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Katia Provantini
  Da insegnante a tutor:
 la formazione di nuove
competenze nella scuola
La scuola negli ultimi anni opera in contesti sociali e culturali sempre più complessi ed eterogenei.
Le nuove classi sono costituite da studenti le cui richieste ed aspettative nei confronti della scuola
appaiono estremamente diversificate, a volte opposte e contrastanti. Gli interessi e le motivazioni, le
aspirazioni o i livelli d’apprendimento raggiunti dai singoli studenti, sono spesso tanto differenti da
frammentare la classe che risulta un gruppo sempre più disomegeneo e conflittuale.
Di fatto la possibilità da parte dell’insegnante di entrare in classe e svolgere la lezione, prevista
secondo programma, è condizionata dalla capacità di mettersi in gioco, di coinvolgere e motivare i
singoli, di comprendere e gestire le dinamiche affettive e relazionali in atto. In un certo senso lo
svolgimento delle attività e la capacità di trasmettere sapere risulta subordinato alla capacità di
ascolto, osservazione e comprensione di quanto avviene nella classe.
La tendenza ad attribuire alla dimensione relazionale un’importanza sempre maggiore è confermata
da alcune ricerche (Cavalli, 1992) sulla professione di insegnante. Per esempio la capacità di
comunicare è considerata dagli insegnanti il principale requisito del proprio ruolo professionale ed è
il rapporto con gli allievi, sia sul piano delle relazioni personali, sia su quello dell’apprendimento a
costituire l’aspetto maggiormente gratificante della professione.
Allo stesso tempo è questo l’ambito che suscita le maggiori difficoltà: si sentono abbandonati
rispetto alla gestione delle dinamiche relazionali, soprattutto in relazione al fatto che la
preparazione di base degli insegnanti della scuola media inferiore e superiore è ancora centrata sui
contenuti e raramente prevede l’approfondimento delle conoscenze relative alla comunicazione, alla
gestione dei gruppi e agli aspetti psicologici del percorso evolutivo.
Da qui la richiesta sempre più diffusa di affiancare ai corsi di aggiornamento relativi alle
competenze didattiche, percorsi di formazione sugli aspetti affettivi e relazionali, manifestando il
desiderio di una maggiore collaborazione tra docenti ed esperti esterni alla scuola.
In particolare c’è la necessità di capire chi sono i nuovi adolescenti, conoscerne le paure, le
difficoltà e gli interessi. La distanza tra le generazioni a volte sembra incolmabile e la relazione tra
docenti e studenti è marcata da diffidenza e incomprensioni reciproche.
C’è il desiderio di acquisire le competenze necessarie per una corretta lettura delle difficoltà degli
studenti; il timore di non riuscire a decifrare la vera natura dei problemi di apprendimento, siano
essi di natura cognitiva, affettiva o relazionale; avere qualche nozione di psicologia e di
psicopatologia dell’adolescente; riuscire a gestire le dinamiche del gruppo classe, aiutando gli uni e
motivando gli altri.
Aderenti al loro ruolo, gli insegnanti chiedono di acquisire strumenti d’intervento più efficaci,
definire metodologie, strutturare pratiche ed attività riportando la questione al perfezionamento dei
metodi e delle tecniche di insegnamento.
Potrebbe essere utile provare a privilegiare il capire e il sentire rispetto al fare, non per togliere
valore all’azione ma perché spesso l’incisività della stessa è subordinata alla comprensione di ciò
che sta accadendo.
Di fatto l’acquisizione di nuove competenze, se da un lato è sentito come urgente dall’altro è
vissuto con forti perplessità, come se questo comportasse uno stravolgimento del compito primario
della professione di docente. Il timore è di scivolare verso ruoli non pertinenti (amicali o genitoriali)
o di trasformarsi in improvvisati psicologi o assistenti sociali. Per altri la paura è di avvicinarsi
troppo allo studente, di venire coinvolti dalle vicende personali e perdere quella distanza necessaria
alla valutazione.

