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Nuovi percorsi
disciplinari
Garantire equità
didattica a ogni alunno
Individuare adeguati
canali di apprendimento
per tutti
design
didattico
5
20
ISSN2611-3635
gennaio
RivistadiaggiornamentoprofessionaleperilPrimoCiclodiIstruzione
n. 5 – gennaio 2020
Editoriale
1 eas
“Abbiamo anche noi il nostro negro. Ma oggi ha segnato, è stato bravo, lo abbiamo applaudito”. Paro-
le registrate dai giornali un paio di mesi fa, raccolte da un capo-curva di una squadra del nostro massi-
mo campionato. Si stava giustificando per spiegare che no, loro non ce l’avevano con il “negro” della
squadra avversaria, che non l’avevano fischiato e riempito di ululati perché “negro”, ma perché della
squadra avversaria: tant’è vero che il “negro” lo avevano anche loro e, appunto, dopo il goal lo aveva-
no applaudito.
Si possono ricavare molte indicazioni da questo fatto di cronaca sportiva quotidiana.
La prima indicazione è che per molte persone, nel nostro Paese, una persona di colore rimane comun-
que un “negro”. E non ci si vergogna di usare il termine, non ci si rende conto che il problema non è
solo linguistico, lessicale: il significato delle parole dipende dal contesto in cui le si usa e il contesto, nel
caso della parola in oggetto, è sempre di disprezzo.
Seconda indicazione. La persona di colore in questione può essere buona o cattiva. È buona se sta dal-
la nostra parte, è cattiva se sta con gli altri. In ogni caso questo non cambia la sua natura, non ne pro-
muove in qualche modo l’appartenenza: rimane di colore, anche se buona (almeno fino a quando non
sbaglierà una rete già fatta a pochi metri dalla porta…).
Terza indicazione. Dietro all’epiteto razzista, dietro alla logica del disprezzo, lavora comunque un di-
spositivo di costruzione identitaria. Noi siamo noi e non ci si può confondere con gli altri. La ragione di
questo dispositivo non è tanto la paura del diverso (come spesso si spiega), quanto piuttosto la paura che
integrandosi diventi come noi. Non è la diversità a fare paura, ma l’identità. Se “loro” diventano come
“noi” potranno portarci via le nostre donne, il nostro lavoro, le nostre case. È la paura della crisi mi-
metica che lavora sotto traccia, direbbe René Girard: ecco perché occorre marcare bene le differenze.
Archeologia della memoria
Gabriele Nissim, fondatore e animatore di Gariwo Network e dei Giardini dei giusti che si stanno mol-
tiplicando in tutto il mondo, ha paura di quella che lui chiama archeologia della memoria. Diviene arche-
ologica la memoria quando si traduce in stanca ripetizione, in compito da assolvere, in una data da ri-
cordare. Come tutte le cose celebrate a lungo, la memoria rischia di convertirsi in tradizione – come
direbbe Benjamin – perdendo completamente il suo significato. Vale anche per la Shoah, per gli altri
grandi genocidi di cui la storia dell’umanità è punteggiata: se divengono archeologia della memoria per-
deranno il loro significato. Ma come si fa a evitarlo?
La risposta è che occorre imparare a riconoscere le tracce del male assoluto tra le pieghe dell’ordinario.
L’uomo, come osserva Pascal, è angelo e bestia. La bestia è spesso confinata in uno strato remoto della
nostra mente, dove sopravvivono il pregiudizio verso gli ebrei, la paura dell’uomo nero, o degli zingari.
Sono idee respirate da piccoli, sono gli avvertimenti dei nonni quando ti avventuravi per le prime volte
per strada da solo, sono le false credenze che in ogni società sempre riguardano chi non è dei nostri. Ba-
sta poco per liberarla, la bestia. I social sono lì a documentare questa verità, se è vero che spesso anche
la persona più misurata rischia di farvisi trascinare in derive aggressive, violente, oscene. L’indulgenza
in questi casi non serve. Non serve dirsi che non era quella l’intenzione, che in fondo non è razzismo, o
Fare memoria
di Pier Cesare Rivoltella
n. 5 – gennaio 20202eas
che il Male assoluto è altra cosa, perché quel male può rinascere proprio da sintomi che sembrano tra-
scurabili. È già successo, perché non dovrebbe succedere di nuovo?
Fare memoria serve a ricordare in ogni momento che proprio da questa trascuratezza si è spalancato
l’abisso: la memoria non è celebrazione periodica, è responsabilità attiva vissuta nel quotidiano.
Educare alla responsabilità
Un “Giusto delle Nazioni” è, originariamente, qualcuno che ha salvato dalla deportazione e dalla mor-
te certa degli ebrei durante il nazifascismo. Giusti – come Perlasca, o Schindler – sono questi uomini
perché “chi salva una vita, salva il mondo intero” e perché lo hanno fatto a rischio della loro stessa vita.
Nissim ha proposto una duplice correzione di rotta rispetto a quest’idea. La prima è che si possano ri-
tenere giusti tutti coloro che hanno salvato una vita, non necessariamente di un ebreo, ma in qualsi-
asi situazione in cui la vita sia stata o sia tuttora minacciata dalla violenza, dal pregiudizio, dal male.
La seconda è che questa giustizia non debba per forza ammantarsi di eccezionalità. È la responsabilità
nell’ordinario che rende tale il giusto, è quel che fa rispondere il filosofo ceco Patocka a chi gli chiedeva
perché proprio lui dovesse farsi carico della resistenza al regime comunista: “E se non io, chi?”.
Ho sempre trovato questa risposta magnifica. Essa raccoglie tutto il senso del principio-responsabilità:
la consapevolezza del tempo opportuno, la percezione di una convocazione, la certezza di non potersi
sottrarre. Se non io, chi?
Memoria, responsabilità, cittadinanza
La Giornata della Memoria, dunque, non è e non deve essere archeologia. Essa non celebra il ricordo
di quel che è successo tanti anni fa, ma suggella la responsabilità che siamo chiamati tutti, ogni giorno,
ad assumerci.
Educare alla responsabilità serve a costruire la cittadinanza. È importante farlo in una società come
quella attuale in cui la mediazione della tecnologia può far cedere alla tentazione di lasciare che la tec-
nologia medi anche il fatto di rispondere in prima persona delle proprie scelte. Succede quando non si
ha il coraggio di dire qualcosa e ci si nasconde dietro lo schermo; ma anche quando si partecipa a me-
tà, accontentandosi di esprimere un like, senza sporcarsi le mani, senza farsi veramente carico delle si-
tuazioni. E succede quando non si prende posizione, quando si giustifica tutto col dire che in fondo non
c’era l’intenzione, quando non si ha il coraggio di dissociarsi, di dare alle cose il loro nome perché po-
trebbe renderci impopolari.
Insegnare la responsabilità vuol dire crescere i Giusti di domani. Non eroi cui richiedere gesti straordi-
nari, ma persone responsabili nella normalità. Non solo. Persone resistenti, ovvero attivisti che vivono
nel quotidiano la loro militanza, attenti a ogni piccola piega in cui possa annunciarsi il male. Mi piace
pensare che tutto questo si possa costruire già dalla prima infanzia e che poi si continui a costruirlo ne-
gli anni della crescita. Come insegnanti non possiamo dire che “non ce ne care”, come avrebbe detto
Don Milani se lo avessimo interpellato al riguardo.
Riferimenti bibliografici
Nissim G. (2018). Il bene possibile. Essere giusti nel proprio tempo. UTET, Torino.
Pascal B. (2010). Pensieri. Rizzoli, Milano.
n. 5 – gennaio 20204eas
Direttore: Pier Cesare Rivoltella
Segretaria di redazione: Silvia Faini
Comitato Scientifico: Giovanni Biondi
(INDIRE), Fabio Bocci (Università
di RomaTre), Giovanni Buonaiuti
(Università di Cagliari), Iole Caponata
(Docenti virtuali), Giuseppe Corsaro
(Insegnanti 2.0), Luigi Guerra
(Università di Bologna), Pierpaolo
Limone (Università di Foggia), Daniela
Maccario (Università di Torino),
Elisabetta Nanni (Insegnanti 2.0),
Elisabetta Nigris (Università di Milano
Bicocca), Loredana Perla (Università di
Bari), Federica Pilotti (Docenti virtuali),
Pier Giuseppe Rossi (Università di
Macerata), Maurizio Sibilio (Università
di Salerno), Davide Zoletto (Università
di Udine).
Comitato di Redazione: Paola Amarelli,
Asteria Bramati, Enrica Bricchetto,
Gianna Cannì, Alessandra Carenzio,
Letizia Cinganotto, Emanuele Contu,
Greta Lacchini, Vincenza Leone,
Silvia Maggiolini, Laura Montagnoli,
Elena Mosa, Ennio Pasinetti, Stefano
Pasta, Elena Piritore, Marco Roncalli,
Raffaella Rozzi, Alessandro Sacchella,
Luisa Treccani, Elena Valgolio.
Coordinamento referee: Sara Lo Jacono
(per le sezioni: Essere professionisti a scuola,
Sviluppo professionale, Ricerca, Didattica delle
discipline, Fare scuola, Dirigere scuole e buone
pratiche di sistema)
Autori in redazione: Elena Amodio,
Monica Arrighi, Angelo Bertolone,
Stefano Bertora, Caterina Bruzzone,
Claudia Canesi, Ornella Castellano,
Silvia Cattaneo, Laura Comaschi,
Manuela Delfino, Chiara Friso, Angela
Fumasoni, Paolo Gallese, Pamela
Giorgi, Claudio Lazzeri, Michele
Marangi, Rita Marchignoli, Paola
Martini, Paola Massalin, Antonella
Mazzoni, Isabella Ongarelli, Francesca
Panzica, Maila Pentucci, Livia Petti,
Eva Pigliapoco, Francesca Davida
Pizzigoni, Sofia Poeta, Jenny Poletti
Riz, Giuseppina Rizzi, Ivan Sciapeconi,
Anna Soldavini, Isa Sozzi, Elena
Valdameri, Pietro Zacchi.
essere a scuolaRivista di aggiornamento professionale per il Primo Ciclo di Istruzione
e
a
s
Il metodo EAS incontra l’app
DEPIT
di Alessandra Carenzio, p. 22
L’applicazione DEPIT
di Maila Pentucci, p. 23
Ricerca
Verso la normale diversità
di Elena Mosa, p. 12
Pensare UDL…
di Giovanni Savia, p. 13
Progettazione universale
per l’apprendimento
di Ginevra Lituani, p. 18
Sviluppo professionale
Nella valutazione, la progettazione
di Emanuele Contu ed Ennio Pasinetti, p. 59
La valutazione è una progettazione a ritroso
di Luciana Ferraboschi, p. 60
Dirigere scuole e buone pratiche di sistema
Editoriale
Fare memoria
di Pier Cesare Rivoltella, p. 1
Essere professionisti a scuola
Il Testo Unico delle norme sulla scuola
di Luisa Treccani, p. 8
ISSN 2611-3635
Lesson planning
di Pier Cesare Rivoltella, p. 28
Dai rifiuti… alla storia
di Stefano Bertora, p. 29
Ecco il quadrato!
di Francesca Baresi, p. 33
Micro-progettare nella classe
di lingua straniera
di Letizia Cinganotto e Vincenza Leone,
p. 38
Didattica delle discipline
Mantenere la memoria storica
per costruire la cittadinanza
di Alessandro Sacchella, p. 42
Shoah: lo sguardo dei bambini
di Pietro Zacchi, p. 43
Il filo della memoria
di Marcella Bonfietti et alii, p. 52
Fare scuola
Immaginiascuola
Castel del Monte
p. 6
n. 5 – gennaio 2020 5 eas
Progetto grafico di copertina
Monica Frassine
Impaginazione
Overtime di Olivia Ruggeri
Quote di abbonamento
Abbonamento annuale 2019/2020
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Dossier materiali e strumenti
Lo sviluppo del senso critico
a scuola
di Elena Piritore, p. 65
Stimolare il pensiero libero,
autonomo, indipendente
di Elena Piritore, p. 66
Sullo scaffale
Uno Scaffale “ordinato”
(con l’aiuto della nonna)
di Stefano Pasta, p. 74
Pl@ntNet: da studenti a citizen
scientists
di Martina Migliavacca, p. 75
Google Keep
di Rita Marchignoli, p. 77
La nonna di Pitagora
di Elisa Marchisoni, p. 79
Il Glossario
p. 81
Storie della scuola
Maestre
di Pamela Giorgi, p. 88
Inquadrature di Media Education
Regole in autonomia
di Federica Pelizzari e Irene Mauro, p. 85
Comunicazione digitale a scuola con Google Classroom
di Rita Marchignoli, p. 83
Comunicare la scuola
Nello zaino dell’insegnante
Quel tratto da fine bricoleur che non può mancare
di Cosimo Laneve, p. 91
Pratiche inclusive
Extensive Reading
di Antonella Conti, p. 93
Mente, corpo, cervello
L’essere vivente come entità globale
di Greta Lacchini, p. 100
Pratiche 0-6
Accompagnare i primi passi
di Elisabetta Musi e Laura Sesenna, p. 97
Fare community
Le Community danno i numeri
di Elisabetta Nanni e Federica Pilotti, p. 102
n. 5 – gennaio 20206eas
Scheda Unesco
Data d’iscrizione: 1996
Edificato nel XIII secolo su ordine dell’imperatore Federico II, nell’Italia meridionale, vicino a Bari, questo
castello è un esempio unico nel suo genere dell’architettura militare medievale. La sua collocazione, la
perfezione delle sue forme e la precisione matematica e astronomica del suo progetto rendono evidente il
desiderio del sovrano di farne un simbolo dei suoi ambiziosi disegni. Castel del Monte rappresenta una
perfetta fusione tra le forme architettoniche dell’antichità greco-romana, quelle dell’Oriente musulmano
e quelle del gotico cistercense dell’Europa
settentrionale.
Castel del Monte
Immaginiascuola - Siti Unesco Italia
Il passato
Castel del Monte, fatto costruire
ad Andria (Ba) nel 1240 dall’im-
peratore Federico II di Hohen-
staufen – diventato sovrano del
Regno di Sicilia all’età di 4 an-
ni e consacrato imperatore nel
1220 a 22 anni –, da secoli susci-
ta l’interesse di storici ed esperti,
per la sua originale architettura
ottagonale, unica nel suo gene-
re, apparentemente non desti-
nata esclusivamente a funzio-
ni militari, poiché sprovvista di
fossato, caditoie e ponte levato-
io, ma priva anche di una cap-
pella, di cucine, di scuderie o di
alloggi per il personale.
Sorto, presumibilmente, con l’e-
vidente interesse, da parte del
sovrano, di amalgamare tradi-
zioni orientali e occidentali e di
suscitare ammirazione e stupore
sia negli alleati che nei nemici,
ancora oggi è al centro di inter-
rogativi e di indagini, anche per
le leggende fiorite sulla sua edi-
ficazione.
Collocato dove forse sorge-
va una precedente fortificazio-
ne normanna, su una collina a
un’altezza di 540 metri, mol-
to probabilmente era destina-
to unicamente a residenza, co-
me testimoniano i grandi cami-
ni in cinque sale e l’ingegnoso
sistema di rifornimento idrico
(l’acqua piovana, tramite tuba-
ture in pietra, veniva convoglia-
ta dalle terrazze delle torri fino
a una cisterna collocata sotto il
cortile). La posizione dominante
ne faceva un ottimo punto di vi-
sta sulle campagne del circonda-
rio e sulle vie di comunicazione
e di approvvigionamento, ma lo
rendeva anche un utile punto
di riferimento per chi navigava
nelle acque fra Barletta e Trani.
Il castello, magnifico gioiello ar-
chitettonico – che all’epoca della
sua costruzione doveva essere si-
tuato all’interno di un fitto bosco
che avrebbe permesso al sovra-
no di dedicarsi alla sua passione
venatoria, mentre ora è circon-
dato da campi in cui fioriscono
capperi, mirti e lentischi – è an-
che una perfetta sintesi scienti-
fico-matematica e artistica, che
ruota attorno al numero otto:
otto sono le torri ottagonali che
circondano il castello, otto sono
le stanze del pianterreno e otto
quelle del primo piano (raccor-
Immaginiascuola per la scuola:
dell’infanzia: falchi, barbagianni, gufi e civette
abitano volentieri nei pressi del castello: cosa sai di
questi animali?
primaria: il castello si trova nel Parco nazionale
dell’alta Murgia: scopri gli animali che vivono nel
territorio, la flora che abbellisce il paesaggio, le
tracce del passato umano, i sentieri che percorrono
la zona;
secondaria: breve indagine sulla rete dei
castelli di Federico II in Puglia.
L’UNESCO è un’agenzia delle Nazioni Unite,
fondata il 16 novembre 1945 per promuovere
la pace e la comprensione tra le nazioni tramite
l’istruzione, la scienza, la cultura, la comunicazione
e l’informazione;
suo scopo è
la tutela del
patrimonio
culturale esistente,
sia materiale che
immateriale. La
sede centrale è a
Parigi.
7n. 5 – gennaio 2020 eas
date da scale a chiocciola), che
si affacciano su una corte otta-
gonale, dal centro della quale si
può ammirare il cielo racchiuso
nell’ottagono delle mura interne.
I muri molto spessi danno for-
za e solidità all’edificio senza to-
gliergli l’eleganza conferitagli
dalla pietra chiara, dal portale
d’ingresso – chiuso da un archi-
trave e da un arco ogivale e ab-
bellito da due leoni – dalle mo-
nofore, dalle bifore, dall’unica
trifora e dalla cornice orizzonta-
le che segna la suddivisione fra
il pianterreno e il primo piano.
