2. Pasquale Stanziale Collabora con Università ed Agenzie
di Formazione. Già docente emerito di Filosofia Teoretica
presso l’ISSR “S.Pietro” di Caserta. Ha al suo attivo
un’ampia pubblicistica nel campo delle Scienze Umane.
Tra le sue pubblicazioni: Omologazioni e anomalie
(Caserta 1999), ricerca divenuta un classico degli studi
locali. Ha curato anche Il Manuale di saper vivere ad uso
delle giovani generazioni di R. Vaneigem (Viterbo 2004) ed
una antologia di autori situazionisti (Viterbo 1998).
Tra le pubblicazioni più recenti: Cultura e società nel
Mezzogiorno (Caserta 2007), Scenari tra economia e
scienze umane (Quaderni Craet n. 11 Sec Univ. Napoli 3-
2009), Cyberanalysis, (Quaderni Craet n. 14 – Sec Univ.
Napoli 6-2010). Laclau & Mouffe: egemonie, socialismo,
populismo, La Sinistra Rivista- Mothly Review 5-2013),
Dallo spettacolo del fantasma al fantasma dello spettacolo,
in AA VV L’antispettacolo nella società dello spettacolo,
Viterbo 2016. Oltre la psicoanalisi. Jacques Lacan,
Wroclaw 2019.
3. PREMESSA
Scopo del testo che segue non è certo quello di fare la storia
dell'AURUNKATELIER e delle OFFICINE KULTURALI
AURUNKE, ciò che richiederebbe impegno ed ambito diverso ma
che, sicuramente, prima o poi verrà fatto, dato che, nell'area
aurunca, l'AURUNKATELIER e le OKA costituiscono certamente
esperienze uniche per articolazione culturale e riscontro sociale.
Non è neanche quello di un "fiancheggiamento teorico"delle
iniziative che i due gruppi prenderenno nel futuro, né quello di
funzionare da "depliant illustrativo ".
Ma, al limite, questo lavoro può anche essere USATO per tutto
questo, se serve a provocare confronti ed interesse rispetto
all'AURUNKATELIER e alle OKA, al teatro in generale, ad un
modo di far cultura nuovo.
Il fine di questo lavoro è innanzitutto un tentativo di riflettere cri-
ticamente su una esperienza artistica e, quindi, di esprimere una
visione chiaramente e volutamente personale sul modo di fare
teatro a Sessa Aurunca in provincia di Caserta e sul teatro
moderno in generale. È, però, anche un modo di mettere un punto
fermo su alcuni fatti ed eventi che molti non conoscono o hanno
4. casualmente dimenticato. Ciò anche perché in questo paese tutto
tende a scomparire nella cultura dell"'ordinaria amministrazione
" ove solo erudite opere sul passato scandiscono anni di apatia,
la quale ogni tanto è scossa da qualche rigurgito di trionfalismo.
Un punto di vista personale, quindi, che può attivare, ovviamente
dissenzi e/o approfondimenti.
L'AURUNKATELIER ha prodotto quasi una trentina tra spettaco-
li, laboratori ed eventi culturali di altro genere. Io mi soffermerò,
in queste pagine solo su alcuni eventi che ritengo particolarmente
significativi per il mio personale modo di intendere il teatro e
"L’USO "del teatro rispetto al territorio che è quello della zona
aurunca/sudpontino.Si tratterà di considerazioni personali
specifiche e di riferimenti a mie ricerche sul teatro
contemporaneo, nonché ad elaborazioni ed itinerari di ricerca del
Gruppo e di Tonino Calenzo che, per molti aspetti, è stato , il mio
alter ego dialettico nel lavoro teatrale per le sue intuizioni, per la
sua vitalità culturale, per l'innovativo e notevole discorso che
porta avanti con spettacoli come "La storia di Don Giovanni e del
suo-servo Pulcinella", "Fratello Italione", nella direzione di
articolate ricerche, per la delineazione di un "Teatro indigeno" e
sulla maschera.
Oggi a Sessa con notevoli sforzi (dell'AURUNKATELIER e delle
OKA principalmente, e di qualche altro Gruppo o persona) si
riscontra qualche atteggiamento di "apertura" al teatro nella
direzione di un gusto minimo per lo spettacolo di "qualità",
diverso dallo spettacolismo ad ogni costo che pure in questa zona
è ampiamente propugnato, tipico della "società dello spettacolo ".
Ed è un fatto che oggi esiste il progetto di un teatro a Sessa, con
la relativa parte di fondi disponibile da parte dell'Ente locale. È
sperabile, però, che questa iniziativa non si areni, per motivi
burocratici e/o politici.
È anche in questo ambito di situazioni che si collocano le
riflessioni che seguono, le quali vogliono anche essere un
tentativo di concettualizzare i dati dell'esperienza: ciò che non
collima spesso con il modello culturale locale.
5. Voglio sottolineare, infine che in questo lavoro vi sono solo
accenni e riferimenti a problematiche di messa-in-scena, a teorie
ed ad intellettuali inerenti il teatro moderno e contemporaneo:
ciò per una esigenza di semplicità e perché verticalizzazioni ed
allargamenti esulerebbero dall'intendimento di queste pagine ed
avrebbero bisogno di sedi più opportune.
L'Autore
6. LA SCENA E LO SCENARIO (1988)
(da Fare teatro a Sessa Aurunca, Iniziative &
Progetti, Latina 1988 e Lungo le traccie
dell’Appia, Caramanica, Latina 1993)
...l'utopia è il pensiero
di una minoranza che non
vuole diventare maggioranza
e scopre la sua azione
nel mantenere alto il valore
della differenza
A. Neiwiller
Le note che seguono vogliono essere la
testimonianza di una passione e di oltre un decennio
di attività (militante) nel campo dello spettacolo,
attività che ha avuto Sessa Aurunca come SCENA
ma anche come SCENARIO: una figurazione tutto
sommato inedita per la nostra zona in cui il
7. passaggio da un assetto di COMUNITÀ ad un as-
setto di SOCIETÀ sta avvenendo in modo piuttosto
contraddittorio e con un background culturale che
cerca una propria dimensione di modernizzazione. Il
lavoro del sottoscritto e di quanti altri si sono, in
qualche modo, dedicati all'attività di cui si parla, qui
di seguito, sono, in qualche modo, un contributo ad
un processo di emancipazione socioculturale locale.
1. Il libro, la scena
Nel 1977 usci il volume "L'illusione e la maschera"
scritto da me, da T. Calenzo e da E.M. Coppa. Si
trattava di una ricerca in cui venivano raccolti ed
analizzati, antropologicamente, reperti folklorici sul
Carnevale in una parte del Comune di Sessa
Aurunca. Questo volume costituì, e costituisce
ancora oggi, una delle pochissime ricerche
scientifiche locali sul folklore che, uscita fuori da
canoni solo descrittivi o di maniera tradizionali, fece
piazza pulita di luoghi comuni e di idoleggiamenti
della cultura contadina mostrandone le strutture
profonde. Fu applicata l'analisi strutturale, che già
Lévi-Strauss aveva usato per studiare alcune società
sudamericane, per verificare l'essenza del fenomeno
carnevalesco. Furono tenute presente le ricerche di
Cirese e Lombardi-Satriani che avevano orientato in
senso antropologico molti spunti gramsciani. Il
volume, presto esaurito, ebbe presentazioni a livello
locale ed a livello nazionale (TV 1, ecc.). Questa
8. ricerca fu anche la conclusione di un lavoro "sul
campo" durato un anno e da cui emersero gli
elementi teatrali e di "rappresentazione" in generale,
della cultura rurale della zona aurunca.
