The changes characterizing the relations between the member States of the International Community and those existing between national law and International law produce a reflection on the dichotomy between monism and dualism.
It is indisputable fact that recently we assist to a clear prevalence of an International law that produces direct effects within the member States and their national legal system positively considered, beyond any question relative to the necessary or non “coincidence” between internal and international legal phenomenon, and beyond any ascertainment relative to a supposed (and often inexistent) legitimacy of this prevalence of one over the other, as well as of the diversity and different right to legitimacy of the relative legal sources.
In this context, the European Union law has, de facto gone beyond any question of contrast between dualism and monism (question that is not at all unclear being, legally talking, the European Union at all effects, an International law sub specie of third grade international norms) with consequent removal of the legal sources from the traditional schemes of modern democracies, thus causing distortion of the guarantee functions of the political-constitutional structures of the States.
Under this specific aspect, therefore, emerges a kind of colonization of member States by the European Union considering that the States, apparently and legally free to withdraw from contractual obligations (those descending from the constitutive Treaties), politically – and specially economically – are deprived of any capacity to self-determination or any possible re-exercise of their sovereign competencies.
In other terms, with due respect for any consideration concerning monism or dualism, the European Union has become an instrument of that authoritative monism which considers legislative function an instrument at service of technocratic oligarchies, completely free of any democratic legitimacy.
In this context, the weakening of the State’s sovereignty is the direct and immediate consequence and the governments of the member States, therefore, exercise their political jurisdiction only apparently, given that, in substance, the European Union, betraying the founding pact, is (self)invested of instruments and competencies which go beyond of those initially delegated by the member States, mining or impeding the free exercise of their sovereignties
Donne e costituzione: le radici ed il camminoINSMLI
Di Barbara Pezzini. Pubblicato in “Studi e ricerche di storia contemporanea”, rivista pubblicata dall'Istituto bergamasco per la storia della Resistenza e dell'età contemporanea. Saggio prodotto in occasione del convegno “La Costituzione della Repubblica italiana. Le radici, il cammino”, svoltosi a Bergamo il 28 e 29 ottobre 2005.
Di Leopoldo Elisa. Intervento presentato alla giornata di studio su “Giuseppe Dossetti all’Assemblea Costituente e nella politica italiana”, Sala della Lupa – Palazzo Montecitorio 5 dicembre 2006.
Pubblicato su “Storia e memoria”, 2007- Vol.16 - Fasc.1, rivista dell'Istituto ligure per la storia della Resistenza e dell'età contemporanea
La Costituzione del '48 nel dibattito politico della Repubblica italianaINSMLI
Di Pietro Scoppola. Pubblicato in “Storia e memoria”, rivista pubblicata dall'Istituto ligure per la storia della Resistenza e dell'età contemporanea e prodotto per il convegno:"Radici e vitalità della Costituzione", svoltosi a Genova il 23 aprile 2005.
Di Francesco Belvisi. Documento utlilizzato come materiale preparatorio del seminario di formazione di Reggio Emilia, 6-8 marzo 2006, intitolato Dalla storia alla cittadinanza. Saperi e pratiche per un ethos civile, che si è svolto presso la sede dell'Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea in provincia di Reggio Emilia.
Il seminario è stato promosso e progettato dal Landis.
Metodo e contenuti nel dibattito sulla riforma costituzionaleINSMLI
Di Valerio Onida. Pubblicato in “Studi e ricerche di storia contemporanea”, rivista pubblicata dall'Istituto bergamasco per la storia della Resistenza e dell'età contemporanea. Saggio prodotto in occasione del convegno “La Costituzione della Repubblica italiana. Le radici, il cammino”, svoltosi a Bergamo il 28 e 29 ottobre 2005.
Culture politiche e partiti d'identità sociale alla ricerca di una intesa cos...INSMLI
Di Paolo Pombeni. Pubblicato in “Studi e ricerche di storia contemporanea”, rivista pubblicata dall'Istituto bergamasco per la storia della Resistenza e dell'età contemporanea. Saggio prodotto in occasione del convegno “La Costituzione della Repubblica italiana. Le radici, il cammino”, svoltosi a Bergamo il 28 e 29 ottobre 2005.
Donne e costituzione: le radici ed il camminoINSMLI
Di Barbara Pezzini. Pubblicato in “Studi e ricerche di storia contemporanea”, rivista pubblicata dall'Istituto bergamasco per la storia della Resistenza e dell'età contemporanea. Saggio prodotto in occasione del convegno “La Costituzione della Repubblica italiana. Le radici, il cammino”, svoltosi a Bergamo il 28 e 29 ottobre 2005.
Di Leopoldo Elisa. Intervento presentato alla giornata di studio su “Giuseppe Dossetti all’Assemblea Costituente e nella politica italiana”, Sala della Lupa – Palazzo Montecitorio 5 dicembre 2006.
Pubblicato su “Storia e memoria”, 2007- Vol.16 - Fasc.1, rivista dell'Istituto ligure per la storia della Resistenza e dell'età contemporanea
La Costituzione del '48 nel dibattito politico della Repubblica italianaINSMLI
Di Pietro Scoppola. Pubblicato in “Storia e memoria”, rivista pubblicata dall'Istituto ligure per la storia della Resistenza e dell'età contemporanea e prodotto per il convegno:"Radici e vitalità della Costituzione", svoltosi a Genova il 23 aprile 2005.
Di Francesco Belvisi. Documento utlilizzato come materiale preparatorio del seminario di formazione di Reggio Emilia, 6-8 marzo 2006, intitolato Dalla storia alla cittadinanza. Saperi e pratiche per un ethos civile, che si è svolto presso la sede dell'Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea in provincia di Reggio Emilia.
Il seminario è stato promosso e progettato dal Landis.
Metodo e contenuti nel dibattito sulla riforma costituzionaleINSMLI
Di Valerio Onida. Pubblicato in “Studi e ricerche di storia contemporanea”, rivista pubblicata dall'Istituto bergamasco per la storia della Resistenza e dell'età contemporanea. Saggio prodotto in occasione del convegno “La Costituzione della Repubblica italiana. Le radici, il cammino”, svoltosi a Bergamo il 28 e 29 ottobre 2005.
Culture politiche e partiti d'identità sociale alla ricerca di una intesa cos...INSMLI
Di Paolo Pombeni. Pubblicato in “Studi e ricerche di storia contemporanea”, rivista pubblicata dall'Istituto bergamasco per la storia della Resistenza e dell'età contemporanea. Saggio prodotto in occasione del convegno “La Costituzione della Repubblica italiana. Le radici, il cammino”, svoltosi a Bergamo il 28 e 29 ottobre 2005.
La Costituzione stella polare della democraziaINSMLI
Raimondo Ricci, Giancarlo Rolla, Valerio Onida, Andrea Manzella: nell'ambito delle clebrazioni per il sessantesimo anniversario dell'entrata in vigore della
Costituzione italiana, il 17 gennaio 2008 l'Istituto ligure per la storia della Resistenza e dell'età contemporanea ha organizzato una tavola rotonda dal titolo “La Costituzione, stella polare della
democrazia”.
