XI Lezione - Arabo LAR Giath Rammo @ Libera Accademia Romana
Lacan filosofia
1. PASQUALE STANZIALE
J. LACAN : ELEMENTI PER LA DEFINIZIONE
DI UN PERCORSO
Eraclito Socrate Platone Agostino Cartesio Spinoza Kant Hegel
Marx Heidegger Wittgenstein Antropologia Linguistica Freud
Topologia Lao Tzu
L'insegnamento di J. Lacan si presenta con notevoli risvolti filosofici. C'è un richiamo continuo a
vari filosofi e, nello stesso tempo, una utilizzazione sapiente di alcune tematiche filosofiche
nell'ambito delle elaborazioni lacaniane. Tutto ciò porta ad un percorso filosofico interessante il cui
polo di riferimento è la verità del soggetto e che è utile individuare sinteticamente nei suoi assi
principali. Lacan interessa i filosofi disponibili a recepire sollecitazioni di tipo epistemologico
provenienti dalle scienze umane (congetturali, come direbbe Lacan) nonché i filosofi della
soggettività (o di ciò che resta di essa) nella crisi della modernità e della postmodernità. Ciò perché
2. anche per quanto riguarda il postmoderno Lacan viene a costituire un punto di riferimento- diretto o
indiretto- anche per i filosofi della deterritorializzazione soggettiva..
È quindi utile, per l'individuazione del percorso filosofico di Lacan, muoversi a due livelli: una
ricognizione sui riferimenti filosofici presenti nelle sue elaborazioni e una delimitazione delle
implicazioni filosofiche- dirette o indirette- relativamente a ciò che riguarda il linguaggio, il
soggetto- nella sua verità che è il desiderio- e l'epistemologia della psicoanalisi e della scienza in
generale. Va quindi considerato il fatto che conseguenza del pensiero di Lacan è che la conoscenza è
illusione o mito (1), al contrario vi sono saperi, saperi a palate e quindi l'inevitabile fading della
filosofia, data la preminenza dell'inconscio.
ERACLITO- Questo filosofo viene chiamato in causa relativamente all'interpretazione del
significante logos operata da Heidegger e su cui Lacan ritorna al fine di recuperare il senso di un
esserci presocratico di là dalle stratificazioni delle filosofie successive. Come sempre Lacan ricerca
ciò che può costituire, in qualche modo, referenza anticipatoria rispetto alle sue teorie. In questo
caso si tratta di assegnare al linguaggio, attraverso il logos eracliteo-heideggeriano, un ruolo
decisivo per ciò che riguarda l'intenzionalità locutoria.
SOCRATE- Il filosofo ateniese è ritenuto la figura emblematica di colui che è alla ricerca della
verità dell'uomo. Colui che fa della comunicazione linguistica una virtù
(maieutica
dell'Interlocutore) (E 128) atta a muoversi verso l'assoluto. Colui che inizia il movimento dialettico
della coscienza di sé, movimento che giungerà fino a Hegel. (E 292). Prima figura d'analista,
dunque che, attraverso la maieutica, riesce a far emergere, nel soggetto, il linguaggio del desiderio
(BJ 185) ma anche assertore della possibilità (filosofica) del trionfo della via razionale (S 100)attraverso il dialogo- rispetto all'aggressività.
Socrate è pure, per Lacan un vettore di Giustizia che riconosce - e fa riconoscere- la Legge e la
Tradizione della Città. Iniziatore della psicoanalisi, quindi, per Lacan, quando afferma che "..la
voce dell'intelletto è bassa, ma non si arresta fino a che non la si è intesa.." (S 123) e maestro
perfetto quando è riconosciuto da Alcibiade, il seduttore, (Simposio platonico) e di cui l'analista
Socrate- con un gioco di transfert ante litteram (la figura socratica è portatrice di agalma,
meraviglia e quindi è l'oggetto del desiderio /a/ lacaniano)- fa risaltare la divisione del soggetto. È
quest'ultimo riferimento uno dei tipici mixage lacaniani di cui parla Borch-Jacobsen a varie riprese
nel suo libro su Lacan, un ri-leggere la tradizione filosofica puntando là dove già altri avevano
anticipato, in qualche modo, ciò che Lui ora teorizza rendendolo omogeneo. In questo caso si tratta
del transfert e dell'ichspaltung.
Non va comunque eluso, anche per quanto riguarda Socrate, il problema dell'influenza di Kojève su
Lacan. E certamente Lacan fu suggestionato dall'articolo di Kojève sul Journal philosophique
(1917) in cui il filosofo russo prendeva le parti di Socrate rispetto alla battaglia delle Isole
Arginuse. Il tema dell'articolo riguardava l'inevitabilità del crimine a fin di bene (posizione
sostenuta da Socrate) e l'affermazione di un'etica dell'uomo nel primato del bene collettivo
(posizione sostenuta da Kojève) (R 106). Socrate quindi come prima figura in cui si identifica, in
qualche modo, Lacan. Socrate alla ricerca della verità: ciò che lo rende insuperabile (S 187)
come Marx, come Freud, come Cartesio, come ...... Lacan stesso.
PLATONE- Per Lacan anche in Platone sono presenti temi pertinenti al suo campo di indagine.
Platone è il saggio che mostra la dialettica comune alle passioni dell'anima della città (S 114). Il
filosofo ateniese ha avuto il merito di farci conoscere l'elasticità della maieutica socratica attraverso
un procedimento affascinante (S 286). Da ciò emerge l'enigma intatto dello psicanalista per ciò che
riguarda la via che conduce alla verità. E le reminiscenze rientrano a pieno titolo nella tecnica
analitica come l'idea che non è niente altro che una figurazione originaria dell'archetipo (S 383).
