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Nicola Chiaromonte e la guerra civile spagnola
                                                  di Cesare Panizza1


Nicola Chiaromonte (Rapolla, Potenza, 1905 – Roma, 1972) è conosciuto soprattutto per
essere stato dopo la Seconda guerra mondiale uno stimato critico teatrale, prima dalle
colonne de «Il Mondo» di Mario Pannunzio e poi da quelle de «L’Espresso», e per aver
diretto dal 1956 al 1968, insieme a Ignazio Silone, la rivista «Tempo presente».
Raramente si ricorda invece la sua attiva opposizione al fascismo negli anni della
giovinezza, nonostante la scelta cospirativa lo abbia costretto a un lungo esilio, prima in
Francia e poi, dal 1941, negli Stati Uniti.
Formatosi intellettualmente nella cerchia filosofica di Adriano Tilgher, che lo introduce
ancora giovanissimo, nel 1925, nella redazione de «Il Mondo» di Cianca e Amendola e gli
apre le pagine della rivista di Gangale, «Conscientia», Chiaromonte nei primi anni Trenta,
si avvicina a Giustizia e Libertà, iniziando una intensa collaborazione alle pubblicazioni
clandestine del movimento di Rosselli. L’incontro con GL avviene nella primavera del 1932
a Parigi, città dove egli ha preso a soggiornare non continuativamente dalla fine del 1931,
sperando di trovarvi una “sistemazione” che soddisfi quelle ambizioni intellettuali che in
patria gli è impossibile realizzare (in quegli anni si occupa soprattutto di critica
cinematografica per l’«L’Italia letteraria» e «Scenario», ma collabora a diverse altre riviste
letterarie fra cui «Oggi» e «Solaria»). A Parigi Chiaromonte conosce un decisivo
allargamento dei propri orizzonti culturali e politici, grazie soprattutto al sodalizio stretto
con l’esule italo-russo Andrea Caffi, che lo avvicina a un socialismo di tipo libertario e
federalistico di matrice schiettamente proudhoniana, ma al tempo stesso nutrito dalla
grande tradizione rivoluzionaria russa.
Nella primavera del ’34 Rosselli incarica Chiaromonte di ricostituire a Roma un nucleo di
Giustizia e Libertà in grado in prospettiva di svolgere una funzione di coordinamento del
movimento in Italia: un’attività cospirativa che si interrompe dopo pochi mesi quando,
durante l’ennesimo soggiorno parigino, viene a conoscenza grazie a un poliziotto francese
massone di essere da tempo sorvegliato dalla polizia fascista. Decide così prudentemente
di non rientrare più in Italia. Vi farà stabile ritorno solo alla fine del 1952. L’anno

1
 Testo presentato dall'autore al VII Convegno internazionale “Esuli e combattenti. La Spagna degli anni ’30 nella Memoria
collettiva in Italia” di Spagna Contemporanea, 30 novembre – 1 dicembre 2007, Alessandria-Novi Ligure, organizzaro
dall'Istituto di studi storici Gaetano Salvemini di Torino, la rivista “Spagna contemporanea”, d’intesa con l’ISRAL, Istituto
storico della resistenza di Alessandria.
successivo, dopo gli arresti che colpiscono il gruppo torinese di Giustizia e Libertà che fa
capo a Vittorio Foa e Massimo Mila, viene deferito al Tribunale Speciale per la Difesa dello
Stato. Nel corso di quello stesso 1935, Chiaromonte, Renzo Giua, Mario Levi e il più
anziano Andrea Caffi sono protagonisti di una lunga, e a tratti astiosa, polemica con Carlo
Rosselli, che ad inizio ‘36 li spinge a una clamorosa rottura con Giustizia e Libertà, dopo la
quale il gruppo dei cosiddetti “novatori”, come successivamente li chiamerà Aldo Garosci,
risulta totalmente emarginato nel contesto dell’emigrazione antifascista (se si eccettua il
legame personale che li lega a Angelo Tasca). È in questa situazione di sostanziale
isolamento politico, dunque, che Chiaromonte vive la stagione del Fronte popolare
francese verso il quale sviluppa un giudizio ambivalente, che lo avvicina idealmente alla
sinistra della SFIO, la gauche révolutionaire di Pivert. Da un lato egli vive con disagio
crescente l’alleanza fra il movimento socialista e il PCF, che considera, non da ora, solo un
strumento della politica di Stalin in Occidente; dall’altro rimprovera alla cosiddetta
“dottrina Blum” di frustrare le aspettative di trasformazione sociale accesesi nelle masse
con la vittoria elettorale, preparando così indirettamente il terreno alla nascita di un
“fascismo francese”. Un giudizio quello espresso sul ruolo dei comunisti e sui gravi limiti
della strategia del governo di Fronte popolare che diverrà ancora più radicalmente
negativo con l’esplosione del conflitto civile spagnolo.
Fino al luglio del 1936 Chiaromonte non si era mai occupato delle vicende spagnole,
eppure il suo coinvolgimento in esse sarà immediato. Non solo perché nella mobilitazione
per la Spagna repubblicana egli vede un’occasione di riscatto per gli antifascisti italiani che
da dopo la conquista fascista dell’Etiopia stanno vivendo il loro momento più difficile; ma
soprattutto perché gli sembra di scorgere in essa l’esordio di quel movimento
internazionale libertario che nei suoi articoli per i Quaderni di GL aveva indicato come
l’unica opzione strategica realmente disponibile per l’antifascismo, ovvero l’unica che
avrebbe permesso di affrontare il problema del fascismo nella dimensione che gli era
propria, ossia di problema sovranazionale, interessante l’Europa in quanto tale.
Su un piano più personale, poi, la guerra civile spagnola gli si presenta come un vera e
propria liberazione, come la possibilità tanto attesa di affrontare direttamente il fascismo,
uscendo dall’isolamento politico in cui si era venuto a trovare dopo la rottura con GL.
È però soprattutto il fascino esercitato dall’idea di vivere dall’interno una rivoluzione sociale
a spingerlo in Spagna, in qualità di giornalista e combattente. Si tratterà di una esperienza
breve che si esaurirà non appena il venir meno dell’illusione lirica della rivoluzione lascerà
il campo all’orrore della guerra civile.
