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N. 1 OTTOBRE 2016
LA RIFORMA
COSTITUZIONALE
	
  
 
	
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I DOCUMENTI DELLE ACLI
	
  
LE ACLI
SULLA RIFORMA COSTITUZIONALE
Una pedagogia costituzionale
L’imminente scadenza referendaria rappresenta per le Acli una preziosa occasione per
riscoprire l’azione politica dell’associazione e l’originaria funzione formativa di
movimento di pedagogia sociale e popolare che sin dalle origini ne ha caratterizzato
l’identità. Infatti, in vista del referendum di dicembre, per promuovere una
partecipazione consapevole alla vita politica del Paese, le Acli hanno scelto di
intraprendere un percorso che ha coinvolto tutta la rete associativa e che ha consentito
la maturazione di un pensiero diffusamente condiviso. A partire dal mese di giugno, nelle
città e nei circoli, è stato promosso un numero considerevole di dibattiti sulla
Costituzione. Se ne sollecitavano almeno un centinaio, ma il numero di tavole rotonde,
convegni e seminari promossi dal movimento aclista in tutta Italia ha superato di gran
lunga questo numero. Gli incontri continueranno per tutta la campagna referendaria,
perché siamo convinti che gli italiani vogliano sapere, essere coinvolti, partecipare e
maturare scelte consapevoli rispetto al nuovo quadro istituzionale che tanto potrebbe
incidere nelle vite quotidiane di tutti noi. Forse sono anche un po’ stanchi e delusi di chi
ha ingaggiato una disputa tutta ideologica, di schieramento.
Sappiamo che il referendum confermativo pone il Paese di fronte ad un cambiamento
rilevante che, pur rispondendo a una domanda diffusa, accanto ad elementi di novità
presenta alcuni aspetti problematici. Di qui la nostra scelta di promuovere momenti
d’informazione e di discernimento. Siamo infatti consapevoli che i temi su cui si gioca
l'agenda politica sono tanti e spesso mutano nel giro di pochi mesi. Proprio per questo
occorre sostenere un metodo di confronto, sollecitare un dibattito serio e informato. È
proprio così che continueremo in quest’opera di pedagogia popolare che dà alle Acli un
profilo così chiaro, così tipico.
 
	
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Il dibattito interno alle Acli, soprattutto nelle province e nelle regioni, è stato serrato,
mettendo in luce diversi punti vista. È questo un chiaro segnale della vitalità del nostro
movimento che conferma la propria vocazione alla democrazia e alla partecipazione:
siamo plurali e siamo orgogliosi di esserlo. Su un aspetto però siamo sempre stati tutti
d’accordo: quello di evitare il rischio, tutt’altro che ipotetico, di strumentalizzazioni e di
rese dei conti tra fazioni politiche contrarie.
Le istituzioni possono essere modificate, adeguate. In altre parole, riformate. Perché
sappiamo che il mondo cambia e anche le istituzioni possono e devono cambiare.
Perché sappiamo che senza un'adeguata manutenzione istituzionale la politica si
trasforma in antipolitica. Per questo riteniamo opportuno che si riformi l'assetto
istituzionale, anche se, forse, la forte accelerazione in tal senso, così come il persistente
e preesistente conflitto tra le classi dirigenti del Paese, non ha sempre consentito le
condivisioni e gli approfondimenti utili e necessari.
La riforma costituzionale la leggiamo come un tentativo di risposta ad un percorso
iniziato nel lontano 1948 e nel valutarla abbiamo tenuto conto che, nonostante alcuni
limiti che la caratterizzano, può produrre degli effetti positivi.
La Carta d’identità della Repubblica
Cosa cambiare, dunque? La prima parte della Costituzione ci appare ancora oggi
attuale nei suoi principi fondamentali, è la “carta d’identità” della nostra Repubblica, ma
non c'è dubbio che la seconda abbia invece bisogno di una robusta manutenzione. Un
atteggiamento di ostinata opposizione ad ogni forma di cambiamento, anche della sua
parte “organizzativa”, ci sembra non solo anacronistico ma controproducente proprio
per la salvaguardia dei principi e dei valori fondamentali della Costituzione stessa.
