, Musica sacra, n. 90, 1966, ser. 2 (XI) pagg. 52- 59.
  • 22. 22 formazione spirituale poteva andar bene qualsiasi luogo – Giuseppe Perosi si era informato circa l’Istituto di Firenze, gestito dai salesiani – la formazione musicale lo preoccupava non poco: il 6 ottobre 1889, padre De Santi, in risposta, scriveva di non conoscere “affatto le condizioni morali dell’Istituto di Firenze. … … Ma (Renzo) non potrebbe continuare ancora presso di Lei, recandosi a dare gli esami in qualche liceo? Non potrebbe, dopo un anno, recarsi a Ratisbona, come ha fatto con tanto suo profitto il Tebaldini? .. “37. Sembra quindi chiarissima l’intenzione di Padre De Santi di formare Lorenzo al più presto ma, tuttavia, senza correre il pericolo di incappare in tappe a vuoto: Giuseppe Perosi, almeno quella volta, non seguì immediatamente, le indicazioni del De Santi. In particolare, infatti, Perosi padre preferiva mettere nelle mani di don Amelli il futuro di un giovane molto promettente, ma che, con i tempi che correvano, era saggio inviare subito su di una strada corretta. L’8 novembre 1890 Don Amelli scrive a Giuseppe Perosi, comunicando il felice arrivo a Montecassino del figlio. La vita del musicista Lorenzo Perosi comincia qui. 37 Sergio Pagano, op. cit. pag. 127.
  • 23. 23 Capitolo Terzo LA FORMAZIONE E I PRIMI INCARICHI (1890 - 1894) Come già detto Lorenzo Perosi venne mandato all’abbazia di Montecassino, in provincia di Frosinone, appena diciassettenne con una qualifica stupefacente: organista e professore di musica per gli allievi del collegio di quel monastero per tutto l’anno scolastico 1890 – 1891. Una tale precocità – visto il corso di studi non pienamente regolare compiuto da Lorenzo - la dice lunga sulla fama che il giovane tortonese si era già guadagnato allora; ne è prova ulteriore una lettera, datata 26 febbraio 1889, nella quale Perosi scrive all’organaro Alessandro Mentasti informandolo dei futuri restauri ed accorgimenti riguardanti l’organo della Cattedrale di Tortona. La spaventosa precisione con la quale tratta le varianti da apporre allo strumento, tanto strutturali quanto prettamente foniche, pur con l’ausilio del padre, dimostrano con chiarezza quale fosse, già allora, il suo livello di preparazione e di padronanza della materia. Pensiero universalmente condiviso è, comunque, che il soggiorno di Montecassino fu indubbiamente positivo per Perosi su svariati fronti. Tanto per cominciare, Montecassino fu il luogo più opportuno per dimostrare - più che agli altri a se stesso – se la sua vocazione religiosa era veramente solida e se fosse potuta sfociare in una ordinazione sacerdotale: lo stile di vita contemplativo ed operoso dell’ambiente benedettino, l’austerità e la sobrietà dell’Abbazia avrebbero certamente permesso una riflessione al giovane terziario. Perosi – come sostiene Mons. Moneta Caglio, supportato dalle lettere citate nel precedente capitolo – non fu chiamato a Montecassino dall’Abate, Guerrino Amelli, ma fu il padre, Giuseppe a muoversi facendo i primi passi verso tale direzione. Tra i motivi che lo spinsero ad avanzare questa richiesta, oltre allo sviluppo della vocazione ed alla possibilità di avvicinarsi al canto gregoriano38, venne addotto anche un motivo “ufficiale” quello, cioè, “di fargli compiere qualche studio classico presso il collegio annesso all’abbazia”39. Giuseppe Perosi, scrivendo all’Amelli, propose che il figlio desse alcune ore di lezione di musica in cambio della ospitalità: suo intento era quello, naturalmente, di far fruttare al massimo tale soggiorno. In tutta 38 A questo proposito va però detto che i codici presenti a Montecassino – se pure importantissimi alla fine del secolo scorso – sono oggi privi di una importanza di tipo paleografico in quanto trascrizioni di codici provenienti da altre abbazie: in pratica si tratta di copie. 39 E. T. Moneta Caglio, Lorenzo Perosi e la riforma della Musica Sacra, in Musica Sacra nr. 90 – 91 anno 1966 – 1967, Milano.
  • 24. 24 risposta l’Amelli, accettando di buon grado, offrì “a Lorenzo quattro ore di lezione al giorno. Il povero padre si spaventò. Come avrebbe potuto reggere il suo gracile Renzo a tante ore di insegnamento, e a trovare ancora il tempo di dedicarsi alle materie letterarie e di preparare gli elaborati da inviare a Milano al maestro Michele Saladino, col quale studiava per corrispondenza contrappunto e fuga? Propose perciò che i quattro allievi si esercitassero contemporaneamente, suonando a quattro mani su due pianoforti; metodo da lui già applicato con buon frutto a Tortona. Fu esaudito, ma l’orario venne fissato, con criteri molto monastici e pochissimo musicali, dalle cinque alle sei del mattino”40. Tale rigidità mosse le lamentele del padre alla notizia che, già nella primavera del 1891, Lorenzo era già stremato di forze e i suoi malori si fecero sempre più frequenti: con decisione venne, in particolare, contestato l’orario che costringeva il figlio ad un risveglio per le ore 4,30 del mattino. L’abate, Guerrino Amelli, scrivendo da Montecassino il 21 maggio di quell’anno spiegava che “Lorenzo sta assai meglio: ha scritto sotto l’impressione dei dolori viscerali, ma non appena ieri l’altro fu visitato dal medico Nicoletti …. si sentì subito sollevato. … La vera causa sarà forse cagionata da soverchia applicazione, stando seduto al piano e all’organo lunghe ore continue, e in ciò dovrebbe moderarsi. Nessuno l’ha mai obbligato ad alzarsi alle quattro e mezza. Io gli ho detto che insieme alla suddetta ricetta (omessa, N. d. A.) unirò un estratto di verga o di frustino per farlo levare dal piano”41. Chiediamoci, ora, come può avere influito sulla formazione di Perosi il soggiorno – breve e faticoso – a Montecassino. Sicuramente l’incontro con Padre Amelli, innanzitutto; ma, perché no, anche altre due considerazioni si potranno fare in relazione alla sua passione per lo studio ed alla vita monastica con l’accostamento che Perosi ebbe verso il canto gregoriano proprio nell’Abbazia laziale. Padre Guerrino Amelli (1848 – 1933) può essere considerato come una figura di spicco della riforma italiana. Anch’egli si formò musicalmente in Italia, ma il suo sviluppo concettuale avvenne grazie alla frequenza a Ratisbona ed al conseguente incontro con il Cecilianesimo tedesco; tornato in patria infilò un palmares di rilievo: fu relatore sulla musica sacra al I Congresso Cattolico di Venezia (1874), fondatore della rivista “Musica sacra” dal 1877 al 1885 quando entrò monaco nell’Abbazia di Montecassino. Trovò intanto il tempo per fondare – e divenire il primo presidente – l’Associazione Italiana Santa Cecilia per la Musica sacra, al I congresso di musica sacra di Milano del 1880; più avanti, rientrato nella Associazione dopo un periodo di 40 E. T. Moneta Caglio, opera citata. 41 Sergio Pagano, opera citata, Documento numero 35 pag. 137 – 138.