: Il contributo analizza il concetto di cittadinanza alla luce della sua progressiva emancipazione dallo Stato nazionale: la categoria giuridica della cittadinanza si compone attualmente di una dimensione formale, ancorata allo Stato, e di una dimensione sostanziale, appaltata a nuovi centri decisionali a livello sovranazionale e infranazionale.
Esso esamina la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea e della Corte costituzionale. La prima, nonostante alcune aperture nei confronti dei cittadini economicamente inattivi, continua ad alimentare il convincimento che la cittadinanza europea corrisponda ad uno status privilegiato piuttosto che ad una vera e propria forma di cittadinanza. La seconda, invece, riconosce alle Regioni, nell’ambito delle proprie competenze concorrenti e residuali e nei rispettivi limiti della Costituzione, ampia autonomia per la previsione di interventi socio–assistenziali anche a favore degli stranieri al di là del nucleo irriducibile dei diritti fondamentali, facendo salva la previsione di talune differenziazioni tra cittadini nazionali e stranieri basate sul criterio della ragionevolezza. Pertanto, la cittadinanza, a qualunque livello normativo, rimane «selettiva», accogliendo ancora, contraddittoriamente, coloro che sono forniti di sostanze economiche piuttosto che i soggetti più deboli e bisognosi
Il turismo ha sempre avuto e continuerà ad avere nel futuro un grandissimo potenziale dal punto di vista culturale, politico ed economico. In Italia, malgrado la numerosa letteratura specialistica e la ricchezza delle proprie risorse naturali e culturali, il turismo resta rilegato a un ruolo di secondo ordine tra le priorità dei policy maker e non riesce ad esercitare quella funzione di sviluppo che gli spetterebbe sia rispetto alla questione dei grandi poli turistici e culturali di attrazione sia e soprattutto rispetto al patrimonio diffuso nei territori c.d. minori. L’articolo intende suggerire i principali tratti di un percorso di sviluppo sostenibile attraverso l’analisi dei territori c.d. minori e/o lenti. Allontanandoci da una visione esclusivamente economicistica si possono, infatti, individuare nuove traiettorie di sviluppo sostenibile in cui le identità territoriali, la storia locale, il capitale sociale, il patrimonio culturale e umano, diventano fattori strategici ed innovativi di qualsiasi politica di sviluppo sostenibile. Tali fattori possono essere quindi le pre-condizioni in grado di generare innovazione e sviluppo in un territorio. In definitiva l’articolo propone l’ipotesi di un sentiero di sviluppo sostenibile da parte dei c.d. territori minori o lenti attraverso l’adesione ad un modello di sviluppo fondato sullo stretto legame tra heritage e turismo, tra valore della cultura e del territorio e rigenerazione socio-economica, tra tradizione ed innovazione in un approccio distrettuale in cui il territorio, con la sua storia, tradizioni, identità costituisce un valore competitivo difficilmente riproducibile
L’articolo intende ricostruire in chiave critica l’attuale regolamentazione relativa allo sport in ambito europeo e derivante dal Trattato di Lisbona, sottolineandone incongruenze, lacune e contraddizioni, sostanzialmente derivanti dall’ormai consueto tacito dialogo intercorrente tra il legislatore di Bruxelles e la Corte di Giustizia dell’Unione Europea: in particolare, si rimarca come il diritto europeo, in forza della sentenza Meca – Medina della stessa CGUE, riduca, rectius, sia costretta a ridurre anche l’attività sportiva al rango di attività economica ai fini della comprensione della stessa all’interno dell’orbita normativa dell’ordinamento UE. Ciò si spiega facendo rimando all’architettura fondamentalmente mercantilistica e d economicistica caratterizzante già dalle proprie origini il comparto normativo – istituzionale medesimo, a nulla sostanzialmente valendo i reiterati quanto sterili tentativi, di matrice dunque essenzialmente politica, compiuti al livello extraterritoriale in esame di caratterizzare l’azione dell’UE anche in direzioni aliene rispetto a rationes e finalità di mercato
Il federalismo è una forma di Stato attraverso il quale il potere è esercitato in modo decentralizzato. La prima esperienza di federalismo si è sviluppata negli Stati Uniti d'America sul finire del diciottesimo secolo, dopo il fallimento dell'introduzione del tradizionale modello confederativo, che presto ha dimostrato i suoi limiti e le sue carenze. Perché uno Stato sia considerato federale, deve presentare almeno qualcuna delle seguenti caratteristiche: costituzione scritta e rigida; due ordinamenti giuridici: centrale e parziali, con questi ultimi dotati di autonomia; l'indissolubilità del vincolo federativo; le volontà parziali rappresentate nell'elaborazione della volontà generale attraverso il Senato federale; l'esistenza di un Tribunale Costituzionale e la possibilità di intervento federale
La Costituzione stella polare della democraziaINSMLI
Raimondo Ricci, Giancarlo Rolla, Valerio Onida, Andrea Manzella: nell'ambito delle clebrazioni per il sessantesimo anniversario dell'entrata in vigore della
Costituzione italiana, il 17 gennaio 2008 l'Istituto ligure per la storia della Resistenza e dell'età contemporanea ha organizzato una tavola rotonda dal titolo “La Costituzione, stella polare della
democrazia”.
: Il contributo analizza il concetto di cittadinanza alla luce della sua progressiva emancipazione dallo Stato nazionale: la categoria giuridica della cittadinanza si compone attualmente di una dimensione formale, ancorata allo Stato, e di una dimensione sostanziale, appaltata a nuovi centri decisionali a livello sovranazionale e infranazionale.
