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PASQUALE STANZIALE

STUDI POLITICI

SOCIETÀ E CULTURA POLITICA
NEL MEZZOGIORNO
OBIETTIVO SU
SESSA AURUNCA E CELLOLE
NELL’ALTO CASERTANO

OKA 2013
EBOOK 2013
www.slideshare.net/geseleh
PASQUALE STANZIALE

STUDI POLITICI

SOCIETÀ E CULTURA POLITICA
NEL MEZZOGIORNO
OBIETTIVO SU
SESSA AURUNCA E CELLOLE
NELL’ALTO CASERTANO

Introduzione
1- Paradigmi di cultura politica ed area locale,
linee per un background (2006 2013)
2- Modelli culturali e boss politici (2006 2013)
3- Ricerche (2004- 2006)
4- Dinamiche (2006 2013)
5- La transizione infinita (2006 2013)
6- Excursus elettorale (2006 2013)
7- Nota sulla modernizzazione (1999 2013)
8- Appendice

OKA 2013
EBOOK 2013
SOCIETÀ E CULTURA POLITICA NEL MEZZOGIORNO
OBIETTIVO SU SESSA AURUNCA E CELLOLE
NELL’ALTO CASERTANO

© by P. STANZIALE 2013
Immagine copertina: arteideblog C. Coppola
Foto dell’autore: Giulia Trasacco Phot.
INTRODUZIONE

Le riflessioni che seguono sono frutto di un più che decennale osservatorio
sulle realtà locali di Sessa Aurunca e Cellole, nell’alto casertano, in una
prospettiva di analisi e di comprensione di tematiche sociali e politiche. Si
tratta del tentativo di configurare un disegno concettuale, un itinerario
sintomale e una trama oggettiva di dati dal cui contesto è possibile tracciare
i contorni di un quadro in qualche modo esplicativo.
Ecco quindi risultati di ricerche, un approccio analitico articolato tra spunti
sociologici e spunti antropologico-culturali e, infine, riflessioni relative ad
alcuni temi di sociologia politica ed economica non estranee ad un generale
ambito pedagogico. Il profilo dei dati ha una sua evidente significatività e
propone livelli e andamenti. Le ricerche, nei loro risultati, sono strettamente
correlate all’analisi di cui tendono a convalidare le ipotesi o gli assunti.
L’analisi stessa, nell’avvalersi di in una varietà di indicatori, mira ad una
lettura interpretativa non esaustiva ma comunque significativa e sollecitante
dei processi sociali locali. In particolare vengono ripresi e integrati ampi
spazi di analisi dei lavori precedenti con l’obiettivo di definire le
articolazioni della cultura politica quale si presenta nel Mezzogiorno e
nell’area locale con i suoi modelli e i suoi propri parametri storicamente
emersi negli ultimi decenni.
Il tutto relativo ad un’area comprendente le comunità di Sessa Aurunca e
Cellole, che come altre aree del Mezzogiorno presenta forme di arretratezza
definibili come storicamente croniche ed una marginalità rispetto ad un ciclo
modernizzante che pure emerge, pur se in modo non organico, in altre
realtà locali. Certamente sono visibili timidi elementi evolutivi nelle realtà
sociali di Sessa Aurunca e Cellole, ciò che colloca queste comunità in una
specie di transizione bloccata, ovvero sono percepibili all’orizzonte direttrici
di sviluppo possibile ma, come mostra una recente letteratura
meridionalistica (fra tutti C. Perrotta C. Sunna 2012) non si riesce ad uscire
dalle strettoie di condizionamenti storici propri dell’ambito socioeconomico
del Mezzogiorno quali la prevalenza della rendita sugli altri tipi di reddito
(“il reddito fondamentale della società meridionale […] non è più la
rendita agraria, ma non è nemmeno il profitto. Diventano dominanti altre
forme di rendita (appalti pubblici ottenuti per conoscenze, speculazione sui
terreni edificabili, crescita clientelare della Pubblica Amministrazione,
gestione dei tanti sussidi e finanziamenti agevolati)” (C. Perrotta 2012:
282); la dipendenza da economie più forti; un rapporto perverso tra società
civile e istituzioni pubbliche, viste prima come soggetti oppressori, poi
come strumenti da usare per fini privati, mai come enti preposti all’interesse
pubblico.
Rispetto a questi esiti del nuovo meridionalismo le note che seguono
cercano di individuare nella cultura politica uno degli ambiti
strategicamente significativi dalla cui analisi è possibile comprendere
perché il modello culturale locale non è in grado di processualizzarsi in
una cultura del cambiamento, perché sono riscontrabili forme
di disgregazione
sociale nell’agire
sociale
e
politico,
perché
emergono forme frammentarie di sviluppo senza il coagulo in una
prospettiva organica di progresso
In ogni caso risulta evidente che problema fondamentale del Mezzogiorno
oggi è dunque l’arretratezza dello sviluppo civile (S. Rizzello 2012 P.
Sylos Labini 2003) che continua ad impedirne lo sviluppo economico: “i
limiti strutturali dell’arretratezza civile del Mezzogiorno impediscono
qualunque forma di sano sviluppo endogeno e distorcono ogni forma di
investimento pubblico” (S. Rizzello cit.: 247). Centrale nella spiegazione
del persistente ritardo del Mezzogiorno è cioè “la debolezza del tessuto
sociale; un fenomeno in larga misura addebitabile alla prevalenza di
modelli relazionali di tipo familistico che ostacolano il formarsi e il
consolidarsi di relazioni più complesse e articolate che costituiscono il
sostrato sociale delle interazioni economiche..” (S. Rizzello cit.: 260). Di
conseguenza,
le
soluzioni
proposte
fanno
riferimento
alla
“ricapitalizzazione sociale del territorio” (S. Rizzello cit.: 272), cioè alla
formazione di capitale sociale, e alla “responsabilizzazione della classe
politica e dirigente” (S. Rizzello cit.: 273).
“All’origine – scrivono C. Perrotta e C. Summa (2012: 299)– furono le
istituzioni e l’economia a determinare la cultura arretrata, non viceversa.
Oggi, invece, i fattori di maggior resistenza al cambiamento sono la cultura
e il costume. Sono questi che proteggono gli interessi corporativi, i privilegi
piccoli e grandi, e le abitudini illegali” .
Questa prospettiva di analisi (culturalista) è emersa negli anni Novanta ed
ha orientato gli studiosi italiani a prendere più seriamente in considerazione
il peso degli ostacoli socio-culturali allo sviluppo del Sud: il lavoro di R.
Putnam (1993), sulle differenze regionali di senso civico in Italia troverà nel
nostro Paese un’accoglienza diversa da quella ricevuta da E. C. Banfield
(1961) (con i suoi studi sul familismo amorale meridionale) trentacinque
anni prima, in un contesto sempre più convinto che il problema del
Mezzogiorno sia di cultura civica prima che economico.
Le forme di rinnovamento presenti nel Mezzogiorno dagli anni ’70 sono
state, a detta di molti meridionalisti, superficiali e non sono andate in
profondità in modo tale da modificare i modelli culturali storicamente
cristallizzati su forme premoderne. Quello che vari autori (tra tutti A. Spada
2012: 189) definiscono il passaggio dal blocco storico al blocco sociale,
ovvero le dinamiche relative al modello cultuale che abbiamo rilevato nella
nostra area d’indagine ed articolato nelle pagine che seguono, non ha
delineato una nuova identità del Mezzogiorno ma ne ha mostrato una
identità in cui il premoderno è ancora operante con una serie di distorsioni. .
Scrive Putnam (1993): “Il Sud è in ritardo non perché i suoi cittadini siano
malvagi, ma perché essi sono intrappolati in una struttura sociale e in una
cultura politica che rende difficile e addirittura irrazionale la cooperazione
e la solidarietà “.
In tale ambito il concetto di senso civico, civicness (R. Putnam 1993),
acquista un valore strategico per il suo essere elemento costitutivo della
cultura politica. Pur se questo concetto ha prestato il fianco a molte critiche,
in larga parte fondate (A. Pizzorno 2001), esso costituisce pur sempre un
indicatore in grado di rendere conto, in modo significativo, delle forme di
arretratezza del Mezzogiorno.
Il senso civico, può essere definito come un atteggiamento di rispetto,
disponibilità, di fiducia verso gli altri, orientato alla fattiva cooperazione
per il miglioramento della società in cui si vive: ciò che favorisce la
partecipazione e stimola il rendimento delle istituzioni e Putnam (2000)
sostiene poi che “il capitale sociale è strettamente connesso al concetto di
‘senso civico’”. Senso civico, dunque e capitale sociale. Da tempo molti
autori concordano sul fatto che questi due dati interconnessi si presentano
carenti nel Mezzogiorno, e nel Meridione in generale, costituendo, fattori
importanti del sottosviluppo locale. E tale situazione risulta abbastanza
evidente nel contesto delle pagine che seguono relativamente all’area di cui
ci occupiamo.
In particolare ciò che si intende per capitale sociale è un tessuto e di regole
di impegno civile secondo Putnam (1993), ovvero “la fiducia, le norme
che regolano la convivenza, le reti di associazionismo civico, elementi che
migliorano l’efficienza dell’organizzazione sociale promuovendo iniziative
prese di comune accordo”. Schematizzando: a) fiducia: aver fama di essere
onesti e affidabili (la reputazione contro il pericolo della defezione); b)
norme che regolano la convivenza e la reciprocità: riducono il rischio di
potenziale defezione e di dubbia reputazione; c) reti sociali di impegno
civico (civicness).
Qui il capitale sociale (la cui accumulazione trova un deciso impedimento
nella criminalità) sta ad identificare quei requisiti culturali, quali la struttura
delle relazioni, i valori e le norme, che favoriscono un ordine sociale
contraddistinto dalla generale cooperazione per il bene pubblico, vale a dire
la fiducia nell’altro con cui si lavora per un progresso collettivo. Ciò perché
la fiducia comporta effetti benefici per la società. In particolare il livello di
benessere è più alto (Fukuyama, 1995. Putnam, 1993: 176-190), le
istituzioni funzionano meglio (Putnam, 1993: 73-96), la sanità e, in generale
i servizi pubblici, sono efficienti (Cartocci, 2007:103-107) ed i cittadini
sono generalmente più soddisfatti della propria esistenza (Putnam,1993:
132). La sfiducia al contrario provoca diffidenza ed aggressività.
R. Putnam (1993)e C. Banfield (1958), d’altra parte, sostengono
giustamente che gli atteggiamenti di fiducia o sfiducia hanno origini
storiche ed economiche, ad esempio l’atteggiamento di sfiducia nel
prossimo è proprio di società dove non conviene o non è possibile cooperare
con gli altri, società cioè estremamente povere e/o dove le istituzioni non
sono in grado di mediare e di promuovere.
Lo sforzo evolutivo per il Mezzogiorno e per il Meridione sarebbe quindi
quello di lasciarsi alle spalle condizionamenti storici frenanti per
interiorizzare un diverso modello culturale (comprendente la cultura
politica) in grado di realizzare forme di capitale sociale in grado di
favorisce la “qualità dello sviluppo economico” promuovendo lo sviluppo
umano, la qualità dell'ambiente, e un indice composito di “qualità sociale”
(Sabatini, 2006).
Nelle società locali, di cui ci occupiamo, certamente negli ultimi dieci anni
si è assistito all’emergere di embrionali elementi di sviluppo, citiamo
indicativamente: un ampliamento degli spazi urbani, incrementi nel settore
agrituristico e nell’artigianato agricolo, una maggiore vivacità commerciale
avvertibile nell’ambito del cellolese, l’attivismo di organizzazioni
ambientalistiche in relazione all’annoso problema dello smantellamento
della locale centrale nucleare, il sorgere di aggregazioni miranti a realizzare
iniziative progressiste dal basso e così via, il tutto a fronte di un andamento
politico-amministrativo
tendente
ad
omologarsi
sull’ordinaria
amministrazione e di un consenso politico attestato sulle posizioni da noi
indicate nel capitolo dedicato ai flussi elettorali.
Le pagine che seguono vogliono essere, in ogni caso, un contributo sempre
troppo tardivo rispetto alla urgenza di comprensione dei processi che
caratterizzano nel bene e nel male le aree di un Mezzogiorno che va visto
ineluttabilmente in una prospettiva di improcrastinabile evoluzione
soprattutto nelle sue realtà sociali decentrate come Sessa Aurunca: e
Cellole, aree queste, che anche si presentano con caratteristiche
straordinarie dal punto di vista delle specificità storico-ambientali e la cui
arretratezza di sviluppo può arrivare paradossalmente a costituire, come
forma di preservazione, una reale occasione democratica, apparentemente
semplice, di sviluppo socio- economico che certamente non va coniugata
con la speculazione, con situazioni ecoincompatibili (di cui pure esistono
realtà fortunatamente circoscritte) o con una assunzione tradizionale della
sfera d’azione dei poteri istituzionali, ovvero superando le tendenze di una
frammentaria e deficitaria elaborazione culturale e politica della società
civile. Ci si può riferire qui ad un aspetto collaterale del nuovo
meridionalismo, il pensiero meridiano, che individua nella valorizzazione
di stili di vita che assumono la lentezza come elemento identitario e nei
rapporti umani
(S. Rizzello cit.: 241),
propri delle comunità
(gemeinschaft) tradizionali, forme da preservare di là dai “processi di
omogeneizzazione ed omologazione messi in atto dal sistema di sviluppo
capitalistico” (F. Cassano 1996 2001). Si tratta di una prospettiva non
secondaria che, anche in questo caso, richiede gli investimenti di un
capitale sociale locale al momento visibile solo in modo frammentario e
contraddittorio.
Il fatto è che aree come Sessa Aurunca e Cellole sono in una deriva (F.
Pollice 2012), presente in buona parte del Mezzogiorno, caratterizzata un
disinvestimento territoriale relativo alla natura relazionale del territorio in
cui “..il tessuto relazionale si è andato progressivamente sfaldando, si è
frantumato e questo ancora prima che andasse in frantumi il sogno di una
sua ascesa economica e sociale .. [..] un tasso di litigiosità che è pari al
doppio di quello che si riscontra nelle regioni del Centro-Nord.” (F. Pollice
cit.: 262 264). E la deriva comprende anche il fatto che nel Mezzogiorno il
livello di efficienza del settore pubblico risulta di quasi un quarto inferiore a
quello del Centro-Nord.
Una deriva di stagnazione, se non regressiva, in cui a livello politico un
ruolo frenante è giocato da “ gruppi di potere autoreferenziali, portatori di
interessi propri in conflitto con quelli collettivi che traggono vantaggio
dallo statu quo e possono quindi influenzare le decisioni pubbliche inibendo
ogni tentativo di riforma anche laddove esistono competenze e capacità
adeguate” (F. Pollice cit.: 269). Questa tendenza è strettamente legata a
quella resistenza al cambiamento che costituisce uno dei maggiori
impedimenti dell’evoluzione socioeconomica locale e responsabile dell’uso
inefficiente delle risorse pubbliche.
A fronte di tutto ciò emerge la necessità di una ricapitalizzazione sociale del
Mezzogiorno, dal punto di vista della ricostruzione di effettive identità
territoriali locali, unitamente alla produzione di capitale sociale, ovvero, nei
termini emergenti dalle pagine che seguono, dare avvio ad una effettiva
evoluzione dei modelli culturali locali secondo andamenti collaborativi e
fiduciari che purtroppo non possono prescindere da scetticismi e da un pur
fondato pessimismo della ragione storica rispetto a processi di cambiamento
che pure sono sempre più urgenti e che riguardano, come sappiamo da tanto,
troppo tempo, l’autonomia di sviluppo del Mezzogiorno, una
modernizzazione culturale generalizzata basata sulla consapevolezza dei
condizionamenti ma anche sulle possibilità di progresso, il primato
dell’interesse pubblico, investimenti produttivi, lotta alla corruzione e
all’illegalità, la presenza razionalizzante dello stato.
Caserta, novembre 2013

L’autore
Bibliografia

C. Perrotta C. Summa (a cura) 2012, L’arretratezza del Mezzogiorno. Le
idee, l’economia, la storia, B. Mondadori, Milano Torino.
A. Spada, 2012, Cambiamento e continuità nel senso civico, in C. Perrotta
C. Summa Cit.
R. Rizzello, 2012, La crisi del meridionalismo, in C. Perrotta C Summa
cit.
F. Cassano, 1996, Il pensiero meridiano, Laterza, Roma Bari
e 2001, Modernizzare stanca, Il Mulino, Bologna
F. Fukuyama, 1996, Fiducia. Come le virtù sociali contribuiscono alla creazione della
prosperità, Rizzoli Milano
e 1995 Trust: the social virtues and the creation of prosperity, Free Press,
New York

R. Putnam, 1993, La tradizione civica nelle regioni italiane, Arnoldo Mondadori
Editore, Milano
e 2004, Capitale sociale e individualismo. Crisi e rinascita della cultura
civica in America, Il Mulino, Bologna
F. Sabatini, 2005, Un atlante del capitale sociale italiano, Terzo Forum Annuale per
Giovani Ricercatori, Bologna
R. Cartocci, 2007, Mappe del tesoro. Atlante del capitale sociale in Italia, Il Mulino,
Bologna
A. Pizzorno,2001, Perché si paga il benzinaio, in A. Bagnasco et al. (a cura di), Il
capitale sociale, Il Mulino, Bologna
F. Piselli, 2001, Capitale sociale: un concetto situazionale e dinamico, in Bagnasco A.,
Piselli F., Pizzorno A.,Trigilia C., Il capitale sociale. Istruzioni per l’uso, Il Mulino,
Bologna
F. Pollice, 2012, La deriva del Mezzogiorno, in C. Perrotta C. Summa cit.
1- Paradigmi di cultura politica ed area locale, le linee di un background (2006 - 2013)

1.1
Non si può non essere d’accordo sul fatto che in Italia non c’è una democrazia normale (B. De
Giovanni 2004 – Rapporto CENSIS 2006) visto anche il quadro di eventi in corso nel momento in
cui scriviamo (giugno 2006 - ottobre 2013). Visto anche il cambiamento dei sistemi elettorali, con
la frequente chiamata dei cittadini alle urne, vista tutto sommato, la difficoltà a trovare un equilibrio
politico-istituzionale nazionale normale. In tale quadro Il Mezzogiorno tende, ad adeguarsi, nelle
sue articolazioni politico-gestionali, con grande flessibilità, al quadro generale della crisi. Questo
perché i parametri della sua cultura politica, in senso generale, sono ben adatti per la loro natura
intrinseca, ad adattarsi alle trasformazioni istituzionali e alle dinamiche politiche regionali e
nazionali. Ciò senza escludere isole felici in cui trasparenza, efficienza delle istituzioni e
investimenti si accompagnano a valide iniziative di emancipazione economica e a varie
tendenze di modernizzazione.
In ogni caso è possibile schematizzare, sulla scorta di una vasta area di studi, e di indagini sul
campo, una serie di parametri propri di una cultura politica presente in buona parte del Mezzogiorno
e quindi riguardante anche il territorio comprendente Sessa Aurunca e Cellole, comunità dell’alto
casertano che si presentano con la serie di specificità socio-antropologiche che evidenzieremo in
queste note.
Il punto di partenza non può non riguardare la storia della Democrazia Cristiana nel territorio
comunale prima e dopo la secessione cellolese dal Comune di Sessa Aurunca in provincia di
Caserta. In realtà, per vari aspetti, questi due temi tendono a coincidere e andrebbero studiati
parallelamente al lavoro di ricerca che avevano cominciato a portare avanti G. Capobianco (1987) e
G. Ciriello (1987) per ciò che riguarda la storia della sinistra nel territorio aurunco. In tale ambito
prendono forma, in modo evidente le costanti di una cultura politica che viene ad essere una specie
di pattern antropologicamente significativo e che riprenderemo a vario titolo nel corso della
presente ricerca.

1.2
Clientelismo e familismo
Non è tanto scontato rilevare nella cultura politica locale anzitutto la storica dimensione clientelare frutto della mediazione politica, della DC - principalmente- secondo i meccanismi che già aveva
evidenziato Gramsci- ma anche come derivazione del familismo rurale da intendersi come modalità
culturale sistemica (meriterebbe questo tema uno studio specifico a livello locale, come pure i
rapporti tra famiglie e politica, là dove la partecipazione all’attività politica del
capofamiglia/notabile viene intesa come passaggio obbligato in vista della sistemazione opportuna
dei familiari), clientelismo che, d’altra parte, ha storicamente prodotto l’estraniazione della gente
dallo Stato, come opportunamente sottolinea L. Graziano (1980): "...Il Clientelismo ha effetti
disfunzionali per due processi cardine della società: la legittimazione del potere e la creazione di
opposizioni organizzate. Mina l’autorità in almeno due modi: comportando un uso privato delle
risorse pubbliche, come modo di gestione del consenso; impedendo, per ciò stesso, quella
dissociazione tra i ruoli di autorità istituzionalizzata... i metodi clientelari lungi dall’avvicinare
cittadini e autorità, hanno rafforzato l’estraneità delle masse dallo Stato. Di più hanno creato una
situazione che non esiterei a definire illegittimità morale della politica ..." (vedi anche J. La
Palombara 1964 e L. Graziano 1974).