  • 25. 25 silenzio fondò nel 1905, proprio a Montecassino, il Bollettino Ceciliano, divenendone il primo Direttore fino al 1909. La sua cultura e la sua erudizione, tra le altre cose, gli permisero di essere considerato valido esperto anche in altri campi al di fuori della musica sacra quali, ad esempio, quelli della traduzione e della ricerca paleografica. Sembra quasi scontato concludere che Guerrino Amelli possa essere visto sotto la duplice veste di padre spirituale di Lorenzo Perosi, ma anche di esempio di cultura e di saggezza per un giovane che, in ogni epoca, aspira a modelli che gli infondano una coerente testimonianza esistenziale; quanto Montecassino – e l’Amelli in particolare – abbiano influito sulla maturazione spirituale e religiosa di Don Lorenzo non è dato di sapere, quindi possiamo trovarci nel campo delle congetture e delle illazioni. Ma due cose sembrano certe: se da un lato non esiste nulla di meglio della vita contemplativa per accertarsi se la propria è una vocazione fondata, al di là di una qualsiasi – possibile – infatuazione per la vita religiosa, dall’altro è innegabile che il Perosi padre non abbia inviato a Montecassino il figlio a sproposito. Più verosimile ed intuibile potrebbe essere la versione che fosse compimento di un preciso disegno paterno quello di verificare e testare le qualità del figlio, quasi a volerne tracciare definitivamente il percorso di vita. Dicevamo la sua passione per lo studio. Perosi era solito abbandonare “spesso la musica per darsi a studi letterari”42 ed era, da sempre, attirato dalla conoscenza delle lingue straniere: quale miglior habitat di Montecassino, all’incontro di monaci esteri, tedeschi e francesi, con i quali imparò a conversare nel loro lessico! Aveva una infarinatura di quasi tutte le lingue europee, anche polacco e russo, ed amava farne sfoggio anche sulla sua musica quando le dediche erano ora in francese, ora in inglese, ora in tedesco. Naturalmente non disdegnava lo studio della musica, passando varie ore all’organo ma anche componendo i lavori da inviare a Milano al Maestro Saladino: l’Amelli, addirittura, rispondendo al padre, parava le responsabilità di eccessiva durezza nei confronti di Lorenzo rispondendo a tono43. Infine il canto gregoriano. “Sotto l’aspetto musicale, Montecassino servì a metterlo intimamente a contatto con l’arte gregoriana, arte che eserciterà su di lui un’attrattiva fortissima. Anche qui però non bisogna esagerare. Si è detto che era andato a Montecassino a studiarvi il canto gregoriano sui codici. A Montecassino, infatti, non volendosi ricorrere alla edizione neomedicea di Ratisbona e mancando il coraggio di adottare l’edizione di Solesmes, si continuava a cantare sui grossi corali di 42 E. T. Moneta Caglio, Lorenzo Perosi, op. cit. pag. 164, nota 19. 43 Vedi nota 41.
  • 26. 26 pergamena aperti sul leggio monumentale; ma erano manoscritti del secolo XVI. Quando si pensa che la paleografia gregoriana si studia sui codici del secolo X e XI, si comprende come Perosi, nel periodo di Montecassino, abbia sì potuto assimilare l’estetica gregoriana, … , ma non sia divenuto un asso in paleografia … I colloqui con Amelli servirono comunque a ragguagliarlo sullo stato della questione dibattuta ad Arezzo fra Haberl e Dom Pothier: non si può dire che Perosi ne sia uscito del tutto corazzato, perché per qualche tempo non terrà ancora una linea di condotta ben ferma44; tuttavia la sua fiducia in Haberl come gregorianista ne fu scossa per sempre. Nella sua prima corrispondenza da Ratisbona all’Osservatore Cattolico, spedita il 19 gennaio 1893 saluterà i solesmesi come coloro ‘che ci danno ed insegnano il retto modo di cantare quelle melodie che fecero piangere i santi’; una bella maniera invero di dimostrarsi disimpegnato dal suo preside”45. Il rapporto tra Perosi ed il gregoriano inizia qui, a Montecassino; tracce di gregoriano si ritrovano nelle melodie e nei temi dei vari mottetti, scritti, in modo particolare, per la Cappella Sistina. La filosofia di Perosi verso il gregoriano fu quella di una rispettosa deferenza e di un continuo rifarsi ad un tale modello: “Ho sempre amato e stimato il canto gregoriano, e sempre più l’ho amato in quelle edizioni che più si avvicinavano alla lezione dei venerabili codici tramandataci dalla pietà dei claustrali. L’edizione dello studio solesmense è senza dubbio in questo momento la migliore che si conosca e su quel Graduale, che mi è stato guida e consolazione nel corso dei miei studi musicali, vorrei che si convergesse quello studio obbligatorio e necessario dei seminari. Come compositore di musica potrei bene decantare le bellezze di tante di quelle melodie, così pure e così semplici, così devote e così austere; tuttavia non deve essere la parola dell’artista sopra la parola del Pontefice. La santa memoria di Leone XIII ha encomiato e laudato con nobili parole gli studi gregoriani; la Santità di Pio X, nome così caro agli amatori del decoro dell’arte in Chiesa, apertamente ha dimostrato il suo volere ed il suo desiderio. Non vi sia perciò nessun levita che il canto proprio della liturgia romana non conosca e non ami; e la soave austerità, una delle belle doti del nostro rito, ritorni col canto gregoriano nelle funzioni delle nostre belle Chiese”46. Un tale atteggiamento che il maestro tortonese mantenne anche nella direzione della Cappella Sistina quando, durante l’esecuzione di un canto gregoriano, la direzione veniva sistematicamente affidata ad un cantore, Rella, che fungeva da Vice Maestro47. 44 Fino al 1903 pare che Perosi fosse dibattuto sull’uso ora dei libri corali, alla maniera di Montecassino, ora del Graduale di Solesmes; in più di una occasione, tuttavia utilizzò, senza troppa determinazione, vuoi l’edizione solesmese, vuoi l’edizione di Ratisbona. 45 E. T. Moneta Caglio, Lorenzo Perosi … , op. cit. pagg. 164 – 165. 46 Un “giudizio di Lorenzo Perosi sul canto gregoriano”, Roma 1904, riportato da Sergio Pagano, L’epistolario, op. cit., pag. 525 – V. 47 Questo episodio mi è stato riferito personalmente da Domenico Bartolucci, Vice Maestro di Perosi, dal 1952 fino al 1956 e successivamente, sostituto dello stesso Perosi quale Direttore Perpetuo dal 1956 al 1997.