Vari sono quindi i richiami ai miti platonici per il loro simbolismo: la diade, Eros, l'Uomo
primordiale, l'Uomo sferico ovvero l'uovo, che nel rompersi fa uscire l'Homo ma anche ciò che,
con un gioco di parole, Lacan chiama Homelette ovvero una ameba, un debordare, una lamella. Ciò
3. che rappresenta la libido umana, un campo di forze (S 849). È poi nel Seminario del 1960-61 (S
XII) che Lacan si dedica specificatamente a Platone ed anche in questo caso aleggia nell'aria
la figura di Kojève. Lacan commenta in modo magistrale il Simposio platonico nell'ambito
tematico del Transfert. Come sappiamo nel Simposio il tema dell'amore viene affrontato in modo
diverso da sei personaggi maschili ma con l'intervento di una donna, Diotima. Lacan individua nelle
parole di ciascun personaggio il desiderio inconscio ed al Socrate platonico assegna, come si è
visto, il ruolo dello psicoanalista. In tale contesto Lacan individua anche gli oggetti del desiderio
indicatori della mancanza-a-essere. Dirà Lacan (R 274) che l'amore è dare ciò che non si ha a
qualcuno che non lo vuole (o che /pensa/ di volere altro).
Altri riferimenti a tematiche della filosofia platonica riguardano il tema lacaniano della verità. I
riferimenti sono alla Repubblica ed al concetto di verità come adaequatio e rectitude du regard (BJ
79), una verità che mentre in Platone si collega al tema della politica, in Lacan si confonde con
l'elaborazione di un mito della verità (BJ 159).
AGOSTINO- Lacan afferma di aver letto almeno trenta volte le Confessioni. In effetti, vari sono i
riferimenti lacaniani al pensiero agostiniano dato che il Vescovo di Ippona viene esplicitamente
ritenuto un anticipatore della psicoanalisi. In particolare Lacan si riferisce ad Agostino là dove
questi descrive un bambino- in-fans- in preda alla gelosia, che guarda torvo il fratello di latte. Tale
descrizione per Lacan corrisponde alla frustrazione primordiale e all'aggressività originaria, (S 109)
come coordinate psichiche dell'in-fans. Questa formulazione viene ripresa anche più avanti negli
Scritti a proposito del Discorso sulla causalità psichica (S 175). Agostino, poi, unitamente a
Quintiliano, viene ritenuto tra quelli che in epoca antica avevano già compreso la distinzione tra
significato e significante successivamente studiata da Ferdinand De Saussure (S 461). Ed è sempre
nell'ambito linguistico pertinente a De Saussure che si colloca il Seminario che il 23 giugno 1954
Lacan dedica al De significatione locutionis dal De Magistro agostiniano. Siamo qui ad una ripresa
dei temi dell'Istanza della lettera dell'inconscio (S 493) in cui Lacan viene a delineare le modalità
per cui l'inconscio è strutturato come un linguaggio. Altro richiamo ad Agostino è presente nella
Posizione dell'inconscio (S 845) in cui viene chiamato a sostegno del fatto che l'Altro è per il
soggetto il luogo della sua causa significante dato che nessun soggetto può essere causa di sé. Si
tratta di un'alienazione costitutiva del soggetto che si riferisce al concetto agostiniano del rifiuto
dell'attributo della causa in sé al Dio personale pensato come soggetto. Tema questo ripreso anche
in ambito epistemologico nel capitolo La scienza della verità (S 878) in cui Lacan esorta i suoi
uditori ad armarsi anzitutto di Agostino.
CARTESIO- Vari sono i riferimenti a Cartesio nelle teorie lacaniane ma un posto centrale viene ad
assumere la critica al Cogito. Anche in questo caso troviamo la presenza di Kojève con cui Lacan
doveva scrivere, nel 1936, un saggio (R 113) su Hegel e Freud. L'introduzione a questo saggio,
scritta da Kojève, tratta proprio del Cogito cartesiano posto a confronto con l'autocoscienza
hegeliana. Qui Kojève delinea tre concetti che poi Lacan svilupperà, vale a dire l'io penso
cartesiano che diviene l'io desidero hegeliano - e quindi l'emergere della verità dell'essere che è il
desiderio- l'io come soggetto desiderante e lo scarto tra un je e un moi.
Negli anni '40 Lacan sposta sempre di più il Cogito in una prospettiva hegeliana per cui è solamente
nel dialogo con l'altro, solo attraverso un'alienazione nella comune rete linguistica, che il soggetto
costruisce una rappresentazione di sé, unica strada per accedere, in qualche modo ad una coscienza
di sé (E 229). E si tratta di un Cogito a livello linguistico, sociale, immesso nella serie delle
relazioni intersoggettive.
In seguito, partendo proprio da questo soggetto diviso Lacan sviluppa una critica che si può
riassumere nella torsione del Cogito per cui io penso dove non sono e quindi il soggetto è là dove
non pensa. Lacan puntualizza poi che il je, soggetto dell'enunciazione, shifter, viene usato per
designare il soggetto senza significarlo (R 295), ciò che rimanda necessariamente al soggetto
parlante e all'inconscio. Lacan quindi non può non tener presente la critica heideggeriana del Cogito
che traduce l'io penso in un io rappresento, una forzatura che tuttavia è produttiva (BJ 75)
4. rientrando in quella metafisica della soggettività che, per Heidegger, si sviluppa da Cartesio a
Hegel. Su questa strada Lacan definisce il soggetto cartesiano un occhio, un occhio che si vede in
tutto ciò in cui si oggettiva e che costituisce il fondamento della scienza galileo-cartesiana. Il
Cogito per Lacan è dunque fondamentalmente visuale, il soggetto si vede vedersi (S XI 76) e ciò è
strettamente connesso con lo stadio dello specchio.
In un altro Seminario, quindi, la riflessione lacaniana sul Cogito si connette con il tema della verità:
il soggetto come res cogitans incrocia- mancando- incessantemente il reale e ciò perché questo
soggetto è in-adeguato rispetto alla verità (S XI 49) nel senso che è portato a negare la realtà a
vantaggio di una continua autorappresentazione. Ovvero l'io penso si traduce in un je/me/ dis e
quindi ad una adesione all'interpretazione heideggeriana del Cogito je/me/ représente (BJ 225)
sottolineando così la distanza tra il soggetto dell'enunciazione e l'enunciato che lo rappresenta.
Come sottolinea Borch-Jacobsen Lacan ritiene che il soggetto non può rapportarsi a se stesso
nell'atto dell'enunciazione se non a condizione di alienarsi nell'atto dell'enunciazione stesso in cui il
soggetto se re/prèsente: in qualche modo un monologo che diventa dialogo (BJ 226) (S XI 201).