“Il cedimento al clientelismo, sia come forma attiva di predominio di una
classe sull'altra, sia come rassegnazione passiva al gioco delle parti, è la
conseguenza di una generalizzata devastazione culturale operata dalla
Democrazia cristiana che, nel lungo periodo di permanenza al potere, ha
sostituito la cultura con l'arroganza e la certezza divina del diritto, la
giustizia con l'ingiustizia e la prevaricazione, la gestione amministrativa con
l'arbitrio; e la dilapidazione, la politica del territorio e delle risorse con la
speculazione edilizia e la devastazione del paesaggio e degli equilibri
naturali. Non è un semplice caso che proprio la speculazione edilizia sia
stata e sia ancora la sola industria attiva di tutto il Mezzogiorno d'Italia, la
sola che prosperi senza incentivi e agevolazioni dello stato.” (S. Bertocci
1977)
“Uno dei problemi di maggior rilievo che il clientelismo meridionale
postunitario pone all’attenzione dello studioso è perciò quello dei suoi
rapporti col familismo.
Esso, in verità, rivela anzitutto e conferma le ragioni stesse di quest’ultimo.
Poiché, dopotutto, non è che la traduzione della preminenza dei rapporti
affettivi al di fuori dell’ambito familiare. L’assunzione del comparaggio - di
fatto avvertito come una quasi parentela - quale strumento efficace adottato
dall’uomo politico meridionale per confermare la certezza del proprio
elettorato, è uno dei tanti comportamenti che dimostrano il legame tra
clientela e familismo.
Un secondo momento in cui si esprime l’assenza di coscienza collettiva ha
inizio con la comparsa del clientelismo di massa (mass patronage) . Di
quella nuova forma clientelare, cioè, nella quale l’erogazione delle risorse
pubbliche si rivolge non più a singole persone ma ad intere categorie o
gruppi sociali o ad ampie quote di popolazione. E perciò ha bisogno di
organizzarsi in istituzioni e formazioni burocratiche, che facciano da tramite
tra lo Stato ed i gruppi stessi.
Il mass patronage presenta per questo una sua parvenza di modernità.
Tant’è che lo si incontra anche presso società avanzate che hanno realizzato
la prima industrializzazione ed una completa penetrazione del mercato nelle
dinamiche produttive e distributive.
Naturalmente, una posizione di privilegio spetta al partito dominante. Sia
che sorregga il governo da solo, sia che si avvalga di una coalizione di
partiti, nell’esercizio dei poteri di indirizzo e di nomina, esso afferma una
sua egemonia. E ciò anche se, nel secondo caso, un’ineludibile esigenza
transattiva impone il ricorso al principio lottizzatorio.
Gli oltre quarant’anni di governi coalizionali ad egemonia democristiana
sono al riguardo paradigmatici . Senza dire che la DC, con la sua
articolazione correntizia, realizza già al suo interno un circuito poliarchiconegoziale. Si pone, in altre parole, come una coalizione nella coalizione, con
una corrente egemone, pacificata nei rapporti con le altre, dalla pratica
spartitoria.
Come che sia, l’arena politica viene occupata da un clientelismo partitico i
cui attori affermano di fatto il loro dominio su tutti i processi fondamentali
di decisione e implementazione delle politiche pubbliche del Paese. Un
clientelismo che genera una strana combinazione di ineguaglianza e
asimmetria nel potere con una apparente solidarietà sociale.
Nel Mezzogiorno, poi, tale solidarietà difficilmente riesce ad andare oltre gli
antichi termini di identità personali o di sentimenti e obbligazioni
interpersonali. E la dimensione partitica, le volte in cui riesce a porsi con
forza, viene percepita ed accolta più come relazione di parentela che come
relazione di appartenenza. Forse anche perché il clientelismo partitico nelle
regioni meridionali si diffonde, recando con sé una seconda combinazione,
ancora più strana della prima: quella fra coercizione - sfruttamento e
relazioni volontarie sostanziate di mutue obbligazioni. “ (M. Fotia 2003)
1.3
E poi: le costanti dimensioni filoministeriali e trasformistico-clientelari secondo quanto già
accennato in precedenza; il correntismo come variante del trasformismo storico; le difficoltà, per il
modello culturale dominante, di progettare e perseguire uno sviluppo democratico del territorio (S.
Bertocci 1977) a fronte di un consenso politico ampio e consolidato, nonché la formazione di una
classe politica dirigente di ricambio come successione ad un potere politico- amministrativo sempre
più accentrato (S. Franco 1996). E nell’area locale quindi: il modello per la cattura del consenso
della Democrazia Cristiana nel periodo di Giacinto Bosco e successivamente. Vari studiosi oggi
sono d’accordo nel ritenere, pur nel quadro e nei limiti del modello socioculturale operante (P.
Allum 1975 e S. Bertocci 1977), l’epoca di Bosco come uno dei periodi positivi per lo sviluppo
dell’area sessana a fronte di tutta una serie di motivi, da quelli occupazionali a quelli delle relazioni
politiche tra la base e il vertice parlamentare.
Come abbiamo già accennato altrove (P. Stanziale 1991) il modello boschiano poteva essere
definito di tipo paternalistico-clientelare (la concezione paternalistica della politica è elemento
fondamentale della tradizione cattolica meridionale- (P. Allum 1975 1978) in cui la struttura di
partito (segreteria di sezione ecc.) aveva un proprio ruolo ed in cui il rapporto tra elettore e
parlamentare aveva non rilevanti sbarramenti. G. Bosco in realtà ha rappresentato un argine- per il
periodo dell’egemonia fanfaniana- all'espansione della DC napoletana la quale ha prevalso, in
seguito, imponendo un modello per la cattura del consenso di tipo contrattualistico-clientelare: è il
modello della political machine ovvero ciò che Allum riscontra e definisce già negli anni '70 nel
tipo di organizzazione messa su da Silvio Gava e perfezionato poi dal figlio Antonio e analoga a
tante strutture organizzative che sono alle spalle di molti parlamentari dagli anni ‘70 ai giorni nostri.
È questo, certamente, un modello di cattura del consenso più moderno perché tiene in maggior
conto la pluralità dei gruppi di interesse e di pressione, nonché dei vari intrecci tra politica ed
economia - con una tendenza spesso a subordinare la prima alla seconda.
C’è poi, nell’analisi di Allum (1975) un punto particolarmente rilevante rispetto alla politica
democristiana nel Mezzogiorno e nel Meridione. Si tratta di un atteggiamento di tipo politico ben
preciso basato su tre punti: 1- il fatto che il Sud ha bisogno d’aiuto data la sua inferiorità; 2- la
necessità quindi di una forma di mediazione rispetto ai governi; 3- ogni aiuto al Sud, quindi, è da
apprezzare ed ogni critica ai costi ed ai metodi usati per avere questo aiuto è irrilevante, ingrata e
ingiusta rispetto a tale provvidenzialità. Questo tipo di atteggiamento, derivante dalla cultura rurale
comunitaria, tende a permanere, per vari aspetti, nella cultura politica generale locale ed è, a ben
guardare, alla base di svariate iniziative, indicando rappresentazioni abbastanza limitate di un
sistema di amministrazione democratica, oltre ad un persistere pericolosamente regressivo di
elementi pertinenti al modello culturale locale.

1. 4
A tutto questo va aggiunto quanto dice A. Lamberti (1991) sulla funzione addirittura stabilizzante
ed occupazionale del riciclo di denaro derivante da attività illegali. D’altra parte alla perdita della
dimensione comunitaria non viene - come abbiamo detto - a corrispondere un insieme di valori e
orientamenti relativi ad un modello di società nazionale in positivo: una democrazia non proprio
compiuta e alla ricerca di valide formule rappresentative- un Mezzogiorno che annega nella
disoccupazione, ma in cui faticosamente attraverso varie esperienze- tra cui il modello
Bassolino (dei primi tempi della sua sindacatura napoletana) (P. Stanziale 1999) e attraverso nuove
figurazioni dello sviluppo- prendono forma i parametri possibili di una modernizzazione razionale
del governo politico di un territorio- un capitalismo che nel momento in cui è vincente assume su di
sé nuovi costi di libertà ed origina conflitti relativi a vecchie e nuove subalternità....
1. 5
La piccola borghesia meridionale tra oligarchismi e ribellismi
La visione gramsciana del Mezzogiorno come disgregazione sociale (1945) ha costituito e
costituisce un paradigma fondamentale per comprendere ciò che accade ancora oggi in talune aree
di Terra di Lavoro, a Sessa Aurunca, a Cellole, con riferimento a quanto abbiamo già scritto ma
anche per ciò che riguarda la sfasature socioculturali di detti territori rispetto alle sollecitazioni del
ciclo modernizzante in atto. Nell’area locale, ad un’osservazione coerente dei fatti sociali, risulta
abbastanza evidente un quadro di disgregazione che riguarda fermenti che non si traducono in
consensi o dissensi organizzati, velleitarismi ed anarchismi ribellistici ancora di derivazione
contadina, tentativi di secessione amministrativa, osmosi strumentali tra pubblico e privato,
particolarismi di fatto istituzionalizzati, il tradizionale clientelismo, indifferenza ed estraneità di
aree sociali alle dinamiche politiche ecc.. Questa disgregazione è presente anche a livello
intellettuale per la mancanza di un ambito culturale di decisa direzione ed orientamento, nella
incapacità di elaborare valori entro cui costruire situazioni di riferimento, in forme di chiusure a
vantaggio di interessi gruppali, ideologicamente populistici o evasivamente elitari ecc.. Un universo
politico spesso eccessivo o che si produce come chiacchiera corrispondente frequentemente a
blocchi decisionali. Questa disgregazione, che delinea, come marcante paradigma sociale, quanto è
stato già abbozzato come parte dell’ethos locale (e non solo) ben si richiama a quella che Galasso
(1982), con ricorso all’ambito hegeliano, chiama coscienza infelice e a ciò che faceva scrivere
al Vescovo Nogaro: ".... la gente di qui mi piace. Ma si deve liberare dalle catene che ha alla
coscienza" (in R. Sardo 1997). Questa coscienza sociale, che risulta tendenzialmente compiaciuta
di circoscritti risultati utilitaristici, sembra situarsi lontano da una consapevolezza della propria
inadeguatezza rispetto a sfide e prospettive di cambiamento, rispetto ad assetti e ad impieghi
razionali riguardanti una società in grado di sincronizzarsi con una cultura del cambiamento. A tal
proposito certamente grosse responsabilità riguardano quella che oltre mezzo secolo fa Gaetano
Salvemini (1955) chiamava piccola borghesia intellettuale, ovvero quella classe sociale tesa al
controllo delle amministrazioni comunali, oggetto del desiderio della classe dominante (G. Galasso
1982). Una borghesia che è parte della più ampia borghesia delle aree del Mezzogiorno stesso e che,
in modo più accentuato di quella nazionale, non ha saputo essere protagonista attiva dello sviluppo
capitalistico progressivo non avendo come background proprio un tradizione culturale (libertà,
individualità, razionalità ecc.) atta a trasfondersi in modo positivo nel processo modernizzante (E.
Galli della Loggia 1976 e quindi C. Tullio-Altan 1986). A questa borghesia locale, portata a vivere
con maggiori conseguenze sociali le contraddizioni della borghesia italiana, non è estranea quella
componente di anarchismo che secondo Galli della Loggia (cit.) tende a svilupparsi proprio là dove
esistono sconnessioni culturali tra aree locali ed i processi del sistema sociale globale, forme di
anarchismo o di reazione che nascono dalla non comprensione dei processi e/o dal subire processi
di cui non si posseggono le coordinate culturali: ecco quindi l’individualismo fazioso e
ribellistico (C. Tullio Altan 1986), il non riconoscersi in alcuna aggregazione sociale o
la partecipazione conflittuale... e quindi il disprezzo per il lavoro manuale da parte della piccola
borghesia, la prevalenza dello stato d’animo e del pregiudizio sociale, la preferenza per una routine
impiegatizia ecc. (C. Morandi 1944) e ancora "...la rivolta morale ed istintiva del singolo che
insorge contro qualcosa o contro qualcuno, accanto ad altri singoli, contro un mondo che lo
soffoca intellettualmente e psicologicamente..” (G. M. Bravo 1977). Anche l’agire politico viene ad
essere condizionato da questa concezione anarco-libertaria acquisendo un habitus principalmente
orientato alla conquista del potere ed alla sua conservazione (H.D. Lasswell 1975) che si traduce
spesso, a livello locale, in una conflittualità senza fine e nella concezione di un potere fine a se
stesso (C. Tullio-Altan 1986). In tale universo la borghesia intellettuale locale si presenta come una
classe caratterizzata fondamentalmente da un fazionismo esasperato e da una costitutiva povertà di
effettiva elaborazione politica. Fazioni, dunque, personalismi, velleitarismi che rivelano spesso un
retroterra politico-culturale non proprio consistente e con il conseguente e frequente svilimento
della funzione dei meccanismi rappresentativi e di delega, producendo ulteriore complessità nella
struttura dei rapporti socio-politici. E allora il quadro che emerge dal fondamentale studio di
Salvemini sulla borghesia meridionale ben spiegava e spiega le dinamiche politiche locali che
hanno visto e vedono il moltiplicarsi delle liste civiche, le varie gestioni commissariali dei Comuni
e le scissioni fazionistiche caratterizzanti gran parte dei partiti dell’area locale e non ( cui va
aggiunta come ulteriore tensione la logica costrittiva che tende a piegare ad accordi politici fatti nei
capoluoghi, come Napoli e/o Caserta, le aree periferiche come quella comprendente Sessa Aurunca
e Cellole). Si tratta di fazioni vincenti e di fazioni perdenti coalizzate, di appetiti soddisfatti e di
nuove aggregazioni oppositive. Tutto ciò perpetuando un quadro di disgregazione sociale
relativamente alla coscienza collettiva ed a quelle individuali.
E situazione riguardante la disgregazione sociale è pure l’emigrazione (ambito nazionale e non) a
cui andrebbe opportunamente dedicato uno studio specifico relativamente ai suoi andamenti negli
anni, ai risvolti economici ed alle sue incidenze culturali di ritorno. Emigrazione da considerare
come reazione al sottosviluppo di cui hanno sofferto le classi subalterne ma non solo,
tendenzialmente sussistente oggi anche se non paragonabile a quella degli anni ‘50- ‘60.
Un punto conclusivo sembra essere comunque il fatto che la situazione locale riflette gli aspetti
propri di quella nazionale: quella identità italiana di cui parla E. Galli della Loggia (1998) basata
sulle oligarchie corporative, sul familismo e sul trasformismo che, al momento in cui scriviamo, si
presenta con una vistosa ampiezza di esiti a vari livelli. Quella tradizione politico-ideologica che
non avendo nella sua storia il prodursi di un consolidato senso dello Stato sopperisce a ciò con la
vischiosità oligarchica (E. Galli della Loggia cit.) e con un politicismo onnipervasivo.
1.6
Il Trasformismo
Una tradizione statuale e civica, quindi, in cui il valore delle istituzioni rimane non storicamente
partecipato, lasciando ogni decisione ad una politica, operante dall’alto che, per questo, si
ipertrofizza lasciando spazio a quell’eterogenesi dei fini (E. Galli della Loggia cit.) ed a
quel trasformismo qualunquistico mirato al piccolo beneficio, alla costruzione del notabilato, al
patronage, alla riproduzione di oligarchie che però non si sono, nei fatti, trasformate in una forzaclasse-dirigente in grado di rappresentare e gestire gli effettivi interessi generali in una nazione
moderna.

“Peraltro, occorre aggiungere che non è possibile comprendere ed interpretare
un fenomeno siffatto (il familismo), senza far ricorso all’altro pilastro della
cultura politica nel Mezzogiorno e meridionale, quello trasformistico.
Precisando opportunamente che per trasformismo si intende qui una visione
della vita politica per la quale il metro di coerenza degli uomini di potere non
va cercato nella loro fedeltà ad un quadro ideologico ed alla impostazione
programmatica che ad esso si accompagna, ma nella loro capacità di
schierarsi sempre con le forze al governo, allo scopo di conservare la loro
posizione di dominio, di essere in grado di soddisfare le richieste dei loro
elettori e, di conseguenza, attraverso il sostegno crescente di questi, di
rafforzare progressivamente la posizione stessa.
Esso, in realtà, scaturisce da un contesto che tiene uniti in una stessa logica
eletti ed elettori. Il contesto sostanzialmente è quello clientelare avanti
descritto. In pratica, il clientelismo, così come a monte è legato al familismo,
così a valle è intrecciato al trasformismo. Sta, insomma, in mezzo a far da
ponte e unire i tre fenomeni, che, alla fine appaiono necessariamente tre
aspetti di un unico fenomeno.”
“…….. le pratiche trasformistiche delle élite politiche meridionali
proseguono ininterrottamente fino ai nostri giorni, anche dopo l’avvento del
proporzionale e dell’annesso scrutinio di lista e il ritorno, nell’ultimo
decennio, del maggioritario, ancorché imperfetto, e dei collegi uninominali.
Così come non trovano arresto neppure dopo la nascita e il consolidamento
dei partiti di massa.
Le èlite utilizzano infatti questi ultimi come efficaci strumenti per
promuovere la formazione al loro interno di aggregazioni di interessi o
correnti in grado di condizionarsi reciprocamente. Introducono, in altri
termini, in seno ai partiti di massa le loro logiche spartitorie in maniera da
accaparrarsi il massimo possibile di leve elettorali, da tradurre in posti in
parlamento, nelle altre assemblee elettive e negli apparati amministrativi dello
Stato e degli enti locali.
I momenti storici salienti del parlamentarismo, del fascismo, del doroteismo e
del berlusconismo ne sono la riprova. In questo senso, coloro che ci
descrivono la vita politica meridionale come eguale e ripetitiva nei
meccanismi, sempre pronta a svilire il nuovo, riducendolo al vecchio, non
hanno tutti i torti, anche se, naturalmente, la teoria della staticità sic et
simpliciter del Sud, talvolta avanzata, è fuorviante. I partiti, legati fin dalla
nascita a fattori lunghi di parentela ristretta o allargata, di clientele
tradizionali o moderne, nelle diverse congiunture, sono sempre pronti ad
etichettarsi vicendevolmente con i termini di liberale o clericale, radicale o
moderato, fascista intransigente o transigente, democristiano di sinistra o
doroteo. Nella realtà dei fatti, essi perpetuano i vecchi meccanismi di
canalizzazione del consenso e di formazione del personale politico e
amministrativo. Non senza introdurre nella struttura sociale e nel sistema
politico elementi, seppure mai strategici, di novità e di avanzamento.” (M.
Fotia 2003)
1.7
Il doroteismo
“Maturato inizialmente in seno ad una parte del gruppo dirigente della DC,
il Doroteismo diviene in prosieguo patrimonio dell’intero partito, e da
ultimo, come accade del resto alle precedenti forme storiche di trasformismo
clientelare, cultura comune a gran parte della classe politica italiana. Anche
perché non esaurisce la sua dimensione nell’essere semplicemente logica
politica, ma, fuoriuscendo dal luogo e dall’arco storico nei quali nasce e si
sviluppa, si traduce in regola generale di vita sociale e
culturale.
Il Mezzogiorno ne è uno scenario privilegiato, al punto che taluno si è posto
la domanda se il doroteismo non debba essere considerato addirittura come
il prodotto di una linea meridionale di conduzione storica della DC, linea
divenuta motrice di una strategia, che, a partire proprio dal Sud, crea nuovi
itinerari per il partito d’ispirazione cristiana, in un orizzonte geografico ben
più ampio.
La meridionalizzazione della DC, in ogni caso, avviata già agli inizi degli
anni Cinquanta, è un fatto. Il Mezzogiorno, che, nel 1946, rappresenta il
29.7 per cento della forza complessiva di questo partito, nel 1952, raggiunge
il 54.8 per cento. E meridionalizzazione non significa soltanto un crescente
peso delle regioni del Sud all’interno del partito, ma anche una maggior
presenza dell’organizzazione democristiana nella società meridionale .
Tutto ciò tende a creare nel Sud un equilibrio sociale nuovo, temperato
tuttavia dalla sopravvivenza nelle strutture e nei comportamenti di caratteri
ed elementi fondamentali del vecchio equilibrio. L’élite dorotea consolida
così quel carattere peculiare che sta alla base dell’organizzazione sociale e
politica del Mezzogiorno: il trasformismo clientelare.
La classe di cui si parla punta, insomma, a gestire una forma di
rinnovamento del Sud attraverso un tipo di penetrazione del mercato che
consenta, pur tra talune forme di vivacizzazione, di conservare e proteggere
la società tradizionale. La sua non è dunque una politica di mera
conservazione, ma di protezione e di crescita moderata, finalizzata a
mantenere i consensi elettorali dei vecchi ceti e a conquistare quelli dei
nuovi, entrambi astringendoli dentro le vecchie e le nuove gabbie della
subalternità socio-economica e culturale. E così, contrariamente a quanto
accade in tutte le società investite dall’impatto del mercato, da una parte,
eleva i redditi ed apre ai moderni consumi, dall’altra, mantiene gran parte
dei vecchi condizionamenti socio-economici e culturali.
Trova necessario di conseguenza introdurre dei mutamenti nelle tradizionali
funzioni di mediazione. In forza di essi, cambiano i soggetti stessi che
esercitano tali funzioni: dai notabili si passa ai political broker, i quali molto
meglio dei primi trovano accesso ai luoghi del centro che decidono
l’erogazione delle risorse destinate alle periferie. Cambia il tipo di risorse:
da quelle di proprietà privata, solitamente notabiliare, si passa a quelle di
proprietà pubblica.
La nuova metodologia consentiva, comunque, all’élite dorotea e all’intera
DC di espandere sempre più la sua azione trasformistica e di far sì che la
compresenza e la coagulazione di vecchio e di nuovo, di avanzamenti e di
arresti, nella società meridionale, rendano sempre ricche le sue raccolte di
consensi. Così irrobustendo un blocco sociale che trova i suoi ampi supporti
nella residua piccola e media borghesia rurale, in quella cittadina degli affari
e delle libere professioni, in talune frange intellettuali e giovanili, in settori
di non poco conto del mondo cittadino ed operaio. Il cemento è
rappresentato per i primi due segmenti dai mille benefici e aiuti posti in atto
dalla già citata politica assistenziale; per il terzo ed il quarto da un tipo di
riformismo industriale e agrario, produttivo di un certo numero di posti di
lavoro e di nuove occupazioni, seppure precarie, e soprattutto dagli impieghi
pubblici, assicurati da una selva di organismi, istituti, enti, consorzi. Siffatto
blocco sociale era anche un blocco politico, poiché da esso provenivano le
nuove leve della DC nonché la dirigenza e il management, collocato alla
guida dei numerosi enti pubblici, consorzi, banche, società finanziarie,
messi in piedi da questo programma di rinnovamento, e affidati per lo più a
democristiani, in maggioranza dorotei di sicura osservanza. “ (M. Fotia
2003)
1. 8
Il paternalismo
Il paternalismo è strettamente connesso con il modello parentale il quale a sua volta si distingue
dalla clientela (J. La Palombara in P. Allum 1975) per essere basato o su una particolare relazione
tra il boss e i suoi o sul meccanismo delle nomine. Il paternalismo è fattore importante della politica
nazionale e fattore fondamentale della cultura politica meridionale. Gran parte dei posti di
comando o intermedi in enti importanti vengono assegnati spesso con criteri paternalistici, ciò o
per ricambiare servizi prestati o per consolazione (P. Allum 1975) nel caso che la persona da
ricompensare non abbia avuto quello che sperava.
1. 9
Il Qualunquismo
Il qualunquismo non va inteso in senso spregiativo e/o liquidatorio, Togliatti stesso, a suo tempo,
riconobbe le sue radici popolari. In effetti il qualunquismo rappresenta un elemento costitutivo di
vaste aree della cultura politica italiana. Esso è tra le cause basilari del consenso attribuito al
fascismo. Il qualunquismo prese forma in modo netto con Guglielmo Giannini ed oggi lo
ritroviamo, per molti suoi aspetti, nel berlusconismo e in aree della destra ma anche della sinistra
per alcuni aspetti. Tra i caratteri fondamentali del qualunquismo troviamo:
-l’insofferenza per il sistema dei partiti
-l’anticomunismo
-l’esaltazione del liberismo economico
-la negazione della presenza dello stato
-lo stile populistico nella comunicazione politica
-il rifiuto dell’approfondimento di tematiche politico-economiche
-l’esaltazione di un approccio semplicistico ai problemi
-la lotta contro la pressione fiscale.
Questo apparato ideologico è presente, per vari aspetti, nella cultura politica meridionale
orientandone una buona parte dei consensi elettorali principalmente nelle elezioni politiche. Esso
risale al 1799 (G. Pallotta 1972) e del resto a Napoli, nel dopoguerra, l’Uomo Qualunque ebbe vasti
consensi con l’appoggio soprattutto della borghesia rurale e dei proprietari terrieri. Il risultato fu la
vittoria del particolarismo (G. Dorso 2005), del fazionismo, del proliferare delle liste civiche.
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2- Modelli culturali e boss politici (2006 2103)

2. 1
Sessa Aurunca e Cellole, come altre aree del Mezzogiorno, rappresentano, nelle loro dinamiche
politiche e sociali, casi emblematici di comunità che cercano una propria direttiva di
sviluppo generale tra contraddizioni, arretramenti e avanzamenti. Ciò nel contesto di un
Mezzogiorno in cui zone di eccellenza sono spesso contigue a zone di marcato sottosviluppo o in
cui la giustapposizione di modelli di sviluppo e socioeconomici danno luogo a immobilismi o a
schizofreniche fughe in avanti in un quadro in cui le categorie tradizionali di analisi a disposizione
dello studioso vanno ad essere usate in modo quanto meno approssimato possibile e usando anche
schemi analitici adatti alla specificità delle varie realtà sociali. Ciò di là da ogni empirismo
sommario che pure costituisce il background metodologico di gran parte della classe politica e
degli intellettuali locali.
Per quanto ci riguarda vogliamo riprendere oggi, ad inizio millennio, tematiche già sviluppate a
proposito degli studi su Sessa Aurunca (P. Stanziale 1999) e Cascano (P. Stanziale 1988), nell’alto
casertano, ritenendole più che mai attuali e cercando di allargare l’ambito delle analisi ad un quadro
di rimandi e di annotazioni esplicative che, pur nella loro volutamente discontinua dinamica,
vogliono cogliere i punti nodali e parametrare, in qualche modo, anche le problematiche sociali
presenti nella zona sessana e cellolese. Ciò costituendo l’avvio di un irrimandabile processo di
conoscenze che certo potranno essere realizzate in una area di studi sociali più organici e articolati.
È anche utile constatare che molti sono impegnati ad interrogare il passato remoto quando invece è
piuttosto produttivo leggere il passato prossimo ed il presente nella prospettiva della costruzione di
una consapevolezza critica che, di là dalle risultanze della ricerca socio-antropologica, può
contribuire alla delineazione di una possibile conoscenza effettiva della locale realtà sociale.