Siamo convinti che - al di là delle ragioni del “sì” e del “no” - il referendum confermativo
rappresenti un’importante occasione per rifondare intorno alla Costituzione la cultura
politica e l’identità del Paese.
 
	
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È nostra ferma convinzione che la campagna referendaria non debba essere un terreno
di scontro tra i sostenitori e i detrattori del Governo, ma un momento di confronto
democratico e di coinvolgimento di tutti i cittadini. Il voto referendario non può e non
deve esprimere una valutazione favorevole o contraria sull’operato complessivo del
Governo, ma va letto per quello che è: un serio tentativo di sviluppo del dettato
costituzionale che potrebbe portare a compimento una lunga transizione iniziata da più
di un quarto di secolo e, purtroppo, non ancora conclusa. Le ragioni del “sì” e quelle del
“no” dovrebbero dunque limitarsi ad esprimere una valutazione delle scelte compiute
dalla maggioranza del Parlamento nel rispetto delle procedure di revisione della Carta
costituzionale previste dall’art. 138 della Costituzione. Non bisogna dimenticare che ad
essere in discussione non è la tenuta del Governo, ma è qualcosa di più e, soprattutto,
di diverso: le regole comuni, l’identità della democrazia che vuole darsi il popolo italiano.
Analisi
IL BICAMERALISMO E LA FUNZIONE LEGISLATIVA
La successione dei tentativi volti a superare il bicameralismo paritario denuncia tutta
l’insoddisfazione, ad iniziare dagli stessi padri costituenti, per il bicameralismo delineato
dalla Costituzione: due Camere, entrambe elette direttamente, con le stesse funzioni e
tutti gli appesantimenti in termini economici, politici e temporali che tale duplicato
comporta. Il bicameralismo perfetto in questi anni ha di fatto impedito al Parlamento di
esercitare pienamente la funzione legislativa, consegnandola al Governo con la
decretazione d’urgenza.
Con la riforma, la Camera dei deputati diventerebbe l’unica titolare del rapporto
fiduciario con il Governo e della funzione d’indirizzo politico; approverebbe i disegni di
legge, con l’eventuale intervento del Senato, salvo i casi previsti in cui la funzione
legislativa è bicamerale. Peraltro, il nuovo procedimento legislativo per le leggi non
bicamerali prevede alcuni vincoli temporali che potrebbero ridurre significativamente i
tempi di discussione e di approvazione delle stesse.
Parallelamente, s’introducono alcuni limiti alla possibilità di adottare decreti legge da
 
	
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parte del Governo, di cui non si altera la natura parlamentare. Piuttosto, se ne rende più
trasparente l’azione attraverso la fiducia espressa da una sola Camera, superando
l’instabilità derivante da possibili diverse maggioranze nei due rami del Parlamento.
Il Senato, configurato ora come sede della rappresentanza territoriale, acquisisce,
invece, una propria specificità, svolgendo un ruolo di raccordo tra Stato, autonomie
locali e Unione europea, ma anche di controllo e di valutazione delle politiche pubbliche.
Una innovazione importante è l’introduzione dello Statuto delle opposizioni a garanzia
delle minoranze.
PER UNA NUOVA DEMOCRAZIA PARTECIPATIVA
Ci paiono rafforzati, con l’articolo 71, gli istituti di democrazia partecipativa quali le leggi
d’iniziativa popolare - con la garanzia costituzionale ad essere discusse in Parlamento -,
l’introduzione del referendum propositivo e di quello d’indirizzo, nonché di altre forme di
consultazione. Sono strumenti che la Costituzione prevede per favorire la
partecipazione dei cittadini e delle formazioni sociali alla determinazione delle politiche
pubbliche. Da segnalare, inoltre, l’innovativa funzione, da parte del Senato, di valutazione
delle politiche pubbliche e della verifica dell’impatto delle politiche dell’Unione europea
sui territori (art. 55 Cost.). Sono aspetti, questi, che consentiranno alla società civile di
esprimere autonomamente e direttamente il proprio punto di vista.