In ogni caso le sempre più pressanti difficoltà nella gestione delle classi, sembrano costringere ad
una sostanziale ridefinizione della funzione primaria della scuola che non può prescindere dalle
questioni relative al benessere, al successo scolastico e formativo, alla piena scolarità.
Il recente interesse nei confronti della figura del tutor sembra rispondere proprio alla necessità di
individuare modalità di lavoro e spazi di intervento, in cui avvalersi di nuove risorse, finalizzate al
superamento delle difficoltà nel percorso d’apprendimento.
Per esempio la sperimentazione di un tutor nella scuola media nasce in genere da un’attenzione
particolare al percorso formativo individuale dell’alunno e alla ricerca di soluzioni adeguate alle
difficoltà del singolo. Le prime scuole ad utilizzare tale figura sono caratterizzate da un’utenza a
rischio di emarginazione o con gravi difficoltà nel processo di scolarizzazione; sono spesso scuole
con un bacino d’utenza particolarmente difficile ed eterogeneo, a volte con un elevato numero di
immigrati.
In altre situazioni i progetti tutor rispondono alla necessità di differenziare la proposta formativa e
realizzare così percorsi mirati alle risorse del singolo studente.
In tutti i casi la presenza dei tutor costituisce un arricchimento delle opportunità formative e una
valida risorsa per prevenire gli insuccessi scolastici ed offrire un’opportunità formativa il più
possibile personalizzata.

Nella scuola superiore il tutor spesso sembra assumere il ruolo di referente stabile per affrontare il
problema del singolo o della classe; ha il compito di osservatore rispetto ad eventuali difficoltà ma
può anche raccogliere le segnalazioni poste dagli studenti, dai colleghi o dai genitori.
La problematiche possono essere di varia natura (didattiche, personali, relazionali): il tutor può
aiutare lo studente a definire il problema ed a ipotizzare delle soluzioni.
Ciò significa che non necessariamente deve farsi carico di tutto quanto gli viene sottoposto.
L’ipotesi è che potrebbe affrontare le problematiche relative all’apprendimento e coinvolgere lo
psicologo o le altre risorse esterne, per i problemi di natura più personale o psicologica.
In ogni caso egli non è chiamato a risolvere il problema.
Uno dei timori più diffusi negli insegnanti è l’incapacità di rispondere adeguatamente e di non
riuscire a trovare una soluzione. In realtà il tutor ha una funzione di ascolto che prevede
eventualmente la ridefinizione della questione, l’indicazione delle risorse utilizzabili e
l’individuazione delle strade percorribili.
Non impone un rimedio o un modello, ma sollecita le potenzialità dello studente, la sua capacità
d’analisi e l’assunzione di responsabilità rispetto alle proprie scelte ed atteggiamenti.
L’obiettivo è di incrementare il livello di consapevolezza rispetto alle difficoltà e alle proprie
risorse di soluzione. Questo è un aspetto particolarmente importante dell’attività del tutor,
nell’ambito dei “progetto accoglienza” in cui diviene necessario individuare le cause del fallimento
scolastico e prendere in considerazione l’ipotesi di un eventuale riorientamento (verifica delle
aspettative, delle difficoltà incontrate, ipotesi di intervento...), anche con il coinvolgimento della
famiglia.
L’attività del tutor, da questo punto di vista, è assimilabile a quello del counselor, ha la funzione di
analista e risulta esperto in metodologia di soluzione dei problemi.
Inoltre il tutor è colui che può favorire un maggior raccordo tra le componenti della scuola; attiva la
comunicazione con gli studenti, al di là dell’interrogazione, e con i colleghi e i genitori, cercando di
superare quelle barriere istituzionali che a volte impediscono un proficuo passaggio di
informazioni: raccoglie dati; ha contatti più diretti con i singoli studenti; può intervenire in modo
più puntuale nei Consigli di Classe contribuendo ad inquadrare più efficacemente questioni e
difficoltà.