Una cultura peraltro, in gran parte, priva di elementi
progressivi e, nella generalità dei casi, piuttosto
rassegnata nelle sue varie forme di subalternità.
In ogni caso ci fu una serie di spettacoli - di cui curai
la sola parte organizzativa - e un'articolo/intervista
del Corriere della Sera.
Così, di fatto, cominciai a collaborare con il Gruppo
teatrale a cui in seguito, fu dato il nome di
AURUNKATELIER volendo indicare, da una parte
il radicamento e, da un'altra, la necessità della
sperimentazione.
Sperimentazione che fu ritenuto l'ambito più
interessante da sviluppare dopo questa esperienza di
teatro di radicamento in rapporto alla quale tre erano
le conclusioni che sembravano evidenti e che si
possono concretizzare nelle riflessioni che seguono.
A) Fare teatro in provincia è "difficile" nel senso che
un teatro che voglia essere "antropologico" o di
"radicamento" (vedi i decisivi articoli di Franco
Quadri su SCENA relativi a tali argomenti e che ci
aprirono nuovi orizzonti) non si può inventare da un
giorno all'altro. È necessario che ci sia un lavoro di
base: una ricerca e la conoscenza di certi modelli
9. culturali e della stratificazione dei valori. In
provincia non è più possibile improvvisare, se si
vuole fare opera concreta di emancipazione culturale
del tessuto sociale, bisogna partire da conoscenze
ottenute mediante effettive ricerche. In caso contra-
rio si tratta di operazioni con finalità diverse.
B) Un teatro di radicamento che non si voglia
esaurire in un macchiettismo deve operare delle
scelte ed avere, a mio parere, una precisa "ideologia"
che non può non essere che quella della capacità
d'analisi, della conoscenza e della libertà
progettuale, dello svincolo, cioè, da ogni tipo di
consenso parziale e/o occasionale. Ciò non significa
che bisogna perdersi in arzigogoli teorici (la ricerca
è un momento precedente e definito rispetto alla
rappresentazione) che possono distorcere o rendere
ridondante il senso del lavoro teatrale.
C) La necessità di affermare ulteriormente la validità
di un teatro inteso nel suo VALORE D'USO, come
strumento di animazione culturale e di conoscenza.
2. “Nevejorc” a Roma
Dopo l'esperienza del teatro di radicamento venne a
prendere forma una idea che era sorta solo in modo
accennato nel lavoro fatto in precedenza. La
10. necessità cioè di una spettacolarità che oltre ad
essere caratterizzata da forme di teatro popolare si
avvalesse anche di possibilità sperimentali. Un
teatro che fosse cioè d'avanguardia e popolare
insieme. Ci sembrava che questa utopia potesse
essere molto produttiva e potesse costituire una
forma evolutiva del teatro antropologico. In questo
periodo (1978/1979), nell'analizzare le avanguardie
teatrali italiane, ci rendemmo conto che l'utopia
suddetta era uno dei cardini teorici del teatro di Leo
De Berardinis e Perla Peragallo Il ritorno di questi
due artisti dal Piccolo di Milano e dai locali
underground di Roma a MARIGLIANO per
lavorare in ambito locai ci era sembrato un fatto
notevole e denso di prospettive.
Spettacoli come "King lacrime Lear napulitane",
una commistione di Shakespeare e Mario Merola, o
"Rusp spers" o "Sudd” finivano in risse o in astiose
polemiche giornalistiche e Leo rilasciavi interviste a
base di parolacce. Ci pareva di aver individuato in
Leo un riscontro a certe nostre intuizioni e, in
particolare, il testo di "Assoli" riportato da Scena -
una rivista che era un punto valido di riferimento
insieme a "Teatro" in quegli anni - a me
personalmente parve un esempio di scrittura scenica
veramente originale, per il dialetto che acquistava
nuove e sferzanti connotazioni semantiche, per gli
squarci lirici improvvisi e per la polemica rispetto al
teatro "ufficiale" dei Ronconi e dei Bene. Si trattava
inoltre di un teatro "povero" con scene fatte di
11. oggetti quotidiani e kitch, con musiche eseguite dal
vivo con chitarre, tamburi e piatti ecc. Si trattava,
insomma, di una spettacolarità che oltre al
radicamento apriva un discorso critico sulle
avanguardie stesse per il loro sganciarsi dalle realtà
concrete per risolversi in cerebralismi ed in
ermetismi spesso gratuiti. È in questo ambito di idee
che scrissi "Nevejorc", la storia di una salumiera di
Maddaloni che abbandona la famiglia, impara
l'inglese e diventa una stella di Broodway. Il
linguaggio dei personaggi di "Nevejorc" era un
dialetto infarcito di inglesismi. Mi era sembrato
interessante usare questo espediente in senso
ironico, allo stesso modo l'uso di certi simboli
voleva indicare un richiamo reale al peso che nella
cultura delle periferie meridionali hanno i miti del
mondo dello spettacolo. Anche le musiche, prese
dalla tradizione napoletana e dalla musica di ricerca
americana, dovevano creare un contrappunto, una
antitesi alle emarginazioni sociali meridionali con la
retorica dell'american way of life. Lo spettacolo
diretto insieme a Tonino Calenzo, che ne era anche
uno degli interpreti principali, si serviva di un
impianto scenografico semplice, con elementari
coreografie e molti stacchi e sottolineature musicali.
Questo spettacolo ebbe vari allestimenti e fu
presentato in varie località della Campania e del Sud
Pontino. Una riduzione cabarettistica di "Nevejorc"
fu presentata a Roma in un locale underground di
Piazza Navona. In tale occasione, avemmo un
confronto di idee con Mario Pavone, attore e regista
12. operante nell'ambito della sperimentazione. Pavone
sottolineò due cose: l'originalità del lavoro e la
capacità espressiva degli attori. Anche questa
esperienza mostra, quindi, come il momento
creativo non può essere disgiunto da una ricerca e da
una elaborazione di base. Nel caso specifico gli
spunti risultanti da una analisi dei valori e dei
comportamenti della gioventù dei quartieri popolari
dell'entroterra partenopeo si erano integrati in una
ricerca sul linguaggio teatrale inteso come tipo di
recitazione, scena, uso delle musiche e delle luci,
tipo di trucchi e tipo di costumi. La definizione di
questi elementi era stata improntata alla semplicità e
tenendo presente che il "teatro è l'attore" (Leo DE
Berardinis). Tale concetto, però, già allora mi
lasciava un poco perplesso nel senso che esiste
sempre un tipo di scelta per ciò che si va a fare. Del
resto mi pareva anche interessante e coinvolgente il
lavoro di G. Bartolucci riguardo l'esigenza di
costruire quella che si chiamerà poi LA NUOVA
SPETTACOLARITÀ.
3. Paesi nel teatro
Portare il teatro nelle frazioni, verso la gente, in
generale, era una nostra intenzione ferma che
volevamo realizzare in maniera autonoma rispetto a
certi modelli quali negli anni '70 si erano affermati
(l'Odin di Barba, il Living di Beck/Malina, l'agit-
prop rivisitato, la "guerriglia" americana ecc.).