LA RAPPRESENTANZA DELLE REGIONI
La riforma rivede le competenze legislative tra Stato e Regioni con il fine di eliminare o
perlomeno ridurre i contenziosi che hanno minato la certezza della legislazione,
l’efficacia e l’unitarietà delle politiche pubbliche. Sono infatti definite con maggiore
chiarezza le competenze dello Stato (come le politiche attive del lavoro, le disposizioni
generali per la tutela della salute, l'ordinamento scolastico, ecc.) ed è introdotta la
cosiddetta clausola di supremazia: su proposta del Governo, nell’interesse nazionale, la
legge dello Stato può intervenire in materie non attribuite dalla Costituzione alla
 
	
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competenza esclusiva. Le specifiche materie di competenza regionale sono
espressamente individuate, ferma restando la clausola generale residuale.
Un giudizio positivo
Nel complesso la riforma sembra garantire istituzioni più efficienti ed adeguate,
indispensabili per il rilancio del nostro Paese. La riforma, infatti, oltre a determinare un
risparmio per le spese dello Stato – derivante dal taglio dei costi della politica (riduzione
del numero di parlamentari, abolizione delle province, soppressione del Cnel) –
dovrebbe avere effetti positivi anche sull’economia del Paese proprio in virtù del fatto
che le riforme istituzionali (costituzionali, elettorali, regolamentari), unitamente a quelle
della pubblica amministrazione, del mercato del lavoro, della scuola, della giustizia e del
sistema bancario e a una razionalizzazione dei rapporti tra poteri locali e potere
centrale, rappresentano la premessa indispensabile per un rilancio solido e duraturo
dell’Italia.
Stabilità politica, governi e organi di rappresentanza più funzionali, procedure legislative
meno complesse e tempi di decisione più ristretti, superamento della conflittualità fra
Stato centrale, Regioni ed enti locali sono una variabile determinante per rilanciare e
rafforzare la crescita del Paese. Tutti obiettivi che si cerca di raggiungere da tempo. Su
diversi aspetti sarà poi opportuno intervenire con successive iniziative legislative – sia di
tipo costituzionale che ordinario, oltre che regolamentare ed amministrativo – per
correggerne o per ricalibrare in senso migliorativo quegli aspetti critici che solo con la
loro completa applicazione emergeranno. Peraltro, in alcuni di questi ambiti ancora
poco definiti potrebbero aprirsi spazi rilevanti per le proposte provenienti dalla società
civile: questa riforma può rappresentare un’occasione importante per rilanciare il
protagonismo politico dei corpi intermedi.
Più incerta ci appare l’elezione del Presidente della Repubblica – che potrà essere
eletto dalla maggioranza dei parlamentari che partecipano al voto e non dagli aventi
diritto – e la composizione del Senato: per coerenza con la sua funzione avrebbe dovuto
essere composto dai presidenti delle giunte e da sindaci. Invece i senatori, per come
 
	
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saranno eletti, avranno una duplice e contrapposta rappresentatività: da un lato
territoriale e dall’altro politico-partitica. Peraltro, nel disegno originario della riforma era
prevista una significativa rappresentanza della società civile, a ragione del principio di
sussidiarietà e di completezza della rappresentanza territoriale (le istituzioni locali e il
territorio): questo, anche in conseguenza della soppressione del Cnel. Questa
rappresentanza è poi venuta meno nella discussione parlamentare della riforma della
Costituzione. Sarà dunque necessario che la legislazione successiva e la riforma dei
Regolamenti, soprattutto per attuare gli artt. 55 e 71 della Costituzione, prevedano
forme e luoghi permanenti di partecipazione e di consultazione dei soggetti sociali. Per
completare l’ispirazione di fondo su cui poggia la riforma del Senato bisognerà aprire
una seria discussione anche sul futuro delle Conferenze Stato-Regioni, Stato-città ed
Unificata oltre che dei Cal (Consigli delle Autonomie Locali) regionali. E anche su questo
terreno, le formazioni sociali, quali rappresentanze del territorio, potranno dire la loro. In
altre parole, si potrebbe aprire una stagione interessante per ridefinire e per praticare
in termini nuovi la sussidiarietà verticale e orizzontale, valori anch’essi
costituzionalmente garantiti in una visione poliarchica del Paese.
Oltre alla composizione del Senato, altri due aspetti ci sembrano poco definiti. La
riforma si completa con il rimando a successive norme di varia natura: costituzionale,
legislativa, regolamentare, amministrativa. In tutto sono 21 gli adempimenti che
prevedono atti successivi senza che però siano fissati tempi certi di deliberazione.