In particolare la raccolta di informazioni e la gestione delle comunicazioni con i docenti può
contribuire a recuperare un’immagine unitaria dello studente, indispensabile al superamento di
posizioni troppo scisse ed unilaterali che rischiano di frammentare o distorcere la natura del
problema. La realizzazione di un fascicolo personale inoltre può rappresentare una preziosa
opportunità di confronto. La logica è quella del coordinamento nell’ambito del gruppo di lavoro: ciò
implica progettazione comune, sistemi di valutazione omogenei, verifica dei risultati,
individuazione di possibili interventi e strategie.

In conclusione, le attività che possono essere svolte dal tutor sono principalmente le seguenti:
• seguire il percorso cognitivo del singolo alunno e verificare l’acquisizione degli obiettivi di
  percorso e finali;
• raccogliere il maggior numero di informazioni relative al singolo studente o alla classe;
  individuare problemi relativi all’andamento della classe nei Consigli di classe;
• individuare ed attivare strumenti e risorse adeguate alle difficoltà riscontrate insieme al consiglio
  di classe;
• seguire il processo di apprendimento favorendo nei colloqui individuali la presa di coscienza
  delle tappe del processo e aiutandolo ad acquisire la capacità di autovalutazione e di autonomia
  organizzativa;
• raccogliere la richiesta d’aiuto rispetto al disagio e al conflitto, facilitando le relazioni
  interpersonali;
• tenere i rapporti con le diverse componenti che interagiscono nella scuola, psicologo,
  psicopedagogista, genitori

Le funzioni attribuibili al tutor sono quindi:
• garante di un inserimento positivo nel processo d’apprendimento;
• facilitatore del raggiungimento di obiettivi formativi;
• facilitatore della comunicazione;
• facilitatore relazionale;

Il tutor può avere come interlocutori il singolo studente, la classe intera, il gruppo dei docenti ed
eventualmente anche i genitori.
Nelle prime sperimentazioni la più frequenti difficoltà incontrate riguardano la definizione del ruolo
e delle funzioni del tutor.
Accanto al timore di assumere ruoli impropri o di gestire un ruolo svuotato, nella pratica, di
significatività (limitarsi a compilare moduli e questionari, “fare il passacarte”), le complicazioni
riguardano soprattutto i rapporti con i colleghi del consiglio di classe: a volte il tutor lamenta un
sovraccarico di responsabilità da parte dei colleghi, i quali tenderebbero a demandare, con un
atteggiamento eccessivamente delegante, decisioni riguardanti uno studente, in virtù di una
maggiore conoscenza del problema; per gli stessi motivi il tutor può essere percepito come un
accentratore di informazioni e di poteri, confermando la tendenza a considerare il possesso e la
gestione delle informazione una vera manifestazione del potere.
Spesso il conflitto è determinato dal timore degli altri docenti di veder invasi degli spazi personali:
ciò che rivendicano è la possibilità di un giudizio autonomo nella gestione del problema, senza
interferenze.
È evidente la difficoltà a percepirsi come un gruppo di lavoro che condivide finalità ed obiettivi,
programma attività e definisce le funzioni delle risorse a disposizione. Senza lasciare spazio ad
improvvisazioni.
In risposta a tutto ciò occorre elaborare, all’interno di ciascuna scuola, una definizione della
funzione del tutor che si intende inserire; definire gli obiettivi di intervento; programmare degli
spazi istituzionali, anche in termini fisici e di orario, che diano legittimità al ruolo.
Sono poi necessarie delle competenze aggiuntive che riguardano specificamente gli aspetti
psicologici, affettivi e relazionali; è necessario approfondire nozioni di psicologia dell’adolescenza,
potenziare le competenze comunicative e la capacità di valutazione delle difficoltà, relative al
processo di apprendimento.
Inoltre è forse opportuno prevedere la possibilità di incontri in itinere con lo psicologo o lo
psicopedagogista, in modo da creare uno spazio in cui poter approfondire, discutere, verificare
situazioni, posizioni ed atteggiamenti. Contemporaneamente è possibili programmare degli incontri
con gli altri tutors della scuola, con i quali condividere la programmazione e la verifica delle attività
svolte.