Gli ambienti interni, coperti
da volte a crociera con costo-
loni, avevano ricchi pavimenti
a mosaico (se ne è trovata trac-
cia durante le fasi di restau-
ro) e pareti decorate da marmi
bianchi e rosati.
Degrado e restauri
Dopo la morte di Federico II e
la successiva caduta degli Svevi,
l’imponente edificio venne ado-
perato dagli Angiò come carce-
re; rafforzato, a partire dal 1277,
per controllare meglio i territori
circostanti, ebbe quasi sempre,
nei secoli successivi, la funzione
di prigione, salvo qualche rara,
felice occasione in cui venne uti-
lizzato per feste nuziali.
Passato nelle mani di nobili ca-
sate, venne abbandonato nel
XVII secolo, derubato delle sue
decorazioni, dei marmi policro-
mi, dei mosaici, dei dipinti e de-
gli arazzi e mutò spesso destina-
zione d’uso, diventando ricovero
per pastori, prigione, rifugio di
briganti o di perseguitati politici.
Lo Stato lo acquisì nel 1876,
trovandolo in grave stato di de-
grado a causa degli agenti atmo-
sferici (il vento e le forti escur-
sioni termiche, ma soprattutto
la pioggia che, infiltrandosi an-
che all’interno, aveva fatto crol-
lare volte e coperture). Un pri-
mo restauro venne effettuato già
nel 1879 e un secondo, più con-
sistente, iniziò nel 1928; da allo-
ra le opere di manutenzione so-
no costanti. Nel 1936 venne di-
chiarato Patrimonio Nazionale.
https://it.latuaitalia.ru/where-to-
go/castel-del-monte/
https://www.youtube.com/
watch?v=CisCHOGHxlk
https://www.youtube.com/
watch?v=8EpaYMYrrts
https://www.gocasteldelmonte.
it/video/piccola-grande-italia-
casteldelmonte/
https://www.gocasteldelmonte.it/
video/paese-meraviglioso-puntata-
casteldelmonte/
Nei prossimi numeri: 6) Palermo arabo-normanna e le cattedrali di Cefalù e Monreale; 7) Ville medicee e
giardini; 8) Ville palladiane del Veneto; 9) I sacri Monti del Piemonte e della Lombardia; 10) Crespi d’Adda.
Immaginiascuola - SitiUnescoItalia
Il castello, veduta esterna
n. 5 – gennaio 20208
Essere professionisti a scuola
eas
Il Testo Unico delle norme
sulla scuola
di Luisa Treccani, Segretario Generale della Cisl Scuola Brescia
luisa@luisatreccani.it - www.luisatreccani.it
Una delle deleghe della Legge Buona Scuola nel 2015 aveva a oggetto la riscrittura del Testo
Unico, raccolta degli interventi legislativi riguardanti la scuola. Entro i termini previsti dalla delega non è stato ap-
provato il decreto, ma una commissione vi ha lavorato. Cerchiamo di ricostruire la storia e le ricadute di una even-
tuale conclusione del progetto*
.
Un po’ di storia
Attraverso la Legge Delega
121/1991, successivamente mo-
dificata dalla Legge 26/1993, il
Parlamento aveva autorizzato il
Governo a emanare entro il 30
aprile 1994 un Testo Unico delle di-
sposizioni legislative vigenti relative alle
scuole di ogni ordine e grado: il D.Lgs.
297/1994. Tuttora, tale raccolta è
ancora in vigore. Tutta la legisla-
zione confluita in quel Testo Uni-
co vige nella formulazione da es-
so risultante, mentre quella non
inserita resta ferma nella sua vi-
genza e quella contraria o incom-
patibile è stata abrogata.
L’intento di fondo era stato, al-
lora, coordinare disposizioni ta-
lora contrastanti o di ambigua
interpretazione, anche se il Te-
sto Unico non riesce a esaurire
la disciplina in materia di istru-
zione. Infatti, per avere un qua-
dro completo dal punto di vista
normativo, è indispensabile con-
siderare le seguenti altre fonti:
• le disposizioni in materia con-
trattuale, partendo dal D.P.R.
207/1987 fino al Contratto Col-
lettivo Nazionale di Lavoro del
comparto scuola dal 1995 ad
oggi;
• la disciplina del pubblico im-
piego che trova applicazione an-
che per il personale della scuola;
• tutte le norme di fonte secon-
daria escluse dal Testo Unico
perché la delega di cui alla L.
121/91 era riferita a disposizio-
ni di natura legislativa;
• gli interventi legislativi interve-
nuti successivamente a regolare
la materia scolastica.
Il contesto entro cui si anda-
vano susseguendo gli inter-
venti di riforma dopo l’entra-
ta in vigore del Testo Unico si
è aperto a un nuovo orizzonte:
l’Europa. Infatti, gli Accordi di
Maastricht (1992) cercavano di
definire materie sulle quali la-
vorare in sinergia tra Paesi: ma-
terie con uniformità piena, ma-
terie per le quali sono previste
azioni comuni, materie che pre-
vedono sistemi diversi con obiet-
tivi comuni tra cui istruzione e
formazione. Nell’incontro di Li-
sbona del 2000, il Consiglio eu-
ropeo ha riconosciuto che l’U-
nione si trovasse dinanzi a una
svolta epocale risultante dal-
la globalizzazione e dall’econo-
mia fondata sulla conoscenza:
partendo da queste premesse, la
Commissione Europea ha ela-
borato un progetto sui traguardi
comuni per i diversi sistemi U.E.
di istruzione e formazione.
Cerchiamo ora di ricostruire
sinteticamente i diversi inter-
venti di riforma succedutisi fino
ai giorni nostri.
Dopo la stagione riformatrice
dei Decreti Delegati del 1974, la
politica delle grandi riforme co-
nosce una fase di ristagno fino
circa agli anni 2000.
Il Ministro Berlinguer, alla
guida dell’Istruzione dal 1996 al
2000, tenta di marcare una di-
scontinuità con la politica degli
interventi spezzettati e parziali
dei governi precedenti. Pertan-
to, progetta una riforma dell’in-
tero sistema di istruzione, attuata
attraverso la “strategia del mo-
saico” composta da un insieme
organico di interventi normati-
vi capaci di delineare un nuovo
percorso di studi che vada dalla
scuola dell’infanzia alla seconda-
ria di secondo grado, alla forma-
zione post-diploma, all’educa-
zione degli adulti, all’università.
Nello specifico, la Legge Quadro
in materia di Riordino dei Cicli
dell’Istruzione, Legge 30/2000,
del ministro Luigi Berlinguer mi-
ra al riordino dei cicli di istruzio-
*
Per una sintesi dei temi, dei relativi
riferimenti normativi e della loro vigenza,
consultate il materiale disponibile sul sito
della rivista.
n. 5 – gennaio 2020 9 eas
L’obbligo formativo risulta
assolto entro i 18 anni. L’Art.
68 della Legge 144/1999 pre-
vede obbligo di frequenza di at-
tività formative sino al compi-
mento del 18° anno di età, con
la possibilità di assolvimento
nel sistema di istruzione scola-
stica, nel sistema della forma-
zione professionale delle Regio-
ni, nell’esercizio dell’apprendi-
stato, fino al conseguimento di
un diploma secondario o una
qualifica.
La XIV Legislatura affida il Mi-
nistero della Pubblica Istruzione
dal 2001 al 2006 a Letizia Mo-
ratti, che per la scuola auspica
un asse formativo facente perno
sulle tre “i”: Inglese, Impresa e
Informatica.
In quegli anni, matura, però,
la riflessione sulla stesura della
Indicazioni nazionali per i
piani personalizzati, in una
prima versione nel 2004, poi ri-
vista nel 2007, nel 2012 e cen-
trata su Cittadinanza e Costitu-
zione nel 2018.
Altro incisivo intervento è stata
la Legge Delega del 2003 at-
traverso cui il Ministro Moratti
ripresenta il suo progetto di ri-
forma degli ordinamenti scola-
stici, ma sotto forma di Legge
delega.
Viene così approvata la Legge
n. 53/2003 i cui Decreti e Rego-
lamenti attuativi hanno riguar-
dato le norme generali sull’istru-
zione e sui livelli essenziali delle
prestazioni in materia di istru-
zione e di formazione professio-
nale, l’istituzione di un unico si-
stema educativo di istruzione e
formazione, la valutazione de-
gli apprendimenti e della quali-
tà del sistema educativo, l’alter-
nanza scuola-lavoro.
ne, riorganizzando l’intero ordi-
namento scolastico secondo una
logica di sistema.
Le riforme avviate, poi, da me-
tà anni Novanta si sono basa-
te sul concetto di autonomia e
sull’apertura della scuola al
tessuto culturale del territorio e
del mondo, per superare la rigi-
dità che da decenni ha caratteriz-
zato il sistema scolastico italiano.
Infatti, attraverso la Riforma
Bassanini, Legge 59/1997 e
Legge 127/1997, si è avviato un
processo innovativo, con dele-
ga di funzioni alle Regioni, ac-
corpamento degli uffici, snelli-
mento delle procedure, control-
lo delle funzioni e non degli at-
ti, ampliamento dell’apertura al
territorio.
Nella scuola tale riforma ha tro-
vato espressione attraverso il
Regolamento dell’autono-
mia delle istituzioni scola-
stiche, il DPR 275/1999, che
ha comportato il riconoscimen-
to dell’autonomia funzionale al-
le scuole, contestualizzate nel
territorio e dotate di autono-
mia didattica, organizzativa, di
ricerca, di sperimentazione e di
sviluppo.
La Legge 9/1999 è intervenuta
sul tema obbligo di istruzio-
ne, elevandolo da 8 a 10 anni e
prevedendo che, durante l’ulti-
mo anno dell’obbligo, andasse-
ro promosse iniziative formative
sui principali temi della cultu-
ra contemporanea. Sono state,
inoltre, potenziate le azioni di
orientamento in vista del prose-
guimento degli studi e/o dell’in-
serimento nella formazione pro-
fessionale.
La legge 9/1999 è stata, poi,
abrogata dalla legge delega
53/2003.
In conseguenza di tale impo-
stazione la Legge 53/2003 ha
sancito che il diritto all’istru-
zione avrebbe potuto esse-
re attuato, una volta ultimata
la scuola media, anche presso
il sistema dell’istruzione e for-
mazione professionale garan-
tito dalle Regioni, a differen-
za di quanto stabilito dalla ri-
forma Berlinguer per la quale
l’obbligo scolastico era assolvi-
bile solo nel sistema scolastico.
Sono gli anni in cui si passa dal-
l’“obbligo scolastico” al “dirit-
to dovere all’istruzione e al-
la formazione”.
Al Ministro Moratti succe-
de Giuseppe Fioroni, in ca-
rica dal 2006 al 2008, che cer-
ca di smontare “con il metodo
del cacciavite” quelle disposizio-
ni che hanno frenato o ostaco-
lato i processi di trasformazione
della scuola e promuovere quei
processi che abbiano come tra-
guardo una maggiore efficienza
ed equità.
Nelle misure della Finanziaria
2007, la Legge 296/2006, ri-
partendo dalla legge di Berlin-
guer cancellata dalla Moratti,
ha portato l’obbligo scolastico
a 16 anni come compito dell’i-
struzione. Inoltre, si è investito
un forte impegno per persona-
lizzare i piani di studio, ridur-
re le responsabilità delle Regio-
ni sull’istruzione professionale,
promuovere una didattica al-
lineata alle direttive dell’Unio-
ne Europea basata sulle com-
petenze chiave di cittadinanza.
I provvedimenti scaturiti sono
stati i seguenti:
• D.M. 4018/2006, sospensio-
ne del nuovo ordinamento della
scuola secondaria superiore in-
trodotto da Moratti;
n. 5 – gennaio 202010eas
• Legge 1/2007, modifica delle
norme sullo svolgimento degli
esami di Stato, con un irrigidi-
mento che prevede la non am-
missione degli studenti con de-
biti formativi nel triennio non
saldati e il ritorno delle commis-
sioni miste;
• Legge 40/2007, riordino degli
Istituti tecnici e professionali;
• D.M. 2007, Indicazioni per il
curricolo per la scuola dell’infanzia
e per il primo ciclo d’istruzione.
Dal 2008 al 2011, altro tentati-
vo di riforma della scuola è stato
portato avanti dal Ministro Ma-
ria Stella Gelmini, con il pri-
oritario impegno a contenere i
costi con conseguenti interven-
ti di taglio al bilancio del mini-
stero.
Dei suoi interventi rimangono
in vigore l’insegnante prevalen-
te, la possibilità di scelta da par-
te delle famiglie di diverse pro-
poste orarie di funzionamento
della scuola d’infanzia e prima-
ria. Il D.L. 137/2008, Disposi-
zioni urgenti in materia di istruzio-
ne e università, convertito nella
Legge 169/2008, ha previsto il
ritorno del voto di condotta nel-
le scuole secondarie di primo e
secondo grado, il sistema deci-
male per valutare i risultati sco-
lastici degli alunni della scuola
primaria, abrogato a suo tempo
con la legge 517/1977.
Dal 2011 al 2013 il Ministro
Francesco Profumo ha dato avvio
a una vasta operazione di razio-
nalizzazione del sistema di istru-
zione, con tagli sul personale
scolastico, riduzione del nume-
ro delle cattedre, dimensionan-
do del tempo scuola, elimina-
zione delle sperimentazioni che
si sono andate accumulando nel
tempo in numero abnorme.
Una meteora può essere defini-
to il mandato del Ministro Ma-
ria Chiara Carrozza, dal 2013 al
2014, che, però, ha introdotto
significativi interventi sulla defi-
nizione di un organico maggior-
mente stabile per il sostegno.
Di questo periodo è anche la
nascita del Sistema Nazionale di
Valutazione attraverso l’appro-
vazione del DPR 80/2013.
Velocemente succeduta da Ste-
fania Giannini che con il Go-
verno ha dato il via alla cosid-
detta Buona Scuola.
Della stessa sono ancora in vigo-
re l’alternanza scuola-lavoro, ri-
definita nelle ore e ribattezzata
“percorsi per le competenze tra-
sversali e per l’orientamento”, la
card del docente finalizzata alla
formazione del personale, il bo-
nus premiale, i decreti attuativi
molti dei quali necessitano di un
ulteriore decretazione seconda-
ria per la loro piena attuazione.
Senso del decreto
Partiamo leggendo con atten-
zione cosa ha previsto la delega
della Legge 107/2015 all’Art. 1
commi 180 e 181:
c. 180. Il Governo è delegato ad
adottare, entro diciotto mesi dalla
data di entrata in vigore della pre-
sente legge, uno o più decreti legisla-
tivi al fine di provvedere al riordi-
no, alla semplificazione e alla
codificazione delle disposizioni
legislative in materia di istruzione,
anche in coordinamento con le dispo-
sizioni di cui alla presente legge.
c. 181. I decreti legislativi di cui al
comma 180 sono adottati nel rispet-
to dei principi e criteri direttivi di cui
all’articolo 20 della legge 15 marzo
1997, n. 59, e successive modifica-
zioni, nonché dei seguenti:
a) riordino delle disposizioni nor-
mative in materia di sistema nazio-
nale di istruzione e formazione at-
traverso:
1) la redazione di un testo unico del-
le disposizioni in materia di istru-
zione già contenute nel testo unico di
cui al decreto legislativo 16 Aprile
1994, n. 297, nonché nelle altre
fonti Normative.
Nel linguaggio giuridico i termi-
ni “riordino, semplificazione, co-
dificazione” hanno un significato
preciso che ora analizziamo.
• Riordino: coordinamento del-
le disposizioni di legge per riuni-
re disposizioni sparse e superare
incompatibilità tra le stesse.
• Codificazione: attività del po-
tere legislativo di uno Stato fina-
lizzata a raccogliere in un’ope-
ra uniforme e sistematica tutte
le norme di un particolare ramo
del diritto vigenti nello Stato, da
cui deriva, appunto il Codice.
• Semplificazione: processo di
riforma della normativa esisten-
te per fare chiarezza e ordine di
fronte alla stratificazione di in-
terventi legislativi su una deter-
minata materia.
Abbiamo, infatti, visto come dal
1994 a oggi si sono succeduti
molti interventi legislativi in ma-
teria scolastica, sul pubblico im-
piego e riguardanti materie che
coinvolgono, direttamente o in-
direttamente, la scuola. È, per-
tanto, indispensabile riprendere
in mano i diversi interventi legi-
slativi di questi anni e cercare di
mettere ordine nella stratifica-
zione normativa generatasi.
Lo strumento pensato dal legi-
slatore per realizzare tale obiet-
tivo è il Codice, introdotto con
la Legge 229/2003 agli Artt. 1 e
23, che ha abrogato l’Art. 7 del-
n. 5 – gennaio 2020 11 eas
Immaginiascuola - SitiUnescoItalia
Una delle porte in breccia corallina
la L. 50/2009, al fine di supera-
re una logica meramente conser-
vativa e compilativa, quale quel-
la del Testo Unico, e introdurre,
piuttosto, una logica di coordina-
mento, formale e sostanziale, de-
gli interventi legislativi.
Per coordinamento formale s’in-
tende lo sforzo per armonizzare
testi diversi, mentre per coordina-
mento sostanziale s’intende la ne-
cessità di introdurre anche nuove
disposizioni per aiutare nel rende-
re intellegibile la norma.
Lavori in corso?!