Confidiamo che i partiti si assumano sin d’ora l’impegno di farlo entro la scadenza di
questa legislatura.
La riforma dei partiti e della legge elettorale
Non possiamo poi ignorare che la riforma costituzionale si accompagna ad altre
riforme, a partire da quella elettorale per la quale s’invoca una modifica, dal momento
che questa non può limitarsi a garantire una pur necessaria governabilità: lo deve fare
coerentemente con l’idea di rappresentanza che intende suggerire, tenendo presente
che le sorgenti di tale rappresentanza sono i partiti politici, le organizzazioni della
società civile e il territorio e considerando gli effetti che si generano sull’equilibrio dei
 
	
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poteri. Ma urge anche una riforma degli attori istituzionali della politica: quella dei partiti
è una riforma che stenta a definirsi.
La versione approvata in prima lettura fotografa la situazione attuale ma è poco incisiva
sugli aspetti della democrazia interna ovvero sulla formazione e sulla certezza del corpo
associativo, sui diritti dei soci e delle minoranze, sulla determinazione delle candidature,
degli organi interni e della distribuzione delle risorse.
La riforma dei partiti si sarebbe dovuta fare prima del referendum confermativo.
Perché, come recita l'art. 49 Cost., la determinazione della politica nazionale con
metodo democratico implica una pluralità di partiti che concorrono. E noi sottolineiamo
che partecipare con metodo democratico significa modi di finanziamento e di selezione
della classe dirigente entrambi chiari e trasparenti. Una maggiore trasparenza fa
acquistare credibilità: si saprebbe chi finanzia e come sono spesi i finanziamenti, quale
rapporto esiste con le fondazioni collaterali e con quali modi si realizza la propaganda e
la comunicazione elettorale. Una maggiore credibilità fa acquistare fiducia: si saprebbe
come si arriva a certe nomine o ad altre designazioni. Si potrebbe incentivare lo
svolgimento delle primarie regolamentandole e introducendo comunque forme
trasparenti di selezione delle candidature. Questa può essere la via per rafforzare
l'istituzione partitica – con un chiaro statuto e modalità di ricambio della classe
dirigente – evitando così ridicole scissioni e costanti migrazioni del ceto politico. La
riforma dei partiti è essenziale per tenere in vita la democrazia, renderla ancora
interessante, stimolante, pulita. È intenzione delle Acli incalzare con proprie proposte i
partiti e il Parlamento affinché approvino presto una legge di attuazione dell’art. 49
Cost., perché solo un Parlamento e partiti politici efficaci ed efficienti possono garantire
la realizzazione di politiche realmente inclusive.
Considerazioni finali
Sappiamo che gli esiti finali di questa riforma sono difficili da immaginare sul lungo
periodo. Certamente, sul breve periodo, ci rendiamo contro che una eventuale vittoria
del “no” metterebbe seriamente in crisi il lavoro dell'attuale Esecutivo, che – a partire
 
	
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anche dal lavoro del Governo presieduto da Enrico Letta – sta cercando con forza
d’intervenire sulla condizione di inerzia di questo nostro Paese. Il Governo Renzi – che
nasce con l’obiettivo di fare le riforme – potrà anche “non piacere”, ma noi abbiamo
bisogno di stabilità, responsabilità e innovazione. Sul medio periodo un esito negativo
quasi certamente inciderà sulla spinta riformatrice, rimandando a data da destinarsi
una stagione che – dagli anni Novanta in poi – ha chiesto alla politica di cambiare i
propri schemi. La politica è imprevedibile, ma ragionevolmente una vittoria del “no”
rischia di esaurire una volontà.
Per questo le Acli continueranno ad impegnarsi affinché i cittadini italiani possano
esercitare liberamente e con consapevolezza - fuori da ogni inutile contrapposizione
personalistica e ideologica - il loro diritto di voto, non astenendosi o rifugiandosi nel non
voto. L’appuntamento è troppo importante per disertare le urne. L’appello delle Acli ad
informarsi e a recarsi ai seggi il 4 dicembre per votare. La considerazione finale è che le
direttrici di fondo della riforma siano del tutto positive e largamente condivise, che sarà
necessario proseguire con una manutenzione costituzionale e che, pertanto, una
vittoria del “sì” potrà permettere il proseguimento di una stagione di riforme.
