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dell’Università Kore di Enna

DUALISMO “DEMOCRATICO” E MONISMO
“AUTORITARIO” NEL XXI SECOLO*
Anna Lucia Valvo
Professore ordinario di Diritto dell’Unione europea nell’Università Kore di Enna
ABSTRACT: The changes characterizing the relations between the member States of the International
Community and those existing between national law and International law produce a reflection on the
dichotomy between monism and dualism.
It is indisputable fact that recently we assist to a clear prevalence of an International law that
produces direct effects within the member States and their national legal system positively considered,
beyond any question relative to the necessary or non “coincidence” between internal and
international legal phenomenon, and beyond any ascertainment relative to a supposed (and often
inexistent) legitimacy of this prevalence of one over the other, as well as of the diversity and different
right to legitimacy of the relative legal sources.
In this context, the European Union law has, de facto gone beyond any question of contrast between
dualism and monism (question that is not at all unclear being, legally talking, the European Union at
all effects, an International law sub specie of third grade international norms) with consequent
removal of the legal sources from the traditional schemes of modern democracies, thus causing
distortion of the guarantee functions of the political-constitutional structures of the States.
Under this specific aspect, therefore, emerges a kind of colonization of member States by the
European Union considering that the States, apparently and legally free to withdraw from contractual
obligations (those descending from the constitutive Treaties), politically – and specially economically
– are deprived of any capacity to self-determination or any possible re-exercise of their sovereign
competencies.
In other terms, with due respect for any consideration concerning monism or dualism, the European
Union has become an instrument of that authoritative monism which considers legislative function an
instrument at service of technocratic oligarchies, completely free of any democratic legitimacy.
In this context, the weakening of the State’s sovereignty is the direct and immediate consequence and
the governments of the member States, therefore, exercise their political jurisdiction only apparently,
given that, in substance, the European Union, betraying the founding pact, is (self)invested of
instruments and competencies which go beyond of those initially delegated by the member States,
mining or impeding the free exercise of their sovereignties
PAROLE CHIAVE: Comunità internazionale, Unione europea, Globalizzazione, Sovranità, Federale

1.

I mutamenti dei rapporti fra gli Stati alla luce della globalizzazione
Alla luce dei cambiamenti che oggi caratterizzano i rapporti fra gli Stati membri della

Comunità internazionale e le relazioni che intercorrono fra il diritto interno e il diritto

Studio pubblicatonel Volume collettaneo Basic Principles of International Public Law – Monism and Dualism,
a cura di M. NOVAKOVIC, Belgrado, 2013.
*

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internazionale, la classica dicotomia fra monismo e dualismo può essere oggetto di differenti,
ma non per questo necessariamente antitetiche, considerazioni di carattere giuridico e di
carattere politico.
Contrariamente a quel che si potrebbe pensare all’esito di un approccio superficiale alla
questione, a fronte della perdita di sovranità da parte degli Stati a favore di più o meno occulte
élite economico-finanziarie (fenomeno ancor più accelerato da un incontrollato ed
incontrollabile processo di globalizzazione), la questione relativa al monismo e al dualismo
presenta oggi profili di rinnovata attualità.
Cercando di mantenersi entro i confini di una prospettiva obiettiva e sforzandosi di
offrire un punto di vista che scientificamente deve essere imparziale e che poi è
l’atteggiamento che dovrebbe caratterizzare il punto di vista dello studioso in generale, e del
giurista in particolare, il discorso può essere affrontato senza parteggiare né per l’uno e né per
l’altro dei due contrapposti (ma meno di quel che si pensi) punti di vista della teoria generale
del diritto internazionale e dello Stato, e lo sforzo sarà diretto ad individuare il peso effettivo
che hanno gli Stati utisinguli nella Comunità internazionale del post post guerra fredda, ora
caratterizzata da un’economia globale che ha determinato un’impensabile accelerazione degli
scambi e delle comunicazioni e una definitiva spinta al cambiamento dell’ordine (o del
disordine) internazionale, con quel che ne consegue in termini di rapporti fra il diritto interno
degli Stati e il diritto internazionale.
Nondimeno, va pur detto che al di là delle più o meno comprensibili contrapposizioni
fra i fautori dell’una o dell’altra teoria, è un fatto constatabile nella realtà fenomenica dello
svolgersi delle relazioni internazionali che i due ordinamenti, quello interno e quello
internazionale, vivono e hanno ragion d’esistere esclusivamente l’uno in funzione dell’altro,
e viceversa.
Tuttavia, è parimenti incontestabile che da qualche tempo a questa parte si assiste ad
una netta prevalenza di un diritto internazionale (non sempre espressione condivisa di un
consenso più o meno generalizzato da parte degli Stati, e dunque espressione normativa degli
Stati intesi nella loro configurazione istituzionale di Comunità internazionale, appunto, degli
Stati) che esplica effetti diretti all’interno degli Stati membri e sui loro ordinamenti giuridici