Come anticipato, nei mesi scorsi
è stata insediata una commissio-
ne di lavoro, articolata in quat-
tro sottocommissioni, a seguito
della delega al Governo per la
semplificazione e codificazione
in materia di istruzione, univer-
sità, alta formazione artistica,
musicale, coreutica e di ricerca.
Lo sforzo profuso è stato fina-
lizzato a raccogliere in un Co-
dice tutti gli interventi legislati-
vi in materia per approvare en-
tro due anni uno o più decreti
legislativi volti a raggiungere gli
obiettivi previsti dalla delega.
Nel frattempo è sopraggiunto il
cambio di Governo, quindi, non
sappiamo cosa sarà del lavoro
già svolto dalle commissioni e
dei tempi di attuazione.
Accanto agli interrogativi sul fu-
turo della commissione e del-
la delega, ci sono altre doman-
de riguardanti un nuovo Codice
della Scuola: cerchiamo di ap-
profondirle.
Si legge nella delega al Governo
una certa attenzione al riordino
degli organi collegiali territoria-
li e di scuola: come conciliare le
prerogative dirigenziali con le
funzioni degli organismi, evitan-
do sovrapposizione di funzioni?
Si interverrà sull’annosa que-
stione della composizione e dei
compiti dei diversi organismi?
Nella delega si chiede di razio-
nalizzare enti, agenzie e orga-
nismi di valutazione di scuola e
università: il futuro dell’Invalsi,
oggetto di discussione nei mesi
scorsi, in che termini sarà coin-
volto? Come si conciliano il te-
ma valutazione del sistema e gli
interventi legislativi sullo stesso
se le materie non fanno capo a
due enti indipendenti ma con-
centrate in un unico attore?
Come nel 1994, sarà indispen-
sabile fare riferimento ad altre
fonti normative per completare
il quadro, tra cui il CCNL com-
parto scuola: quale il rappor-
to intercorrente tra le leggi e il
contratto viste le condizioni de-
gli Artt. 1321 e 1372 del Codi-
ce Civile sulla validità del con-
tratto solo fra le parti firmatarie
rappresentative dei contraenti
e non erga omnes? Il legislato-
re introdurrà una inderogabilità
della legge sul contratto per al-
cuni temi o manterrà la prero-
gativa contrattuale sulle materie
giuslavoristiche oggi previste?
Su questi e molti altri interro-
gativi cercheremo di dare ri-
sposta, aggiornando sul futuro
del Codice sulla Scuola.
n. 5 – gennaio 202012
Sviluppo professionale
eas
Verso la normale diversità
di Elena Mosa, Indire Firenze
e.mosa@indire.it
La rubrica sullo sviluppo pro-
fessionale di questo mese trat-
ta di inclusione. Lo fa, però, in
una maniera particolare, ovvero
estendendo il concetto di inclu-
sione a tutti, nessuno escluso.
Il metodo di progettazione noto
come Universal Design for Le-
arning parte infatti dal presup-
posto che ogni individuo è por-
tatore di bisogni educativi spe-
ciali, che ciascuno di noi ap-
prende in maniera diversa e si
esprime con modalità diverse.
Ma cosa si intende, davvero,
con il termine “diverso”?
Per comprenderlo è opportu-
no riferirsi al concetto opposto,
quello di “normalità” per capi-
re quanto questo sia un costrut-
to arbitrario.
Frances Alles, uno degli esten-
sori del DSM IV (Diagnostic
and Statistical Manual) afferma:
«Gli esseri umani sono diversi
l’uno dall’altro per caratteristi-
che fisiche, emotive, intellettua-
li, attitudinali e comportamen-
tali, ma la nostra diversità non è
distribuita a caso.
Per ogni singolo tratto caratteri-
stico, continuativamente distri-
buito nella nostra popolazione,
siamo “normalmente” distribu-
iti sulla curva di Gauss.
Quoziente intellettivo, altezza,
peso, tratti di personalità, tut-
ti questi elementi si raggrup-
pano attorno a un giusto mez-
zo, mentre le deviazioni si si-
stemano simmetricamente sui
due lati.
Per riassumere il fenomeno in
modo economico e sistematico
si parla di Deviazione Standard
(DS): «un termine tecnico usa-
to in statistica per descrivere il
modo in cui i dati risultanti da
una misurazione si dispongono
in modo regolare e affidabile at-
torno alla media. […] Se in un
Paese in via di sviluppo ci sono
pochi operatori di salute menta-
le, solo gli individui gravemente
disturbati appariranno mental-
mente disturbati: allora, forse, il
confine verrà tracciato in modo
da avere solo l’un per cento de-
gli anomali. In una città come
New York, strapiena di terapeu-
ti, il livello richiesto per un di-
sturbo è decisamente più basso e
forse il confine verrebbe traccia-
to al 30 per cento o più. La co-
sa si fa completamente arbitra-
ria e la nostra bella curva non
ha modo di dirci dove tracciare
la linea di confine» (Alles, 2013,
pagg. 26-28).
A pensarci bene lo aveva già so-
stenuto Howard Gardner con la
teoria delle intelligenze multi-
ple, combattendo quello che Ia-
nes chiama “l’idealtipo medio”.
Invertire le logiche della pro-
grammazione per pianificare fin
dalle prime mosse modalità di-
versificate di accesso ai contenu-
ti, di manipolazione e interven-
to su di essi, di coinvolgimento
e motivazione può rivelarsi un
potente strumento nelle mani
dei maestri, degli educatori e dei
docenti.
Ce lo chiariscono le neuroscien-
ze che mostrano come le com-
ponenti di riconoscimento,
quelle esecutivo-motorie e affet-
tive attivino parti diverse della
corteccia cerebrale e del sistema
nervoso.
Questo significa che è necessa-
rio diversificare canali e modali-
tà di interazione e rappresenta-
zione della conoscenza.
Le maestre e i docenti che si
cimentano in un lavoro di que-
sta natura non stanno “so-
lamente progettando” ma si
stanno mettendo in cammi-
no verso traiettorie di svilup-
po professionale maturate sul
campo, fatte di prove e di er-
rori, di riflessione nell’azione,
di nuovi inizi.
Per approfondire
Frances A. (2013). Primo, non cu-
rare chi è normale. Contro l’inven-
zione delle malattie. Bollati Borin-
ghieri, Torino.
n. 5 – gennaio 2020 13 eas
Pensare UDL…
Ragione e passione nella scuola inclusiva di domani
di Giovanni Savia, docente
giovsavia@gmail.com
È vitale vivere nelle differenze (Canevaro, 2013, p. 127).
Attualmente fornire un’educazione inclusiva, equa e di qualità1
rappresenta, forse, la sfida più importante e stimo-
lante nel panorama dello sviluppo professionale, della ricerca educativa e della formazione dei docenti. Un ampio
panorama, dove diritti, valori e principi condivisi nel rispetto e nella valorizzazione di ogni diversità esistenziale in-
dicano la cornice concettuale nella quale disegnare operativamente lo sfondo inclusivo per accogliere tutti gli alunni e
costruire situazioni di apprendimento significative adeguate alle peculiarità di ogni persona. In questa nuova prospet-
tiva, un valido approccio che potrebbe aiutare concretamente ogni insegnante a riconoscere, garantire e sviluppare la
variabilità dei bisogni educativi personali presenti a scuola è, senza dubbio, quello dell’Universal Design for Le-
arning (UDL)2
. Un approccio che allarga la visione didattica e metodologica del fare scuola per tutti e che aiuta a
progettare all’insegna della flessibilità, della rimozione di barriere all’apprendimento e della promozione di benessere.
Le coordinate
Il cambiamento di paradigma
necessario a realizzare una scuo-
la inclusiva che accoglie tutti in-
terroga, prima di tutto, il nostro
atteggiamento mentale verso le
differenze, quell’esserci interio-
re che noi docenti scopriamo a
contatto con le molteplici rela-
zioni umane che si generano nei
contesti educativi.
Per questo, è di fondamentale
importanza capire che la scuo-
la, vissuta come autentica comu-
nità educante, contiene tutto ciò
che serve per costruire una so-
cietà migliore e che in essa i pro-
cessi comunicativi possono re-
almente trasformare il mondo
in positivo, in quanto, attraver-
so l’interazione delle sue com-
ponenti più attive (alunni, inse-
gnanti e genitori), si nutre, filtra
e promuove quel saper vivere che
Morin (2015) ci mostra in tutta
la sua affascinante complessità,
nella quale guardare la vita co-
me un tessuto che intreccia o al-
terna prosa e poesia. Ragione e
passione, intrinsecamente con-
nessi, di una nobile professio-
ne che illumina la condivisione
di un’avventura fatta anche di in-
certezze, di confronto con l’altro
nel bisogno di comprendere e di
essere compresi, al fine di svi-
luppare al meglio pensieri, azio-
ni, qualità e attitudini.
Il discorso di Morin apre al-
la profonda riflessione di un’i-
dea di educazione che non può
mai essere non inclusiva, un’e-
ducazione che ha bisogno so-
lo di rigenerarsi, di abbandona-
re la pochezza di quella rigidità
che usa pochi colori in contrasto
con la varietà della natura uma-
na, che deve ritrovare se stes-
sa nella sua vera essenza, nella
passione per un insegnamento
più travolgente e nella forza di
quel desiderio che, come eviden-
zia Recalcati (2014a; 2014b), ci
invita a riscoprire l’energia erotica
della lezione, ad amare chi im-
para e ad amare anche la stortura
della vita, «perché nella stortura
c’è la vita originale» (Recalcati,
2014b, p. 39), quell’irripetibile
singolarità di quello che siamo.
In educazione, spesso, ci tro-
viamo di fronte al fatto che non
esiste determinismo, le espe-
rienze sono sempre uniche in
quanto si generano dall’incon-
tro situazionale con l’altro, ed
è proprio in situazioni partico-
lari, considerate problematiche
che «gli alunni difficili possono
essere una straordinaria occa-
sione per fare piazza pulita del-
la muffa di una scuola troppo
ancorata alla metodologia del
passato. Con loro occorre dav-
vero cambiare impostazione.
[…] creare situazioni di coin-
volgimento, esperienze concre-
te e sociali, superare i confini ri-
stretti delle mura scolastiche e
aprire la conoscenza a tutte le
intelligenze possibili» (Novara,
2017, p. 180).
1
ONU (2015). Obiettivo n. 4 di Agenda
2030 per lo sviluppo sostenibile. https://
www.unric.org/it/agenda-2030.
2
Per approfondimenti: cast.org.
n. 5 – gennaio 202014eas
Il pensiero inclusivo esige un
agire comunicativo che riconosca
l’altro come valore e come di-
versità che arricchisce (Haber-
mas, 1981; 2013) ogni conte-
sto di vita, noi compresi. È indi-
spensabile muoversi dentro una
nuova logica pedagogica di par-
tecipazione e di giustizia sociale,
in grado di spostare lo sguardo
dalle categorie diagnostiche alle
ordinarie differenze delle perso-
ne, superare quella visione, an-
cora ristretta, del “modello ibri-
do” (Lascioli, 2014, p. 72), in
continua proliferazione di BES
e incontrare il naturale evolver-
si dell’ordinaria educazione alle
diversità o meglio i nuovi oriz-
zonti del concetto di inclusione
educativa che silenziosa dovreb-
be impregnare la nostra pratica
didattica.
Il perché di un
nuovo approccio
Partire da queste basilari con-
siderazioni concettuali ci con-
sente di abbracciare meglio il
cambio di mentalità necessario
per un ottimale sviluppo pro-
fessionale dei docenti nella pro-
pria comunità di pratica (Wenger,
2006), direttamente connessa al-
la progettazione in ottica UDL,
in quanto l’Universal Design for
Learning richiede un’intesa col-
laborativa tra insegnanti e mira
ad aprire nuovi scenari che cer-
cano di scavalcare il muro della
pianificazione individualizzata
etichettante, prescritta dietro cer-
tificazione medica.
L’approccio UDL, come sostie-
ne Mitchell (2014), racchiude
molti principi, integra più com-
ponenti e strategie attive ritenu-
te efficaci dall’evidenza, con ef-
fect size (Hattie, 2012) superiore
a 0.40 (aspettative degli alunni,
apprendimento cooperativo, va-
lutazione formativa, mappe e or-
ganizzatori grafici, metacogni-
zione, autoregolazione, assen-
za di etichette, tutoring, ecc.); e
pertanto conferma la definizio-
ne di “quadro di riferimento”
scientificamente fondato per la
pratica educativa in quanto ga-
rantisce flessibilità e riduce bar-
riere3
. Sostanzialmente, l’idea di
fondo è quella di spostare l’o-
biettivo dell’educazione sulla va-
riabilità sistematica del proces-
so di apprendimento sfidando la
discutibile pratica di diagnosti-
care ed etichettare persone (Ro-
se, Meyer, Gordon, 2014, p. 6),
per capovolgere completamente
la prospettiva della progettazio-
ne curricolare in direzione uni-
versale.
Un nuovo modello pedagogico
orientato al superamento del-
la categorizzazione degli alun-
ni (MIUR, 2018) con un insie-
me di principi basati sulla ricer-
ca per guidare la pianificazione
di ambienti di apprendimento
efficaci per tutti (cast.org). Am-
bienti permeabili e creati flessi-
bili per essere, fin dall’inizio,
accessibili a tutti, proponendo
molteplici forme di rappresen-
tazione, di coinvolgimento e
garantendo agli alunni la pos-
sibilità di agire ed esprimersi in
diverse modalità. Questo si ap-
plica non soltanto ai contenu-
ti, ma anche ai componenti es-
senziali del curricolo: obiettivi,
materiali, metodi e soprattutto
la valutazione.
Il cosa cambia
In pratica, il docente che si im-
merge nella logica UDL, dopo
avere interiorizzato i tre princi-
pi fondamentali e le linee guida,
apprende, cresce, progetta e re-
alizza percorsi formativi accessi-
bili, personalizzabili e finalizza-
ti esclusivamente a garantire op-
portunità di apprendimento ed
equità didattica a favore di tut-
ti gli alunni, allontanandosi da
quella scomoda taglia unica, one-
size-fits-all (cast.org), che rischia
di limitare l’espandersi dello svi-
luppo armonico della personali-
tà e/o di far scivolare attraverso
le fessure del mancato successo
scolastico molti alunni distribui-
ti ancora ai margini del percorso
educativo obbligatorio.
L’approccio UDL, partendo
dal concetto di variabilità, ri-
sponde focalizzando l’attenzio-
ne non sulle carenze dell’alun-
no ma sulle eventuali disabilità
del curricolo e sulle modalità di
azione che il docente porta con
sé dentro la classe. L’UDL, con-
siderato come un modello di ri-
ferimento didattico orientativo,
proattivo e mai prescrittivo, do-
vrebbe stare alla base della for-
mazione generale di ogni do-
cente e guarda sempre al po-
sitivo, al possibile, alle infini-
te potenzialità da individuare e
sviluppare negli studenti in ar-
monia con il contesto e con gli
altri. Un modello semplice e ric-
co di spunti riflessivi che vede il
bicchiere mezzo pieno concen-
trandosi di più sulla cura educati-
va, su ciò che ogni alunno/a po-
trebbe diventare, piuttosto che
al mezzo vuoto del problemati-
co o del difficoltoso.
Concretamente, progettare e
3
Higher Education Opportunity Act
(USA, 2008).
n. 5 – gennaio 2020 15 eas
realizzare UDL significa prin-
cipalmente spogliarsi di ogni ri-
gidità mentale legata ancora al
concetto di selezione degli alun-
ni per accogliere il concetto di
dilatazione del campo delle op-
portunità formative per tut-
ti, della comunità di apprendi-
mento e valutare costantemen-
te l’impatto delle nostre scelte
didattiche sugli studenti. Tutto
questo, attraverso feedback con-
tinui finalizzati essenzialmen-
te a migliorare i processi di in-
segnamento, rendere sempre
più visibile l’apprendimento (Hat-
tie, 2012) e quell’agire pedago-
gico plurale, creativo, fluido ed
efficace che contiene qualcosa
di magico ma sommerso, carat-
terizzante, anche inconsapevol-
mente, la vocazione di eccellenti
docenti (schema 1).
Il come progettare
Riguardo alla progettazione di
ambienti di apprendimento si-
gnificativamente inclusivi, per i
docenti appassionati è bene trar-
re ispirazione (Steele, 2009) dal-
le numerose indicazioni psico-
pedagogiche e dai continui ag-
giornamenti neuroscientifici dei
ricercatori del C.A.S.T.4
. Nel si-
to web cast.org vengono eviden-
ziate le validità teoriche e prati-
che dei tre principi, ampliate in
profondità le singole linee guida
e i checkpoints, che possono esse-
re mescolati e abbinati in base a
specifici obiettivi di contesto ne-
gli interconnessi elementi di svi-
luppo del curricolo, tracciando
le coordinate operative che sem-
pre più spesso portano a risulta-
ti apprezzabili anche nel nostro
Schema 1 - Principi e linee guida UDL
Lo schema grafico può essere utilizzato e sviluppato in modalità orizzontale, verticale, graduale con principi, linee
guida e punti di controllo interconnessi.
4
Center for Applied Special Technology.
Wakefield, MA (USA).
n. 5 – gennaio 202016eas
contesto (Savia, 2015; 2016;
2017 e 2018).
Nella prospettiva UDL sono i
curricoli a essere considerati po-
tenzialmente disabili in chi, in
cosa e in come insegnano, mai
gli alunni. Partire da questa non
indifferente considerazione de-
termina un’analisi progettua-
le che osserva ogni componen-
te del curricolo da una diversa,
multidimensionale e innovativa
angolatura, che con il passare
del tempo diventa molto stimo-
lante per i docenti e per gli alun-
ni coinvolti.