SPINOZA- Spinoza rimane un amore di gioventù di Lacan. In particolare l'Etica costituì negli anni
'30 un punto di riferimento per Lacan strategicamente produttivo. Lo spinozismo lacaniano di
questo periodo riflette il tentativo di delineare, in modo innovativo, una teoria della personalità
basata sul parallelismo tra l'ordine delle cose e l'ordine del pensiero. Lacan sottoscrive volentieri la
tesi spinoziana (proposizione sette del secondo libro dell'Etica) secondo cui tra il pensiero e le cose
c'è un rapporto di traduzione. Ed è in questa direzione che Lacan svilupperà la tesi che la
personalità è parallela alla totalità formata dall'individuo e dal suo ambiente (R 56). Lacan trascrive
la proposizione 57 del terzo libro dell'Etica sulla prima pagina della sua Tesi e la commenta alla
fine di questa, poi traduce ancora la proposizione sette ma la traduce secondo una angolatura
freudiana funzionale ai suoi assunti. Utilizzerà ancora Spinoza privilegiando, ovviamente, la sua
teoria del desiderio e, negli anni '60, in particolare, scriverà un commento del kherem, pietra
miliare sul percorso che lo porterà fuori dalla International Psychoanalytical Association
(Seminario EPHE 1964). Nello stesso anno Spinoza viene dapprima ripreso come il filosofo
dell'amor intellectualis e poi sarà ripudiato a favore di Kant.
KANT- Lacan si occupa di Kant anzitutto negli Scritti (Nota sulla relazione di Daniel Lagache) a
proposito della struttura del Superio (S 679) che viene posta in relazione con l'eteronomia
dell'essere riscontrata nelle istanze kantiane della via stellata e della legge morale per cui Lacan fa
coincidere la voce del Superio con la voce stessa della coscienza, ovvero con la legge morale la
quale, dice Lacan usando una delle sue ellissi, è la stessa che udì il popolo ebraico sul monte Sinai.
Ed è sempre negli Scritti che troviamo Kant fuso con il Divino Marchese. In Kant con Sade (S
764): abbiamo un incontro che lo stesso Lacan, nel finale, definisce una bizzarria che è tutt'al più
un tono di ragione e in cui sono presenti suggestioni che Lacan ha ricavato (R 338) prima dalla
lettura di Horkheimer e Adorno e poi da Foucault. Secondo Lacan Sade porta a compimento la
verità kantiana della Critica della Ragion Pratica. Lacan individua della morale kantiana una teoria
del desiderio che però si realizza attraverso una rimozione dell'oggetto del desiderio stesso.
L'imperativo kantiano trova il suo approdo nel diritto ma attraverso la messa a morte del desiderio.
In una posizione simmetrica ma opposta l'imperativo sadiano porta al godimento non rimuovendo
l'oggetto /a/ del desiderio (che è sempre desiderio dell'Altro che- in questo caso- è il torturatore).
Anche in questo caso la fusione Kant-Sade rientra in una strategia teorica che, come puntualmente
sottolinea E. Roudinesco (R.340), partendo dalla sovversione sadiana porta al centro del pensiero
del ventesimo secolo la sovversione freudiana e le nuove riflessioni sviluppate da Lacan sul
concetto di libertà (partendo da Spinoza, Kant-Sade e H. Harendt) una libertà che per Lacan mal
si conciliava con il sistema di potere della solita International Psychoanalytical Association. Per
Lacan si trattava di affermare una nuova libertà di ricerca e di sviluppi terapeutici di là da ogni
standardizzazione.
5. HEGEL- La Fenomenologia dello Spirito di Hegel è senza dubbio l'opera che ha segnato più di
tutte lo sviluppo delle teorie lacaniane. Già al tempo de "La psicosi paranoica nei suoi rapporti con
la personalità" (tesi di dottorato in medicina, 1932) troviamo in Lacan un modo di leggere Hegel
attraverso Freud indubbiamente inedito e produttivo. La paranoia criminale viene da Lacan letta
secondo gli schemi della dialettica hegeliana, la dialettica servo-padrone (nel caso specifico, per
quanto riguarda il caso Aimée si può parlare di una dialettica serva-padrona). L'alienazione, la
coscienza di sé, la legge del cuore e il delirio di presunzione hegeliani vengono, per Lacan, a
costituire elementi di una formula generale della follia applicabile in ambito psichiatrico e relativa
ad una più generale dialettica dell'essere umano (E 171 e segg.).
Borch-Jacobsen, poi, mostra come a Hegel si riferisca Lacan quando si occupa dello specchio,
ovvero della riflessione, re-flectere e della speculazione (speculum). È nel gioco dialettico tra
riflessione e speculazione che si situa lo stadio dello specchio lacaniano in modo chiaramente
hegeliano (BJ 71) là dove la riflessione ha un posto fondamentale nel processo speculativo (l'essere
per Hegel deve necessariamente esporsi).
Ma è attraverso le lezioni di Alexandre Kojève (2) sulla Fenomenologia dello Spirito- una lettura
antropologizzante e paraheideggeriana di Hegel- che Lacan trova nel filosofo tedesco il motore
della sua teoria del soggetto. Chiaramente nella Tesi V della relazione "L'aggressività in
psicoanalisi" (1948) Lacan indica nella dialettica servo/padrone la legge di ferro dell'ontologia
umana (S 115) e nella formula tesi-antitesi-sintesi la legge generatrice della realtà (S 135), oltre ad
individuare nel lavoro dello schiavo il segno di una doppia alienazione relativa al prodotto ed
all'essenza del lavoro stesso: ciò che porta l'immaginario del servo ad impigliarsi nel desiderio della
morte del padrone che, per Lacan, coincide con la morte del servo stesso (E 805) e quindi ad un
proiettarsi di rapporti tra ego e superego che Lacan riscontra, criticandoli, nel discorso analitico
tradizionale.
E quindi la centralità del desiderio antropogeno (Begierde), il desiderio come desiderio del
desiderio dell'Altro, vale a dire che per Lacan il desiderio è sempre strutturalmente mediato (S 175).