13. Realizzammo questo nostro intendimento agli inizi
degli anni '80. I Comuni di Conca della Campania,
in provincia di Caserta, e di Rignano Garganico in
provincia di Foggia, ci affidarono il progetto di
"teatralizzare" interi paesi. Realizzammo, quindi, un
tipo di iniziativa che, ieri come oggi, andava/va
inserita in un quadro di duplice significato. Il primo
riguarda la necessità da parte dell'Ente Locale di
realizzare segmenti di politica culturale, sul
territorio, effettivamente concreti e produttivi per
l’impatto che operano, il secondo è inerente alla
possibilità data al Gruppo teatrale di operare in un
tessuto urbano definito e significativo, "con" la
gente e "per la gente”, coinvolgendo questa nel
gioco di "rappresentare", di partecipare ad una
teatralizzazione generale come trasgressione
dell’ordine quotidiano.
Conca della Campania in un pomeriggio d'estate si
trovò improvvisamente avvolta in una musica
ritmata ed iterativa. La gente scoprì, uscendo di casa,
gigantografie di Bogart e di Marilyn agli angoli delle
strade, fu visitata in casa da strani personaggi, ebbe
la possibilità di truccarsi e di truccare in piazza, fu
partecipe di un gioco continuo di provocazione fatto
da una serie diversa di personaggi uscenti,
continuamente, da due ombrelloni chiusi a tenda
posti al centro della piazza. Ebbe la possibilità,
infine, di assistere a due spettacoli in due posti
particolari del paese. Similmente si operò a Rignano
Garganico, realizzando di fatto quello che De
14. Marinis chiama "teatro-festa". L'importanza di tutto
ciò è abbastanza ovvia: tali progetti dovrebbero
essere parti strutturali di una politica culturale
effetivamente operante
4. "Plastic fiction"
Quello che ritengo uno sviluppo naturale e
conseguenziale del percorso di ricerca fatto in quegli
anni (1979-1981) fu quello di passare da un tipo di
teatro che, tenendo ferme le esperienze di linguaggio
usato negli spettacoli precedenti, assumesse una
struttura drammatica più consistente rispetto a temi
di ordine psicologico e sociale, ciò senza perdere di
vista certi stilemi iconici che, pure in precedenza,
avevano identificato: una originalità precisa della
produzione e del Gruppo (del resto anche De
Berardinis dopo Marigliano era torna a Roma).
"Plastic Fiction" - scritto da me e diretto insieme a
Tonino Calenzo, che lo interpretava anche - cercava
di essere uno spettacolo più compiuto nella scrittura
teatrale, procedendo per nuclei gesti-parole-
musiche, cercando di arrivare ad una unità di senso
relativa alla problematica perenne del "soggetto
teatrante" che brucia nella "durata" rappresentativa
il suo modo di esistere. La scena "Plastic Fiction"
era, quindi, unica: una stanza in cui brandelli di
esistenza si incontrano e si scontrano con una
tendenza continua ad una ipotetica fuga. Con
"Plastic Fiction", dunque, eravamo ormai
15. completamente fuori dal teatro di radicamento ed i
riscontri di pubblico erano ormai definiti in modo
diverso rispetto al lavoro precedenti Con "Plastic
Fiction" il pubblico locale entrava in contatto con
uno sperimentalismo più avanzato e venivano a
generarsi ovvie perplessità là dove venivano a
collocarsi ad un livello diverso gli ambi di riscontro
del nostro lavoro.
"Plastic Fiction" fu presentato in varie zone del
centro-sud al Teatro VITTORIA 2 di Baia Domizia.
In tale ambito al Gruppo fu assegnato il premio "P.
De Filippo".
5. Da "Grappius" a "Rockaby" alle "Scarpe
logorate dal ballo a "Western Hotel" (ovvero da
Beckett a Bausch passando per l'America)
Rappresentare Beckett in Via Scanzati a Sessa... si,
è accaduto agli inizi della costituzione
dell’AURUNKATELIER. Avevamo fittato una
cantina in Via Scanzati, piuttosto umida, nella quale
preparavamo gli spettacoli e provavamo e, più di una
volta, aprivamo porte alla gente del quartiere (che
allora, prima del terremoto e prima
dell'assegnazione degli alloggi IACP, era un
quartiere piuttosto vivo) presentando, non di rado,
spettacoli finiti. In quel periodo (1977) mi era
sembrato interessante lavorare sul testo di Beckett
"L'ultimo nastro di Krapp" per ricavarne uno
spettacolo breve in cui il testo beckettiano veniva
16. reso in dialetto con un sottofondo di musica
romantica, in una messinscena ispirata ad una sciatta
quotidianità. Fu così che Beckett approdò in Via
Scanzati. Successivamente la struttura portante di
"Grappius" fu usata per "Blue vierno", lo spettacolo
successivo, in cui il continuum monologale era
spezzato continuamente da azioni e da
"apparizioni". Per questo spettacolo usai forse, per
la prima volta in teatro), musica di Paolo Conte. Il
periodo di Via Scanzati, probabilmente, fu uno dei
periodi più ricchi di intuizioni, a mio parere, per il
Gruppo, nel senso che effettivamente si arrivò ad un
modo, documentabilmente originale, di definire la
"scrittura scenica" (oggi qualcuno si ricorda di
quella nostra trasposizione di Beckett a proposito
della trasposizione fatta da Perlini a proposito di
Bukowsky, notando similitudini ed analogie; ciò
indica che l'idea era giusta: il tema dello scacco
esistenziale poteva benissimo essere calato in realtà
magmatiche quale quella napoletana, con risultati
drammaturgici significativi - anche Vitiello e Porta
hanno trasposto Brecht napoletano, ma mi pare, in
modo piuttosto passivo, quella di Perlini per
Bukowky è, a mio avviso una trasposizione
veramente pregnante. E ciò ci porta all'uso che si può
fare di certi autori quando il testo non nasce dal
Gruppo. A tale proposito mi sembra che l'idea
vincente non possa che essere una: bisogna avere la
capacità di "ri-leggere un testo "ri-proponendolo" in
modo dialettico e consapevolmente critico. Una
riproposizione passiva (per questo tipo di teatro) può
17. essere giustificata solo a scopo
didattico/divulgativo.
Ma torniamo a Beckett. In seguito mi sembrò giusto
ritornare al drammaturgo irlandese per uno
spettacolo che, come Laboratorio, presentai agli
INCONTRI TEATRALI di Sessa Aurunca nel 1986
"Rockaby” nell'edizione originale. Era il monologo
iterativo di una donna paralitica che, su una sedia a
dondolo, ricorda l'incidente che l'ha paralizzata.
Cercai di attualizzare il fatto teatrale (penso che
bisognerebbe essere sempre "contemporanei", non si
può fare sempre lo struzzo, nell'era dei videoclip non
si può scrivere e rappresentare come negli anni '50)
con l'inserimento di due personaggi: un burocrate
"fatale-deus ex machina e un ballerino dall'aspetto
yuppie. Un solo riflettore dava luce alla scena,
verticalmente, in un movimento continuo di sali-e-
scendi. Di tanto in tanto veniva attivata una luce
stroboscopica. Il risultato fu abbastanza positivo nel
senso che si riuscì veramente a dare il senso di una
fredda oggettivazione del dolore umano. Questo
spettacolo breve rappresentò anche un modo di
valutare alcuni fatti rispetto al "teatro d'immagine" e
ad alcuni spunti teorici di Wilson, di Chaikin e di
Meredith Monk (il lavoro di Wilson è chiaramente
importante perché cerca continuamente di definire
un ORDINE nel caos casuale, tale ordine viene
rintracciato spesso nelle sequenze suono-sarole-
gesto in una ripetizione dilatata di microeventi
scenici - in tale ambito il linguaggio, come mostra
18. Ferrone, è veramente una alternativa all'amorfismo
dello scenario della società attuale).