Dal punto di vista procedura-
le, per i docenti di qualsiasi or-
dine di scuola, dopo una lettura
delle linee guida nella sua ver-
sione integrale, è di fondamen-
tale importanza strutturare la
propria progettazione partendo
da obiettivi chiari, raggiungibi-
li, misurabili, connessi alla va-
riabilità dei bisogni educativi e
allo sviluppo degli alunni e svi-
lupparla con riferimento costan-
te ai tre principi associati alle re-
ti neurali affettive, di riconosci-
mento e strategiche coinvolte
nella dinamica relazionale ap-
prendimento-insegnamento.
In questo processo evolutivo a
spirale, la pianificazione di una
lezione UDL è orientata prio-
ritariamente a soddisfare la di-
versità delle esigenze formative
degli alunni e a valutare la qua-
lità della propria azione didatti-
ca, fornendo scaffolds, moltepli-
ci opzioni, scelte e percorsi con
metodi, materiali e strategie fles-
sibili, supportate anche dalle in-
novazioni tecnologiche disponi-
bili, tali da permettere a tutti gli
studenti di cogliere gli elemen-
ti essenziali della proposta, inte-
riorizzare i contenuti più signi-
ficativi e diversificare la propria
risposta personale.
La regia di tutto il percorso è as-
segnata principalmente al pro-
cesso valutativo formativo, au-
tentico e circolare, pensato per
individuare e rimuovere possi-
bili barriere, garantire flessibi-
lità, fornire feedback, calibrare
la qualità dell’intervento e riflet-
tere sui possibili miglioramenti
nell’ottica del pieno raggiungi-
mento del successo formativo di
ogni alunno (schema 2).
Quale conclusione?
Non siamo in grado di conclu-
dere il nostro discorso in modo
esaustivo perché ancora in viag-
gio, ma possiamo confermare
che l’approccio UDL ci traspor-
ta sul treno dell’innovazione di-
dattica, della sperimentazione
metodologica e della creativi-
tà educativa. Proprio quello di
cui abbiamo bisogno in questo
momento di transizione cultura-
le, un approccio umanizzante e
profondamente pedagogico che
ci fa sentire orgogliosi, passio-
nali e responsabili di essere con-
temporaneamente studenti, in-
segnanti e ricercatori di propo-
ste e soluzioni alternative perché
“non esiste mai consenso preli-
minare all’innovazione. Non si
va avanti a partire da un’opi-
nione media, che non è demo-
cratica, ma mediocratica. Si va
avanti a partire da una passione
creatrice. Ogni innovazione tra-
Schema 2 - Ciclo progettazione UDL
n. 5 – gennaio 2020 17 eas
sformatrice è all’inizio una de-
vianza. […] La devianza si dif-
fonde divenendo una tendenza
e poi una forza» (Morin, 2015,
p. 103).
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Immaginiascuola - SitiUnescoItalia
Una delle sale interne
n. 5 – gennaio 202018eas
Progettazione universale
per l’apprendimento
Una strategia per la didattica inclusiva
di Ginevra Lituani, Laureata in psicologia, educatrice socia della cooperativa ARCA
ginevra.lituani@gmail.com
L’UDL è una palestra per l’allenamento degli insegnanti alla creatività, al fine di favorire i diversi stili cognitivi
degli alunni nell’apprendimento; richiede ai professionisti della formazione di pensare a più modalità di presenta-
re, esprimere e coinvolgere gli studenti. L’obiettivo di questo approccio inclusivo è di dare eque opportunità a tutti gli
alunni, attraverso una progettazione didattica personalizzata, abbattendo le barriere dell’apprendimento.
Universal Design for Learning
è un modello che guida al pro-
cesso di inclusione, intesa co-
me partecipazione alla vita
scolastica di tutti gli studenti,
in cui le distanze tra normale e
speciale vengono ridotte nella
prospettiva di una «speciale nor-
malità» (Ianes, 2006). Centrali
sono le differenze nella varie-
tà delle normali modalità di re-
lazionarsi in situazioni di ap-
prendimento. Nella scuola la
variabilità individuale è la re-
gola, non l’eccezione; se la pro-
gettazione educativa è pensata
solo per l’alunno medio è desti-
nata a non avere risultati sod-
disfacenti. La diversità nel mo-
do di apprendere fa parte di
una normalità che caratteriz-
za l’essere umano in genera-
le, sia i normodotati che i di-
sabili. Nell’impostazione stan-
dard, gli studenti con difficoltà
si devono adattare al currico-
lo: o intraprendono un percor-
so speciale, oppure il rischio è
che si ritrovino in difficoltà per
tutto il percorso di studi.
L’UDL ha lo scopo di abbat-
tere le barriere dell’apprendi-
mento fin dall’inizio, facendo
in modo che i contenuti di ap-
prendimento siano accessibili
a tutti. La concezione di ugua-
glianza, anche se ha una con-
notazione positiva, tratta allo
stesso modo persone che so-
no diverse, negando le diffe-
renze in nome di un’uniformi-
tà che nella realtà non esiste; è
più adeguato, invece, il termi-
ne equità, cioè fornire pari op-
portunità, non quindi una dif-
ferenziazione quantitativa del
compito, ma una differenzia-
zione qualitativa; un approc-
cio, pertanto, che con la sua
«universalità, poggia decisa-
mente sui valori etici, delle pari
opportunità e dell’equità» (Ia-
nes, 2015).
Sono gli educatori a dover met-
tere in pratica questo proces-
so educativo inclusivo, acqui-
sendo e migliorando le proprie
capacità, con l’obiettivo di fa-
re scuola per tutti: apprenden-
do e sviluppando le competen-
ze, usando tecniche innovative
e tecnologiche, inquadrando
ogni singolo allievo all’interno
di una relazione e di una co-
municazione dialogica, mira-
ta all’arricchimento reciproco,
che venga sostenuta e valoriz-
zata. Quando un insegnante/
un educatore progetta un’atti-
vità formativa, deve fare i conti
fin dall’inizio con il fatto che gli
studenti hanno modalità di ap-
prendimento molto diverse. Bi-
sogna pensare da subito a una
pluralità di modi per presenta-
re un contenuto, a più modi in
cui il discente si potrà esprimere
e agire in quell’apprendimento.
Compito dell’insegnante sarà
fornire diversi stimoli di moti-
vazione a imparare, concen-
trandosi sull’alunno e sul suo
stile cognitivo: sarà così facilita-
to il processo di apprendimen-
to consentendo a ognuno di svi-
luppare competenze reali. Il fo-
cus è sulla flessibilità e sulla per-
sonalizzazione degli interven-
ti, che permetta agli studenti di
progredire dal punto in cui si
trovano a quello in cui possono
arrivare, mantenendo aspettati-
ve elevate per tutti gli studenti.
I componenti del curriculum
della progettazione universale
dell’apprendimento sono:
n. 5 – gennaio 2020 19 eas
• gli obiettivi, le aspettative
dell’apprendimento: il curricu-
lum in questo caso si basa sulla
formazione di “studenti esperti”
cioè strategici, capaci, orientati
all’obiettivo, determinati e mo-
tivati;
• i metodi basati sulla variabilità
dello studente, del contesto e del
compito, sulle risorse di ognuno
che andranno adattate in base ai
progressi raggiunti;
• i materiali, che offrono stru-
menti e supporti per analizza-
re, dimostrare e organizzare la
comprensione in più modalità;
• la valutazione, che pone l’at-
tenzione sull’obiettivo e non sui
mezzi utilizzati per raggiungerlo
(linee guida UDL CAST).
Avviene così un capovolgi-
mento di prospettiva nel mo-
do di pensare la progettazio-
ne educativa, che non parte
da etichette (alunno disabile,
BES, DSA ecc.) ma dal con-
cetto di persona, senza discri-
minazione nei processi di in-
segnamento. L’UDL assimila,
include e accresce tramite tre
concetti connessi tra loro: di-
sabilità, educazione inclusiva
e uso delle tecnologie. L’uso
delle tecnologie elimina le bar-
riere favorendo un’educazio-
ne disponibile, raggiungibile
da tutti, in quanto il contenu-
to è versatile (capace di adattarsi
a diversi compiti), trasformabile
(un contenuto può passare da
un formato all’altro, per esem-
pio trasformando il testo scrit-
to in suono; inoltre con la digi-
talizzazione un contenuto può
essere evidenziato nella scelta
di alcune sue parti); collegabile
(capace di collegarsi con altri
contenuti e scambiarsi infor-
mazioni).
Applicabilità
alla scuola primaria
Facciamo un esempio: se la le-
zione è da proporre a un alun-
no affetto da una severa ipoacu-
sia, sappiamo che le sue difficol-
tà saranno legate all’ascolto e al-
la produzione scritta e orale del
linguaggio. È necessario quindi
fornire:
1) molteplici mezzi di rappresenta-
zione, ad esempio, presentando
all’alunno una lezione di geo-
grafia non tramite il classico li-
bro di testo, ma mostrandogli
delle carte geografiche e delle
immagini con brevi didascalie,
oppure dei video con sottotitoli,
per offrire alternative alle infor-
mazioni uditive (studenti ben in-
formati e pieni di risorse);
2) molteplici mezzi di azione e di
espressione. L’accesso alla rete o
a un dizionario illustrato posso-
no facilitare l’apprendimento di
questo alunno, che ha bisogno di
maggiori stimoli visivi e di mino-
ri stimoli scritti e orali. A secon-
da dei suoi ritmi di esposizione
e assimilazione della lezione, è
possibile personalizzare le pause
e il ritmo di lavoro in modo che
risultino adeguati e che l’alunno
sia stimolato ma non sopraffatto
dal lavoro. Alla fine del modulo
didattico potrebbe essergli utile
lavorare attivamente, sostenuto
dal/la maestro/a, a una presen-
tazione in power-point su quan-
to trattato (studenti strategici e
orientati alla meta).
3) diversi mezzi di coinvolgimento.
Ci sono, infine, diversi modi per
sollecitare e motivare l’alunno,
ad esempio: coinvolgerlo nel fis-
sare i suoi personali obiettivi di-
dattici e comportamentali, inco-
raggiare la suddivisione in obiet-
tivi a lungo e a breve termine,
fornire feedback rivolti allo svi-
luppo dell’efficacia e dell’auto-
consapevolezza (studenti moti-
vati e determinati).
Applicabilità alla
scuola dell’infanzia
Facciamo un esempio riferito
all’intero gruppo classe. Imma-
giniamo di proporre l’argomen-
to della formazione dei colori
secondari. Dovremo fornire:
1) molteplici mezzi di rappresen-
tazione: con una storia narra-
ta, cantando una canzone, mo-
strando un filmato, presentando
delle immagini tematiche, per
costruire, alla fine, in gruppo,
un cartellone con i colori pri-
mari e i derivati da appendere
in aula;
2) molteplici mezzi di azione e di
espressione: il passaggio succes-
sivo è un’attività laboratoriale
con i colori, per farli sperimen-
tare, per stimolare la creatività
dei bambini con varie tecniche
(mischiando le tempere e poi
usandole per fare un disegno;
utilizzando il pongo: un piccolo
pezzo di colore primario a ogni
bambino, che lo può scambiare
e condividere ‒ favorendo così
la cooperazione ‒ manipolando
due colori primari e ottenendo
così il colore secondario; un col-
lage sovrapponendo carte veline
sottili, per vedere quali colori si
ottengono; attività esplorative in
spazi esterni e interni alla ricer-
ca dei colori, proponendo gio-
chi come “strega comanda co-
lore”...)
3) diversi mezzi di coinvolgimento: ri-
porto alcuni esempi tratti dalle
linee guida UDL: ottimizzare la
scelta individuale e l’autonomia,
n. 5 – gennaio 202020eas
svolgere attività di supporto che
incoraggino l’autoriflessione, for-
nire compiti che permettano la
partecipazione attiva, l’esplora-
zione e la sperimentazione, cre-
are un clima di accettazione e di
aiuto in classe coinvolgendo tut-
ti i bambini, differenziare il gra-
do di difficoltà o complessità con
il quale si possono completare le
attività, creare gruppi di appren-
dimento cooperativo con obietti-
vi, ruoli e responsabilità chiare.
Per concludere, è dovere e re-
sponsabilità di ogni educatore
individuare i canali di appren-
dimento consoni ai propri al-
lievi, soprattutto quelli più in
difficoltà, per consentire a tut-
ti pari opportunità di succes-
so formativo all’interno della
scuola.
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Progettazione universale
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Immaginiascuola - SitiUnescoItalia
Dettaglio di una bifora
a2a.eu
Persone, energia, ambiente,
nuove tecnologie per disegnare il futuro.
Siamo parte del tuo mondo, ogni giorno.
Perché la tua città è la nostra città.
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n. 5 – gennaio 202022
Ricerca
eas
Il metodo EAS
incontra l’app DEPIT
di Alessandra Carenzio, ricercatrice di Didattica presso l’Università Cattolica
del Sacro Cuore di Milano e membro del Centro di Ricerca CREMIT
L’articolo che occupa la Ru-
brica dedicata alla ricerca af-
fronta il tema della micro-pro-
gettazione attraverso un’espe-
rienza internazionale: la speri-
mentazione DEPIT, legata al
modello di Diana Laurillard (il
Conversational Framework).
Rimando all’articolo di Maila
Pentucci per descrizioni e con-
testo, per evitare ripetizioni,
sfruttando questo spazio per
presentare alcuni dati raccolti
in Università Cattolica, grazie
alla disponibilità di un grup-
po di studenti di Scienze della
Formazione Primaria coinvol-
to nella sperimentazione sul
fronte degli studenti (come si
vedrà, larga parte della ricer-
ca ha coinvolto insegnanti in
aula).
Si tratta del corso tenuto dal
prof. Rivoltella, ovvero Di-
dattica e tecnologie dell’istru-
zione.
Il gruppo ha usato la app, poi-
ché composto da futuri inse-
gnanti di scuola primaria, do-
po averla sperimentata duran-
te le lezioni nel loro ruolo ef-
fettivo di studenti universita-
ri con un focus preciso, su cui
ci soffermiamo, ovvero l’uso
dell’app quando si progetta
secondo il metodo EAS a loro
conosciuto, perché oggetto di
una porzione del corso.
Gli studenti hanno compilato
una griglia di analisi, comu-
ne ai partner della sperimen-
tazione per poter attuare un
confronto tra gli elementi re-
stituiti, consentendoci di rac-
cogliere 81 valutazioni com-
plete.
Cosa è emerso rispetto a que-
sto nodo (APP+EAS)?
Gli studenti, progettando per
EAS con la app, hanno valu-
tato in maniera molto positiva
lo strumento di progettazione,
identificandolo come “realisti-
co” rispetto al metodo.
La domanda “Come valuti
la app quando progetti con il
metodo EAS?” (con una sca-
la da 1 = non soddisfacente a
6 = completamente soddisfa-
cente) ha raccolto nei valori 4,
5 e 6 il maggior numero di ri-
sposte (la metà sul versante 5
e 6).
La motivazione viene ricon-
dotta a tre elementi, che l’ar-
ticolo che segue ci spiega nel
dettaglio quando si sofferma
sulla presentazione del model-
lo e della struttura della app
DEPIT.
In prima battuta, la app con-
sente di fare riferimento espli-
cito a una struttura chiara (nei
livelli), come richiesto dal me-
todo EAS. Le tre fasi, infatti,
non sono ipotetiche oppure
opzionabili, bensì costituisco-
no il senso del percorso che il
metodo ci consente di proget-
tare e condurre in aula.
In seconda battuta, la app con-
sente di raccogliere ‒ in un so-
lo ambiente ‒ molti strumen-
ti e materiali, come spesso ri-
chiesto dall’EAS nel momento
in cui fornisco stimoli diversi
in entrata oppure metto a di-
sposizione elementi a soste-
gno dell’apprendimento per il
raggiungimento degli obietti-
vi nelle fasi dell’EAS che ab-
biamo progettato (penso ai job
aids).
Infine, chiede agli insegnan-
ti di seguire un percorso non
improvvisato nella micro-pro-
gettazione, cosa che evidente-
mente non implica di abban-
donare il lato creativo dell’in-
segnamento ‒ ben evidente
nel processo di design ‒ ma di
focalizzare l’attenzione su ciò
che potrebbe mancare o essere
migliorato nel corso dell’azio-
ne didattica stessa.
n. 5 – gennaio 2020 23 eas
L’applicazione DEPIT
Uno strumento per il visual design in classe
di Maila Pentucci, assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Scienze della Formazione
dell’Università di Macerata, collaboratrice al progetto internazionale DEPIT cofinanziato
da Erasmus+.
L’articolo riflette sul tema della micro-progettazione a partire dall’esperienza condotta con una rete internazionale di
scuole e università nell’ambito del progetto DEPIT (Design for Personalisation and Inclusion with Technologies) fi-
nanziato dalla Comunità Europea, che ha dato origine a una sperimentazione didattica associata alla app omonima.
Il lavoro svolto, anche in fase di progettazione dell’app, risponde all’esigenza di coprire i diversi livelli di progetta-
zione didattica messi in atto a scuola, garantendo una continua ricorsività nel passaggio dal micro al macro design
e rendendo evidenti gli elementi di coerenza tra un livello e l’altro.
Introduzione
La dimensione della progettazio-
ne è una delle competenze im-
prescindibili comprese nel pro-
filo del docente professionista.