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nazionali come positivamente esistenti, al di là di qualsivoglia questione relativa alla
necessitata o meno “coincidenza” fra il fenomeno giuridico interno e il fenomeno giuridico
internazionale, e al di là di ogni constatazione relativa ad una presunta (e talvolta inesistente)
legittimità della detta prevalenza dell’uno rispetto all’altro, oltre che - a tutto ammettere –
della diversità e dei differenti titoli di legittimità delle relative fonti normative.
In effetti, se, da un canto, è vero che la più gran parte dei problemi che coinvolgono gli
Stati membri della Comunità internazionale non sono più semplicemente risolvibili a livello
interno; che il progresso scientifico e tecnologico, lo sviluppo degli scambi economici,
commerciali, monetari e delle comunicazioni hanno, per così dire, “unificato” il mondo e che
la frantumazione degli scenari politici ed economici e, in buona sostanza, tutti quei fenomeni
che più o meno direttamente sono conseguenza della globalizzazione, determinano la
necessità di individuare nuove forme di “gestione” giuridica (e politica) dei fenomeni sociali e
nuove fonti di produzione normativa (non sempre e non necessariamente di derivazione
interna degli Stati), d’altro canto è altresì vero che la pur residua sovranità statale rende
necessario un preventivo controllo sulla legittimità della fonte di produzione della normativa
internazionale oltre che sulla legittimità di quel diritto internazionale che gli Stati, ben lontani
dal poter decidere se recepirlo o meno all’interno dei propri ordinamenti, dovranno (o
dovrebbero) pur avere la possibilità di effettuare un controllo circa la “compatibilità” del
primo con il secondo.
Negare tale possibilità agli Stati ed impedire, dunque, al diritto interno di esplicare la
sua funzione di strumento per recepire e garantire l’attuazione delle norme internazionali,
determinerebbe il consolidamento di una deprecabile e inauspicabile oligarchia internazionale
che renderebbe priva di significato ogni speculazione, fondata o meno, poco importa ai fini
della presente disamina, sulla prevalenza del diritto internazionale sul diritto interno o sulla
coincidenza (o meno) dell’ordinamento internazionale con l’ordinamento interno degli Stati.
Quanto appena sostenuto non vuol significare, dunque, porsi in una prospettiva che
ammette una diretta giuridicità obbligatoria delle norme internazionali con implicita
possibilità per queste di disciplinare direttamente i rapporti giuridici interni ed esterni dello
Stato o, ancor più, una assertiva legittimità delle fonti di produzione di queste ultime e, di

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conseguenza, porsi in una prospettiva negazionista dell’autonomia giuridica e politica degli
Stati; significa diversamente prendere contezza della realtà e del fatto che, se pur
l’ordinamento internazionale non ha la possibilità di determinare direttamente ed
autonomamente modifiche normative direttamente operanti all’interno degli Stati membri
(con il che, implicitamente, dichiarando di non aderire alla teoria monista), nei fatti si deve
riconoscere come sia dato constatare una certa tendenza degli Stati a consentire o a subire una
sempre maggior apertura degli ordinamenti interni nei confronti di norme e principi
dell’ordinamento internazionale.

2.
Originarietà ed autonomia dell’ordinamento internazionale e degli
ordinamenti interni degli Stati.
Affermare, come si ritiene giusto, che gli ordinamenti interni degli Stati e l’ordinamento
internazionale sono ciascuno per proprio conto originari ed autonomi e che gli ordinamenti
interni sono, per principio, chiusi rispetto alle norme estranee al sistema dei valori e alle scelte
giuridiche sottese all’ordinamento interno, e che dunque gli Stati in ragione della loro
sovranità ed in funzione dell’esercizio di questa, sono e rimangono i protagonisti indiscussi
della produzione normativa interna (anche di quella di derivazione internazionale per il
tramite del procedimento di adattamento del diritto interno a quello internazionale), significa
voler restare arroccati su posizioni di mera speculazione dottrinaria del tutto svincolata e
disancorata dalla realtà.
Lungi dall’affermare o, peggio, dal condividere l’idea di un inesistente universalismo
giuridico di kelseniana memoria e dal voler ricondurre l’ordinamento interno e quello
internazionale in uno schema unitario, idea la cui astrusità e astrattezza è smentita, fra l’altro,
dalla pluralità di Carte costituzionali dei vari Stati membri della Comunità internazionale che
in modo più o meno diretto prevedono meccanismi di recepimento delle norme di derivazione
internazionale (quanto meno di tipo pattizio) allo scopo di frapporre una barriera fra
quest’ultimo e il diritto interno e allo scopo di operare una “trasformazione” del diritto
internazionale in diritto interno (meccanismi che, a voler ammettere una coincidenza fra gli
ordinamenti interni agli Stati e l’ordinamento internazionale, non avrebbero ragion d’esistere),

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si vuole evidenziare la pericolosità di quel meccanismo cui si è accennato e che potrebbe
essere considerato alla stregua di un monismo autoritario più subìto che accettato da parte
degli Stati.
In altri termini, il pericolo che si paventa è quello di una sostanziale depoliticizzazione
dei poteri e delle funzioni tipiche degli Stati e la conseguente assunzione delle decisioni
“politiche” da parte di una tecnocrazia di stampo oligarchico che soffoca ogni capacità di
autodeterminazione degli Stati nazionali ai quali non rimane altra possibilità che tradurre in
termini giuridici (norme) validi nell’ordinamento interno, le scelte “politiche” adottate non già
a livello di un astratto ordinamento internazionale ma, appunto, a livello di tecnocratiche
oligarchie del tutto prive di legittimazione politica.
Come si vedrà in prosieguo, questo è quanto avviene già a livello di Unione europea
che, sebbene a livello di organizzazione regionale, rappresenta il paradigma di quanto appena
sostenuto e presenta, all’evidenza, i caratteri di un ente pretesamente federale del tutto privo
di legittimità politica e democratica.