A offrirgli la possibilità di recarsi in Spagna da cui si ripropone di inviare alcune
corrispondenze a riviste statunitensi con cui è in contatto (principalmente Atlantic Monthly)
è il suo legame amicale con André Malraux, che Chiaromonte conosce fin dal suo primo
soggiorno parigino e che sedotto dalla sua estrema vitalità intellettuale non ha lasciato di
frequentare nonostante il divaricarsi delle loro opinioni politiche. Nonostante, cioè, il forte
scetticismo nutrito da Chiaromonte verso il progressivo avvicinamento dello scrittore
francese al PCF e all’Internazionale comunista.
Malraux, come è noto, è il primo fra gli intellettuali europei a precipitarsi in Spagna
all’indomani della sedizione militare guidata da Franco e da Mola, con l’obiettivo, poi
frustrato, di spingere il governo Blum a concedere il più largo sostegno possibile alla causa
repubblicana. Ed è il primo ad intuire, ancor prima che il governo francese faccia propria la
linea del non intervento, le possibilità in termini di mobilitazione dell’opinione pubblica
europea che all’antifascismo si aprono con la partecipazione alla guerra civile spagnola e il
ruolo che in essa può rivestirvi il volontariato internazionale. Il suo intervento in Spagna
prende concretamente forma con la costituzione de l’Espana, una squadriglia aerea
composta di volontari internazionali e mercenari, che Malraux riesce a mettere insieme in
tempi strettissimi, grazie anche all’aiuto del ministro dell’aviazione francese Pierre Cot.
Non è possibile sapere se Chiaromonte abbia un ruolo nelle convulse fasi che condussero
alla formazione della squadriglia, ma è certo che egli è a conoscenza del progetto fin dalle
sue origini, vista l’intensità dei suoi rapporti con Malraux. Poco prima del sollevamento
militare in Spagna, dal 19 al 23 giugno, lo aveva infatti accompagnato a Londra, a un
incontro dell’Associazione internazionale degli scrittori per la libertà della cultura, a cui lo
scrittore francese aveva sottoposto il progetto di una enciclopedia ideata come strumento
di lotta contro il fascismo. E certamente egli fu fra le personalità dell’antifascismo e della
cultura che Malraux, prima della sua partenza per Madrid, convocò il 22 luglio, nella sua
abitazione in Rue du Bac, per discutere delle iniziative da assumersi in soccorso della
repubblica spagnola: ci induce a pensarlo la lunga lettera di affettuoso commiato che
Chiaromonte invia a Caffi proprio il giorno successivo, e in cui annuncia all’amico di essere
finalmente sul punto di “levare l’ancora”. Sappiamo invece per certo che egli partecipa
all’incontro che lo scrittore francese ha, il 28 luglio, giorno del suo rientro dalla Spagna,
con Carlo Rosselli, e di cui conosciamo i particolari grazie a una relazione stesa da un ben
informato fiduciario della polizia italiana. In quella occasione, procurata da Rosselli per
discutere del coinvolgimento della sua organizzazione nell’impresa di Malraux, questi causa
una parziale riconciliazione fra Chiaromonte e il leader di GL, convincendolo a finanziarne
la partenza per la Spagna, insieme a quella di altri volontari italiani. Ed effettivamente
verrà registrato come giellista.
A bordo dell’aereo, uno degli apparecchi destinati alla squadriglia, che il 10 agosto riporta
Malraux da Tolosa a Barcellona, trova posto così anche Chiaromonte, giunto da Parigi
insieme al giellista Sanzio Piatti.
In Spagna Chiaromonte è preceduto da amici fidati. Veniero Spinelli e Giordano Viezzoli
sono in terra iberica dal 28 luglio dove arrivati in compagnia di Pietro Nenni, Camillo
Berneri e Mario Angeloni, confluiscono anch’essi nella squadriglia di Malraux (il giovane
Viezzoli in ottobre vi troverà la morte). E, soprattutto, fra i primissimi ad accorrere in
Spagna vi è il giovanissimo Renzo Giua, che partito per Barcellona già nella seconda metà
di luglio è stato inquadrato nella colonna Durruti, operativa sul fronte aragonese. Giua alla
fine del mese ha scritto a Mario Levi una lettera entusiastica circa le possibilità di vittoria
dei repubblicani e in cui esalta il clima rivoluzionario che si respira in Catalogna («Une
societé prend la place de l’autre»), dopodiché ha interrotto ogni forma di comunicazione,
lasciando gli amici in grande apprensione. La preoccupazione per la sua sorte, accresciuta
dal timore che questi commettesse qualche sciocchezza esponendosi a dei rischi inutili, in
ragione della giovane età e di un temperamento esacerbato dalla cattive condizioni di
salute sofferte dal padre Michele, che in Italia è in carcere per attività antifascista, è forse
un’altra, affatto secondaria, delle ragioni che determinano Chiaromonte alla partenza.
       L’impressione immediata suscitatagli dalla situazione spagnola è fortemente
positiva, nonostante l’andamento delle operazioni militari non sia certo favorevole alla
causa repubblicana. In questo il suo impatto con la guerra civile spagnola non è molto
diverso da quello della maggioranza degli intellettuali accorsi in quei giorni in terra iberica,
entusiasmati dalla prontezza dimostrata dal popolo nel reagire al colpo di stato militare e
dalla sua generosità in combattimento e ottimisti circa le possibilità di vittoria della causa
repubblicana, proprio perché grazie alla mobilitazione popolare il sollevamento militare era
fallito in una buona metà della Spagna, a partire dalle due principali città, nella capitale e a
Barcellona.
       Del suo stato d’animo di quei giorni fa fede un testo inedito, titolato L’Europe
contro l’Espagne, rintracciato da chi scrive fra le sue carte personali, e probabilmente
steso per un intervento sulla guerra civile spagnola tenuto dopo il suo rientro a Parigi, in
cui Chiaromonte ricorda in termini quasi idilliaci il clima da lui trovato nella capitale
spagnola:


     «C’était une journée chaude et lumineuse. L’agitation des rues qui oblligeait les
     autos à s’arrêter tous les cent mètres, était toute guerrière. Guerrière, pas
     militaire. Jamais, en Espagne, je n’ai vu la guerre prendre un aspect stictement
     militaire: elle m’est toujours apparue mêlée au tumulte populaire, aux voix des
     femmes, aux jeux des enfants, au travail des paysans et des ouvriers».