2.2
Nella serie di articoli scritti a suo tempo per Critica Meridionale (1974) e per Mondo Oggi (1980)
cercammo di studiare la ricaduta sociale dei processi di industrializzazione nella zona di Sessa
Aurunca e sulle caratteristiche dell’azione politica in tale zona negli anni ‘80. Con il libro Zona aurunca/sud pontino: l’impronta nucleare (1985) cercammo di fare il punto sull’avventura
nucleare nel territorio di Sessa Aurunca. Successivamente riprendemmo queste prospettive di
ricerca, ma da un’angolazione antropologico-culturale- partendo dall'impostazione data al lavoro
sviluppato poi in gruppo- L’illusione e la maschera (1977)- dirigendo, successivamente, il Gruppo
di Studio Sinodale su Mentalità e costumi della nostra gente (1990) (ricerca piuttosto sintetica ma
ricca di indicatori e- purtroppo - non molto conosciuta)- collaborando su questi temi a Civiltà
Aurunca ed al Mensile Suessano, nonché attivando le seguenti recenti ricerche: Visioni politiche del
mondo nel territorio di Sessa Aurunca. Definizione dell'habitat culturale di provenienza di un
campione di popolazione studentesca e Giovani: valori e attitudini nell’alto Casertano (P. Stanziale
1993) - nonché Ricerche sulla cultura del magico (P. Stanziale 1997-98).
Da queste indagini, cui si è sempre cercato di dare una corretta impostazione in un ambito di ricerca
empirica, sono emersi una serie di fatti, di conferme, ma anche di interrogativi cui sarebbe troppo
lungo accennare ma su alcuni dei quali conviene riflettere.

2.3
Anzitutto mi sembra opportuno rilevare che la storia sociale di Cellole, in provincia di
Caserta, coincidendo, in prima istanza, con quella della vicina Sessa Aurunca, nell’ambito di un
territorio definibile come sessano, non può essere fatta in modo circoscritto ma deve essere
tracciata, in seconda istanza, rispetto alla storia generale del Mezzogiorno e quindi con quella
nazionale e facendone, quindi, risaltare i tratti sia specifici sia quelli omologanti …
E subito alcuni interrogativi relativi ai punti che seguono:
-come l'essere stata Sessa Aurunca una cittadella della fede (M.Volante 1993) abbia influito
sulle dinamiche sociopolitiche del territorio;
-quali le modalità secondo le quali si è venuta delineando nel '500-'600 una qualche classe
borghese nel territorio aurunco;
-come viene ad emergere in modo specifico il filoborbonismo locale;
-come prende forma in modo specifico (e con una certa costanza) l'estraneità di grandissima parte
del tessuto socioculturale della zona sessana, e non solo, ad idee e fatti storici orientati
verso innovati assetti socio-politici.

2.4
Certo sono domande che già delineano - in un certo qual modo - produttive possibilità di approccio
al Problema nella misura in cui alludono alla necessità, ormai improcrastinabile, di studiare in una
prospettiva di ricerca sociale il passato locale. In ogni caso vorrei concludere questa linea di
considerazioni cominciando a dare alcune risposte riferendomi a quanto sostiene Giuseppe Galasso
(1965- 1982) a proposito della storia del Mezzogiorno d'Italia. Mi sembra che tre siano i punti
interessanti che pone in evidenza Galasso nell’ambito dei suoi fondamentali itinerari di ricerca e su
cui, anche attraverso percorsi diversi, vengono a convergere altri storici.
Il primo riguarda la specificità culturale di origine contadina delle zone come quella di Sessa
Aurunca e Cellole che, pur avendo come confine il mare non hanno mai mostrato uno sviluppo di
elementi culturali di civilizzazione legati alla pesca e alla navigazione e questo riguarda
anzitutto Cellole che è l’insediamento più vicino al mare;
la mancanza, in senso generale, di una capacità locale autonoma di elaborazione politica innovativa;
il fatto che innovazioni sociali e politiche nella zona sessana, come nel Mezzogiorno in generale,
sono state originate, nella gran parte dei casi, dall'esterno- e su questo punto di delinea una
differenza tra Cellole e Sessa per il fatto che Cellole a fronte di una certa vivacità politica è
divenuto Comune autonomo distaccandosi da Sessa Aurunca e aprendosi una propria strada allo
sviluppo.
Le suddette conclusioni- che di fatto finiscono per rappresentare delle costanti, facilmente inverabili
a livello locale- possono ben costituire un paradigma interpretativo. Esse delineano in modo
sintetico il quadro di un’analisi sociale che, partita da lontano, ben si collega ad altri tipi di analisi
(sociologiche, antropologiche) più centrate sull’evo moderno dell’area locale.

2.5
Un altro punto di partenza, quindi, può essere dato da ciò che cercammo di delineare - in modo non
basato sull’analisi quantitativa ma sulla tecnica dell’osservazione e dell’analisi partecipante (T.
Tentori 1960) e su una serie di indagini, di interviste, di storie di vita, di colloqui e, se volete, di
intuizioni, verificate come modello culturale (cultural pattern), antropologicamente significativo
(L’illusione e la maschera, 1977 e Civiltà Aurunca 2/85) per l’ambito locale sessano e quindi
cellolese; in altre parole cercai di mettere in evidenza valori, comportamenti, attitudini e tutto ciò
attraverso cui una comunità si rappresenta il mondo e come si rapporta con i problemi
dell'esistenza (si trattava di indagini da intendersi come ricerche d’ambiente di taglio socioantropologico (P. Guidicini 1991) giocate tra i classici E. C. Banfield (1961) e R. Lynd (1970). In
grande sintesi il risultato di queste ricerche nel sessano collegavano le contraddizioni sociali e
politiche, ed un certo livello di non-progresso generalizzato, a un non conseguenziale processo
evolutivo tra Cultura Contadina, Cultura Umanistico-Idealistica, Cultura dell'Età
Industriale (naturalmente in tale ambito cultura vuol dire kultur, civilizzazione, un ambito che
comprende anche situazioni quali la scelta del tipo di scuola per un figlio o il grado di
sindacalizzazione di gruppi sociali ecc.). In base a questi assunti era possibile, quindi, spiegare
situazioni quali l'eccesso di familismo, il qualunquismo, forme di ribellismo fine a se stesso, la
mancanza di senso dello Stato, il ruolo frenante della cultura contadina dal punto di vista del
progresso socio-politico e altro ancora: tutto ciò che, in effetti, poteva e può condurre ad un primo
approccio esplicativo al tema della costante storica del sottosviluppo (indicando, sostanzialmente,
con tale termine la consapevolezza sofferta di talune costanti sociali frenanti rispetto a reali risorse e
a prospettive di razionale modernizzazione sociale possibile). E ciò, naturalmente riguardo non solo
al sessano e al cellolese ma riguardo a gran parte del Mezzogiorno e del Meridione ed è un’analisi
che può correttamente venire, per molti aspetti, come vedremo, a riguardare anche l’attualità.

2.6
In ogni caso, nello sviluppo di queste note, non è possibile prescindere dal substrato della cultura
contadina (altrimenti detta agraria o rurale)- per quanto delineato nelle analisi suddette- nel cui
contesto riscontriamo che, parallelamente e successivamente, vi è stata l’egemonia umanisticoidealistica (quella incentrata sulla figura e sul ruolo sociale del Professore e dell’Avvocato, ma
anche su quella del Medico) cui poi si sono sostituiti altri valori e comportamenti generalizzati
legati ad altre figure di riferimento del successo sociale emergenti nell’ambito di un processo dai
tempi piuttosto lenti e quasi sempre caratterizzati da una certa sfasatura rispetto alle dinamiche
socio-politiche pertinenti alla modernizzazione della società nazionale.
I modelli di riferimento hanno orientato di volta in volta scelte sociali e valori ma quello che
emerge in modo piuttosto palese- e che è utile puntualizzare ulteriormente- è quanto segue.
-La cultura contadina tende a permanere per vari aspetti come substrato del modello socio-culturale
generale e non è solo pertinente a quelle che erano le classi subalterne. Questa cultura, definita da P.
Allum (1975) Gemeinschaft rurale si articola principalmente sui seguenti orientamenti:

-utilitarismo
-valore fondamentale della tradizione e della religione
-diffidenza nei confronti dell’altro
-accettazione di consuetudini e regole dominanti
-concezione gerarchica della società
-impossibilità di cambiare la struttura sociale
-atteggiamenti di rivolta o di rinuncia
-ruolo decisionale di fatto della donna-madre.
Questo tipo di cultura per fortuna ha perso negli studi sociali, a partire dagli anni ‘60, un certo alone
di esaltazione e di privilegio di derivazione ottocentesca per essere riportata nei termini di
una critica storico-sociale che ne ha posto in luce gli aspetti di utilitarismo, di inconsistenza
emancipativa e di anarchismo. Stiamo parlando di studiosi quali De Martino, Galasso, Tullio-Altan
e soprattutto Amalia Signorelli (1984) che particolarmente ha mostrato come il bisogno di folklore
sia un bisogno regressivo. Questi studiosi hanno preso generalmente come spunto per le loro analisi
la realtà del contadino meridionale descritta crudamente da Gramsci. "... il contadino è vissuto
sempre al di fuori del dominio della legge, senza personalità giuridica, senza individualità morale,
è rimasto un elemento anarchico, l’atomo indipendente di un tumulto caotico, infrenato solo dalla
paura del carabiniere e del diavolo. Non comprendeva l’organizzazione, non comprendeva lo stato,
non comprendeva la disciplina; paziente, e tenace nella fatica individuale di strappare alla natura
scarsi e magri frutti, capace di sacrifici inauditi nella vita familiare, era impaziente e violento
selvaggiamente nella lotta di classe, incapace di porsi un fine generale d’azione e di perseguirlo
con la perseveranza e la lotta sistematica." (A. Gramsci 1974 e quindi C. Tullio-Altan 1986).
2.7
Il modello umanistico-idealistico, quindi, è stato il modello della classe egemone e riferimento di
avanzamento sociale per le classi subalterne. Questo modello era pertinente più a Sessa Aurunca,
storicamente centro del potere, che non alle aree periferiche come Cellole. Per vari aspetti, esso ha
costituito l’ideologia di un ceto di potere che nell’area politica e nel campo amministrativo in
generale ha trovato il suo sbocco naturale fino ai giorni nostri attraversando una fase di generale
affermazione nel ventennio fascista. E qui il riferimento è alla figura del funzionario statale (A.
Gramsci 1971) proveniente da una famiglia contadina che, attraverso una formazione umanisticogiuridica, accede ai quadri statali. Questo pattern, (articolato quasi sempre tra conservazione e
idealismo) che meriterebbe uno specifico studio, molto più circostanziato rispetto a quanto
accennato in precedenza da noi (P. Stanziale 1977- 1985), ha sempre privilegiato lo Stato inteso
come ambito di sicurezza occupazionale e di esercizio del potere. Ciò anche per il ruolo di
importanza assegnato ad un certo tipo di intellettuale nel quadro di una concezione idealistica dello
Stato stesso, concezione che nella variante crociana dell’utopia moderata ha caratterizzato
l’egemonia culturale napoletana dalla quale però si sono distaccati vari intellettuali perché sganciata
da una praxis avente pure nel Mezzogiono connotazioni nuove (B. De Giovanni 1978). Vengono a
completare questo modello alcuni indicatori (indicatore qui va inteso in senso generale) - cui è utile
accennare in modo sintetico- quali:

-l’emarginazione della cultura scientifica
-l’osservanza religiosa di tipo formale per vari aspetti
-l’esaltazione dell’eloquenza e di una armonia di derivazione letteraria
-una certa xenofobia
-privilegio del monumento rispetto alla struttura
-armonizzazione idealistica della prassi.

2.8
Il processo di modernizzazione sociale poi ha portato un ovvio aumento della complessità del
quadro sociale con l’affermarsi di valori e comportamenti legati alla cultura dell’età industriale o, se
si vuole, post-industriale.
Anche qui è possibile individuare qualche orientamento :

-partecipazione maggiore ad attività associative
-competizione sociale
-forme di conformismo legate a modelli veicolati dai mass-media
-consumismo ed esibizione sociale dei consumi
-edonismo.

Manca dunque l’approdo all’assetto proprio di una gesellschaft caratterizzata da:

-gruppi sociali secondari
-dominio organizzativo
-legami politici orizzontali
-rapporti di parziale autonomia con l’apparato statale
-organizzazione politica in partiti di massa
-richiamo ideologico non populistico o formalmente religioso ma con una base culturalmente
articolata.

Come già delineato in precedenza l’attualità del modello- che definiamo tradizionale o anche di
dominio- vede la coesistenza, la convivenza, a volte contraddittoria, di elementi e situazioni
relativi ai tre modelli precedenti, con le opportune scansioni rispetto agli scarti generazionali (e
localistici), con tutto ciò che ne consegue in termini di immobilismo, produzione culturale,
atteggiamenti politici, sviluppo economico, attitudini sociali.... E va qui sottolineato e non
dimenticato il fatto che la dinamica sociale e il comportamento sociale e politico nascono da una
visione del mondo originata proprio da un modello culturale che ne orienta comportamenti,
atteggiamenti e attitudini.
Va, inoltre, considerato che la lettura dell’area locale attraverso il modello culturale di cui stiamo
parlando non può non tener conto di quanto emerso da una ricerca sociologica (A. Calenzo 1983) e
da una ricerca storica (G. Di Marco 1995): entrambe le ricerche insistono giustamente
sulla compresenza territoriale di una realtà più specificatamente rurale- relativa alle frazioni del
territorio comunale, tra cui l’ex frazione Cellole- ed una realtà urbana relativa a Sessa Auruncacentro, volendo così indicare differenziazioni socioculturali e storiche, in particolare costituendo
tale differenziazione, per Di Marco, un paradigma interpretativo della storia locale. Per quanto ci
riguarda il cultural pattern sopra-esposto, come anche quello relativo alla dicotomia
gemeinschaft/gesellschaft possono, tali modelli, essere ritenuti validi per la lettura
socio/antropologico-culturale di gran parte dell’area locale e non solo. Tale validità può essere
confermata localmente attraverso l’individuazione di talune componenti significative a scapito di
altre, trattandosi di un modello componenziale aperto alle stratificazioni ed alle dominanze.
Altro fattore importante è lo scarto generazionale cui abbiamo accennato, ovvero la preminenza di
elementi del modello culturale dominante rispetto all’età e relativamente a come i giovani si trovino
spesso in situazioni conflittuali rispetto a sollecitazioni ed influenze diverse (P. Stanziale 1993).

2.9
Ma procediamo con ordine anche utilizzando qualche flashback. Popolazioni locali che si sollevano
non per rivendicazioni politiche (1848) ma per un "masto di festa" (P. Giusti 1928); una coscienza
sociale in qualche modo consapevole di marcate forme di subalternità e in grado di organizzare
forme isolate e non articolate di protesta e di rivendicazione politica: penso alle lotte per il
Pantano dei cellolesi e a qualche jacquerie delle frazioni, penso a personalità come Maria Lombardi
e Gori Lombardi per il loro faticoso ed inimitato impegno politico e sociale in tempi non facili per
la formazione di una coscienza delle subalternità. Penso al ruolo della Sinistra fino ai giorni nostri
ed al fatto che il suo modo di far politica ha solo smussato lo zoccolo duro del modello culturale
generale (in tale ambito i lavori di G. Capobianco e G. Ciriello hanno il merito di aver delineato una
memoria storica della sinistra e rivendicato il suo ruolo, ma non hanno esaminato fino in fondo
l’incidenza sociale e politica di questa sinistra nella storia locale rispetto alla generalità del tessuto
sociale, sinistra che era ed è rimasta una sub-cultura politica, essendo riuscita ad incidere solo in
modo marginale sul modello culturale dominante). E poi: una religiosità formale e ritualistica, tesa a
riprodurre identitariamente un assetto comunitario (P. Stanziale 1998) e addirittura ancora
largamente sincretica fino agli anni '30 (N. Borrelli 1937). E ancora: l'interessata mediazione
fascista che nel modificare alcuni equilibri acquista paradossalmente connotati di
modernizzazione... la polarizzazione Mazzarella-Ciocchi che viene a costituire uno degli stadi
intermedi nel processo di svilimento della politica come tale nella zona sessana (A. Marchegiano
1989); la zona sessana che elegge ai principi del '900 a proprio rappresentante in parlamento un
personaggio legato alla malavita aversana..
Penso soprattutto all’ egemonia della Democrazia Cristiana, partito sorto nel dopoguerra ad opera di
esponenti dell’azione cattolica e di persone provenienti da esperienze politiche diverse. L’ampio
consenso assicurato a questo partito era basato fondamentalmente su quello che Allum (1975)
definisce boss politico (coincidente, nell’area locale, col grande elettore/luogotenente) avente
capacità di organizzazione e di mediazione. Questi, secondo l’identikit che ne fa Allum è un
professionista minore che organizza intorno a sé una clientela... prospera in una società poco
industrializzata e si muove in una realtà economica poco florida per cui l’unica ricchezza è data dal
favore, inscrivibile nella sua capacità di mediazione e di relazioni con la burocrazia statale in
generale e ministeriale. Per quanto riguarda l’area locale il boss aveva l’appoggio incondizionato
della Chiesa, almeno fino agli anni ‘70, epoca in cui comincia a delinearsi una certa autonomia
dell’episcopato rispetto al potere politico (Quaderni del Sinodo n.1- 1990). In ogni caso era decisiva
la sua struttura organizzativa che avendo Sessa Aurunca come centro aveva propri referenti in tutte
le frazioni del Comune- compreso Cellole- assicurando, attraverso un controllo capillare, un
pacchetto di voti da spendere- con una certa disinvolta autonomia- al fine di aumentare il proprio
peso politico rispetto all’ambito parlamentare e rispetto alla burocrazia statale. L’organizzazione
seguiva lo schema seguente (Allum 2003).
------------------------------------------Capicorrente---Dirigenti di partito------------------------------------------------------------------------Luogotenenti -------Parlamentari Sottosegretari---------------------------------------------Grandi elettori------------Sindaci Cons. Com. Segr. Sez. Professionisti--------------------------------------------…Capi elettori --------------------Attivisti Capi clan familiari---------------------------------------------.Galoppini---------------------------------Galoppini------------------------------------------------------Elettori-------------------------------------------------------Elettori-----------------------Era questo- e per molti aspetti è- un sistema di clientela abbastanza consolidato che, per vari
aspetti, esulava pure da un circoscritto rapporto di tipo politico per essere strutturato secondo
un familismo tipico per cui ci si rivolgeva al boss non solo per il favore ma anche per altri motivi
connessi all’ambito familiare (malattie, matrimoni ecc.). Questo tipo di boss rientra, in senso
generale nella tipologia di Whyte (1955) e Weber (1966) e negli studi di Kirchenheimer (La
Palombara e Weiner 1966), ma se ne discosta per il fatto di essere calato in una realtà sociale di
transizione, come ben mostra Allum (1975). Transizione tra un tipo di società agraria ed un tipo di
società industriale secondo lo schema seguente.

Società di transizione e caratteristiche predominanti

Rapporti di classe: frammentari
Forme di organizzazione politica: boss/apparati politici
Sfera di attività: locale /nazionale
Richiamo ideologico: populista
Natura dei legami politici: ristretti/verticali
Metodi di controllo politico: manipolazione/coercizione
Rapporti con l’apparato statale: dipendenza totale
Questo tipo di boss è stato sostituito, successivamente negli anni, realizzando un certo successo di
consensi, da altri tipi di boss più legati all’ambito industriale, più legati ad un dominio
organizzativo e tecnocratico, con una parziale autonomia rispetto all’apparato statale ed alla Chiesa
locale e collegati con lobby di potere economico e talvolta con aree di interessi diversi... Si tratta di
boss che sono anch’essi figure di transizione dato che presentano sia caratteristiche legate ad un tipo
di società agraria semplice sia caratteristiche legate ad un tipo di società più moderna. In ogni caso
permane un tipo di dominio personale in un ambito localistico e con richiami ideologici di tipo
populistico. Quello che ci interessa sottolineare qui è che la tipologia del boss politico rappresenta
un indicatore rispetto ad una modernizzazione della politica come tale nell’area Sessa AuruncaCellole, che evidentemente stenta ad emergere come efficiente ambito di iniziative e volontà
razionale, pure presente, anche con modalità diverse, in altri ambiti del Mezzogiorno.

2.10
E siamo così arrivati a tempi recenti i quali, prima di essere presi in esame, richiedono riflessioni su
almeno due spunti analitici. Il primo riguarda lo studio di P. A. Allum (1975)- cui ci siamo
frequentemente richiamati- che riguarda anche la nostra zona delineando sociologicamente ciò che
era emerso per via antropologica, successivamente (1977), nelle ricerche suddette e che può essere
così descritto in via di grossa semplificazione: gran parte della società civile dell’area NapoliCaserta viveva tendenzialmente con continuità una propria situazione conflittuale dovuta al fatto
che essa (società civile) non era ormai più una Comunità (gemeinschaft) e non andava neanche a
diventare una Società (gesellschaft- F. Tönnies 1963) in senso moderno. Ovvero modelli comunitari
e modelli societari convivevano, si sovrapponevano e collidevano. Vale a dire che conservazione di
valori strumentali (utilitarismo, anarchismo ecc.) -propri di un comunitarismo di tipo rurale tendevano a convivere con valori e comportamenti tipici della civiltà industriale (consumismo, crisi
di valori morali, omologazione di massa, tipologie di acculturazione di tipo conformistico, l’uso di
droghe ecc.), ovvero come sostiene D. De Masi (1969) c’era un assetto comunitario che andava
disgregandosi rispetto ad una struttura societaria che appena si annunciava...
(È necessario, a questo punto, puntualizzare che il nostro modello antropologico-culturale, rispetto a
quello di Allum era più specifico per la nostra zona. Allum non prendeva in considerazione l’ambito
culturale umanistico-idealistico dato che l’impianto della sua analisi era centrato sul rapporto
comunità- società - sulla linea Marx- Weber- Gramsci- Tönnies - e riguardava i rapporti tra potere e
società nel collegio Napoli- Caserta). Questi erano i punti d’arrivo delle analisi le quali oggi si
presentano con una validità inficiata solo marginalmente, permanendo come quadro analitico anche
dell’attuale situazione sociale dell’area locale e non solo. Una conferma di ciò può essere
riscontrata nella parte del presente lavoro che è dedicata proprio a questo tema dal punto di vista
dell’analisi quantitativa, con un’ulteriore verifica tratta da uno studio CENSIS del 1998 sul
Mezzogiorno.
Il secondo spunto nasce da un esame della società locale dal dopoguerra ad oggi: rapporti tra
politica e società, il tipo di cultura politica, rapporti tra politica ed economia... Uno spazio
sterminato di ricerca e di analisi ma in cui è possibile individuare qualche situazione
particolarmente indicativa come la convergenza - all'inizio degli anni sessanta - tra il potere politico
consolidato della borghesia medio-alta (che altrove abbiamo ritenuto definibile come parassitariaP. Stanziale 1985) e gruppi economici locali e/o nazionali: e ciò come in moltissime altre realtà
nazionali nell'epoca del boom economico. Nella zona sessana questo tipo di sviluppo - il quale ha
originato grosse iniziative imprenditoriali, con i tradizionali risvolti clientelari (pur se nella zona
sessana non è esistita né esiste una affermata tradizione imprenditoriale vera e propria)- non è
avvenuto, purtroppo, secondo metodi non estranei ad iniziative varie della magistratura: ciò che nei
fatti, costringe a non identificare lo sviluppo di queste iniziative con un progresso democratico reale
e generalizzato della società locale. Del resto alcune di queste iniziative, nel tempo hanno mostrato i
loro limiti imprenditoriali attraverso cessioni, ricomposizioni, riduzione delle attività o
scomparendo. (Va annotato, a tale proposito che una storia degli insediamenti industriali nei
Comuni di Sessa Aurunca e Cellole deve essere opportunamente delineata sia per ciò che riguarda
le cattedrali nel deserto del boom degli anni ‘60 che per l’effettiva possibilità insediativa di
tipologie industriali rispetto alla vocazione economico-produttiva del territorio).