Al desiderio è collegata la domanda incessante del soggetto e la serie delle sue identificazioni. Il
desiderio come percorso ai bordi di un vuoto sul nastro di Möebius: ciò che porta il soggetto a divenire sempre altro da sé (BJ 115).
Lacan, dunque, è segnato in modo decisivo dalla lettura kojeviana della Fenomenologia dello
Spirito ma il suo interesse viene catturato dalla prospettiva heideggeriana che emerge dalle lezioni
di Kojeve. La coscienza di sé kojeviana è assai vicina al dasein heideggeriano (BJ 116) ed è in
questo ambito che la dialettica servo/padrone viene da Lacan considerata come impasse
immaginaria (S I 248) ed alienazione irriducibile dato che il desiderio di riconoscimento rimanda a
qualcosa d'altro che non se stessi. Desiderando il desiderio-dell'Altro si desidera se-stessi, ma non
c'è identità tra il soggetto e lui-stesso e quindi ciò che è in questione è un altro sé. Per Lacan oltre il
desiderio di riconoscimento, oltre un sé decentrato, c'è un rimando ad una entità che satura ed è il
soggetto stesso: il nulla, o meglio il maestro assoluto (des absoluten Herrn), il quarto elemento del
triangolo edipico cioè la morte. Una morte che non ha uno spazio fenomenologico in Hegel che
tende ad evitarla, a differirla (BJ 118) e che invece Lacan ritrova in varie modalità nello spazio
dell'immaginario.
Tra i molti rimandi lacaniani a Hegel, attraverso e non Kojève, troviamo la teoria che vede nell'atto
linguistico una simultaneità di presenza-assenza, di essere e non essere e che Borch-Jacobsen pone
in analogia con l'hegeliano aspetto negatore del linguaggio là dove la parola, nel nominare la cosa
la nega, la uccide nel momento in cui diviene idea, rivelando così che l'essenza dell'essere della
cosa coincide con il nulla. Ma anche la parola è, kojèvianamente, la vita di questa morte e di questo
nulla (BJ 204).
Lacan, infine, tende a distaccarsi da Hegel sulla questione della verità, la quale viene dallo
psicoanalista francese fatta uscire dall'ambito della astuzia della ragione per farla rientrare
materialisticamente in un ambito marxiano (S 227).
6. MARX- Varie sono nell'Opera lacaniana le disseminazioni che hanno come riferimento Marx,
talvolta in passaggi che rimandano ad Hegel. È in tale ambito che si potrebbe parlare di una
economia politica dell'Immaginario (3) quasi individuando in Lacan una ellisse epistemologica
pertinente ad una omologia tra la critica dell'economia capitalistica marxiana e l'economia del
soggetto. Scrive infatti P. Bruno (4) che "... come il discorso, costituendo l'oggetto al di fuori del
soggetto del godimento, gli conferisce il potere di supplire, mediante il desiderio, al godimento che
si perde- funzione del plus-godere, allo stesso modo la trasformazione della forza lavoro in merce
producendo un oggetto che è di fatto una perdita, quella del plus-lavoro non pagato all'operaio,
conferisce a questo oggetto il suo valore aggiuntivo- funzione del plus-valore..". L'oggetto a cui ci
si riferisce qui è naturalmente l'oggetto /piccolo a/. Il concetto del plus-godere (5) rientra in questo
ambito, plus-godere che è prodotto dall'effetto di linguaggio come pure il discorso del padrone e il
discorso del capitalista (6) ("..Lo sfruttamento del desiderio è la grande invenzione del discorso del
capitalista, perché dopotutto bisogna indicarlo col proprio nome. Devo dire che è un marchingegno
maledettamente riuscito...")(7). Ma è il linguaggio che Lacan pone in primo piano, in un ambito
strutturale per il soggetto, linguaggio che pure ha a che fare (8) con il valore di scambio e con il
valore d'uso. Lacan sottolinea la predominanza linguistica del valore di scambio a scapito del valore
d'uso il quale però implica il godimento.
Lacan però a varie riprese, in particolare negli Scritti si è pure soffermato su Marx per ciò che
riguarda il sintomo posto in relazione con la verità rispetto a Freud (S 187 227 433 813 480). La
posizione di Lacan in tale ambito riguarda il fatto che mentre per Marx il sintomo rappresenta un
ritorno (materialistico) alla verità, per Freud il sintomo è verità. Ciò viene posto giustamente in
rilievo da P. Bruno che dedica al rapporto Lacan-Marx due esaurienti saggi (9) indicando come un
seguito Lacan tenda a distaccarsi da Marx per il fatto che il desiderio non può essere riassorbito in
una distribuzione inedita del suo oggetto (10), ovvero che non è possibile regolare il rapporto del
soggetto con il godimento allo stesso modo di una ripartizione del plus-valore.
Altro spazio di riferimenti critici di Lacan a Marx è sia quello relativo alla materialità del
significante, per la sua incidenza rispetto al soggetto, sia quello che riguarda il problema della
scienza affrontato a due livelli: sul versante del soggetto (cartesiano) della scienza, sul versante del
discorso scientifico collocato nella teoria dei quattro discorsi. In tale teoria dapprima Lacan
distingue il discorso universitario (per la sua coincidenza con il discorso scientifico dalla parte di
Marx) da quello dell'analista, per rilevare, successivamente (RT 76) l'analogia tra il discorso
universitario e quello isterico. Il problema di fondo, in ogni caso, da cui muove Lacan è che la
verità coincide con il reale che implica il godimento, tale processo produce sempre un resto (11).
HEIDEGGER- Martin Heidegger è uno dei filosofi che maggiormente ha influenzato Lacan e da
Lacan stesso spesso usato in chiave antisartriana. Si può così certamente parlare di un'ottica
heideggeriana in Lacan. Si tratta di un'ottica attraverso cui vengono rielaborate, in ambito
psicoanalitico, alcune problematiche filosofiche. Abbiamo già visto la problematica connessa con il
logos eracliteo e con il cogito cartesiano e quindi si è accennato alla trattazione del concetto di
verità. Ma in senso generale Lacan mostra di accettare in pieno la filosofia heideggeriana
dall'antiumanesimo alla critica dell'idea di progresso, dalla finitezza dell'essere all'alienazione
linguistica ed esistenziale, al dis-velamento del desiderio. Dalla lettura di "Essere e tempo" (1927) e
delle opere successive di Heidegger Lacan si confronta con una visione dell'essere che è esseregettati-nel-mondo ma anche ek-sistere, progetto, tensione continua. Prima e dopo vi è il nulla, la
morte: ciò che è la possibilità propria e incondizionata del soggetto storico (S 312). Tematiche,
queste, presenti e spesso in primo piano- sapientemente amalgamate con la lettura kojèviana di
Hegel- nell'ambito della psicoanalisi lacaniana.