3. Cessione di sovranità o delega di competenze
Ponendosi nell’ottica della mera speculazione dottrinaria, deve dirsi che è vero che gli
Stati più che cedere porzioni di sovranità, a tutto voler concedere, delegano competenze
all’ente internazionale (come è il caso dell’Unione europea) la cui produzione normativa, pur
prevalente su quella degli Stati membri, è tuttavia consentita e condizionata dalla volontà
degli Stati.
Quanto appena enunciato soltanto all’apparenza sembrerebbe smentire quanto sostenuto
prima circa la perdita di sovranità degli Stati e circa il pericolo di depoliticizzazione delle
funzioni tipiche degli Stati atteso che, la delega di competenze ad un ente, a qualsivoglia tipo
di ente che sia altro da se rispetto agli Stati, è perciò stesso esercizio di sovranità e, dunque,
esercizio dell’espressione politica più tipica dello Stato e, da questo punto di vista, non si può
non concordare con chi sostiene che in questi casi più che di cessione di sovranità è più
corretto parlare di delega di competenze sovrane che, in qualsiasi momento, possono essere,

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per così dire, revocate e riesercitate dallo Stato che volontariamente le aveva delegate all’ente
terzo rispetto allo Stato.
Tuttavia, il pericolo, che ormai tale più non è essendo il fenomeno sotto gli occhi di
tutti, è che all’esito di un processo di globalizzazione pilotato “dall’alto”, il contorto (e forse
irreversibile) meccanismo di interdipendenza economica fra gli Stati conduce (ed ha già
condotto) all’esercizio delle tipiche funzioni degli Stati da parte di oligarchie economicofinanziarie giuridicamente inadeguate e politicamente non legittimate, ma in grado di
condizionare (in altri termini, di ricattare) gli Stati con la minaccia del fallimento o
dell’isolamento.
Sotto questo specifico profilo, fermo restando il convincimento della netta separazione
(e della necessità di tale separazione) fra l’ordinamento internazionale e l’ordinamento interno
degli Stati e fermo restando il convincimento della necessità di ogni strumento di adattamento
del diritto interno al diritto internazionale, va da sé che la questione fra il punto di vista
monista e quello dualista, pur nella sua attualità, ha perso gran parte della sua effettiva e
concreta incisività nel rapporto (in termini solo formalisticamente normativi) fra il diritto
internazionale e il diritto interno degli Stati.
Per volere limitare il discorso all’Unione europea e al carattere asseritamente
sovranazionale di questa, e al di là della fondatezza del ragionamento giuridico che pone
l’accento non tanto su una pur inesistente cessione di sovranità da parte degli Stati membri
quanto su una delega di competenze e sulla volontarietà della detta delega da parte degli Stati
i quali, con ogni evidenza, rimangono sempre liberi di recedere dal Trattato istitutivo e di
svincolarsi dagli obblighi da esso derivanti con quel che ne consegue in termini di revoca
delle competenze delegate all’Unione europea e riesercizio delle stesse, è un fatto che per
molti aspetti l’Unione europea è una federazione (quantomeno sotto il profilo economico)
che, benché priva di legittimità e di legittimazione politica e con procedimenti del tutto
lontani dagli schemi del pluralismo costituzionale, di fatto ha imposto ai suoi Stati membri un
“sistema costituzionale europeo” di tipo, appunto, asseritamente “federale”.
In questo modo, il diritto di derivazione europea, a prescindere dalle differenti posizioni
assunte in passato dalla Corte di giustizia dell’Unione europea e dalle Corti costituzionali di

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alcuni Stati membri (fra i quali anche l’Italia) relative alla necessità o meno del suo
recepimento negli ordinamenti interni degli Stati, e al di là di ogni considerazione sul
commendevole successivo allineamento delle dette Corti costituzionali alle posizioni della
Corte di giustizia, di fatto ha superato ogni questione di contrasto fra dualismo e monismo
(questione niente affatto peregrina essendo, giuridicamente parlando, il diritto europeo un
diritto internazionale a tutti gli effetti sub specie di norme internazionali di terzo grado) con
conseguente allontanamento delle fonti di produzione normativa dai tradizionali schemi delle
moderne democrazie, con quel che ne è conseguito in termini di snaturamento delle funzioni
di garanzia degli assetti politico-costituzionali degli Stati.
Sotto questo specifico profilo, dunque, si potrebbe parlare di una sorta di colonizzazione
degli Stati membri da parte dell’Unione europea atteso che gli Stati, apparentemente e
giuridicamente liberi di svincolarsi dagli obblighi contrattuali (gli obblighi derivanti dai
Trattati istitutivi), politicamente – e soprattutto economicamente - sono stati privati di ogni
capacità di autodeterminazione e di ogni possibile riesercizio delle loro competenze sovrane.
In altri termini, l’Unione europea, consapevolmente o meno, poco importa ai fini del
discorso, si è resa strumento di quel monismo autoritario di cui si è detto e che fa della
produzione normativa uno strumento ad uso e consumo di tecnocratiche oligarchie del tutto
svincolate da ogni legittimazione democratica, con buona pace di ogni considerazione su
monismo e dualismo.