	
  

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LE ACLI SULLA RIFORMA COSTITUZIONALE

  • 1.   N. 1 OTTOBRE 2016 LA RIFORMA COSTITUZIONALE  
  • 2.     1   I DOCUMENTI DELLE ACLI   LE ACLI SULLA RIFORMA COSTITUZIONALE Una pedagogia costituzionale L’imminente scadenza referendaria rappresenta per le Acli una preziosa occasione per riscoprire l’azione politica dell’associazione e l’originaria funzione formativa di movimento di pedagogia sociale e popolare che sin dalle origini ne ha caratterizzato l’identità. Infatti, in vista del referendum di dicembre, per promuovere una partecipazione consapevole alla vita politica del Paese, le Acli hanno scelto di intraprendere un percorso che ha coinvolto tutta la rete associativa e che ha consentito la maturazione di un pensiero diffusamente condiviso. A partire dal mese di giugno, nelle città e nei circoli, è stato promosso un numero considerevole di dibattiti sulla Costituzione. Se ne sollecitavano almeno un centinaio, ma il numero di tavole rotonde, convegni e seminari promossi dal movimento aclista in tutta Italia ha superato di gran lunga questo numero. Gli incontri continueranno per tutta la campagna referendaria, perché siamo convinti che gli italiani vogliano sapere, essere coinvolti, partecipare e maturare scelte consapevoli rispetto al nuovo quadro istituzionale che tanto potrebbe incidere nelle vite quotidiane di tutti noi. Forse sono anche un po’ stanchi e delusi di chi ha ingaggiato una disputa tutta ideologica, di schieramento. Sappiamo che il referendum confermativo pone il Paese di fronte ad un cambiamento rilevante che, pur rispondendo a una domanda diffusa, accanto ad elementi di novità presenta alcuni aspetti problematici. Di qui la nostra scelta di promuovere momenti d’informazione e di discernimento. Siamo infatti consapevoli che i temi su cui si gioca l'agenda politica sono tanti e spesso mutano nel giro di pochi mesi. Proprio per questo occorre sostenere un metodo di confronto, sollecitare un dibattito serio e informato. È proprio così che continueremo in quest’opera di pedagogia popolare che dà alle Acli un profilo così chiaro, così tipico.
  • 3.     2   Il dibattito interno alle Acli, soprattutto nelle province e nelle regioni, è stato serrato, mettendo in luce diversi punti vista. È questo un chiaro segnale della vitalità del nostro movimento che conferma la propria vocazione alla democrazia e alla partecipazione: siamo plurali e siamo orgogliosi di esserlo. Su un aspetto però siamo sempre stati tutti d’accordo: quello di evitare il rischio, tutt’altro che ipotetico, di strumentalizzazioni e di rese dei conti tra fazioni politiche contrarie. Le istituzioni possono essere modificate, adeguate. In altre parole, riformate. Perché sappiamo che il mondo cambia e anche le istituzioni possono e devono cambiare. Perché sappiamo che senza un'adeguata manutenzione istituzionale la politica si trasforma in antipolitica. Per questo riteniamo opportuno che si riformi l'assetto istituzionale, anche se, forse, la forte accelerazione in tal senso, così come il persistente e preesistente conflitto tra le classi dirigenti del Paese, non ha sempre consentito le condivisioni e gli approfondimenti utili e necessari. La riforma costituzionale la leggiamo come un tentativo di risposta ad un percorso iniziato nel lontano 1948 e nel valutarla abbiamo tenuto conto che, nonostante alcuni limiti che la caratterizzano, può produrre degli effetti positivi. La Carta d’identità della Repubblica Cosa cambiare, dunque? La prima parte della Costituzione ci appare ancora oggi attuale nei suoi principi fondamentali, è la “carta d’identità” della nostra Repubblica, ma non c'è dubbio che la seconda abbia invece bisogno di una robusta manutenzione. Un atteggiamento di ostinata opposizione ad ogni forma di cambiamento, anche della sua parte “organizzativa”, ci sembra non solo anacronistico ma controproducente proprio per la salvaguardia dei principi e dei valori fondamentali della Costituzione stessa. Siamo convinti che - al di là delle ragioni del “sì” e del “no” - il referendum confermativo rappresenti un’importante occasione per rifondare intorno alla Costituzione la cultura politica e l’identità del Paese.