2.11
A questo punto è necessario richiamare gli anni del cosiddetto boom economico in cui il comune di
Sessa (comprendente Cellole) divenne un’area di incubazione della dipendenza dal Nord (M. Fotia
2003). Basta ricordare almeno:
-la costruzione della centrale nucleare del Garigliano, una centrale con tecnologia americana
che fu sperimentata con risultati devastanti successivamente emersi;
-la costruzione dello stabilimento metalmeccanico Società Prefabbricati Finsider, poi Morteo,
successivamente oggetto di cessioni e speculazioni;
-la nascita di Baia Domizia con le note vicende imprenditoriali-giudiziarie.

“Nella seduta del 13.8.63 del Consiglio comunale di Sessa Aurunca venne
approvata all’unanimità la delibera n. 316 inerente la vendita della Pineta di
Sessa di proprietà del Comune ad una società settentrionale, l’Aurunca
Litora, per la costruzione del villaggio Turistico-balneare denominato Baia
Domizia.
Il 22 luglio 1959 l’Amministrazione Comunale presieduta dal DC Gennaro
Ciocchi, aveva indetto un concorso per la valorizzazione della Pineta di
Sessa Aurunca, che venne aggiudicato ad un gruppo di architetti napoletani
e salernitani, Caruso, Defez, Di Majo, Gambardella Rosa e Alfonso,
Muzzillo, che non ebbe mai esecuzione. Esso prevedeva la vendita del
terreno, in lotti, ai naturali del posto a l. 150 il mq ed a L. 300 ai forestieri.
Vennero presentate circa tremila domande che non vennero mai evase. “ (G.
Monarca 1994)

Negli anni seguenti l’operazione Baia Domizia, definita “uno scandalo democristiano” (S.
Bertocci 1977), ebbe rilevanti risvolti giudiziari investendo la DC a tutti i livelli, da quello locale a
quello nazionale con notevoli echi di stampa.
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3- Ricerche (2004- 2006)
La Sociologia ed alcune altre Scienze Umane sono da ritenersi discipline basate
fondamentalmente sull’osservazione e su orientamenti concettuali (F. Ferrarotti 1998), questa ci
è sempre sembrata una prospettiva di studio abbastanza valida e produttiva. Questi, dunque, i criteri
che abbiamo tenuto presente nelle nostre ricerche, criteri che però non possono prescindere né
da un background storico-filosofico né da una lettura corretta dei fatti sociali in senso
sincronico e diacronico integrata dalla analisi quantitativa. Pur se tutto ciò che è conoscibile
non è misurabile (Ferrarotti 1998) tuttavia la ricerca quantitativa fornisce trend, elementi,
orientamenti e verifiche preziosi.
A complemento documentario del presente lavoro questa parte riguarda alcune ricerche relative
all’ambito locale comprendente anche Sessa Aurunca e Cellole e di cui abbiamo già parlato in un
precedente lavoro (Stanziale 1999). Ai risultati delle suddette ricerche e studi pensiamo vada
attribuito un valore dialettico e contestuale, non assolutizzabile, ma necessario
nell’ambito dell’enucleazione di processualità e di dinamiche sociali che è ciò che maggiormente
ci interessa porre in evidenza.

3.1
Nell’autunno del 2004, presso il Liceo Scientifico “E. Majorana” (Sessa Aurunca), fu attivata una
ricerca-sondaggio relativa alle “Visioni politiche del mondo”. Questa ricerca nacque dall’esigenza
di uscire fuori dal generico delle valutazioni politiche e sociali relative all’ambito locale per
cercare di “misurare” e definire le modalità di rappresentazione della politica in relazione
all’habitat sociale e culturale locale e ciò anche in una prospettiva diacronica.
In effetti, il punto di partenza era stato il famoso libro di P. Allum: “Potere e società a Napoli nel
dopoguerra” (1975) che ebbe il merito di evidenziare in modo scientifico le modalità di
rappresentazione della politica e delle problematiche sociali nella gente dell’area Napoli – Caserta.
Prendendo spunto da Allum una ricerca, in qualche modo analoga, fu iniziata nel 1991 presso
l’Istituto Magistrale Statale “T. Da Sessa” (Sessa Aurunca), e portata a termine successivamente
presso il Liceo Scientifico “E. Majorana” e pubblicata nel 1999. La successiva ricerca-sondaggio
quindi, fu utile per verificare se, nell’arco di oltre un decennio nella società locale, si fossero
verificati, in qualche modo, effettivi mutamenti in relazione ai parametri di indagine presenti
nella stessa ricerca del 1991.
Gli indicatori usati per la strutturazione del questionario della ricerca-sondaggio furono:
a)
l’acculturazione;
b)
la socializzazione;
c)
il rapporto con i candidati alle elezioni;
d)
le rappresentazioni dello Stato;
e)
il rapporto tra Stato e territorio;
f)
le rappresentazioni della politica locale.
Su questi indicatori venne strutturato il relativo questionario riguardante i seguenti ambiti:
a)
fonti di amicizia;
b)
partecipazione sociale;
c)
pratica religiosa;
d)
lettura;
e)
televisione;
f)
politica;
Quest’ultima con n. 18 items.
Il campione venne costruito tenendo presente:
a)
età degli intervistati compresa tra 25 e 60 anni;
b)
50 % maschi e 50 % femmine;
c)
classi sociali: 10 % borghesia medio-alta, 50 % classe media, 40 % classe “operaia”.
Gli studenti si preoccuparono di somministrare il questionario nelle seguenti aree:
1)
Sessa Aurunca
2)
Cascano
3)
S.Castrese
4)
Piedimonte
5)
Falciano del Massico
6)
Carinola
7)
Casanova
8)
Sparanise
9)
S.Carlo
10) Cellole
11) Roccamonfina.
Si tratta di località che presentano margini plausibili di omogeneità di situazioni ambientali,
sociali, economiche e politiche: ciò che è abbastanza importante per la veridicità dei risultati. Ogni
studente somministrò questionari di cui:
50 % a donne e 50 % a uomini;
di questi
30% a persone della classe “operaia”,
50% della classe media,
20 % della classe medio-alta.
Questa campionatura ci sembrò essere affidabile dal punto di vista metodologico per una ricercasondaggio, anche se certamente permaneva un margine di aleatorietà (principalmente per ristretti
scarti di percentuali di risultati) che però ritenemmo non tale da inficiare il valore generale della
ricerca-sondaggio. L’universo del campione risultò essere di 528 unità. Ciò a fronte della ricerca
del 1991, che comprendeva un universo di 700 unità relativo allo stesso ambito territoriale della
presente ricerca-sondaggio

Ricerca—sondaggio

LE VISIONI POLITICHE DEL MONDO IN UN’AREA DELL’ALTO CASERTANO

RISULTATI
1. Fonti di amicizia

Casuali

14.7%

Parenti

15.7%
Amici di infanzia

20.5%

Associazioni e circoli

7.7%

Vicini di casa

14.4%

Ambito lavorativo

26.8%

Nessun amico

0.2%

2. Partecipazione ad organizzazioni sociali

Circoli ricreativi

11.2%

Partiti politici

12.6%

Associazioni sportive

12.5%

Sindacati

10.5%

Associazioni professionali

14.3%

Nessuna partecipazione

38.9%

3. Pratica religiosa
SI

NO

Messa domenicale

44.6%

55.4%

Altro

11.8%

88.2%

4. Lettura:
Lettura quotidiani
Lettura settimanali
Lettura stampa di partito
Lettura riviste specializzate
Lettura libri:
più di uno al mese

SI
47.1%
34.3%
25.4%
51.4%
13.5%

uno al mese

17.9%

uno ogni tre mesi

16.5%

uno ogni sei mesi

13.2%

uno all’anno

13.3%

nessuno

26.6%

NO
52.9%
65.7%
74.6%
48.6%

Preferenze
Panorama, L’espresso
5. Televisione

Meno di tre ore al giorno
Più di tre ore al giorno
Non dichiarato

72.7%
19.3%
8.0%

Preferenze:

33.0%
31.0%
26.5%
9.5%

film
telenovele
attualità-dibattiti
divulgazione scientifica

6. Politica:

La politica è appannaggio di:

una certa categoria di persone
delle persone istruite
dei ricchi
di chi sa fare gli affari
di tutti

30.1%
3.8%
12.2%
31.7%
22.2%
SI
44.5%
82.5%

E’ importante conoscere il candidato?
E’ importante conoscere il programma
del candidato?
Un candidato deve essere competente
di amministrazione in generale?

NO
55.5%
17.5%

80.1%

23.4%

Basta che il candidato abbia buon
senso?

19.9%

77.6%

Le promesse dei candidati sono:
corrette esposizioni di intenzioni
necessarie bugie
servono a far conoscere il candidato
I candidati:

Lo stato si identifica con:

13.1%
60.5%
26.4%

mantengono sempre quello che
promettono
non mantengono mai il promesso
fanno in parte ciò che promettono

4.1%
44.8%
51.1%

i partiti

13.9%
i politici al potere
i ricchi
gli industriali
la repubblica dei cittadini

34.8%
8.9%
4.3%
38.1%
SI
80.6%
71.3%

Bisogna aver fiducia nello stato?
Con il voto si può cambiare lo stato?

NO
19.4%
28.7%
SI

Nella sua zona lo stato è presente in
modo:

Trovare lavoro è:

Cosa consigli ad un amico con
problemi sociali?

Dell’attuale situazione politica della
tua zona pensa che sia:

Nel caso sia insoddisfatto
politicamente pensa che una sua
iniziativa potrebbe influire in qualche
modo?
Pensa che i suoi interessi siano
attualmente rappresentati e tutelati
politicamente?

4.1%
19.8%
45.1%
31.0%

indispensabile

24.9%

non necessaria
aiuta

In rapporto a varie necessità pensa che
la raccomandazione politica sia:

efficiente
funzionale
insufficiente
assente

15.8%
59.3%

facile
difficile
non so

7.5%
90.7%
1.8%

inscriversi ad un sindacato
impegnarsi personalmente
ricorrere ad amici influenti
rivolgersi ad un politico
non saprei consigliarlo

7.9%
42.9%
17.9%
9.9%
21.35%

soddisfacente
insoddisfacente
non so

13.9%
53,5%
32.6%

SI
14.6%

NO
54.7%

NON SO
30.7%

13.9%

70.4%

15.7%

IN PARTE
Con l’attuale sistema elettorale pensa
che i cittadini siano rappresentati in
pieno politicamente?

9.3%

20.8%

22.4%

47.5%

ANALISI DEI RISULTATI
1)
Per quanto riguarda la socializzazione, si nota un minimo di evoluzione tra i dati della
stessa precedente indagine del 1991 e quelli del 2004. Nel senso che, ad esempio, le fonti di
amicizia si spostano nel tempo verso l’ambito lavorativo, divenendo sempre meno casuali, pur
rimanendo un forte richiamo all’ambito del luogo di residenza e degli amici di infanzia.
2)
La partecipazione sociale sembra invece ridursi a vantaggio di una marcata mancanza
di partecipazione o verso forme di frammentata aggregazione.
3)
Permane per oltre metà degli intervistati, ma in modo crescente, un non interesse per la
pratica religiosa.
4)
Per quanto riguarda la lettura dei quotidiani, essa rimane attestata per oltre il 50% di
non lettura e troviamo la stessa tendenza, ma in modo più marcato e crescente,
relativamente alla lettura dei settimanali. Fortemente penalizzata è la lettura della stampa di
partito, mentre, invece, sembra in crescita la lettura di riviste specializzate. Per quanto
riguarda i libri, si nota un andamento negativo nel tempo, nel senso che si tende a non leggere
o a leggere in modo periodico con grandi intervalli di tempo.
5)
Per quanto riguarda la televisione tende ad aumentare il numero di coloro che vedono
meno di tre ore di TV/giorno, mentre diminuisce il numero di coloro che si fermano più di tre
ore al giorno davanti al teleschermo. La preferenza rimane invariata per film e dibattiti ai
primi posti, seguita però da oltre il 30% di preferenze per le telenovele.
6)
L’assetto socioculturale che risulta da queste sezioni, si può definire come improntato
ad un tendenziale immobilismo con una certa crescente frammentazione sociale e con un
indice di acculturazione piuttosto negativo. Emergono anche, forme di socializzazione
riportabili, pur se per aspetti circoscritti, ad ambiti comunitari di tipo rurale.
7)
La politica viene rappresentata con ampi margini critici, significativa la convinzione, in
oltre 1/3 degli intervistati, di un rapporto preciso, ieri come oggi, tra affari e politica. Come
pure il considerare la politica come riservata ad un certo ambito di persone.
8)
Ai candidati è chiesta competenza e programmi effettivi, non basta il buon senso, ma
anche si ritiene che mentire faccia necessariamente parte dell’atteggiamento dei candidati i
quali, alla fine, o non mantengono ciò che hanno promesso o lo realizzano in parte. Queste
valutazioni sono costanti nel tempo.
9)
Lo stato viene identificato in quest’ultima ricerca con la Repubblica dei cittadini ma
con 1/3 degli intervistati che ritiene i politici al potere come ciò che identifica lo stato.
Rispetto alla ricerca precedente quest’ultimo giudizio risulta diverso in quanto nel ’91 si
collocava al primo posto.
10) Nell’attuale ricerca emerge una decisa fiducia nello stato unitamente all’idea che è
possibile modificare con il voto i poteri statali e ciò in maniera più marcata rispetto
all’indagine del ’91.
11) Lo stato, ieri come oggi, viene ritenuto assente sul territorio per oltre il 40 % del
campione e con una insufficiente presenza per oltre il 30 % degli intervistati.
12) La raccomandazione era ritenuta indispensabile, nel ’91 per oltre metà del campione,
mentre ora “aiuta “ per oltre il 60 % degli intervistati i quali, per il 24 %, la ritengono ora
indispensabile.
13) L’impegno personale nelle due ricerche viene ritenuto fondamentale rispetto a problemi
sociali e, mentre nel ’91 al secondo posto per percentuale trovavamo il “rivolgersi ad amici
influenti”, ora troviamo invece”non saprei consigliarlo” per il 21 % degli intervistati.
14) La situazione politica dell’ambito locale è guardata con insoddisfazione ieri come
oggi ma con un più marcato disorientamento (32 % ) rispetto al ’91 (17 %).
15) La situazione del punto precedente viene ad essere integrata dal fatto che oltre la metà
del campione delle due ricerche non pensa di poter influire sulla situazione politica locale.
16) Troviamo al penultimo item della ricerca un 70 % di risposte negative rispetto alla
rappresentazione ed alla tutela politica dei cittadini e ciò come nel ‘91.
17) Conclude la ricerca una perplessità, che si stempera dal 72 % del ’91, al 47 % di oggi,
rispetto all’efficacia dei sistemi elettorali attuale e precedenti, unitamente ad un giudizio
nettamente negativo che sale dal 17 % del ’91 al 20 % di oggi.
Il quadro che emerge dal contesto delle due ricerche, che riteniamo abbiano indicativi
margini di veridicità - avvalorati anche dalla costanza di vari risultati- mostra la marginale
lentezza di talune dinamiche che, in qualche modo, sono indicative di un mutamento
socioculturale piuttosto lento, avvertibile del resto, a ben guardare, anche empiricamente.
Rimane un immobilismo di fondo, un non apprezzabile livello di acculturazione
e contraddizioni sulle rappresentazioni della politica, la quale viene svalutata a fronte di
fatalismi e rassegnazione, situazione questa che può ben rimandare ad un disinteresse
fisiologico per l’ambito della politica, per molti autori, tipico dei sistemi politici occidentali.
Ma pure risulta la necessità di una maggiore presenza dello stato nell’ambito locale - e ciò
come in buona parte della letteratura sociologica sul Meridione in cui ci si aspetta sempre
molto dallo stato – unitamente alla necessità di una effettiva tutela degli interessi della gente.

3.2
Abbiamo ritenuto opportuno strutturare brevi questionari di sintesi (2006) relativi ai temi della
famiglia e della politica, sottoponendolo ad un numero variabile di residenti, e ciò tenendo
presente l’esperienza di Banfield (1961) nella prospettiva di individuare alcune componenti di
quello che Banfield stesso definisce ethos di comunità.

Questionari di sintesi
Cosa è meglio:
un uomo che lavora molto ma avaro……. n. 114
un uomo fannullone ma generoso………...n. 112
n.d. ……………………………………….n. 104
Cosa è meglio:
un uomo che sposa una donna brutta per procurarsi i soldi per la famiglia… n. 116
un uomo che si sposa per amore abbandonando la famiglia………………....n. 112
n,d. …………………………………………………………………………...n. 102
Una donna può picchiare i propri figli in vista di un bene futuro per loro? Si.. 116 No..114
Un cittadino deve interessarsi alle cose pubbliche ? Si..130 No..00
Il controllo dei pubblici ufficiali spetta solo ai superiori? Si.. 109 No.. 120 n.d...101
Bisogna mantenere in vita organizzazioni basate sull’altruismo? Si..127 No..103
Le leggi debbono prevedere punizioni sempre per chi sbaglia? Si…112 No..118
A chi dichiara di agire per il pubblico bene bisogna guardare:
con sospetto …..116
benevolmente…114
Il voto è legato:
a interessi immediati…101
a idee e programmi…..129
L’interesse pubblico può prevedere un tornaconto privato? Si…112 No…118
L’esercizio del potere comprende la corruzione? Si…102 No…128
I politici praticano il voto di scambio? Si…129 No…101

3.3
Nel 2005 il locale circolo di Alleanza Nazionale promosse un’inchiesta sui giovani di Cellole
realizzando una serie di interviste di cui qui di seguito riportiamo sinteticamente i risultati di
massima.
IDENTIKIT INTERVISTATO Il campione disponibile è composto in maggioranza da maschi e la
rimanente parte da soggetti femminili; quasi tutti studenti delle superiori. Pochi gli occupati, il resto
in cerca di occupazione.
L'IMPEGNO: i giovani cellolesi non hanno una vocazione spiccata all'impegno di tipo pubblico.
Quasi nessuno ritiene molto importante la politica, mentre considerano più importante l'impegno
sociale. E se dovessero esprimere un impegno nel sociale lo farebbero per qualcosa che
percepiscono come impegno concreto, come il volontariato.
La situazione di precarietà e stagnazione del mercato del lavoro e lo scenario politico-economico di
grave crisi si riflette nell'esistenza di ognuno degli intervistati ed è trasversale rispetto al campione,
per sesso, età, appartenenza, formazione culturale.