4. La pretesa natura federale dell’Unione europea.
In tale contesto, l’indebolimento della sovranità degli Stati è la conseguenza più
immediata e diretta e i governi degli Stati membri, dunque, solo apparentemente esercitano la
loro funzione politica dato che, nella sostanza, l’Unione europea, tradendo il patto iniziale, si
è dotata di strumenti e competenze che vanno ben oltre quelle inizialmente delegate dagli
Stati membri, tradendo o impedendo il libero esercizio delle loro sovrane volontà.

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L’analisi obiettiva delle riforme da ultimo approvate dall’Unione europea,
strumentalmente dirette a salvaguardare l’unione monetaria, inequivocabilmente confermano
quanto appena sostenuto.
E’ del tutto evidente, infatti, che il meccanismo europeo di stabilità ha un forte potere
condizionante nei confronti degli Stati ed è altrettanto evidente che

l’approvazione

dell’accordo impositivo del pareggio di bilancio, con conseguente adeguamento delle Carte
fondamentali degli Stati membri a quanto in esso previsto, non è riconducibile alla libera
determinazione degli Stati la cui capacità decisionale, a tutto ammettere, è stata (ed è)
fortemente condizionata dalla spada di Damocle dello spread, del debito pubblico e
dell’eventuale (ma molto probabile), conseguente “fallimento”.
Senza tema di smentita, basti pensare a quanto accaduto in Grecia e alla reazione
suscitata dalla decisione del suo ex primo Ministro Papandreou di voler sottoporre a
referendum popolare il piano di austerità; reazione che ha determinato una intollerabile
intrusione nella sfera della sovranità greca con l’imposizione di un governo tecnico; per non
tacere, poi, del “colpo di Stato” perpetrato in Italia con l’instaurazione, anche lì, di un
governo tecnico all’esito di pressioni di varia e non chiara provenienza da dentro e da fuori
dello Stato.
Stando così le cose, davvero non si vede in che modo gli Stati membri possono
autonomamente decidere di, eventualmente, non adattare il proprio ordinamento interno alle
decisioni internazionali assunte (da altri) in altre sedi e, sotto questo specifico profilo, ogni
speculazione su dualismo e monismo nel

XXI

Secolo, nonostante la sua rinnovata attualità,

perde ogni ragion d’esistere sul piano concreto.
Inizialmente, l’Unione europea aveva competenze, per così dire, di gestione della
moneta unica e di mero coordinamento delle politiche economiche degli Stati i quali
restavano sovrani indiscussi della politica fiscale, delle politiche sociali e della politica
economica. Oggi le cose stanno cambiando e stanno andando oltre ogni più fosca previsione
su un pur minimo potere di autodeterminazione degli Stati che stanno letteralmente e
impotentemente assistendo alla lenta ma inesorabile nascita di una un’unione bancaria, una
assicurativa, una fiscale e una economica che prima di quel che si pensi andrà a gestire il

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mercato del lavoro, la politica economica e il sistema previdenziale dei cittadini degli Stati
membri.
E se quanto detto, in astratto, potrebbe apparire un elemento positivo ai fini della
creazione di un ente (l’Unione europea) autenticamente sovranazionale e anche
sostanzialmente federale, in concreto l’abnormità del meccanismo sta conducendo (e in gran
parte ha già condotto) ad un monismo tecnocratico ed autoritario del tutto svincolato dalla
politica e da quell’apparenza di sistema democratico rappresentato da una democrazia pur
solamente (ed inutilmente) rappresentativa.
L’esito di tale meccanismo, dunque, potrà essere soltanto una federazione di stampo
economico guidata non dagli interessi politici ed economici degli Stati membri (e dei loro
cittadini) ma dagli interessi di più o meno oscuri gruppi finanziari che si nutrono del vuoto
politico (da essi voluto) creato e alimentato dal primato del mercato, della moneta e della
finanza.
L’attuale periodo storico, dunque, è caratterizzato da un clima in cui l’etica politica e
l’etica giuridica hanno ceduto il passo a “governi ombra” all’interno dei quali un monismo
autoritario ed autoreferenziale ha sostituito un più democratico e garantista (dell’autonomia
degli Stati) dualismo, ed in cui il diritto, pur sempre marxianamente sovrastruttura, è ormai
ridotto – fuori da ogni rappresentazione delle istanze, delle esigenze e delle scelte sociali - in
balìa dei capricci dell’economia, del monetarismo e del suo intoccabile mercato unico
“governato” dal postulato indiscutibile della “libera concorrenza” che nega e mortifica i diritti
e le ragioni del lavoro.