  • 27. 27 Questo anno, 1891, è importante anche per un motivo che ritroveremo più avanti: il Maggiordomo del Sacro Palazzo Apostolico emana un nuovo regolamento per la Cappella Sistina. Tale sottolineatura è importante se si pensa che il documento che sostituirà questo sarà emanato nel 1905 da Pio X, sotto la direzione proprio di Perosi. Sembra interessante riportarlo interamente onde poi riprenderlo per fare i raffronti con il documento seguente. REGOLAMENTO PEL COLLEGIO DEI CANTORI DELLA CAPPELLA PONTIFICIA ELABORATO D’ACCORDO COL MAESTRO COMMENDATORE DOMENICO MUSTAFÀ NEL MARZO 1891 Il santo padre Leone XIII prendendo in benevola considerazione le suppliche molte volte umiliate al suo trono dai cappellani cantori pontifici, si è degnato di approvare il seguente regolamento, che avrà vigore dal 1° aprile prossimo, restando invariate le Descrizioni, Bolle e Costituzioni pontificie non derogate esplicitamente o implicitamente dalle norme seguenti. Capo I Numero e qualità dei cantori. a) La Cappella Pontificia sarà composta di numero 32 cantori, ossia 8 soprani, 8 contralti, 8 tenori, 8 bassi come pel passato. b) Nel numero dei 32 non si contemplano i giubilati, ed i dichiarati impotenti al voto segreto dato per bussolo dalla Cappella intera; c) Nel caso che qualcuno dei 32 cantori per queste ragioni non potesse intervenire, si chiamerà un cantore delle basiliche patriarcali, della voce occorrente, come si è praticato in questi ultimi anni, purché non vi siano sopranumeri; d) Pei cantori, che non vi sono altrimenti astretti, è derogato l’obbligo (comune a tutti i beneficiati) del celibato, e si tollera che per le circostanze de’ tempi siano dispensate anche da quello dell’abito e della tonsura (cf. Cap. IIIa); e) I coniugati si chiameranno semplicemente cantori; gli altri cappellani cantori. Da questi si potrà passare tra quelli; f) Le persone in sacris avranno sempre la preferenza nelle ammissioni caeteris paribus; g) L’ordine della decananza nel servizio non verrà modificato dall’appartenere ai cappellani, o ai cantori, ma si terrà solamente conto del tempo dell’ammissione.
  • 28. 28 h) Ai 32 cantori saranno aggregati non meno di quattro fanciulli scelti di preferenza nella Scuola Pontificia di S. Salvatore in Lauro, o di un istituto ecclesiastico. Capo II Servizio dei cantori. Nulla è innovato circa gli obblighi dei cantori ed in special maniera si prescrive che le accademie o prove si tengano dal 1° novembre al 30 giugno, due volte al mese, e quando si credesse opportuno, sotto pena della puntatura e di multe del direttore o del maestro. Capo III Emolumento dei cantori. a) L’attuale emolumento L. 118,25 avrà sempre ragione di beneficio pe’ cappellani cantori di titolo per la sacra ordinazione. b) Tutti i cantori di primo, secondo e terzo servizio, meno quelli che in avvenire appartenessero a basiliche patriarcali, riceveranno un soprassoldo mensile di L. 21,75. c) Nulla è innovato circa il soprassoldo ora esistente per quelli di secondo e terzo servizio. d) I cantori goderanno delle stesse propine di cui godono i cappellani cantori, compresa anche la partecipazione alla cassa di sovvenzione, non avranno però i diritti e privilegi che emanerebbero dalla condizione di ecclesiastici e famigliari del pontefice. e) I fanciulli non avranno emolumento, ma un equa distribuzione per ciascuna Accademia o pubblica esecuzione. f) Sono abolite le cariche di diacono e suddiacono, ed alla mancanza degli attuali investiti, saranno anche aboliti gli offici di secondo scrittore e sotto custode. g) I cantori che eserciteranno l’officio di diacono e suddiacono di cappella, avranno per ciascuno la distribuzione di L. 5 ogni volta. h) Dandosi la vacanza degli attuali impiegati le cariche ed impieghi saranno conferiti ai componenti la cappella con le norme tenute finora, ma con emolumento minore per metà degli attuali. Capo IV Disposizioni transitorie a) E’ transitoriamente tollerato che le cariche maggiori siano esercitate dai cantori non cappellani. b) Parimenti si tollera che questi esercitino una professione. Devono però riportarne espressamente licenza dal maggiordomo.
  • 29. 29 Dal Vaticano li 7 marzo 89. Il maggiordomo di sua santità Prefetto dei sacri palazzi apostolici + Luigi arcivescovo di Pietra. La Cappella Sistina in una foto di fine Ottocento. Si riconosce sdraiato Alessandro Moreschi e, seduto con il cappello, il Direttore Perpetuo Domenico Mustafà. Rientrando al nostro Perosi, che abbiamo lasciato nell’estate del 1891 spossato dall’esperienza di Montecassino, occorre subito dire che anche quel periodo fu fondamentale nella vicenda vissuta dal tortonese; infatti Giuseppe Perosi inoltrò regolare domanda di ammissione al conservatorio di Milano nel quale il figlio era già allievo epistolare di Michele Saladino. E proprio a
  • 30. 30 quest’ultimo Perosi padre si rivolse affinchè lo illuminasse sui passi da compiere per arrivare alla iscrizione nel prestigioso istituto musicale milanese: “Egregio maestro, Le accludo un estratto, dai Regolamenti di questo Conservatorio, per l’ammissione degli alunni. Ella vi troverà quanto occorre per inoltrare la domanda, ciò che potrà aver luogo nel settembre, alla Direzione del prelodato istituto. In quanto all'esame da subire davanti all’apposita Commissione composta dai professori dell’Istituto, per Renzo, son convinto, è cosa lieve; leggere a prima vista un basso numerato sul pianoforte, e poi svolgere un piccolo tema onde giudicare l’attitudine dell’aspirante. … Sono dispiacente non poterle suggerire mezzo efficace per ottenere un sussidio governativo. Non conosco precedenti che possano servire di guida onde raggiungere lo scopo. Forse una speciale raccomandazione al Ministero della P(ubblica) I(struzione) potrebbe essere utilissima, ma per far questo sarebbe opportuna una persona influente, anzi amica del suddetto Ministro. Ed il Comune di Tortona non può, in tal caso avuto riguardo delle speciali attitudini di Renzo, fare atto di giustizia? … Suo dev.mo Michele Saladino”48. Mentre il padre ed il maestro palermitano si interessano della formazione della giovane promessa, Lorenzo continua la sua estate, sofferente e malaticcio; dal carteggio epistolare si trovano molte missive verso la propria famiglia ove le vacanze passate tra Sampierdarena e Varazze non sembrano avere effetti benefici; comunque prima dell’autunno ritorna a Tortona e si ributta, su indicazione probabilmente di Saladino, nello studio assiduo della fuga a quattro parti. Intanto, benchè le condizioni fisiche fossero sempre precarie, si fece intensa l’opera di convincimento ad entrare in conservatorio a Milano; tutto questo, però, in aperta opposizione con quanto sosteneva Giuseppe Perosi qualche anno prima sull’ambiente milanese49: cosa può aver fatto cambiare così radicalmente idea al padre? Chiediamo aiuto ancora a Mons. Moneta Caglio: “è più facile che il suggerimento (di entrare in conservatorio, N. d. A.) gli sia venuto dagli ambienti di Milano, dove i suoi risultati … avevano acceso inattese speranze tra i dirigenti di Musica Sacra. Perosi era entrato in Conservatorio sostenendovi regolare esame di idoneità il 20 aprile 189250; C. Gatti enumera una serie di persone che possono averlo raccomandato, da Amelli al Gallignani e al conte Lurani, onde ottenere l’ammissione ad anno incominciato – anzi, quasi finito – è probabile però che più di tutti valesse il giudizio dell’insegnante che doveva 48 Sergio Pagano, op. cit. pagg. 138 – 139; la lettera porta la data del 28 giugno 1891. 49 Vedi nota 36. 50 Esiste una differenza di date: Michele Saladino dava appuntamento a Perosi per il “giorno martedì 19 corrente (aprile) alle 10 antimeridiane” (Sergio Pagano, op. cit. pag. 145); Mons. Moneta usufruisce probabilmente del ricordo, forse un po’ sbiadito di Carlo Gatti, condiscepolo di Perosi in conservatorio, nell’opera Il ritorno di Perosi, in La lettura, Corriere della Sera, 37 (n. 5, maggio 1937), pag. 435.