Mancanza di fiducia.
C'è un palese stato di mancanza di fiducia, nello stato delle cose e secondariamente in se stessi,
marcato soprattutto nei soggetti maschili, specie quando sono formulati progetti di vita, talora
commoventi nella loro genericità: vivere tranquillamente, essere felici, sperare che qualcosa
accada.
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  • 1. PASQUALE STANZIALE STUDI POLITICI SOCIETÀ E CULTURA POLITICA NEL MEZZOGIORNO OBIETTIVO SU SESSA AURUNCA E CELLOLE NELL’ALTO CASERTANO OKA 2013 EBOOK 2013 www.slideshare.net/geseleh
  • 2. PASQUALE STANZIALE STUDI POLITICI SOCIETÀ E CULTURA POLITICA NEL MEZZOGIORNO OBIETTIVO SU SESSA AURUNCA E CELLOLE NELL’ALTO CASERTANO Introduzione 1- Paradigmi di cultura politica ed area locale, linee per un background (2006 2013) 2- Modelli culturali e boss politici (2006 2013) 3- Ricerche (2004- 2006) 4- Dinamiche (2006 2013) 5- La transizione infinita (2006 2013) 6- Excursus elettorale (2006 2013) 7- Nota sulla modernizzazione (1999 2013) 8- Appendice OKA 2013 EBOOK 2013
  • 3. SOCIETÀ E CULTURA POLITICA NEL MEZZOGIORNO OBIETTIVO SU SESSA AURUNCA E CELLOLE NELL’ALTO CASERTANO © by P. STANZIALE 2013 Immagine copertina: arteideblog C. Coppola Foto dell’autore: Giulia Trasacco Phot.
  • 4. INTRODUZIONE Le riflessioni che seguono sono frutto di un più che decennale osservatorio sulle realtà locali di Sessa Aurunca e Cellole, nell’alto casertano, in una prospettiva di analisi e di comprensione di tematiche sociali e politiche. Si tratta del tentativo di configurare un disegno concettuale, un itinerario sintomale e una trama oggettiva di dati dal cui contesto è possibile tracciare i contorni di un quadro in qualche modo esplicativo. Ecco quindi risultati di ricerche, un approccio analitico articolato tra spunti sociologici e spunti antropologico-culturali e, infine, riflessioni relative ad alcuni temi di sociologia politica ed economica non estranee ad un generale ambito pedagogico. Il profilo dei dati ha una sua evidente significatività e propone livelli e andamenti. Le ricerche, nei loro risultati, sono strettamente correlate all’analisi di cui tendono a convalidare le ipotesi o gli assunti. L’analisi stessa, nell’avvalersi di in una varietà di indicatori, mira ad una lettura interpretativa non esaustiva ma comunque significativa e sollecitante dei processi sociali locali. In particolare vengono ripresi e integrati ampi spazi di analisi dei lavori precedenti con l’obiettivo di definire le articolazioni della cultura politica quale si presenta nel Mezzogiorno e nell’area locale con i suoi modelli e i suoi propri parametri storicamente emersi negli ultimi decenni. Il tutto relativo ad un’area comprendente le comunità di Sessa Aurunca e Cellole, che come altre aree del Mezzogiorno presenta forme di arretratezza definibili come storicamente croniche ed una marginalità rispetto ad un ciclo modernizzante che pure emerge, pur se in modo non organico, in altre realtà locali. Certamente sono visibili timidi elementi evolutivi nelle realtà sociali di Sessa Aurunca e Cellole, ciò che colloca queste comunità in una specie di transizione bloccata, ovvero sono percepibili all’orizzonte direttrici di sviluppo possibile ma, come mostra una recente letteratura meridionalistica (fra tutti C. Perrotta C. Sunna 2012) non si riesce ad uscire dalle strettoie di condizionamenti storici propri dell’ambito socioeconomico del Mezzogiorno quali la prevalenza della rendita sugli altri tipi di reddito (“il reddito fondamentale della società meridionale […] non è più la rendita agraria, ma non è nemmeno il profitto. Diventano dominanti altre forme di rendita (appalti pubblici ottenuti per conoscenze, speculazione sui terreni edificabili, crescita clientelare della Pubblica Amministrazione, gestione dei tanti sussidi e finanziamenti agevolati)” (C. Perrotta 2012: 282); la dipendenza da economie più forti; un rapporto perverso tra società
  • 5. civile e istituzioni pubbliche, viste prima come soggetti oppressori, poi come strumenti da usare per fini privati, mai come enti preposti all’interesse pubblico. Rispetto a questi esiti del nuovo meridionalismo le note che seguono cercano di individuare nella cultura politica uno degli ambiti strategicamente significativi dalla cui analisi è possibile comprendere perché il modello culturale locale non è in grado di processualizzarsi in una cultura del cambiamento, perché sono riscontrabili forme di disgregazione sociale nell’agire sociale e politico, perché emergono forme frammentarie di sviluppo senza il coagulo in una prospettiva organica di progresso In ogni caso risulta evidente che problema fondamentale del Mezzogiorno oggi è dunque l’arretratezza dello sviluppo civile (S. Rizzello 2012 P. Sylos Labini 2003) che continua ad impedirne lo sviluppo economico: “i limiti strutturali dell’arretratezza civile del Mezzogiorno impediscono qualunque forma di sano sviluppo endogeno e distorcono ogni forma di investimento pubblico” (S. Rizzello cit.: 247). Centrale nella spiegazione del persistente ritardo del Mezzogiorno è cioè “la debolezza del tessuto sociale; un fenomeno in larga misura addebitabile alla prevalenza di modelli relazionali di tipo familistico che ostacolano il formarsi e il consolidarsi di relazioni più complesse e articolate che costituiscono il sostrato sociale delle interazioni economiche..” (S. Rizzello cit.: 260). Di conseguenza, le soluzioni proposte fanno riferimento alla “ricapitalizzazione sociale del territorio” (S. Rizzello cit.: 272), cioè alla formazione di capitale sociale, e alla “responsabilizzazione della classe politica e dirigente” (S. Rizzello cit.: 273). “All’origine – scrivono C. Perrotta e C. Summa (2012: 299)– furono le istituzioni e l’economia a determinare la cultura arretrata, non viceversa. Oggi, invece, i fattori di maggior resistenza al cambiamento sono la cultura e il costume. Sono questi che proteggono gli interessi corporativi, i privilegi piccoli e grandi, e le abitudini illegali” . Questa prospettiva di analisi (culturalista) è emersa negli anni Novanta ed ha orientato gli studiosi italiani a prendere più seriamente in considerazione il peso degli ostacoli socio-culturali allo sviluppo del Sud: il lavoro di R. Putnam (1993), sulle differenze regionali di senso civico in Italia troverà nel nostro Paese un’accoglienza diversa da quella ricevuta da E. C. Banfield (1961) (con i suoi studi sul familismo amorale meridionale) trentacinque anni prima, in un contesto sempre più convinto che il problema del Mezzogiorno sia di cultura civica prima che economico. Le forme di rinnovamento presenti nel Mezzogiorno dagli anni ’70 sono state, a detta di molti meridionalisti, superficiali e non sono andate in
  • 6. profondità in modo tale da modificare i modelli culturali storicamente cristallizzati su forme premoderne. Quello che vari autori (tra tutti A. Spada 2012: 189) definiscono il passaggio dal blocco storico al blocco sociale, ovvero le dinamiche relative al modello cultuale che abbiamo rilevato nella nostra area d’indagine ed articolato nelle pagine che seguono, non ha delineato una nuova identità del Mezzogiorno ma ne ha mostrato una identità in cui il premoderno è ancora operante con una serie di distorsioni. . Scrive Putnam (1993): “Il Sud è in ritardo non perché i suoi cittadini siano malvagi, ma perché essi sono intrappolati in una struttura sociale e in una cultura politica che rende difficile e addirittura irrazionale la cooperazione e la solidarietà “. In tale ambito il concetto di senso civico, civicness (R. Putnam 1993), acquista un valore strategico per il suo essere elemento costitutivo della cultura politica. Pur se questo concetto ha prestato il fianco a molte critiche, in larga parte fondate (A. Pizzorno 2001), esso costituisce pur sempre un indicatore in grado di rendere conto, in modo significativo, delle forme di arretratezza del Mezzogiorno. Il senso civico, può essere definito come un atteggiamento di rispetto, disponibilità, di fiducia verso gli altri, orientato alla fattiva cooperazione per il miglioramento della società in cui si vive: ciò che favorisce la partecipazione e stimola il rendimento delle istituzioni e Putnam (2000) sostiene poi che “il capitale sociale è strettamente connesso al concetto di ‘senso civico’”. Senso civico, dunque e capitale sociale. Da tempo molti autori concordano sul fatto che questi due dati interconnessi si presentano carenti nel Mezzogiorno, e nel Meridione in generale, costituendo, fattori importanti del sottosviluppo locale. E tale situazione risulta abbastanza evidente nel contesto delle pagine che seguono relativamente all’area di cui ci occupiamo. In particolare ciò che si intende per capitale sociale è un tessuto e di regole di impegno civile secondo Putnam (1993), ovvero “la fiducia, le norme che regolano la convivenza, le reti di associazionismo civico, elementi che migliorano l’efficienza dell’organizzazione sociale promuovendo iniziative prese di comune accordo”. Schematizzando: a) fiducia: aver fama di essere onesti e affidabili (la reputazione contro il pericolo della defezione); b) norme che regolano la convivenza e la reciprocità: riducono il rischio di potenziale defezione e di dubbia reputazione; c) reti sociali di impegno civico (civicness). Qui il capitale sociale (la cui accumulazione trova un deciso impedimento nella criminalità) sta ad identificare quei requisiti culturali, quali la struttura delle relazioni, i valori e le norme, che favoriscono un ordine sociale contraddistinto dalla generale cooperazione per il bene pubblico, vale a dire
  • 7. la fiducia nell’altro con cui si lavora per un progresso collettivo. Ciò perché la fiducia comporta effetti benefici per la società. In particolare il livello di benessere è più alto (Fukuyama, 1995. Putnam, 1993: 176-190), le istituzioni funzionano meglio (Putnam, 1993: 73-96), la sanità e, in generale i servizi pubblici, sono efficienti (Cartocci, 2007:103-107) ed i cittadini sono generalmente più soddisfatti della propria esistenza (Putnam,1993: 132). La sfiducia al contrario provoca diffidenza ed aggressività. R. Putnam (1993)e C. Banfield (1958), d’altra parte, sostengono giustamente che gli atteggiamenti di fiducia o sfiducia hanno origini storiche ed economiche, ad esempio l’atteggiamento di sfiducia nel prossimo è proprio di società dove non conviene o non è possibile cooperare con gli altri, società cioè estremamente povere e/o dove le istituzioni non sono in grado di mediare e di promuovere. Lo sforzo evolutivo per il Mezzogiorno e per il Meridione sarebbe quindi quello di lasciarsi alle spalle condizionamenti storici frenanti per interiorizzare un diverso modello culturale (comprendente la cultura politica) in grado di realizzare forme di capitale sociale in grado di favorisce la “qualità dello sviluppo economico” promuovendo lo sviluppo umano, la qualità dell'ambiente, e un indice composito di “qualità sociale” (Sabatini, 2006). Nelle società locali, di cui ci occupiamo, certamente negli ultimi dieci anni si è assistito all’emergere di embrionali elementi di sviluppo, citiamo indicativamente: un ampliamento degli spazi urbani, incrementi nel settore agrituristico e nell’artigianato agricolo, una maggiore vivacità commerciale avvertibile nell’ambito del cellolese, l’attivismo di organizzazioni ambientalistiche in relazione all’annoso problema dello smantellamento della locale centrale nucleare, il sorgere di aggregazioni miranti a realizzare iniziative progressiste dal basso e così via, il tutto a fronte di un andamento politico-amministrativo tendente ad omologarsi sull’ordinaria amministrazione e di un consenso politico attestato sulle posizioni da noi indicate nel capitolo dedicato ai flussi elettorali. Le pagine che seguono vogliono essere, in ogni caso, un contributo sempre troppo tardivo rispetto alla urgenza di comprensione dei processi che caratterizzano nel bene e nel male le aree di un Mezzogiorno che va visto ineluttabilmente in una prospettiva di improcrastinabile evoluzione soprattutto nelle sue realtà sociali decentrate come Sessa Aurunca: e Cellole, aree queste, che anche si presentano con caratteristiche straordinarie dal punto di vista delle specificità storico-ambientali e la cui arretratezza di sviluppo può arrivare paradossalmente a costituire, come forma di preservazione, una reale occasione democratica, apparentemente semplice, di sviluppo socio- economico che certamente non va coniugata
  • 8. con la speculazione, con situazioni ecoincompatibili (di cui pure esistono realtà fortunatamente circoscritte) o con una assunzione tradizionale della sfera d’azione dei poteri istituzionali, ovvero superando le tendenze di una frammentaria e deficitaria elaborazione culturale e politica della società civile. Ci si può riferire qui ad un aspetto collaterale del nuovo meridionalismo, il pensiero meridiano, che individua nella valorizzazione di stili di vita che assumono la lentezza come elemento identitario e nei rapporti umani (S. Rizzello cit.: 241), propri delle comunità (gemeinschaft) tradizionali, forme da preservare di là dai “processi di omogeneizzazione ed omologazione messi in atto dal sistema di sviluppo capitalistico” (F. Cassano 1996 2001). Si tratta di una prospettiva non secondaria che, anche in questo caso, richiede gli investimenti di un capitale sociale locale al momento visibile solo in modo frammentario e contraddittorio. Il fatto è che aree come Sessa Aurunca e Cellole sono in una deriva (F. Pollice 2012), presente in buona parte del Mezzogiorno, caratterizzata un disinvestimento territoriale relativo alla natura relazionale del territorio in cui “..il tessuto relazionale si è andato progressivamente sfaldando, si è frantumato e questo ancora prima che andasse in frantumi il sogno di una sua ascesa economica e sociale .. [..] un tasso di litigiosità che è pari al doppio di quello che si riscontra nelle regioni del Centro-Nord.” (F. Pollice cit.: 262 264). E la deriva comprende anche il fatto che nel Mezzogiorno il livello di efficienza del settore pubblico risulta di quasi un quarto inferiore a quello del Centro-Nord. Una deriva di stagnazione, se non regressiva, in cui a livello politico un ruolo frenante è giocato da “ gruppi di potere autoreferenziali, portatori di interessi propri in conflitto con quelli collettivi che traggono vantaggio dallo statu quo e possono quindi influenzare le decisioni pubbliche inibendo ogni tentativo di riforma anche laddove esistono competenze e capacità adeguate” (F. Pollice cit.: 269). Questa tendenza è strettamente legata a quella resistenza al cambiamento che costituisce uno dei maggiori impedimenti dell’evoluzione socioeconomica locale e responsabile dell’uso inefficiente delle risorse pubbliche. A fronte di tutto ciò emerge la necessità di una ricapitalizzazione sociale del Mezzogiorno, dal punto di vista della ricostruzione di effettive identità territoriali locali, unitamente alla produzione di capitale sociale, ovvero, nei termini emergenti dalle pagine che seguono, dare avvio ad una effettiva evoluzione dei modelli culturali locali secondo andamenti collaborativi e fiduciari che purtroppo non possono prescindere da scetticismi e da un pur fondato pessimismo della ragione storica rispetto a processi di cambiamento che pure sono sempre più urgenti e che riguardano, come sappiamo da tanto, troppo tempo, l’autonomia di sviluppo del Mezzogiorno, una
  • 9. modernizzazione culturale generalizzata basata sulla consapevolezza dei condizionamenti ma anche sulle possibilità di progresso, il primato dell’interesse pubblico, investimenti produttivi, lotta alla corruzione e all’illegalità, la presenza razionalizzante dello stato. Caserta, novembre 2013 L’autore
  • 10. Bibliografia C. Perrotta C. Summa (a cura) 2012, L’arretratezza del Mezzogiorno. Le idee, l’economia, la storia, B. Mondadori, Milano Torino. A. Spada, 2012, Cambiamento e continuità nel senso civico, in C. Perrotta C. Summa Cit. R. Rizzello, 2012, La crisi del meridionalismo, in C. Perrotta C Summa cit. F. Cassano, 1996, Il pensiero meridiano, Laterza, Roma Bari e 2001, Modernizzare stanca, Il Mulino, Bologna F. Fukuyama, 1996, Fiducia. Come le virtù sociali contribuiscono alla creazione della prosperità, Rizzoli Milano e 1995 Trust: the social virtues and the creation of prosperity, Free Press, New York R. Putnam, 1993, La tradizione civica nelle regioni italiane, Arnoldo Mondadori Editore, Milano e 2004, Capitale sociale e individualismo. Crisi e rinascita della cultura civica in America, Il Mulino, Bologna F. Sabatini, 2005, Un atlante del capitale sociale italiano, Terzo Forum Annuale per Giovani Ricercatori, Bologna R. Cartocci, 2007, Mappe del tesoro. Atlante del capitale sociale in Italia, Il Mulino, Bologna A. Pizzorno,2001, Perché si paga il benzinaio, in A. Bagnasco et al. (a cura di), Il capitale sociale, Il Mulino, Bologna F. Piselli, 2001, Capitale sociale: un concetto situazionale e dinamico, in Bagnasco A., Piselli F., Pizzorno A.,Trigilia C., Il capitale sociale. Istruzioni per l’uso, Il Mulino, Bologna F. Pollice, 2012, La deriva del Mezzogiorno, in C. Perrotta C. Summa cit.
  • 11. 1- Paradigmi di cultura politica ed area locale, le linee di un background (2006 - 2013) 1.1 Non si può non essere d’accordo sul fatto che in Italia non c’è una democrazia normale (B. De Giovanni 2004 – Rapporto CENSIS 2006) visto anche il quadro di eventi in corso nel momento in cui scriviamo (giugno 2006 - ottobre 2013). Visto anche il cambiamento dei sistemi elettorali, con la frequente chiamata dei cittadini alle urne, vista tutto sommato, la difficoltà a trovare un equilibrio politico-istituzionale nazionale normale. In tale quadro Il Mezzogiorno tende, ad adeguarsi, nelle sue articolazioni politico-gestionali, con grande flessibilità, al quadro generale della crisi. Questo perché i parametri della sua cultura politica, in senso generale, sono ben adatti per la loro natura intrinseca, ad adattarsi alle trasformazioni istituzionali e alle dinamiche politiche regionali e nazionali. Ciò senza escludere isole felici in cui trasparenza, efficienza delle istituzioni e investimenti si accompagnano a valide iniziative di emancipazione economica e a varie tendenze di modernizzazione. In ogni caso è possibile schematizzare, sulla scorta di una vasta area di studi, e di indagini sul campo, una serie di parametri propri di una cultura politica presente in buona parte del Mezzogiorno e quindi riguardante anche il territorio comprendente Sessa Aurunca e Cellole, comunità dell’alto casertano che si presentano con la serie di specificità socio-antropologiche che evidenzieremo in queste note. Il punto di partenza non può non riguardare la storia della Democrazia Cristiana nel territorio comunale prima e dopo la secessione cellolese dal Comune di Sessa Aurunca in provincia di Caserta. In realtà, per vari aspetti, questi due temi tendono a coincidere e andrebbero studiati parallelamente al lavoro di ricerca che avevano cominciato a portare avanti G. Capobianco (1987) e G. Ciriello (1987) per ciò che riguarda la storia della sinistra nel territorio aurunco. In tale ambito prendono forma, in modo evidente le costanti di una cultura politica che viene ad essere una specie di pattern antropologicamente significativo e che riprenderemo a vario titolo nel corso della presente ricerca. 1.2 Clientelismo e familismo Non è tanto scontato rilevare nella cultura politica locale anzitutto la storica dimensione clientelare frutto della mediazione politica, della DC - principalmente- secondo i meccanismi che già aveva evidenziato Gramsci- ma anche come derivazione del familismo rurale da intendersi come modalità culturale sistemica (meriterebbe questo tema uno studio specifico a livello locale, come pure i rapporti tra famiglie e politica, là dove la partecipazione all’attività politica del
  • 12. capofamiglia/notabile viene intesa come passaggio obbligato in vista della sistemazione opportuna dei familiari), clientelismo che, d’altra parte, ha storicamente prodotto l’estraniazione della gente dallo Stato, come opportunamente sottolinea L. Graziano (1980): "...Il Clientelismo ha effetti disfunzionali per due processi cardine della società: la legittimazione del potere e la creazione di opposizioni organizzate. Mina l’autorità in almeno due modi: comportando un uso privato delle risorse pubbliche, come modo di gestione del consenso; impedendo, per ciò stesso, quella dissociazione tra i ruoli di autorità istituzionalizzata... i metodi clientelari lungi dall’avvicinare cittadini e autorità, hanno rafforzato l’estraneità delle masse dallo Stato. Di più hanno creato una situazione che non esiterei a definire illegittimità morale della politica ..." (vedi anche J. La Palombara 1964 e L. Graziano 1974). “Il cedimento al clientelismo, sia come forma attiva di predominio di una classe sull'altra, sia come rassegnazione passiva al gioco delle parti, è la conseguenza di una generalizzata devastazione culturale operata dalla Democrazia cristiana che, nel lungo periodo di permanenza al potere, ha sostituito la cultura con l'arroganza e la certezza divina del diritto, la giustizia con l'ingiustizia e la prevaricazione, la gestione amministrativa con l'arbitrio; e la dilapidazione, la politica del territorio e delle risorse con la speculazione edilizia e la devastazione del paesaggio e degli equilibri naturali. Non è un semplice caso che proprio la speculazione edilizia sia stata e sia ancora la sola industria attiva di tutto il Mezzogiorno d'Italia, la sola che prosperi senza incentivi e agevolazioni dello stato.” (S. Bertocci 1977) “Uno dei problemi di maggior rilievo che il clientelismo meridionale postunitario pone all’attenzione dello studioso è perciò quello dei suoi rapporti col familismo. Esso, in verità, rivela anzitutto e conferma le ragioni stesse di quest’ultimo. Poiché, dopotutto, non è che la traduzione della preminenza dei rapporti affettivi al di fuori dell’ambito familiare. L’assunzione del comparaggio - di fatto avvertito come una quasi parentela - quale strumento efficace adottato dall’uomo politico meridionale per confermare la certezza del proprio elettorato, è uno dei tanti comportamenti che dimostrano il legame tra clientela e familismo. Un secondo momento in cui si esprime l’assenza di coscienza collettiva ha inizio con la comparsa del clientelismo di massa (mass patronage) . Di quella nuova forma clientelare, cioè, nella quale l’erogazione delle risorse pubbliche si rivolge non più a singole persone ma ad intere categorie o gruppi sociali o ad ampie quote di popolazione. E perciò ha bisogno di organizzarsi in istituzioni e formazioni burocratiche, che facciano da tramite tra lo Stato ed i gruppi stessi.
  • 13. Il mass patronage presenta per questo una sua parvenza di modernità. Tant’è che lo si incontra anche presso società avanzate che hanno realizzato la prima industrializzazione ed una completa penetrazione del mercato nelle dinamiche produttive e distributive. Naturalmente, una posizione di privilegio spetta al partito dominante. Sia che sorregga il governo da solo, sia che si avvalga di una coalizione di partiti, nell’esercizio dei poteri di indirizzo e di nomina, esso afferma una sua egemonia. E ciò anche se, nel secondo caso, un’ineludibile esigenza transattiva impone il ricorso al principio lottizzatorio. Gli oltre quarant’anni di governi coalizionali ad egemonia democristiana sono al riguardo paradigmatici . Senza dire che la DC, con la sua articolazione correntizia, realizza già al suo interno un circuito poliarchiconegoziale. Si pone, in altre parole, come una coalizione nella coalizione, con una corrente egemone, pacificata nei rapporti con le altre, dalla pratica spartitoria. Come che sia, l’arena politica viene occupata da un clientelismo partitico i cui attori affermano di fatto il loro dominio su tutti i processi fondamentali di decisione e implementazione delle politiche pubbliche del Paese. Un clientelismo che genera una strana combinazione di ineguaglianza e asimmetria nel potere con una apparente solidarietà sociale. Nel Mezzogiorno, poi, tale solidarietà difficilmente riesce ad andare oltre gli antichi termini di identità personali o di sentimenti e obbligazioni interpersonali. E la dimensione partitica, le volte in cui riesce a porsi con forza, viene percepita ed accolta più come relazione di parentela che come relazione di appartenenza. Forse anche perché il clientelismo partitico nelle regioni meridionali si diffonde, recando con sé una seconda combinazione, ancora più strana della prima: quella fra coercizione - sfruttamento e relazioni volontarie sostanziate di mutue obbligazioni. “ (M. Fotia 2003) 1.3 E poi: le costanti dimensioni filoministeriali e trasformistico-clientelari secondo quanto già accennato in precedenza; il correntismo come variante del trasformismo storico; le difficoltà, per il modello culturale dominante, di progettare e perseguire uno sviluppo democratico del territorio (S. Bertocci 1977) a fronte di un consenso politico ampio e consolidato, nonché la formazione di una classe politica dirigente di ricambio come successione ad un potere politico- amministrativo sempre più accentrato (S. Franco 1996). E nell’area locale quindi: il modello per la cattura del consenso della Democrazia Cristiana nel periodo di Giacinto Bosco e successivamente. Vari studiosi oggi sono d’accordo nel ritenere, pur nel quadro e nei limiti del modello socioculturale operante (P. Allum 1975 e S. Bertocci 1977), l’epoca di Bosco come uno dei periodi positivi per lo sviluppo dell’area sessana a fronte di tutta una serie di motivi, da quelli occupazionali a quelli delle relazioni politiche tra la base e il vertice parlamentare.