  • 4.     3   È nostra ferma convinzione che la campagna referendaria non debba essere un terreno di scontro tra i sostenitori e i detrattori del Governo, ma un momento di confronto democratico e di coinvolgimento di tutti i cittadini. Il voto referendario non può e non deve esprimere una valutazione favorevole o contraria sull’operato complessivo del Governo, ma va letto per quello che è: un serio tentativo di sviluppo del dettato costituzionale che potrebbe portare a compimento una lunga transizione iniziata da più di un quarto di secolo e, purtroppo, non ancora conclusa. Le ragioni del “sì” e quelle del “no” dovrebbero dunque limitarsi ad esprimere una valutazione delle scelte compiute dalla maggioranza del Parlamento nel rispetto delle procedure di revisione della Carta costituzionale previste dall’art. 138 della Costituzione. Non bisogna dimenticare che ad essere in discussione non è la tenuta del Governo, ma è qualcosa di più e, soprattutto, di diverso: le regole comuni, l’identità della democrazia che vuole darsi il popolo italiano. Analisi IL BICAMERALISMO E LA FUNZIONE LEGISLATIVA La successione dei tentativi volti a superare il bicameralismo paritario denuncia tutta l’insoddisfazione, ad iniziare dagli stessi padri costituenti, per il bicameralismo delineato dalla Costituzione: due Camere, entrambe elette direttamente, con le stesse funzioni e tutti gli appesantimenti in termini economici, politici e temporali che tale duplicato comporta. Il bicameralismo perfetto in questi anni ha di fatto impedito al Parlamento di esercitare pienamente la funzione legislativa, consegnandola al Governo con la decretazione d’urgenza. Con la riforma, la Camera dei deputati diventerebbe l’unica titolare del rapporto fiduciario con il Governo e della funzione d’indirizzo politico; approverebbe i disegni di legge, con l’eventuale intervento del Senato, salvo i casi previsti in cui la funzione legislativa è bicamerale. Peraltro, il nuovo procedimento legislativo per le leggi non bicamerali prevede alcuni vincoli temporali che potrebbero ridurre significativamente i tempi di discussione e di approvazione delle stesse. Parallelamente, s’introducono alcuni limiti alla possibilità di adottare decreti legge da
  • 5.     4   parte del Governo, di cui non si altera la natura parlamentare. Piuttosto, se ne rende più trasparente l’azione attraverso la fiducia espressa da una sola Camera, superando l’instabilità derivante da possibili diverse maggioranze nei due rami del Parlamento. Il Senato, configurato ora come sede della rappresentanza territoriale, acquisisce, invece, una propria specificità, svolgendo un ruolo di raccordo tra Stato, autonomie locali e Unione europea, ma anche di controllo e di valutazione delle politiche pubbliche. Una innovazione importante è l’introduzione dello Statuto delle opposizioni a garanzia delle minoranze. PER UNA NUOVA DEMOCRAZIA PARTECIPATIVA Ci paiono rafforzati, con l’articolo 71, gli istituti di democrazia partecipativa quali le leggi d’iniziativa popolare - con la garanzia costituzionale ad essere discusse in Parlamento -, l’introduzione del referendum propositivo e di quello d’indirizzo, nonché di altre forme di consultazione. Sono strumenti che la Costituzione prevede per favorire la partecipazione dei cittadini e delle formazioni sociali alla determinazione delle politiche pubbliche. Da segnalare, inoltre, l’innovativa funzione, da parte del Senato, di valutazione delle politiche pubbliche e della verifica dell’impatto delle politiche dell’Unione europea sui territori (art. 55 Cost.). Sono aspetti, questi, che consentiranno alla società civile di esprimere autonomamente e direttamente il proprio punto di vista. LA RAPPRESENTANZA DELLE REGIONI La riforma rivede le competenze legislative tra Stato e Regioni con il fine di eliminare o perlomeno ridurre i contenziosi che hanno minato la certezza della legislazione, l’efficacia e l’unitarietà delle politiche pubbliche. Sono infatti definite con maggiore chiarezza le competenze dello Stato (come le politiche attive del lavoro, le disposizioni generali per la tutela della salute, l'ordinamento scolastico, ecc.) ed è introdotta la cosiddetta clausola di supremazia: su proposta del Governo, nell’interesse nazionale, la legge dello Stato può intervenire in materie non attribuite dalla Costituzione alla