Esso esamina la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea e della Corte costituzionale. La prima, nonostante alcune aperture nei confronti dei cittadini economicamente inattivi, continua ad alimentare il convincimento che la cittadinanza europea corrisponda ad uno status privilegiato piuttosto che ad una vera e propria forma di cittadinanza. La seconda, invece, riconosce alle Regioni, nell’ambito delle proprie competenze concorrenti e residuali e nei rispettivi limiti della Costituzione, ampia autonomia per la previsione di interventi socio–assistenziali anche a favore degli stranieri al di là del nucleo irriducibile dei diritti fondamentali, facendo salva la previsione di talune differenziazioni tra cittadini nazionali e stranieri basate sul criterio della ragionevolezza. Pertanto, la cittadinanza, a qualunque livello normativo, rimane «selettiva», accogliendo ancora, contraddittoriamente, coloro che sono forniti di sostanze economiche piuttosto che i soggetti più deboli e bisognosi
Il turismo ha sempre avuto e continuerà ad avere nel futuro un grandissimo potenziale dal punto di vista culturale, politico ed economico. In Italia, malgrado la numerosa letteratura specialistica e la ricchezza delle proprie risorse naturali e culturali, il turismo resta rilegato a un ruolo di secondo ordine tra le priorità dei policy maker e non riesce ad esercitare quella funzione di sviluppo che gli spetterebbe sia rispetto alla questione dei grandi poli turistici e culturali di attrazione sia e soprattutto rispetto al patrimonio diffuso nei territori c.d. minori. L’articolo intende suggerire i principali tratti di un percorso di sviluppo sostenibile attraverso l’analisi dei territori c.d. minori e/o lenti. Allontanandoci da una visione esclusivamente economicistica si possono, infatti, individuare nuove traiettorie di sviluppo sostenibile in cui le identità territoriali, la storia locale, il capitale sociale, il patrimonio culturale e umano, diventano fattori strategici ed innovativi di qualsiasi politica di sviluppo sostenibile. Tali fattori possono essere quindi le pre-condizioni in grado di generare innovazione e sviluppo in un territorio. In definitiva l’articolo propone l’ipotesi di un sentiero di sviluppo sostenibile da parte dei c.d. territori minori o lenti attraverso l’adesione ad un modello di sviluppo fondato sullo stretto legame tra heritage e turismo, tra valore della cultura e del territorio e rigenerazione socio-economica, tra tradizione ed innovazione in un approccio distrettuale in cui il territorio, con la sua storia, tradizioni, identità costituisce un valore competitivo difficilmente riproducibile
L’articolo intende ricostruire in chiave critica l’attuale regolamentazione relativa allo sport in ambito europeo e derivante dal Trattato di Lisbona, sottolineandone incongruenze, lacune e contraddizioni, sostanzialmente derivanti dall’ormai consueto tacito dialogo intercorrente tra il legislatore di Bruxelles e la Corte di Giustizia dell’Unione Europea: in particolare, si rimarca come il diritto europeo, in forza della sentenza Meca – Medina della stessa CGUE, riduca, rectius, sia costretta a ridurre anche l’attività sportiva al rango di attività economica ai fini della comprensione della stessa all’interno dell’orbita normativa dell’ordinamento UE. Ciò si spiega facendo rimando all’architettura fondamentalmente mercantilistica e d economicistica caratterizzante già dalle proprie origini il comparto normativo – istituzionale medesimo, a nulla sostanzialmente valendo i reiterati quanto sterili tentativi, di matrice dunque essenzialmente politica, compiuti al livello extraterritoriale in esame di caratterizzare l’azione dell’UE anche in direzioni aliene rispetto a rationes e finalità di mercato
Il federalismo è una forma di Stato attraverso il quale il potere è esercitato in modo decentralizzato. La prima esperienza di federalismo si è sviluppata negli Stati Uniti d'America sul finire del diciottesimo secolo, dopo il fallimento dell'introduzione del tradizionale modello confederativo, che presto ha dimostrato i suoi limiti e le sue carenze. Perché uno Stato sia considerato federale, deve presentare almeno qualcuna delle seguenti caratteristiche: costituzione scritta e rigida; due ordinamenti giuridici: centrale e parziali, con questi ultimi dotati di autonomia; l'indissolubilità del vincolo federativo; le volontà parziali rappresentate nell'elaborazione della volontà generale attraverso il Senato federale; l'esistenza di un Tribunale Costituzionale e la possibilità di intervento federale
Muovendo dalla costatazione di una scollatura fra l’ideologia delle fonti statalista e la percezione diffusa della forza innovatrice del diritto giudiziale, il saggio analizza il concetto di precedente e le sue implicazioni non solo teoriche e pratico generali e per i principi costituzionali
FAST Plan pt 9: Results (Costs and Ridership)FASTPlan
The FAST Plan was developed by a collaboration of community groups an an alternative to the official regional transit plan in order to apply cutting-edge principles to developing a more effective, world-class transit system for the San Diego metropolitan region.
Part IX shares the results of our detailed analysis of the costs of building and operating the FAST Plan and of potential ridership. Overall, the data suggest that the FAST Plan could close to double ridership per dollar invested, savings the region billions of dollars between now and 2050 and better accomplishing many regional goals.
Le materie contenute sotto il titolo di “Spazio di Libertà, Sicurezza e Giustizia” del Trattato di Lisbona non hanno paragone con le altre politiche europee, sono probabilmente tra le più dinamiche, sensibili e caldamente contestate. Le politiche dell’immigrazione, dell’asilo e dei visti rientrano tuttora tra le competenze concorrenti dell’Unione, formano ancora parte essenziale del tradizionale concetto di sovranità nazionale e sono cariche di paure nazionali, ideologie rivali e sensibilità politiche contrastanti. Nel caso specifico la politica dei visti rappresenta un esempio illuminante di come gli Stati membri e l’Unione abbiano tuttora notevoli difficoltà nel portare avanti una politica comune in questo delicato settore del processo d’integrazione.
L’analisi proposta definisce il concetto di mobilità ed i limiti legali che ne caratterizzano l’operatività nello spazio comune europeo rispetto ai paesi terzi, ricostruendo i principali aspetti teorici e pratici dell’annosa questione della gestione rafforzata delle frontiere esterne dell’UE e del Sistema d’Informazione Schengen. L’enfasi posta sulla sicurezza e la fiducia nella razionalità e nell’affidabilità delle banche dati elettroniche si scontra però, nelle considerazioni svolte, da un lato, con la non completa affidabilità del sistema, dall’altro, con l’estrema complessità del sistema europeo dei visti, che, nonostante gli sviluppi degli ultimi anni, risulta ancora piuttosto confuso e farraginoso. Il visto è sicuramente uno strumento tecnico ma con significative implicazioni politiche e giuridiche. L’introduzione nel 2009 e l’applicazione dal 2010 del Codice europeo dei visti hanno cercato di risolvere queste antinomie riuscendoci solo in parte, laddove l’unitarietà del quadro normativo definito dal legislatore europeo continua ad essere limitata da elementi interni ed esterni all’Unione.
I tassi di rifiuto di rilascio dei visti dimostrano che, nonostante le regole comuni e i criteri comuni per il rilascio dei visti, definiti dal legislatore europeo, l’applicazione di essi da parte degli Stati membri risulta alquanto differenziata nei diversi contesti regionali e nazionali dei paesi terzi interessati. La natura politica della questione non può essere trascurata. La conclusione cui si addiviene è duplice: da un lato, le prospettive per il futuro possono privilegiare un ritorno alla gestione della politica dei visti su scala nazionale, anche se tale prospettive pare improbabile; dall’altro, si può immaginare che i rapporti di forza tra gli attori che partecipano alla cooperazione rafforzata di Schengen in materia di visti continueranno ad evolversi ed infine si stabilizzeranno in favore della Commissione
La costituzione italiana rappresenta un incredibile esempio di legalità essendo immmutata dagli anni 60 quando venne introdotta successivamente alla nascita del regno d'italia. Quali sono gli articoli che la compongono? Scopriamolo
Il ruolo del sociologo nella progettazione e realizzazione di un processo par...Valentina Gasperini
Questa trattazione, indicata anche per una divulgazione non accademica, vuole essere una riflessione argomentata sull'importanza di includere un sociologo professionista nella progettazione e realizzazione di un processo partecipativo. Inizialmente si inquadra il processo partecipativo all'interno di un’analisi sulle forme di democrazia, per capire a quali bisogni risponde e quali opportunità riserva, e per chiarire la complessità sociale e politica entro la quale si realizza. Successivamente, la trattazione si concentra sul ruolo del sociologo. Attraverso un’analisi critica si vuole suggerire che i metodi e gli strumenti della ricerca sociale, così come una preparazione accademica in ambito sociologico, sono insostituibili per centrare gli obiettivi di eguaglianza, inclusività e trasparenza di un processo partecipativo. Non solo, sono fondamentali per promuovere un’alta qualità discorsiva tra gli attori sociali coinvolti, e per manipolare consapevolmente il loro grado di empowerment. Nello specifico si passano in rassegna i diversi ruoli del sociologo all'interno del processo partecipativo, ricorrendo alla suddivisione in tipologie operata da Héloïse Nez, e si amplia l'analisi dell'operatività del sociologo mettendo a fuoco l'approccio metodologico della ricerca-azione.