Progettare è un processo com-
plesso e articolato che nei con-
testi di insegnamento-apprendi-
mento riveste un ruolo essenzia-
le, non solo perché contribuisce
a organizzare e li-nearizzare i
percorsi all’interno delle episte-
mologie disciplinari e dei cam-
pi di competenza da svi-luppare,
ma anche e soprattutto perché
sostiene sia il docente che lo stu-
dente nel corso dell’azione didat-
tica. Progettazione e azione sono
oggi due momenti fortemente
interrelati e quasi indistinguibi-
li: la complessità dei contesti at-
tuali infatti non permette di trac-
ciare percorsi rigidi e prefissati,
ma necessita di framework flessi-
bili e continuamente ristruttura-
bili, sia attraverso la regolazione
dell’azione didattica, sia attra-
verso la riprogettazione che de-
riva da una riflessione costante
in azione e post-azione.
«La classe oggi si presenta
“complessa” per vari motivi:
differenze culturali e sociali, la
presenza di diversi bisogni edu-
cativi, di diverse abilità e com-
petenze. Contemporaneamente
le scelte di chi educa, oggi, sono
rese difficili dall’impossibilità di
prevedere il mondo di domani e
le professionalità del futuro. Po-
chi i punti fermi: il professioni-
sta di domani, più che abile ad
applicare routine sperimentate,
dovrà saper leggere la propria
esperienza per elaborare nuove
modalità operative, nuovi sape-
ri, nuove prospettive. Essere di-
vergente e saper creare nuovi
saperi sono due competenze che
il professionista di domani deve
possedere e che la scuola deve
favorire e tener presente quan-
do progetta e realizza i suoi per-
corsi» (Rossi, 2016, p. 14).
Tali differenze cognitive ed
esperienziali tra gli studenti, ol-
tre agli oggetti multimodali pre-
senti nella didattica, pongono
l’esigenza di processi personaliz-
zati e individualizzati, legati al
contesto, e richiedono una pro-
gettazione complessa, situata e
soprattutto esplicita.
Per questo il Visible Design può
essere una modalità progettua-
le efficace, che rende l’insegna-
mento visibile allo studente, e
può reificare in senso topologico
la trasposizione didattica attra-
verso l’uso di organizzatori gra-
fici che rappresentano tanto le
micro-attività quanto il percor-
so generale, macro, sostenendo
l’orientamento e la consapevo-
lezza degli studenti e l’organiz-
zazione e la riflessione degli in-
segnanti.
L’applicazione DEPIT
Da tali premesse nasce il pro-
getto DEPIT (Design for Per-
sonalisation and Inclusion with
Technologies), finanziato dal-
la Comunità Europea. Il pro-
getto vede la partecipazione
di tre reti di scuole (due italia-
ne e una andalusa), la software-
house Infofactory, associazioni
di settore e quattro università:
l’University College of London
dove lavora Laurillard, il cui
Conversational Framework è la
base teorica del progetto (Lau-
rillard, 2012); l’Università di
Macerata, che è capofila e ave-
va realizzato progetti di Visible
design (Rossi, 2017); l’Universi-
tà Cattolica del Sacro Cuore di
n. 5 – gennaio 202024eas
Milano, dove lavora Rivoltel-
la che ha promosso il metodo
EAS (Rivoltella, 2016) e l’Uni-
versidad de Sevilla.
Il progetto è finalizzato alla im-
plementazione di una applica-
zione libera e gratuita per gli in-
segnanti che ne fanno richiesta,
utilizzabile sia su pc che su di-
spositivi mobili, per il learning
design.
L’applicazione produce, in for-
ma di organizzatori grafici, arte-
fatti di progettazione utilizzabili
anche durante l’azione didatti-
ca, in classe con gli studenti. Ta-
li prodotti visuali, rappresentati
in forma di mappe lineari o di
altra forma liberamente strut-
turabile dal docente-progetti-
sta, sono profondi, cioè possono
essere organizzati in livelli suc-
cessivi, uno dentro l’altro. Tali
mappe sono costituite da sche-
de grafiche modificabili e scrivi-
bili, all’interno delle quali si pos-
sono caricare anche materia-
li multimediali, come file di te-
sto, video, immagini, link, ecc.;
una volta costruiti e salvati, tali
artefatti possono essere aperti e
utilizzati anche offline. Questo
è un valore aggiunto dell’app,
che risponde a un’esigenza fon-
damentale espressa dai docenti,
in quanto le scuole non sempre
dispongono di una connessione
alla rete stabile in tutti gli spa-
zi. Una volta sincronizzati, gli
artefatti possono essere letti su
dispositivi differenti (dal dispo-
sitivo personale del docente, al
pc dell’aula, a quello del labora-
torio) semplicemente accedendo
con il proprio account.
I livelli principali degli artefatti
sono tre:
1) livello curricolo, costituito da
schede modulo;
2) livello modulo, costituito da
schede sessione;
3) livello sessione, costituito da
schede attività.
Tale differenziazione risponde
all’esigenza di coprire i diversi
livelli di progettazione didatti-
ca che il docente mette in atto a
scuola e consente di attivare una
continua ricorsività nel passag-
gio dal micro al macro design
rendendo evidenti gli elementi
di coerenza tra un livello e l’al-
tro, tra il percorso annuale del-
la disciplina e la singola attività
quotidianamente agita in aula
(fig. 1).
La coerenza tra i vari livelli è as-
sicurata dal verso delle card, che
tramite la funzione di editing
vengono compilate dal docente
progettista. Le card presentano
diversi campi, alcuni rigidi e al-
tri flessibili, che contemporane-
amente guidano la progettazio-
ne in base alle premesse pedago-
gico-didattiche proprie del qua-
dro teorico entro cui si colloca
lo strumento e lasciano all’inse-
gnante la libertà di inserire altre
notazioni per lui significative.
In particolare, è possibile inse-
rire descrizioni libere e tag per
classificare il modulo/lezione/
attività, ma anche scegliere, at-
traverso un menu a discesa, la
competenza di riferimento, defi-
nire gli obiettivi e, nelle card at-
tività che descrivono l’operativi-
tà in aula, si può indicare il tipo
di apprendimento tra quelli pro-
posti da Laurillard (2012) e la ti-
pologia di Teaching and Lear-
ning Activity (Laurillard, 2004)
che il docente intende mettere
in atto.
Lo sviluppo e le release dell’ap-
plicazione, disponibile nella sua
versione 5.0 al sito www.depit.
eu, è stato portato avanti attra-
verso un confronto continuo tra
ricercatori, che hanno definito il
background pedagogico-didatti-
co di riferimento, docenti delle
scuole, che hanno sperimentato
l’applicazione in classe eviden-
ziandone punti di forza e di de-
bolezza su cui lavorare, e tecni-
Figura 1 - I tre livelli dell’artefatto progettuale
n. 5 – gennaio 2020 25 eas
ci sviluppatori del software, che
hanno reificato le successive ri-
chieste e le istanze pedagogiche
di riferimento.
La metodologia applicata all’in-
tero progetto è infatti quella del-
la Design-Based Research nel-
la sua estensione della Design-
Based Implementation Re-
search (DBIR), la cui appli-
cazione in campo educativo
consente la collaborazione tra
teorici e pratici per implemen-
tare e migliorare contesti e arte-
fatti innovativi. La DBIR è una
metodologia sistematica ma fles-
sibile, che si articola nei seguenti
step: progettazione, implemen-
tazione sul campo, analisi degli
effetti e riprogettazione (Wang
& Hannafin 2005).
In base a tale metodologia è sta-
ta condotta la sperimentazione
in aula dell’applicazione, con lo
scopo di potenziare l’artefatto
nella sua veste di Graphic Orga-
nizer da utilizzare anche in clas-
se e farlo diventare un vero sup-
porto quotidiano all’organiz-
zazione d’aula, attraverso una
particolare cura dedicata al la-
yout delle card di progettazione.
Ciò per consentire di connette-
re, anche visivamente, i vari li-
velli di granularità del currico-
lo e della progettazione didatti-
ca, da quella globale, di scuola,
a quella disciplinare dell’inse-
gnante, a quella quotidiana del-
la lezione. Inoltre, l’applicazio-
ne doveva contribuire a poten-
ziare i percorsi di inclusione e
personalizzazione da attivare in
aula e soprattutto essere sosteni-
bile per i docenti, ovvero intu-
itiva nell’uso, con ampie possi-
bilità di riutilizzo e condivisione
degli artefatti prodotti e con un
ruolo importante di repository e
aggregatore dei molti materia-
li che il docente deve ogni gior-
no portare con sé in aula per co-
struire la lezione e renderla ac-
cessibile a tutti gli alunni (Fedeli,
Pennazio, Pentucci, 2018).
La sperimentazione
nelle scuole
La prima sperimentazione
dell’applicazione è durata cir-
ca due anni scolastici e ha coin-
volto oltre 200 insegnanti, im-
pegnati su diversi piani. Prima
di iniziare i lavori di sviluppo
dell’applicazione sono stati som-
ministrati questionari per capire
quali fossero i bisogni e le idee
dei docenti rispetto alla proget-
tazione, sia in dimensione ma-
cro che in dimensione micro.
Ne è emerso un quadro interes-
sante e inaspettato: la maggio-
ranza dei docenti percepisce la
progettazione curricolare come
un’incombenza burocratica, fa-
ticosa e complessa, ma con scar-
sissime o nulle ricadute sull’a-
zione didattica. I docenti produ-
cono invece progettazioni “gri-
gie”, informali, che li guidano
nella loro didattica quotidiana,
sia per il lungo periodo (quadri-
mestre o mese) sia per l’imme-
diato (il canovaccio della lezione
quotidiana). Tali progettazioni
sono spesso condivise con colle-
ghi delle classi parallele o della
stessa disciplina e vengono re-
datte nelle forme più varie: ap-
punti, mappe, descrizioni, sche-
mi, tabelle. Si evidenzia inoltre
un numero piuttosto elevato di
docenti, soprattutto dei gradi
scolastici più alti, che non pro-
getta e va in aula con un’idea di
ciò che deve fare, portando con
sé al massimo materiali sciolti
da utilizzare durante la lezione
oppure che preferisce seguire la
progettazione implicita suggeri-
ta dal manuale.
I bisogni espressi invece erano
quelli di un modello di progetta-
zione snello e sostenibile, adat-
to soprattutto ad aggregare ma-
teriali. Molti docenti, quelli che
hanno compreso i limiti dell’u-
tilizzo esclusivo del manuale,
compongono le proprie lezioni
con molti frammenti, materiali
ricercati in rete o in riviste e testi
specializzati, che necessitano di
una strutturazione in una nar-
razione lineare, legata a preci-
si obiettivi e orientata verso tra-
guardi di competenza.
Inoltre, uno dei principali biso-
gni era poter mostrare agli stu-
denti il percorso pensato, in mo-
do da esplicitare le attese del pro-
cesso di apprendimento e aiutar-
li a prendere consapevolezza di
ciò che era stato già fatto e di ciò
che ancora era da fare.
L’applicazione, sviluppata se-
guendo tali premesse e soprat-
tutto basata a livello teorico sui
principi ispiratori del Conver-
sational Framework di Diana
Laurillard, è stata fin dalla pri-
ma versione consegnata ai do-
centi perché la provassero in au-
la, con i propri alunni.
Dopo un anno scolastico di spe-
rimentazione costante, duran-
te il quale gli insegnanti hanno
costruito i loro percorsi disci-
plinari con l’applicazione DE-
PIT, sono state raccolte opinio-
ni ed evidenze rispetto all’utiliz-
zo, alla usabilità, ai vantaggi e
agli svantaggi di tale strumento.
È stato somministrato prima un
questionario a risposte sia chiu-
se che aperte e sono stati effet-
tuati alcuni focus group, guidati
n. 5 – gennaio 202026eas
dalle ricercatrici impegnate nel
progetto, con lo scopo di capire
le seguenti questioni:
a) la portata trasformativa
dell’app nelle modalità di pro-
gettazione dei docenti. Tali
cambiamenti si esplicitano sia
prima dell’azione ‒ in quanto
gli insegnanti sostengono di ave-
re acquisito una maggiore con-
sapevolezza della relazione tra
i vari livelli di progettazione e
una immediata visualizzazione
dei molteplici fili rossi ‒ che in
termini di saperi o di competen-
ze attraversano le singole attivi-
tà didattiche;
b) l’efficacia della dimensione
visuale dell’artefatto progettua-
le per gli studenti. Questo con-
sente, da un lato, un maggiore
orientamento nei percorsi pro-
gettati dai docenti dovuto alla
visualizzazione topologica del
processo, dall’altro la possibilità
di generare essi stessi trasforma-
zioni nella progettazione veden-
do il proprio apporto reificato
nell’artefatto.
Durante la discussione nei focus
group in particolare si è chiesto
ai docenti di riflettere sugli effet-
ti osservati, tanto sugli studenti
che sui docenti, nei casi in cui le
mappe progettuali prodotte con
l’applicazione fossero state co-
stantemente condivise in aula, a
supporto dell’orientamento nel
percorso disciplinare.
I docenti hanno evidenziato
una percezione di sicurezza ga-
rantita dagli artefatti: il percorso
sempre disponibile e ripercorri-
bile, sia in fase di progettazione
che di azione, consente di muo-
versi meglio e di avere il polso
della situazione in maniera sta-
bile e documentata, con una
maggiore facilità di gestione dei
tempi e di articolazione di per-
corsi alternativi o personalizzati.
Altro punto di forza è stata la
capacità dell’applicazione di ag-
gregare e organizzare i materia-
li: essa ha sostituito le memorie
mobili utilizzate di solito e ha
permesso di recuperare e strut-
turare più facilmente le varie ri-
sorse e i mediatori, in base ai va-
ri moduli e alle varie sessioni in
cui i docenti avevano strutturato
la progettazione, con possibilità
di riutilizzo, archiviazione e do-
cumentazione delle singole le-
zioni e dell’intero percorso.
Altrettanto positivi sono stati gli
effetti osservati rispetto agli stu-
denti: la condivisione del per-
corso formativo ha reso gli stu-
denti più sicuri, consapevoli e
meno ansiosi rispetto al futuro,
poiché la mappa anticipa ciò
che verrà fatto nei giorni suc-
cessivi. Obiettivi e traguardi,
ben esplicitati nei vari livelli del-
la progettazione visuale, risulta-
no chiari e possono orientare lo
studio e la preparazione, soprat-
tutto negli studenti più grandi.
Il progetto prevede un secondo
anno di sperimentazione appe-
na avviato, durante il quale sa-
ranno in particolare messe sotto
osservazione le nuove possibili-
tà dell’ultima versione dell’ap-
plicazione, ovvero la condivisio-
ne degli artefatti progettuali tra
docenti, attraverso una ammini-
strazione dello spazio di archi-
viazione e progettazione delega-
ta ai singoli istituti, i quali posso-
no organizzare lo strumento per
classi e condividere i prodotti
con la segreteria, per consentir-
ne la documentazione.
Si cercherà di comprendere
inoltre quanto la progettazione
tramite l’app consentirà ai do-
centi di creare una connessione
tra micro e macro, ovvero di ri-
trovare nelle attività quotidiane
la coerenza generale del percor-
so organizzato per competen-
ze disciplinari e trasversali nella
sua globalità.
Altro elemento importante è
quello legato alla trasformativi-
tà: il docente adatta l’app ai suoi
modelli mentali o è indotto/gui-
dato a modificare tali modelli
dall’artefatto?
Infine, si cercherà di capire se la
reificazione e la visualizzazione
del percorso di classe potranno
contribuire ad attivare una po-
stura riflessiva nel docente, sia
in azione sia dopo l’azione, fa-
vorendo la regolazione e la ri-
progettazione, condivisa anche
con gli studenti (fig. 2).
Figura 2
n. 5 – gennaio 2020 27 eas
Riferimenti
bibliografici
Fedeli L., Pennazio V.,
Pentucci M. (2019). A Digital
Map as a Representational Tool
Implications for the Instructional
Design Process. In A. Luigini
(Ed.), Proceedings of the 1st
International and Interdisciplinary
Conference on Digital Environments
for Education, Arts and Heritage.
EARTH 2018 (pp. 608-617).
Springer, Heidelberg.
Laurillard D. (2004). Rethinking
the teaching of science. In R.
Holliman & E. Scanlon (Eds.),
Mediating science learning through
information and communications
technology (pp. 27-50).
Routledge, London.
Laurillard D. (2012). Teaching
as a design science. Building
Pedagogical Patterns for Learning
and Technology. Routledge.
London.
Rivoltella P.C. (2016). Che
cos’è un EAS. L’idea, il metodo,
la didattica. La Scuola,
Brescia.
Rossi P.G. (2016). Progettazione
didattica e professionalità docente.
PROPIT: l’artefatto progettuale
come mediatore didattico. In P.G.
Rossi & C. Giaconi (Eds.),
Micro-progettazione: pratiche
a confronto. PROPIT, EAS,
Flipped Classroom (pp. 13-38).
FrancoAngeli, Milano.
Rossi P.G. (2017). Visible
Design. In «Revista Fuentes»,
19(2), pp. 23-38.
Wang F., Hannafin, M.J.
(2005). Design-based research
and technology-enhanced learning
environments. In «Educational
technology research and
development», 53(4), pp. 5-23.
Immaginiascuola - SitiUnescoItalia
Il castello è visibile anche da lontano
n. 5 – gennaio 202028
Didattica delle discipline
eas
Lesson planning
di Pier Cesare Rivoltella
La parola-chiave che accomuna
i contributi di didattica discipli-
nare di questo numero è micro-
progettazione. Si tratta di una del-
le due facce del design didattico,
come lo abbiamo messo a fuoco
nello scorso numero.