  • 31. 31 accettarlo: il M° Saladino”51. Anno quasi finito, si diceva: infatti, cosa più unica che rara, Perosi sostenne l’esame di ammissione, al conservatorio di Milano, ad anno praticamente concluso, ossia a distanza di circa due mesi dagli esami finali della classe cui il tortonese fu destinato, quella di fuga. La sua idoneità fu comprovata dal risultato della prova: 7,79, un voto apparentemente basso ma il più alto ottenuto in quell’anno. L’esame finale fu sostenuto nella seconda metà del mese di giugno e le relative pagelle consegnate il giorno 2752 e grande deve essere stata la sorpresa di Perosi e della sua famiglia nel verificare la straordinaria serie di valutazioni conseguite: 10 – 10 – 10 – 9,50; “un risultato straordinariamente lusinghiero, anche se la media complessiva fu tenuta, non sappiamo perché, al livello più basso: 9,50. Si volle forse tener presente che il candidato era stato fin troppo favorito nell’ammissione ad anno inoltrato? Non si può dirlo. A quei tempi il 10 era rarissimo a Milano; non l’ebbe neanche Puccini. I ceciliani avevano dunque tutte le ragioni per esultare”53. Prima di esaminare in breve le ragioni ed i motivi di esultanza dei ceciliani, i quali speravano – a giusta causa – di aver trovato l’incarnazione vivente e la personificazione del loro uomo ideale, soffermiamoci su due aspetti che ancora attirano la nostra attenzione e che emergono, nuovamente, dal carteggio epistolare di Perosi. Il primo aspetto è relativo al rapporto Perosi – Conservatorio; se da un lato il musicista non dimenticò mai questo istituto facendogli, ad esempio, omaggio della sua prima raccolta con la dedica54, dall’altro è possibile che Renzo non fosse attirato più di tanto dall’ambiente milanese, anzi è probabile che considerasse Milano un passaggio obbligato della sua formazione ma nulla di più. Inoltre era infastidito dalla “anticamera del teatro”, così lo definiva, rappresentata dall’ambiente meneghino. “… Ho sentito dire che alla metà di giugno si fanno gli esami; tanto meglio! A dir la verità ne sono già stufo e ristufo della baraonda del Conservatorio. Per tutti i contri mi si dice di andare ai teatri, ma io tengo duro e spero, con l’aiuto della Madonna, di non mai metter piede sulla scena, come anche di tirarmi via presto dal Conservatorio di Milano che del teatro moderno è l’anticamera! Per fortuna c’è nella biblioteca del Conservatorio la raccolta delle opere Palestriniane dell’Haberl e mi passo con quei libri qualche ora tutti i giorni di vera consolazione e contento”55. La lettera, di cui riporto uno stralcio, è spedita da Perosi al padre il giorno 25 aprile 1892, ossia cinque giorni dopo l’esame di idoneità; perciò il 51 E. T. Moneta Caglio, Lorenzo Perosi …, op. cit. n. 91, 1967, pag. 16. 52 E. T. Moneta Caglio, Lorenzo Perosi …, op. cit. n. 91, 1967, pag. 17. 53 E. T. Moneta Caglio, idem. 54 “Alla Biblioteca del R. Conservatorio di Milano l’olim discepolo” in E. T. Moneta Caglio, idem. 55 Sergio Pagano, op. cit. pag. 146.
  • 32. 32 giovane Renzo, oltre ad essere un ventenne con le idee chiare sul proprio futuro di musicista e di apostolo della musica sacra, si era immediatamente fatto una precisa idea sull’ambiente milanese e sull’inquinamento, per così dire, che la sua indole puramente ispirata poteva subire da un simile infuso di teatralità ed operismo, peraltro, imperanti a quel tempo. Ma un’altra questione, dopo il felice conseguimento del diploma a Milano, diventa subito spinosa ed attuale: quale futuro immediato doveva avere il giovane Renzo ma, sembra di leggere tra le righe, come poter evitare di bruciare questa splendida promessa, mancando, magari di fargli compiere qualche passo opportuno e perdere, quindi, l’opportunità di presentarlo come l’uomo della provvidenza? Per questo i grandi “mecenati” di Perosi si mettono subito all’opera per indicare la strada, a loro parere, migliore possibile, dibattendo se era il caso di battere sul chiodo della formazione musicale, vista la fresca conferma ottenuta in un habitat proibitivo come Milano, oppure se indicare, quale percorso primario da accostare, come già accaduto, ai successi musicali, quello della formazione spirituale con la coltivazione di una vocazione destinata a sfociare verso l’epilogo del sacerdozio. Il primo, in ordine di tempo, è padre Angelo De Santi con una lettera datata 12 luglio della quale riporto alcuni passaggi significativi: “Carissimo Renzo, mi congratulo vivamente del buon esito dei tuoi esami al Conservatorio e del titolo di Maestro che oramai ti conviene. Quanto all’andare a Ratisbona tu sai già come io la penso. Ti gioverebbe assai per un verso, ma per l’altro Malines sarebbe meglio. Ma tu stesso mi vieni fuori con un’altra questione. Se veramente vuoi dedicarti allo studio ecclesiastico, mi sembra che non c’è più tempo da perdere. Un corso di studi lo devi fare, per quanto abbreviato … e finita la teologia potrai allora, più maturo d’anni, fare un viaggio d’arte e passare qualche mese o a Ratisbona o a Milano. Il Mitterer56 fece pure così. Ecco dunque il mio consiglio: entra in seminario e pensa subito a seguire la tua vocazione. Per te nulla di meglio del Seminario Vaticano … Naturalmente i seminaristi ti bramano fra loro e mi domandano sempre se vieni e quando. Io non so davvero se tu possa trovare nido migliore di questo, dove avrai occasione di fare i tuoi studi e di vivere davvero in mezzo all’arte gregoriana e palestriniana, con un bellissimo organo a tua disposizione. …”57. 56 Ignaz Martin Mitterer (1850 – 1924), compositore austriaco, molto ispirato in quanto a musica sacra, fu prima ordinato sacerdote nel 1874 e poi intraprese la sua definitiva formazione musicale studiando a Ratisbona (1876 – 1877), quindi lavorò a Roma onde tornare, nel 1885, come Kapellmeister a Ratisbona. 57 Sergio Pagano, op. cit. pag. 147 – 148. Inoltre, in un’altra lettera inviata il 31 luglio, De Santi sollecita a Giuseppe Perosi una decisione quanto mai rapida (op. cit. pag. 149).
