Il turismo ha sempre avuto e continuerà ad avere nel futuro un grandissimo potenziale dal punto di vista culturale, politico ed economico. In Italia, malgrado la numerosa letteratura specialistica e la ricchezza delle proprie risorse naturali e culturali, il turismo resta rilegato a un ruolo di secondo ordine tra le priorità dei policy maker e non riesce ad esercitare quella funzione di sviluppo che gli spetterebbe sia rispetto alla questione dei grandi poli turistici e culturali di attrazione sia e soprattutto rispetto al patrimonio diffuso nei territori c.d. minori. L’articolo intende suggerire i principali tratti di un percorso di sviluppo sostenibile attraverso l’analisi dei territori c.d. minori e/o lenti. Allontanandoci da una visione esclusivamente economicistica si possono, infatti, individuare nuove traiettorie di sviluppo sostenibile in cui le identità territoriali, la storia locale, il capitale sociale, il patrimonio culturale e umano, diventano fattori strategici ed innovativi di qualsiasi politica di sviluppo sostenibile. Tali fattori possono essere quindi le pre-condizioni in grado di generare innovazione e sviluppo in un territorio. In definitiva l’articolo propone l’ipotesi di un sentiero di sviluppo sostenibile da parte dei c.d. territori minori o lenti attraverso l’adesione ad un modello di sviluppo fondato sullo stretto legame tra heritage e turismo, tra valore della cultura e del territorio e rigenerazione socio-economica, tra tradizione ed innovazione in un approccio distrettuale in cui il territorio, con la sua storia, tradizioni, identità costituisce un valore competitivo difficilmente riproducibile
Una guida veloce e utile per creare itinerari di viaggio in i-Cicero, www.i-cicero.com, il sito che mette in contatto i viaggiatori con gli accompagnatori turistici
CULTURA COME FUTURO. Strategie e pratiche per uno sviluppo basato sulla culturaMarta Rossato
Strategies and practices for a local durable development based on culture. Role and possible impact of culture and cultural practices in the local development, recent experiences and practices.
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Il presente articolo spiega come di fronte alla crisi economica e finanziaria mondiale, la rete di impresa, può costituire una forma organizzativa di successo in grado dare slancio all’economia nazionale ed europea. Le reti d’impresa innovative si fondano sulla fiducia reciproca fra i partner. Esse vengono create nel tempo e favoriscono la circolazione dell’informazione, la diffusione della conoscenza e la generazione dell’innovazione. La fiducia, inoltre, riduce l’incertezza e i costi di transazione e limita i comportamenti opportunistici da parte di agenti free-rider. Tuttavia, il successo di tali forme organizzative dipende non solo da tali processi ma anche dall’interplay tra le imprese e le istituzioni politiche e dalle loro interazioni con il sistema formativo di ricerca. Con la legge 33/2009 il legislatore italiano ha disciplinato il «contratto di rete» come uno strumento attraverso il quale due o più imprese possono esercitare in comune una o più attività economiche allo scopo di accrescere la reciproca capacità innovativa e la competitività sul mercato. Tale contratto, affiancandosi ai tradizionali strumenti di promozione della collaborazione tra imprese, ha permesso di superare la logica dei cd. distretti territoriali, e senza incidere sull’autonomia delle singole imprese può permettere a quest’ultime di effettuare una cooperazione più snella e flessibile. Inoltre, la legge 11 novembre 2011, n. 180 disciplina la partecipazione delle reti di impresa nell’ambito delle procedure per l’aggiudicazione di contratti pubblici. Così facendo si è cercato di abbattere alcune barriere all’entrata che impedivano l’accesso agli appalti pubblici delle micro, piccole e medie imprese. Il presente articolo, inoltre effettua delle considerazioni sull’efficacia dell’intervento pubblico a favore delle reti di impresa e sottolinea l’importanza di diversi fattori tra i quali le diversità territoriali e le esigenze di innovazione, flessibilità e di efficienza imposte dalla competitività internazionale
Il federalismo è una forma di Stato attraverso il quale il potere è esercitato in modo decentralizzato. La prima esperienza di federalismo si è sviluppata negli Stati Uniti d'America sul finire del diciottesimo secolo, dopo il fallimento dell'introduzione del tradizionale modello confederativo, che presto ha dimostrato i suoi limiti e le sue carenze. Perché uno Stato sia considerato federale, deve presentare almeno qualcuna delle seguenti caratteristiche: costituzione scritta e rigida; due ordinamenti giuridici: centrale e parziali, con questi ultimi dotati di autonomia; l'indissolubilità del vincolo federativo; le volontà parziali rappresentate nell'elaborazione della volontà generale attraverso il Senato federale; l'esistenza di un Tribunale Costituzionale e la possibilità di intervento federale
Il presente articolo spiega come di fronte alla crisi economica e finanziaria mondiale, la rete di impresa, può costituire una forma organizzativa di successo in grado dare slancio all’economia nazionale ed europea. Le reti d’impresa innovative si fondano sulla fiducia reciproca fra i partner. Esse vengono create nel tempo e favoriscono la circolazione dell’informazione, la diffusione della conoscenza e la generazione dell’innovazione. La fiducia, inoltre, riduce l’incertezza e i costi di transazione e limita i comportamenti opportunistici da parte di agenti free-rider. Tuttavia, il successo di tali forme organizzative dipende non solo da tali processi ma anche dall’interplay tra le imprese e le istituzioni politiche e dalle loro interazioni con il sistema formativo di ricerca. Con la legge 33/2009 il legislatore italiano ha disciplinato il «contratto di rete» come uno strumento attraverso il quale due o più imprese possono esercitare in comune una o più attività economiche allo scopo di accrescere la reciproca capacità innovativa e la competitività sul mercato. Tale contratto, affiancandosi ai tradizionali strumenti di promozione della collaborazione tra imprese, ha permesso di superare la logica dei cd. distretti territoriali, e senza incidere sull’autonomia delle singole imprese può permettere a quest’ultime di effettuare una cooperazione più snella e flessibile. Inoltre, la legge 11 novembre 2011, n. 180 disciplina la partecipazione delle reti di impresa nell’ambito delle procedure per l’aggiudicazione di contratti pubblici. Così facendo si è cercato di abbattere alcune barriere all’entrata che impedivano l’accesso agli appalti pubblici delle micro, piccole e medie imprese. Il presente articolo, inoltre effettua delle considerazioni sull’efficacia dell’intervento pubblico a favore delle reti di impresa e sottolinea l’importanza di diversi fattori tra i quali le diversità territoriali e le esigenze di innovazione, flessibilità e di efficienza imposte dalla competitività internazionale
Il federalismo è una forma di Stato attraverso il quale il potere è esercitato in modo decentralizzato. La prima esperienza di federalismo si è sviluppata negli Stati Uniti d'America sul finire del diciottesimo secolo, dopo il fallimento dell'introduzione del tradizionale modello confederativo, che presto ha dimostrato i suoi limiti e le sue carenze. Perché uno Stato sia considerato federale, deve presentare almeno qualcuna delle seguenti caratteristiche: costituzione scritta e rigida; due ordinamenti giuridici: centrale e parziali, con questi ultimi dotati di autonomia; l'indissolubilità del vincolo federativo; le volontà parziali rappresentate nell'elaborazione della volontà generale attraverso il Senato federale; l'esistenza di un Tribunale Costituzionale e la possibilità di intervento federale
Web e social network nella PA: #culturavivafvg, raccontare il patrimonio cult...Patrimonio culturale FVG
L'esperienza di valorizzazione del patrimonio culturale tramite i canali digitali di ERPAC (Ente regionale per il patrimonio culturale del Friuli Venezia Giulia), presentato a Trieste il 6 dicembre 2016, in occasione della "Giornata di avvio del percorso per una comunicazione istituzionale web partecipata #RegioneFVG".