       Parole dettate dall’“illusione lirica” di quei giorni di agosto, dalla convinzione diffusa
e da lui condivisa si potesse vincere la guerra civile facendo al tempo stesso la rivoluzione
sociale, che bastasse cioè assecondare quell’«esultanza morbosa», guerriera ma non
militare, che si era impossessata del popolo spagnolo. A condizione però che improvvide
divisioni politiche, esse sì potenzialmente assai più esiziali delle disperate condizioni in cui
versavano le forze repubblicane, non intervenissero a incrinare l’unità di popolo dimostrata
nei primissimi giorni della lotta. Una preoccupazione che si affaccia pur fra l’entusiasmo
nella lettera indirizzata subito dopo il suo arrivo a Madrid, il 14 agosto, all’amico Angelo
Tasca dove si rimprovera a Nenni, in Spagna come membro della delegazione
dell’Internazionale socialista, di fomentare i socialisti italiani contro gli anarchici,
ignorando, per colpevole leggerezza “una forza viva della rivoluzione spagnola, CNT e FAI,
la cui collaborazione è ritenuta necessaria dagli stessi militanti socialisti spagnoli”.
A illusione lirica svanita, nei suoi articoli sulla guerra civile spagnola scritti dopo il rientro in
terra francese, Chiaromonte rivedrà parzialmente il giudizio formulato a caldo nell’agosto
del ’36. L’esuberanza guerriera del popolo spagnolo gli sembrerà a quel punto al tempo
stesso «sublime» e «assurda»; tuttavia persisterà nel riconoscervi ancora l’unica risorsa
«che la repubblica spagnola aveva per salvarsi». In un articolo apparso sull’Atlantic
Monthly del marzo 1937, quando già la situazione spagnola gli pare essere inevitabilmente
compromessa, ribadisce così l’opinione che la repubblica avrebbe potuto vincere solo se
fosse paradossalmente riuscita a coniugare lo spontaneismo rivoluzionario della “folla” con
le ragioni della più elementare organizzazione militare, senza deprimere il primo o
compromettere l’efficacia della seconda. Un giudizio, si noti, riprodotto in termini
sostanzialmente identici ancora molti anni più tardi, nell’intervento sulla guerra di Spagna,
tenuto da Chiaromonte nel ’59 a Roma nell’ambito delle celebri lezioni sull’antifascismo
organizzate dal Partito radicale, dove ricorderà come il problema spagnolo fosse quello di
«guidare le energie represse del popolo», non come invece accadde, reprimerle
nuovamente.
       Preso servizio come bombardiere nella squadriglia di Malraux, almeno all’inizio con
grande entusiasmo (scrive ai genitori che lo credono in Spagna solo come giornalista, di
“stare come un pesce” e “che il lavoro gli rende la salute”, alludendo ai suoi frequenti
disturbi depressivi), Chiaromonte ipotizza di ricostituire sul «campo» il gruppo dei
“novatori” al di là dei Pirenei, invitando Mario Levi e Andrea Caffi a raggiungerlo in Francia,
se non per combattervi, per cooperare in qualche modo attivamente alla sforzo dei
volontari internazionali. Ipotizza al proposito la costituzione di un Ufficio Stampa per
l’estero dove le sue competenze e quelle degli amici avrebbero potuto certo essere utili. La
proposta, avanzata da Chiaromonte appena giunto in Spagna a Nenni, incontra la netta
disapprovazione di un assai scettico Mario Levi, il quale si premura di scrivere subito ad
Angelo Tasca affinché convinca Caffi a rigettarla. Caffi, peraltro uomo non più giovane, è a
suo dire troppo cagionevole di salute e si esporrebbe a inutili problemi con le autorità
francesi, rischiando di non poter più rientrare nel paese. E per quanto riguarda sé, Levi
protesta di essere inadatto per la vita militare e poco utile in un ufficio, tanto più che non
conosce lo spagnolo.
       L’irrealizzabilità di questi sui propositi non sarà forse estranea alla comparsa in
Chiaromonte di una certa stanchezza che si affaccia in lui nelle settimane successive
insieme ai primi dubbi circa le concrete possibilità di vittoria della Repubblica. É la tenuta
politica del campo repubblicano più che la disorganizzazione militare a preoccuparlo, come
si può dedurre da una breve lettera recapitata a Tasca alla metà di ottobre, durante un
brevissimo soggiorno parigino occasionato da una missione in terra francese, in cui
facendo il punto della situazione spagnola ribadisce che («[...] la questione rimane politica
essenzialmente. Dovunque si volge lo sguardo, uno è il problema: la mancanza di coraggio
politico. Giacché il popolo è magnifico»). E a proposito della squadriglia aggiunge: «Si fa
quel che si può (e un po’ meno, non per colpa nostra). Spinelli è magnifico. Il miglior
mitragliere della squadriglia».
       Ai primi di novembre del ’36 Chiaromonte fa improvvisamente ritorno in Francia,
abbandonando la squadriglia che di lì a poco si sarebbe intitolata a Malraux, non senza
consumare uno strappo nei suoi rapporti con lo scrittore francese che non sarà mai
compiutamente superato.
       Le motivazioni alla base della sua decisione in realtà sono diverse, molte
naturalmente sono di natura personale e famigliare. Ma la principale è chiaramente tutta
politica. In una lettera inviata da Chiaromonte a Caffi, il 2 novembre, egli motiva il suo
rientro affermando di aver visto in Spagna «tutti gli sforzi dei politici convergere verso la
separazione della rivoluzione dalla guerra». Ne derivava a suo giudizio «l’assurdità e
l’incongruenza di ogni moto politico nell’attuale situazione. L’inanità di ogni partito preso
dovrebbe finalmente imporsi alle menti ed è soprattutto, credo, lo stato d’animo profondo
delle masse popolari spagnole». Dunque, i motivi della decisione di porre fine alla sua
partecipazione attiva alla guerra civile spagnola, proprio mentre infuriava la battaglia di
Madrid, starebbero essenzialmente nella disaffezione (se non nel disgusto) in lui suscitato
dalla vista del tradimento da parte dei partiti delle istanze rivoluzionarie del popolo
spagnolo, con l’effetto di deprimerne lo spirito compromettendo le possibilità stesse di una
vittoria repubblicana. Si potrebbe dire che a quel punto, per Chiaromonte, la repubblica
avesse già fallito o peggio avesse colpevolmente rinunciato a risolvere l’equazione
rappresentata    dalla   paradossale    necessità   di   vincere   la   guerra   «organizzando
l’indisciplina»; e che questa rinuncia, che gli sembrava dettata soprattutto dall’influenza
assunta dall’Internazionale comunista e dall’URSS nel campo repubblicano, non fosse
affatto una garanzia di vittoria, ma al contrario un viatico alla sconfitta.