Una via per la soluzione dei conflitti derivanti dalla sovrapposizione del ruolo di docente e di tutor,
potrebbe essere rappresentata dalla possibilità di individuare dei tutors di corso o di scuola, esentati
dalla docenza, e quindi in grado di assumere una posizione più esterna e distaccata, rispetto allo
studente e al Consiglio di classe, di quanto non possa fare un tutor di classe, che dovrebbe essere
contemporaneamente anche il ruolo di docente. Questo potrebbe favorire una maggiore dinamicità e
fluidità nei rapporti tra le componenti in gioco.
La possibilità di attribuire la funzione tutoriale solo ad un numero ristretto di docenti comporta la
scelta di considerare tale funzione non intrinsecamente connessa al ruolo docente, lasciando
intravedere una diversificazione nel percorso formativo e nelle competenze in gioco proprie dei due
ruoli. Senza auspicare la separazione netta dei saperi e delle competenze, tra gli “esperti di
contenuti” e “esperti della relazione e della comunicazione” si potrebbero definire degli ambiti di
interesse che permettono di accedere ad una formazione più aderente alle nuove esigenze che la
scuola richiede, ma anche agli interessi e attitudini dei docenti.
È indubbio comunque che l’obiettivo di promuovere il benessere scolastico e il pieno successo
formativo non possa essere raggiunto senza il pieno coinvolgimento dell’intero corpo docente. In
altre parole è il compito primario dell’insegnante ad arricchirsi: accanto alla necessità di trasmettere
contenuti ed informazioni, diviene centrale la capacità di comprendere i problemi degli studenti e
della classe, di facilitare lo sviluppo di una buona comunicazione, di rendere possibile il
superamento delle difficoltà. Il nuovo insegnante assume un ruolo di accompagnatore del percorso
di apprendimento, la cui finalità è costituita dallo sviluppo di una positiva disponibilità ad
apprendere, al di là del semplice accumulo di informazioni.
Appare evidente un cambiamento di prospettiva che evidenzia la centralità e il ruolo attivo del
soggetto in apprendimento, a differenza del tradizionale modello in cui lo studente, con il ruolo
sostanzialmente passivo di colui che riceve le informazioni, non è il vero interlocutore del progetto
formativo. È in questo nuovo panorama culturale che il tutor acquisisce un significato, divenendo
una reale risorsa a disposizione della scuola.

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Katia Provantini - Da insegnante a tutor: la formazione di nuove competenze nella scuola

  • 1. Katia Provantini Da insegnante a tutor: la formazione di nuove competenze nella scuola
  • 2. La scuola negli ultimi anni opera in contesti sociali e culturali sempre più complessi ed eterogenei. Le nuove classi sono costituite da studenti le cui richieste ed aspettative nei confronti della scuola appaiono estremamente diversificate, a volte opposte e contrastanti. Gli interessi e le motivazioni, le aspirazioni o i livelli d’apprendimento raggiunti dai singoli studenti, sono spesso tanto differenti da frammentare la classe che risulta un gruppo sempre più disomegeneo e conflittuale. Di fatto la possibilità da parte dell’insegnante di entrare in classe e svolgere la lezione, prevista secondo programma, è condizionata dalla capacità di mettersi in gioco, di coinvolgere e motivare i singoli, di comprendere e gestire le dinamiche affettive e relazionali in atto. In un certo senso lo svolgimento delle attività e la capacità di trasmettere sapere risulta subordinato alla capacità di ascolto, osservazione e comprensione di quanto avviene nella classe. La tendenza ad attribuire alla dimensione relazionale un’importanza sempre maggiore è confermata da alcune ricerche (Cavalli, 1992) sulla professione di insegnante. Per esempio la capacità di comunicare è considerata dagli insegnanti il principale requisito del proprio ruolo professionale ed è il rapporto con gli allievi, sia sul piano delle relazioni personali, sia su quello dell’apprendimento a costituire l’aspetto maggiormente gratificante della professione. Allo stesso tempo è questo l’ambito che suscita le maggiori difficoltà: si sentono abbandonati rispetto alla gestione delle dinamiche relazionali, soprattutto in relazione al fatto che la preparazione di