In particolare l'ampia trattazione lacaniana della verità trae da Heidegger i suoi assunti di partenza.
La verità è per Heidegger l'a-letheia dei presocratici, ovvero svelamento e quindi vero è ciò che
viene a mostrarsi chiaramente allo sguardo. Vedere, dunque, ma nella dimensione che consente lo
sguardo. Rimane però sempre qualcosa di non-visibile, nascosto e dimenticato. E allora non c'è
7. rivelazione della verità senza un velamento, un nascondere: una erranza originaria. Come nel logos
che è un far-vedere (BJ 132) che necessariamente rimanda ad un non-svelato. È nel nascondersi che
la verità si offre nel modo più vero (S 18). Tutto ciò è anche pertinente al linguaggio. Lacan ritiene
che il linguaggio dell'uomo è attraversato da parte a parte dal problema della SUA verità (E 160):
una verità che può essere manifestata come intenzione ma che può anche tradire esprimendo
modalità della formazione storica del soggetto stesso. Ma anche tutto ciò riguarda il desiderio (S
XI 129), la sua verità paradossale che è rimozione e dimenticanza (BJ 134). Questa rimozione fa
si che il logos che rimuove viene a rappresentare l'aletheia del desiderio. Ovvero è mentendo che il
soggetto dice (parola piena e parola vuota) la verità del suo desiderio. La verità del soggetto viene
poi posta da Lacan in relazione con la realtà convenendo kojèvianamente che la verità si oppone
alla realtà (S I 28). Lacan così raggiunge posizioni diverse da quelle heideggeriane di partenza pur
facendone restare sullo sfondo la struttura concettuale. Egli dirà che la verità parla mentendo, che
la verità si mostra nella truffa, nell'inganno e nella menzogna, ovvero con tutto ciò che ha a che fare
con la rimozione ( S I 216- S III 21 segg.).
WITTGENSTEIN- Nel Seminario del 1969-70 (XVII) Lacan si occupa del Tractatus logicophilosophicus di Ludwig Wittgenstein. Il commento che Lacan fa del Tractatus rientra in quella
fase che la Roudinesco definisce Riforma matematica, successiva alla precedente Riforma logica
posta in atto negli anni sessanta da Lacan. Siamo nell'ambito dei rapporti tra linguaggio, logica e
filosofia per ciò che riguarda le possibilità espressive del linguaggio, le sue rappresentazioni, i suoi
rimandi comunicativi. Ma anche si tratta di intendere la filosofia in senso terapeutico là dove si
vengono a stabilire i limiti del dicibile in relazione all'indicibile o ineffabile e alla necessità del
silenzio. Per Lacan la divaricazione tra il dire e il mostrare tende a rientrare in una concezione della
psicoanalisi che produce due esiti: uno di tipo sciamanico-religioso e uno di tipo dogmatico,
veicolabile nella misura in cui è formalizzabile. È in tale prospettiva (R 372) che nasce, dallo
sviluppo della nozione di
gruppo quaternario quell'oggetto matematico che Lacan chiama
quadripode. Si tratta di quattro poli: il discorso del padrone, S1 significante primordiale, S2 sapere
inconscio, lavoro; $ soggetto barrato, indicibile, verità; oggetto /a/ perdita, mancanza ma anche
plusgodimento (quello del Padrone). La rotazione dei quattro poli comporta la definizione di vari
tipi di discorsi: quello isterico, quello psicoanalitico, quello universitario. Lacan viene così a
delineare una teoria della discorsività che riguarda anche la libertà delle masse, la tirannide, la
necessità di un maître e la rivoluzione: concetti in cui risulta abbastanza evidente l'impostazione
antisartriana.
2 L'ANTROPOLOGIA
L'interesse di Lacan per gli studi di CLAUDE LÉVI-STRAUSS nasce nell'ambito della
convergenza e dell'incontro tra Scienze Umane che porta all'insieme di teorie che prese il nome di
Strutturalismo. L'Antropologia Strutturale di Lévi-Strauss costituì, dal punto di vista metodologicoe per i risultati conseguiti- uno dei maggiori punti di riferimento dello Strutturalismo. Le
problematiche di fondo che troviamo nello strutturalismo di Lacan e Lévi-Strauss- ma anche in
Freud- sono relative al fatto che il soggetto vive qualcosa che gli sfugge: una struttura di leggi e di
significanti che è pertinente all'inconscio umano ed ai rapporti tra natura e cultura. C'è una relazione
tra l'inconscio freudiano e la psico-logica dell'uomo che è rilevabile nei miti, nelle strutture della
parentela, nella costruzione dell'immaginario in generale e del simbolico. Inoltre ciò che accomuna
Lacan a Lévi-Strauss è il produttivo interesse metodologico per la Linguistica. Per l'antropologo,
come per lo psicoanalista, la rete delle significazioni avvolge il soggetto (anche prima della nascita,
direbbe Lacan) e quindi è necessario possedere dei saperi (ancora Lacan) che possano rendere
conto delle leggi che presiedono all'uso del segno. Le strutture della parentela, l'analisi dei miti,
l'inconscio, attraverso la linguistica, acquistano una intelligibilità notevole.
Lacan si rifà alle teorie lèvistraussiane nella delineazione dei tre registri del soggetto: immaginario,
simbolico e reale. Il simbolico, in particolare è quello posto in evidenza dall'antropologo per ciò
che riguarda lo scambio e la trasformazione nell'area della significazione simbolica (E 272 - 380).
8. Questa significazione è strettamente connessa con la dialettica del desiderio. E quindi, in effetti,
l'inconscio lacaniano viene a coincidere con il simbolico lèvistraussiano.