  • 6.     5   competenza esclusiva. Le specifiche materie di competenza regionale sono espressamente individuate, ferma restando la clausola generale residuale. Un giudizio positivo Nel complesso la riforma sembra garantire istituzioni più efficienti ed adeguate, indispensabili per il rilancio del nostro Paese. La riforma, infatti, oltre a determinare un risparmio per le spese dello Stato – derivante dal taglio dei costi della politica (riduzione del numero di parlamentari, abolizione delle province, soppressione del Cnel) – dovrebbe avere effetti positivi anche sull’economia del Paese proprio in virtù del fatto che le riforme istituzionali (costituzionali, elettorali, regolamentari), unitamente a quelle della pubblica amministrazione, del mercato del lavoro, della scuola, della giustizia e del sistema bancario e a una razionalizzazione dei rapporti tra poteri locali e potere centrale, rappresentano la premessa indispensabile per un rilancio solido e duraturo dell’Italia. Stabilità politica, governi e organi di rappresentanza più funzionali, procedure legislative meno complesse e tempi di decisione più ristretti, superamento della conflittualità fra Stato centrale, Regioni ed enti locali sono una variabile determinante per rilanciare e rafforzare la crescita del Paese. Tutti obiettivi che si cerca di raggiungere da tempo. Su diversi aspetti sarà poi opportuno intervenire con successive iniziative legislative – sia di tipo costituzionale che ordinario, oltre che regolamentare ed amministrativo – per correggerne o per ricalibrare in senso migliorativo quegli aspetti critici che solo con la loro completa applicazione emergeranno. Peraltro, in alcuni di questi ambiti ancora poco definiti potrebbero aprirsi spazi rilevanti per le proposte provenienti dalla società civile: questa riforma può rappresentare un’occasione importante per rilanciare il protagonismo politico dei corpi intermedi. Più incerta ci appare l’elezione del Presidente della Repubblica – che potrà essere eletto dalla maggioranza dei parlamentari che partecipano al voto e non dagli aventi diritto – e la composizione del Senato: per coerenza con la sua funzione avrebbe dovuto essere composto dai presidenti delle giunte e da sindaci. Invece i senatori, per come
  • 7.     6   saranno eletti, avranno una duplice e contrapposta rappresentatività: da un lato territoriale e dall’altro politico-partitica. Peraltro, nel disegno originario della riforma era prevista una significativa rappresentanza della società civile, a ragione del principio di sussidiarietà e di completezza della rappresentanza territoriale (le istituzioni locali e il territorio): questo, anche in conseguenza della soppressione del Cnel. Questa rappresentanza è poi venuta meno nella discussione parlamentare della riforma della Costituzione. Sarà dunque necessario che la legislazione successiva e la riforma dei Regolamenti, soprattutto per attuare gli artt. 55 e 71 della Costituzione, prevedano forme e luoghi permanenti di partecipazione e di consultazione dei soggetti sociali. Per completare l’ispirazione di fondo su cui poggia la riforma del Senato bisognerà aprire una seria discussione anche sul futuro delle Conferenze Stato-Regioni, Stato-città ed Unificata oltre che dei Cal (Consigli delle Autonomie Locali) regionali. E anche su questo terreno, le formazioni sociali, quali rappresentanze del territorio, potranno dire la loro. In altre parole, si potrebbe aprire una stagione interessante per ridefinire e per praticare in termini nuovi la sussidiarietà verticale e orizzontale, valori anch’essi costituzionalmente garantiti in una visione poliarchica del Paese. Oltre alla composizione del Senato, altri due aspetti ci sembrano poco definiti. La riforma si completa con il rimando a successive norme di varia natura: costituzionale, legislativa, regolamentare, amministrativa. In tutto sono 21 gli adempimenti che prevedono atti successivi senza che però siano fissati tempi certi di deliberazione. Confidiamo che i partiti si assumano sin d’ora l’impegno di farlo entro la scadenza di questa legislatura. La riforma dei partiti e della legge elettorale Non possiamo poi ignorare che la riforma costituzionale si accompagna ad altre riforme, a partire da quella elettorale per la quale s’invoca una modifica, dal momento che questa non può limitarsi a garantire una pur necessaria governabilità: lo deve fare coerentemente con l’idea di rappresentanza che intende suggerire, tenendo presente che le sorgenti di tale rappresentanza sono i partiti politici, le organizzazioni della società civile e il territorio e considerando gli effetti che si generano sull’equilibrio dei