  • 14. Come abbiamo già accennato altrove (P. Stanziale 1991) il modello boschiano poteva essere definito di tipo paternalistico-clientelare (la concezione paternalistica della politica è elemento fondamentale della tradizione cattolica meridionale- (P. Allum 1975 1978) in cui la struttura di partito (segreteria di sezione ecc.) aveva un proprio ruolo ed in cui il rapporto tra elettore e parlamentare aveva non rilevanti sbarramenti. G. Bosco in realtà ha rappresentato un argine- per il periodo dell’egemonia fanfaniana- all'espansione della DC napoletana la quale ha prevalso, in seguito, imponendo un modello per la cattura del consenso di tipo contrattualistico-clientelare: è il modello della political machine ovvero ciò che Allum riscontra e definisce già negli anni '70 nel tipo di organizzazione messa su da Silvio Gava e perfezionato poi dal figlio Antonio e analoga a tante strutture organizzative che sono alle spalle di molti parlamentari dagli anni ‘70 ai giorni nostri. È questo, certamente, un modello di cattura del consenso più moderno perché tiene in maggior conto la pluralità dei gruppi di interesse e di pressione, nonché dei vari intrecci tra politica ed economia - con una tendenza spesso a subordinare la prima alla seconda. C’è poi, nell’analisi di Allum (1975) un punto particolarmente rilevante rispetto alla politica democristiana nel Mezzogiorno e nel Meridione. Si tratta di un atteggiamento di tipo politico ben preciso basato su tre punti: 1- il fatto che il Sud ha bisogno d’aiuto data la sua inferiorità; 2- la necessità quindi di una forma di mediazione rispetto ai governi; 3- ogni aiuto al Sud, quindi, è da apprezzare ed ogni critica ai costi ed ai metodi usati per avere questo aiuto è irrilevante, ingrata e ingiusta rispetto a tale provvidenzialità. Questo tipo di atteggiamento, derivante dalla cultura rurale comunitaria, tende a permanere, per vari aspetti, nella cultura politica generale locale ed è, a ben guardare, alla base di svariate iniziative, indicando rappresentazioni abbastanza limitate di un sistema di amministrazione democratica, oltre ad un persistere pericolosamente regressivo di elementi pertinenti al modello culturale locale. 1. 4 A tutto questo va aggiunto quanto dice A. Lamberti (1991) sulla funzione addirittura stabilizzante ed occupazionale del riciclo di denaro derivante da attività illegali. D’altra parte alla perdita della dimensione comunitaria non viene - come abbiamo detto - a corrispondere un insieme di valori e orientamenti relativi ad un modello di società nazionale in positivo: una democrazia non proprio compiuta e alla ricerca di valide formule rappresentative- un Mezzogiorno che annega nella disoccupazione, ma in cui faticosamente attraverso varie esperienze- tra cui il modello Bassolino (dei primi tempi della sua sindacatura napoletana) (P. Stanziale 1999) e attraverso nuove figurazioni dello sviluppo- prendono forma i parametri possibili di una modernizzazione razionale del governo politico di un territorio- un capitalismo che nel momento in cui è vincente assume su di sé nuovi costi di libertà ed origina conflitti relativi a vecchie e nuove subalternità.... 1. 5 La piccola borghesia meridionale tra oligarchismi e ribellismi La visione gramsciana del Mezzogiorno come disgregazione sociale (1945) ha costituito e costituisce un paradigma fondamentale per comprendere ciò che accade ancora oggi in talune aree di Terra di Lavoro, a Sessa Aurunca, a Cellole, con riferimento a quanto abbiamo già scritto ma
  • 15. anche per ciò che riguarda la sfasature socioculturali di detti territori rispetto alle sollecitazioni del ciclo modernizzante in atto. Nell’area locale, ad un’osservazione coerente dei fatti sociali, risulta abbastanza evidente un quadro di disgregazione che riguarda fermenti che non si traducono in consensi o dissensi organizzati, velleitarismi ed anarchismi ribellistici ancora di derivazione contadina, tentativi di secessione amministrativa, osmosi strumentali tra pubblico e privato, particolarismi di fatto istituzionalizzati, il tradizionale clientelismo, indifferenza ed estraneità di aree sociali alle dinamiche politiche ecc.. Questa disgregazione è presente anche a livello intellettuale per la mancanza di un ambito culturale di decisa direzione ed orientamento, nella incapacità di elaborare valori entro cui costruire situazioni di riferimento, in forme di chiusure a vantaggio di interessi gruppali, ideologicamente populistici o evasivamente elitari ecc.. Un universo politico spesso eccessivo o che si produce come chiacchiera corrispondente frequentemente a blocchi decisionali. Questa disgregazione, che delinea, come marcante paradigma sociale, quanto è stato già abbozzato come parte dell’ethos locale (e non solo) ben si richiama a quella che Galasso (1982), con ricorso all’ambito hegeliano, chiama coscienza infelice e a ciò che faceva scrivere al Vescovo Nogaro: ".... la gente di qui mi piace. Ma si deve liberare dalle catene che ha alla coscienza" (in R. Sardo 1997). Questa coscienza sociale, che risulta tendenzialmente compiaciuta di circoscritti risultati utilitaristici, sembra situarsi lontano da una consapevolezza della propria inadeguatezza rispetto a sfide e prospettive di cambiamento, rispetto ad assetti e ad impieghi razionali riguardanti una società in grado di sincronizzarsi con una cultura del cambiamento. A tal proposito certamente grosse responsabilità riguardano quella che oltre mezzo secolo fa Gaetano Salvemini (1955) chiamava piccola borghesia intellettuale, ovvero quella classe sociale tesa al controllo delle amministrazioni comunali, oggetto del desiderio della classe dominante (G. Galasso 1982). Una borghesia che è parte della più ampia borghesia delle aree del Mezzogiorno stesso e che, in modo più accentuato di quella nazionale, non ha saputo essere protagonista attiva dello sviluppo capitalistico progressivo non avendo come background proprio un tradizione culturale (libertà, individualità, razionalità ecc.) atta a trasfondersi in modo positivo nel processo modernizzante (E. Galli della Loggia 1976 e quindi C. Tullio-Altan 1986). A questa borghesia locale, portata a vivere con maggiori conseguenze sociali le contraddizioni della borghesia italiana, non è estranea quella componente di anarchismo che secondo Galli della Loggia (cit.) tende a svilupparsi proprio là dove esistono sconnessioni culturali tra aree locali ed i processi del sistema sociale globale, forme di anarchismo o di reazione che nascono dalla non comprensione dei processi e/o dal subire processi di cui non si posseggono le coordinate culturali: ecco quindi l’individualismo fazioso e ribellistico (C. Tullio Altan 1986), il non riconoscersi in alcuna aggregazione sociale o la partecipazione conflittuale... e quindi il disprezzo per il lavoro manuale da parte della piccola borghesia, la prevalenza dello stato d’animo e del pregiudizio sociale, la preferenza per una routine impiegatizia ecc. (C. Morandi 1944) e ancora "...la rivolta morale ed istintiva del singolo che insorge contro qualcosa o contro qualcuno, accanto ad altri singoli, contro un mondo che lo soffoca intellettualmente e psicologicamente..” (G. M. Bravo 1977). Anche l’agire politico viene ad essere condizionato da questa concezione anarco-libertaria acquisendo un habitus principalmente orientato alla conquista del potere ed alla sua conservazione (H.D. Lasswell 1975) che si traduce spesso, a livello locale, in una conflittualità senza fine e nella concezione di un potere fine a se stesso (C. Tullio-Altan 1986). In tale universo la borghesia intellettuale locale si presenta come una classe caratterizzata fondamentalmente da un fazionismo esasperato e da una costitutiva povertà di effettiva elaborazione politica. Fazioni, dunque, personalismi, velleitarismi che rivelano spesso un
  • 16. retroterra politico-culturale non proprio consistente e con il conseguente e frequente svilimento della funzione dei meccanismi rappresentativi e di delega, producendo ulteriore complessità nella struttura dei rapporti socio-politici. E allora il quadro che emerge dal fondamentale studio di Salvemini sulla borghesia meridionale ben spiegava e spiega le dinamiche politiche locali che hanno visto e vedono il moltiplicarsi delle liste civiche, le varie gestioni commissariali dei Comuni e le scissioni fazionistiche caratterizzanti gran parte dei partiti dell’area locale e non ( cui va aggiunta come ulteriore tensione la logica costrittiva che tende a piegare ad accordi politici fatti nei capoluoghi, come Napoli e/o Caserta, le aree periferiche come quella comprendente Sessa Aurunca e Cellole). Si tratta di fazioni vincenti e di fazioni perdenti coalizzate, di appetiti soddisfatti e di nuove aggregazioni oppositive. Tutto ciò perpetuando un quadro di disgregazione sociale relativamente alla coscienza collettiva ed a quelle individuali. E situazione riguardante la disgregazione sociale è pure l’emigrazione (ambito nazionale e non) a cui andrebbe opportunamente dedicato uno studio specifico relativamente ai suoi andamenti negli anni, ai risvolti economici ed alle sue incidenze culturali di ritorno. Emigrazione da considerare come reazione al sottosviluppo di cui hanno sofferto le classi subalterne ma non solo, tendenzialmente sussistente oggi anche se non paragonabile a quella degli anni ‘50- ‘60. Un punto conclusivo sembra essere comunque il fatto che la situazione locale riflette gli aspetti propri di quella nazionale: quella identità italiana di cui parla E. Galli della Loggia (1998) basata sulle oligarchie corporative, sul familismo e sul trasformismo che, al momento in cui scriviamo, si presenta con una vistosa ampiezza di esiti a vari livelli. Quella tradizione politico-ideologica che non avendo nella sua storia il prodursi di un consolidato senso dello Stato sopperisce a ciò con la vischiosità oligarchica (E. Galli della Loggia cit.) e con un politicismo onnipervasivo. 1.6 Il Trasformismo Una tradizione statuale e civica, quindi, in cui il valore delle istituzioni rimane non storicamente partecipato, lasciando ogni decisione ad una politica, operante dall’alto che, per questo, si ipertrofizza lasciando spazio a quell’eterogenesi dei fini (E. Galli della Loggia cit.) ed a quel trasformismo qualunquistico mirato al piccolo beneficio, alla costruzione del notabilato, al patronage, alla riproduzione di oligarchie che però non si sono, nei fatti, trasformate in una forzaclasse-dirigente in grado di rappresentare e gestire gli effettivi interessi generali in una nazione moderna. “Peraltro, occorre aggiungere che non è possibile comprendere ed interpretare un fenomeno siffatto (il familismo), senza far ricorso all’altro pilastro della cultura politica nel Mezzogiorno e meridionale, quello trasformistico. Precisando opportunamente che per trasformismo si intende qui una visione della vita politica per la quale il metro di coerenza degli uomini di potere non va cercato nella loro fedeltà ad un quadro ideologico ed alla impostazione programmatica che ad esso si accompagna, ma nella loro capacità di schierarsi sempre con le forze al governo, allo scopo di conservare la loro
  • 17. posizione di dominio, di essere in grado di soddisfare le richieste dei loro elettori e, di conseguenza, attraverso il sostegno crescente di questi, di rafforzare progressivamente la posizione stessa. Esso, in realtà, scaturisce da un contesto che tiene uniti in una stessa logica eletti ed elettori. Il contesto sostanzialmente è quello clientelare avanti descritto. In pratica, il clientelismo, così come a monte è legato al familismo, così a valle è intrecciato al trasformismo. Sta, insomma, in mezzo a far da ponte e unire i tre fenomeni, che, alla fine appaiono necessariamente tre aspetti di un unico fenomeno.” “…….. le pratiche trasformistiche delle élite politiche meridionali proseguono ininterrottamente fino ai nostri giorni, anche dopo l’avvento del proporzionale e dell’annesso scrutinio di lista e il ritorno, nell’ultimo decennio, del maggioritario, ancorché imperfetto, e dei collegi uninominali. Così come non trovano arresto neppure dopo la nascita e il consolidamento dei partiti di massa. Le èlite utilizzano infatti questi ultimi come efficaci strumenti per promuovere la formazione al loro interno di aggregazioni di interessi o correnti in grado di condizionarsi reciprocamente. Introducono, in altri termini, in seno ai partiti di massa le loro logiche spartitorie in maniera da accaparrarsi il massimo possibile di leve elettorali, da tradurre in posti in parlamento, nelle altre assemblee elettive e negli apparati amministrativi dello Stato e degli enti locali. I momenti storici salienti del parlamentarismo, del fascismo, del doroteismo e del berlusconismo ne sono la riprova. In questo senso, coloro che ci descrivono la vita politica meridionale come eguale e ripetitiva nei meccanismi, sempre pronta a svilire il nuovo, riducendolo al vecchio, non hanno tutti i torti, anche se, naturalmente, la teoria della staticità sic et simpliciter del Sud, talvolta avanzata, è fuorviante. I partiti, legati fin dalla nascita a fattori lunghi di parentela ristretta o allargata, di clientele tradizionali o moderne, nelle diverse congiunture, sono sempre pronti ad etichettarsi vicendevolmente con i termini di liberale o clericale, radicale o moderato, fascista intransigente o transigente, democristiano di sinistra o doroteo. Nella realtà dei fatti, essi perpetuano i vecchi meccanismi di canalizzazione del consenso e di formazione del personale politico e amministrativo. Non senza introdurre nella struttura sociale e nel sistema politico elementi, seppure mai strategici, di novità e di avanzamento.” (M. Fotia 2003)
  • 18. 1.7 Il doroteismo “Maturato inizialmente in seno ad una parte del gruppo dirigente della DC, il Doroteismo diviene in prosieguo patrimonio dell’intero partito, e da ultimo, come accade del resto alle precedenti forme storiche di trasformismo clientelare, cultura comune a gran parte della classe politica italiana. Anche perché non esaurisce la sua dimensione nell’essere semplicemente logica politica, ma, fuoriuscendo dal luogo e dall’arco storico nei quali nasce e si sviluppa, si traduce in regola generale di vita sociale e culturale. Il Mezzogiorno ne è uno scenario privilegiato, al punto che taluno si è posto la domanda se il doroteismo non debba essere considerato addirittura come il prodotto di una linea meridionale di conduzione storica della DC, linea divenuta motrice di una strategia, che, a partire proprio dal Sud, crea nuovi itinerari per il partito d’ispirazione cristiana, in un orizzonte geografico ben più ampio. La meridionalizzazione della DC, in ogni caso, avviata già agli inizi degli anni Cinquanta, è un fatto. Il Mezzogiorno, che, nel 1946, rappresenta il 29.7 per cento della forza complessiva di questo partito, nel 1952, raggiunge il 54.8 per cento. E meridionalizzazione non significa soltanto un crescente peso delle regioni del Sud all’interno del partito, ma anche una maggior presenza dell’organizzazione democristiana nella società meridionale . Tutto ciò tende a creare nel Sud un equilibrio sociale nuovo, temperato tuttavia dalla sopravvivenza nelle strutture e nei comportamenti di caratteri ed elementi fondamentali del vecchio equilibrio. L’élite dorotea consolida così quel carattere peculiare che sta alla base dell’organizzazione sociale e politica del Mezzogiorno: il trasformismo clientelare. La classe di cui si parla punta, insomma, a gestire una forma di rinnovamento del Sud attraverso un tipo di penetrazione del mercato che consenta, pur tra talune forme di vivacizzazione, di conservare e proteggere la società tradizionale. La sua non è dunque una politica di mera conservazione, ma di protezione e di crescita moderata, finalizzata a mantenere i consensi elettorali dei vecchi ceti e a conquistare quelli dei nuovi, entrambi astringendoli dentro le vecchie e le nuove gabbie della subalternità socio-economica e culturale. E così, contrariamente a quanto accade in tutte le società investite dall’impatto del mercato, da una parte, eleva i redditi ed apre ai moderni consumi, dall’altra, mantiene gran parte dei vecchi condizionamenti socio-economici e culturali.
  • 19. Trova necessario di conseguenza introdurre dei mutamenti nelle tradizionali funzioni di mediazione. In forza di essi, cambiano i soggetti stessi che esercitano tali funzioni: dai notabili si passa ai political broker, i quali molto meglio dei primi trovano accesso ai luoghi del centro che decidono l’erogazione delle risorse destinate alle periferie. Cambia il tipo di risorse: da quelle di proprietà privata, solitamente notabiliare, si passa a quelle di proprietà pubblica. La nuova metodologia consentiva, comunque, all’élite dorotea e all’intera DC di espandere sempre più la sua azione trasformistica e di far sì che la compresenza e la coagulazione di vecchio e di nuovo, di avanzamenti e di arresti, nella società meridionale, rendano sempre ricche le sue raccolte di consensi. Così irrobustendo un blocco sociale che trova i suoi ampi supporti nella residua piccola e media borghesia rurale, in quella cittadina degli affari e delle libere professioni, in talune frange intellettuali e giovanili, in settori di non poco conto del mondo cittadino ed operaio. Il cemento è rappresentato per i primi due segmenti dai mille benefici e aiuti posti in atto dalla già citata politica assistenziale; per il terzo ed il quarto da un tipo di riformismo industriale e agrario, produttivo di un certo numero di posti di lavoro e di nuove occupazioni, seppure precarie, e soprattutto dagli impieghi pubblici, assicurati da una selva di organismi, istituti, enti, consorzi. Siffatto blocco sociale era anche un blocco politico, poiché da esso provenivano le nuove leve della DC nonché la dirigenza e il management, collocato alla guida dei numerosi enti pubblici, consorzi, banche, società finanziarie, messi in piedi da questo programma di rinnovamento, e affidati per lo più a democristiani, in maggioranza dorotei di sicura osservanza. “ (M. Fotia 2003) 1. 8 Il paternalismo Il paternalismo è strettamente connesso con il modello parentale il quale a sua volta si distingue dalla clientela (J. La Palombara in P. Allum 1975) per essere basato o su una particolare relazione tra il boss e i suoi o sul meccanismo delle nomine. Il paternalismo è fattore importante della politica nazionale e fattore fondamentale della cultura politica meridionale. Gran parte dei posti di comando o intermedi in enti importanti vengono assegnati spesso con criteri paternalistici, ciò o per ricambiare servizi prestati o per consolazione (P. Allum 1975) nel caso che la persona da ricompensare non abbia avuto quello che sperava. 1. 9 Il Qualunquismo Il qualunquismo non va inteso in senso spregiativo e/o liquidatorio, Togliatti stesso, a suo tempo, riconobbe le sue radici popolari. In effetti il qualunquismo rappresenta un elemento costitutivo di vaste aree della cultura politica italiana. Esso è tra le cause basilari del consenso attribuito al
  • 20. fascismo. Il qualunquismo prese forma in modo netto con Guglielmo Giannini ed oggi lo ritroviamo, per molti suoi aspetti, nel berlusconismo e in aree della destra ma anche della sinistra per alcuni aspetti. Tra i caratteri fondamentali del qualunquismo troviamo: -l’insofferenza per il sistema dei partiti -l’anticomunismo -l’esaltazione del liberismo economico -la negazione della presenza dello stato -lo stile populistico nella comunicazione politica -il rifiuto dell’approfondimento di tematiche politico-economiche -l’esaltazione di un approccio semplicistico ai problemi -la lotta contro la pressione fiscale. Questo apparato ideologico è presente, per vari aspetti, nella cultura politica meridionale orientandone una buona parte dei consensi elettorali principalmente nelle elezioni politiche. Esso risale al 1799 (G. Pallotta 1972) e del resto a Napoli, nel dopoguerra, l’Uomo Qualunque ebbe vasti consensi con l’appoggio soprattutto della borghesia rurale e dei proprietari terrieri. Il risultato fu la vittoria del particolarismo (G. Dorso 2005), del fazionismo, del proliferare delle liste civiche.
  • 21. Riferimenti bibliografici B. De Giovanni, 2004, in De Mita, De Giovanni, Racinaro, Da un secolo all’altro, Rubettino Ed. Soveria Mannelli Rapporto CENSIS, 2006 G. Capobianco, 1987, In ricordo di Gori Lombardi, in Civiltà Aurunca n. 5, Marina di Minturno (Latina) G. Ciriello, 1987, Socialismo, ideologia e cultura del movimento operaio nel territorio aurunco, in Civiltà Aurunca n. 5, Caramanica Editore, Marina di Minturno (Latina) S. Franco, 1996, Sessa: maledizione o paradosso, art. Il Mensile Suessano, Sessa A. (Caserta) n. 147 dicembre S. Bertocci, 1977, Dossier Baia Domizia. Uno scandalo democristiano, Borla, Roma L. Graziano, 1974, Clientelismo e mutamenti politici, Comunità, Milano L. Graziano, 1980, Clientelismo e sistema politico. Il caso dell’Italia, F. Angeli, Milano J. La Palombara, M. Weiner, 1966, Political parties and Political Development, Princeton University Press J. La Palombara, 1964, Interest Groups in Italian Politics, Princeton University Press H.D. Lasswell, 1975, Potere, politica e società, UTET, Torino M. Fotia, 2003, La cultura politica meridionale, Proteo 1, Jaca Book, Milano Critica Meridionale, 1974, (Dir. Silvio Bertocci) Roma P. Allum, 1975, Potere e società a Napoli nel dopoguerra, Einaudi, Torino P. Allum, 1978, La Campania: politica e potere 1945/1975, in Storia della Campania a cura di F.Barbagallo, Guida, Napoli P. Stanziale, 1991, Art. in Il Mensile Suessano n. 99, Sessa A. (Caserta) A. Lamberti, 25/11/1991, Repubblica G. Galasso, 1965, Mezzogiorno medievale e moderno, Einaudi, Torino. G. Galasso, 1977, Il Mezzogiorno nella storia d’Italia, Le Monnier, Firenze G. Galasso, 1978, Passato e presente del meridionalismo, Guida, Napoli
  • 22. G. Galasso, 1982, L’altra Europa, Mondadori, Milano G. Salvemini, 1955, La questione meridionale (1896-1955), La Voce, Torino C. Morandi, 1944, La sinistra al potere e altri saggi, Barbera, Firenze C.M. Bravo, 1977, Critica dell’estremismo, Il Saggiatore, Milano C. Tullio-Altan, 1986, La nostra Italia, Feltrinelli, Milano E. Galli della Loggia, 1998, L’identità italiana, Il Mulino, Bologna E. Galli della Loggia, 1976, in L’Italia contemporanea 1945- 1975, a cura di V. Castronovo, Einaudi, Torino G. Pallotta, 1972, Il Qualunquismo, Bompiani, Milano G. Dorso, 2005, La rivoluzione meridionale, Palomar di Alternative, Bari N. Antonetti, Paradigmi politici e riforme elettorali: dal sistema maggioritario uninominale al sistema proporzionale, in P. L. Ballini (a cura di), Idee di rappresentanza e sistemi elettorali in Italia tra Otto e Novecento, Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti, Venezia, 1997 J. Chubb, Patronage, power and poverty in Southern Italy. A tale of two cities, Cambridge University Press, Cambridge, 1982; L. Musella, Clientelismo e relazioni politiche nel Mezzogiorno fra Otto e Novecento, “Meridiana“, 1988, n. 2 Idem, Individui, amici, clienti. Relazioni personali e circuiti politici in Italia meridionale tra Otto e Novecento, Il Mulino, Bologna, 1994. B. Catanzaro, Struttura sociale, sistema politico e azione collettiva nel Mezzogiorno, “Stato e Mercato”, 1983, n. 8, G. Gribaudi, Mediatori. Antropologia del potere democristiano nel Mezzogiorno, Rosenberg e Sellier, Torino, 1980, A. Ranney, The doctrine of responsible party government, The University of Urbana Press, Urbana, 1962; G. Di Palma, Governo di partito e riproducibilità democratica: il dilemma delle nuove democrazie, “Rivista Italiana di Scienza Politica“, 1983, n. 1; F. I. Castles-R. Wildenmann (a cura di), Visions and realities of party government, Walter de Gruyter, Berlin-New York, 1986.