base degli insegnanti della scuola media inferiore e superiore è ancora centrata sui contenuti e raramente prevede l’approfondimento delle conoscenze relative alla comunicazione, alla gestione dei gruppi e agli aspetti psicologici del percorso evolutivo. Da qui la richiesta sempre più diffusa di affiancare ai corsi di aggiornamento relativi alle competenze didattiche, percorsi di formazione sugli aspetti affettivi e relazionali, manifestando il desiderio di una maggiore collaborazione tra docenti ed esperti esterni alla scuola. In particolare c’è la necessità di capire chi sono i nuovi adolescenti, conoscerne le paure, le difficoltà e gli interessi. La distanza tra le generazioni a volte sembra incolmabile e la relazione tra docenti e studenti è marcata da diffidenza e incomprensioni reciproche. C’è il desiderio di acquisire le competenze necessarie per una corretta lettura delle difficoltà degli studenti; il timore di non riuscire a decifrare la vera natura dei problemi di apprendimento, siano essi di natura cognitiva, affettiva o relazionale; avere qualche nozione di psicologia e di psicopatologia dell’adolescente; riuscire a gestire le dinamiche del gruppo classe, aiutando gli uni e motivando gli altri. Aderenti al loro ruolo, gli insegnanti chiedono di acquisire strumenti d’intervento più efficaci, definire metodologie, strutturare pratiche ed attività riportando la questione al perfezionamento dei metodi e delle tecniche di insegnamento. Potrebbe essere utile provare a privilegiare il capire e il sentire rispetto al fare, non per togliere valore all’azione ma perché spesso l’incisività della stessa è subordinata alla comprensione di ciò che sta accadendo. Di fatto l’acquisizione di nuove competenze, se da un lato è sentito come urgente dall’altro è vissuto con forti perplessità, come se questo comportasse uno stravolgimento del compito primario della professione di docente. Il timore è di scivolare verso ruoli non pertinenti (amicali o genitoriali) o di trasformarsi in improvvisati psicologi o assistenti sociali. Per altri la paura è di avvicinarsi troppo allo studente, di venire coinvolti dalle vicende personali e perdere quella distanza necessaria alla valutazione. In ogni caso le sempre più pressanti difficoltà nella gestione delle classi, sembrano costringere ad una sostanziale ridefinizione della funzione primaria della scuola che non può prescindere dalle questioni relative al benessere, al successo scolastico e formativo, alla piena scolarità. Il recente interesse nei confronti della figura del tutor sembra rispondere proprio alla necessità di individuare modalità di lavoro e spazi di intervento, in cui avvalersi di nuove risorse, finalizzate al superamento delle difficoltà nel percorso d’apprendimento.
  • 3. Per esempio la sperimentazione di un tutor nella scuola media nasce in genere da un’attenzione particolare al percorso formativo individuale dell’alunno e alla ricerca di soluzioni adeguate alle difficoltà del singolo. Le prime scuole ad utilizzare tale figura sono caratterizzate da un’utenza a rischio di emarginazione o con gravi difficoltà nel processo di scolarizzazione; sono spesso scuole con un bacino d’utenza particolarmente difficile ed eterogeneo, a volte con un elevato numero di immigrati. In altre situazioni i progetti tutor rispondono alla necessità di differenziare la proposta formativa e realizzare così percorsi mirati alle risorse del singolo studente. In tutti i casi la presenza dei tutor costituisce un arricchimento delle opportunità formative e una valida risorsa per prevenire gli insuccessi scolastici ed offrire un’opportunità formativa il più possibile personalizzata. Nella scuola superiore il tutor spesso sembra assumere il ruolo di referente stabile per affrontare il problema del singolo o della classe; ha il compito di osservatore rispetto ad eventuali difficoltà ma può anche raccogliere le segnalazioni poste dagli studenti, dai colleghi o dai genitori. La problematiche possono essere di varia natura (didattiche, personali, relazionali): il tutor può aiutare lo studente a definire il problema ed a ipotizzare delle soluzioni. Ciò significa che non necessariamente deve farsi carico di tutto quanto gli viene sottoposto. L’ipotesi è che potrebbe affrontare