Avvertivo l'urgenza, quindi, di lavorare al tentativo
di cercare di definire una "nuova spettacolarità", non
esasperata e "metropolitana" come quella di
Martone e Servillo, o rarefatta come quella di
Wilson, ma che implicasse un preciso esercizio di
ironia, di corposità significativa, di divertissement, e
fosse, nello stesso tempo, ricca di connotazioni
relative ad un senso di desolata quotidianità (leggete,
leggete, ma non pensate di aver capito tutto) che, del
resto avevo cercato di delineare in "Plastic Fiction".
Queste idee potevano avere solo un ambito preciso
di sperimentazione quale può dare un Laboratorio
teatrale: ciò che concretizzai, per motivi di varia
opportunità, alla fine del 1986.
Altro fatto che mi sollecitò nella ricerca fu la
presenza a Sessa di Lorenzo Paoletta che presentò
"Le scarpe logorate dal ballo" agli INCONTRI '86.
La performance di Paoletta si basava su una
trasgressione continua: dei testi (frammenti da autori
anglosassoni), dello spazio scenico (rifiuto del
palco), della scena fissa (simboli disposti in uno
spazio secondo un itinerario narrativo), delle luci
(uso "puntuale" di luci), della recitazione
(spezzature, flash drammatici ecc.). Paoletta, allievo
di De Berardinis, in questo spettacolo affascinante,
ma un poco spigoloso, offrì al pubblico sessano un
evento teatrale di buon livello mostrando un aspetto
della sperimentazione abbastanza interessante.
19. Ma torniamo a noi. A conclusione del Laboratorio
teatrale de 1986 (laboratorio da intendersi in senso
grotowskiano, ma non troppo) misi a punto
"Western Hotel" che era il risultato delle riflessioni
sulla possibile costruzione di una spettacolarità che,
diversamente da quella teorizzata da Bartolucci, non
si risolveva in una perfetta teatralità "meccanica", in
un teatro a tecnologia d'immagini fredde, fatto di
sfondi e di ossessioni metropolitane, di atmosfere
sonore rarefatte, di gestualità funky e rap. Questo
aspetto della gestualità mi interessava molto ma
vedevo più vicino a quanto mi intrigava il lavoro di
Pina Bausch. Quello che volevo era uno spazio di
gesti-danza, posture nevrotiche e corpi in preda a
tensioni originate da una energia interna
("ideogrammi gesticolatori” come dice De Marinis).
E ciò inserito in uno scenario (passare dalla "scena
allo "scenario"...?) con pezzi di testo (frammenti di
"discorsi", siano essi letterari - Duras, Kafka ecc. -
sia cronachistici - delitto in Central Park - o
mitologici - Top gun - o intimistici - confessioni
adolescenziali) da luci usate in modo nuovo (fari
laterali tagliati a formare percorsi luminosi, pareti
luminose ed ombre, luci lamellari di finestre) e da un
ordito musicale continuo (Talking Heads,
Tuxedomoon, Phillips, musica sudamericana degli
anni '50). Una semantica scenica, insomma, come in
parte la intende Carmelo Bene, ma senza che
l'insistenza sugli elementi significativi provocasse la
vanificazione del "senso". Mi interessava il gioco
delle alternanze significanti dei coinvolgimenti
20. emotivi sfumati o ironizzati. "Western Hotel"
durava solo 15 minuti. "Western Hotel", quindi,
voleva indicare anche un "luogo", lo spazio di
scontro delle ossessioni della civiltà occidentale. Era
anche un modo di affrontare certi aspetti della
cultura dei giovani, il confronto con i quali mi ha
dato una positiva conferma che lo spettacolo non ha
tradito le idee di partenza, rispondendo ad una certa
esigenza di piacere dell'immagine e di enucleazione
inquietudini di una parte del mondo giovanile.
Insieme a "Western Hotel", poi, nell'87 presentai
anche "II temporale" che era il monologo di una
ragazza che, ricorda un viaggio fatto con un uomo
anni prima. Cercai di scandire in questo lavoro due
piani: un livello di nevrosi del personaggio che si
rivolta contro sé stesso e l'irruzione dall'esterno" di
elementi di "disturbo" quali una serie di "rumori" di
vario tipo e l'improbabilità di una presenza
"acquatica" di un uomo (fluttuazione, interazione
ecc.). Cercai di far nascere da tutto ciò l'immagine di
un essere che lotta per non dissolversi in una pre-
senza che perde continuamente di referenti e diventa
dilatazione della "durata" teatrale (una operazione
che presenta alcune analogie con "II temporale" è
"Partitura" che Toni Servillo presentò a Caserta in
quei giorni). Con questi due saggi di Laboratorio
teatrale - per il confronto e lo scontro con amici e
con interessati alla sperimentazione teatrale - mi resi
conto di due cose: di essere arrivato ad un risultato
positivo della mia ricerca; che i risultati di tale
21. lavoro dovevano ormai sostanziarsi in lavori più
articolati e di dimensione diversa.
6. Il pubblico esiste sempre
II problema del pubblico teatrale non esiste, nel
senso che esiste sempre un pubblico. È inutile
cercare, come dice Stefanucci, l'alibi dei linguaggi,
incomprensibili o delle estetiche. Ci si può rivolgere
a tutti indistintamente e tranquillamente con
qualsiasi genere di teatro, resta da vedere quel che si
vuole dal pubblico: consenso..., riflessione...,
consumo..., presenza...
A Sessa Aurunca e frazioni il pubblico teatrale è
costituito, nel migliore dei casi, da 200-600 persone.
Con tali presenze - che salgono quando c'è il "nome"
(ovviamente indipendentemente dalla qualità
culturale del fatto) - l'"autore" teatrale,
paradossalmente, può anche non avere
preoccupazioni nel senso che il riscontro del
pubblico può non essere ritenuto significativo. Ciò
anche per il fatto che, purtroppo, a livello locale non
risulta esistere un qualunque dibattito generalizzato
sul teatro o una sensibilità indirizzata e diffusa in tal
senso (c'è da dire che la "teatralità" è un elemento
del modello culturale della zona, come di tutte le
zone d'influenza della cultura partenopea - tale
elemento è potenzialmente pericoloso, a mio avviso,
22. perché può essere strumentalizzante e/o
stumentalizzabile a scapito di un modo autentico di
intendere il Teatro). Personalmente mi piace ciò che
Grotowski scrive a proposito del pubblico. Per il
polacco l'attore occidentale è stato spesso
caratterizzato da un servilismo ipocrita rispetto al
pubblico, Preoccupato di piacere e di raccogliere
elogi. Come nota De Marinis deve recitare non "per"
il pubblico ma alla sua presenza, cercando il
confronto. Sempre a proposito di Grotowski, poi,
sono note e sue riflessioni:
— intendere il pubblico come elemento integrante
dell'azione teatrale;
— intendere lo spettatore come "testimone" nel
senso che deve funzionare l'osservazione, la
coscienza che deve assimilare e non dimenticare;
— intendere la possibile partecipazione emozionale
dello spettatore alla rappresentazione come
"allontanamento fisico" degli spettatori dall'attore e
non di avvicinamento, come erroneamente si crede.