Una pedagogia costituzionale
L’imminente scadenza referendaria rappresenta per le Acli una preziosa occasione per
riscoprire l’azione politica dell’associazione e l’originaria funzione formativa di
movimento di pedagogia sociale e popolare che sin dalle origini ne ha caratterizzato
l’identità. Infatti, in vista del referendum di dicembre, per promuovere una
partecipazione consapevole alla vita politica del Paese, le Acli hanno scelto di
intraprendere un percorso che ha coinvolto tutta la rete associativa e che ha consentito
la maturazione di un pensiero diffusamente condiviso.
Le idee cardine della Costituzione italiana di Norberto Bobbio
Il testo qui proposto è stato scritto dall'autore come introduzione allo studio della Costituzione Italiana per un testo scolastico, in adozione negli anni 1980.
Bobbio mostra come la nostra Costituzione sia la risultante, nei suoi principi ispiratori, di quattro "idee cardinali" maturate nella cultura giuridica della vecchia Europa.
Il presente lavoro intende ricostruire in chiave critica il controverso istituto della cittadinanza europea, sottolineandone le lacune concettuali, sistemiche e, soprattutto, le incongruenze con riguardo al tema dei diritti fondamentali dell’uomo. In particolare, ciò che non pare possa appieno condividersi è rappresentato dalla posizione d’ispirazione essenzialmente mercantilistica che la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha in più riprese palesato in relazione all’argomento in questione, e ciò soprattutto anche in considerazione della astratta centralità assegnata all’individuo dalla normativa in materia di diritti umani da ricondurre all’ordinamento europeo (Carta dei Diritti Fondamentali del 2000 e Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali cui l’UE ha aderito in forza dell’art. 6 del Trattato di Lisbona)
La Unión Europea, habida cuenta de sus dimensiones continentales, se encuentra en una posición funcional idónea para ofrecer soluciones a las demandas ciudadanas que los Estados ya no son capaces de satisfacer, a la vez que influye y participa en la determinación de una política mundial. Pero la Unión Europea paradójicamente aún mantiene algunos de los rasgos que la caracterizan desde sus inicios, los cuales son difícilmente compatibles con la idea de democracia que se encuentra firmemente arraigada en las tradiciones constitucionales comunes a sus Estados miembros y que la propia Unión Europea dice auspiciar. De este modo revela encontrarse en un proceso de transición, a pesar de haberse dotado, a un tiempo, de de unas instituciones genuinamente representativas, vinculadas a la construcción de una nueva realidad jurídico-política, de naturaleza materialmente constitucional. La Unión Europea posee, así importantes elementos de déficit democrático, como se demuestra en lo que toca a aspectos tan relevantes como la legitimación, el control, la transparencia o la participación popular, lo que genera una brecha notable en la relación que se establece entre gobernantes y gobernados. Y la grave crisis económica y financiera que, en la actualidad, sufre el continente europeo, que obliga a los estados componentes de la Eurozona a alcanzar una mayor coordinación de sus políticas económicas, en pos de la consecución de un auténtico gobierno económico unificado, lo ha hecho a costa de generar un nuevo déficit de legitimidad democrática. No en vano, dicho gobierno descansa en un esquema de funcionamiento intergubernamental, al tiempo que discurre fuera, esencialmente, del marco normativo común establecido en los Tratados constitutivos de la Unión Europea. De ese modo, el déficit democrático de la Unión no sólo sigue presente, sino que se ha agudizado con ocasión del advenimiento de la crisis actual, al revelar la carencia de una auténtica unión política. En consecuencia, Europa necesita de una constitución que otorgue legitimidad a sus instituciones, delimitando sus competencias, sujetas a un efectivo control. Semejante proceso constituyente debería ser el tema central de las elecciones europeas de 2014, a fin de convertir al proyecto europeo en respuesta ejemplar a los desafíos crecientes de un mundo globalizado
In Italia come in altri Stati, sono tre i livelli normativi che regolano i conflitti di leggi in materia di commercio internazionale e si tratta, specificamente, di norme interne italiane di diritto internazionale privato del commercio internazionale o del commercio con l’estero; di norme di diritto internazionale privato di origine euro-internazionale e di norme di diritto universale uniforme di doppia origine sia internazionale pubblica che inter-individuale privata.
Lo studio mette in evidenza il carattere prettamente specialistico e tecnico del diritto commerciale internazionale e dei relativi conflitti di leggi e le ragioni della mutevolezza del suo linguaggio oltre che delle difficoltà di comprensione dello stesso
Nei primi cinque lustri successivi al trattato di Roma del 1957, gli organismi europei non hanno tenuto in alcuna considerazione il tema della cittadinanza. L’“Europa dei popoli” non costituiva oggetto né di corpus giuridico ad hoc né di riferimento all’interno di contesti più generali. Questa visione “merceologica” confinava, nel passato che non diventava presente, le grandi personalità culturali e politiche che avevano espresso nei loro scritti e nelle loro azioni l’ideale di un’Europa che teneva al primo posto gli abitanti, considerati protagonisti e non “attori muti”. L’istituzione di una cittadinanza europea, introdotta dal TUE nel 1992, è da considerarsi un apprezzabile passo avanti sul piano dell’integrazione, ma per il futuro bisognerà partire dal presupposto che se gli Stati membri dell’Unione non saranno veramente uniti, difficilmente potranno essere in grado di fronteggiare le grandi sfide poste dal multipolare scacchiere geopolitico e geoeconomico mondiale
Aunque es cierto que los Estados de la Unión Europea han procedido a reformar sus Constituciones para cumplir con las indicaciones procedentes de la UE para contrarrestar la «deuda soberana», tales medidas y la rapidez con las que se han adoptado esconden algo más, una crisis más profunda que no es sólo de carácter económico, una crisis compleja y multidimensional, que ha determinado una alteración de las relaciones entre Estado y Mercado, afectando a la estructura constitucional del Estado Social y a la UE como organización política. Por todo ello, en este estudio, se considera interesante analizar, desde un punto de vista comparado y asumiendo como punto de referencia los ordenamientos de Francia, Alemania, España e Italia, las causas de las recientes reformas constitucionales para la introducción del «principio de equilibrio presupuestario», su significado y la incidencia en la garantía de los derechos fundamentales, en particular de los derechos sociales, cuyo ejercicio depende de la prestación por parte del Estado de un servicio público
The Convention on Migrant Workers’ Rights, adopted by consensus in 1990 by the General Assembly, has been called the best-kept secret of the United Nations: so far, it has been ratified by only 47 states, and none of them belongs to Western countries. The article questions the existence of legal reasons that can explain this indifference comparable to a real boycott and comes to the conclusion that, on the contrary, the explanation must be sought in extra-juridical grounds that demonstrate once again the Western countries’ bad faith in the promotion of human rights