A cura di Rita Auriemma (Direttrice Servizio Catalogazione, Formazione e Ricerca di ERPAC) e Giovanna Tinunin (formatrice e consulente ERPAC)
Documento di indirizzo per lo sviluppo turistico della Destinazione Piemonte
Stati Generali del Turismo per il Piemonte
Questo documento, frutto del lavoro degli uffici regionali della Direzione Promozione della Cultura, del Turismo e dello Sport e della DMO Piemonte Marketing, con il supporto scientifico delle Università piemontesi, realizzato con la partecipazione attiva degli enti e delle categorie interessate al turismo, ha visto l’impiego di una metodologia basata sul coinvolgimento ampio e rappresentativo di soggetti pubblici e privati, recependo spunti, riflessioni e proposte del territorio piemontese.
Tutto ciò coerentemente con il contesto nazionale, che ha dato vita a un Piano Strategico di Sviluppo del Turismo, orientato verso obiettivi attuativi legati a una politica di sostegno ed accompagnamento del turismo nelle sue dinamiche attuali, in una ricerca di maggiore sinergia tra gli attori coinvolti: problemi articolati e complessi richiedono, infatti, l’azione integrata di numerosi soggetti, ottimizzando risorse, energie, investimenti e tempi.
Stati Generali del Turismo per il Piemonte 2018
https://statigenerali.piemonte-turismo.it
Con il contributo scientifico di BTO Educational
Gli interventi della tre giorni di Ivrea dall’11 al 13 ottobre, iniziativa organizzata all’interno delle attività del Piano di valorizzazione integrata “Anfiteatro Morenico di Ivrea: paesaggio e cultura”.
Rapporto di
sostenibilità 2017
Progetto grafico e impaginazione Rapporto Sostenibilità 2017 - Partecipazione e cooperazione per l’accountability delle imprese
e del patrimonio culturale.
Flavia Barca Una cultura contemporanea per il bene comune 2015Flavia Barca
È arrivato il momento di identificare una visione sul rapporto tra cultura, paesaggio e futuro, ovvero un progetto pubblico sul futuro delle città e dei territori che passi attraverso il riuso dei nostri beni e spazi e attraverso lo sviluppo di nuova arte, quindi la creazione di spazi che promuovano la creatività e l’innovazione. Insomma è arrivato il momento di elaborare un progetto contemporaneo.
Valorizzazione economica di una risorsa culturale esperienzialeMara Passuello
experience goods: beni culturali esperienziali, creatività e innovazione che attraverso lo scambio e il dialogo fanno da driver ad uno dei benefici per la comunità più complesso e completo che è la qualità sociale.
Il turismo nelle politiche di coesione e nella Strategia Nazionale Aree InterneDirezione Generale Turismo
Oriana Cuccu - Comitato Tecnico Aree interne.
Sostenibilità, turismo e beni culturali: la via italiana.
Galleria Nazionale Arte Moderna, Roma, 14 giugno 2017.
Similar to Sabatino Michele, Il ruolo dell'identità nello sviluppo turistico dei territori minori in europa (20)
Il presente lavoro intende ricostruire in chiave critica il controverso istituto della cittadinanza europea, sottolineandone le lacune concettuali, sistemiche e, soprattutto, le incongruenze con riguardo al tema dei diritti fondamentali dell’uomo. In particolare, ciò che non pare possa appieno condividersi è rappresentato dalla posizione d’ispirazione essenzialmente mercantilistica che la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha in più riprese palesato in relazione all’argomento in questione, e ciò soprattutto anche in considerazione della astratta centralità assegnata all’individuo dalla normativa in materia di diritti umani da ricondurre all’ordinamento europeo (Carta dei Diritti Fondamentali del 2000 e Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali cui l’UE ha aderito in forza dell’art. 6 del Trattato di Lisbona)
La Unión Europea, habida cuenta de sus dimensiones continentales, se encuentra en una posición funcional idónea para ofrecer soluciones a las demandas ciudadanas que los Estados ya no son capaces de satisfacer, a la vez que influye y participa en la determinación de una política mundial. Pero la Unión Europea paradójicamente aún mantiene algunos de los rasgos que la caracterizan desde sus inicios, los cuales son difícilmente compatibles con la idea de democracia que se encuentra firmemente arraigada en las tradiciones constitucionales comunes a sus Estados miembros y que la propia Unión Europea dice auspiciar. De este modo revela encontrarse en un proceso de transición, a pesar de haberse dotado, a un tiempo, de de unas instituciones genuinamente representativas, vinculadas a la construcción de una nueva realidad jurídico-política, de naturaleza materialmente constitucional. La Unión Europea posee, así importantes elementos de déficit democrático, como se demuestra en lo que toca a aspectos tan relevantes como la legitimación, el control, la transparencia o la participación popular, lo que genera una brecha notable en la relación que se establece entre gobernantes y gobernados. Y la grave crisis económica y financiera que, en la actualidad, sufre el continente europeo, que obliga a los estados componentes de la Eurozona a alcanzar una mayor coordinación de sus políticas económicas, en pos de la consecución de un auténtico gobierno económico unificado, lo ha hecho a costa de generar un nuevo déficit de legitimidad democrática. No en vano, dicho gobierno descansa en un esquema de funcionamiento intergubernamental, al tiempo que discurre fuera, esencialmente, del marco normativo común establecido en los Tratados constitutivos de la Unión Europea. De ese modo, el déficit democrático de la Unión no sólo sigue presente, sino que se ha agudizado con ocasión del advenimiento de la crisis actual, al revelar la carencia de una auténtica unión política. En consecuencia, Europa necesita de una constitución que otorgue legitimidad a sus instituciones, delimitando sus competencias, sujetas a un efectivo control. Semejante proceso constituyente debería ser el tema central de las elecciones europeas de 2014, a fin de convertir al proyecto europeo en respuesta ejemplar a los desafíos crecientes de un mundo globalizado
In Italia come in altri Stati, sono tre i livelli normativi che regolano i conflitti di leggi in materia di commercio internazionale e si tratta, specificamente, di norme interne italiane di diritto internazionale privato del commercio internazionale o del commercio con l’estero; di norme di diritto internazionale privato di origine euro-internazionale e di norme di diritto universale uniforme di doppia origine sia internazionale pubblica che inter-individuale privata.