La prima, quella della macro-
progettazione, descrive il tratto
di strada che l’insegnante per-
corre lavorando sulle Indicazio-
ni Nazionali per declinarle in
modo da individuare per ogni
traguardo di competenza le sue
dimensioni, i criteri per valutar-
le, gli indicatori che ne defini-
scono il possesso. La micropro-
gettazione parte da dove la ma-
cro si è arrestata. Si tratta di sce-
gliere su quali indicatori lavora-
re e poi di immaginare l’attività
da svolgere in classe con gli stu-
denti. In contesto anglosasso-
ne questa attività viene definita
lesson planning: essa consiste nel
pianificare la lezione, ovvero nel
capire in che ordine disporre
le microattività, quali materiali
utilizzare, quando prevedere le
pause, cosa far fare alla classe e
cosa, invece, consegnare al lavo-
ro dell’insegnante.
L’ideale, soprattutto per l’in-
segnante ai primi passi nella
carriera, sarebbe di pianifica-
re queste azioni in modo espli-
cito, ovvero mettendole su car-
ta, o su supporto digitale. “Scri-
vere la lezione” non è pedante-
ria, né un’attività inutile: serve
a fare bene i conti con i tempi,
a prevedere il carico cognitivo,
a immaginare quali attività sia-
no più indicate per i diversi tipi
di contenuto che si sceglie di af-
frontare.
Gli articoli di questo mese si
possono usare in due modi.
Il primo è di andare al contenu-
to e all’attività che vengono pro-
posti, farsi suggerire un modo
per affrontarli: è il modo classi-
co in cui l’insegnante si è sempre
servito della “programmazione
svolta” contenuta sulle pagine
delle riviste di aggiornamento
professionale. Ma c’è anche un
altro modo. Un modo “metadi-
dattico”. Esso consiste nel non
lavorare sul cosa ma sul come.
Se si guadagna questo sguar-
do di secondo livello, allora ci si
rende conto del lavoro metodo-
logico che, ciascuno con la pro-
pria specificità, gli autori hanno
fatto sulla loro disciplina. Sug-
geriscono un metodo, non del-
le attività.
L’ultima attenzione è a non per-
dere mai di vista il livello macro.
È importante, anche per la clas-
se, che mentre si lavora nel micro
il riferimento alla mappa generale
del percorso, al disegno generale
su cui si sta lavorando, sia sempre
presente. Un movimento di anda-
ta e ritorno che fa la differenza,
che qualifica il bravo insegnante.
Riferimenti
bibliografici
Sulla microprogettazione
si consiglia di vedere: Rossi
P.G., Giaconi C. (eds.) (2016).
Microprogettazione: pratiche a
confronto. PROPIT, EAS, Flipped
Classroom. FrancoAngeli,
Milano.
Il volume è pubblicato in
open access ed è scaricabile
gratuitamente a questo
indirizzo: http://ojs.francoangeli.
it/_omp/index.php/oa/catalog/
book/149.
Immaginiascuola - SitiUnescoItalia
Il castello in una stampa della seconda metà del XIX secolo
n. 5 – gennaio 2020 29 eas
La questione
pedagogica
Al termine della seconda o all’i-
nizio della terza primaria di-
venta fondamentale promuove-
re nei nostri alunni un atteggia-
mento mentale utile ad affronta-
re lo studio della storia, andan-
do a mobilitare competenze e
abilità di osservazione e analisi,
capacità di formulazione e con-
fronto di ipotesi, comprensione
di cosa sia una fonte e sviluppo
di capacità critica per leggerla e
interpretarla, il tutto ovviamen-
te calibrato sui limiti e le carat-
teristiche di un bambino tra i 7
e gli 8 anni.
Le guide e i sussidi didattici ci
forniscono senza dubbio degli
ottimi suggerimenti che spesso,
però, privilegiano il concetto
di fonte, trascurando in parte
quegli altri aspetti che ritenia-
mo fondamentali per comin-
ciare a formare una “mentali-
tà storica”. Per questo motivo,
ho ritenuto fondamentale,
in prima istanza, confrontar-
mi con un esperto in mate-
ria; credo infatti che prende-
re l’abitudine di interfacciarsi
con altre professionalità, per
essere aiutati a cogliere aspet-
ti epistemologici e metodologi-
ci di discipline che non sempre
conosciamo a fondo, possa ri-
velarsi fondamentale per ela-
borare attività didattiche cen-
trate e rigorose rispetto alla di-
sciplina.
Dovendo avvicinare i bambi-
ni alla preistoria, come da In-
dicazioni Nazionali, mi rivolgo
al Museo di Archeologia Ligu-
re per incontrare l’archeologa
Francesca Chiocci alla quale ho
illustrato il mio “problema” di-
dattico-pedagogico. Ecco, in nu-
ce, la sua intuizione: gli archeo-
logi, spesso, trovano i “rifiuti della
preistoria”: il fondo di una capan-
na abbandonata per ragioni difen-
sive, armi o attrezzi dismessi, tracce
lasciate involontariamente: a partire
da quelli, essi cercano di ricostrui-
re contesti d’uso, abitudini, modi di
vita dell’uomo antico. E se partis-
simo proprio dei rifiuti? I bambi-
ni potrebbero osservare e analizza-
re un sacchetto di rifiuti, classificare
gli oggetti in base alla loro categoria
di utilizzo, fare ipotesi circa l’iden-
tità e le abitudini di chi ha prodot-
to quell’immondizia. In tal modo si
troverebbero in una situazione-pro-
blema adatta a traguardare quel-
le abilità e competenze che ci siamo
prefissati.
La questione
didattica
Ma come rendere appetibi-
le e sfidante per dei bambi-
ni un sacchetto di rifiuti? Per-
ché mai dovrebbero mettere le
mani nella spazzatura di altri,
pur intendendo per spazzatu-
ra quel che oggi classifichiamo
come plastica, carta, vetro o
secco residuo e non certo l’u-
mido?
È necessario un lancio per l’at-
tività che catturi l’attenzione
dei bambini, una sfida che li
motivi all’azione. Come spes-
so accade, l’idea viene per as-
sociazione: rimettendo a posto
la piccola biblioteca di classe,
mi capita tra le mani una co-
pia illustrata degli Aristogatti;
la apro per controllarne l’inte-
grità e lo sguardo cade sui gat-
ti amici di Romeo che vivono
proprio tra i rifiuti.
Ecco l’idea, lo sfondo integra-
tore all’interno del quale or-
ganizzare le attività finalizza-
te a raggiungere gli obiettivi
di partenza: sarà proprio un
gatto randagio a chiedere ai
bambini di aiutarlo a risolve-
re un’importantissima missio-
ne! Il gatto rivelerà ai bambi-
ni di aver trovato tra i rifiuti
un cuccioletto abbandonato;
quel gattino è così piccolo che
ha bisogno di una famiglia che
si prenda cura di lui… ma co-
me trovare la famiglia giusta,
rispettosa degli animali in cui
Dai rifiuti… alla storia
Un caso di microprogettazione
di Stefano Bertora
n. 5 – gennaio 202030eas
il gattino possa trovarsi a suo
agio? (fig. 1).
La tecnologia
come alleata
Qualche “abilità tecnologica,”
che ormai possediamo qua-
si tutti, mi viene in aiuto nella
creazione di una serie di slide
per la LIM. Predispongo co-
sì una narrazione animata in
cui Yellow (il gatto randagio)
chiede ai bambini di aiutarlo
in questa ricerca. Come? Ana-
lizzando i sacchetti della spaz-
zatura che le molte famiglie del
quartiere producono.
Una volta che i bambini hanno
accettato la sfida, Yellow pro-
pone un esercizio collettivo di
metodo di lavoro: adesso sono
tanti piccoli detective che do-
vranno imparare a leggere i ri-
fiuti come se fossero tracce e re-
perti in base ai quali ricostruire
la “storia” di chi li ha prodotti.
Sulla LIM appare così un bi-
done dell’immondizia in cui ci
sono diversi oggetti. Gli stes-
si dovranno essere analizzati e
classificati attraverso la compi-
lazione di una scheda con i se-
guenti campi:
Oggetto:
Materiale:
Funzione:
Ipotesi circa i possibili
contesti d’uso:
Il coinvolgimento
dei genitori
Terminata la fase di lancio
dell’attività, per passare alla
fase laboratoriale, occorre pre-
disporre una discreta quanti-
tà di sacchetti della spazzatu-
ra reali (non più virtuali sulla
LIM) su cui i bambini comin-
cino a fare le loro osservazioni.
Il contenuto di ogni sacchetto
deve essere pensato in modo
da facilitare la deduzione lo-
gica circa la composizione fa-
migliare e le possibili attività
dei componenti, osservazioni
in base alle quali i bambini po-
tranno decretare se quella fa-
miglia è adatta o meno a ospi-
tare il micio trovatello.
È necessario allora recupe-
rare anche quei rifiuti (come
una scatola di biscotti per ca-
ni, o una confezione terminata
di antistaminico) che, facendo
presupporre la presenza di un
cane o di un soggetto allergico,
scoraggeranno la scelta di quel-
la famiglia.
In questa fase, il fatto che l’in-
segnante si faccia aiutare dai
genitori (ovviamente all’oscu-
ro dai bambini) facilita enor-
memente la raccolta di varie
tipologie di rifiuti e consente il
coinvolgimento delle famiglie
in un lavoro che potrebbe de-
stare perplessità. Condividere i
percorsi, esplicitare e chiarire le
scelte didattiche e il senso delle
attività, rendere i genitori par-
te attiva del percorso formativo
dei loro figli è una delle strade
per creare sinergia tra scuola e
famiglia.
Il lavoro di gruppo:
tra problem solving
e learning by doing
Una volta “confezionati” i va-
ri sacchetti, i gruppi di picco-
li detective si mettono ad ana-
lizzare i singoli elementi e per
ognuno viene compilata una
scheda come quella presenta-
ta alla LIM nella fase prece-
dente. Le discussioni si anima-
no, sia relativamente alla fun-
Figura 1
n. 5 – gennaio 2020 31 eas
zione sia, soprattutto, circa le
ipotesi sulla composizione fa-
migliare e su probabili eventi
occorsi alla famiglia il giorno
in cui hanno prodotto quei ri-
fiuti. Il gioco del se… allora for-
se… aiuta i bambini nella for-
mulazione di possibili inter-
pretazioni, ma la negoziazio-
ne all’interno del gruppo non
è sempre facile.
In questa fase, la proposta di
una nuova attività collettiva
guidata assume la duplice fun-
zione di promuovere una rifles-
sione sulla relatività e la plausi-
bilità di un’ipotesi e di essere al
contempo occasione per forni-
re un modello per la successiva
sessione di lavoro.
L’oggetto della riflessione
collettiva diventa un sacchet-
to, appositamente accantona-
to, sul quale i bambini sono in-
vitati a fare le loro considera-
zioni; il docente avrà il ruolo
di registrare i vari interventi e
far notare come anche ipotesi
diverse possono essere accol-
te purché plausibili: in man-
canza di ulteriori prove o indi-
zi, che confermino l’una o l’al-
tra ipotesi, dobbiamo imparare
ad accogliere più possibili
verità.
Si invitano inoltre i bambi-
ni a tentare di trasformare in
una sorta di narrazione la se-
rie di congetture emerse: “Se
nell’immondizia c’è una schiu-
ma da barba, un rossetto e la
scatolina di un ciuccio, allora
forse quella famiglia è com-
posta da tre persone: un pa-
pà, una mamma e un bambi-
no piccolo. Poiché ci sono due
biglietti del teatro forse quella
sera sono andati a uno spetta-
colo, cosa abbastanza probabi-
le visto che il rossetto ci dice
che la mamma si è truccata per
farsi più bella; anche se non
c’è nulla che ce lo può confer-
mare, avranno chiamato una
babysitter, perché i bambi-
ni piccoli che usano il ciuccio
non si possono portare a tea-
tro…” eccetera.
Terminata questa fase di la-
voro collettiva si invitano i va-
ri gruppi a rappresentare gra-
ficamente una delle situazioni
emerse, andando a creare una
sorta di pannello in cui ogni
“disegno-situazione” sarà col-
legato attraverso un filo colo-
rato all’oggetto che ha permes-
so di ipotizzarla.
Forti delle riflessioni sulla rela-
tività delle ipotesi e avendo co-
me modello la narrazione co-
struita collettivamente, potran-
no ritornare nei gruppi per ela-
borare la narrazione suggerita
dai rifiuti in loro possesso, cre-
ando una sorta di pannello co-
me quello realizzato con l’intero
gruppo classe. Al termine, i va-
ri gruppi potranno confrontare
le loro “storie-ipotesi” per deci-
dere quale sia il nucleo familiare
più adatto ad ospitare il gattino
trovatello.
Didattica viva
e flessibile
La collaborazione con l’esper-
ta archeologa porta una novi-
tà: “Considerato tutto il mate-
riale raccolto, perché non pro-
viamo a costruire un museo
dei rifiuti?”. L’idea è troppo
ghiotta per non coglierla ma,
per renderla una nuova sfida,
invito l’archeologa in classe:
sarà lei a proporlo direttamen-
te ai bambini.
Francesca viene a trovarci, si
fa raccontare l’esperienza con-
dotta fino a quel momento e
comincia a far emergere un
parallelo tra la sua professio-
ne e quello che hanno fatto i
bambini.
Fa comprendere che la spaz-
zatura è importante perché
ha avuto il potere di racconta-
re delle storie. Dalla sua borsa
emergono due reperti archeo-
logici: una punta di lancia e un
ago in pietra. Si tratta di due
cose semplici che raccontano
storie straordinarie di lunghe
ed estenuanti battute di caccia
per procurarsi il cibo e di duro
lavoro per cucire le pelli e con-
fezionare abiti per proteggersi
dal freddo.
Quei reperti, provenienti da
un lontano passato, hanno una
loro collocazione al museo di
archeologia e allora perché
non rendere altrettanto nobi-
li i reperti/rifiuti, costruendo
una specie di museo?
Prima di realizzarlo insieme a
loro, invita i bambini a recar-
si al museo di archeologia per
capire com’è costruito un vero
museo.
I bambini vengono guidati a
cogliere le diverse modalità
di esposizione degli oggetti, in
particolare si insiste sulla diffe-
renza tra “vetrine collezione”
che raggruppano tutti gli og-
getti aventi la medesima fun-
zione e “le vetrine ricostruzio-
ne d’ambiente” e “vetrine con-
testo”.
I bambini ricordano che nel-
le loro schede di classificazio-
ne anche loro hanno prestato
attenzione alla funzione dell’og-
getto (fig. 2).
Pensare UDL... ragione e passione
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Pensare UDL... ragione e passione

  • 1. Nuovi percorsi disciplinari Garantire equità didattica a ogni alunno Individuare adeguati canali di apprendimento per tutti design didattico 5 20 ISSN2611-3635 gennaio RivistadiaggiornamentoprofessionaleperilPrimoCiclodiIstruzione
  • 2.