Inoltre Lacan a più riprese (S I II III) ha ripreso la formula lèvistraussiana dell'inversione del
proprio messaggio che riceve l'emittente da parte del ricevente.
Lacan, infine, come Lèvi-Strauss sostiene l'autonomia- e la non dipendenza- del significante dal
significato (S III 282, S XX 20- 31 segg.), vale a dire che il significante è l'origine del significato
come EFFETTO. E il significante originario è - androcentricamente- il fallo.
3 LA LINGUISTICA
Come già accennato la Linguistica ha un ruolo importante nella psicoanalisi lacaniana. Negli anni
'50 nelle sue conferenze Lacan mostra di aver ben fatte proprie le teorie linguistiche a partire
dall'insegnamento saussuriano, compreso Benveniste e Jakobson.
La formula di DE SAUSSURE S/s viene invertita da Lacan attribuendo al significante un valore
strategico decisivo Esiste così una rete di significanti e di significati ovvero si tratta di due
royaumes flottans (S III 135 segg.- E 502 segg.- BJ 216), la barretta di separazione rappresenta la
rimozione del significato e, quindi, si ha che il soggetto viene a costituirsi come un significante per
un altro significante in un insieme strutturale, inoltre c'è un momento in cui un significante va a
collegarsi con un significato dando origine alla significazione: questo momento è detto da Lacan
punto di capitone. Il significante qui va inteso come dotato di piena autonomia rispetto al significato
(S III 223), comunque il significante non significa niente (BJ 211- S III 210) ma origina il
significato che ne è un effetto (S XX 22 segg.). Si comprende così ciò che dice Lacan affermando
che il senso si produce dal non-senso (E 508). Infine anche la saussuriana dicotomia lingua/parola
viene in ambito psicoanalitico lacaniano ad acquisire una produttiva connotazione significativa: la
lingua non è più il linguaggio meno la parola ma viene in primo piano il linguaggio che è la lingua
più la parola.
Anche BENVENISTE viene chiamato in causa in vario modo nella psicoanalisi lacaniana.
Anzitutto per ciò che riguarda la relazione tra enunciazione, soggettività e intersoggettività. Di cosa
parla il soggetto quando dice "io" e "tu", si chiede Benveniste. Si tratta di realtà di discorso
attraverso cui vanno a fondarsi soggettività e intersoggettività. Vale a dire che è il linguaggio
l'ambito di costituzione della soggettività e della intersoggettività. Una teoria questa che Lacan
sposa in pieno quando parla del soggetto ridotto al puro fatto di dire: soggetto della parola che si
costituisce attraverso la mediazione del TU (BJ 173). C'è poi una linea concettuale SaussureBenveniste-Lacan relativa al rapporto significante/significato, rapporto di arbitrarietà corretto da
Benveniste nel senso che il significato va ricercato nelle relazioni tra significanti. Lacan, a sua
volta, aggiunge alla tesi di Benveniste, già assai significativa in senso psicoanalitico, che il corpo
letterale del significante non ha nessuna anima (senso) e che un certo senso (esprit) emerge "..de son
accouplement avec d'autres corps aussi stupides que lui.." (BJ 212).
Ma punto nodale dei rapporti tra psicoanalisi è linguistica è quello genialmente enunciato da Lacan
per il quale L'INCONSCIO È STRUTTURATO COME UN LINGUAGGIO (tesi questa che darà
luogo a controversie con J. Laplanche per cui l'inconscio è la condizione del linguaggio) (RL 299).
La rimozione è pertinente alla rete dei significanti che costituiscono l'inconscio il quale è
organizzato secondo connessioni di tipo METAFORICO e METONIMICO. Tra l'area del conscio
e quella dell'inconscio c'è una articolata dinamica di significanti funzionalmente riferibile ad un
modello linguistico le cui formazioni vengono ad emergere nell'analisi... Siamo così ora in grado
di esaminare quello che rappresenta il modello linguistico-strutturale privilegiato da Lacan: quello
di JAKOBSON. Dal linguista di Praga Lacan mutua distinzioni che diventano importanti in ambito
psicoanalitico. L'icona, così è un significante che riproduce le qualità effettive del significato;
l'indice allude al significato attraverso relazioni tra significante e significato; il simbolo è un
significante che implica una regola relazionale tra significante e significato. E quindi l'acquisizione
degli assi attraverso cui si articola il linguaggio: l'asse della selezione e l'asse della combinazione.
Il primo asse riguarda la possibilità di sostituzione di un termine con un altro per similarità, per
9. opposizione; l'altro asse riguarda la connessione, il contesto, il legame tra segni per contiguità, per
contrasto. Si può dunque costruire il seguente schema esplicativo come propone A. Rifflet-Lemaire
(RL 65):
SELEZIONE: similarità, opposizioni, paradigma, sostituzioni-associazioni, (lingua), (sincronia),
METAFORA.
COMBINAZIONE: contiguità, contrasti, contesto, sintagma, (parola), (diacronia), METONIMIA.
La metafora e la metonimia (jakobsoniane) sono forme di articolazione del pensiero ma sono anche
pertinenti, come si è visto, all'inconscio e al linguaggio nelle loro risposte oniriche, associative e
sintomatologiche. La metafora può essere ricondotta (BJ 219) per Lacan :
1alla sostituzione di una parola con un'altra sull'asse paradigmatico;
2alla metafora in senso retorico;
3alla condensazione freudiana;
4al sintomo psicoanalitico (E 507-518).
Mentre la metonimia viene a riguardare:
1la parola sull'asse sintagmatico;
2la metonimia in senso retorico;
3lo spostamento freudiano;
4il desiderio come continuo desiderio di un'altra cosa (E 505-518).