Lo studio mette in evidenza il carattere prettamente specialistico e tecnico del diritto commerciale internazionale e dei relativi conflitti di leggi e le ragioni della mutevolezza del suo linguaggio oltre che delle difficoltà di comprensione dello stesso
Nei primi cinque lustri successivi al trattato di Roma del 1957, gli organismi europei non hanno tenuto in alcuna considerazione il tema della cittadinanza. L’“Europa dei popoli” non costituiva oggetto né di corpus giuridico ad hoc né di riferimento all’interno di contesti più generali. Questa visione “merceologica” confinava, nel passato che non diventava presente, le grandi personalità culturali e politiche che avevano espresso nei loro scritti e nelle loro azioni l’ideale di un’Europa che teneva al primo posto gli abitanti, considerati protagonisti e non “attori muti”. L’istituzione di una cittadinanza europea, introdotta dal TUE nel 1992, è da considerarsi un apprezzabile passo avanti sul piano dell’integrazione, ma per il futuro bisognerà partire dal presupposto che se gli Stati membri dell’Unione non saranno veramente uniti, difficilmente potranno essere in grado di fronteggiare le grandi sfide poste dal multipolare scacchiere geopolitico e geoeconomico mondiale
Aunque es cierto que los Estados de la Unión Europea han procedido a reformar sus Constituciones para cumplir con las indicaciones procedentes de la UE para contrarrestar la «deuda soberana», tales medidas y la rapidez con las que se han adoptado esconden algo más, una crisis más profunda que no es sólo de carácter económico, una crisis compleja y multidimensional, que ha determinado una alteración de las relaciones entre Estado y Mercado, afectando a la estructura constitucional del Estado Social y a la UE como organización política. Por todo ello, en este estudio, se considera interesante analizar, desde un punto de vista comparado y asumiendo como punto de referencia los ordenamientos de Francia, Alemania, España e Italia, las causas de las recientes reformas constitucionales para la introducción del «principio de equilibrio presupuestario», su significado y la incidencia en la garantía de los derechos fundamentales, en particular de los derechos sociales, cuyo ejercicio depende de la prestación por parte del Estado de un servicio público
Muovendo dalla costatazione di una scollatura fra l’ideologia delle fonti statalista e la percezione diffusa della forza innovatrice del diritto giudiziale, il saggio analizza il concetto di precedente e le sue implicazioni non solo teoriche e pratico generali e per i principi costituzionali
The Convention on Migrant Workers’ Rights, adopted by consensus in 1990 by the General Assembly, has been called the best-kept secret of the United Nations: so far, it has been ratified by only 47 states, and none of them belongs to Western countries. The article questions the existence of legal reasons that can explain this indifference comparable to a real boycott and comes to the conclusion that, on the contrary, the explanation must be sought in extra-juridical grounds that demonstrate once again the Western countries’ bad faith in the promotion of human rights
The changes characterizing the relations between the member States of the International Community and those existing between national law and International law produce a reflection on the dichotomy between monism and dualism.
It is indisputable fact that recently we assist to a clear prevalence of an International law that produces direct effects within the member States and their national legal system positively considered, beyond any question relative to the necessary or non “coincidence” between internal and international legal phenomenon, and beyond any ascertainment relative to a supposed (and often inexistent) legitimacy of this prevalence of one over the other, as well as of the diversity and different right to legitimacy of the relative legal sources.
In this context, the European Union law has, de facto gone beyond any question of contrast between dualism and monism (question that is not at all unclear being, legally talking, the European Union at all effects, an International law sub specie of third grade international norms) with consequent removal of the legal sources from the traditional schemes of modern democracies, thus causing distortion of the guarantee functions of the political-constitutional structures of the States.
Under this specific aspect, therefore, emerges a kind of colonization of member States by the European Union considering that the States, apparently and legally free to withdraw from contractual obligations (those descending from the constitutive Treaties), politically – and specially economically – are deprived of any capacity to self-determination or any possible re-exercise of their sovereign competencies.
In other terms, with due respect for any consideration concerning monism or dualism, the European Union has become an instrument of that authoritative monism which considers legislative function an instrument at service of technocratic oligarchies, completely free of any democratic legitimacy.
In this context, the weakening of the State’s sovereignty is the direct and immediate consequence and the governments of the member States, therefore, exercise their political jurisdiction only apparently, given that, in substance, the European Union, betraying the founding pact, is (self)invested of instruments and competencies which go beyond of those initially delegated by the member States, mining or impeding the free exercise of their sovereignties
L’articolo intende ricostruire in chiave critica l’attuale regolamentazione relativa allo sport in ambito europeo e derivante dal Trattato di Lisbona, sottolineandone incongruenze, lacune e contraddizioni, sostanzialmente derivanti dall’ormai consueto tacito dialogo intercorrente tra il legislatore di Bruxelles e la Corte di Giustizia dell’Unione Europea: in particolare, si rimarca come il diritto europeo, in forza della sentenza Meca – Medina della stessa CGUE, riduca, rectius, sia costretta a ridurre anche l’attività sportiva al rango di attività economica ai fini della comprensione della stessa all’interno dell’orbita normativa dell’ordinamento UE. Ciò si spiega facendo rimando all’architettura fondamentalmente mercantilistica e d economicistica caratterizzante già dalle proprie origini il comparto normativo – istituzionale medesimo, a nulla sostanzialmente valendo i reiterati quanto sterili tentativi, di matrice dunque essenzialmente politica, compiuti al livello extraterritoriale in esame di caratterizzare l’azione dell’UE anche in direzioni aliene rispetto a rationes e finalità di mercato
: Il contributo analizza il concetto di cittadinanza alla luce della sua progressiva emancipazione dallo Stato nazionale: la categoria giuridica della cittadinanza si compone attualmente di una dimensione formale, ancorata allo Stato, e di una dimensione sostanziale, appaltata a nuovi centri decisionali a livello sovranazionale e infranazionale.