Il dibattito circa l’opportunità dell’adesione dell’UE alla CEDU risale a parecchi decenni addietro ed ha impegnato i più eminenti studiosi europeisti. Istituzionalmente proposta, per la prima volta, più di trent’anni fa dalla Commissione delle Comunità europee in un memorandum del 4 aprile 1979, tale questione fu rilanciata in occasione del quarantesimo anniversario della CEDU attraverso una comunicazione presentata dalla Commissione il 19 novembre 1990 nel quale la Commissione stessa chiedeva al Consiglio dei ministri di ricevere il mandato di negoziare le modalità d’adesione. L’art. 6 del Trattato di Lisbona non solo crea una base giuridica che ne autorizza l’adesione, come richiesto nel noto parere “C.J.C.E., avis 2/94. Adhésion de la Communautéeuropéenne à la Convention européenne de sauvegardedesdroits de l’homme et deslibertésfondamentales, Rec.”, ma utilizza un linguaggio che sembra imporre che tale competenza sia esercitata. Sull’altra sponda, quella del Consiglio d’Europa, l’entrata in vigore del Protocollo della CEDU n.14 ha statuito, ex par.2, che l’UE potesse aderire alla Convenzione. Come risulta chiaro dall’analisi congiunta dei dispositivi presi in esame, tutte le questioni giuridiche e tecniche conseguenti a tale riforma vengono consapevolmente lasciate in sospeso e rimandate ai lavori delle Commissioni giuridiche delle due organizzazioni
Mentre a livello europeo non manca una rete di salvaguardia dei diritti sociali in via giurisdizionale, è pressocchè assente uno strumentario di realizzazione positiva dei diritti sociali, in virtù della stessa natura sussidiaria dell’azione comunitaria e del principio delle materie attribuite. La realizzazione dei diritti sociali resta di esclusiva competenza degli Stati, per i quali i principi ed i valori in senso sociale e solidale sono un vincolo costituzionale prioritario all’azione di governo. Il Trattato sull’Unione pone invece sullo stesso piano i vari aspetti dell’Europa unita: libero mercato e finalità sociali e solidali. Ciò ha consentito all’Europa, soprattutto negli ultimi anni di forte crisi economica, di scegliere tra i suoi obiettivi “costituzionali” uno in particolare che ha valorizzato a danno degli altri: il libero mercato, la stabilità economica e monetaria a discapito della coesione economica sociale e della solidarietà territoriale, mettendo in serio dubbio la natura personalista della “costituzione europea”. L’Euro sembra avere assunto a livello comunitario quella posizione centrale che nelle Costituzioni degli Stati è assegnata alla persona. La vocazione rigorista è testimoniata d’altronde, dall’adozione del Fiscal compact. Tutto ciò ha finito per condizionare la capacità di manovra degli Stati in ordine alle politiche di spesa, sia in termini di messa in campo di ammortizzatori sociali, come anche in termini di politiche pubbliche di spinta verso la crescita economica. Se è vero che nel breve termine il peso degli oneri economici implicati dalla garanzia di un quadro di diritti sociali si risolve in gap di competitività, è anche vero che tale sistema di coesione sociale, se adeguatamente valorizzato nell’Unione, potrebbe assicurare una più solida tenuta della società europea rispetto a quelle realtà, pure produttive, ma prive di un quadro ordinamentale di tutela dei diritti sociali. Dal punto di vista costituzionale, ciò implica che si passi a livello europeo da una “Costituzione materiale” Eurocentrica ad un indirizzo politico costituzionale dell’Unione di piena valorizzazione della vocazione sociale propria del Trattato di Lisbona
La crescente importanza che lo sport ha assunto sia a livello nazionale sia a livello mondiale, ha di fatto reso necessario integrarne la regolamentazione. Gli interessi sociali, politici ed economici che ne sono a fondamento, hanno reso lo sport uno degli strumenti più forti e altamente strategici per la cooperazione tra gli Stati.
In via preliminare, la dottrina si è occupata della tutela dell’uomo in quanto portatore di diritti civili, politici, economici, sociali e culturali. In un secondo momento, vista l’enorme rilevanza assunta nel tempo dal fenomeno in esame, ci si è occupati di dare voce anche a quei diritti che, per molti studiosi, sono il mezzo per perseguire la pace universale, ovvero i diritti allo sviluppo, alla solidarietà, all’ambiente sano e alla comunicazione e, fra questi, vi è incluso anche il diritto allo sport.
La codificazione iniziata alla fine del XIX secolo, ha subito innumerevoli mutamenti, tesi alla salvaguardia delle nuove esigenze della società contemporanea. A ciò si aggiunga il determinante contributo dell’Unione Europea all’orientamento strategico sul ruolo dello sport, un impegno che ha rafforzato in modo deciso quanto in passato era già stato compiuto.
Il valore e il ruolo sociale dello Sport, sviluppatisi nel tempo, hanno reso necessaria una più puntuale regolamentazione, al fine di evitare il diffondersi del fenomeno del commercio di sostanze dopanti e promuovere i valori fondamentali di rispetto e di giustizia nei confronti di ogni essere umano, senza distinzioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione.
L’articolo si propone inquadrare la situazione in termini prevalentemente giuridici, non trascurando considerazioni che, a nostro parere, sono necessarie per meglio rafforzare il quadro giuridico entro cui il fenomeno indagato va collocato
La società contemporanea caratterizzata da processi di globalizzazione e internazionalizzazione, diviene sempre più spesso scenario di crocevia multiculturali e culture multietniche. Il diritto alla salvaguardia delle culture minoritarie si scontra con il desiderio di rivendicazione e affermazione delle proprie identità. Un nuovo sistema culturale tende ad affermarsi; una nuova composizione multirazziale contraddistinta da una frammentazione eterogenea etnica e religiosa; divisioni culturali di una società contemporanea che inevitabilmente conducono a tensioni e scontri. Queste contraddizioni possono essere efficacemente riassunte considerando gli opposti interessi in conflitto: comportamenti che, pur considerati in aperto contrasto con il diritto penale e più in generale con i valori etico-sociali prevalenti nell’ordinamento giuridico civilizzato, sono giudicati permessi e accettati da parte di minoranze in quanto conformi alle loro tradizioni e alle loro regole culturali. E’ in questo contesto che il reato “culturalmente orientato” trova la propria dimensione internazionale all’interno della quale, più specificamente, si inquadrano gravi delitti. La riflessione scientifica a cui si ispira questo contributo è considerare se sia antropologicamente accettabile procedere ad una comprensione e tolleranza di determinate condotte giustificate da un gruppo sociale di appartenenza o considerarle illecite da parte del Paese ospitante
En el sistema ONU, la “revitalización” de la mediación como instrumento de resolución político-jurídica de tensiones internacionales se testimonia, entre otras cosas, por la creación en 2006 de la Unidad de Apoyo a la Mediación en el seno del Departamento de Asuntos Políticos y desde marzo del 2008 por la activación del Standby Team of Mediation Experts, es decir un Equipo de Expertos en Mediación que - a petición principalmente de los enviados de la ONU, de las misiones para el mantenimiento de la paz, del Departamento de Asuntos Políticos y de las organizaciones regionales estrechamente asociadas a la actividad de la mediación de la ONU -, están listos para ser desplegados en cualquier lugar del mundo en menos de 72 horas y provén apoyo y asesoría sin ningún tipo de costo para el solicitante. El Equipo de Expertos en Mediación es una estructura híbrida en el sentido de que es gestionado conjuntamente entre la Unidad de Apoyo a la Mediación de la ONU y el Norwegian Refugee Council que es asimismo el que lo financia principalmente.