7. Le maschere e la tradizione
L'uso delle maschere in teatro, oggi, può essere
inteso in due modi: un modo più o meno "passivo"
sul tipo del Pulcinella di Scaparro, di una maschera,
cioè che, malgrado le varie operazioni di tagli e
23. aggiungi, in sostanza si rifà al modello di teatro della
Commedia dell'Arte del dopo-Controriforma che, in
fondo, è funzionale alla borghesia parassitaria la
quale, in epoche non proprio antiche, ha promosso
questo tipo di teatro; un modo progressista e più
autentico che è quello di Dario Fo quando usa lo
Zanni del Ruzante con la sua carica di dirompente
rabbia e di dissacrante teatralità. Oggi esistono
maschere moderne che vanno studiate nell'ambito di
un discorso evolutivo. Totò, ad esempio, è una
maschera che, come dice Fo, rifiuta qualunque tipo
di impegno e che reagisce spesso con una violenza
senza senso. Fo ritiene Totò una maschera negativa
perché un prolungamento di Pulcinella. Ma ciò,
ritengo, è valido solo nell'ambito di un teatro che è
ideologia e progetto insieme come appunto è il teatro
di Fo. Una ricerca andrebbe fatta sulle "maschere"
moderne: Fo stesso, Eduardo, Viviani. In ogni caso
rivisitazioni innovative della "maschera" mi
sembrano essere anzitutto il Pulcinella di Eduardo
ne "II figlio di Pulcinella" e poi "Totò principe di
Danimarca" di De Berardinis.
Per quanto riguarda la tradizione, cioè la cultura del
passato, mi sembra abbastanza giusto il concetto
espresso da Zagari che collima perfettamente con
quanto da me sostenuto tempo fa (Lettera al "II
Mensile Suessano" di E. Galletta) sull'intellettuale
che si trova ad operare in un tessuto sociale
caratterizzato da zone di arretratezza. C'è bisogno di
traumi, di salti, di "differenze", una iniziativa
24. culturale veramente moderna ed incisiva può
nascere solo da una rottura traumatica del nostro
rapporto col passato, con ciò che siamo stati.
Bisogna liberarsi del passato assumendolo e
differenziandosene in modo chiaro. Inoltre là dove
esistono contraddizioni sociali queste debbono
essere evidenziate al massimo. È necessario
mostrare, quando più è possibile ciò che divide. Fare
un Amleto o un Macbeth passivamente significa
renderli superflui (non così il Macbeth di De
Bernardinis). Oggi bisogna dire, con una nuova
consapevolezza, più matura, ciò che essi hanno
detto. In caso contrario si verifica una strana
situazione: l'acquiescenza, qualunque essa sia,
implica una conferma dei "messaggi" esistenti, in tal
caso il teatro serve solo al consumo o a consolare.
Ciò vale anche per i linguaggi teatrali. La vera
attualità è realizzare il trauma dell'alterità. E ciò è
tanto più vero quanto più ci si rende conto che
viviamo nella "società dello spettacolo" con un
consumo intensivo di merce-spettacolo, per cui
l'autenticità di una esperienza teatrale deve, a mio
avviso, come minimo, mettere in discussione i
codici comunicativi del fiume di merce-spettacolo
che ci circonda.
Una riflessione, infine, va fatta sulla rottura della
"quarta parete": ciò che viene realizzato con troppa
disinvoltura. È necessario m ripensamento storico e
genetico di questo che spesso è un "espediente". La
tentazione dello spontaneismo e dell'happening è
25. sempre diffusa ma va giustificata, in un teatro che
vuole essere concretamente innovativo, da una
organicità della messa in scena.
8. Sessa come luogo teatrale
Sarebbe utile una piena attivazione degli spazi
esistenti con progetti validi. Un secondo punto di
vista riguarda l'auspicabile delineazione di una
politica culturale. Oggi esistono interventi
disorganici discontinui (che sono già qualcosa ma
sono poco rispetto a quanto si potrebbe fare). I
contributi a pioggia sono già una cosa positiva ma
bisognerebbe entrare nell'ordine di idee che i
contributi vadano concentrati su un certo numero di
progetti consistenti e di rilevanza. Un altro punto da
tenere presente è che è su progetti di
"sperimentazione teatrale" che può qualificarsi un
intervento culturale sul territorio. Pontedera, S.
Arcangelo di Romagna, Polverigi, sono esempi
evidenti di paesi che richiamando attività di
sperimentazione teatrale sono diventati punti di
riferimento precisi della cultura teatrale
internazionale.
La piazza del Castello Ducale, i vari cortili e sale
interne potrebbero essere i "luoghi" dello spettacolo
e la struttura del Convitto nazionale costituire la
parte "residenziale" per gli operatori culturali (o, al
26. limite, Baia Domizia): ciò potrebbe costituire la
situazione organizzativa di partenza per qualche
iniziativa di respiro nazionale ed internazionale. È
inutile, credo, insistere sulla positività degli
interventi in cultura per un territorio, per l'indotto
che genera e per il referente pubblicitario che ne
nasce. Tutto ciò indica le possibilità e intervento
locali che sarebbe opportuno non rimanessero solo
ali stato di ipotesi. (Febbraio 1988)
9, Le "Officine Kulturali Aurunke"
Negli anni '88/89 cercai di trarre le conclusioni su
quello che era stato un decennio di ricerca e di
produzione teatrale e mi sembrò giusto partire da un
esame della realtà sociale quale quella del
Mezzogiorno. Una realtà sociale che, a livello di
cultura locale si proponeva più come tendenza alla
feticizzazione di uno pseudo teatro popolare - che
pure mostrava il proprio qualunquismo di fondo -
che non come una CULTURA DEL CONFRONTO
in grado di assumere le contraddizioni della prassi in
modo critico e progressivo. Ma anche una realtà in
cui affioravano fermenti ed insofferenze legate ad un
desiderio di capire e di andare oltre le pastoie di un
ordine di idee di chi pure nelle sue punte più
avanzate, tradiva vecchi schemi e nuove
conservazioni.
In questo periodo scrissi una trilogia che
comprendeva due commedie ("Farse e sfarzi di
27. Madame Noir e Teresina" e "Le streghe dopo
pranzo") ed un monologo ("Hamletkowskij") in cui
cercavo di rendere conto di certe mie "osservazioni",
storie di sradicamenti sociali ed assunzioni di nuovi
stili di vita, rapporti familiari conflittuali che si
trasformavano in giochi esistenziali, la perversità
spettacolare di certi percorsi mentali tra mito e
"caduta". Di questi lavori uno venne rappresentato
dall'Aurunkatelier ma ormai avvertivo altre esigenze
come quella di realizzare forme di aggregazioni
diverse più basate- per me- sulla comunanza di
interessi culturali diversi e alternativi ed in grado di
usare forme diverse di espressione quali il video ed
il cinema.
Nacque cosi nel febbraio del '91 un Gruppo che
prese il nome di OFFICINE KULTURALI
AURUNKE in cui, come coordinatore, misi a punto
alcune situazioni.
10. Sessa-Bellaria '91 – Trashman
Già qualche anno prima con Lucilie Rizzo (PAN-
POT AUDIOVISIVI) avevano prodotto per
SUDEUROPEO un documentano sul turismo
alternativo nella zona aurunca: ciò che unitamente
ad alcune esperienze pubblicitarie ci aveva dato una
certa esperienza nel campo della produzione TV.