Esso esamina la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea e della Corte costituzionale. La prima, nonostante alcune aperture nei confronti dei cittadini economicamente inattivi, continua ad alimentare il convincimento che la cittadinanza europea corrisponda ad uno status privilegiato piuttosto che ad una vera e propria forma di cittadinanza. La seconda, invece, riconosce alle Regioni, nell’ambito delle proprie competenze concorrenti e residuali e nei rispettivi limiti della Costituzione, ampia autonomia per la previsione di interventi socio–assistenziali anche a favore degli stranieri al di là del nucleo irriducibile dei diritti fondamentali, facendo salva la previsione di talune differenziazioni tra cittadini nazionali e stranieri basate sul criterio della ragionevolezza. Pertanto, la cittadinanza, a qualunque livello normativo, rimane «selettiva», accogliendo ancora, contraddittoriamente, coloro che sono forniti di sostanze economiche piuttosto che i soggetti più deboli e bisognosi
Il dibattito circa l’opportunità dell’adesione dell’UE alla CEDU risale a parecchi decenni addietro ed ha impegnato i più eminenti studiosi europeisti. Istituzionalmente proposta, per la prima volta, più di trent’anni fa dalla Commissione delle Comunità europee in un memorandum del 4 aprile 1979, tale questione fu rilanciata in occasione del quarantesimo anniversario della CEDU attraverso una comunicazione presentata dalla Commissione il 19 novembre 1990 nel quale la Commissione stessa chiedeva al Consiglio dei ministri di ricevere il mandato di negoziare le modalità d’adesione. L’art. 6 del Trattato di Lisbona non solo crea una base giuridica che ne autorizza l’adesione, come richiesto nel noto parere “C.J.C.E., avis 2/94. Adhésion de la Communautéeuropéenne à la Convention européenne de sauvegardedesdroits de l’homme et deslibertésfondamentales, Rec.”, ma utilizza un linguaggio che sembra imporre che tale competenza sia esercitata. Sull’altra sponda, quella del Consiglio d’Europa, l’entrata in vigore del Protocollo della CEDU n.14 ha statuito, ex par.2, che l’UE potesse aderire alla Convenzione. Come risulta chiaro dall’analisi congiunta dei dispositivi presi in esame, tutte le questioni giuridiche e tecniche conseguenti a tale riforma vengono consapevolmente lasciate in sospeso e rimandate ai lavori delle Commissioni giuridiche delle due organizzazioni
Mentre a livello europeo non manca una rete di salvaguardia dei diritti sociali in via giurisdizionale, è pressocchè assente uno strumentario di realizzazione positiva dei diritti sociali, in virtù della stessa natura sussidiaria dell’azione comunitaria e del principio delle materie attribuite. La realizzazione dei diritti sociali resta di esclusiva competenza degli Stati, per i quali i principi ed i valori in senso sociale e solidale sono un vincolo costituzionale prioritario all’azione di governo. Il Trattato sull’Unione pone invece sullo stesso piano i vari aspetti dell’Europa unita: libero mercato e finalità sociali e solidali. Ciò ha consentito all’Europa, soprattutto negli ultimi anni di forte crisi economica, di scegliere tra i suoi obiettivi “costituzionali” uno in particolare che ha valorizzato a danno degli altri: il libero mercato, la stabilità economica e monetaria a discapito della coesione economica sociale e della solidarietà territoriale, mettendo in serio dubbio la natura personalista della “costituzione europea”. L’Euro sembra avere assunto a livello comunitario quella posizione centrale che nelle Costituzioni degli Stati è assegnata alla persona. La vocazione rigorista è testimoniata d’altronde, dall’adozione del Fiscal compact. Tutto ciò ha finito per condizionare la capacità di manovra degli Stati in ordine alle politiche di spesa, sia in termini di messa in campo di ammortizzatori sociali, come anche in termini di politiche pubbliche di spinta verso la crescita economica. Se è vero che nel breve termine il peso degli oneri economici implicati dalla garanzia di un quadro di diritti sociali si risolve in gap di competitività, è anche vero che tale sistema di coesione sociale, se adeguatamente valorizzato nell’Unione, potrebbe assicurare una più solida tenuta della società europea rispetto a quelle realtà, pure produttive, ma prive di un quadro ordinamentale di tutela dei diritti sociali. Dal punto di vista costituzionale, ciò implica che si passi a livello europeo da una “Costituzione materiale” Eurocentrica ad un indirizzo politico costituzionale dell’Unione di piena valorizzazione della vocazione sociale propria del Trattato di Lisbona
La crescente importanza che lo sport ha assunto sia a livello nazionale sia a livello mondiale, ha di fatto reso necessario integrarne la regolamentazione. Gli interessi sociali, politici ed economici che ne sono a fondamento, hanno reso lo sport uno degli strumenti più forti e altamente strategici per la cooperazione tra gli Stati.
In via preliminare, la dottrina si è occupata della tutela dell’uomo in quanto portatore di diritti civili, politici, economici, sociali e culturali. In un secondo momento, vista l’enorme rilevanza assunta nel tempo dal fenomeno in esame, ci si è occupati di dare voce anche a quei diritti che, per molti studiosi, sono il mezzo per perseguire la pace universale, ovvero i diritti allo sviluppo, alla solidarietà, all’ambiente sano e alla comunicazione e, fra questi, vi è incluso anche il diritto allo sport.
La codificazione iniziata alla fine del XIX secolo, ha subito innumerevoli mutamenti, tesi alla salvaguardia delle nuove esigenze della società contemporanea. A ciò si aggiunga il determinante contributo dell’Unione Europea all’orientamento strategico sul ruolo dello sport, un impegno che ha rafforzato in modo deciso quanto in passato era già stato compiuto.
Il valore e il ruolo sociale dello Sport, sviluppatisi nel tempo, hanno reso necessaria una più puntuale regolamentazione, al fine di evitare il diffondersi del fenomeno del commercio di sostanze dopanti e promuovere i valori fondamentali di rispetto e di giustizia nei confronti di ogni essere umano, senza distinzioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione.
L’articolo si propone inquadrare la situazione in termini prevalentemente giuridici, non trascurando considerazioni che, a nostro parere, sono necessarie per meglio rafforzare il quadro giuridico entro cui il fenomeno indagato va collocato
La società contemporanea caratterizzata da processi di globalizzazione e internazionalizzazione, diviene sempre più spesso scenario di crocevia multiculturali e culture multietniche. Il diritto alla salvaguardia delle culture minoritarie si scontra con il desiderio di rivendicazione e affermazione delle proprie identità. Un nuovo sistema culturale tende ad affermarsi; una nuova composizione multirazziale contraddistinta da una frammentazione eterogenea etnica e religiosa; divisioni culturali di una società contemporanea che inevitabilmente conducono a tensioni e scontri. Queste contraddizioni possono essere efficacemente riassunte considerando gli opposti interessi in conflitto: comportamenti che, pur considerati in aperto contrasto con il diritto penale e più in generale con i valori etico-sociali prevalenti nell’ordinamento giuridico civilizzato, sono giudicati permessi e accettati da parte di minoranze in quanto conformi alle loro tradizioni e alle loro regole culturali. E’ in questo contesto che il reato “culturalmente orientato” trova la propria dimensione internazionale all’interno della quale, più specificamente, si inquadrano gravi delitti. La riflessione scientifica a cui si ispira questo contributo è considerare se sia antropologicamente accettabile procedere ad una comprensione e tolleranza di determinate condotte giustificate da un gruppo sociale di appartenenza o considerarle illecite da parte del Paese ospitante
Le materie contenute sotto il titolo di “Spazio di Libertà, Sicurezza e Giustizia” del Trattato di Lisbona non hanno paragone con le altre politiche europee, sono probabilmente tra le più dinamiche, sensibili e caldamente contestate. Le politiche dell’immigrazione, dell’asilo e dei visti rientrano tuttora tra le competenze concorrenti dell’Unione, formano ancora parte essenziale del tradizionale concetto di sovranità nazionale e sono cariche di paure nazionali, ideologie rivali e sensibilità politiche contrastanti. Nel caso specifico la politica dei visti rappresenta un esempio illuminante di come gli Stati membri e l’Unione abbiano tuttora notevoli difficoltà nel portare avanti una politica comune in questo delicato settore del processo d’integrazione.
L’analisi proposta definisce il concetto di mobilità ed i limiti legali che ne caratterizzano l’operatività nello spazio comune europeo rispetto ai paesi terzi, ricostruendo i principali aspetti teorici e pratici dell’annosa questione della gestione rafforzata delle frontiere esterne dell’UE e del Sistema d’Informazione Schengen. L’enfasi posta sulla sicurezza e la fiducia nella razionalità e nell’affidabilità delle banche dati elettroniche si scontra però, nelle considerazioni svolte, da un lato, con la non completa affidabilità del sistema, dall’altro, con l’estrema complessità del sistema europeo dei visti, che, nonostante gli sviluppi degli ultimi anni, risulta ancora piuttosto confuso e farraginoso. Il visto è sicuramente uno strumento tecnico ma con significative implicazioni politiche e giuridiche. L’introduzione nel 2009 e l’applicazione dal 2010 del Codice europeo dei visti hanno cercato di risolvere queste antinomie riuscendoci solo in parte, laddove l’unitarietà del quadro normativo definito dal legislatore europeo continua ad essere limitata da elementi interni ed esterni all’Unione.