Los componentes del Equipo – también llamados “mobile experts” - cuyo mandato dura un año, están siempre disponibles y pueden trabajar individualmente, en pequeños grupos o todos juntos. Cada uno de ellos está especializado en un ámbito o materia que, normalmente, generan tensiones y controversias durante las negociaciones de paz (Acuerdos de seguridad; Power-Sharing; Asuntos constitucionales; Recursos naturales; Asuntos de género; Mediaciòn, Negociaciòn y Diàlogo)
Aguilar Calahorro Augusto, La primacía del derecho europeo y su invocación fr...
Valvo Anna Lucia, Dualismo “democratico” e monismo “autoritario” nel xxi secolo
1. Rivista elettronica del Centro di Documentazione Europea
dell’Università Kore di Enna
DUALISMO “DEMOCRATICO” E MONISMO
“AUTORITARIO” NEL XXI SECOLO*
Anna Lucia Valvo
Professore ordinario di Diritto dell’Unione europea nell’Università Kore di Enna
ABSTRACT: The changes characterizing the relations between the member States of the International
Community and those existing between national law and International law produce a reflection on the
dichotomy between monism and dualism.
It is indisputable fact that recently we assist to a clear prevalence of an International law that
produces direct effects within the member States and their national legal system positively considered,
beyond any question relative to the necessary or non “coincidence” between internal and
international legal phenomenon, and beyond any ascertainment relative to a supposed (and often
inexistent) legitimacy of this prevalence of one over the other, as well as of the diversity and different
right to legitimacy of the relative legal sources.
In this context, the European Union law has, de facto gone beyond any question of contrast between
dualism and monism (question that is not at all unclear being, legally talking, the European Union at
all effects, an International law sub specie of third grade international norms) with consequent
removal of the legal sources from the traditional schemes of modern democracies, thus causing
distortion of the guarantee functions of the political-constitutional structures of the States.
Under this specific aspect, therefore, emerges a kind of colonization of member States by the
European Union considering that the States, apparently and legally free to withdraw from contractual
obligations (those descending from the constitutive Treaties), politically – and specially economically
– are deprived of any capacity to self-determination or any possible re-exercise of their sovereign
competencies.
In other terms, with due respect for any consideration concerning monism or dualism, the European
Union has become an instrument of that authoritative monism which considers legislative function an
instrument at service of technocratic oligarchies, completely free of any democratic legitimacy.
In this context, the weakening of the State’s sovereignty is the direct and immediate consequence and
the governments of the member States, therefore, exercise their political jurisdiction only apparently,
given that, in substance, the European Union, betraying the founding pact, is (self)invested of
instruments and competencies which go beyond of those initially delegated by the member States,
mining or impeding the free exercise of their sovereignties
PAROLE CHIAVE: Comunità internazionale, Unione europea, Globalizzazione, Sovranità, Federale
1.
I mutamenti dei rapporti fra gli Stati alla luce della globalizzazione
Alla luce dei cambiamenti che oggi caratterizzano i rapporti fra gli Stati membri della
Comunità internazionale e le relazioni che intercorrono fra il diritto interno e il diritto
Studio pubblicatonel Volume collettaneo Basic Principles of International Public Law – Monism and Dualism,
a cura di M. NOVAKOVIC, Belgrado, 2013.
*
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dell’Università Kore di Enna
internazionale, la classica dicotomia fra monismo e dualismo può essere oggetto di differenti,
ma non per questo necessariamente antitetiche, considerazioni di carattere giuridico e di
carattere politico.
Contrariamente a quel che si potrebbe pensare all’esito di un approccio superficiale alla
questione, a fronte della perdita di sovranità da parte degli Stati a favore di più o meno occulte
élite economico-finanziarie (fenomeno ancor più accelerato da un incontrollato ed
incontrollabile processo di globalizzazione), la questione relativa al monismo e al dualismo
presenta oggi profili di rinnovata attualità.
Cercando di mantenersi entro i confini di una prospettiva obiettiva e sforzandosi di
offrire un punto di vista che scientificamente deve essere imparziale e che poi è
l’atteggiamento che dovrebbe caratterizzare il punto di vista dello studioso in generale, e del
giurista in particolare, il discorso può essere affrontato senza parteggiare né per l’uno e né per
l’altro dei due contrapposti (ma meno di quel che si pensi) punti di vista della teoria generale
del diritto internazionale e dello Stato, e lo sforzo sarà diretto ad individuare il peso effettivo
che hanno gli Stati utisinguli nella Comunità internazionale del post post guerra fredda, ora
caratterizzata da un’economia globale che ha determinato un’impensabile accelerazione degli
scambi e delle comunicazioni e una definitiva spinta al cambiamento dell’ordine (o del
disordine) internazionale, con quel che ne consegue in termini di rapporti fra il diritto interno
degli Stati e il diritto internazionale.
Nondimeno, va pur detto che al di là delle più o meno comprensibili contrapposizioni
fra i fautori dell’una o dell’altra teoria, è un fatto constatabile nella realtà fenomenica dello
svolgersi delle relazioni internazionali che i due ordinamenti, quello interno e quello
internazionale, vivono e hanno ragion d’esistere esclusivamente l’uno in funzione dell’altro,
e viceversa.
Tuttavia, è parimenti incontestabile che da qualche tempo a questa parte si assiste ad
una netta prevalenza di un diritto internazionale (non sempre espressione condivisa di un
consenso più o meno generalizzato da parte degli Stati, e dunque espressione normativa degli
Stati intesi nella loro configurazione istituzionale di Comunità internazionale, appunto, degli
Stati) che esplica effetti diretti all’interno degli Stati membri e sui loro ordinamenti giuridici
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nazionali come positivamente esistenti, al di là di qualsivoglia questione relativa alla
necessitata o meno “coincidenza” fra il fenomeno giuridico interno e il fenomeno giuridico
internazionale, e al di là di ogni constatazione relativa ad una presunta (e talvolta inesistente)
legittimità della detta prevalenza dell’uno rispetto all’altro, oltre che - a tutto ammettere –
della diversità e dei differenti titoli di legittimità delle relative fonti normative.
In effetti, se, da un canto, è vero che la più gran parte dei problemi che coinvolgono gli
Stati membri della Comunità internazionale non sono più semplicemente risolvibili a livello
interno; che il progresso scientifico e tecnologico, lo sviluppo degli scambi economici,
commerciali, monetari e delle comunicazioni hanno, per così dire, “unificato” il mondo e che
la frantumazione degli scenari politici ed economici e, in buona sostanza, tutti quei fenomeni
che più o meno direttamente sono conseguenza della globalizzazione, determinano la
necessità di individuare nuove forme di “gestione” giuridica (e politica) dei fenomeni sociali e
nuove fonti di produzione normativa (non sempre e non necessariamente di derivazione
interna degli Stati), d’altro canto è altresì vero che la pur residua sovranità statale rende
necessario un preventivo controllo sulla legittimità della fonte di produzione della normativa
internazionale oltre che sulla legittimità di quel diritto internazionale che gli Stati, ben lontani
dal poter decidere se recepirlo o meno all’interno dei propri ordinamenti, dovranno (o
dovrebbero) pur avere la possibilità di effettuare un controllo circa la “compatibilità” del
primo con il secondo.