       In tal senso, vi è una significativa coincidenza fra la decisione di Chiaromonte, la
riorganizzazione dell’esercito repubblicano avviata a metà ottobre da Largo Caballero,
l’afflusso degli aiuti sovietici e la costituzione delle Brigate Internazionali. È il segno che
una fase della guerra civile spagnola, quella segnata più marcatamente da un diffuso
spontaneismo libertario si è definitivamente esaurita, di fronte alle esigenze di una guerra
che ora si intuisce destinata a protrarsi a lungo nel tempo. Per la squadriglia di Malraux
questa nuova fase comporta l’inserimento nelle file dell’esercito e una trasformazione
radicale di cui la comparsa delle uniformi in luogo di quell’abbigliamento alla “messicana”
che fino a quel momento l’ha caratterizzata è solo il segno esteriore. Per quanto Malraux
riesca ad evitare di confluire nei ranghi delle brigate internazionali, e di venire quindi a
dipendere dal comando di Albacete affidato ad André Marty di cui non si fida affatto, non
può non accettare la presenza all’interno della formazione, come avviene per tutti i reparti
dell’esercito popolare, di un commissario politico, individuato in un bombardiere belga di
provata fedeltà comunista, Julien Segnaire. Il mutamento nella natura dell’impresa di
Malraux rende probabilmente intollerabile a Chiaromonte la sua permanenza nella
squadriglia, senza sottovalutare il fatto che esso comporta, oltre all’esclusione dei
mercenari, anche la parificazione, in termini di salario, fra i volontari stranieri (ormai non
più così necessari perché affiancati dai piloti russi) ai militari spagnoli, a tutto svantaggio
dei primi.
       Che il motivo immediato del suo rientro in Francia stia in una differente valutazione
rispetto a Malraux del ruolo assunto dai comunisti e dall’URSS nel conflitto spagnolo, è poi
confermato, oltre che dai vaghi cenni alla vicenda fatti molti anni dopo, anche dalla lettura
de L’Espoir, il romanzo di Malraux sulla guerra di Spagna, dove lo scrittore francese ha
ritratto Chiaromonte nel personaggio di Giovanni Scali, giovane professore di storia
dell’arte in esilio (Chiaromonte prima della guerra civile spagnola stava scrivendo una
monografia su Michelangelo che avrebbe dovuto essere pubblicata dalla Nouvelle Revue
Francaise), e, appunto come il nostro, bombardiere nella squadriglia aerea di Magnin, la
cui posizione politica inclina progressivamente verso un sostanziale anticomunismo (al
termine del romanzo viene descritto come «sempre più anarchizzante, sempre più
soreliano, quasi anticomunista»). Si tratta di una fonte letteraria preziosa (e affidabile
come poi testimoniato dallo stesso Chiaromonte) per comprenderne lo stato emotivo
durante la breve partecipazione al conflitto spagnolo, tanto più che il libro, scritto subito
dopo lo scioglimento della squadriglia Malraux ed apparso a guerra civile ancora in corso,
è intessuto delle esperienze direttamente vissute dal suo autore. Una analisi dettagliata del
personaggio di Chiaromonte nel romanzo sarebbe certo affascinante ma ci porterebbe
lontano. Ci basti sapere che Scali è un intellettuale molto stimato dai suoi compagni, per
quanto privo di capacità di comando, e assai prezioso nei rapporti con le autorità
spagnole, per i modi di fare cordiali che ha saputo conservare anche nel clima bellico, oltre
che per la vasta cultura e la competenza linguistica. Egli è però spesso preda del dubbio:
atterrito dalla trasformazione antropologica che per effetto della guerra vede compiersi nei
suoi stessi compagni, si tormenta, anche nel pieno dell’azione bellica, circa la legittimità
dell’uso della violenza, il cui esercizio lo disgusta. Nel romanzo diviene così il portatore di
un punto di vista antagonista rispetto a quello implicitamente sostenuto dall’autore su temi
a Malraux e al Chiaromonte reale indubbiamente assai cari: il rapporto fra etica, politica e
cultura e la legittimità morale dell’azione politica stessa. Quella di Scali, seppure infine
vinta dalle contro-argomentazioni del comunista Garzia, è la voce di chi vuole riaffermare il
primato della coscienza individuale e della cultura sulla politica (o meglio sulle ragioni
dell’organizzazione politica). Preoccupazioni fortemente avvertite dal Chiaromonte reale e
che saranno al centro di quella sua successiva riflessione sulla storia che ne fa ben altro
che un semplice critico teatrale.
       Rientrato in Francia Chiaromonte continuerà a seguire puntualmente le vicende
spagnole con grande partecipazione emotiva che avrà due momenti di forte intensità: i
fatti di Barcellona del maggio ’37 e la morte nel febbraio del ’38 dell’amico Renzo Giua. Nel
mezzo la terribile vicenda dell’assassinio dei fratelli Rosselli che Chiaromonte lucidamente
mette subito in relazione all’azione da Carlo svolta in terra spagnola, insistendo
particolarmente con Tasca affinché si faccia chiarezza dalle colonne del «Popoulaire» circa
i rapporti fra il leader di Giustizia e Libertà e gli anarchici, contrastando così il tentativo
fascista di addossare loro l’orrendo delitto di Bagnole de l’Orne. Peraltro, la diversa
valutazione delle vicende spagnole, in particolare della politica del non intervento seguita
dalla Francia del Fronte popolare, origineranno proprio con Tasca – con il quale
Chiaromonte dopo il suo rientro in Francia ha una collaborazione assai stretta che però
non assumerà mai un valore politico – un’aspra polemica che contribuirà alla progressiva
erosione dei loro rapporti personali.
       Il suo interesse per la Spagna, e concludo, non verrà meno neppure negli anni del
dopoguerra. Gli esempi potrebbero essere molti. Ho già citato l’intervento sulla guerra di
Spagna svolto in occasione delle lezioni sull’antifascismo organizzate dal partito radicale
nel 1959; si potrebbero poi enumerare i molti articoli sulla situazione spagnola apparsi su
Tempo presente, alcuni a firma dello stesso Chiaromonte. Cito solo due episodi che mi
sembrano significativi: nel ’52, ancora a Parigi, Chiaromonte organizza insieme a Camus la
mobilitazione degli intellettuali europei contro l’ingresso della Spagna nell’UNESCO; nel ’63
egli fa invece ritorno in Spagna per partecipare a un convegno di studi organizzato dal
filosofo José Luis Aranguren dal titolo “Nuoveau Roman y la novela del realismo espaňol”
che si carica di un significato implicitamente antifranchista. Rimasto in contatto con il
filosofo spagnolo, nel ’65, sul numero di marzo di Tempo presente, Chiaromonte dedicherà
un lungo articolo alla marcia silenziosa degli studenti dell’Università di Madrid organizzata
il 24 febbraio fra gli altri anche da Aranguren (che poi sarà estromesso dalla docenza) per
chiedere il ritorno a una qualche forma di libertà associativa all’interno dell’università.