  • 33. 33 Ma accanto a De Santi, qualcun altro si interessava del futuro di Perosi, ossia l’abate di Montecassino che, un anno dopo l’uscita del giovane Renzo dalla comunità, chiedeva ancora notizie sui suoi progressi, manifestando un certo interesse sulla eventualità di un ritorno in abbazia; quindi scrive a Giuseppe Perosi il 31 luglio di quella fondamentale estate del 1892: “… Ora mi premerebbe avere notizie di lei e del figlio, e se possiamo contare sul di lui ritorno o se dovremo pensare diversamente. Tanto per nostra regola, dovendo provvedere in tempo. Le sarò grato d’un cenno sollecito”58. Durante il mese successivo le riflessioni sul futuro di Perosi sono sconvolte da un fatto estremamente interessante; l’architetto Pietro Saccardo, presentato a Giuseppe Perosi dal comune amico Giambattista Paganuzzi, il 24 agosto, scrive a nome della Commissione Capitolare della Basilica di S. Marco di Venezia offrendo l’incarico, per un anno, di organista al giovane Lorenzo; dietro a questa operazione, manco a dirlo, il padre Angelo de Santi che, indicando al Saccardo la preminenza della vocazione sacerdotale del pupillo, rinunciava, per quel periodo ad averlo a Roma, in considerazione dell’ottima credibilità ed affidabilità offerta dal seminario di Venezia. I fatti si concretizzarono per una serie di coincidenze: Maestro di Cappella a San Marco era Giovanni Tebaldini, ed organista Oreste Ravanello. Quest’ultimo, non potendo evitare l’arruolamento, lasciò libero il posto ad un sostituto, un certo signor Cipolla di Brescia, il quale a sua volta, ottenne il posto stabile di organista a Savigliano quindi, dal 1° ottobre, il posto sarebbe stato vacante. Data l’ulteriore coincidenza relativa al fatto che l’altro organista, della vecchia scuola, si riduceva a suonare nelle Messe senza Cappella e che a Venezia i buoni organisti non riscuotevano la fiducia della Commissione, il de Santi intervenne segnalando il Perosi. In relazione all’entità dell’incarico ecco cosa scrive il Saccardo: “… Siccome per una delle disposizioni transitorie gli organisti in oggi sono due, l’uno dei quali suona quando non interviene la Cappella, così l’obbligo del suo signor figlio sarebbe quello di suonare in tutte le funzioni indicate nella tabella annessa al Regolamento, del quale Le invio sotto fascia una copia. Ha pur l’obbligo di assistere a 48 prove d’assieme ed a prestare l’opera sua due volte per settimana, di sera, alla Schola cantorum … “59. Un incarico difficile da rifiutare, se consideriamo la giovanissima età di Perosi, l’agiatezza della sistemazione e la validità, anche da un punto di vista formativo, del seminario e della scuola di teologia; inoltre, sarà sicuramente passato nella mente del padre che un simile ingaggio, pur se transitorio, avrebbe costituito un buon lancio pubblicitario per il figlio, una operazione di 58 Sergio Pagano, op. cit. pag. 148 – 149. 59 Sergio Pagano, op. cit. pag. 152.
  • 34. 34 immagine tra le più opportune. Ma accadde, ancora, che, nel bel mezzo delle riflessioni sulla possibilità di accettare o meno tale allettante proposta, un intervento ben qualificato aiutò i Perosi a scegliere la strada, forse, al momento, meno sponsorizzata: Ratisbona. Questo intervento fu del conte Francesco Lurani; amico di famiglia, cultore di musica e cantante (al punto che Perosi gli assegnò addirittura la parte di S. Pietro durante la prima esecuzione della Trasfigurazione60), di fatto, fornì i mezzi finanziari necessari alla permanenza a Ratisbona e lo ospitò più volte nella sua villa a Cernusco Lombardone. Il suo intervento fu risolutivo quanto perentorio: “Egregio Signore (Giuseppe Perosi, N. d. A.), sto per partire per Cernusco; non le mando quindi che due righe in tutta fretta per pregarla a non accettare la proposta fatta a Renzo. Sarebbe per lui proprio un anno sciupato! Renzo deve andare a Ratisbona (mi perdoni la frase!). Là è il suo ambiente, là potrà acquistare quelle cognizioni che faranno davvero per lui. E quando tornerà in patria non gli mancherà un posto adatto per lui, ne son certo. Del resto credo che né Vostra Signoria, né Renzo avranno pensato compiacere all’idea dell’anno da passare a Venezia per solo comodo altrui! …”61. Probabilmente questa perentorietà fu ciò che serviva ai Perosi per spazzare ogni dubbio, o ancor meglio, il giovane Renzo necessitava di una spinta seria, caparbia e protettrice. Fugati quindi i dubbi, Lorenzo Perosi si prepara alla partenza per Ratisbona. La Kirkenmusikschule di Ratisbona fu fondata da Franz Xavier Haberl nel 1874 era un istituto all’avanguardia in relazione agli insegnamenti musicali e compositivi nell’ottica della riforma della musica sacra; fu un tipico caso di impegno di fine ottocento verso una concettualità non solo rivista nella pratica musicale, ma anche in quanto a tecniche didattiche è possibile sostenere una differenza sostanziale con altri istituti addetti all’insegnamento. Anzitutto non era una vera e propria scuola, ma una istituzione privata che rappresentava un corso di perfezionamento superiore che iniziava il 15 gennaio e terminava il 15 luglio; come linea, questo corso poteva apparire una sintesi tra il gregoriano e la polifonia “alla Palestrina”, ma di fatto inquadrava un po’ tutti quei musicisti che vi passavano, in uno stile troppo tedesco e rigido, che finiva talvolta per tarpare le ali della fantasia creativa dei singoli artisti. Lorenzo Perosi parte da Milano il 10 gennaio del 1893 alla volta di Ratisbona dove resta fino al 9 giugno dello stesso anno ed il soggiorno, come già detto, è tutto a carico del conte Francesco Lurani. Il grande problema di Perosi, almeno inizialmente, fu quello del tedesco, ma una sua predisposizione all’apprendimento delle lingue straniere rese 60 E. T. Moneta Caglio, op. cit. pag. 19. 61 Sergio Pagano, op. cit. pag. 153.