I tassi di rifiuto di rilascio dei visti dimostrano che, nonostante le regole comuni e i criteri comuni per il rilascio dei visti, definiti dal legislatore europeo, l’applicazione di essi da parte degli Stati membri risulta alquanto differenziata nei diversi contesti regionali e nazionali dei paesi terzi interessati. La natura politica della questione non può essere trascurata. La conclusione cui si addiviene è duplice: da un lato, le prospettive per il futuro possono privilegiare un ritorno alla gestione della politica dei visti su scala nazionale, anche se tale prospettive pare improbabile; dall’altro, si può immaginare che i rapporti di forza tra gli attori che partecipano alla cooperazione rafforzata di Schengen in materia di visti continueranno ad evolversi ed infine si stabilizzeranno in favore della Commissione
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Sabatino Michele, Il ruolo dell'identità nello sviluppo turistico dei territori minori in europa
1. Rivista elettronica del Centro di Documentazione Europea
dell’Università Kore di Enna
IL RUOLO DELL’IDENTITÀ NELLO SVILUPPO
TURISTICO DEI TERRITORI MINORI IN EUROPA
Michele Sabatino
Assistant Professor di Politica Economica nell’Università Kore di Enna
ABSTRACT: Il turismo ha sempre avuto e continuerà ad avere nel futuro un grandissimo potenziale dal
punto di vista culturale, politico ed economico. In Italia, malgrado la numerosa letteratura
specialistica e la ricchezza delle proprie risorse naturali e culturali, il turismo resta rilegato a un
ruolo di secondo ordine tra le priorità dei policy maker e non riesce ad esercitare quella funzione di
sviluppo che gli spetterebbe sia rispetto alla questione dei grandi poli turistici e culturali di attrazione
sia e soprattutto rispetto al patrimonio diffuso nei territori c.d. minori. L’articolo intende suggerire i
principali tratti di un percorso di sviluppo sostenibile attraverso l’analisi dei territori c.d. minori e/o
lenti. Allontanandoci da una visione esclusivamente economicistica si possono, infatti, individuare
nuove traiettorie di sviluppo sostenibile in cui le identità territoriali, la storia locale, il capitale
sociale, il patrimonio culturale e umano, diventano fattori strategici ed innovativi di qualsiasi politica
di sviluppo sostenibile. Tali fattori possono essere quindi le pre-condizioni in grado di generare
innovazione e sviluppo in un territorio. In definitiva l’articolo propone l’ipotesi di un sentiero di
sviluppo sostenibile da parte dei c.d. territori minori o lenti attraverso l’adesione ad un modello di
sviluppo fondato sullo stretto legame tra heritage e turismo, tra valore della cultura e del territorio e
rigenerazione socio-economica, tra tradizione ed innovazione in un approccio distrettuale in cui il
territorio, con la sua storia, tradizioni, identità costituisce un valore competitivo difficilmente
riproducibile
PAROLE CHIAVE: Identità locale, Territori “minori”, Turismo, Sviluppo locale, Capitale sociale
1. Introduzione
Il turismo ha sempre avuto e continuerà ad avere nel futuro un grandissimo potenziale
dal punto di vista culturale, politico ed economico. I viaggiatori internazionali nel 1980 erano
277 milioni e oggi superano il miliardo. Secondo le ultime stime dell'agenzia dell’ONU il
settore continuerà a crescere mediamente del 3,3% l’anno fino al 2030, con un’aggiunta di
oltre 40 milioni di nuovi turisti ogni 12 mesi e un totale di 1,8 miliardi di viaggiatori
internazionali tra meno di 20 anni, molti dei quali provenienti dalle economie emergenti:
Cina, Brasile, India e Russi in primis1. Crescita culturale, integrazione e sviluppo economico
rappresentano alcune delle opportunità che vanno considerate in questo scenario multipolare.
1
UNWTO,
Tourism Highlights, 2012.
www.koreuropa.eu
2. Rivista elettronica del Centro di Documentazione Europea
dell’Università Kore di Enna
In Italia il turismo, malgrado la numerosa letteratura specialistica e la ricchezza delle
proprie risorse naturali e culturali, resta rilegata ad un ruolo di secondo ordine tra le priorità
dei policy maker e non riesce ad esercitare quella funzione di sviluppo che le spetterebbe sia
rispetto ai grandi poli turistici e culturali di attrazione sia e soprattutto rispetto al patrimonio
diffuso dei territori c.d. minori.
In questo contesto si intendono suggerire i principali tratti di un percorso di sviluppo
sostenibile attraverso l’analisi dei territori minori, che vengono definiti lenti. Una possibile
metodologia di lavoro è quella di partire quindi da una nuova visione del territorio, che
attribuisce valore alle identità, al capitale sociale e al patrimonio culturale autoctono,
analizzando le relazioni tra comunità locali, identità e politiche di sviluppo sostenibile.
Allontanandoci quindi da una visione esclusivamente economicistica si possono individuare
nuove traiettorie di sviluppo sostenibile in cui le identità territoriali, la storia locale, il capitale
sociale, il patrimonio culturale e umano, diventano fattori strategici ed innovativi di qualsiasi
politica di sviluppo sostenibile.
Particolare attenzione dovrà quindi essere rivolta alla nozione di identità locale e di
capitale sociale evidenziando lo stretto legame tra questi fattori che fanno riferimento ad
ambiti relazionali presenti in un determinato contesto territoriale. Tali fattori possono essere
le pre-condizioni in grado di generare innovazione e sviluppo in quanto il territorio non è solo
il luogo in cui si accumulano e sedimentano conoscenze e capitale ma nel quale
dinamicamente si rinnovano, si riproducono e di espandono.
L’ultima sezione del presente lavoro presenterà quindi le possibilità di un sentiero di
sviluppo sostenibile da parte dei c.d. territori minori o lenti attraverso l’adesione ad un
modello di sviluppo fondato sullo stretto legame tra heritage e turismo, tra valore della
cultura e del territorio e rigenerazione socio-economica, tra tradizione ed innovazione in un
approccio distrettuale in cui il territorio, con la sua storia, tradizioni, identità costituisce un
valore competitivo difficilmente riproducibile.
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2. Identità locali, territori “lenti” e turismo
Negli ultimi anni diversi territori hanno attivato processi di sviluppo investendo sulla
valorizzazione delle identità locali, sull'attenzione per l'ambiente e per il patrimonio culturale
e umano, rendendo evidente la propria componente estetica e relazionale. Territorio e identità
permettono di creare nuove reti di relazione che vanno oltre i luoghi, verso modelli di
sviluppo locale e anche turistici che hanno bisogno di coesione sociale e autenticità ma che
promuovono sviluppo e competitività. Questi due fattori infatti, costituiscono quel patrimonio
intangibile, capace non solo di incrementarne il valore aggiunto, la competitività e la
visibilità, ma anche di promuovere il benessere della comunità locale.