Vi sono infine nella psicoanalisi lacaniana notazioni di carattere linguistico che possono essere
riferite ad ambiti che vanno al di là della generalità dell'ottica linguistica lacaniana e di cui si è
cercato di rendere conto nelle brevi note precedenti. È il caso della linguistica di J. L. AUSTIN di
cui Borch-Jacobsen riprende alcuni concetti-chiave mostrandone la corrispondenza con alcuni
assunti lacaniani e mostrando anche come vi sia qualche punto di contatto tra la pragmatica del
linguaggio (filosofia analitica sulla linea Ryle- Strawson- Watzlawich) e la visione linguistica di
Lacan. Il punto di partenza è la distinzione lacaniana tra parola vuota e parola piena. Per BorchJacobsen (BJ 175 segg.) la parola piena lacaniana corrisponde alla parola performativa di Austin
(enunciato intenzionale di eseguire un'azione che perciò stesso viene realizzata). Ciò perché:
1si tratta di una parola non constativa (che non rappresenta né descrive niente di precedente
alla sua enunciazione);
2non è di fatto né vera né falsa nel senso della corrispondenza ai fatti (esempio tipico: il si nel
matrimonio, enunciato che afferma e comporta il compimento di una azione);
3la parola piena lacaniana impegna, agisce, istituisce, trasforma, è atto, come la parola
performativa di Austin;
4si tratta di una parola che impegna il soggetto ed acquista così un carattere specificatamente
soggettivo;
5- la parola piena lacaniana suppone e chiama una risposta che la definisce di ritorno come l'atto
illocutorio di Austin, vale a dire enunciato di comando, intenzione, richiesta, proibizione (E 29
segg.);
6l'efficacia o l'inefficacia della parola piena rientra nell'ambito del simbolico e va a riferirsi
ad una convenzione, ad un codice extralinguistico di pertinenza antropologica.
La parola piena lacaniana, assimilabile al performativo austiniano, conduce paradossalmente alla
realizzazione del soggetto (E 247- BJ 177) che assume valore di entità attraverso la potenza della
Parola. Ma anche la parola vuota ha la sua importanza afferma Lacan (E 291) e non va rigettata
dato che in analisi quella più frequente è la parola vuota la quale è anche piena dato che mentire è
anche dire il vero, come si è visto, per Lacan. Del resto anche Austin è sulle stesse posizioni quando
scrive che spesso la parola performativa è spesso formulata in modo constativo.
Altro linguista pure chiamato in causa per la compatibilità e la conciliabilità delle sue teorie con
l'ottica linguistica lacaniana è N. E. CHOMSKY (RL 59). Questa conciliabilità riguarda
principalmente la differenza che Chomsky stabilisce tra la struttura superficiale e la struttura
profonda riscontrabili nel linguaggio. La prima riguarda l'organizzazione della significazione e la
10. sua consistenza materiale, la seconda invece è relativa all'aspetto semantico, mentale. Per Chomsky
(e Lacan non potrebbe non essere d'accordo) la struttura profonda origina quella superficiale
attraverso un sistema di grammatica trasformazionale delle relazioni e delle regole di base degli
elementi significanti. Ciò richiama evidenti analogie tra le strutture profonde chomskyane e le
figurazioni metaforiche e metonimiche che caratterizzano l'inconscio lacaniano.
Per concludere diremo che per Lacan il linguaggio è un modo di ri-produrre la realtà, con ciò che
ne consegue. Se il pensiero esiste per il linguaggio così ogni conoscenza o sapere rispetto a se stessi
e agli altri è determinata dalla lingua nel senso che ogni accesso al linguaggio implica un
assoggettamento a questo stesso. Il linguaggio, inoltre, comporta anche una spaltung, una frattura- e
una alienazione conseguente- tra il vissuto e ciò che segnicamente, in qualche modo, viene a
sostituirlo. Questa alienazione allontana sempre più il soggetto da sé lungo la spirale del tempo e
ciò anche attraverso la dimensione linguistica che è in funzione della coscienza. Ciò perché il
linguaggio è connesso alle rimozioni costitutive dell'inconscio.
4 FREUD
Per quanto riguarda Freud il problema per Lacan- ciò va sempre sottolineato- è ritornarvi (in senso
foucaultiano), ritornare a leggere Freud di là da ogni uso strumentale e di là da ogni proliferazione
incontrollata degli ambiti della psicoanalisi. Si tratta di un ritorno alla lettera, al recupero di una
ortodossia che nel suo spirito è potenzialmente produttiva di autentici e validi sviluppi analitici. È
questo che propugna Lacan proponendosi come continuatore dell'Opera freudiana. Ma per
muoversi su questa strada occorre recuperare anzitutto l'autonomia della psicoanalisi rispetto ad
altre scienze umane che vogliono fagocitarla, una autonomia che Lacan recupera anche attraverso
nuovi e originali apporti epistemologici.
Poi vi sono quelle che Lacan ritiene essere degenerazioni strumentali della psicoanalisi, si tratta
della psicoanalisi americana che Lacan denuncia come una tecnica di reintegrazione sociale. Vi
sono poi tutti gli psicoanalisti che si sono perduti in altri ambiti disciplinari o che non si sono
attenuti correttamente ai paradigmi dei vari ambiti analitici. Lacan, infine, è contro tutti i traduttori
di Freud che hanno tradito il senso della Lettera freudiana e condanna ogni riduzione della
psicoanalisi ad una tecnica trasmessa mediante insegnamenti mediocri (MP 120). Ritornare a Freud
significa per Lacan anzitutto realizzare una lettura diretta e rigorosa del testo freudiano, ciò che
Lacan stesso fa (MP 123) quando produce originali e puntuali interpretazioni di analisi freudiane.
Significa poi costruire una struttura concettuale per illuminare e specificare meglio aspetti diversi
dell'Opera freudiana. Anche in tale direzione Lacan ha operato correttamente e sarebbe certamente
utile una ricognizione definitiva su tutti i punti della psicoanalisi freudiana che Lacan riprende. A
tale proposito va sottolineato il fatto che Althusser (12) mostra come Lacan abbia dato inizio ad
una articolata delucidazione dell'Opera freudiana.
Altra direzione è quella di porre in relazione le teorie psicoanalitiche con altre discipline, ovvero
rileggere i concetti freudiani alla luce dei risultati conseguiti da altre scienze umane. E in tal senso
abbiamo visto quale fecondo campo teorico viene a generarsi dal riferirsi della psicoanalisi alla
linguistica, all'antropologia, ma anche alla matematica. Per ciò che riguarda l'aspetto sovversivo
della psicoanalisi, infine, tale aspetto, per la Roudinesco è da connettere (R 286), in Lacan, ad una
eredità culturale del Surrealismo.