  • 35. 35 piuttosto sterile questa preoccupazione; ad ogni buon conto le quattro ore di lezione giornaliere di Ratisbona lasciavano grande spazio alle prove dei ragazzi della Cappella, allo studio sull’organo e alla composizione; è lo stesso Perosi che ci offre una tale testimonianza: “Carissimo padre, scrivo in fretta in fretta due linee perché sono addirittura occupato … ho da finire un Kyrie, un Sanctus ed Agnus Dei a 3 voci senza accompagnamento per monache; lavoro che m’ha dato da fare il Direttore; ho da scrivere altri due Veni creator Spiritus a 3 voci; tutto ciò per questa settimana …”62. Comunque anche il corso di Ratisbona si concluse in modo egregio, tanto più che Perosi ebbe il primo attestato, segno di grande successo per il giovane tortonese. Ma al termine della esperienza tedesca chiediamoci cosa lasciò il corso di Haberl nella professionalità di Renzo e chiediamo aiuto a Mons. Moneta Caglio. “Egli era soddisfatto degli studi compiuti a Ratisbona, dove le sue convinzioni ceciliane erano state rinsaldate contro ogni attacco e dove gli era stato sviscerato ogni segreto della composizione polifonica. Ma ciò avvenne senza che ne uscisse definitivamente alterata la sua personalità artistica. Ed è quello che costituisce una differenza capitale fra lui e gli altri italiani che studiarono a Ratisbona. Questi tornarono tutti più o meno inquadrati nei rigidi schemi tedeschi … in fondo al loro stile o alle loro idee rimase sempre una tracci di Ratisbona. Fu appena sul principio che la sua produzione (di Perosi) risentì dei modelli tedeschi; ma si trattò di un fenomeno passeggero e sembra che già fin d’allora desse a vedere di voler battere un’altra via … Haberl, il quale doveva aver intuito la musicalità dell’allievo e non poteva certamente condividere questi indirizzi, sperò forse di sopirli utilizzandolo in un altro campo: quello dell’organo. Gli offerse la cattedra di organo alla Kirchenmusikschule. Non bisogna sorvolare su questa offerta. La fama del Perosi compositore ha oscurato quella dell’organista; ma organista lo era, e di prim’ordine … Insomma, fino a questo momento appare perfettamente giustificato l’invito rivoltogli da Haberl, tanto è vero che a Perosi esso non dispiacque affatto”63. Ma accanto a questa allettante proposta, l’intervento di Angelo De Santi fu, questa volta, decisivo; offertosi, quest’ultimo, di fare da mediatore tra il musicista ed il Vescovo di Imola, scrive al giovane maestro il 15 agosto 1893, proponendogli l’incarico di insegnante di canto gregoriano nel locale seminario. Incarico che Perosi accetta, su committenza di Mons. Domenico Baruzzi, segretario di S. E. Mons. Luigi Tesorieri, Vescovo di Imola, che gli propone l’offerta il giorno 18 settembre 1893; ai primi di novembre, ossia con l’apertura dell’anno scolastico del seminario, Perosi inizia, dunque, la sua attività didattica che, di lì a qualche mese, si tramuterà in quella di esecutore 62 Sergio Pagano, op. cit. pag. 155. 63 E. T. Moneta Caglio, Lorenzo Perosi, op. cit. pagg. 19 – 20.
  • 36. 36 come Maestro di Cappella della cattedrale emiliana, nonché di compositore. “Nel programma della Settimana Santa in Cattedrale a Imola figurarono ben 11 pezzi di canto di sua composizione, tra cui una messa a 5 voci, oltre a un buon numero di falsi bordoni … sulle prime, forse, non ebbe tanto la sensazione che la sua strada fosse quella di comporre, quanto quella di dirigere una Schola Cantorum: ‘il mio desiderio, il fine dei miei studi, sarà sempre quello di poter avere un giorno una cappella fatta a dovere’. Bisogna dire che ad Imola, …, si rivelarono subito le sue doti di attivista capace di stimolare e trascinare i seminaristi sl canto, accendendoli di zelo per gli indirizzi della riforma, ma si rivelarono insieme le deficienze di interprete; don Palo Borroni – uno dei suoi più intimi – parlò addirittura di esecuzione ‘vertiginosa’. Ma insieme diceva: ‘Ho veduto una cosa ammirabile: un seminario trasformato, si può dire, in una cappella musicale’. Più avanti negli anni, il maestro dichiarerà spontaneamente di sentirsi prima un compositore e poi un direttore. Tale vocazione gli apparve sempre più chiara di fronte al favore che riscossero le sue musiche. Ma ciò avverrà principalmente durante il periodo di Venezia”64. Perosi, in quell’estate del 1894, ricevette l’incarico di Maestro di Cappella della Basilica patriarcale di Venezia. Naturalmente accettò. Gli anni di apprendistato, per lui, finivano qui. 64 E. T. Moneta Caglio, Lorenzo Perosi, op. cit. pagg.24 – 25.
  • 37. 37 Capitolo quarto MAESTRO DELLA CAPPELLA MARCIANA DI VENEZIA (1894 – 1898) La Cappella Musicale della Basilica Patriarcale di Venezia, ancora in quegli anni, era una istituzione piena di lustro e di decoro dalla quale, un po’ come in tutte le Cappelle Musicali di un certo livello, erano passati musicisti decisamente importanti, quali, ad esempio, Croce, Zarlino, Legrenzi e Monteverdi su tutti. Ma, in quel tempo di riforma, anch’essa viveva una situazione un po’ instabile, sia per fattori esterni – una ristrutturazione è sempre un momento di passaggio e di transizione, ove occorrono uomini attenti alle esigenze di collegamento tra le novità ed un passato irrinunciabile, uomini di conduzione, insomma, capaci di traghettare al nuovo porto senza eccessivi traumi – ma anche, forse soprattutto, per ragioni interne. “C’erano da sistemare i rapporti con il M° Coccon. Questi era organista, pur avendo il posto di maestro primario; il direttore del coro gli era quindi subordinato. Di qui gli attriti con Tebaldini, che stanco della situazione insostenibile, aveva optato per Padova. Il Coccon non era avverso a tutte le idee della riforma, dal momento che nel suo esposto alla S. Congregazione dei Riti del 1893 giudicava ‘serio e chiaro’ il Regolamento del 1884, emanato per cacciare la musica teatrale dal tempio; rivendicava anzi a se il merito di avere bandito da Venezia ‘quanto maggiormente si opponesse allo spirito dell’attuale riforma’. Ma doveva essere di cultura piuttosto scarsa se, parlando della polifonia cinquecentesca, scriveva: ‘Il ritorno al genere primitivo non è logico. Allora la melodia non era ancora venuta al mondo’. … Egli non poteva prevedere che la melodia sarebbe rientrata trionfalmente nella musica sacra italiana, ma proprio per merito del giovane maestrino che stava per soffiargli il posto. In fondo il suo esposto dimostrava che la sua questione con Tebaldini era soprattutto una questione di rivalità personale, per effetto della quale tralasciava perfino di fare distinzione tra la musica di Palestrina e quelle tedesche di Witt, Hanisch, Piel, Haller, Mitterer, di cui Tebaldini aveva inondato la Marciana. Di queste ultime non aveva tutti i torti nel lamentare il ‘monotono e compassato svolgimento’; alla prima certamente non si poteva rivolgere la stessa accusa. E’ logico, con simili premesse, che il Coccon avrebbe combattuto Perosi allo stesso modo che Tebaldini. La Procuratìa se ne rese perfettamente conto, perché, non volendo che si ripetesse il bis del caso Tebaldini, adottò l’unica misura atta a sanare la situazione: con lettera del 22 maggio 1894 collocò a riposo il M° Niccolò Coccon, conservandogli tuttavia titolo ed incarico con un’adeguata pensione e l’obbligo di prestare servizio quelle volte in cui si fosse ritenuto opportuno di chiamarlo”65. 65 E. T. Moneta Caglio, Lorenzo Perosi, pag. 25 – 26.