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Valvo Anna Lucia, Dualismo “democratico” e monismo “autoritario” nel xxi secolo

  • 1. Rivista elettronica del Centro di Documentazione Europea dell’Università Kore di Enna DUALISMO “DEMOCRATICO” E MONISMO “AUTORITARIO” NEL XXI SECOLO* Anna Lucia Valvo Professore ordinario di Diritto dell’Unione europea nell’Università Kore di Enna ABSTRACT: The changes characterizing the relations between the member States of the International Community and those existing between national law and International law produce a reflection on the dichotomy between monism and dualism. It is indisputable fact that recently we assist to a clear prevalence of an International law that produces direct effects within the member States and their national legal system positively considered, beyond any question relative to the necessary or non “coincidence” between internal and international legal phenomenon, and beyond any ascertainment relative to a supposed (and often inexistent) legitimacy of this prevalence of one over the other, as well as of the diversity and different right to legitimacy of the relative legal sources. In this context, the European Union law has, de facto gone beyond any question of contrast between dualism and monism (question that is not at all unclear being, legally talking, the European Union at all effects, an International law sub specie of third grade international norms) with consequent removal of the legal sources from the traditional schemes of modern democracies, thus causing distortion of the guarantee functions of the political-constitutional structures of the States. Under this specific aspect, therefore, emerges a kind of colonization of member States by the European Union considering that the States, apparently and legally free to withdraw from contractual obligations (those descending from the constitutive Treaties), politically – and specially economically – are deprived of any capacity to self-determination or any possible re-exercise of their sovereign competencies. In other terms, with due respect for any consideration concerning monism or dualism, the European Union has become an instrument of that authoritative monism which considers legislative function an instrument at service of technocratic oligarchies, completely free of any democratic legitimacy. In this context, the weakening of the State’s sovereignty is the direct and immediate consequence and the governments of the member States, therefore, exercise their political jurisdiction only apparently, given that, in substance, the European Union, betraying the founding pact, is (self)invested of instruments and competencies which go beyond of those initially delegated by the member States, mining or impeding the free exercise of their sovereignties PAROLE CHIAVE: Comunità internazionale, Unione europea, Globalizzazione, Sovranità, Federale 1. I mutamenti dei rapporti fra gli Stati alla luce della globalizzazione Alla luce dei cambiamenti che oggi caratterizzano i rapporti fra gli Stati membri della Comunità internazionale e le relazioni che intercorrono fra il diritto interno e il diritto Studio pubblicatonel Volume collettaneo Basic Principles of International Public Law – Monism and Dualism, a cura di M. NOVAKOVIC, Belgrado, 2013. * www.koreuropa.eu
  • 2. Rivista elettronica del Centro di Documentazione Europea dell’Università Kore di Enna internazionale, la classica dicotomia fra monismo e dualismo può essere oggetto di differenti, ma non per questo necessariamente antitetiche, considerazioni di carattere giuridico e di carattere politico. Contrariamente a quel che si potrebbe pensare all’esito di un approccio superficiale alla questione, a fronte della perdita di sovranità da parte degli Stati a favore di più o meno occulte élite economico-finanziarie (fenomeno ancor più accelerato da un incontrollato ed incontrollabile processo di globalizzazione), la questione relativa al monismo e al dualismo presenta oggi profili di rinnovata attualità. Cercando di mantenersi entro i confini di una prospettiva obiettiva e sforzandosi di offrire un punto di vista che scientificamente deve essere imparziale e che poi è l’atteggiamento che dovrebbe caratterizzare il punto di vista dello studioso in generale, e del giurista in particolare, il discorso può essere affrontato senza parteggiare né per l’uno e né per l’altro dei due contrapposti (ma meno di quel che si pensi) punti di vista della teoria generale del diritto internazionale e dello Stato, e lo sforzo sarà diretto ad individuare il peso effettivo che hanno gli Stati utisinguli nella Comunità internazionale del post post guerra fredda, ora caratterizzata da un’economia globale che ha determinato un’impensabile accelerazione degli scambi e delle comunicazioni e una definitiva spinta al cambiamento dell’ordine (o del disordine) internazionale, con quel che ne consegue in termini di rapporti fra il diritto interno degli Stati e il diritto internazionale. Nondimeno, va pur detto che al di là delle più o meno comprensibili contrapposizioni fra i fautori dell’una o dell’altra teoria, è un fatto constatabile nella realtà fenomenica dello svolgersi delle relazioni internazionali che i due ordinamenti, quello interno e quello internazionale, vivono e hanno ragion d’esistere esclusivamente l’uno in funzione dell’altro, e viceversa. Tuttavia, è parimenti incontestabile che da qualche tempo a questa parte si assiste ad una netta prevalenza di un diritto internazionale (non sempre espressione condivisa di un consenso più o meno generalizzato da parte degli Stati, e dunque espressione normativa degli Stati intesi nella loro configurazione istituzionale di Comunità internazionale, appunto, degli Stati) che esplica effetti diretti all’interno degli Stati membri e sui loro ordinamenti giuridici www.koreuropa.eu