  • 8.     7   poteri. Ma urge anche una riforma degli attori istituzionali della politica: quella dei partiti è una riforma che stenta a definirsi. La versione approvata in prima lettura fotografa la situazione attuale ma è poco incisiva sugli aspetti della democrazia interna ovvero sulla formazione e sulla certezza del corpo associativo, sui diritti dei soci e delle minoranze, sulla determinazione delle candidature, degli organi interni e della distribuzione delle risorse. La riforma dei partiti si sarebbe dovuta fare prima del referendum confermativo. Perché, come recita l'art. 49 Cost., la determinazione della politica nazionale con metodo democratico implica una pluralità di partiti che concorrono. E noi sottolineiamo che partecipare con metodo democratico significa modi di finanziamento e di selezione della classe dirigente entrambi chiari e trasparenti. Una maggiore trasparenza fa acquistare credibilità: si saprebbe chi finanzia e come sono spesi i finanziamenti, quale rapporto esiste con le fondazioni collaterali e con quali modi si realizza la propaganda e la comunicazione elettorale. Una maggiore credibilità fa acquistare fiducia: si saprebbe come si arriva a certe nomine o ad altre designazioni. Si potrebbe incentivare lo svolgimento delle primarie regolamentandole e introducendo comunque forme trasparenti di selezione delle candidature. Questa può essere la via per rafforzare l'istituzione partitica – con un chiaro statuto e modalità di ricambio della classe dirigente – evitando così ridicole scissioni e costanti migrazioni del ceto politico. La riforma dei partiti è essenziale per tenere in vita la democrazia, renderla ancora interessante, stimolante, pulita. È intenzione delle Acli incalzare con proprie proposte i partiti e il Parlamento affinché approvino presto una legge di attuazione dell’art. 49 Cost., perché solo un Parlamento e partiti politici efficaci ed efficienti possono garantire la realizzazione di politiche realmente inclusive. Considerazioni finali Sappiamo che gli esiti finali di questa riforma sono difficili da immaginare sul lungo periodo. Certamente, sul breve periodo, ci rendiamo contro che una eventuale vittoria del “no” metterebbe seriamente in crisi il lavoro dell'attuale Esecutivo, che – a partire
  • 9.     8   anche dal lavoro del Governo presieduto da Enrico Letta – sta cercando con forza d’intervenire sulla condizione di inerzia di questo nostro Paese. Il Governo Renzi – che nasce con l’obiettivo di fare le riforme – potrà anche “non piacere”, ma noi abbiamo bisogno di stabilità, responsabilità e innovazione. Sul medio periodo un esito negativo quasi certamente inciderà sulla spinta riformatrice, rimandando a data da destinarsi una stagione che – dagli anni Novanta in poi – ha chiesto alla politica di cambiare i propri schemi. La politica è imprevedibile, ma ragionevolmente una vittoria del “no” rischia di esaurire una volontà. Per questo le Acli continueranno ad impegnarsi affinché i cittadini italiani possano esercitare liberamente e con consapevolezza - fuori da ogni inutile contrapposizione personalistica e ideologica - il loro diritto di voto, non astenendosi o rifugiandosi nel non voto. L’appuntamento è troppo importante per disertare le urne. L’appello delle Acli ad informarsi e a recarsi ai seggi il 4 dicembre per votare. La considerazione finale è che le direttrici di fondo della riforma siano del tutto positive e largamente condivise, che sarà necessario proseguire con una manutenzione costituzionale e che, pertanto, una vittoria del “sì” potrà permettere il proseguimento di una stagione di riforme.