Intanto era stato pubblicato un libro che avevo
28. scritto con Michele Lepore - TRASHMAN - che era
stato accolto con grande favore a vari livelli. Si
trattava di un lavoro teatrale che membri del Gruppo
(F. GENZANO, A. SASSO e L. RIZZO) ritenevano
potesse essere ben trasposto in ambito di
cortometraggio video. Fu cosi che scrissi la
sceneggiatura di Trashman - una storia di tipo
fantaecologico e con una satira a certa imbonizione
televisiva - che producemmo, interamente a Sessa,
in due mesi - con l'interpretazione di Roberto
Pastore, Sergio Calcagno, Giulia Casella, Anna
Calenzo ed altri - e che presentammo alla Rassegna
del Cinema Indipendente Italiano di Bellaria
nell'agosto del '91 ove fu selezionato per le
"mattinate" di OPERA APERTA. In tale ambito rac-
cogliemmo giudizi positivi sia per l'originalità della
storia - girata rigorosamente in bianco e nero come
in bianco e nero saranno girate tutte le produzioni
future delle OFFICINE - sia per l'insieme del video
(musica, montaggio ecc.). Quella di Bellaria fu una
esperienza preziosa soprattutto per i confronti avuti
e per una consapevolezza creativa - e tecnica - che
di fatto si stava concretizzando a conferma delle
attività messe in cantiere dalle OFFICINE
(KULTURALI AURUNKE. Dopo TRASHMAN,
nell'ambito di una valorizzazione delle energie
creative giovanili presenti nelle OFFICINE,
Emiliano Di Marco scrisse il soggetto de
L'INCONTRO che sceneggiammo con Adolfo
Sasso e Mario Imparato il quale per conto del gruppo
Cinema Indipendente di Winthertur (CH)
29. coprodusse il film in 16 mm. L'INCONTRO
(definito "una short story di solitudine urbana con
esiti surreali ed insospettati" (A. Compasso ne "II
Giornale di Napoli, 20-12-91) fu girato a Baia
Domizia - dove, del resto, avevamo già girato parte
di TRASHMAN - montato e finito a Cinecittà alla
fine del '91.
11. In progress ovvero finale... di partita
II resto è storia più o meno recente. La produzione
del cortometraggio L'INCONTRO ha consentito di
essere presenti a rassegne cinematografiche e video
indipendenti a livello nazionale ed internazionale
ancora una volta a conferma di un lavoro che vede
Sessa Aurunca come scenario ma proiettato su
orizzonti diversi.
Nell'ambito teatrale, invece, le OFFICINE
KULTURALI AURUNKE oltre a prevedere la
pubblicazione e l'allestimento delle commedie della
Trilogia, di cui ho parlato in precedenza, vedono
emergere l'esigenza di definire il nuovo
"Laboratorio Teatrale degli anni "90" basato - non
su scelte qualunquistiche o storiografiche o di fuga
presenzialistica - ma su quella che può essere una
immersione estremamente dialettica nel "reale"
secondo l'idea che il "teatro deve sempre essere ciò
che il teatro non è" (Pasolini, 1978): un punto di par-
tenza che apre ad un serrato confronto con la
"modernità", da una parte, e ad un lavoro di scavo
30. testuale e di decostruzione dei modelli di macchina
teatrale - quali si sono venuti stratificando -
dall'altra. Un progetto a lungo termine che "vede"
aree testuali quali quelle di Pasolini, appunto, di
Dacia Maraini, nonché, di autori magmatici quali
Mamet, Innaurato, ma anche D'annunzio, Rimbaud
e così via... Letture sull'inquietudine dell'esistente e
sulla violenza reale e morale di certe realtà sociali
ormai generalizzabili... E inoltre: considerare le
possibilità "rivoluzionarie" di un teatro per le sue
capacità di elaborazioni - interne alla
rappresentazione -di trattare stati e rapporti umani.
Considerare una ipotesi di teatro che costruisca la
"nuova scena" basata su una economia politica della
quotidianità, rifiuti il professionismo - ed il
tecnicismo fine a se stesso - nonché l'improvvisa-
zione, per divenire polo di dialettica e di confronto
culturale.
Tracciare una critica della cultura reificata, alienata
ed egemone (penso a certa musica, a certo teatro
storico che sceglie consapevolmente di essere
retroguardia, a certa pubblicistica-spazzatura), una
cultura falsamente concreta e pericolosa perché
avvinghiata ad una tradizione regressiva della quale
ancora si sogna...
Ancora una volta è necessaria la "differenza", la
rottura, lo spacco da cui può emergere una specie di
verità dialettica e "materiale"...
31. Solo un azzeramento dei discorsi semplici, ma
totalizzanti, ed un congelamento delle mediazioni
interessate, può fare riemergere la menzogna
poetica, un orrore che non deve avere nessun
realismo gratuito se non quello della semplicità
allucinatoria. (1988)
12. On the road egain
E dunque quarantacinque anni tra scena e scenario.
Da un tempo in cui bisognava scrivere i testi,
costruire con chiodi e martello le scenografie,
montare luci, manovrare la musica e recitare, al
tempo attuale in cui c’è in qualche modo, una
divisione specializzata di ruoli, ma in cui forte è la
tendenza all’omologazione alle acquiescenze
intellettuali in corrispondenza ad un conformismo
generalizzato che va dalla politica mediatizzata alla
ricerca di consensi dando al pubblico luoghi comuni
infiorettati di finto progressismo.
E qui permane la domanda sul ruolo dell’operatore
culturale operante in un tessuto sociale non proprio
vivace culturalmente, disgregato e sconnesso.
Permane l’imperativo pedagogico del prodotto
culturale che va a collocarsi di là dal facile successo
di pubblico, verso una dialettica della riflessione
sempre necessaria.
32. In tale ambito si è sempre sviluppata la mia ricerca
teatrale da “L’ultimo nastro di Krapp” di Beckett,
presentato in un “basso” di Via Scanzati a Sessa, ai
miei lavori nel teatro romano nel primo decennio del
2000. Insieme a Giulia Casella, precisa e brillante
attrice e regista attenta delle problematiche
femministe, abbiamo costituito una militanza
culturale che riteniamo ormai parte imprescindibile
della storia culturale di Sessa Aurunca.
In ogni caso al fondo della mia ricerca è sempre
presente quell’istanza di Franco Quadri per cui è
possibile un teatro che sia d’avanguardia e popolare
nello stesso tempo. Ma anche un teatro dialettico
che non ceda alla “società dello spettacolo” ma che
si ritrovi in una innovata specificità del linguaggio
teatrale nel contesto dei mass-media imperanti. Da
qui gli ultimi laboratori sul suono, sulla voce e sulla
dimensione immaginaria con spettacoli come
OBERDAN’S SUITE (sulla corruzione),
HAMLETAKTION, STREET SONG e INDIA
SONG (teatro dell’immaginario) in cui il testo e la
musica, in una prospettiva non proprio spettacolare
hanno la funzione di attivare un immaginario lirico.
Si tratta di un percorso al cui compimento troviamo
l’estroflessione della scena verso un diverso
scenario, con una corporeità quasi coreografica e
con una propria evidenza evocativa, ciò anche con
l’aiuto di tecnologie ad hoc.