  • 3. Rivista elettronica del Centro di Documentazione Europea dell’Università Kore di Enna nazionali come positivamente esistenti, al di là di qualsivoglia questione relativa alla necessitata o meno “coincidenza” fra il fenomeno giuridico interno e il fenomeno giuridico internazionale, e al di là di ogni constatazione relativa ad una presunta (e talvolta inesistente) legittimità della detta prevalenza dell’uno rispetto all’altro, oltre che - a tutto ammettere – della diversità e dei differenti titoli di legittimità delle relative fonti normative. In effetti, se, da un canto, è vero che la più gran parte dei problemi che coinvolgono gli Stati membri della Comunità internazionale non sono più semplicemente risolvibili a livello interno; che il progresso scientifico e tecnologico, lo sviluppo degli scambi economici, commerciali, monetari e delle comunicazioni hanno, per così dire, “unificato” il mondo e che la frantumazione degli scenari politici ed economici e, in buona sostanza, tutti quei fenomeni che più o meno direttamente sono conseguenza della globalizzazione, determinano la necessità di individuare nuove forme di “gestione” giuridica (e politica) dei fenomeni sociali e nuove fonti di produzione normativa (non sempre e non necessariamente di derivazione interna degli Stati), d’altro canto è altresì vero che la pur residua sovranità statale rende necessario un preventivo controllo sulla legittimità della fonte di produzione della normativa internazionale oltre che sulla legittimità di quel diritto internazionale che gli Stati, ben lontani dal poter decidere se recepirlo o meno all’interno dei propri ordinamenti, dovranno (o dovrebbero) pur avere la possibilità di effettuare un controllo circa la “compatibilità” del primo con il secondo. Negare tale possibilità agli Stati ed impedire, dunque, al diritto interno di esplicare la sua funzione di strumento per recepire e garantire l’attuazione delle norme internazionali, determinerebbe il consolidamento di una deprecabile e inauspicabile oligarchia internazionale che renderebbe priva di significato ogni speculazione, fondata o meno, poco importa ai fini della presente disamina, sulla prevalenza del diritto internazionale sul diritto interno o sulla coincidenza (o meno) dell’ordinamento internazionale con l’ordinamento interno degli Stati. Quanto appena sostenuto non vuol significare, dunque, porsi in una prospettiva che ammette una diretta giuridicità obbligatoria delle norme internazionali con implicita possibilità per queste di disciplinare direttamente i rapporti giuridici interni ed esterni dello Stato o, ancor più, una assertiva legittimità delle fonti di produzione di queste ultime e, di www.koreuropa.eu
  • 4. Rivista elettronica del Centro di Documentazione Europea dell’Università Kore di Enna conseguenza, porsi in una prospettiva negazionista dell’autonomia giuridica e politica degli Stati; significa diversamente prendere contezza della realtà e del fatto che, se pur l’ordinamento internazionale non ha la possibilità di determinare direttamente ed autonomamente modifiche normative direttamente operanti all’interno degli Stati membri (con il che, implicitamente, dichiarando di non aderire alla teoria monista), nei fatti si deve riconoscere come sia dato constatare una certa tendenza degli Stati a consentire o a subire una sempre maggior apertura degli ordinamenti interni nei confronti di norme e principi dell’ordinamento internazionale. 2. Originarietà ed autonomia dell’ordinamento internazionale e degli ordinamenti interni degli Stati. Affermare, come si ritiene giusto, che gli ordinamenti interni degli Stati e l’ordinamento internazionale sono ciascuno per proprio conto originari ed autonomi e che gli ordinamenti interni sono, per principio, chiusi rispetto alle norme estranee al sistema dei valori e alle scelte giuridiche sottese all’ordinamento interno, e che dunque gli Stati in ragione della loro sovranità ed in funzione dell’esercizio di questa, sono e rimangono i protagonisti indiscussi della produzione normativa interna (anche di quella di derivazione internazionale per il tramite del procedimento di adattamento del diritto interno a quello internazionale), significa voler restare arroccati su posizioni di mera speculazione dottrinaria del tutto svincolata e disancorata dalla realtà. Lungi dall’affermare o, peggio, dal condividere l’idea di un inesistente universalismo giuridico di kelseniana memoria e dal voler ricondurre l’ordinamento interno e quello internazionale in uno schema unitario, idea la cui astrusità e astrattezza è smentita, fra l’altro, dalla pluralità di Carte costituzionali dei vari Stati membri della Comunità internazionale che in modo più o meno diretto prevedono meccanismi di recepimento delle norme di derivazione internazionale (quanto meno di tipo pattizio) allo scopo di frapporre una barriera fra quest’ultimo e il diritto interno e allo scopo di operare una “trasformazione” del diritto internazionale in diritto interno (meccanismi che, a voler ammettere una coincidenza fra gli ordinamenti interni agli Stati e l’ordinamento internazionale, non avrebbero ragion d’esistere), www.koreuropa.eu