Nicola Chiaromonte e la guerra civile spagnola

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Nicola Chiaromonte e la guerra civile spagnola

  • 1. Nicola Chiaromonte e la guerra civile spagnola di Cesare Panizza1 Nicola Chiaromonte (Rapolla, Potenza, 1905 – Roma, 1972) è conosciuto soprattutto per essere stato dopo la Seconda guerra mondiale uno stimato critico teatrale, prima dalle colonne de «Il Mondo» di Mario Pannunzio e poi da quelle de «L’Espresso», e per aver diretto dal 1956 al 1968, insieme a Ignazio Silone, la rivista «Tempo presente». Raramente si ricorda invece la sua attiva opposizione al fascismo negli anni della giovinezza, nonostante la scelta cospirativa lo abbia costretto a un lungo esilio, prima in Francia e poi, dal 1941, negli Stati Uniti. Formatosi intellettualmente nella cerchia filosofica di Adriano Tilgher, che lo introduce ancora giovanissimo, nel 1925, nella redazione de «Il Mondo» di Cianca e Amendola e gli apre le pagine della rivista di Gangale, «Conscientia», Chiaromonte nei primi anni Trenta, si avvicina a Giustizia e Libertà, iniziando una intensa collaborazione alle pubblicazioni clandestine del movimento di Rosselli. L’incontro con GL avviene nella primavera del 1932 a Parigi, città dove egli ha preso a soggiornare non continuativamente dalla fine del 1931, sperando di trovarvi una “sistemazione” che soddisfi quelle ambizioni intellettuali che in patria gli è impossibile realizzare (in quegli anni si occupa soprattutto di critica cinematografica per l’«L’Italia letteraria» e «Scenario», ma collabora a diverse altre riviste letterarie fra cui «Oggi» e «Solaria»). A Parigi Chiaromonte conosce un decisivo allargamento dei propri orizzonti culturali e politici, grazie soprattutto al sodalizio stretto con l’esule italo-russo Andrea Caffi, che lo avvicina a un socialismo di tipo libertario e federalistico di matrice schiettamente proudhoniana, ma al tempo stesso nutrito dalla grande tradizione rivoluzionaria russa. Nella primavera del ’34 Rosselli incarica Chiaromonte di ricostituire a Roma un nucleo di Giustizia e Libertà in grado in prospettiva di svolgere una funzione di coordinamento del movimento in Italia: un’attività cospirativa che si interrompe dopo pochi mesi quando, durante l’ennesimo soggiorno parigino, viene a conoscenza grazie a un poliziotto francese massone di essere da tempo sorvegliato dalla polizia fascista. Decide così prudentemente di non rientrare più in Italia. Vi farà stabile ritorno solo alla fine del 1952. L’anno 1 Testo presentato dall'autore al VII Convegno internazionale “Esuli e combattenti. La Spagna degli anni ’30 nella Memoria collettiva in Italia” di Spagna Contemporanea, 30 novembre – 1 dicembre 2007, Alessandria-Novi Ligure, organizzaro dall'Istituto di studi storici Gaetano Salvemini di Torino, la rivista “Spagna contemporanea”, d’intesa con l’ISRAL, Istituto storico della resistenza di Alessandria.
  • 2. successivo, dopo gli arresti che colpiscono il gruppo torinese di Giustizia e Libertà che fa capo a Vittorio Foa e Massimo Mila, viene deferito al Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato. Nel corso di quello stesso 1935, Chiaromonte, Renzo Giua, Mario Levi e il più anziano Andrea Caffi sono protagonisti di una lunga, e a tratti astiosa, polemica con Carlo Rosselli, che ad inizio ‘36 li spinge a una clamorosa rottura con Giustizia e Libertà, dopo la quale il gruppo dei cosiddetti “novatori”, come successivamente li chiamerà Aldo Garosci, risulta totalmente emarginato nel contesto dell’emigrazione antifascista (se si eccettua il legame personale che li lega a Angelo Tasca). È in questa situazione di sostanziale isolamento politico, dunque, che Chiaromonte vive la stagione del Fronte popolare francese verso il quale sviluppa un giudizio ambivalente, che lo avvicina idealmente alla sinistra della SFIO, la gauche révolutionaire di Pivert. Da un lato egli vive con disagio crescente l’alleanza fra il movimento socialista e il PCF, che considera, non da ora, solo un strumento della politica di Stalin in Occidente; dall’altro rimprovera alla cosiddetta “dottrina Blum” di frustrare le aspettative di trasformazione sociale accesesi nelle masse con la vittoria elettorale, preparando così indirettamente il terreno alla nascita di un “fascismo francese”. Un giudizio quello espresso sul ruolo dei comunisti e sui gravi limiti della strategia del governo di Fronte popolare che diverrà ancora più radicalmente negativo con l’esplosione del conflitto civile spagnolo. Fino al luglio del 1936 Chiaromonte non si era mai occupato delle vicende spagnole, eppure il suo coinvolgimento in esse sarà immediato. Non solo perché nella mobilitazione per la Spagna repubblicana egli vede un’occasione di riscatto per gli antifascisti italiani che da dopo la conquista fascista dell’Etiopia stanno vivendo il loro momento più difficile; ma soprattutto perché gli sembra di scorgere in essa l’esordio di quel movimento internazionale libertario che nei suoi articoli per i Quaderni di GL aveva indicato come l’unica opzione strategica realmente disponibile per l’antifascismo, ovvero l’unica che avrebbe permesso di affrontare il problema del fascismo nella dimensione che gli era propria, ossia di problema sovranazionale, interessante l’Europa in quanto tale. Su un piano più personale, poi, la guerra civile spagnola gli si presenta come un vera e propria liberazione, come la possibilità tanto attesa di affrontare direttamente il fascismo, uscendo dall’isolamento politico in cui si era venuto a trovare dopo la rottura con GL. È però soprattutto il fascino esercitato dall’idea di vivere dall’interno una rivoluzione sociale a spingerlo in Spagna, in qualità di giornalista e combattente. Si tratterà di una esperienza