Con MELANGE, (Il pubblico si deve divertire),
quindi, c’è un ritorno ad un teatro di militanza e di
33. resistenza, un omaggio alla memoria di Leo De
Berardinis, un teatro sul teatro, le difficoltà di una
semantica scenica ad imporsi rispetto ad una
omologazione del gusto spettatoriale, una storia, alla
fine, eroicomica su un certo degrado culturale
meridionale. Penso allora ad una nuova avanguardia
(ogni tempo ha la sua avanguardia) di cui già
vediamo altrove i segni principalmente a Napoli un
luogo fecondo ed imprevedibile di significazioni
sceniche oggi come ieri.
34. TEATROGRAFIA
AURUNKATELIER (Da Fare teatro a Sessa Aurunca, Latina 1988)
1980
BLUE VIERNO
Testo, luci e musiche di Pasquale Stanziale Regia di Tonino Calenzo e
Pasquale Stanziale Scenografia di Tonino Calenzo e Pasquale Stanziale
Interpreti: Pasquale Stanziale, Tonino Calenzo, Amalia Bruni, Anna
Maria Calenzo, Rosaria Ciriello. Luci: Silvano Di Rienzo Trucchi:Anna
Maria Calenzo
1981
PAESI NEL TEATRO
Pasquale Stanziale, Tonino Calenzo, Amalia Bruni, Giulia Casella,
Anna Maria Calenzo, Bartolo Vessichelli, Sergio Calcagno, Silvio
Calenzo, Giuseppe Dell'Ova, Rita Calenzo, Alfredo Trasacco, Ruggiero
Cervo.
1980/81
NEVEJORC (1/2)
Testo e musiche: Pasquale Stanziale Regia di Tonino Calenzo e
Pasquale Stanziale
Interpreti: Giulia Casella, Sergio Calcagno, Tonino Calenzo, Anna
Maria Calenzo, Amalia Bruni, Bartolo Vessichelli, Rosaria Ciriello.
35. Tec. luci: Ruggiero Cervo, Silvano Di Rienzo Scenografia: Pasquale
Stanziale e Tonino Calenzo Trucchi:Anna Maria Calenzo
1983
PLASTIC FICTION
Testo e musiche: Pasquale Stanziale
Regia di Tonino Calenzo e Pasquale Stanziale
Interpreti: Tonino Calenzo, Giulia Casella, Amalia Bruni
Tec. luci: Ruggiero Cervo
Scenografia: Pasquale Stanziale e Tonino Calenzo
Trucchi:Anna Maria Calenzo
1984
1986
ROCKABY
Testo di S. Beckett
Adattamento, regia, musiche, scenografia: Pasquale Stanziale
Interpreti: Katia De Marco, Pietro Bonelli, Pasquale Stanziale
Tecn. luci: Ruggiero Cervo
Trucchi:Anna Maria Calenzo
1987
WESTERN HOTEL
Testo, scenografia, musiche e regia: Pasquale Stanziale
Interpreti: Katia De Marco, Pietro Bonelli, Pasquale Stanziale
Tecn. luci e mus.:Raffaele Paparcone e Sergio Calcagno
Trucchi:Anna Maria Calenzo
IL TEMPORALE
Testo, scenografia, musiche e regia: Pasquale Stanziale Interpreti: Katia
De Marco, Pietro Bonelli Tecn. luci e mus.: Raffaele Paparcone,
Pasquale Stanziale Trucchi:Anna Maria Calenzo
36. OFFICINE KULTURALIAURUNKE
2022- 28.5,2022 INDIASONG– Biblioteca Comunale Cellole
2022- 8.3.2022 AYTEN – Cinema Corso-Seccareccia Sessa
Aurunca
2022- 6.3.2022 STREET SONGS – Valogno borgo d’arte (Sessa
Aurunca)
2021- “RECIT-AZIONE” Casa delfanciullo, Cascano
2020 - Venerdì 17 gennaio CONCERTOD’ALTROVE
Auditorium Scuola Media “F. De Sanctis” Sessa Aurunca
“HAMLETKOWSKIJ” Casa delfanciullo, Cascano
2018 - 5 gennaio 2018: OBERDAN’S SUITE – Castello ducale di
Sessa Aurunca
“ HAMLETKOWSKIJ” – Biblioteca comunale di Sessa Aurunca
37. “VITTIME DELLA DANZA”Cineforum aurunco Sessa A.:
Biblioteca Comunale Cellole
2017 - “HAMLEAKTION” Biblioteca comunale “G. Lucilio,
Sessa Aurunca;23 luglio: Palazzo Novelli . Carinola;
2012 - “AURUNKA SUITE”:ventennale delle OKA – Castello
Ducale di Sessa Aurunca
- 9 giugno:presentazione del libro “LYRICS” di P. Stanziale;
-10 giugno 2012: “ 20 YEARS IN 1 NIGHT” pieces teatrali
tratte da Rabelais, Moscato, De Simone, Tuxedomoon, Casella,
Stanziale - Castello Ducale di Sessa Aurunca
2009 - “SOTTO IL CIELO DEL SUD” di P. Stanziale: 30 luglio
2009 Teatro Romano di Sessa Aurunca.
2008 – Laboratorio teatrale con gli alunni del liceo sc. “E.
Majorana” di Sessa Aurunca con rappresentazione dello spettacolo
“LE TRE DONNE” di Pasquale Stanziale
- “GRAND HOTEL KASERTA” di P. Stanziale: 2 agosto 2008
Teatro Romano di Sessa Aurunca
2007 – Laboratorio con gli alunni del Liceo Classico “A.Nifo” e del
Liceo Scientifico “E.Majorana” con rappresentazione dello
spettacolo “Trashman – L’uomo e l’ambiente nelle tematiche
teatrali contemporanee”
38. - “LUNA ROSSA SULL’ASSE MEDIANO” diP. Stanziale:
28 luglio, Teatro Romano di Sessa Aurunca; 12 settembre-
con l’associazione “AversaDonna”,2^ Università Federico II
2006 - Laboratorio con gli alunni del Liceo Classico “A.Nifo” e del
Liceo Scientifico “E.Majorana” con rappresentazione dello
spettacolo “ PASSIONE” diD.M. INGUANEZ,un dramma
della passione del sec. XII, Montecassino 1939-trad. Anna
Casella
- Laboratorio con gli alunni del Liceo Classico “A.Nifo” e del
Liceo Scientifico “E.Majorana” con rappresentazione dello
spettacolo”VIOLENZA E POESIA NELLA SCRITTURA
TEATRALE CONTEMPORANEA” a cura diPasquale
Stanziale
2005 - Laboratorio con gli alunni del Liceo Classico “A.Nifo” e del
Liceo Scientifico “E.Majorana” con rappresentazione dello
spettacolo” “CITTA’ DI MARE con Leopardi, S.Potito e
Pulcinella ovvero IL MIO CUORE E’ NEL SUD” a cura di
Pasquale Stanziale
2004- PRIMAVERAIN ARTE Castello Ducale di Sessa A. :
- Aversa,Piccolo Teatro Caligola-rassegna dei Teatri Invisibili: ---
- “BURNINGLAND” Castello Ducale Sessa Aurunca
- Castello ducale di Sessa A. “QUARTIERI RESIDENZIALI”
colonna sonora di J. HasselTuxedomoon
2003 –“ LUCILIO” (IlCavaliere del tempo perduto) Teatro Romano
Sessa aurunca
39. - “ BURNINGLAND” - Cortile del Museo Civico di Formia,
in collaborazione con il Comune di Formia
- “LUCILIO”,in collaborazione con il gruppo archeologico
“Antica Cales”-Antica Villa Romana di Francolise,
2001 - “BLUES”,a cura di P. Stanziale e G. Casella
1999-2000 – “BLUE VOYAGE” diPasquale Stanziale (video con
l’ITGC “Florimonte” – Primo premio provinciale)
1997 – “FLUXUS” con il liceo sc. “Majorana”
1995 – 1996 –
- LABORATORIO TEATRALE con il Liceo Scient. “E.