  • 3. n. 5 – gennaio 2020 Editoriale 1 eas “Abbiamo anche noi il nostro negro. Ma oggi ha segnato, è stato bravo, lo abbiamo applaudito”. Paro- le registrate dai giornali un paio di mesi fa, raccolte da un capo-curva di una squadra del nostro massi- mo campionato. Si stava giustificando per spiegare che no, loro non ce l’avevano con il “negro” della squadra avversaria, che non l’avevano fischiato e riempito di ululati perché “negro”, ma perché della squadra avversaria: tant’è vero che il “negro” lo avevano anche loro e, appunto, dopo il goal lo aveva- no applaudito. Si possono ricavare molte indicazioni da questo fatto di cronaca sportiva quotidiana. La prima indicazione è che per molte persone, nel nostro Paese, una persona di colore rimane comun- que un “negro”. E non ci si vergogna di usare il termine, non ci si rende conto che il problema non è solo linguistico, lessicale: il significato delle parole dipende dal contesto in cui le si usa e il contesto, nel caso della parola in oggetto, è sempre di disprezzo. Seconda indicazione. La persona di colore in questione può essere buona o cattiva. È buona se sta dal- la nostra parte, è cattiva se sta con gli altri. In ogni caso questo non cambia la sua natura, non ne pro- muove in qualche modo l’appartenenza: rimane di colore, anche se buona (almeno fino a quando non sbaglierà una rete già fatta a pochi metri dalla porta…). Terza indicazione. Dietro all’epiteto razzista, dietro alla logica del disprezzo, lavora comunque un di- spositivo di costruzione identitaria. Noi siamo noi e non ci si può confondere con gli altri. La ragione di questo dispositivo non è tanto la paura del diverso (come spesso si spiega), quanto piuttosto la paura che integrandosi diventi come noi. Non è la diversità a fare paura, ma l’identità. Se “loro” diventano come “noi” potranno portarci via le nostre donne, il nostro lavoro, le nostre case. È la paura della crisi mi- metica che lavora sotto traccia, direbbe René Girard: ecco perché occorre marcare bene le differenze. Archeologia della memoria Gabriele Nissim, fondatore e animatore di Gariwo Network e dei Giardini dei giusti che si stanno mol- tiplicando in tutto il mondo, ha paura di quella che lui chiama archeologia della memoria. Diviene arche- ologica la memoria quando si traduce in stanca ripetizione, in compito da assolvere, in una data da ri- cordare. Come tutte le cose celebrate a lungo, la memoria rischia di convertirsi in tradizione – come direbbe Benjamin – perdendo completamente il suo significato. Vale anche per la Shoah, per gli altri grandi genocidi di cui la storia dell’umanità è punteggiata: se divengono archeologia della memoria per- deranno il loro significato. Ma come si fa a evitarlo? La risposta è che occorre imparare a riconoscere le tracce del male assoluto tra le pieghe dell’ordinario. L’uomo, come osserva Pascal, è angelo e bestia. La bestia è spesso confinata in uno strato remoto della nostra mente, dove sopravvivono il pregiudizio verso gli ebrei, la paura dell’uomo nero, o degli zingari. Sono idee respirate da piccoli, sono gli avvertimenti dei nonni quando ti avventuravi per le prime volte per strada da solo, sono le false credenze che in ogni società sempre riguardano chi non è dei nostri. Ba- sta poco per liberarla, la bestia. I social sono lì a documentare questa verità, se è vero che spesso anche la persona più misurata rischia di farvisi trascinare in derive aggressive, violente, oscene. L’indulgenza in questi casi non serve. Non serve dirsi che non era quella l’intenzione, che in fondo non è razzismo, o Fare memoria di Pier Cesare Rivoltella
  • 4. n. 5 – gennaio 20202eas che il Male assoluto è altra cosa, perché quel male può rinascere proprio da sintomi che sembrano tra- scurabili. È già successo, perché non dovrebbe succedere di nuovo? Fare memoria serve a ricordare in ogni momento che proprio da questa trascuratezza si è spalancato l’abisso: la memoria non è celebrazione periodica, è responsabilità attiva vissuta nel quotidiano. Educare alla responsabilità Un “Giusto delle Nazioni” è, originariamente, qualcuno che ha salvato dalla deportazione e dalla mor- te certa degli ebrei durante il nazifascismo. Giusti – come Perlasca, o Schindler – sono questi uomini perché “chi salva una vita, salva il mondo intero” e perché lo hanno fatto a rischio della loro stessa vita. Nissim ha proposto una duplice correzione di rotta rispetto a quest’idea. La prima è che si possano ri- tenere giusti tutti coloro che hanno salvato una vita, non necessariamente di un ebreo, ma in qualsi- asi situazione in cui la vita sia stata o sia tuttora minacciata dalla violenza, dal pregiudizio, dal male. La seconda è che questa giustizia non debba per forza ammantarsi di eccezionalità. È la responsabilità nell’ordinario che rende tale il giusto, è quel che fa rispondere il filosofo ceco Patocka a chi gli chiedeva perché proprio lui dovesse farsi carico della resistenza al regime comunista: “E se non io, chi?”. Ho sempre trovato questa risposta magnifica. Essa raccoglie tutto il senso del principio-responsabilità: la consapevolezza del tempo opportuno, la percezione di una convocazione, la certezza di non potersi sottrarre. Se non io, chi? Memoria, responsabilità, cittadinanza La Giornata della Memoria, dunque, non è e non deve essere archeologia. Essa non celebra il ricordo di quel che è successo tanti anni fa, ma suggella la responsabilità che siamo chiamati tutti, ogni giorno, ad assumerci. Educare alla responsabilità serve a costruire la cittadinanza. È importante farlo in una società come quella attuale in cui la mediazione della tecnologia può far cedere alla tentazione di lasciare che la tec- nologia medi anche il fatto di rispondere in prima persona delle proprie scelte. Succede quando non si ha il coraggio di dire qualcosa e ci si nasconde dietro lo schermo; ma anche quando si partecipa a me- tà, accontentandosi di esprimere un like, senza sporcarsi le mani, senza farsi veramente carico delle si- tuazioni. E succede quando non si prende posizione, quando si giustifica tutto col dire che in fondo non c’era l’intenzione, quando non si ha il coraggio di dissociarsi, di dare alle cose il loro nome perché po- trebbe renderci impopolari. Insegnare la responsabilità vuol dire crescere i Giusti di domani. Non eroi cui richiedere gesti straordi- nari, ma persone responsabili nella normalità. Non solo. Persone resistenti, ovvero attivisti che vivono nel quotidiano la loro militanza, attenti a ogni piccola piega in cui possa annunciarsi il male. Mi piace pensare che tutto questo si possa costruire già dalla prima infanzia e che poi si continui a costruirlo ne- gli anni della crescita. Come insegnanti non possiamo dire che “non ce ne care”, come avrebbe detto Don Milani se lo avessimo interpellato al riguardo. Riferimenti bibliografici Nissim G. (2018). Il bene possibile. Essere giusti nel proprio tempo. UTET, Torino. Pascal B. (2010). Pensieri. Rizzoli, Milano.
  • 5.
  • 6. n. 5 – gennaio 20204eas Direttore: Pier Cesare Rivoltella Segretaria di redazione: Silvia Faini Comitato Scientifico: Giovanni Biondi (INDIRE), Fabio Bocci (Università di RomaTre), Giovanni Buonaiuti (Università di Cagliari), Iole Caponata (Docenti virtuali), Giuseppe Corsaro (Insegnanti 2.0), Luigi Guerra (Università di Bologna), Pierpaolo Limone (Università di Foggia), Daniela Maccario (Università di Torino), Elisabetta Nanni (Insegnanti 2.0), Elisabetta Nigris (Università di Milano Bicocca), Loredana Perla (Università di Bari), Federica Pilotti (Docenti virtuali), Pier Giuseppe Rossi (Università di Macerata), Maurizio Sibilio (Università di Salerno), Davide Zoletto (Università di Udine). Comitato di Redazione: Paola Amarelli, Asteria Bramati, Enrica Bricchetto, Gianna Cannì, Alessandra Carenzio, Letizia Cinganotto, Emanuele Contu, Greta Lacchini, Vincenza Leone, Silvia Maggiolini, Laura Montagnoli, Elena Mosa, Ennio Pasinetti, Stefano Pasta, Elena Piritore, Marco Roncalli, Raffaella Rozzi, Alessandro Sacchella, Luisa Treccani, Elena Valgolio. Coordinamento referee: Sara Lo Jacono (per le sezioni: Essere professionisti a scuola, Sviluppo professionale, Ricerca, Didattica delle discipline, Fare scuola, Dirigere scuole e buone pratiche di sistema) Autori in redazione: Elena Amodio, Monica Arrighi, Angelo Bertolone, Stefano Bertora, Caterina Bruzzone, Claudia Canesi, Ornella Castellano, Silvia Cattaneo, Laura Comaschi, Manuela Delfino, Chiara Friso, Angela Fumasoni, Paolo Gallese, Pamela Giorgi, Claudio Lazzeri, Michele Marangi, Rita Marchignoli, Paola Martini, Paola Massalin, Antonella Mazzoni, Isabella Ongarelli, Francesca Panzica, Maila Pentucci, Livia Petti, Eva Pigliapoco, Francesca Davida Pizzigoni, Sofia Poeta, Jenny Poletti Riz, Giuseppina Rizzi, Ivan Sciapeconi, Anna Soldavini, Isa Sozzi, Elena Valdameri, Pietro Zacchi. essere a scuolaRivista di aggiornamento professionale per il Primo Ciclo di Istruzione e a s Il metodo EAS incontra l’app DEPIT di Alessandra Carenzio, p. 22 L’applicazione DEPIT di Maila Pentucci, p. 23 Ricerca Verso la normale diversità di Elena Mosa, p. 12 Pensare UDL… di Giovanni Savia, p. 13 Progettazione universale per l’apprendimento di Ginevra Lituani, p. 18 Sviluppo professionale Nella valutazione, la progettazione di Emanuele Contu ed Ennio Pasinetti, p. 59 La valutazione è una progettazione a ritroso di Luciana Ferraboschi, p. 60 Dirigere scuole e buone pratiche di sistema Editoriale Fare memoria di Pier Cesare Rivoltella, p. 1 Essere professionisti a scuola Il Testo Unico delle norme sulla scuola di Luisa Treccani, p. 8 ISSN 2611-3635 Lesson planning di Pier Cesare Rivoltella, p. 28 Dai rifiuti… alla storia di Stefano Bertora, p. 29 Ecco il quadrato! di Francesca Baresi, p. 33 Micro-progettare nella classe di lingua straniera di Letizia Cinganotto e Vincenza Leone, p. 38 Didattica delle discipline Mantenere la memoria storica per costruire la cittadinanza di Alessandro Sacchella, p. 42 Shoah: lo sguardo dei bambini di Pietro Zacchi, p. 43 Il filo della memoria di Marcella Bonfietti et alii, p. 52 Fare scuola Immaginiascuola Castel del Monte p. 6
  • 7. n. 5 – gennaio 2020 5 eas Progetto grafico di copertina Monica Frassine Impaginazione Overtime di Olivia Ruggeri Quote di abbonamento Abbonamento annuale 2019/2020 (10 fascicoli) Italia: € 60,00 Europa e bacino del Mediterraneo: € 105,00 Paesi extraeuropei: € 129,00 Fascicoli singoli: € 8,00 Abbonamento digitale: € 39,00 (iva incl.) Istruzioni per il download dei materiali sul sito www.morcelliana.it Modalità di pagamento Abbonamento Italia – Versamento su ccp n. 385252 – Bonifico: UBI Banca spa - Iban IT94W0311111205000000003761 Causale: Abbonamento “Essere A Scuola” anno … – Ordine tramite sito web: www.morcelliana.it – Addebito su Carta del Docente International Subscription – Sales Office: tel. +39 030 46451 - Fax +39 030 2400605 e-mail: abbonamenti@morcelliana.it – Online Catalogue: www.morcelliana.it PER INFORMAZIONI Editrice Morcelliana srl Via G. Rosa, 71 25121 Brescia, Italia Tel. +39 030 46451 Fax +39 030 2400605 e-mail: abbonamenti@morcelliana.it Dossier materiali e strumenti Lo sviluppo del senso critico a scuola di Elena Piritore, p. 65 Stimolare il pensiero libero, autonomo, indipendente di Elena Piritore, p. 66 Sullo scaffale Uno Scaffale “ordinato” (con l’aiuto della nonna) di Stefano Pasta, p. 74 Pl@ntNet: da studenti a citizen scientists di Martina Migliavacca, p. 75 Google Keep di Rita Marchignoli, p. 77 La nonna di Pitagora di Elisa Marchisoni, p. 79 Il Glossario p. 81 Storie della scuola Maestre di Pamela Giorgi, p. 88 Inquadrature di Media Education Regole in autonomia di Federica Pelizzari e Irene Mauro, p. 85 Comunicazione digitale a scuola con Google Classroom di Rita Marchignoli, p. 83 Comunicare la scuola Nello zaino dell’insegnante Quel tratto da fine bricoleur che non può mancare di Cosimo Laneve, p. 91 Pratiche inclusive Extensive Reading di Antonella Conti, p. 93 Mente, corpo, cervello L’essere vivente come entità globale di Greta Lacchini, p. 100 Pratiche 0-6 Accompagnare i primi passi di Elisabetta Musi e Laura Sesenna, p. 97 Fare community Le Community danno i numeri di Elisabetta Nanni e Federica Pilotti, p. 102
  • 8. n. 5 – gennaio 20206eas Scheda Unesco Data d’iscrizione: 1996 Edificato nel XIII secolo su ordine dell’imperatore Federico II, nell’Italia meridionale, vicino a Bari, questo castello è un esempio unico nel suo genere dell’architettura militare medievale. La sua collocazione, la perfezione delle sue forme e la precisione matematica e astronomica del suo progetto rendono evidente il desiderio del sovrano di farne un simbolo dei suoi ambiziosi disegni. Castel del Monte rappresenta una perfetta fusione tra le forme architettoniche dell’antichità greco-romana, quelle dell’Oriente musulmano e quelle del gotico cistercense dell’Europa settentrionale. Castel del Monte Immaginiascuola - Siti Unesco Italia Il passato Castel del Monte, fatto costruire ad Andria (Ba) nel 1240 dall’im- peratore Federico II di Hohen- staufen – diventato sovrano del Regno di Sicilia all’età di 4 an- ni e consacrato imperatore nel 1220 a 22 anni –, da secoli susci- ta l’interesse di storici ed esperti, per la sua originale architettura ottagonale, unica nel suo gene- re, apparentemente non desti- nata esclusivamente a funzio- ni militari, poiché sprovvista di fossato, caditoie e ponte levato- io, ma priva anche di una cap- pella, di cucine, di scuderie o di alloggi per il personale. Sorto, presumibilmente, con l’e- vidente interesse, da parte del sovrano, di amalgamare tradi- zioni orientali e occidentali e di suscitare ammirazione e stupore sia negli alleati che nei nemici, ancora oggi è al centro di inter- rogativi e di indagini, anche per le leggende fiorite sulla sua edi- ficazione. Collocato dove forse sorge- va una precedente fortificazio- ne normanna, su una collina a un’altezza di 540 metri, mol- to probabilmente era destina- to unicamente a residenza, co- me testimoniano i grandi cami- ni in cinque sale e l’ingegnoso sistema di rifornimento idrico (l’acqua piovana, tramite tuba- ture in pietra, veniva convoglia- ta dalle terrazze delle torri fino a una cisterna collocata sotto il cortile). La posizione dominante ne faceva un ottimo punto di vi- sta sulle campagne del circonda- rio e sulle vie di comunicazione e di approvvigionamento, ma lo rendeva anche un utile punto di riferimento per chi navigava nelle acque fra Barletta e Trani. Il castello, magnifico gioiello ar- chitettonico – che all’epoca della sua costruzione doveva essere si- tuato all’interno di un fitto bosco che avrebbe permesso al sovra- no di dedicarsi alla sua passione venatoria, mentre ora è circon- dato da campi in cui fioriscono capperi, mirti e lentischi – è an- che una perfetta sintesi scienti- fico-matematica e artistica, che ruota attorno al numero otto: otto sono le torri ottagonali che circondano il castello, otto sono le stanze del pianterreno e otto quelle del primo piano (raccor- Immaginiascuola per la scuola: dell’infanzia: falchi, barbagianni, gufi e civette abitano volentieri nei pressi del castello: cosa sai di questi animali? primaria: il castello si trova nel Parco nazionale dell’alta Murgia: scopri gli animali che vivono nel territorio, la flora che abbellisce il paesaggio, le tracce del passato umano, i sentieri che percorrono la zona; secondaria: breve indagine sulla rete dei castelli di Federico II in Puglia. L’UNESCO è un’agenzia delle Nazioni Unite, fondata il 16 novembre 1945 per promuovere la pace e la comprensione tra le nazioni tramite l’istruzione, la scienza, la cultura, la comunicazione e l’informazione; suo scopo è la tutela del patrimonio culturale esistente, sia materiale che immateriale. La sede centrale è a Parigi.