le problematiche relative all’apprendimento e coinvolgere lo psicologo o le altre risorse esterne, per i problemi di natura più personale o psicologica. In ogni caso egli non è chiamato a risolvere il problema. Uno dei timori più diffusi negli insegnanti è l’incapacità di rispondere adeguatamente e di non riuscire a trovare una soluzione. In realtà il tutor ha una funzione di ascolto che prevede eventualmente la ridefinizione della questione, l’indicazione delle risorse utilizzabili e l’individuazione delle strade percorribili. Non impone un rimedio o un modello, ma sollecita le potenzialità dello studente, la sua capacità d’analisi e l’assunzione di responsabilità rispetto alle proprie scelte ed atteggiamenti. L’obiettivo è di incrementare il livello di consapevolezza rispetto alle difficoltà e alle proprie risorse di soluzione. Questo è un aspetto particolarmente importante dell’attività del tutor, nell’ambito dei “progetto accoglienza” in cui diviene necessario individuare le cause del fallimento scolastico e prendere in considerazione l’ipotesi di un eventuale riorientamento (verifica delle aspettative, delle difficoltà incontrate, ipotesi di intervento...), anche con il coinvolgimento della famiglia. L’attività del tutor, da questo punto di vista, è assimilabile a quello del counselor, ha la funzione di analista e risulta esperto in metodologia di soluzione dei problemi. Inoltre il tutor è colui che può favorire un maggior raccordo tra le componenti della scuola; attiva la comunicazione con gli studenti, al di là dell’interrogazione, e con i colleghi e i genitori, cercando di superare quelle barriere istituzionali che a volte impediscono un proficuo passaggio di informazioni: raccoglie dati; ha contatti più diretti con i singoli studenti; può intervenire in modo più puntuale nei Consigli di Classe contribuendo ad inquadrare più efficacemente questioni e difficoltà. In particolare la raccolta di informazioni e la gestione delle comunicazioni con i docenti può contribuire a recuperare un’immagine unitaria dello studente, indispensabile al superamento di posizioni troppo scisse ed unilaterali che rischiano di frammentare o distorcere la natura del problema. La realizzazione di un fascicolo personale inoltre può rappresentare una preziosa opportunità di confronto. La logica è quella del coordinamento nell’ambito del gruppo di lavoro: ciò implica progettazione comune, sistemi di valutazione omogenei, verifica dei risultati, individuazione di possibili interventi e strategie. In conclusione, le attività che possono essere svolte dal tutor sono principalmente le seguenti:
  • 4. • seguire il percorso cognitivo del singolo alunno e verificare l’acquisizione degli obiettivi di percorso e finali; • raccogliere il maggior numero di informazioni relative al singolo studente o alla classe; individuare problemi relativi all’andamento della classe nei Consigli di classe; • individuare ed attivare strumenti e risorse adeguate alle difficoltà riscontrate insieme al consiglio di classe; • seguire il processo di apprendimento favorendo nei colloqui individuali la presa di coscienza delle tappe del processo e aiutandolo ad acquisire la capacità di autovalutazione e di autonomia organizzativa; • raccogliere la richiesta d’aiuto rispetto al disagio e al conflitto, facilitando le relazioni interpersonali; • tenere i rapporti con le diverse componenti che interagiscono nella scuola, psicologo, psicopedagogista, genitori Le funzioni attribuibili al tutor sono quindi: • garante di un inserimento positivo nel processo d’apprendimento; • facilitatore del raggiungimento di obiettivi formativi; • facilitatore della comunicazione; • facilitatore relazionale; Il tutor può avere come interlocutori il singolo studente, la classe intera, il gruppo dei docenti ed eventualmente anche i genitori. Nelle prime sperimentazioni la più frequenti difficoltà incontrate riguardano la definizione del ruolo e delle funzioni del tutor. Accanto al timore di assumere ruoli impropri o di gestire un ruolo svuotato, nella pratica, di significatività (limitarsi a compilare moduli e questionari, “fare il passacarte”), le complicazioni riguardano soprattutto i rapporti con i colleghi del consiglio di classe: a volte il tutor lamenta un