  • 38. 38 Avevamo lasciato Perosi verso la fine del suo incarico ad Imola. Prima di ricevere ufficialmente la proposta da Venezia, il giovane Renzo si promise in parola con Parma, la quale ad opera del M° Gallignani, si mosse per tempo: il 19 marzo del 1894 l’Amministrazione della Fabbrica della Cattedrale di Parma, offrì il posto di M° di Cappella ed organista con lo stipendio di 1.200 lire annue e vitto e alloggio presso il seminario diocesano. L’incarico sarebbe partito, ovviamente, dal 1° di ottobre successivo. Perosi, sapendo bene che il posto ad Imola era troppo stretto e comunque a tempo determinato, era quasi risoluto ad accettare. Ma la forza di Padre De Santi lo indusse ad attendere ancora; in serbo per lui c’era ben altro. Lorenzo Perosi nei gli anni veneziani. La prima mossa fu una lettera del 5 aprile dell’architetto Pietro Saccardo66 che, con insistenza, scrisse un appassionato memoriale al Cardinale Giuseppe Sarto, Patriarca di Venezia: “… perdoni se torno ad incomodarLa per la scelta del nuovo Maestro … Il reverendo Padre De Santi mi dà splendide informazioni del Perosi, mi dice però che egli non potrebbe entrare direttamente nelle trattative, e mi consiglia a farle o direttamente o per mezzo della 66Vedi Capitolo terzo, pag. 33.
  • 39. 39 bontà e della degnazione della Eminenza Vostra, che mostrasi favorevolissima a questa scelta. …”67. Segue un ricordo del lustro storicamente conquistato dalla Cappella Marciana e dei suoi maestri; inoltre un accenno alla spinosa questione del rapporto Coccon – Tebaldini con il consiglio di nominare il nuovo direttore anche Maestro primario; infine un passaggio estremamente importante: “Aggiungo che trattandosi di persona fornita di requisiti occorrenti in modo singolare, com’è del Perosi, da quello che ne dice il reverendo Padre De Santi, è fuori di dubbio che la Fabbriceria valendosi dalle facoltà concessale dall’articolo 14 del Regolamento, ed essendo già in questo d’accordo col reverendissimo Capitolo e con Mons. Vicario, ometterebbe l’aprimento del concorso e dispenserebbe dall’esame il concorrente … “68. Che a Venezia venisse chiamato un giovane chierico di 22 anni è già strano, ma addirittura senza neppure conoscerlo direttamente gli fosse aperta la strada della nomina senza normale concorso, la dice lunga sulla fama, la personalità ed anche il livello artistico conquistato da Lorenzo Perosi in quei primi anni di lavoro. In ogni caso si mosse un quadrunviro per portare Renzo alla Marciana: oltre a De Santi e al Cardinal Sarto, ebbero un grande ruolo, come detto, l’architetto Pietro Saccardo e l’Avvocato Ettore Sorger; quest’ultimo prese parte attivamente al Congresso di musica sacra di Milano, prendendo più volte la parola e riscuotendo non pochi consensi. Inoltre diventerà, insieme con Giuseppe Patrizio il benefattore veneziano di Perosi accompagnandolo, addirittura alla prima esecuzione della Risurrezione a Roma nel 1898. Ma andiamo con ordine. Nell’aprile di quel 1894 Lorenzo Perosi scrive al padre Giuseppe una lettera il cui post scriptum è illuminante per capire lo stato abbastanza confusionale del giovane musicista: “ … Per Venezia non ho preso alcuna deliberazione. Saccardo mi scrive stamattina una lunga lettera, ed a quanto pare lusinghiera molto: ma aspetto”69; come abbiamo già visto, Perosi era già in parola ufficialmente con Parma e non era certo tipo da rimangiarsi la promessa così facilmente: ma questo passaggio è facilmente comprensibile. Una offerta di queste dimensioni, che poteva costituire – e fu in realtà – un trampolino di lancio insperato verso le più alte mete, non poteva passare certo indifferente; inoltre la scuola che lo corteggiava da Parma, scrive il Saccardo, era il conservatorio locale, ossia una scuola statale. Infine Perosi provava un comprensibile senso di gratitudine verso il M° Gallignani, “direttore di quel conservatorio, l’uomo che fino a questo momento era stato il suo maggior propagandista. La fama da lui creata attorno a Perosi sulle colonne di 67 Sergio Pagano, op. cit., pagg. 169 – 170. 68 Idem. 69 Sergio Pagano, op. cit., pag. 173.
  • 40. 40 Musica Sacra aveva non poco contribuito a procurargli il mecenate che lo inviasse a Ratisbona”70. A coronamento di queste incertezze, arrivavano le non poco rassicuranti notizie da Venezia, in particolare modo, oltre che da una certa indecisione da parte della Procuratìa, dal M° Coccon che “era tutt’altro che rassegnato ad accettare il provvedimento che l’aveva colpito; e anch’egli aveva le sue buone ragioni. Contava allora 67 anni; un po’ presto per essere mandato in pensione contro sua volontà; tanto più che a quei tempi non si andava in pensione con l’ultimo stipendio. L’ambiente musicale veneziano doveva trovarsi sorpreso di questo atto di forza contro uno dei loro, in favore di un forestiero di 21 anni”71. Di fronte a tutte queste fonti di turbativa, il ruolo probabilmente più decisivo in assoluto fu giocato dal Cardinal Sarto in persona che incontro Perosi ufficialmente il 25 maggio 1894, insieme a Sorger e a Saccardo che furono “tecnici” della trattativa. Dalle stesse parole del Cardinale, rivolte al padre qualche giorno dopo72: “Egregio Signor Maestro, ieri l’altro ebbi il piacere di fare la personale conoscenza dell’ottimo suo figlio Lorenzo, e sento il bisogno di porgere anche a Lei i miei ringraziamenti perché ha concorso con la sua autorità e coi suoi consigli a fargli accettare definitivamente il posto di Maestro nella Cappella di S. Marco di Venezia. Si persuada pure che Lorenzino non poco corrisponderà alla aspettazione dei Veneziani, ma in breve sarà amato da tutti con affetto. Se poi il Signore mi vorrà, quando che sia, a Venezia73, io gli sarò più che padre amico affettuoso … “ 74. Da questo scritto si capisce al volo che Lorenzo Perosi, il 25 maggio 1894, tornò da Padova, dopo aver incontrato il Cardinal Sarto e la delegazione della Procuratìa veneziana, con l’accordo di divenire il nuovo Maestro di Cappella della Basilica Patriarcale di S. Marco, con grande soddisfazione dei due uomini che, nell’ombra, avevano preparato questo grande approdo: Giuseppe Perosi ed Angelo De Santi. Ecco interamente riportata la lettera di nomina. 70 E. T. Moneta Caglio, Lorenzo Perosi, op. cit. n. 3, 1967, pag. 100. 71 Idem, pagg. 100 – 101. 72 La lettera qui riportata porta la data del 28 maggio ed il Cardinale parla dell’incontro come avvenuto “ieri l’altro”, quindi, teoricamente, il 26. Ma una tale incongruenza è dovuta, probabilmente, ad un ricordo sbagliato di Giuseppe Sarto, in quanto la data del 25 maggio, ossia dell’incontro di Padova, è annotata nel diario personale di Padre De Santi, di suo pugno. La data è inoltre confermata dalla lettera, riportata in seguito, della Fabbriceria di S. Marco ove si fa preciso riferimento al 25 maggio. 73 Giuseppe Sarto resse il patriarcato di Venezia dal giugno 1893 fino al 4 agosto 1903, giorno della sua elezione al trono pontificio con il nome di Pio X. Benchè eletto patriarca nel 1893, il Sarto fu tenuto fuori dalla sua nuova diocesi fino all’anno seguente da una lunga e puntigliosa controversia fra Santa Sede e governo italiano per la concessione del regio exequatur. La nota è presa interamente da Sergio Pagano, op. cit. pag. 169, nota n. 203. 74 Sergio Pagano, op. cit., pagg. 173 – 174.