Tali fattori sono gli elementi costitutivi di una nuova politica di sviluppo sostenibile a
favore del turismo dei territori c.d. “minori” o più precisamente, in una recente bibliografia,
“lenti”2. Questi territori, considerati marginali rispetto ai tradizionali flussi turistici ed
economici (vedi il caso dell’entroterra siciliano), riescono spesso ad individuare nel territorio,
nella sua peculiarità storica, antropologica e culturale, un fattore competitivo importante in
cui si rafforzano interessi e identità collettive e in cui la coesione sociale rappresenta un
valore aggiunto capace di promuovere distretti di qualità. Oggi viviamo una fase di ripersonalizzazione dell’economia e quindi anche dello spazio fisico, che pone al centro i
significati elaborati dalle persone e conferiti ai luoghi3.
Recentemente numerosi territori del Sud d’Italia ma anche nel resto dell’Europa, anche
con il sostegno di risorse comunitarie, hanno attivato autonomi percorsi di sviluppo locale
attraverso la valorizzazione delle proprie identità locali, dell’ambiente naturale e del
paesaggio, delle tradizioni storiche ed enogastronomiche nonché dei beni culturali e artistici
raccontando se stessi nel tempo e nello spazio. Si tratta di territori che si contraddistinguono
per una alta qualità della vita e del paesaggio urbano e rurale, sistemi relazionali profondi e
ampi, cultura, tradizione, storia. Il sistema economico produttivo non è l’unico elemento in
grado di generare creazione di reddito ma si inserisce in un più ampio sistema di creazione
2
3
CALZATI, Territori lenti, nuove traiettorie di sviluppo, Milano, 2011.
BONOMI e RULLANI, Il capitalismo personale. Vite al lavoro. Torino, 2005.
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della ricchezza locale nel quale sono compresi il patrimonio storico-artistico, il sistema delle
reciprocità umane e territoriali, la coesione sociale e il c.d. “capitale sociale”.
Tali territori c.d. “lenti” non evidenziano una situazione di ritardo o arretratezza
economica e sociale troppo marcata ma semplicemente mostrano tassi di sviluppo non
accelerati ma orientati alla crescita e alla qualità della vita. In alcuni di questi al centro del
sentiero di sviluppo non vi è solo la capacità del sistema produttivo di generare reddito e
occupazione dal settore manifatturiero tradizionale ma dalla combinazione di patrimonio
ambientale e artistico, capitale umano e relazionale, strumenti locali di gestione in grado di
generare
crescita
e
ricchezza
diffusa.
Generalmente
questi
tipi
di
territori
si
contraddistinguono per la bassa densità demografica, la presenza di un contesto rurale con una
antica tradizione agricola e una significativa percentuale di addetti nell’agricoltura, con un
patrimonio storico e artistico di qualità e una presenza diffusa di un sistema di piccole
imprese nel settore artigianale tipico. I modelli di sviluppo proposti sono quelli in cui si
segnalano attività agricole con produzioni tipiche di qualità, turismo sostenibile e diffuso di
attrattività e ospitalità (agriturismi, bed & breakfast, paesi-albergo, ect...), attività culturali
orientate alle tradizioni e alla storia locale, attività produttive di tipo artigianale
multisettoriale. Non sono riconoscibili quei territori in cui sono presenti modelli che si
fondono su un unico fattore di sviluppo quale appunto un polo industriale e produttivo,
squilibri demografici e condizioni di degrado ambientale significativo.
Non siamo lontani dalla messa in discussione del concetto di crescita come sinonimo di
“sviluppo” ma anzi dalla sua ri-definizione attraverso la consapevolezza di un concetto di
sviluppo più ampio e omnicomprensivo dove sono coinvolti la qualità della vita, gli aspetti
umani, culturali e relazionali. In questo ambito di discussione, ormai ad uno stadio avanzato,
si matura la consapevolezza della diversità tra crescita quantitativa di indicatori quali appunto
il
PIL
– Prodotto Interno Lordo o comunque in generale di qualsiasi grandezza quantitativa,
dal concetto di sviluppo in grado di individuare cambiamenti strutturali dell’economia e della
società e che comporta l’utilizzo di parametri di misurazione nuovi e diversi in grado di
misurare beni intangibili quali la fiducia, la coesione sociale, il grado di felicità e benessere, la
qualità della vita. Si tratta di utilizzare quindi strumenti di valutazione qualitativi e
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quantitativi dell’economia (valutazione multicriteriale) in grado di cogliere la natura
multidimensionale dello sviluppo, inteso come sviluppo sostenibile, comprendendo gli aspetti
economici, ambientali, sociali, culturali, umani e relazionali.
I contributi teorici sono numerosi a partire da BRINKMAN secondo cui il problema vada
ricercato nell’errore teorico commesso dalla teoria neoclassica della crescita che reputa tuttora
che crescita economica e sviluppo economico siano concettualmente equivalenti, in quanto
non assegna allo sviluppo economico gli aspetti della dinamica del cambiamento tecnologico,
e quindi trascura il suo impatto sul sistema economico e l’importanza delle trasformazioni e
degli aggiustamenti istituzionali. BRINKMAN afferma che molto probabilmente il problema
dell’approccio neoclassico risieda nell’ossessione di voler costruire dei modelli in cui si fa
un’analisi statica tralasciando la spiegazione delle trasformazioni (lo sviluppo) che avvengono
tra le varie posizioni di equilibrio4.
L’approccio che si concentra sulla crescita è perciò un approccio limitato e imperfetto
che ignora il carattere multidimensionale e plurale dei problemi legati allo sviluppo. Solo
recentemente le contrapposizioni teoriche tra crescita/sviluppo, anche grazie alle nuove forme
di green economy e soft economy, si sono ridimensionate, con la consapevolezza di un
concetto di sviluppo più ampio non dimenticando la sostenibilità delle risorse del pianeta e
dell’ambiente.
Questa visione multidimensionale dello sviluppo, che richiede l’adozione di misure in
grado di rappresentare i vari aspetti dello sviluppo sostenibile (vedi la Commissione Stigliz
sulla misura delle prestazioni economiche e del progresso sociale - 2009), costituisce
l’approccio più adeguato a qualsiasi politica di sviluppo dei territori “minori” o “lenti”. I
territori lenti infatti miscelano diverse forme di innovazione, partecipazione e coesione che
possono consentire di uscire dai margini economici e statistici e posizionarsi come aree
distrettuali competitive in grado di promuovere uno sviluppo diffuso e sostenibile. Si tratta di
segnalare quei fattori immateriali quali appunto l’identità locale, le relazione di reciprocità, il
4
BRINKMAN, Economic growth versus economic development: toward a conceptual clarification, Portland State,
1995.
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capitale sociale e i sistemi di governance istituzionali che sono in grado di generare un
percorso innovativo di sviluppo turistico locale.
In tale contesto la valorizzazione del territorio passa attraverso quegli elementi
intangibili come l’identità locale e il capitale sociale che costituiscono l’architrave culturale
su cui attivare nuove dinamiche di sviluppo locale e territoriale.
3.