Majorana” di Sessa A.
- “LE STREGHE DOPO PRANZO”,diP. Stanziale
- “SOTTO IL CIELO DEL SUD”,atto unico di P. Stanziale
con Giulia Casella e Franca Orrù
- “PERIFERIE”,video 12”
- “RECITAL” (studio sul teatro di E. Moscato) a cura di P.
Stanziale
1994 - “EDUARDOE PULCINELLA” ,atto unico di E. De Filippo
regia di P. Stanziale - Maranola
1993 - “KABARET S/KONCERTO”,spettacolo di cabaret a
cura di P. Stanziale
40. “CALIGOLA YES”,di S. Calcagno (pubblicaz.OKA)
- “SITUATION COMEDY”,da G. E. Debord (performance
di strada) P. Stanziale
- “INTERNO FEMMINILE”,atto unico di N. Ginzburg
diretto da G.Casella e P.Stanziale
1992 – “L’INCONTRO” 16 MM 12’
- “NANIANA’ “,atto unico di P. Stanziale
- “HAMLETKOWSKIJ”,di P. Stanziale (pubblicaz. OKA)
1991 – “TRASHMAN”,video 30’ (Rass. Internaz. Cinema
Indipendente, Bellaria)
41. NOTA BIOGRAFICO-EDITORIALE
Pasquale Stanziale, docente di Storia e Filosofia
nei licei, già docente emerito di Filosofia teoretica
presso la Pont. Fac. Teol. It. Mer, - ISSR Caserta,
negli anni ha articolato il suo lavoro culturale nei
seguenti ambiti: filosofia e psicoanalisi, ricerca
socio-antropologica, teatro ed ambito letterario.
Risale al 1995 il suo primo lavoro di carattere
specificatamente filosofico, Mappe dell’alienazione,
(Massari Ed.) in cui il concetto di alienazione viene
esaminato in un percorso che va da Hegel ai
movimenti ciberpunk e che e ancora nei vari
cataloghi di vendita ed è stato richiesto dalla
biblioteca di Lipsia. Successivamente l’interesse di
Stanziale si è rivolto al movimento Situazionista ed
alla figura di Guy Debord di cui ha tradotto dal
francese e curato l’edizione de La società dello
spettacolo (Massari ed. 2002) , un classico della
filosofia sempre attuale e presente nei vari
cataloghi, oltre ad una antologia di autori
situazionisti (Situazionismo-Materiali per un’economia
politica dell’immaginario Ed. Massari 1998) ed alla
42. traduzione e cura del Trattato del saper vivere ad uso
delle giovani generazioni di R. Vaneigem (Ed. Massari
2004).Sul Situazionismo Stanziale nel 2016 ha
tenuto una conferenza a all’Università Paris 8-
Saint Denis.
Sempre rimanendo nell’ambito del pensiero
francese del ‘900 Stanziale si è occupato dello
psicoanalista Jacques Lacan- considerato l’effettivo
erede di Freud- dedicandogli tre libri, mostrando
come la psicoanalisi lacaniana costituisca- a tutti
gli effetti- una imprescindibile antropologia entro
cui collocare il soggetto moderno. In particolare Oltre
la psicoanalisi- Jacques Lacan (Amazon 2019)
contiene un saggio che inquadra
psicoanaliticamente il mondo del Web. Altri due
libri- Lacan per l’estetica (Amazon Wroclaw 2019) e
Le bellezze dell’inconscio (Amazon Wroclaw 2020)
riguardano gli apporti del pensiero lacaniano
all’estetica in generale e all’Architettura. Da citare,
quindi, Kletos- San Paolo e la filosofia del ‘900
(Amazon Wroclaw 2019), una ricerca che, a
proposito di San Paolo, chiama in causa
Heidegger, Agamben, Lacan e Žižek. Negli ultimi
43. tempi Stanziale si è occupato della categoria
dell’Immaginario in due libri: Il Capitale e
l’Immaginario (Amazon Wroclaw 2018) e Soggetti,
media e godimenti nell’età del biocapitalismo (Amazon
Wroclaw 2018).
Per quanto riguarda le ricerche socio-
antropologiche di Stanziale esse hanno riguardato
l’area dell’alto casertano ed in particolare le
comunità di Sessa Aurunca e Cellole. Il primo libro,
edito nel 1977, L’illusione e la maschera (Caramanica,
Latina) scritto con E. Coppa E T. Calenzo , è
un’indagine sulle usanze carnevalesche dell’area
sessana, risultanza di varie ricerche sul campo, in cui
hanno ampio spazio le categorie proprie
dell’Antropologia strutturale di C. Lèvi-Strauss e della
psicoanalisi lacaniana. Successivamente, il lavoro
di ricerca si è occupato del folklore locale, delle
Visioni politiche del mondo e di Valori e attitudini nel
mondo giovanile locale (indagine su questionari)
comprese in due libri: Omologazioni e anomalie in una
realtà sociale del Mezzogiorno alle soglie del 2000 europeo:
Sessa Aurunca in provincia di Caserta (Zano Ed.
Caserta 1999) e Cultura e società nel Mezzogiorno
44. (Zano Ed. Caserta 2007). Stanziale, quindi, in
Materiali d’indagine sulla Settimana Santa a Sessa
Aurunca nell’alto casertano (EBook OKA 2015) e ne
La sera del 18 marzo a Cascano (RDS Caserta 2017)
orienta le sue ricerche sul versante della religione
in una prospettica antropologico-culturale e
psicoanalitica.
Fondatore delle Officine Kulturali Aurunke
Stanziale si è occupato di teatro, come autore dal
1975. Alcune sue opere sono raccolte in Lyrics
(EBook OKA 2012). Si tratta di oltre una diecina
di testi messi in scena e di vari reading, tutti allestiti
a livello locale e nazionale. Si tratta di una
drammaturgia di impegno civile che si serve di
una scrittura lirica nel quadro di una
sperimentazione continua che rifiuta il teatro-merce-
spettacolista e che, partendo dalla malattia di Artaud,
vuole recuperare una specificità del linguaggio
teatrale specchio di una vita reale con le sue
contraddizioni e con i suoi slanci. In particolare
Hamletkowskij, Sotto il cielo del Sud, Luna rossa sull’asse
mediano e l’ultimo Sotto il vulcano suite sono lavori
pienamente indicativi in tal senso.
45. Per quanto riguarda l’ambito letterario l’avventura
di Stanziale inizia nel 1967 con L’assenza (Kursaal
Firenze), una raccolta di short-stories a cui
seguono alcune opere poetiche- Terra di nessuno
(Obelisk Press – Roma New York 1989), Vittime
della danza (OKA Caserta 2012) e infine i recenti
Blue Pucundrìa (OKA Factory Caserta 2020) e
Umane rapsodie una raccolta di saggi letterari che si
avvale dell’introduzione di Aiché Labarthe
(Amazon Wroclaw 2020)