  • 5. Rivista elettronica del Centro di Documentazione Europea dell’Università Kore di Enna si vuole evidenziare la pericolosità di quel meccanismo cui si è accennato e che potrebbe essere considerato alla stregua di un monismo autoritario più subìto che accettato da parte degli Stati. In altri termini, il pericolo che si paventa è quello di una sostanziale depoliticizzazione dei poteri e delle funzioni tipiche degli Stati e la conseguente assunzione delle decisioni “politiche” da parte di una tecnocrazia di stampo oligarchico che soffoca ogni capacità di autodeterminazione degli Stati nazionali ai quali non rimane altra possibilità che tradurre in termini giuridici (norme) validi nell’ordinamento interno, le scelte “politiche” adottate non già a livello di un astratto ordinamento internazionale ma, appunto, a livello di tecnocratiche oligarchie del tutto prive di legittimazione politica. Come si vedrà in prosieguo, questo è quanto avviene già a livello di Unione europea che, sebbene a livello di organizzazione regionale, rappresenta il paradigma di quanto appena sostenuto e presenta, all’evidenza, i caratteri di un ente pretesamente federale del tutto privo di legittimità politica e democratica. 3. Cessione di sovranità o delega di competenze Ponendosi nell’ottica della mera speculazione dottrinaria, deve dirsi che è vero che gli Stati più che cedere porzioni di sovranità, a tutto voler concedere, delegano competenze all’ente internazionale (come è il caso dell’Unione europea) la cui produzione normativa, pur prevalente su quella degli Stati membri, è tuttavia consentita e condizionata dalla volontà degli Stati. Quanto appena enunciato soltanto all’apparenza sembrerebbe smentire quanto sostenuto prima circa la perdita di sovranità degli Stati e circa il pericolo di depoliticizzazione delle funzioni tipiche degli Stati atteso che, la delega di competenze ad un ente, a qualsivoglia tipo di ente che sia altro da se rispetto agli Stati, è perciò stesso esercizio di sovranità e, dunque, esercizio dell’espressione politica più tipica dello Stato e, da questo punto di vista, non si può non concordare con chi sostiene che in questi casi più che di cessione di sovranità è più corretto parlare di delega di competenze sovrane che, in qualsiasi momento, possono essere, www.koreuropa.eu
  • 6. Rivista elettronica del Centro di Documentazione Europea dell’Università Kore di Enna per così dire, revocate e riesercitate dallo Stato che volontariamente le aveva delegate all’ente terzo rispetto allo Stato. Tuttavia, il pericolo, che ormai tale più non è essendo il fenomeno sotto gli occhi di tutti, è che all’esito di un processo di globalizzazione pilotato “dall’alto”, il contorto (e forse irreversibile) meccanismo di interdipendenza economica fra gli Stati conduce (ed ha già condotto) all’esercizio delle tipiche funzioni degli Stati da parte di oligarchie economicofinanziarie giuridicamente inadeguate e politicamente non legittimate, ma in grado di condizionare (in altri termini, di ricattare) gli Stati con la minaccia del fallimento o dell’isolamento. Sotto questo specifico profilo, fermo restando il convincimento della netta separazione (e della necessità di tale separazione) fra l’ordinamento internazionale e l’ordinamento interno degli Stati e fermo restando il convincimento della necessità di ogni strumento di adattamento del diritto interno al diritto internazionale, va da sé che la questione fra il punto di vista monista e quello dualista, pur nella sua attualità, ha perso gran parte della sua effettiva e concreta incisività nel rapporto (in termini solo formalisticamente normativi) fra il diritto internazionale e il diritto interno degli Stati. Per volere limitare il discorso all’Unione europea e al carattere asseritamente sovranazionale di questa, e al di là della fondatezza del ragionamento giuridico che pone l’accento non tanto su una pur inesistente cessione di sovranità da parte degli Stati membri quanto su una delega di competenze e sulla volontarietà della detta delega da parte degli Stati i quali, con ogni evidenza, rimangono sempre liberi di recedere dal Trattato istitutivo e di svincolarsi dagli obblighi da esso derivanti con quel che ne consegue in termini di revoca delle competenze delegate all’Unione europea e riesercizio delle stesse, è un fatto che per molti aspetti l’Unione europea è una federazione (quantomeno sotto il profilo economico) che, benché priva di legittimità e di legittimazione politica e con procedimenti del tutto lontani dagli schemi del pluralismo costituzionale, di fatto ha imposto ai suoi Stati membri un “sistema costituzionale europeo” di tipo, appunto, asseritamente “federale”. In questo modo, il diritto di derivazione europea, a prescindere dalle differenti posizioni assunte in passato dalla Corte di giustizia dell’Unione europea e dalle Corti costituzionali di www.koreuropa.eu
  • 7. Rivista elettronica del Centro di Documentazione Europea dell’Università Kore di Enna alcuni Stati membri (fra i quali anche l’Italia) relative alla necessità o meno del suo recepimento negli ordinamenti interni degli Stati, e al di là di ogni considerazione sul commendevole successivo allineamento delle dette Corti costituzionali alle posizioni della Corte di giustizia, di fatto ha superato ogni questione di contrasto fra dualismo e monismo (questione niente affatto peregrina essendo, giuridicamente parlando, il diritto europeo un diritto internazionale a tutti gli effetti sub specie di norme internazionali di terzo grado) con conseguente allontanamento delle fonti di produzione normativa dai tradizionali schemi delle moderne democrazie, con quel che ne è conseguito in termini di snaturamento delle funzioni di garanzia degli