  • 23. 2- Modelli culturali e boss politici (2006 2103) 2. 1 Sessa Aurunca e Cellole, come altre aree del Mezzogiorno, rappresentano, nelle loro dinamiche politiche e sociali, casi emblematici di comunità che cercano una propria direttiva di sviluppo generale tra contraddizioni, arretramenti e avanzamenti. Ciò nel contesto di un Mezzogiorno in cui zone di eccellenza sono spesso contigue a zone di marcato sottosviluppo o in cui la giustapposizione di modelli di sviluppo e socioeconomici danno luogo a immobilismi o a schizofreniche fughe in avanti in un quadro in cui le categorie tradizionali di analisi a disposizione dello studioso vanno ad essere usate in modo quanto meno approssimato possibile e usando anche schemi analitici adatti alla specificità delle varie realtà sociali. Ciò di là da ogni empirismo sommario che pure costituisce il background metodologico di gran parte della classe politica e degli intellettuali locali. Per quanto ci riguarda vogliamo riprendere oggi, ad inizio millennio, tematiche già sviluppate a proposito degli studi su Sessa Aurunca (P. Stanziale 1999) e Cascano (P. Stanziale 1988), nell’alto casertano, ritenendole più che mai attuali e cercando di allargare l’ambito delle analisi ad un quadro di rimandi e di annotazioni esplicative che, pur nella loro volutamente discontinua dinamica, vogliono cogliere i punti nodali e parametrare, in qualche modo, anche le problematiche sociali presenti nella zona sessana e cellolese. Ciò costituendo l’avvio di un irrimandabile processo di conoscenze che certo potranno essere realizzate in una area di studi sociali più organici e articolati. È anche utile constatare che molti sono impegnati ad interrogare il passato remoto quando invece è piuttosto produttivo leggere il passato prossimo ed il presente nella prospettiva della costruzione di una consapevolezza critica che, di là dalle risultanze della ricerca socio-antropologica, può contribuire alla delineazione di una possibile conoscenza effettiva della locale realtà sociale. 2.2 Nella serie di articoli scritti a suo tempo per Critica Meridionale (1974) e per Mondo Oggi (1980) cercammo di studiare la ricaduta sociale dei processi di industrializzazione nella zona di Sessa Aurunca e sulle caratteristiche dell’azione politica in tale zona negli anni ‘80. Con il libro Zona aurunca/sud pontino: l’impronta nucleare (1985) cercammo di fare il punto sull’avventura nucleare nel territorio di Sessa Aurunca. Successivamente riprendemmo queste prospettive di ricerca, ma da un’angolazione antropologico-culturale- partendo dall'impostazione data al lavoro sviluppato poi in gruppo- L’illusione e la maschera (1977)- dirigendo, successivamente, il Gruppo di Studio Sinodale su Mentalità e costumi della nostra gente (1990) (ricerca piuttosto sintetica ma ricca di indicatori e- purtroppo - non molto conosciuta)- collaborando su questi temi a Civiltà Aurunca ed al Mensile Suessano, nonché attivando le seguenti recenti ricerche: Visioni politiche del
  • 24. mondo nel territorio di Sessa Aurunca. Definizione dell'habitat culturale di provenienza di un campione di popolazione studentesca e Giovani: valori e attitudini nell’alto Casertano (P. Stanziale 1993) - nonché Ricerche sulla cultura del magico (P. Stanziale 1997-98). Da queste indagini, cui si è sempre cercato di dare una corretta impostazione in un ambito di ricerca empirica, sono emersi una serie di fatti, di conferme, ma anche di interrogativi cui sarebbe troppo lungo accennare ma su alcuni dei quali conviene riflettere. 2.3 Anzitutto mi sembra opportuno rilevare che la storia sociale di Cellole, in provincia di Caserta, coincidendo, in prima istanza, con quella della vicina Sessa Aurunca, nell’ambito di un territorio definibile come sessano, non può essere fatta in modo circoscritto ma deve essere tracciata, in seconda istanza, rispetto alla storia generale del Mezzogiorno e quindi con quella nazionale e facendone, quindi, risaltare i tratti sia specifici sia quelli omologanti … E subito alcuni interrogativi relativi ai punti che seguono: -come l'essere stata Sessa Aurunca una cittadella della fede (M.Volante 1993) abbia influito sulle dinamiche sociopolitiche del territorio; -quali le modalità secondo le quali si è venuta delineando nel '500-'600 una qualche classe borghese nel territorio aurunco; -come viene ad emergere in modo specifico il filoborbonismo locale; -come prende forma in modo specifico (e con una certa costanza) l'estraneità di grandissima parte del tessuto socioculturale della zona sessana, e non solo, ad idee e fatti storici orientati verso innovati assetti socio-politici. 2.4 Certo sono domande che già delineano - in un certo qual modo - produttive possibilità di approccio al Problema nella misura in cui alludono alla necessità, ormai improcrastinabile, di studiare in una prospettiva di ricerca sociale il passato locale. In ogni caso vorrei concludere questa linea di considerazioni cominciando a dare alcune risposte riferendomi a quanto sostiene Giuseppe Galasso (1965- 1982) a proposito della storia del Mezzogiorno d'Italia. Mi sembra che tre siano i punti interessanti che pone in evidenza Galasso nell’ambito dei suoi fondamentali itinerari di ricerca e su cui, anche attraverso percorsi diversi, vengono a convergere altri storici. Il primo riguarda la specificità culturale di origine contadina delle zone come quella di Sessa Aurunca e Cellole che, pur avendo come confine il mare non hanno mai mostrato uno sviluppo di elementi culturali di civilizzazione legati alla pesca e alla navigazione e questo riguarda anzitutto Cellole che è l’insediamento più vicino al mare;
  • 25. la mancanza, in senso generale, di una capacità locale autonoma di elaborazione politica innovativa; il fatto che innovazioni sociali e politiche nella zona sessana, come nel Mezzogiorno in generale, sono state originate, nella gran parte dei casi, dall'esterno- e su questo punto di delinea una differenza tra Cellole e Sessa per il fatto che Cellole a fronte di una certa vivacità politica è divenuto Comune autonomo distaccandosi da Sessa Aurunca e aprendosi una propria strada allo sviluppo. Le suddette conclusioni- che di fatto finiscono per rappresentare delle costanti, facilmente inverabili a livello locale- possono ben costituire un paradigma interpretativo. Esse delineano in modo sintetico il quadro di un’analisi sociale che, partita da lontano, ben si collega ad altri tipi di analisi (sociologiche, antropologiche) più centrate sull’evo moderno dell’area locale. 2.5 Un altro punto di partenza, quindi, può essere dato da ciò che cercammo di delineare - in modo non basato sull’analisi quantitativa ma sulla tecnica dell’osservazione e dell’analisi partecipante (T. Tentori 1960) e su una serie di indagini, di interviste, di storie di vita, di colloqui e, se volete, di intuizioni, verificate come modello culturale (cultural pattern), antropologicamente significativo (L’illusione e la maschera, 1977 e Civiltà Aurunca 2/85) per l’ambito locale sessano e quindi cellolese; in altre parole cercai di mettere in evidenza valori, comportamenti, attitudini e tutto ciò attraverso cui una comunità si rappresenta il mondo e come si rapporta con i problemi dell'esistenza (si trattava di indagini da intendersi come ricerche d’ambiente di taglio socioantropologico (P. Guidicini 1991) giocate tra i classici E. C. Banfield (1961) e R. Lynd (1970). In grande sintesi il risultato di queste ricerche nel sessano collegavano le contraddizioni sociali e politiche, ed un certo livello di non-progresso generalizzato, a un non conseguenziale processo evolutivo tra Cultura Contadina, Cultura Umanistico-Idealistica, Cultura dell'Età Industriale (naturalmente in tale ambito cultura vuol dire kultur, civilizzazione, un ambito che comprende anche situazioni quali la scelta del tipo di scuola per un figlio o il grado di sindacalizzazione di gruppi sociali ecc.). In base a questi assunti era possibile, quindi, spiegare situazioni quali l'eccesso di familismo, il qualunquismo, forme di ribellismo fine a se stesso, la mancanza di senso dello Stato, il ruolo frenante della cultura contadina dal punto di vista del progresso socio-politico e altro ancora: tutto ciò che, in effetti, poteva e può condurre ad un primo approccio esplicativo al tema della costante storica del sottosviluppo (indicando, sostanzialmente, con tale termine la consapevolezza sofferta di talune costanti sociali frenanti rispetto a reali risorse e a prospettive di razionale modernizzazione sociale possibile). E ciò, naturalmente riguardo non solo al sessano e al cellolese ma riguardo a gran parte del Mezzogiorno e del Meridione ed è un’analisi che può correttamente venire, per molti aspetti, come vedremo, a riguardare anche l’attualità. 2.6 In ogni caso, nello sviluppo di queste note, non è possibile prescindere dal substrato della cultura contadina (altrimenti detta agraria o rurale)- per quanto delineato nelle analisi suddette- nel cui
  • 26. contesto riscontriamo che, parallelamente e successivamente, vi è stata l’egemonia umanisticoidealistica (quella incentrata sulla figura e sul ruolo sociale del Professore e dell’Avvocato, ma anche su quella del Medico) cui poi si sono sostituiti altri valori e comportamenti generalizzati legati ad altre figure di riferimento del successo sociale emergenti nell’ambito di un processo dai tempi piuttosto lenti e quasi sempre caratterizzati da una certa sfasatura rispetto alle dinamiche socio-politiche pertinenti alla modernizzazione della società nazionale. I modelli di riferimento hanno orientato di volta in volta scelte sociali e valori ma quello che emerge in modo piuttosto palese- e che è utile puntualizzare ulteriormente- è quanto segue. -La cultura contadina tende a permanere per vari aspetti come substrato del modello socio-culturale generale e non è solo pertinente a quelle che erano le classi subalterne. Questa cultura, definita da P. Allum (1975) Gemeinschaft rurale si articola principalmente sui seguenti orientamenti: -utilitarismo -valore fondamentale della tradizione e della religione -diffidenza nei confronti dell’altro -accettazione di consuetudini e regole dominanti -concezione gerarchica della società -impossibilità di cambiare la struttura sociale -atteggiamenti di rivolta o di rinuncia -ruolo decisionale di fatto della donna-madre. Questo tipo di cultura per fortuna ha perso negli studi sociali, a partire dagli anni ‘60, un certo alone di esaltazione e di privilegio di derivazione ottocentesca per essere riportata nei termini di una critica storico-sociale che ne ha posto in luce gli aspetti di utilitarismo, di inconsistenza emancipativa e di anarchismo. Stiamo parlando di studiosi quali De Martino, Galasso, Tullio-Altan e soprattutto Amalia Signorelli (1984) che particolarmente ha mostrato come il bisogno di folklore sia un bisogno regressivo. Questi studiosi hanno preso generalmente come spunto per le loro analisi la realtà del contadino meridionale descritta crudamente da Gramsci. "... il contadino è vissuto sempre al di fuori del dominio della legge, senza personalità giuridica, senza individualità morale, è rimasto un elemento anarchico, l’atomo indipendente di un tumulto caotico, infrenato solo dalla paura del carabiniere e del diavolo. Non comprendeva l’organizzazione, non comprendeva lo stato, non comprendeva la disciplina; paziente, e tenace nella fatica individuale di strappare alla natura scarsi e magri frutti, capace di sacrifici inauditi nella vita familiare, era impaziente e violento selvaggiamente nella lotta di classe, incapace di porsi un fine generale d’azione e di perseguirlo con la perseveranza e la lotta sistematica." (A. Gramsci 1974 e quindi C. Tullio-Altan 1986).
  • 27. 2.7 Il modello umanistico-idealistico, quindi, è stato il modello della classe egemone e riferimento di avanzamento sociale per le classi subalterne. Questo modello era pertinente più a Sessa Aurunca, storicamente centro del potere, che non alle aree periferiche come Cellole. Per vari aspetti, esso ha costituito l’ideologia di un ceto di potere che nell’area politica e nel campo amministrativo in generale ha trovato il suo sbocco naturale fino ai giorni nostri attraversando una fase di generale affermazione nel ventennio fascista. E qui il riferimento è alla figura del funzionario statale (A. Gramsci 1971) proveniente da una famiglia contadina che, attraverso una formazione umanisticogiuridica, accede ai quadri statali. Questo pattern, (articolato quasi sempre tra conservazione e idealismo) che meriterebbe uno specifico studio, molto più circostanziato rispetto a quanto accennato in precedenza da noi (P. Stanziale 1977- 1985), ha sempre privilegiato lo Stato inteso come ambito di sicurezza occupazionale e di esercizio del potere. Ciò anche per il ruolo di importanza assegnato ad un certo tipo di intellettuale nel quadro di una concezione idealistica dello Stato stesso, concezione che nella variante crociana dell’utopia moderata ha caratterizzato l’egemonia culturale napoletana dalla quale però si sono distaccati vari intellettuali perché sganciata da una praxis avente pure nel Mezzogiono connotazioni nuove (B. De Giovanni 1978). Vengono a completare questo modello alcuni indicatori (indicatore qui va inteso in senso generale) - cui è utile accennare in modo sintetico- quali: -l’emarginazione della cultura scientifica -l’osservanza religiosa di tipo formale per vari aspetti -l’esaltazione dell’eloquenza e di una armonia di derivazione letteraria -una certa xenofobia -privilegio del monumento rispetto alla struttura -armonizzazione idealistica della prassi. 2.8 Il processo di modernizzazione sociale poi ha portato un ovvio aumento della complessità del quadro sociale con l’affermarsi di valori e comportamenti legati alla cultura dell’età industriale o, se si vuole, post-industriale. Anche qui è possibile individuare qualche orientamento : -partecipazione maggiore ad attività associative -competizione sociale
  • 28. -forme di conformismo legate a modelli veicolati dai mass-media -consumismo ed esibizione sociale dei consumi -edonismo. Manca dunque l’approdo all’assetto proprio di una gesellschaft caratterizzata da: -gruppi sociali secondari -dominio organizzativo -legami politici orizzontali -rapporti di parziale autonomia con l’apparato statale -organizzazione politica in partiti di massa -richiamo ideologico non populistico o formalmente religioso ma con una base culturalmente articolata. Come già delineato in precedenza l’attualità del modello- che definiamo tradizionale o anche di dominio- vede la coesistenza, la convivenza, a volte contraddittoria, di elementi e situazioni relativi ai tre modelli precedenti, con le opportune scansioni rispetto agli scarti generazionali (e localistici), con tutto ciò che ne consegue in termini di immobilismo, produzione culturale, atteggiamenti politici, sviluppo economico, attitudini sociali.... E va qui sottolineato e non dimenticato il fatto che la dinamica sociale e il comportamento sociale e politico nascono da una visione del mondo originata proprio da un modello culturale che ne orienta comportamenti, atteggiamenti e attitudini. Va, inoltre, considerato che la lettura dell’area locale attraverso il modello culturale di cui stiamo parlando non può non tener conto di quanto emerso da una ricerca sociologica (A. Calenzo 1983) e da una ricerca storica (G. Di Marco 1995): entrambe le ricerche insistono giustamente sulla compresenza territoriale di una realtà più specificatamente rurale- relativa alle frazioni del territorio comunale, tra cui l’ex frazione Cellole- ed una realtà urbana relativa a Sessa Auruncacentro, volendo così indicare differenziazioni socioculturali e storiche, in particolare costituendo tale differenziazione, per Di Marco, un paradigma interpretativo della storia locale. Per quanto ci riguarda il cultural pattern sopra-esposto, come anche quello relativo alla dicotomia gemeinschaft/gesellschaft possono, tali modelli, essere ritenuti validi per la lettura socio/antropologico-culturale di gran parte dell’area locale e non solo. Tale validità può essere confermata localmente attraverso l’individuazione di talune componenti significative a scapito di altre, trattandosi di un modello componenziale aperto alle stratificazioni ed alle dominanze.
  • 29. Altro fattore importante è lo scarto generazionale cui abbiamo accennato, ovvero la preminenza di elementi del modello culturale dominante rispetto all’età e relativamente a come i giovani si trovino spesso in situazioni conflittuali rispetto a sollecitazioni ed influenze diverse (P. Stanziale 1993). 2.9 Ma procediamo con ordine anche utilizzando qualche flashback. Popolazioni locali che si sollevano non per rivendicazioni politiche (1848) ma per un "masto di festa" (P. Giusti 1928); una coscienza sociale in qualche modo consapevole di marcate forme di subalternità e in grado di organizzare forme isolate e non articolate di protesta e di rivendicazione politica: penso alle lotte per il Pantano dei cellolesi e a qualche jacquerie delle frazioni, penso a personalità come Maria Lombardi e Gori Lombardi per il loro faticoso ed inimitato impegno politico e sociale in tempi non facili per la formazione di una coscienza delle subalternità. Penso al ruolo della Sinistra fino ai giorni nostri ed al fatto che il suo modo di far politica ha solo smussato lo zoccolo duro del modello culturale generale (in tale ambito i lavori di G. Capobianco e G. Ciriello hanno il merito di aver delineato una memoria storica della sinistra e rivendicato il suo ruolo, ma non hanno esaminato fino in fondo l’incidenza sociale e politica di questa sinistra nella storia locale rispetto alla generalità del tessuto sociale, sinistra che era ed è rimasta una sub-cultura politica, essendo riuscita ad incidere solo in modo marginale sul modello culturale dominante). E poi: una religiosità formale e ritualistica, tesa a riprodurre identitariamente un assetto comunitario (P. Stanziale 1998) e addirittura ancora largamente sincretica fino agli anni '30 (N. Borrelli 1937). E ancora: l'interessata mediazione fascista che nel modificare alcuni equilibri acquista paradossalmente connotati di modernizzazione... la polarizzazione Mazzarella-Ciocchi che viene a costituire uno degli stadi intermedi nel processo di svilimento della politica come tale nella zona sessana (A. Marchegiano 1989); la zona sessana che elegge ai principi del '900 a proprio rappresentante in parlamento un personaggio legato alla malavita aversana.. Penso soprattutto all’ egemonia della Democrazia Cristiana, partito sorto nel dopoguerra ad opera di esponenti dell’azione cattolica e di persone provenienti da esperienze politiche diverse. L’ampio consenso assicurato a questo partito era basato fondamentalmente su quello che Allum (1975) definisce boss politico (coincidente, nell’area locale, col grande elettore/luogotenente) avente capacità di organizzazione e di mediazione. Questi, secondo l’identikit che ne fa Allum è un professionista minore che organizza intorno a sé una clientela... prospera in una società poco industrializzata e si muove in una realtà economica poco florida per cui l’unica ricchezza è data dal favore, inscrivibile nella sua capacità di mediazione e di relazioni con la burocrazia statale in generale e ministeriale. Per quanto riguarda l’area locale il boss aveva l’appoggio incondizionato della Chiesa, almeno fino agli anni ‘70, epoca in cui comincia a delinearsi una certa autonomia dell’episcopato rispetto al potere politico (Quaderni del Sinodo n.1- 1990). In ogni caso era decisiva la sua struttura organizzativa che avendo Sessa Aurunca come centro aveva propri referenti in tutte le frazioni del Comune- compreso Cellole- assicurando, attraverso un controllo capillare, un pacchetto di voti da spendere- con una certa disinvolta autonomia- al fine di aumentare il proprio peso politico rispetto all’ambito parlamentare e rispetto alla burocrazia statale. L’organizzazione seguiva lo schema seguente (Allum 2003).
  • 30. ------------------------------------------Capicorrente---Dirigenti di partito------------------------------------------------------------------------Luogotenenti -------Parlamentari Sottosegretari---------------------------------------------Grandi elettori------------Sindaci Cons. Com. Segr. Sez. Professionisti--------------------------------------------…Capi elettori --------------------Attivisti Capi clan familiari---------------------------------------------.Galoppini---------------------------------Galoppini------------------------------------------------------Elettori-------------------------------------------------------Elettori-----------------------Era questo- e per molti aspetti è- un sistema di clientela abbastanza consolidato che, per vari aspetti, esulava pure da un circoscritto rapporto di tipo politico per essere strutturato secondo un familismo tipico per cui ci si rivolgeva al boss non solo per il favore ma anche per altri motivi connessi all’ambito familiare (malattie, matrimoni ecc.). Questo tipo di boss rientra, in senso generale nella tipologia di Whyte (1955) e Weber (1966) e negli studi di Kirchenheimer (La Palombara e Weiner 1966), ma se ne discosta per il fatto di essere calato in una realtà sociale di transizione, come ben mostra Allum (1975). Transizione tra un tipo di società agraria ed un tipo di società industriale secondo lo schema seguente. Società di transizione e caratteristiche predominanti Rapporti di classe: frammentari Forme di organizzazione politica: boss/apparati politici Sfera di attività: locale /nazionale Richiamo ideologico: populista Natura dei legami politici: ristretti/verticali Metodi di controllo politico: manipolazione/coercizione Rapporti con l’apparato statale: dipendenza totale Questo tipo di boss è stato sostituito, successivamente negli anni, realizzando un certo successo di consensi, da altri tipi di boss più legati all’ambito industriale, più legati ad un dominio organizzativo e tecnocratico, con una parziale autonomia rispetto all’apparato statale ed alla Chiesa locale e collegati con lobby di potere economico e talvolta con aree di interessi diversi... Si tratta di boss che sono anch’essi figure di transizione dato che presentano sia caratteristiche legate ad un tipo di società agraria semplice sia caratteristiche legate ad un tipo di società più moderna. In ogni caso permane un tipo di dominio personale in un ambito localistico e con richiami ideologici di tipo populistico. Quello che ci interessa sottolineare qui è che la tipologia del boss politico rappresenta