  • 41. 41 I Fabbriceri di S. Marco di Venezia a Lorenzo Perosi75 Venezia, 8 giugno 1894 Stimatissimo signor Professore, dopo l’abboccamento ch’ebbe luogo in Padova il giorno 25 maggio u. s. fra la Signoria Vostra ed una deputazione di questa Fabbriceria, lo scrivente non poté riunirsi in seduta che il giorno 5 corrente, per deliberare definitivamente sull’argomento. Avuta pertanto relazione come siano stati felicemente risolti i dubbi che tenevano sospeso alquanto l’animo della Signoria Vostra e come la Signoria Vostra siasi risolto ad accettare senz’altro il posto di Maestro della Cappella Musicale della Basilica di S. Marco, questa Fabbriceria, col pieno consenso delle Autorità diocesane, Le conferisce definitivamente la detta carica, con tutte le attribuzioni portate dal regolamento 5 marzo 1892, già da Lei posseduto, e con lo stipendio annessovi. Ad ogni buon fine si dichiara di accettare in via di concessione personale dovuta ai distinti meriti della Signoria Vostra le tre condizioni poste con la Sua lettera 6 maggio u. s.76. La Signoria Vostra entrerà in carica col primo di ottobre p. v., e da quel giorno Le decorrerà lo stipendio. Sarebbe però desiderabile che la sua venuta potesse avere luogo ai primi di settembre, affine di approfittare delle vacanza scolastiche dei fanciulli cantori per la loro istruzione. Alla Sua venuta sarà provveduto a tutte quelle combinazioni che potranno facilitare alla Signoria Vostra il disimpegno delle sue attribuzioni. Voglia compiacersi la Signoria Vostra di un cortese riscontro e gradire i sensi della più perfetta osservanza. I Fabbriceri A. Carlo Bianchini Roberto Boldin Donà conte Antonio Pietro Saccardo In quell’estate 1894 anche l’altro determinante aspetto della vita di Perosi ricevette un impulso estremamente importante: infatti il Vicario capitolare di Venezia, Mons. Francesco Mion, il 29 agosto gli comunica 75 La lettera è riportata in Sergio Pagano, op. cit. pagg. 174 – 175. 76 A quanto è dato di sapere questa lettera è andata perduta; quindi poco o nulla si sa delle tre condizioni suggerite da Perosi. Abbozzo due ipotesi: la promessa dell’istituzione di una Schola puerorum al modello di Ratisbona e la possibilità, in breve tempo, di accedere agli ordini sacerdotali, cosa che, in effetti come vedremo, avverrà in brevissimo tempo.
  • 42. 42 l’ammissione all’iter di studi seminariali immediatamente precedenti il sacerdozio; non è sbagliato dichiarare che, anche in questo caso, come prassi dell’epoca, l’ammissione agli ordini minori, al diaconato e al presbiterato fu incredibilmente veloce. Infatti, da Mantova, il Cardinal Sarto ammette agli ordini minori il chierico Lorenzo Perosi il 2 settembre dello stesso anno; solo venti giorni dopo viene ammesso al suddiaconato; il 10 agosto 1895, giorno di S. Lorenzo, Perosi viene ammesso al diaconato onde, per finire, ricevere l’ammissione al presbiterato, e quindi l’ordinazione sacerdotale, per mano del Cardinal Sarto, il 21 settembre 1895. Il giorno dopo celebra la sua prima Messa al santuario di Loreto. Tornando a quella fatidica estate 1894, è opinione diffusa che l’appuntamento più importante fu certamente la visita a Solesmes, centro nella Francia meridionale che diventa il vero epicentro della riforma e restaurazione gregoriana; i pionieri, Dom Pothier, per ciò che concerne la rivisitazione delle versioni melodiche, e Dom Mocquerau, per il discorso relativo all’interpretazione ritmica e la paleografia, gettano le basi intanto per togliere a Ratisbona le edizioni, ormai obsolete, del canto gregoriano ma, soprattutto, per avviare un lavoro critico e costruttivo i cui frutti si inizieranno a cogliere nei primi anni del nuovo secolo. Perosi, come già detto a proposito di Montecassino, era estremamente attratto dal canto gregoriano; ma, per usare un termine più adiacente, è possibile dire che egli fu veramente affascinato dalla purezza e dalla nobiltà dell’antico canto, tanto da non rendersene all’altezza, almeno a livello personale. La sua vacanza francese, nel luglio di quell’anno, invitato direttamente da Dom Mocquerau77, dovrebbe essere stata, quindi, un’oasi nella quale Perosi trovò modo di apprendere perfezionare le sue conoscenze con il canto gregoriano, proprio nel luogo ove maggiormente questa scienza ritrovava il suo antico splendore. Al rientro da Solesmes, risolte le ultime pratiche ad Imola, avvenne la partenza verso la sua nuova destinazione il 14 agosto del 1894; una volta a Venezia gli venne assegnata la Chiesa di S. Maria della Salute, prossima al seminario patriarcale, per il servizio liturgico. Il primo impegno di Perosi come Maestro di Cappella a Venezia fu presumibilmente l’8 di ottobre del 1894, ossia il giorno della dedicazione della Basilica Patriarcale: “ … a Venezia sono aspettato. Avrei avuto tanta voglia di starmene quieto fino a ottobre, invece Tebaldini ha declinato l’impegno che aveva 77 Sergio Pagano, op. cit. pag. 177, documento n. 74. Il Mocquerau invitò con insistenza Perosi in particolare modo cogliendo l’occasione della festa di S. Benoit.