Il capitale sociale come elemento di sviluppo
Il capitale sociale è un concetto relativamente recente e utilizzato in vari contesti di
ricerca e di studio (economia, sociologia, scienze politiche, management e studi di sviluppo).
La complessità legata alla sua multidimensionalità e alla forte componente immateriale che lo
caratterizza ha condotto gli studiosi nel corso degli anni a sviluppare varie definizioni di
capitale sociale, seguendo talvolta approcci differenti. Gli autori principali sono BOURDIEU
COLEMAN, PUTNAM e FUKUYAMA.
BOURDIEU definisce il capitale sociale come “the aggregate of the actual or potential
resources which are linked to possessions of a durable network of more or less
institutionalized relationships of mutual acquaintance and recognition - or in other words to
membership of a group - which provides each of its members with the backing of the
collectivity-owned capital, a “credential” which entitles them to credit, in the various senses
of the word.”. Il suo approccio si concentra sul singolo individuo, il quale sviluppa una rete
stabile di relazioni più o meno istituzionalizzate al fine di perseguire i propri obiettivi e
migliorare la propria posizione sociale. Al contrario la visione di COLEMAN si concentra sui
gruppi sociali, le organizzazioni e le società. In questo caso il capitale sociale non è
considerato un’entità singola che risiede nell’individuo ma come un’entità collettiva che
risiede nella struttura delle relazioni sociali.
PUTNAM introduce il concetto di fiducia e partecipazione civica come elementi che
possono migliorare l’efficienza della società, determinando la considerazione del concetto di
capitale sociale nei temi politici e di sviluppo. L’autore definisce il capitale sociale come
“features of social organization, such as trust, norms, and networks, that can improve the
efficiency of society by facilitating coordinated actions”.
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FUKUYAMA si concentra invece sui meccanismi di regolazione delle relazioni sociali e
definisce il capitale sociale come “the existence of a certain set of informal values or norms
shared among members of a group that permit cooperation among them”.
In prevalenza dunque le definizioni analizzate considerano il capitale sociale una risorsa
collettiva che dipende dalle relazioni che si instaurano all’interno dell’organizzazione sociale
e dalla loro stabilità nel tempo e dipendenza reciproca. Tali relazioni sociali innescano risorse
cognitive o normative che generano reti formali e fiduciarie in grado di stimolare la
cooperazione producendo valori simbolici.
Esistono varie classificazioni sviluppate negli anni dai vari studiosi per identificare le
dimensioni che compongono il concetto di capitale sociale. NAHAPIET e GHOSHAL
identificano tre dimensioni: strutturale, relazionale e cognitiva. KRISHNA e UPHOFF
considerano le dimensioni strutturale e normativa mentre CHOU e MODENA parlano di aspetti
strutturali e culturali (cognitivi).
È possibile dunque ricondurre i vari approcci presenti in letteratura a tre principali
dimensioni del capitale sociale:
- strutturale, legata alle forme di organizzazione sociale che permettono la relazione fra
gli attori di una comunità. Vengono definiti reti o network e permettono la eguale diffusione
della conoscenza al proprio interno generando una risorsa del sistema;
- normativa, riguarda i meccanismi che regolano le relazioni fra gli individui
ricollegabile a fattori quali la fiducia e la reciprocità che favoriscono la cooperazione
all’interno del sistema;
- cognitiva, i valori e le credenze che caratterizzano la cultura locale. PUTNAM sviluppa
il concetto di civicness inteso come lo sviluppo di valori etico-sociali condivisi conformando
il proprio interesse a quello della società.
Nella letteratura economica italiana il capitale sociale viene definito come
sedimentazione di ciò che viene investito nelle strutture relazionali fra individui e
organizzazioni. Stiamo parlando di beni collettivi di tipo relazionale tra attori che consentono
la diffusione di conoscenze e informazioni riducendo i costi di diffusione e favorendo la
capacità di coordinamento.
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GASTALDI
propone di estendere il concetto di capitale sociale legando fra loro
caratteristiche sociali, economiche, e culturali di un luogo e le specificità territoriali in una
logica dinamica. Sviluppa quindi il concetto di Capitale Sociale Territoriale (CST) inteso come
“il luogo delle interrelazioni tra risorse territoriali e risorse socio-culturali, funzionale alla loro
reciproca valorizzazione, alla crescita dell’identità e allo sviluppo locale”.
La visione più statica legata alle componenti storiche e culturali del capitale sociale è
stata riconsiderata infine in maniera dinamica in grado di adattarsi secondo le risorse anche
potenziali del territorio.
Il capitale sociale territoriale è quindi una caratteristica specifica di ogni territorio che
può essere più o meno “attiva” o “attivabile” in base al senso dell’imprenditorialità, alla
capacità di sviluppare una visione creativa del futuro, alla capacità di anticipare e prevedere
scenari, di programmare azioni, di tutelare risorse scarse, alla capacità di saper cogliere e
reinterpretare segnali esterni ed innovazioni.
Pertanto se i territori ai margini dello sviluppo urbano e industriale erano stati
considerati come aree avverse all’innovazione anche a causa della scarsità delle risorse e
dell’arretratezza culturale dei suoi attori politici, economici e sociali, nella nuove visione
post-fordista, in cui le nuove tecnologie della comunicazione svolgono un ruolo trainante, i
territori considerati ai margini, ostili alla innovazione, finiscono per divenire protagonisti di
uno sviluppo alternativo e possibile.
L’applicazione del concetto di capitale sociale al turismo e al territorio è, anche questa,
abbastanza recente e sono ancora limitati gli studi legati al ruolo giocato dal capitale sociale
per lo sviluppo locale delle destinazioni turistiche. La visione che accomuna tali studi è
tuttavia la capacità del capitale sociale di influenzare la partecipazione della comunità nello
sviluppo turistico dell’area.
4. Identità locali e comportamenti turistici
Nei territori c.d. minori, portatori quindi di una visione innovativa del territorio come
valore, in cui è presente in maniera più marcata la divergenza tra qualità della vita e crescita
del
PIL,
l’identità locale, come anche il capitale sociale, costituisce una componente
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importante del sistema turistico del territorio. Un territorio infatti si definisce oggi anche per
la sua identità, ossia per l’insieme di tutte quelle componenti costruite attorno ad un progetto
di trasformazione continua e si rinnova attraverso processi di modernizzazione.
Nella più recente letteratura un territorio si definisce infatti attraverso il coordinamento
di componenti geografiche, naturalistiche, paesaggistiche, antropiche e storiche. Tuttavia per
essere definito e/o definibile come tale ha bisogno di una sua coerenza: quale appunto
l'identità locale. Il territorio è quindi formato anche da aspetti riconducibili all’identità
territoriali e alle popolazioni che lo abitano e grazie ai quali si struttura ciò che è stata definita
“soggettività locale” 5.
In questo quadro il territorio, in quanto composto da fattori storici, culturali e sociali
nonché di organizzazione della produzione e dei processi di cambiamento economico, non
può non svolgere che un ruolo attivo nello sviluppo dell’area stessa. Il territorio diviene luogo
dove hanno origine relazioni e competenze e dove si scambiano informazioni e conoscenze.