Negare tale possibilità agli Stati ed impedire, dunque, al diritto interno di esplicare la
sua funzione di strumento per recepire e garantire l’attuazione delle norme internazionali,
determinerebbe il consolidamento di una deprecabile e inauspicabile oligarchia internazionale
che renderebbe priva di significato ogni speculazione, fondata o meno, poco importa ai fini
della presente disamina, sulla prevalenza del diritto internazionale sul diritto interno o sulla
coincidenza (o meno) dell’ordinamento internazionale con l’ordinamento interno degli Stati.
Quanto appena sostenuto non vuol significare, dunque, porsi in una prospettiva che
ammette una diretta giuridicità obbligatoria delle norme internazionali con implicita
possibilità per queste di disciplinare direttamente i rapporti giuridici interni ed esterni dello
Stato o, ancor più, una assertiva legittimità delle fonti di produzione di queste ultime e, di
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conseguenza, porsi in una prospettiva negazionista dell’autonomia giuridica e politica degli
Stati; significa diversamente prendere contezza della realtà e del fatto che, se pur
l’ordinamento internazionale non ha la possibilità di determinare direttamente ed
autonomamente modifiche normative direttamente operanti all’interno degli Stati membri
(con il che, implicitamente, dichiarando di non aderire alla teoria monista), nei fatti si deve
riconoscere come sia dato constatare una certa tendenza degli Stati a consentire o a subire una
sempre maggior apertura degli ordinamenti interni nei confronti di norme e principi
dell’ordinamento internazionale.
2.
Originarietà ed autonomia dell’ordinamento internazionale e degli
ordinamenti interni degli Stati.
Affermare, come si ritiene giusto, che gli ordinamenti interni degli Stati e l’ordinamento
internazionale sono ciascuno per proprio conto originari ed autonomi e che gli ordinamenti
interni sono, per principio, chiusi rispetto alle norme estranee al sistema dei valori e alle scelte
giuridiche sottese all’ordinamento interno, e che dunque gli Stati in ragione della loro
sovranità ed in funzione dell’esercizio di questa, sono e rimangono i protagonisti indiscussi
della produzione normativa interna (anche di quella di derivazione internazionale per il
tramite del procedimento di adattamento del diritto interno a quello internazionale), significa
voler restare arroccati su posizioni di mera speculazione dottrinaria del tutto svincolata e
disancorata dalla realtà.
Lungi dall’affermare o, peggio, dal condividere l’idea di un inesistente universalismo
giuridico di kelseniana memoria e dal voler ricondurre l’ordinamento interno e quello
internazionale in uno schema unitario, idea la cui astrusità e astrattezza è smentita, fra l’altro,
dalla pluralità di Carte costituzionali dei vari Stati membri della Comunità internazionale che
in modo più o meno diretto prevedono meccanismi di recepimento delle norme di derivazione
internazionale (quanto meno di tipo pattizio) allo scopo di frapporre una barriera fra
quest’ultimo e il diritto interno e allo scopo di operare una “trasformazione” del diritto
internazionale in diritto interno (meccanismi che, a voler ammettere una coincidenza fra gli
ordinamenti interni agli Stati e l’ordinamento internazionale, non avrebbero ragion d’esistere),
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si vuole evidenziare la pericolosità di quel meccanismo cui si è accennato e che potrebbe
essere considerato alla stregua di un monismo autoritario più subìto che accettato da parte
degli Stati.
In altri termini, il pericolo che si paventa è quello di una sostanziale depoliticizzazione
dei poteri e delle funzioni tipiche degli Stati e la conseguente assunzione delle decisioni
“politiche” da parte di una tecnocrazia di stampo oligarchico che soffoca ogni capacità di
autodeterminazione degli Stati nazionali ai quali non rimane altra possibilità che tradurre in
termini giuridici (norme) validi nell’ordinamento interno, le scelte “politiche” adottate non già
a livello di un astratto ordinamento internazionale ma, appunto, a livello di tecnocratiche
oligarchie del tutto prive di legittimazione politica.
Come si vedrà in prosieguo, questo è quanto avviene già a livello di Unione europea
che, sebbene a livello di organizzazione regionale, rappresenta il paradigma di quanto appena
sostenuto e presenta, all’evidenza, i caratteri di un ente pretesamente federale del tutto privo
di legittimità politica e democratica.
3. Cessione di sovranità o delega di competenze
Ponendosi nell’ottica della mera speculazione dottrinaria, deve dirsi che è vero che gli
Stati più che cedere porzioni di sovranità, a tutto voler concedere, delegano competenze
all’ente internazionale (come è il caso dell’Unione europea) la cui produzione normativa, pur
prevalente su quella degli Stati membri, è tuttavia consentita e condizionata dalla volontà
degli Stati.
Quanto appena enunciato soltanto all’apparenza sembrerebbe smentire quanto sostenuto
prima circa la perdita di sovranità degli Stati e circa il pericolo di depoliticizzazione delle
funzioni tipiche degli Stati atteso che, la delega di competenze ad un ente, a qualsivoglia tipo
di ente che sia altro da se rispetto agli Stati, è perciò stesso esercizio di sovranità e, dunque,
esercizio dell’espressione politica più tipica dello Stato e, da questo punto di vista, non si può
non concordare con chi sostiene che in questi casi più che di cessione di sovranità è più
corretto parlare di delega di competenze sovrane che, in qualsiasi momento, possono essere,
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per così dire, revocate e riesercitate dallo Stato che volontariamente le aveva delegate all’ente
terzo rispetto allo Stato.
Tuttavia, il pericolo, che ormai tale più non è essendo il fenomeno sotto gli occhi di
tutti, è che all’esito di un processo di globalizzazione pilotato “dall’alto”, il contorto (e forse
irreversibile) meccanismo di interdipendenza economica fra gli Stati conduce (ed ha già
condotto) all’esercizio delle tipiche funzioni degli Stati da parte di oligarchie economicofinanziarie giuridicamente inadeguate e politicamente non legittimate, ma in grado di
condizionare (in altri termini, di ricattare) gli Stati con la minaccia del fallimento o
dell’isolamento.
Sotto questo specifico profilo, fermo restando il convincimento della netta separazione
(e della necessità di tale separazione) fra l’ordinamento internazionale e l’ordinamento interno
degli Stati e fermo restando il convincimento della necessità di ogni strumento di adattamento
del diritto interno al diritto internazionale, va da sé che la questione fra il punto di vista
monista e quello dualista, pur nella sua attualità, ha perso gran parte della sua effettiva e
concreta incisività nel rapporto (in termini solo formalisticamente normativi) fra il diritto
internazionale e il diritto interno degli Stati.