  • 3. breve che si esaurirà non appena il venir meno dell’illusione lirica della rivoluzione lascerà il campo all’orrore della guerra civile. A offrirgli la possibilità di recarsi in Spagna da cui si ripropone di inviare alcune corrispondenze a riviste statunitensi con cui è in contatto (principalmente Atlantic Monthly) è il suo legame amicale con André Malraux, che Chiaromonte conosce fin dal suo primo soggiorno parigino e che sedotto dalla sua estrema vitalità intellettuale non ha lasciato di frequentare nonostante il divaricarsi delle loro opinioni politiche. Nonostante, cioè, il forte scetticismo nutrito da Chiaromonte verso il progressivo avvicinamento dello scrittore francese al PCF e all’Internazionale comunista. Malraux, come è noto, è il primo fra gli intellettuali europei a precipitarsi in Spagna all’indomani della sedizione militare guidata da Franco e da Mola, con l’obiettivo, poi frustrato, di spingere il governo Blum a concedere il più largo sostegno possibile alla causa repubblicana. Ed è il primo ad intuire, ancor prima che il governo francese faccia propria la linea del non intervento, le possibilità in termini di mobilitazione dell’opinione pubblica europea che all’antifascismo si aprono con la partecipazione alla guerra civile spagnola e il ruolo che in essa può rivestirvi il volontariato internazionale. Il suo intervento in Spagna prende concretamente forma con la costituzione de l’Espana, una squadriglia aerea composta di volontari internazionali e mercenari, che Malraux riesce a mettere insieme in tempi strettissimi, grazie anche all’aiuto del ministro dell’aviazione francese Pierre Cot. Non è possibile sapere se Chiaromonte abbia un ruolo nelle convulse fasi che condussero alla formazione della squadriglia, ma è certo che egli è a conoscenza del progetto fin dalle sue origini, vista l’intensità dei suoi rapporti con Malraux. Poco prima del sollevamento militare in Spagna, dal 19 al 23 giugno, lo aveva infatti accompagnato a Londra, a un incontro dell’Associazione internazionale degli scrittori per la libertà della cultura, a cui lo scrittore francese aveva sottoposto il progetto di una enciclopedia ideata come strumento di lotta contro il fascismo. E certamente egli fu fra le personalità dell’antifascismo e della cultura che Malraux, prima della sua partenza per Madrid, convocò il 22 luglio, nella sua abitazione in Rue du Bac, per discutere delle iniziative da assumersi in soccorso della repubblica spagnola: ci induce a pensarlo la lunga lettera di affettuoso commiato che Chiaromonte invia a Caffi proprio il giorno successivo, e in cui annuncia all’amico di essere finalmente sul punto di “levare l’ancora”. Sappiamo invece per certo che egli partecipa all’incontro che lo scrittore francese ha, il 28 luglio, giorno del suo rientro dalla Spagna, con Carlo Rosselli, e di cui conosciamo i particolari grazie a una relazione stesa da un ben
  • 4. informato fiduciario della polizia italiana. In quella occasione, procurata da Rosselli per discutere del coinvolgimento della sua organizzazione nell’impresa di Malraux, questi causa una parziale riconciliazione fra Chiaromonte e il leader di GL, convincendolo a finanziarne la partenza per la Spagna, insieme a quella di altri volontari italiani. Ed effettivamente verrà registrato come giellista. A bordo dell’aereo, uno degli apparecchi destinati alla squadriglia, che il 10 agosto riporta Malraux da Tolosa a Barcellona, trova posto così anche Chiaromonte, giunto da Parigi insieme al giellista Sanzio Piatti. In Spagna Chiaromonte è preceduto da amici fidati. Veniero Spinelli e Giordano Viezzoli sono in terra iberica dal 28 luglio dove arrivati in compagnia di Pietro Nenni, Camillo Berneri e Mario Angeloni, confluiscono anch’essi nella squadriglia di Malraux (il giovane Viezzoli in ottobre vi troverà la morte). E, soprattutto, fra i primissimi ad accorrere in Spagna vi è il giovanissimo Renzo Giua, che partito per Barcellona già nella seconda metà di luglio è stato inquadrato nella colonna Durruti, operativa sul fronte aragonese. Giua alla fine del mese ha scritto a Mario Levi una lettera entusiastica circa le possibilità di vittoria dei repubblicani e in cui esalta il clima rivoluzionario che si respira in Catalogna («Une societé prend la place de l’autre»), dopodiché ha interrotto ogni forma di comunicazione, lasciando gli amici in grande apprensione. La preoccupazione per la sua sorte, accresciuta dal timore che questi commettesse qualche sciocchezza esponendosi a dei rischi inutili, in ragione della giovane età e di un temperamento esacerbato dalla cattive condizioni di salute sofferte dal padre Michele, che in Italia è in carcere per attività antifascista, è forse un’altra, affatto secondaria, delle ragioni che determinano Chiaromonte alla partenza. L’impressione immediata suscitatagli dalla situazione spagnola è fortemente positiva, nonostante l’andamento delle operazioni militari non sia certo favorevole alla causa repubblicana. In questo il suo impatto con la guerra civile spagnola non è molto diverso da quello della maggioranza degli intellettuali accorsi in quei giorni in terra iberica, entusiasmati dalla prontezza dimostrata dal popolo nel reagire al colpo di stato militare e dalla sua generosità in combattimento e ottimisti circa le possibilità di vittoria della causa repubblicana, proprio perché grazie alla mobilitazione popolare il sollevamento militare era fallito in una buona metà della Spagna, a partire dalle due principali città, nella capitale e a Barcellona. Del suo stato d’animo di quei giorni fa fede un testo inedito, titolato L’Europe contro l’Espagne, rintracciato da chi scrive fra le sue carte personali, e probabilmente
  • 5. steso per un intervento sulla guerra civile spagnola tenuto dopo il suo rientro a Parigi, in cui Chiaromonte ricorda in termini quasi idilliaci il clima da lui trovato nella capitale spagnola: «C’était une journée chaude et lumineuse. L’agitation des rues qui oblligeait les autos à s’arrêter tous les cent mètres, était toute guerrière. Guerrière, pas militaire. Jamais, en Espagne, je n’ai vu la guerre prendre un aspect stictement militaire: elle m’est toujours apparue mêlée au tumulte populaire, aux voix des femmes, aux jeux des enfants, au travail des paysans et des ouvriers». Parole dettate dall’“illusione lirica” di quei giorni di agosto, dalla convinzione diffusa e da lui condivisa si potesse vincere la guerra civile facendo al tempo stesso la rivoluzione sociale, che bastasse cioè assecondare quell’«esultanza morbosa», guerriera ma non militare, che si era impossessata del popolo spagnolo. A condizione però che improvvide divisioni politiche, esse sì potenzialmente assai più esiziali delle disperate condizioni in cui versavano le forze repubblicane, non intervenissero a incrinare l’unità di