L’identità locale quindi è intesa in una duplice accezione: come percezione e
rappresentazione di sé da parte degli attori del territorio e come un luogo viene percepito
dall’esterno. La prima concorre alla costruzione della vision di un intero territorio mentre la
seconda assume un ruolo fondamentale nella valorizzazione e promozione turistica di un
territorio6.
I dati più recenti sui comportamenti turistici degli europei confermano, inoltre, come
l’identità delle località visitate risulti un elemento determinante nella scelta delle destinazioni
turistiche, attuata dalla maggioranza dei casi (32%) sulla base dell’ambiente locale inteso
nell’accezione di attrattività globale dei luoghi (Commissione UE, 2010).
Le più recenti indagini di mercato, d’altro canto, indicano chiaramente quanto ormai il
turista-viaggiatore intenda sempre più la “vacanza” come un’esperienza personale che deve
essere il più possibile autentica, quanto ormai sia stuzzicato da nuove motivazioni culturali e
tentato dalla riscoperta delle tradizioni locali, con una forte propensione a forme alternative di
ricettività quali bed & breakfast, agriturismi, soggiorni in castelli e residenze storiche.
5
6
SAVELLI, Turismo, territorio e identità, Milano, 2004.
CALZATI, Il ruolo dell’identità, capitale sociale e certificazione territoriali, Perugia, 2012.
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In Italia la domanda legata all’ospitalità nei territori e centri urbani “minori”, al di fuori
dei tradizionali percorsi turistici, e legata ai prodotti dell’enogastronomia e alla scoperta del
patrimonio artistico ed architettonico, degli usi e dei costumi delle comunità locali, è in
costante aumento. Il turismo culturale, che si muove alla scoperta del nostro ampio
patrimonio, fatto di città d’arte, di eventi, di manifestazioni, e di tradizioni enogastronomiche
e religiose, fa registrare, meglio delle altre tipologie di turismo, un andamento positivo, con
tassi di crescita medi, negli ultimi anni, del 5-8%. La valenza peculiare del sistema della
tipicità italiana, fondata su paesaggio, valori ambientali, patrimonio artistico e monumentale,
cultura, varietà gastronomiche, consente sempre più di parlare di una risorsa strategica per
l’economia italiana e soprattutto per quella dei territori in ritardo di sviluppo.
In tutto ciò acquista importanza il legame tra la percezione del turista da una parte e
l’identità e l’immagine del territorio dall’altra. E’ necessario allora, prima di parlare di
politiche per il turismo, sia a livello comunitario che nazionale e territoriale, individuare
l’identità che un dato territorio possiede (o è in grado di esprimere), per poi svilupparne
un’immagine turistica e monitorare quanto entrambe confluiscano nella percezione dei turisti.
È’ questa identità territoriale, adeguatamente delineata, che può porsi come premessa
fondamentale di quello sviluppo che metterebbe in grado gli attori territoriali di presentare al
mercato offerte turistiche che non sfruttano il territorio ma, anzi, lo potenziano.
Il turismo si trasforma quindi in un elemento innovativo, potenzialmente in grado di
rafforzare la ricchezza immateriale e il senso di appartenenza di una comunità al suo
territorio. Per raggiungere lo scopo è però necessaria un’interazione stretta con la comunità,
per rafforzarne il suo senso d’appartenenza al territorio, accelerando nel contempo
l’interazione anche con gli altri settori dell’economia locale. In una parola c’è bisogno di un
quadro istituzionale e politico adeguato a questo scopo.
5. Politiche di sviluppo turistico dei territori minori in Europa
Il turismo, ed in particolare il turismo nelle aree di ritardo di sviluppo dell’Unione
Europea, soffre di una difficile dicotomia: preservare e conservare le risorse che un territorio
può offrire, da un lato; valorizzarle e “sfruttarle”, dall’altro.
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11. Rivista elettronica del Centro di Documentazione Europea
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Sono ormai anni che l’Unione Europea considera il turismo una risorsa economica
rilevante: lo sviluppo economico e competitivo degli Stati membri passa anche attraverso la
valorizzazione e la promozione turistica del territorio; per questo motivo sono numerosi i
pareri e i programmi europei che dettano disposizioni e prevedono interventi per questo
settore, mettendo le risorse culturali, paesaggistiche ed enogastronomiche al centro degli
interventi. Non a caso, il Comitato economico e sociale europeo, ha approvato un parere sul
tema “Turismo e cultura: due forze al servizio della crescita” (2006), nel quale sottolinea
come questi due settori possano contribuire al raggiungimento degli obiettivi della crescita e
dell’occupazione definiti dalla Strategia di Lisbona. Valorizzare e sviluppare questo settore
significa creare nuove opportunità di sviluppo e di crescita degli Stati membri in generale e
delle realtà di minore dimensione demografica in particolare. Il parere individua inoltre
quattro segmenti di turismo culturale, legati a: patrimonio artistico; eventi, mostre e
manifestazioni; enogastronomia e turismo rurale; parchi tematici e culturali e sottolinea come
la presenza di questi fattori indirizzi sempre più spesso le scelte dei turisti.
In linea con gli indirizzi contenuti del parere del Comitato economico e sociale anche
l’ultimo Quadro Comunitario di Sostegno 2007 – 2013 ha riconosciuto la valenza strategica
del turismo per le regioni in ritardo di competitività. L’obiettivo dichiarato della
valorizzazione delle risorse naturali e culturali è necessario per aumentare l’attrattività anche
turistica dei territori minori attraverso una strategia che tenga conto di tutte le risorse presenti
sul territorio.
In coerenza con quanto detto, sia a livello comunitario che anche in ambito nazionale
attraverso i recenti documenti strategici in materia di turismo7, nei territori minori si evidenzia
quindi, in termini di policy, la necessità di “fare sistema” al fine di superare la connotazione
settoriale del turismo e di restituirlo ad un vocazione multidimensionale in grado di
coinvolgere l’intero territorio e la popolazione che lo compone. Si deve stabilire quindi la
necessità di costituire un “patto sociale territoriale” nel promuovere l’accoglienza e la
permanenza del turista consumatore viaggiatore. I territori devono individuare un capitale
Piano Strategico Nazionale per lo sviluppo del Turismo “Italia 2020” – Ministero del turismo e dello Sport –
2012.
7
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12. Rivista elettronica del Centro di Documentazione Europea
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sociale disponibile in grado di: definire una offerta turistica differenziata ed integrata nei
contenuti e nei valori, rispondendo all’attuale domanda di consumo turistico e di vacanza che
si traduce in un nuovo “stile di consumo” orientato alle relazioni, all’incontro, allo scambio,
all’esperienza. Necessitano quindi politiche di gestione integrata delle risorse naturali e
culturali (con forme sinergiche pubblico-privato), dell’attivazioni di politiche bottom-up, di
cooperazione e concertazione, di nuovi strumenti di certificazione e identificazione (brand
turistico), di organizzazione dell’accoglienza in modo diffuso e con basso impatto (B&B,
agriturismi, ostelli, ect...), di formazione delle risorse umane e professionali ma soprattutto dei
servizi di accoglienza e accompagnamento.
Si tratta in definitiva di immaginare uno sviluppo sostenibile dei territori c.d. “minori” o
“lenti” che sappiamo proporre al turista viaggiatore una esperienza unica e speciale in forte
contatto con la comunità locale e con la sua identità.
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