  • 31. un indicatore rispetto ad una modernizzazione della politica come tale nell’area Sessa AuruncaCellole, che evidentemente stenta ad emergere come efficiente ambito di iniziative e volontà razionale, pure presente, anche con modalità diverse, in altri ambiti del Mezzogiorno. 2.10 E siamo così arrivati a tempi recenti i quali, prima di essere presi in esame, richiedono riflessioni su almeno due spunti analitici. Il primo riguarda lo studio di P. A. Allum (1975)- cui ci siamo frequentemente richiamati- che riguarda anche la nostra zona delineando sociologicamente ciò che era emerso per via antropologica, successivamente (1977), nelle ricerche suddette e che può essere così descritto in via di grossa semplificazione: gran parte della società civile dell’area NapoliCaserta viveva tendenzialmente con continuità una propria situazione conflittuale dovuta al fatto che essa (società civile) non era ormai più una Comunità (gemeinschaft) e non andava neanche a diventare una Società (gesellschaft- F. Tönnies 1963) in senso moderno. Ovvero modelli comunitari e modelli societari convivevano, si sovrapponevano e collidevano. Vale a dire che conservazione di valori strumentali (utilitarismo, anarchismo ecc.) -propri di un comunitarismo di tipo rurale tendevano a convivere con valori e comportamenti tipici della civiltà industriale (consumismo, crisi di valori morali, omologazione di massa, tipologie di acculturazione di tipo conformistico, l’uso di droghe ecc.), ovvero come sostiene D. De Masi (1969) c’era un assetto comunitario che andava disgregandosi rispetto ad una struttura societaria che appena si annunciava... (È necessario, a questo punto, puntualizzare che il nostro modello antropologico-culturale, rispetto a quello di Allum era più specifico per la nostra zona. Allum non prendeva in considerazione l’ambito culturale umanistico-idealistico dato che l’impianto della sua analisi era centrato sul rapporto comunità- società - sulla linea Marx- Weber- Gramsci- Tönnies - e riguardava i rapporti tra potere e società nel collegio Napoli- Caserta). Questi erano i punti d’arrivo delle analisi le quali oggi si presentano con una validità inficiata solo marginalmente, permanendo come quadro analitico anche dell’attuale situazione sociale dell’area locale e non solo. Una conferma di ciò può essere riscontrata nella parte del presente lavoro che è dedicata proprio a questo tema dal punto di vista dell’analisi quantitativa, con un’ulteriore verifica tratta da uno studio CENSIS del 1998 sul Mezzogiorno. Il secondo spunto nasce da un esame della società locale dal dopoguerra ad oggi: rapporti tra politica e società, il tipo di cultura politica, rapporti tra politica ed economia... Uno spazio sterminato di ricerca e di analisi ma in cui è possibile individuare qualche situazione particolarmente indicativa come la convergenza - all'inizio degli anni sessanta - tra il potere politico consolidato della borghesia medio-alta (che altrove abbiamo ritenuto definibile come parassitariaP. Stanziale 1985) e gruppi economici locali e/o nazionali: e ciò come in moltissime altre realtà nazionali nell'epoca del boom economico. Nella zona sessana questo tipo di sviluppo - il quale ha originato grosse iniziative imprenditoriali, con i tradizionali risvolti clientelari (pur se nella zona sessana non è esistita né esiste una affermata tradizione imprenditoriale vera e propria)- non è avvenuto, purtroppo, secondo metodi non estranei ad iniziative varie della magistratura: ciò che nei fatti, costringe a non identificare lo sviluppo di queste iniziative con un progresso democratico reale e generalizzato della società locale. Del resto alcune di queste iniziative, nel tempo hanno mostrato i
  • 32. loro limiti imprenditoriali attraverso cessioni, ricomposizioni, riduzione delle attività o scomparendo. (Va annotato, a tale proposito che una storia degli insediamenti industriali nei Comuni di Sessa Aurunca e Cellole deve essere opportunamente delineata sia per ciò che riguarda le cattedrali nel deserto del boom degli anni ‘60 che per l’effettiva possibilità insediativa di tipologie industriali rispetto alla vocazione economico-produttiva del territorio). 2.11 A questo punto è necessario richiamare gli anni del cosiddetto boom economico in cui il comune di Sessa (comprendente Cellole) divenne un’area di incubazione della dipendenza dal Nord (M. Fotia 2003). Basta ricordare almeno: -la costruzione della centrale nucleare del Garigliano, una centrale con tecnologia americana che fu sperimentata con risultati devastanti successivamente emersi; -la costruzione dello stabilimento metalmeccanico Società Prefabbricati Finsider, poi Morteo, successivamente oggetto di cessioni e speculazioni; -la nascita di Baia Domizia con le note vicende imprenditoriali-giudiziarie. “Nella seduta del 13.8.63 del Consiglio comunale di Sessa Aurunca venne approvata all’unanimità la delibera n. 316 inerente la vendita della Pineta di Sessa di proprietà del Comune ad una società settentrionale, l’Aurunca Litora, per la costruzione del villaggio Turistico-balneare denominato Baia Domizia. Il 22 luglio 1959 l’Amministrazione Comunale presieduta dal DC Gennaro Ciocchi, aveva indetto un concorso per la valorizzazione della Pineta di Sessa Aurunca, che venne aggiudicato ad un gruppo di architetti napoletani e salernitani, Caruso, Defez, Di Majo, Gambardella Rosa e Alfonso, Muzzillo, che non ebbe mai esecuzione. Esso prevedeva la vendita del terreno, in lotti, ai naturali del posto a l. 150 il mq ed a L. 300 ai forestieri. Vennero presentate circa tremila domande che non vennero mai evase. “ (G. Monarca 1994) Negli anni seguenti l’operazione Baia Domizia, definita “uno scandalo democristiano” (S. Bertocci 1977), ebbe rilevanti risvolti giudiziari investendo la DC a tutti i livelli, da quello locale a quello nazionale con notevoli echi di stampa.
  • 33. Riferimenti bibliografici P. Stanziale, 1999, Omologazioni e anomalie in una realtà sociale del ;mezzogiorno alle soglie del Duemila europeo: Sessa Aurunca in provincia di Caserta, Corrado Zano Editore, Sessa Aurunca (CE) P. Stanziale, 1988, La sera del 18 marzo a Cascano, Quaderni di Civiltà Aurunca, Caramanica Editore, Marina di Minturno (Latina) P. Stanziale, 1991, Art. in Il Mensile Suessano n. 99, Sessa A. (Caserta) Critica Meridionale, 1974, (Dir. Silvio Bertocci) Roma Mondo Oggi, 1980, (Dir. Antonio Tagliacozzi) Baia Domizia (Caserta) P. Stanziale, 1985, Zona aurunca/sud-pontino: l’impronta Nucleare, Gr. R.75, Sessa A. (Caserta) P.Stanziale, A. Calenzo, E.M. Coppa, 1977, L'illusione e la Maschera, Cineforum Aurunco, Marina di Minturno (Latina) P. Guidicini, 1991, Nuovo Manuale della ricerca sociologica, F. Angeli, Milano E. C. Banfield, 1961, Una comunità del mezzogiorno, Il Mulino, Bologna R.S. Lynd H.M. Lynd, 1970, Middletown, Comunità, Milano R. Benedict, 1934, Patterns of Culture, New York Quaderni del Sinodo 1, 1990, Sessa A. (Caserta) P. Stanziale, 1993, Giovani: valori e attitudini nell’alto casertano, in Civiltà Aurunca n. 24, Marina di Minturno (Latina) M. Volante, 1993, , Brevi note storico-artistiche sulla Chiesa di Sessa Aurunca tra XI e XIX secolo, in Lungo le tracce dell’Appia, Caramanica Editore, Marina di Minturno (Latina) G. Galasso, 1965, Mezzogiorno medievale e moderno, Einaudi, Torino. G. Galasso, 1977, Il Mezzogiorno nella storia d’Italia, Le Monnier, Firenze G. Galasso, 1978, Passato e presente del meridionalismo, Guida, Napoli G. Galasso, 1982, L’altra Europa, Mondadori, Milano P. Falco, 1998, Tesi Laurea, Univ. Cassino (Frosinone)
  • 34. F. Bevellino, 1990, Salvatore Morelli, in Quad. di Civiltà Aurunca, Caramanica Editore, Marina di Minturno (Latina) R. Sardo, 1997, Nogaro, un Vescovo di frontiera, A. Guida, Napoli T. Tentori, 1960 , Antropologia culturale, Universale Studium, Roma- ma anche J. Madge, 1966, Lo sviluppo dei metodi di ricerca empirica in sociologia, Il Mulino, Bologna P. Allum, 1975, Potere e società a Napoli nel dopoguerra, Einaudi, Torino P. Allum, 1978, La Campania: politica e potere 1945/1975, in Storia della Campania a cura di F. Barbagallo, Guida, Napoli A. Signorelli, 1984, Mezzogiorno e contadini, trent’anni di studi, Quad. I. R. S. dal Fasc. alla Res. Roma A. Gramsci, 1974, La questione meridionale, Editori Riuniti, Roma A. Gramsci, 1971, Gli intellettuali, Ed. Riuniti, Roma C. Tullio-Altan, 1986, La nostra Italia, Feltrinelli, Milano P. Stanziale, 1985, Il mutamento sociale in una parte del territorio aurunco dagli anni ‘20 ad oggi, in Civiltà Aurunca n. 2, Caramanica Editore, Marina di Minturno (Latina) B. De Giovanni, 1978, in Storia della Campania, a cura di F. Barbagallo, Guida Napoli A. Calenzo, 1983, Il Carnevale a Sessa Aurunca, Tesi Laurea Univ. Roma G. Di Marco, 1995, Sessa e il suo territorio, Caramanica Editore, Marina di Minturno (Latina) P. Giusti, 1928, Cronistoria sessana 1348-1868, A.G. La Sociale, Caserta P. Stanziale, 1998, La complessa "significanza" della Settimana Santa a Sessa Aurunca, Il Mensile Suessano, Sessa A. (Caserta) n. 163, agosto W.F. White, 1955, Street Corner Society ecc. Chicago University Press M. Weber, 1966, La politica come professione, in Il lavoro intellettuale come professione, Einaudi, Torino J. La Palombara M. Weiner, 1966, Political parties and Political Development, Princeton University Press J. La Palombara, 1964, Interest Groups in Italian Politics, Princeton University Press F. Tönnies, 1963, Comunità e Società, Comunità, Milano G. Guadagno- D. De Masi, 1969, Trasformazioni socio-economiche e criminalità nell’area urbana, di Napoli, ciclostilato, Napoli
  • 35. M. Fotia, 2003, La cultura politica meridionale, Proteo 1 Jaca Book, Milano G. Monarca, 1994, Sessa dalla A alla Z, Pubbliscoop Ed. Sessa A. (Caserta) S. Bertocci, 1977, Dossier Baia Domizia. Uno scandalo democristiano, Borla, Roma
  • 36. 3- Ricerche (2004- 2006) La Sociologia ed alcune altre Scienze Umane sono da ritenersi discipline basate fondamentalmente sull’osservazione e su orientamenti concettuali (F. Ferrarotti 1998), questa ci è sempre sembrata una prospettiva di studio abbastanza valida e produttiva. Questi, dunque, i criteri che abbiamo tenuto presente nelle nostre ricerche, criteri che però non possono prescindere né da un background storico-filosofico né da una lettura corretta dei fatti sociali in senso sincronico e diacronico integrata dalla analisi quantitativa. Pur se tutto ciò che è conoscibile non è misurabile (Ferrarotti 1998) tuttavia la ricerca quantitativa fornisce trend, elementi, orientamenti e verifiche preziosi. A complemento documentario del presente lavoro questa parte riguarda alcune ricerche relative all’ambito locale comprendente anche Sessa Aurunca e Cellole e di cui abbiamo già parlato in un precedente lavoro (Stanziale 1999). Ai risultati delle suddette ricerche e studi pensiamo vada attribuito un valore dialettico e contestuale, non assolutizzabile, ma necessario nell’ambito dell’enucleazione di processualità e di dinamiche sociali che è ciò che maggiormente ci interessa porre in evidenza. 3.1 Nell’autunno del 2004, presso il Liceo Scientifico “E. Majorana” (Sessa Aurunca), fu attivata una ricerca-sondaggio relativa alle “Visioni politiche del mondo”. Questa ricerca nacque dall’esigenza di uscire fuori dal generico delle valutazioni politiche e sociali relative all’ambito locale per cercare di “misurare” e definire le modalità di rappresentazione della politica in relazione all’habitat sociale e culturale locale e ciò anche in una prospettiva diacronica. In effetti, il punto di partenza era stato il famoso libro di P. Allum: “Potere e società a Napoli nel dopoguerra” (1975) che ebbe il merito di evidenziare in modo scientifico le modalità di rappresentazione della politica e delle problematiche sociali nella gente dell’area Napoli – Caserta. Prendendo spunto da Allum una ricerca, in qualche modo analoga, fu iniziata nel 1991 presso l’Istituto Magistrale Statale “T. Da Sessa” (Sessa Aurunca), e portata a termine successivamente presso il Liceo Scientifico “E. Majorana” e pubblicata nel 1999. La successiva ricerca-sondaggio quindi, fu utile per verificare se, nell’arco di oltre un decennio nella società locale, si fossero verificati, in qualche modo, effettivi mutamenti in relazione ai parametri di indagine presenti nella stessa ricerca del 1991. Gli indicatori usati per la strutturazione del questionario della ricerca-sondaggio furono: a) l’acculturazione; b) la socializzazione; c) il rapporto con i candidati alle elezioni; d) le rappresentazioni dello Stato; e) il rapporto tra Stato e territorio; f) le rappresentazioni della politica locale. Su questi indicatori venne strutturato il relativo questionario riguardante i seguenti ambiti: a) fonti di amicizia; b) partecipazione sociale; c) pratica religiosa; d) lettura; e) televisione; f) politica; Quest’ultima con n. 18 items.
  • 37. Il campione venne costruito tenendo presente: a) età degli intervistati compresa tra 25 e 60 anni; b) 50 % maschi e 50 % femmine; c) classi sociali: 10 % borghesia medio-alta, 50 % classe media, 40 % classe “operaia”. Gli studenti si preoccuparono di somministrare il questionario nelle seguenti aree: 1) Sessa Aurunca 2) Cascano 3) S.Castrese 4) Piedimonte 5) Falciano del Massico 6) Carinola 7) Casanova 8) Sparanise 9) S.Carlo 10) Cellole 11) Roccamonfina. Si tratta di località che presentano margini plausibili di omogeneità di situazioni ambientali, sociali, economiche e politiche: ciò che è abbastanza importante per la veridicità dei risultati. Ogni studente somministrò questionari di cui: 50 % a donne e 50 % a uomini; di questi 30% a persone della classe “operaia”, 50% della classe media, 20 % della classe medio-alta. Questa campionatura ci sembrò essere affidabile dal punto di vista metodologico per una ricercasondaggio, anche se certamente permaneva un margine di aleatorietà (principalmente per ristretti scarti di percentuali di risultati) che però ritenemmo non tale da inficiare il valore generale della ricerca-sondaggio. L’universo del campione risultò essere di 528 unità. Ciò a fronte della ricerca del 1991, che comprendeva un universo di 700 unità relativo allo stesso ambito territoriale della presente ricerca-sondaggio Ricerca—sondaggio LE VISIONI POLITICHE DEL MONDO IN UN’AREA DELL’ALTO CASERTANO RISULTATI 1. Fonti di amicizia Casuali 14.7% Parenti 15.7%
  • 38. Amici di infanzia 20.5% Associazioni e circoli 7.7% Vicini di casa 14.4% Ambito lavorativo 26.8% Nessun amico 0.2% 2. Partecipazione ad organizzazioni sociali Circoli ricreativi 11.2% Partiti politici 12.6% Associazioni sportive 12.5% Sindacati 10.5% Associazioni professionali 14.3% Nessuna partecipazione 38.9% 3. Pratica religiosa SI NO Messa domenicale 44.6% 55.4% Altro 11.8% 88.2% 4. Lettura: Lettura quotidiani Lettura settimanali Lettura stampa di partito Lettura riviste specializzate Lettura libri: più di uno al mese SI 47.1% 34.3% 25.4% 51.4% 13.5% uno al mese 17.9% uno ogni tre mesi 16.5% uno ogni sei mesi 13.2% uno all’anno 13.3% nessuno 26.6% NO 52.9% 65.7% 74.6% 48.6% Preferenze Panorama, L’espresso
  • 39. 5. Televisione Meno di tre ore al giorno Più di tre ore al giorno Non dichiarato 72.7% 19.3% 8.0% Preferenze: 33.0% 31.0% 26.5% 9.5% film telenovele attualità-dibattiti divulgazione scientifica 6. Politica: La politica è appannaggio di: una certa categoria di persone delle persone istruite dei ricchi di chi sa fare gli affari di tutti 30.1% 3.8% 12.2% 31.7% 22.2% SI 44.5% 82.5% E’ importante conoscere il candidato? E’ importante conoscere il programma del candidato? Un candidato deve essere competente di amministrazione in generale? NO 55.5% 17.5% 80.1% 23.4% Basta che il candidato abbia buon senso? 19.9% 77.6% Le promesse dei candidati sono: corrette esposizioni di intenzioni necessarie bugie servono a far conoscere il candidato I candidati: Lo stato si identifica con: 13.1% 60.5% 26.4% mantengono sempre quello che promettono non mantengono mai il promesso fanno in parte ciò che promettono 4.1% 44.8% 51.1% i partiti 13.9%
  • 40. i politici al potere i ricchi gli industriali la repubblica dei cittadini 34.8% 8.9% 4.3% 38.1% SI 80.6% 71.3% Bisogna aver fiducia nello stato? Con il voto si può cambiare lo stato? NO 19.4% 28.7% SI Nella sua zona lo stato è presente in modo: Trovare lavoro è: Cosa consigli ad un amico con problemi sociali? Dell’attuale situazione politica della tua zona pensa che sia: Nel caso sia insoddisfatto politicamente pensa che una sua iniziativa potrebbe influire in qualche modo? Pensa che i suoi interessi siano attualmente rappresentati e tutelati politicamente? 4.1% 19.8% 45.1% 31.0% indispensabile 24.9% non necessaria aiuta In rapporto a varie necessità pensa che la raccomandazione politica sia: efficiente funzionale insufficiente assente 15.8% 59.3% facile difficile non so 7.5% 90.7% 1.8% inscriversi ad un sindacato impegnarsi personalmente ricorrere ad amici influenti rivolgersi ad un politico non saprei consigliarlo 7.9% 42.9% 17.9% 9.9% 21.35% soddisfacente insoddisfacente non so 13.9% 53,5% 32.6% SI 14.6% NO 54.7% NON SO 30.7% 13.9% 70.4% 15.7% IN PARTE
  • 41. Con l’attuale sistema elettorale pensa che i cittadini siano rappresentati in pieno politicamente? 9.3% 20.8% 22.4% 47.5% ANALISI DEI RISULTATI 1) Per quanto riguarda la socializzazione, si nota un minimo di evoluzione tra i dati della stessa precedente indagine del 1991 e quelli del 2004. Nel senso che, ad esempio, le fonti di amicizia si spostano nel tempo verso l’ambito lavorativo, divenendo sempre meno casuali, pur rimanendo un forte richiamo all’ambito del luogo di residenza e degli amici di infanzia. 2) La partecipazione sociale sembra invece ridursi a vantaggio di una marcata mancanza di partecipazione o verso forme di frammentata aggregazione. 3) Permane per oltre metà degli intervistati, ma in modo crescente, un non interesse per la pratica religiosa. 4) Per quanto riguarda la lettura dei quotidiani, essa rimane attestata per oltre il 50% di non lettura e troviamo la stessa tendenza, ma in modo più marcato e crescente, relativamente alla lettura dei settimanali. Fortemente penalizzata è la lettura della stampa di partito, mentre, invece, sembra in crescita la lettura di riviste specializzate. Per quanto riguarda i libri, si nota un andamento negativo nel tempo, nel senso che si tende a non leggere o a leggere in modo periodico con grandi intervalli di tempo. 5) Per quanto riguarda la televisione tende ad aumentare il numero di coloro che vedono meno di tre ore di TV/giorno, mentre diminuisce il numero di coloro che si fermano più di tre ore al giorno davanti al teleschermo. La preferenza rimane invariata per film e dibattiti ai primi posti, seguita però da oltre il 30% di preferenze per le telenovele. 6) L’assetto socioculturale che risulta da queste sezioni, si può definire come improntato ad un tendenziale immobilismo con una certa crescente frammentazione sociale e con un indice di acculturazione piuttosto negativo. Emergono anche, forme di socializzazione riportabili, pur se per aspetti circoscritti, ad ambiti comunitari di tipo rurale. 7) La politica viene rappresentata con ampi margini critici, significativa la convinzione, in oltre 1/3 degli intervistati, di un rapporto preciso, ieri come oggi, tra affari e politica. Come pure il considerare la politica come riservata ad un certo ambito di persone. 8) Ai candidati è chiesta competenza e programmi effettivi, non basta il buon senso, ma anche si ritiene che mentire faccia necessariamente parte dell’atteggiamento dei candidati i quali, alla fine, o non mantengono ciò che hanno promesso o lo realizzano in parte. Queste valutazioni sono costanti nel tempo. 9) Lo stato viene identificato in quest’ultima ricerca con la Repubblica dei cittadini ma con 1/3 degli intervistati che ritiene i politici al potere come ciò che identifica lo stato. Rispetto alla ricerca precedente quest’ultimo giudizio risulta diverso in quanto nel ’91 si collocava al primo posto. 10) Nell’attuale ricerca emerge una decisa fiducia nello stato unitamente all’idea che è possibile modificare con il voto i poteri statali e ciò in maniera più marcata rispetto all’indagine del ’91. 11) Lo stato, ieri come oggi, viene ritenuto assente sul territorio per oltre il 40 % del campione e con una insufficiente presenza per oltre il 30 % degli intervistati. 12) La raccomandazione era ritenuta indispensabile, nel ’91 per oltre metà del campione, mentre ora “aiuta “ per oltre il 60 % degli intervistati i quali, per il 24 %, la ritengono ora indispensabile.
  • 42. 13) L’impegno personale nelle due ricerche viene ritenuto fondamentale rispetto a problemi sociali e, mentre nel ’91 al secondo posto per percentuale trovavamo il “rivolgersi ad amici influenti”, ora troviamo invece”non saprei consigliarlo” per il 21 % degli intervistati. 14) La situazione politica dell’ambito locale è guardata con insoddisfazione ieri come oggi ma con un più marcato disorientamento (32 % ) rispetto al ’91 (17 %). 15) La situazione del punto precedente viene ad essere integrata dal fatto che oltre la metà del campione delle due ricerche non pensa di poter influire sulla situazione politica locale. 16) Troviamo al penultimo item della ricerca un 70 % di risposte negative rispetto alla rappresentazione ed alla tutela politica dei cittadini e ciò come nel ‘91. 17) Conclude la ricerca una perplessità, che si stempera dal 72 % del ’91, al 47 % di oggi, rispetto all’efficacia dei sistemi elettorali attuale e precedenti, unitamente ad un giudizio nettamente negativo che sale dal 17 % del ’91 al 20 % di oggi. Il quadro che emerge dal contesto delle due ricerche, che riteniamo abbiano indicativi margini di veridicità - avvalorati anche dalla costanza di vari risultati- mostra la marginale lentezza di talune dinamiche che, in qualche modo, sono indicative di un mutamento socioculturale piuttosto lento, avvertibile del resto, a ben guardare, anche empiricamente. Rimane un immobilismo di fondo, un non apprezzabile livello di acculturazione e contraddizioni sulle rappresentazioni della politica, la quale viene svalutata a fronte di fatalismi e rassegnazione, situazione questa che può ben rimandare ad un disinteresse fisiologico per l’ambito della politica, per molti autori, tipico dei sistemi politici occidentali. Ma pure risulta la necessità di una maggiore presenza dello stato nell’ambito locale - e ciò come in buona parte della letteratura sociologica sul Meridione in cui ci si aspetta sempre molto dallo stato – unitamente alla necessità di una effettiva tutela degli interessi della gente. 3.2 Abbiamo ritenuto opportuno strutturare brevi questionari di sintesi (2006) relativi ai temi della famiglia e della politica, sottoponendolo ad un numero variabile di residenti, e ciò tenendo presente l’esperienza di Banfield (1961) nella prospettiva di individuare alcune componenti di quello che Banfield stesso definisce ethos di comunità. Questionari di sintesi Cosa è meglio: un uomo che lavora molto ma avaro……. n. 114 un uomo fannullone ma generoso………...n. 112 n.d. ……………………………………….n. 104 Cosa è meglio: un uomo che sposa una donna brutta per procurarsi i soldi per la famiglia… n. 116 un uomo che si sposa per amore abbandonando la famiglia………………....n. 112 n,d. …………………………………………………………………………...n. 102 Una donna può picchiare i propri figli in vista di un bene futuro per loro? Si.. 116 No..114 Un cittadino deve interessarsi alle cose pubbliche ? Si..130 No..00
  • 43. Il controllo dei pubblici ufficiali spetta solo ai superiori? Si.. 109 No.. 120 n.d...101 Bisogna mantenere in vita organizzazioni basate sull’altruismo? Si..127 No..103 Le leggi debbono prevedere punizioni sempre per chi sbaglia? Si…112 No..118 A chi dichiara di agire per il pubblico bene bisogna guardare: con sospetto …..116 benevolmente…114 Il voto è legato: a interessi immediati…101 a idee e programmi…..129 L’interesse pubblico può prevedere un tornaconto privato? Si…112 No…118 L’esercizio del potere comprende la corruzione? Si…102 No…128 I politici praticano il voto di scambio? Si…129 No…101 3.3 Nel 2005 il locale circolo di Alleanza Nazionale promosse un’inchiesta sui giovani di Cellole realizzando una serie di interviste di cui qui di seguito riportiamo sinteticamente i risultati di massima. IDENTIKIT INTERVISTATO Il campione disponibile è composto in maggioranza da maschi e la rimanente parte da soggetti femminili; quasi tutti studenti delle superiori. Pochi gli occupati, il resto in cerca di occupazione. L'IMPEGNO: i giovani cellolesi non hanno una vocazione spiccata all'impegno di tipo pubblico. Quasi nessuno ritiene molto importante la politica, mentre considerano più importante l'impegno sociale. E se dovessero esprimere un impegno nel sociale lo farebbero per qualcosa che percepiscono come impegno concreto, come il volontariato. La situazione di precarietà e stagnazione del mercato del lavoro e lo scenario politico-economico di grave crisi si riflette nell'esistenza di ognuno degli intervistati ed è trasversale rispetto al campione, per sesso, età, appartenenza, formazione culturale. Mancanza di fiducia. C'è un palese stato di mancanza di fiducia, nello stato delle cose e secondariamente in se stessi, marcato soprattutto nei soggetti maschili, specie quando sono formulati progetti di vita, talora commoventi nella loro genericità: vivere tranquillamente, essere felici, sperare che qualcosa accada.