sovraccarico di responsabilità da parte dei colleghi, i quali tenderebbero a demandare, con un atteggiamento eccessivamente delegante, decisioni riguardanti uno studente, in virtù di una maggiore conoscenza del problema; per gli stessi motivi il tutor può essere percepito come un accentratore di informazioni e di poteri, confermando la tendenza a considerare il possesso e la gestione delle informazione una vera manifestazione del potere. Spesso il conflitto è determinato dal timore degli altri docenti di veder invasi degli spazi personali: ciò che rivendicano è la possibilità di un giudizio autonomo nella gestione del problema, senza interferenze. È evidente la difficoltà a percepirsi come un gruppo di lavoro che condivide finalità ed obiettivi, programma attività e definisce le funzioni delle risorse a disposizione. Senza lasciare spazio ad improvvisazioni. In risposta a tutto ciò occorre elaborare, all’interno di ciascuna scuola, una definizione della funzione del tutor che si intende inserire; definire gli obiettivi di intervento; programmare degli spazi istituzionali, anche in termini fisici e di orario, che diano legittimità al ruolo. Sono poi necessarie delle competenze aggiuntive che riguardano specificamente gli aspetti psicologici, affettivi e relazionali; è necessario approfondire nozioni di psicologia dell’adolescenza, potenziare le competenze comunicative e la capacità di valutazione delle difficoltà, relative al processo di apprendimento. Inoltre è forse opportuno prevedere la possibilità di incontri in itinere con lo psicologo o lo psicopedagogista, in modo da creare uno spazio in cui poter approfondire, discutere, verificare situazioni, posizioni ed atteggiamenti. Contemporaneamente è possibili programmare degli incontri con gli altri tutors della scuola, con i quali condividere la programmazione e la verifica delle attività svolte.
  • 5. Una via per la soluzione dei conflitti derivanti dalla sovrapposizione del ruolo di docente e di tutor, potrebbe essere rappresentata dalla possibilità di individuare dei tutors di corso o di scuola, esentati dalla docenza, e quindi in grado di assumere una posizione più esterna e distaccata, rispetto allo studente e al Consiglio di classe, di quanto non possa fare un tutor di classe, che dovrebbe essere contemporaneamente anche il ruolo di docente. Questo potrebbe favorire una maggiore dinamicità e fluidità nei rapporti tra le componenti in gioco. La possibilità di attribuire la funzione tutoriale solo ad un numero ristretto di docenti comporta la scelta di considerare tale funzione non intrinsecamente connessa al ruolo docente, lasciando intravedere una diversificazione nel percorso formativo e nelle competenze in gioco proprie dei due ruoli. Senza auspicare la separazione netta dei saperi e delle competenze, tra gli “esperti di contenuti” e “esperti della relazione e della comunicazione” si potrebbero definire degli ambiti di interesse che permettono di accedere ad una formazione più aderente alle nuove esigenze che la scuola richiede, ma anche agli interessi e attitudini dei docenti. È indubbio comunque che l’obiettivo di promuovere il benessere scolastico e il pieno successo formativo non possa essere raggiunto senza il pieno coinvolgimento dell’intero corpo docente. In altre parole è il compito primario dell’insegnante ad arricchirsi: accanto alla necessità di trasmettere contenuti ed informazioni, diviene centrale la capacità di comprendere i problemi degli studenti e della classe, di facilitare lo sviluppo di una buona comunicazione, di rendere possibile il superamento delle difficoltà. Il nuovo insegnante assume un ruolo di accompagnatore del percorso di apprendimento, la cui finalità è costituita dallo sviluppo di una positiva disponibilità ad apprendere, al di là del semplice accumulo di informazioni. Appare evidente un cambiamento di prospettiva che evidenzia la centralità e il ruolo attivo del soggetto in apprendimento, a differenza del tradizionale modello in cui lo studente, con il ruolo sostanzialmente passivo di colui che riceve le informazioni, non è il vero interlocutore del progetto formativo. È in questo nuovo panorama culturale che il tutor acquisisce un significato, divenendo una reale risorsa a disposizione della scuola.