popolo dimostrata nei primissimi giorni della lotta. Una preoccupazione che si affaccia pur fra l’entusiasmo nella lettera indirizzata subito dopo il suo arrivo a Madrid, il 14 agosto, all’amico Angelo Tasca dove si rimprovera a Nenni, in Spagna come membro della delegazione dell’Internazionale socialista, di fomentare i socialisti italiani contro gli anarchici, ignorando, per colpevole leggerezza “una forza viva della rivoluzione spagnola, CNT e FAI, la cui collaborazione è ritenuta necessaria dagli stessi militanti socialisti spagnoli”. A illusione lirica svanita, nei suoi articoli sulla guerra civile spagnola scritti dopo il rientro in terra francese, Chiaromonte rivedrà parzialmente il giudizio formulato a caldo nell’agosto del ’36. L’esuberanza guerriera del popolo spagnolo gli sembrerà a quel punto al tempo stesso «sublime» e «assurda»; tuttavia persisterà nel riconoscervi ancora l’unica risorsa «che la repubblica spagnola aveva per salvarsi». In un articolo apparso sull’Atlantic Monthly del marzo 1937, quando già la situazione spagnola gli pare essere inevitabilmente compromessa, ribadisce così l’opinione che la repubblica avrebbe potuto vincere solo se fosse paradossalmente riuscita a coniugare lo spontaneismo rivoluzionario della “folla” con le ragioni della più elementare organizzazione militare, senza deprimere il primo o compromettere l’efficacia della seconda. Un giudizio, si noti, riprodotto in termini sostanzialmente identici ancora molti anni più tardi, nell’intervento sulla guerra di Spagna,
  • 6. tenuto da Chiaromonte nel ’59 a Roma nell’ambito delle celebri lezioni sull’antifascismo organizzate dal Partito radicale, dove ricorderà come il problema spagnolo fosse quello di «guidare le energie represse del popolo», non come invece accadde, reprimerle nuovamente. Preso servizio come bombardiere nella squadriglia di Malraux, almeno all’inizio con grande entusiasmo (scrive ai genitori che lo credono in Spagna solo come giornalista, di “stare come un pesce” e “che il lavoro gli rende la salute”, alludendo ai suoi frequenti disturbi depressivi), Chiaromonte ipotizza di ricostituire sul «campo» il gruppo dei “novatori” al di là dei Pirenei, invitando Mario Levi e Andrea Caffi a raggiungerlo in Francia, se non per combattervi, per cooperare in qualche modo attivamente alla sforzo dei volontari internazionali. Ipotizza al proposito la costituzione di un Ufficio Stampa per l’estero dove le sue competenze e quelle degli amici avrebbero potuto certo essere utili. La proposta, avanzata da Chiaromonte appena giunto in Spagna a Nenni, incontra la netta disapprovazione di un assai scettico Mario Levi, il quale si premura di scrivere subito ad Angelo Tasca affinché convinca Caffi a rigettarla. Caffi, peraltro uomo non più giovane, è a suo dire troppo cagionevole di salute e si esporrebbe a inutili problemi con le autorità francesi, rischiando di non poter più rientrare nel paese. E per quanto riguarda sé, Levi protesta di essere inadatto per la vita militare e poco utile in un ufficio, tanto più che non conosce lo spagnolo. L’irrealizzabilità di questi sui propositi non sarà forse estranea alla comparsa in Chiaromonte di una certa stanchezza che si affaccia in lui nelle settimane successive insieme ai primi dubbi circa le concrete possibilità di vittoria della Repubblica. É la tenuta politica del campo repubblicano più che la disorganizzazione militare a preoccuparlo, come si può dedurre da una breve lettera recapitata a Tasca alla metà di ottobre, durante un brevissimo soggiorno parigino occasionato da una missione in terra francese, in cui facendo il punto della situazione spagnola ribadisce che («[...] la questione rimane politica essenzialmente. Dovunque si volge lo sguardo, uno è il problema: la mancanza di coraggio politico. Giacché il popolo è magnifico»). E a proposito della squadriglia aggiunge: «Si fa quel che si può (e un po’ meno, non per colpa nostra). Spinelli è magnifico. Il miglior mitragliere della squadriglia». Ai primi di novembre del ’36 Chiaromonte fa improvvisamente ritorno in Francia, abbandonando la squadriglia che di lì a poco si sarebbe intitolata a Malraux, non senza
  • 7. consumare uno strappo nei suoi rapporti con lo scrittore francese che non sarà mai compiutamente superato. Le motivazioni alla base della sua decisione in realtà sono diverse, molte naturalmente sono di natura personale e famigliare. Ma la principale è chiaramente tutta politica. In una lettera inviata da Chiaromonte a Caffi, il 2 novembre, egli motiva il suo rientro affermando di aver visto in Spagna «tutti gli sforzi dei politici convergere verso la separazione della rivoluzione dalla guerra». Ne derivava a suo giudizio «l’assurdità e l’incongruenza di ogni moto politico nell’attuale situazione. L’inanità di ogni partito preso dovrebbe finalmente imporsi alle menti ed è soprattutto, credo, lo stato d’animo profondo delle masse popolari spagnole». Dunque, i motivi della decisione di porre fine alla sua partecipazione attiva alla guerra civile spagnola, proprio mentre infuriava la battaglia di Madrid, starebbero essenzialmente nella disaffezione (se non nel disgusto) in lui suscitato dalla vista del tradimento da parte dei partiti delle istanze rivoluzionarie del popolo spagnolo, con l’effetto di deprimerne lo spirito compromettendo le possibilità stesse di una vittoria repubblicana. Si potrebbe dire che a quel punto, per Chiaromonte, la repubblica avesse già fallito o peggio avesse colpevolmente rinunciato a risolvere l’equazione rappresentata dalla paradossale necessità di vincere la guerra «organizzando l’indisciplina»; e che questa rinuncia, che gli sembrava dettata soprattutto dall’influenza assunta dall’Internazionale comunista e dall’URSS nel campo repubblicano, non fosse affatto una garanzia di vittoria, ma al contrario un viatico alla sconfitta. In tal senso, vi è una significativa coincidenza fra la decisione di Chiaromonte, la riorganizzazione dell’esercito repubblicano avviata a metà ottobre da Largo Caballero, l’afflusso degli aiuti sovietici e la costituzione delle Brigate Internazionali. È il segno che una fase della guerra civile spagnola, quella segnata più marcatamente da un diffuso spontaneismo libertario si è definitivamente esaurita, di fronte alle esigenze di una guerra che ora si intuisce destinata a protrarsi a lungo nel tempo. Per la squadriglia di Malraux questa nuova fase comporta l’inserimento nelle file dell’esercito e una trasformazione radicale di cui la comparsa delle uniformi in luogo di quell’abbigliamento alla “messicana” che fino a quel momento l’ha caratterizzata è solo il segno esteriore. Per quanto Malraux riesca ad evitare di confluire nei ranghi delle brigate internazionali, e di venire quindi a dipendere dal comando di Albacete affidato ad André Marty di cui non si fida affatto, non può non accettare la presenza all’interno della formazione, come avviene per tutti i reparti dell’esercito popolare, di un commissario politico, individuato in un bombardiere belga di