5 LA TOPOLOGIA
L'interesse di Lacan per la Topologia emerge in modo evidente dopo gli anni '70. Gli obiettivi di
Lacan in questo ambito sono quelli di giungere ad una formalizzazione del sapere psicoanalitico- e
non solo- capace di rendere conto di ciò che non è sempre dicibile o insegnabile, nonché di
delineare sempre più un sapere teso verso l'assoluto. In questa prospettiva Lacan lavora nell'ultimo
decennio della sua vita unitamente ad un gruppo di giovani matematici che riesce a coinvolgere nel
suo progetto. Risultati di questi studi sono teorie, figure topologiche- e nodi- che traducono in vario
modo le teorie lacaniane.
11. -C'è anzitutto il matema psicoanalitico ovvero un'algebra lacaniana capace di trasmettere
l'insegnamento psicoanalitico.
-Abbiamo poi il nodo borromeo composto da tre cerchi relativi ai tre registri del soggetto:
l'immaginario, il simbolico, il reale. Per Lacan il simbolico annoda e snoda l'immaginario col reale.
-Il nastro di Möbius, invece, è una striscia che curvata si unisce con l'altro suo capo invertito. Si
tratta di una figura topologica in cui non vi è né rovescio né diritto, in cui il bordo rimanda ad una
ambivalenza tra esterno e interno e ad un percorso intorno ad un vuoto costituente. Questa figura
per Lacan rappresenta il soggetto dell'inconscio.
-Vi è poi il toro o camera d'aria in cui una doppia circolarità di percorsi si snoda intorno ad un vuoto
sempre costituente.
-Altre figure topologiche sono il cross-cap, che è la chiusura del nastro di Möebius, e la bottiglia di
Klein che è la trasformazione di una doppia sfera in una unica superficie in cui il soggetto può
arrivare ad un punto che è il suo stesso rovescio e che manifesta lui stesso come rovescio del limite
della superficie stessa (13).
La Topologia lacaniana si basa sull'uso di superfici che vengono impegnate in operazioni logiche. Il
toro, in particolare, serve a visualizzare il percorso della domanda del soggetto che incessantemente
ritorna ma sempre con uno scarto raffigurabile come una spirale a molla lungo la superficie del toro
stesso, ovvero una superficie circolarizzata intorno ad un vuoto centrale costitutivo (14). In queste
figurazioni la domanda e il desiderio visualizzano il soggetto nei loro andamenti su cerchi
irriducibili.
6 LAO-TZU
Buon conoscitore della lingua cinese Lacan si è occupato di Lao-Tzu (o Lao-Tse o Laozi) in un
lavoro di ricerca con F. CHENG. Tra i temi di ricerca un posto fondamentale viene assunto dal
concetto di vuoto intermedio, un concetto che Lacan studia nella prospettiva di riuscire a
formalizzare in modo valido la figurazione dei tre registri del soggetto: l'immaginario, il simbolico e
il reale (R 377). Quello che cercava Lacan era una entità dinamica, una forza originata dal nulla e
costitutiva di una struttura triadica in grado di animare questa stessa struttura la quale richiamava i
tre registri lacaniani. Questo vuoto intermedio Lacan lo trova in Lao-tzu là dove parla del Tao.
"..Il Tao all'origine genera l'Uno/ L'Uno genera il Due/ Il Due genera il Tre/ Il Tre genera diecimila
esseri/ I diecimila esseri s'appoggiano allo Yin/ E abbracciano lo Yang/ L'armonia nasce dal soffio
vuoto intermedio..".
Nello studiare questo passo Lacan e Cheng si rendono conto che il vuoto intermedio corrisponde al
Tre, che emerge da un vuoto originario come soffio che anima gli due altri soffi vitali, lo Yin ( forza
passiva) e lo Yang (forza attiva), nello spazio del divenire (15). Questo vuoto intermedio servirà a
Lacan a ridefinire la categoria del reale nella psicoanalisi nell'ambito dei tre registri del soggetto.
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(6) J. Lacan, cit. pag. 40
(7) J. Lacan, cit. pag. 239
(8) J. Lacan, cit. pag. 209
(9) P. Bruno, cit.- P. Bruno, Marx, la psicoanalisi, il sintomo, in La Psicoanalisi, n.21 Astrolabio,
Roma 1997
(10) P. Bruno, Ritratto cit. pag. 250
(11) J. A. Miller, Silet, in La Psicoanalisi n. 21 cit. pag. 227
(12) L. Althusser, Freud e Lacan, Ed. Riuniti, Roma 1981
(13) Scilicet, 1/4, Feltrinelli 1977, pag. 193
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13. (c) by P. Stanziale 2001-2005-2013
Pasquale Stanziale è nato a Sessa Aurunca in provincia di Caserta, laureato in Filosofia,
docente di Storia e Filosofia nei Licei, collabora con Università ed Agenzie di Formazione
ed è docente di Filosofia Teoretica presso l’ISSR “S.Pietro” di Caserta. Ha al suo attivo
un’ampia pubblicistica nel campo delle Scienze Umane. Collabora con la rivista Civiltà
aurunca per la parte socioantropologica. Tra le sue pubblicazioni Omologazioni e
anomalie (Caserta 1999), ricerca
divenuta un classico degli studi locali, Mappe
dell’alienazione (Roma 1995), saggio di filosofia politica, la traduzione del best-seller la
Società dello spettacolo di G. Debord (Viterbo 2002). Ha curato anche Il Manuale di saper
vivere ad uso delle giovani generazioni di R. Vaneigem (Viterbo 2004) ed una antologia di
autori situazionisti (Viterbo 1998). Tra le pubblicazioni più recenti Cultura e società nel
Mezzogiorno (Caserta 2007), Materiali per une’conomia politica dell’immaginario (Civiltà
Aurunca n. 2 2008-2012 Latina), Scenari tra economia e scienze umane (Quaderni Craet
n. 11 Sec Univ. Napoli 3-2009), Cyberanalysis, (Quaderni Craet n. 14 – Sec Univ. Napoli
6-2010). Laclau & Mouffe: egemonie, socialismo, populismo , La Sinistra Rivista- Mothly
Review 5-2013).