Per volere limitare il discorso all’Unione europea e al carattere asseritamente
sovranazionale di questa, e al di là della fondatezza del ragionamento giuridico che pone
l’accento non tanto su una pur inesistente cessione di sovranità da parte degli Stati membri
quanto su una delega di competenze e sulla volontarietà della detta delega da parte degli Stati
i quali, con ogni evidenza, rimangono sempre liberi di recedere dal Trattato istitutivo e di
svincolarsi dagli obblighi da esso derivanti con quel che ne consegue in termini di revoca
delle competenze delegate all’Unione europea e riesercizio delle stesse, è un fatto che per
molti aspetti l’Unione europea è una federazione (quantomeno sotto il profilo economico)
che, benché priva di legittimità e di legittimazione politica e con procedimenti del tutto
lontani dagli schemi del pluralismo costituzionale, di fatto ha imposto ai suoi Stati membri un
“sistema costituzionale europeo” di tipo, appunto, asseritamente “federale”.
In questo modo, il diritto di derivazione europea, a prescindere dalle differenti posizioni
assunte in passato dalla Corte di giustizia dell’Unione europea e dalle Corti costituzionali di
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alcuni Stati membri (fra i quali anche l’Italia) relative alla necessità o meno del suo
recepimento negli ordinamenti interni degli Stati, e al di là di ogni considerazione sul
commendevole successivo allineamento delle dette Corti costituzionali alle posizioni della
Corte di giustizia, di fatto ha superato ogni questione di contrasto fra dualismo e monismo
(questione niente affatto peregrina essendo, giuridicamente parlando, il diritto europeo un
diritto internazionale a tutti gli effetti sub specie di norme internazionali di terzo grado) con
conseguente allontanamento delle fonti di produzione normativa dai tradizionali schemi delle
moderne democrazie, con quel che ne è conseguito in termini di snaturamento delle funzioni
di garanzia degli assetti politico-costituzionali degli Stati.
Sotto questo specifico profilo, dunque, si potrebbe parlare di una sorta di colonizzazione
degli Stati membri da parte dell’Unione europea atteso che gli Stati, apparentemente e
giuridicamente liberi di svincolarsi dagli obblighi contrattuali (gli obblighi derivanti dai
Trattati istitutivi), politicamente – e soprattutto economicamente - sono stati privati di ogni
capacità di autodeterminazione e di ogni possibile riesercizio delle loro competenze sovrane.
In altri termini, l’Unione europea, consapevolmente o meno, poco importa ai fini del
discorso, si è resa strumento di quel monismo autoritario di cui si è detto e che fa della
produzione normativa uno strumento ad uso e consumo di tecnocratiche oligarchie del tutto
svincolate da ogni legittimazione democratica, con buona pace di ogni considerazione su
monismo e dualismo.
4. La pretesa natura federale dell’Unione europea.
In tale contesto, l’indebolimento della sovranità degli Stati è la conseguenza più
immediata e diretta e i governi degli Stati membri, dunque, solo apparentemente esercitano la
loro funzione politica dato che, nella sostanza, l’Unione europea, tradendo il patto iniziale, si
è dotata di strumenti e competenze che vanno ben oltre quelle inizialmente delegate dagli
Stati membri, tradendo o impedendo il libero esercizio delle loro sovrane volontà.
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L’analisi obiettiva delle riforme da ultimo approvate dall’Unione europea,
strumentalmente dirette a salvaguardare l’unione monetaria, inequivocabilmente confermano
quanto appena sostenuto.
E’ del tutto evidente, infatti, che il meccanismo europeo di stabilità ha un forte potere
condizionante nei confronti degli Stati ed è altrettanto evidente che
l’approvazione
dell’accordo impositivo del pareggio di bilancio, con conseguente adeguamento delle Carte
fondamentali degli Stati membri a quanto in esso previsto, non è riconducibile alla libera
determinazione degli Stati la cui capacità decisionale, a tutto ammettere, è stata (ed è)
fortemente condizionata dalla spada di Damocle dello spread, del debito pubblico e
dell’eventuale (ma molto probabile), conseguente “fallimento”.
Senza tema di smentita, basti pensare a quanto accaduto in Grecia e alla reazione
suscitata dalla decisione del suo ex primo Ministro Papandreou di voler sottoporre a
referendum popolare il piano di austerità; reazione che ha determinato una intollerabile
intrusione nella sfera della sovranità greca con l’imposizione di un governo tecnico; per non
tacere, poi, del “colpo di Stato” perpetrato in Italia con l’instaurazione, anche lì, di un
governo tecnico all’esito di pressioni di varia e non chiara provenienza da dentro e da fuori
dello Stato.
Stando così le cose, davvero non si vede in che modo gli Stati membri possono
autonomamente decidere di, eventualmente, non adattare il proprio ordinamento interno alle
decisioni internazionali assunte (da altri) in altre sedi e, sotto questo specifico profilo, ogni
speculazione su dualismo e monismo nel
XXI
Secolo, nonostante la sua rinnovata attualità,
perde ogni ragion d’esistere sul piano concreto.
Inizialmente, l’Unione europea aveva competenze, per così dire, di gestione della
moneta unica e di mero coordinamento delle politiche economiche degli Stati i quali
restavano sovrani indiscussi della politica fiscale, delle politiche sociali e della politica
economica. Oggi le cose stanno cambiando e stanno andando oltre ogni più fosca previsione
su un pur minimo potere di autodeterminazione degli Stati che stanno letteralmente e
impotentemente assistendo alla lenta ma inesorabile nascita di una un’unione bancaria, una
assicurativa, una fiscale e una economica che prima di quel che si pensi andrà a gestire il
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mercato del lavoro, la politica economica e il sistema previdenziale dei cittadini degli Stati
membri.
E se quanto detto, in astratto, potrebbe apparire un elemento positivo ai fini della
creazione di un ente (l’Unione europea) autenticamente sovranazionale e anche
sostanzialmente federale, in concreto l’abnormità del meccanismo sta conducendo (e in gran
parte ha già condotto) ad un monismo tecnocratico ed autoritario del tutto svincolato dalla
politica e da quell’apparenza di sistema democratico rappresentato da una democrazia pur
solamente (ed inutilmente) rappresentativa.
L’esito di tale meccanismo, dunque, potrà essere soltanto una federazione di stampo
economico guidata non dagli interessi politici ed economici degli Stati membri (e dei loro
cittadini) ma dagli interessi di più o meno oscuri gruppi finanziari che si nutrono del vuoto
politico (da essi voluto) creato e alimentato dal primato del mercato, della moneta e della
finanza.
L’attuale periodo storico, dunque, è caratterizzato da un clima in cui l’etica politica e
l’etica giuridica hanno ceduto il passo a “governi ombra” all’interno dei quali un monismo
autoritario ed autoreferenziale ha sostituito un più democratico e garantista (dell’autonomia
degli Stati) dualismo, ed in cui il diritto, pur sempre marxianamente sovrastruttura, è ormai
ridotto – fuori da ogni rappresentazione delle istanze, delle esigenze e delle scelte sociali - in
balìa dei capricci dell’economia, del monetarismo e del suo intoccabile mercato unico
“governato” dal postulato indiscutibile della “libera concorrenza” che nega e mortifica i diritti
e le ragioni del lavoro.
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