  • 8. provata fedeltà comunista, Julien Segnaire. Il mutamento nella natura dell’impresa di Malraux rende probabilmente intollerabile a Chiaromonte la sua permanenza nella squadriglia, senza sottovalutare il fatto che esso comporta, oltre all’esclusione dei mercenari, anche la parificazione, in termini di salario, fra i volontari stranieri (ormai non più così necessari perché affiancati dai piloti russi) ai militari spagnoli, a tutto svantaggio dei primi. Che il motivo immediato del suo rientro in Francia stia in una differente valutazione rispetto a Malraux del ruolo assunto dai comunisti e dall’URSS nel conflitto spagnolo, è poi confermato, oltre che dai vaghi cenni alla vicenda fatti molti anni dopo, anche dalla lettura de L’Espoir, il romanzo di Malraux sulla guerra di Spagna, dove lo scrittore francese ha ritratto Chiaromonte nel personaggio di Giovanni Scali, giovane professore di storia dell’arte in esilio (Chiaromonte prima della guerra civile spagnola stava scrivendo una monografia su Michelangelo che avrebbe dovuto essere pubblicata dalla Nouvelle Revue Francaise), e, appunto come il nostro, bombardiere nella squadriglia aerea di Magnin, la cui posizione politica inclina progressivamente verso un sostanziale anticomunismo (al termine del romanzo viene descritto come «sempre più anarchizzante, sempre più soreliano, quasi anticomunista»). Si tratta di una fonte letteraria preziosa (e affidabile come poi testimoniato dallo stesso Chiaromonte) per comprenderne lo stato emotivo durante la breve partecipazione al conflitto spagnolo, tanto più che il libro, scritto subito dopo lo scioglimento della squadriglia Malraux ed apparso a guerra civile ancora in corso, è intessuto delle esperienze direttamente vissute dal suo autore. Una analisi dettagliata del personaggio di Chiaromonte nel romanzo sarebbe certo affascinante ma ci porterebbe lontano. Ci basti sapere che Scali è un intellettuale molto stimato dai suoi compagni, per quanto privo di capacità di comando, e assai prezioso nei rapporti con le autorità spagnole, per i modi di fare cordiali che ha saputo conservare anche nel clima bellico, oltre che per la vasta cultura e la competenza linguistica. Egli è però spesso preda del dubbio: atterrito dalla trasformazione antropologica che per effetto della guerra vede compiersi nei suoi stessi compagni, si tormenta, anche nel pieno dell’azione bellica, circa la legittimità dell’uso della violenza, il cui esercizio lo disgusta. Nel romanzo diviene così il portatore di un punto di vista antagonista rispetto a quello implicitamente sostenuto dall’autore su temi a Malraux e al Chiaromonte reale indubbiamente assai cari: il rapporto fra etica, politica e cultura e la legittimità morale dell’azione politica stessa. Quella di Scali, seppure infine vinta dalle contro-argomentazioni del comunista Garzia, è la voce di chi vuole riaffermare il
  • 9. primato della coscienza individuale e della cultura sulla politica (o meglio sulle ragioni dell’organizzazione politica). Preoccupazioni fortemente avvertite dal Chiaromonte reale e che saranno al centro di quella sua successiva riflessione sulla storia che ne fa ben altro che un semplice critico teatrale. Rientrato in Francia Chiaromonte continuerà a seguire puntualmente le vicende spagnole con grande partecipazione emotiva che avrà due momenti di forte intensità: i fatti di Barcellona del maggio ’37 e la morte nel febbraio del ’38 dell’amico Renzo Giua. Nel mezzo la terribile vicenda dell’assassinio dei fratelli Rosselli che Chiaromonte lucidamente mette subito in relazione all’azione da Carlo svolta in terra spagnola, insistendo particolarmente con Tasca affinché si faccia chiarezza dalle colonne del «Popoulaire» circa i rapporti fra il leader di Giustizia e Libertà e gli anarchici, contrastando così il tentativo fascista di addossare loro l’orrendo delitto di Bagnole de l’Orne. Peraltro, la diversa valutazione delle vicende spagnole, in particolare della politica del non intervento seguita dalla Francia del Fronte popolare, origineranno proprio con Tasca – con il quale Chiaromonte dopo il suo rientro in Francia ha una collaborazione assai stretta che però non assumerà mai un valore politico – un’aspra polemica che contribuirà alla progressiva erosione dei loro rapporti personali. Il suo interesse per la Spagna, e concludo, non verrà meno neppure negli anni del dopoguerra. Gli esempi potrebbero essere molti. Ho già citato l’intervento sulla guerra di Spagna svolto in occasione delle lezioni sull’antifascismo organizzate dal partito radicale nel 1959; si potrebbero poi enumerare i molti articoli sulla situazione spagnola apparsi su Tempo presente, alcuni a firma dello stesso Chiaromonte. Cito solo due episodi che mi sembrano significativi: nel ’52, ancora a Parigi, Chiaromonte organizza insieme a Camus la mobilitazione degli intellettuali europei contro l’ingresso della Spagna nell’UNESCO; nel ’63 egli fa invece ritorno in Spagna per partecipare a un convegno di studi organizzato dal filosofo José Luis Aranguren dal titolo “Nuoveau Roman y la novela del realismo espaňol” che si carica di un significato implicitamente antifranchista. Rimasto in contatto con il filosofo spagnolo, nel ’65, sul numero di marzo di Tempo presente, Chiaromonte dedicherà un lungo articolo alla marcia silenziosa degli studenti dell’Università di Madrid organizzata il 24 febbraio fra gli altri anche da Aranguren (che poi sarà estromesso dalla docenza) per chiedere il ritorno a una qualche forma di libertà associativa all’interno dell’università.