assetti politico-costituzionali degli Stati. Sotto questo specifico profilo, dunque, si potrebbe parlare di una sorta di colonizzazione degli Stati membri da parte dell’Unione europea atteso che gli Stati, apparentemente e giuridicamente liberi di svincolarsi dagli obblighi contrattuali (gli obblighi derivanti dai Trattati istitutivi), politicamente – e soprattutto economicamente - sono stati privati di ogni capacità di autodeterminazione e di ogni possibile riesercizio delle loro competenze sovrane. In altri termini, l’Unione europea, consapevolmente o meno, poco importa ai fini del discorso, si è resa strumento di quel monismo autoritario di cui si è detto e che fa della produzione normativa uno strumento ad uso e consumo di tecnocratiche oligarchie del tutto svincolate da ogni legittimazione democratica, con buona pace di ogni considerazione su monismo e dualismo. 4. La pretesa natura federale dell’Unione europea. In tale contesto, l’indebolimento della sovranità degli Stati è la conseguenza più immediata e diretta e i governi degli Stati membri, dunque, solo apparentemente esercitano la loro funzione politica dato che, nella sostanza, l’Unione europea, tradendo il patto iniziale, si è dotata di strumenti e competenze che vanno ben oltre quelle inizialmente delegate dagli Stati membri, tradendo o impedendo il libero esercizio delle loro sovrane volontà. www.koreuropa.eu
  • 8. Rivista elettronica del Centro di Documentazione Europea dell’Università Kore di Enna L’analisi obiettiva delle riforme da ultimo approvate dall’Unione europea, strumentalmente dirette a salvaguardare l’unione monetaria, inequivocabilmente confermano quanto appena sostenuto. E’ del tutto evidente, infatti, che il meccanismo europeo di stabilità ha un forte potere condizionante nei confronti degli Stati ed è altrettanto evidente che l’approvazione dell’accordo impositivo del pareggio di bilancio, con conseguente adeguamento delle Carte fondamentali degli Stati membri a quanto in esso previsto, non è riconducibile alla libera determinazione degli Stati la cui capacità decisionale, a tutto ammettere, è stata (ed è) fortemente condizionata dalla spada di Damocle dello spread, del debito pubblico e dell’eventuale (ma molto probabile), conseguente “fallimento”. Senza tema di smentita, basti pensare a quanto accaduto in Grecia e alla reazione suscitata dalla decisione del suo ex primo Ministro Papandreou di voler sottoporre a referendum popolare il piano di austerità; reazione che ha determinato una intollerabile intrusione nella sfera della sovranità greca con l’imposizione di un governo tecnico; per non tacere, poi, del “colpo di Stato” perpetrato in Italia con l’instaurazione, anche lì, di un governo tecnico all’esito di pressioni di varia e non chiara provenienza da dentro e da fuori dello Stato. Stando così le cose, davvero non si vede in che modo gli Stati membri possono autonomamente decidere di, eventualmente, non adattare il proprio ordinamento interno alle decisioni internazionali assunte (da altri) in altre sedi e, sotto questo specifico profilo, ogni speculazione su dualismo e monismo nel XXI Secolo, nonostante la sua rinnovata attualità, perde ogni ragion d’esistere sul piano concreto. Inizialmente, l’Unione europea aveva competenze, per così dire, di gestione della moneta unica e di mero coordinamento delle politiche economiche degli Stati i quali restavano sovrani indiscussi della politica fiscale, delle politiche sociali e della politica economica. Oggi le cose stanno cambiando e stanno andando oltre ogni più fosca previsione su un pur minimo potere di autodeterminazione degli Stati che stanno letteralmente e impotentemente assistendo alla lenta ma inesorabile nascita di una un’unione bancaria, una assicurativa, una fiscale e una economica che prima di quel che si pensi andrà a gestire il www.koreuropa.eu
  • 9. Rivista elettronica del Centro di Documentazione Europea dell’Università Kore di Enna mercato del lavoro, la politica economica e il sistema previdenziale dei cittadini degli Stati membri. E se quanto detto, in astratto, potrebbe apparire un elemento positivo ai fini della creazione di un ente (l’Unione europea) autenticamente sovranazionale e anche sostanzialmente federale, in concreto l’abnormità del meccanismo sta conducendo (e in gran parte ha già condotto) ad un monismo tecnocratico ed autoritario del tutto svincolato dalla politica e da quell’apparenza di sistema democratico rappresentato da una democrazia pur solamente (ed inutilmente) rappresentativa. L’esito di tale meccanismo, dunque, potrà essere soltanto una federazione di stampo economico guidata non dagli interessi politici ed economici degli Stati membri (e dei loro cittadini) ma dagli interessi di più o meno oscuri gruppi finanziari che si nutrono del vuoto politico (da essi voluto) creato e alimentato dal primato del mercato, della moneta e della finanza. L’attuale periodo storico, dunque, è caratterizzato da un clima in cui l’etica politica e l’etica giuridica hanno ceduto il passo a “governi ombra” all’interno dei quali un monismo autoritario ed autoreferenziale ha sostituito un più democratico e garantista (dell’autonomia degli Stati) dualismo, ed in cui il diritto, pur sempre marxianamente sovrastruttura, è ormai ridotto – fuori da ogni rappresentazione delle istanze, delle esigenze e delle scelte sociali - in balìa dei capricci dell’economia, del monetarismo e del suo intoccabile mercato unico “governato” dal postulato indiscutibile della “libera concorrenza” che nega e mortifica i diritti e le ragioni del lavoro. www.koreuropa.eu