  • 9. 7n. 5 – gennaio 2020 eas date da scale a chiocciola), che si affacciano su una corte otta- gonale, dal centro della quale si può ammirare il cielo racchiuso nell’ottagono delle mura interne. I muri molto spessi danno for- za e solidità all’edificio senza to- gliergli l’eleganza conferitagli dalla pietra chiara, dal portale d’ingresso – chiuso da un archi- trave e da un arco ogivale e ab- bellito da due leoni – dalle mo- nofore, dalle bifore, dall’unica trifora e dalla cornice orizzonta- le che segna la suddivisione fra il pianterreno e il primo piano. Gli ambienti interni, coperti da volte a crociera con costo- loni, avevano ricchi pavimenti a mosaico (se ne è trovata trac- cia durante le fasi di restau- ro) e pareti decorate da marmi bianchi e rosati. Degrado e restauri Dopo la morte di Federico II e la successiva caduta degli Svevi, l’imponente edificio venne ado- perato dagli Angiò come carce- re; rafforzato, a partire dal 1277, per controllare meglio i territori circostanti, ebbe quasi sempre, nei secoli successivi, la funzione di prigione, salvo qualche rara, felice occasione in cui venne uti- lizzato per feste nuziali. Passato nelle mani di nobili ca- sate, venne abbandonato nel XVII secolo, derubato delle sue decorazioni, dei marmi policro- mi, dei mosaici, dei dipinti e de- gli arazzi e mutò spesso destina- zione d’uso, diventando ricovero per pastori, prigione, rifugio di briganti o di perseguitati politici. Lo Stato lo acquisì nel 1876, trovandolo in grave stato di de- grado a causa degli agenti atmo- sferici (il vento e le forti escur- sioni termiche, ma soprattutto la pioggia che, infiltrandosi an- che all’interno, aveva fatto crol- lare volte e coperture). Un pri- mo restauro venne effettuato già nel 1879 e un secondo, più con- sistente, iniziò nel 1928; da allo- ra le opere di manutenzione so- no costanti. Nel 1936 venne di- chiarato Patrimonio Nazionale. https://it.latuaitalia.ru/where-to- go/castel-del-monte/ https://www.youtube.com/ watch?v=CisCHOGHxlk https://www.youtube.com/ watch?v=8EpaYMYrrts https://www.gocasteldelmonte. it/video/piccola-grande-italia- casteldelmonte/ https://www.gocasteldelmonte.it/ video/paese-meraviglioso-puntata- casteldelmonte/ Nei prossimi numeri: 6) Palermo arabo-normanna e le cattedrali di Cefalù e Monreale; 7) Ville medicee e giardini; 8) Ville palladiane del Veneto; 9) I sacri Monti del Piemonte e della Lombardia; 10) Crespi d’Adda. Immaginiascuola - SitiUnescoItalia Il castello, veduta esterna
  • 10. n. 5 – gennaio 20208 Essere professionisti a scuola eas Il Testo Unico delle norme sulla scuola di Luisa Treccani, Segretario Generale della Cisl Scuola Brescia luisa@luisatreccani.it - www.luisatreccani.it Una delle deleghe della Legge Buona Scuola nel 2015 aveva a oggetto la riscrittura del Testo Unico, raccolta degli interventi legislativi riguardanti la scuola. Entro i termini previsti dalla delega non è stato ap- provato il decreto, ma una commissione vi ha lavorato. Cerchiamo di ricostruire la storia e le ricadute di una even- tuale conclusione del progetto* . Un po’ di storia Attraverso la Legge Delega 121/1991, successivamente mo- dificata dalla Legge 26/1993, il Parlamento aveva autorizzato il Governo a emanare entro il 30 aprile 1994 un Testo Unico delle di- sposizioni legislative vigenti relative alle scuole di ogni ordine e grado: il D.Lgs. 297/1994. Tuttora, tale raccolta è ancora in vigore. Tutta la legisla- zione confluita in quel Testo Uni- co vige nella formulazione da es- so risultante, mentre quella non inserita resta ferma nella sua vi- genza e quella contraria o incom- patibile è stata abrogata. L’intento di fondo era stato, al- lora, coordinare disposizioni ta- lora contrastanti o di ambigua interpretazione, anche se il Te- sto Unico non riesce a esaurire la disciplina in materia di istru- zione. Infatti, per avere un qua- dro completo dal punto di vista normativo, è indispensabile con- siderare le seguenti altre fonti: • le disposizioni in materia con- trattuale, partendo dal D.P.R. 207/1987 fino al Contratto Col- lettivo Nazionale di Lavoro del comparto scuola dal 1995 ad oggi; • la disciplina del pubblico im- piego che trova applicazione an- che per il personale della scuola; • tutte le norme di fonte secon- daria escluse dal Testo Unico perché la delega di cui alla L. 121/91 era riferita a disposizio- ni di natura legislativa; • gli interventi legislativi interve- nuti successivamente a regolare la materia scolastica. Il contesto entro cui si anda- vano susseguendo gli inter- venti di riforma dopo l’entra- ta in vigore del Testo Unico si è aperto a un nuovo orizzonte: l’Europa. Infatti, gli Accordi di Maastricht (1992) cercavano di definire materie sulle quali la- vorare in sinergia tra Paesi: ma- terie con uniformità piena, ma- terie per le quali sono previste azioni comuni, materie che pre- vedono sistemi diversi con obiet- tivi comuni tra cui istruzione e formazione. Nell’incontro di Li- sbona del 2000, il Consiglio eu- ropeo ha riconosciuto che l’U- nione si trovasse dinanzi a una svolta epocale risultante dal- la globalizzazione e dall’econo- mia fondata sulla conoscenza: partendo da queste premesse, la Commissione Europea ha ela- borato un progetto sui traguardi comuni per i diversi sistemi U.E. di istruzione e formazione. Cerchiamo ora di ricostruire sinteticamente i diversi inter- venti di riforma succedutisi fino ai giorni nostri. Dopo la stagione riformatrice dei Decreti Delegati del 1974, la politica delle grandi riforme co- nosce una fase di ristagno fino circa agli anni 2000. Il Ministro Berlinguer, alla guida dell’Istruzione dal 1996 al 2000, tenta di marcare una di- scontinuità con la politica degli interventi spezzettati e parziali dei governi precedenti. Pertan- to, progetta una riforma dell’in- tero sistema di istruzione, attuata attraverso la “strategia del mo- saico” composta da un insieme organico di interventi normati- vi capaci di delineare un nuovo percorso di studi che vada dalla scuola dell’infanzia alla seconda- ria di secondo grado, alla forma- zione post-diploma, all’educa- zione degli adulti, all’università. Nello specifico, la Legge Quadro in materia di Riordino dei Cicli dell’Istruzione, Legge 30/2000, del ministro Luigi Berlinguer mi- ra al riordino dei cicli di istruzio- * Per una sintesi dei temi, dei relativi riferimenti normativi e della loro vigenza, consultate il materiale disponibile sul sito della rivista.
  • 11. n. 5 – gennaio 2020 9 eas L’obbligo formativo risulta assolto entro i 18 anni. L’Art. 68 della Legge 144/1999 pre- vede obbligo di frequenza di at- tività formative sino al compi- mento del 18° anno di età, con la possibilità di assolvimento nel sistema di istruzione scola- stica, nel sistema della forma- zione professionale delle Regio- ni, nell’esercizio dell’apprendi- stato, fino al conseguimento di un diploma secondario o una qualifica. La XIV Legislatura affida il Mi- nistero della Pubblica Istruzione dal 2001 al 2006 a Letizia Mo- ratti, che per la scuola auspica un asse formativo facente perno sulle tre “i”: Inglese, Impresa e Informatica. In quegli anni, matura, però, la riflessione sulla stesura della Indicazioni nazionali per i piani personalizzati, in una prima versione nel 2004, poi ri- vista nel 2007, nel 2012 e cen- trata su Cittadinanza e Costitu- zione nel 2018. Altro incisivo intervento è stata la Legge Delega del 2003 at- traverso cui il Ministro Moratti ripresenta il suo progetto di ri- forma degli ordinamenti scola- stici, ma sotto forma di Legge delega. Viene così approvata la Legge n. 53/2003 i cui Decreti e Rego- lamenti attuativi hanno riguar- dato le norme generali sull’istru- zione e sui livelli essenziali delle prestazioni in materia di istru- zione e di formazione professio- nale, l’istituzione di un unico si- stema educativo di istruzione e formazione, la valutazione de- gli apprendimenti e della quali- tà del sistema educativo, l’alter- nanza scuola-lavoro. ne, riorganizzando l’intero ordi- namento scolastico secondo una logica di sistema. Le riforme avviate, poi, da me- tà anni Novanta si sono basa- te sul concetto di autonomia e sull’apertura della scuola al tessuto culturale del territorio e del mondo, per superare la rigi- dità che da decenni ha caratteriz- zato il sistema scolastico italiano. Infatti, attraverso la Riforma Bassanini, Legge 59/1997 e Legge 127/1997, si è avviato un processo innovativo, con dele- ga di funzioni alle Regioni, ac- corpamento degli uffici, snelli- mento delle procedure, control- lo delle funzioni e non degli at- ti, ampliamento dell’apertura al territorio. Nella scuola tale riforma ha tro- vato espressione attraverso il Regolamento dell’autono- mia delle istituzioni scola- stiche, il DPR 275/1999, che ha comportato il riconoscimen- to dell’autonomia funzionale al- le scuole, contestualizzate nel territorio e dotate di autono- mia didattica, organizzativa, di ricerca, di sperimentazione e di sviluppo. La Legge 9/1999 è intervenuta sul tema obbligo di istruzio- ne, elevandolo da 8 a 10 anni e prevedendo che, durante l’ulti- mo anno dell’obbligo, andasse- ro promosse iniziative formative sui principali temi della cultu- ra contemporanea. Sono state, inoltre, potenziate le azioni di orientamento in vista del prose- guimento degli studi e/o dell’in- serimento nella formazione pro- fessionale. La legge 9/1999 è stata, poi, abrogata dalla legge delega 53/2003. In conseguenza di tale impo- stazione la Legge 53/2003 ha sancito che il diritto all’istru- zione avrebbe potuto esse- re attuato, una volta ultimata la scuola media, anche presso il sistema dell’istruzione e for- mazione professionale garan- tito dalle Regioni, a differen- za di quanto stabilito dalla ri- forma Berlinguer per la quale l’obbligo scolastico era assolvi- bile solo nel sistema scolastico. Sono gli anni in cui si passa dal- l’“obbligo scolastico” al “dirit- to dovere all’istruzione e al- la formazione”. Al Ministro Moratti succe- de Giuseppe Fioroni, in ca- rica dal 2006 al 2008, che cer- ca di smontare “con il metodo del cacciavite” quelle disposizio- ni che hanno frenato o ostaco- lato i processi di trasformazione della scuola e promuovere quei processi che abbiano come tra- guardo una maggiore efficienza ed equità. Nelle misure della Finanziaria 2007, la Legge 296/2006, ri- partendo dalla legge di Berlin- guer cancellata dalla Moratti, ha portato l’obbligo scolastico a 16 anni come compito dell’i- struzione. Inoltre, si è investito un forte impegno per persona- lizzare i piani di studio, ridur- re le responsabilità delle Regio- ni sull’istruzione professionale, promuovere una didattica al- lineata alle direttive dell’Unio- ne Europea basata sulle com- petenze chiave di cittadinanza. I provvedimenti scaturiti sono stati i seguenti: • D.M. 4018/2006, sospensio- ne del nuovo ordinamento della scuola secondaria superiore in- trodotto da Moratti;
  • 12. n. 5 – gennaio 202010eas • Legge 1/2007, modifica delle norme sullo svolgimento degli esami di Stato, con un irrigidi- mento che prevede la non am- missione degli studenti con de- biti formativi nel triennio non saldati e il ritorno delle commis- sioni miste; • Legge 40/2007, riordino degli Istituti tecnici e professionali; • D.M. 2007, Indicazioni per il curricolo per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo d’istruzione. Dal 2008 al 2011, altro tentati- vo di riforma della scuola è stato portato avanti dal Ministro Ma- ria Stella Gelmini, con il pri- oritario impegno a contenere i costi con conseguenti interven- ti di taglio al bilancio del mini- stero. Dei suoi interventi rimangono in vigore l’insegnante prevalen- te, la possibilità di scelta da par- te delle famiglie di diverse pro- poste orarie di funzionamento della scuola d’infanzia e prima- ria. Il D.L. 137/2008, Disposi- zioni urgenti in materia di istruzio- ne e università, convertito nella Legge 169/2008, ha previsto il ritorno del voto di condotta nel- le scuole secondarie di primo e secondo grado, il sistema deci- male per valutare i risultati sco- lastici degli alunni della scuola primaria, abrogato a suo tempo con la legge 517/1977. Dal 2011 al 2013 il Ministro Francesco Profumo ha dato avvio a una vasta operazione di razio- nalizzazione del sistema di istru- zione, con tagli sul personale scolastico, riduzione del nume- ro delle cattedre, dimensionan- do del tempo scuola, elimina- zione delle sperimentazioni che si sono andate accumulando nel tempo in numero abnorme. Una meteora può essere defini- to il mandato del Ministro Ma- ria Chiara Carrozza, dal 2013 al 2014, che, però, ha introdotto significativi interventi sulla defi- nizione di un organico maggior- mente stabile per il sostegno. Di questo periodo è anche la nascita del Sistema Nazionale di Valutazione attraverso l’appro- vazione del DPR 80/2013. Velocemente succeduta da Ste- fania Giannini che con il Go- verno ha dato il via alla cosid- detta Buona Scuola. Della stessa sono ancora in vigo- re l’alternanza scuola-lavoro, ri- definita nelle ore e ribattezzata “percorsi per le competenze tra- sversali e per l’orientamento”, la card del docente finalizzata alla formazione del personale, il bo- nus premiale, i decreti attuativi molti dei quali necessitano di un ulteriore decretazione seconda- ria per la loro piena attuazione. Senso del decreto Partiamo leggendo con atten- zione cosa ha previsto la delega della Legge 107/2015 all’Art. 1 commi 180 e 181: c. 180. Il Governo è delegato ad adottare, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della pre- sente legge, uno o più decreti legisla- tivi al fine di provvedere al riordi- no, alla semplificazione e alla codificazione delle disposizioni legislative in materia di istruzione, anche in coordinamento con le dispo- sizioni di cui alla presente legge. c. 181. I decreti legislativi di cui al comma 180 sono adottati nel rispet- to dei principi e criteri direttivi di cui all’articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modifica- zioni, nonché dei seguenti: a) riordino delle disposizioni nor- mative in materia di sistema nazio- nale di istruzione e formazione at- traverso: 1) la redazione di un testo unico del- le disposizioni in materia di istru- zione già contenute nel testo unico di cui al decreto legislativo 16 Aprile 1994, n. 297, nonché nelle altre fonti Normative. Nel linguaggio giuridico i termi- ni “riordino, semplificazione, co- dificazione” hanno un significato preciso che ora analizziamo. • Riordino: coordinamento del- le disposizioni di legge per riuni- re disposizioni sparse e superare incompatibilità tra le stesse. • Codificazione: attività del po- tere legislativo di uno Stato fina- lizzata a raccogliere in un’ope- ra uniforme e sistematica tutte le norme di un particolare ramo del diritto vigenti nello Stato, da cui deriva, appunto il Codice. • Semplificazione: processo di riforma della normativa esisten- te per fare chiarezza e ordine di fronte alla stratificazione di in- terventi legislativi su una deter- minata materia. Abbiamo, infatti, visto come dal 1994 a oggi si sono succeduti molti interventi legislativi in ma- teria scolastica, sul pubblico im- piego e riguardanti materie che coinvolgono, direttamente o in- direttamente, la scuola. È, per- tanto, indispensabile riprendere in mano i diversi interventi legi- slativi di questi anni e cercare di mettere ordine nella stratifica- zione normativa generatasi. Lo strumento pensato dal legi- slatore per realizzare tale obiet- tivo è il Codice, introdotto con la Legge 229/2003 agli Artt. 1 e 23, che ha abrogato l’Art. 7 del-
  • 13. n. 5 – gennaio 2020 11 eas Immaginiascuola - SitiUnescoItalia Una delle porte in breccia corallina la L. 50/2009, al fine di supera- re una logica meramente conser- vativa e compilativa, quale quel- la del Testo Unico, e introdurre, piuttosto, una logica di coordina- mento, formale e sostanziale, de- gli interventi legislativi. Per coordinamento formale s’in- tende lo sforzo per armonizzare testi diversi, mentre per coordina- mento sostanziale s’intende la ne- cessità di introdurre anche nuove disposizioni per aiutare nel rende- re intellegibile la norma. Lavori in corso?! Come anticipato, nei mesi scorsi è stata insediata una commissio- ne di lavoro, articolata in quat- tro sottocommissioni, a seguito della delega al Governo per la semplificazione e codificazione in materia di istruzione, univer- sità, alta formazione artistica, musicale, coreutica e di ricerca. Lo sforzo profuso è stato fina- lizzato a raccogliere in un Co- dice tutti gli interventi legislati- vi in materia per approvare en- tro due anni uno o più decreti legislativi volti a raggiungere gli obiettivi previsti dalla delega. Nel frattempo è sopraggiunto il cambio di Governo, quindi, non sappiamo cosa sarà del lavoro già svolto dalle commissioni e dei tempi di attuazione. Accanto agli interrogativi sul fu- turo della commissione e del- la delega, ci sono altre doman- de riguardanti un nuovo Codice della Scuola: cerchiamo di ap- profondirle. Si legge nella delega al Governo una certa attenzione al riordino degli organi collegiali territoria- li e di scuola: come conciliare le prerogative dirigenziali con le funzioni degli organismi, evitan- do sovrapposizione di funzioni? Si interverrà sull’annosa que- stione della composizione e dei compiti dei diversi organismi? Nella delega si chiede di razio- nalizzare enti, agenzie e orga- nismi di valutazione di scuola e università: il futuro dell’Invalsi, oggetto di discussione nei mesi scorsi, in che termini sarà coin- volto? Come si conciliano il te- ma valutazione del sistema e gli interventi legislativi sullo stesso se le materie non fanno capo a due enti indipendenti ma con- centrate in un unico attore? Come nel 1994, sarà indispen- sabile fare riferimento ad altre fonti normative per completare il quadro, tra cui il CCNL com- parto scuola: quale il rappor- to intercorrente tra le leggi e il contratto viste le condizioni de- gli Artt. 1321 e 1372 del Codi- ce Civile sulla validità del con- tratto solo fra le parti firmatarie rappresentative dei contraenti e non erga omnes? Il legislato- re introdurrà una inderogabilità della legge sul contratto per al- cuni temi o manterrà la prero- gativa contrattuale sulle materie giuslavoristiche oggi previste? Su questi e molti altri interro- gativi cercheremo di dare ri- sposta, aggiornando sul futuro del Codice sulla Scuola.
  • 14. n. 5 – gennaio 202012 Sviluppo professionale eas Verso la normale diversità di Elena Mosa, Indire Firenze e.mosa@indire.it La rubrica sullo sviluppo pro- fessionale di questo mese trat- ta di inclusione. Lo fa, però, in una maniera particolare, ovvero estendendo il concetto di inclu- sione a tutti, nessuno escluso. Il metodo di progettazione noto come Universal Design for Le- arning parte infatti dal presup- posto che ogni individuo è por- tatore di bisogni educativi spe- ciali, che ciascuno di noi ap- prende in maniera diversa e si esprime con modalità diverse. Ma cosa si intende, davvero, con il termine “diverso”? Per comprenderlo è opportu- no riferirsi al concetto opposto, quello di “normalità” per capi- re quanto questo sia un costrut- to arbitrario. Frances Alles, uno degli esten- sori del DSM IV (Diagnostic and Statistical Manual) afferma: «Gli esseri umani sono diversi l’uno dall’altro per caratteristi- che fisiche, emotive, intellettua- li, attitudinali e comportamen- tali, ma la nostra diversità non è distribuita a caso. Per ogni singolo tratto caratteri- stico, continuativamente distri- buito nella nostra popolazione, siamo “normalmente” distribu- iti sulla curva di Gauss. Quoziente intellettivo, altezza, peso, tratti di personalità, tut- ti questi elementi si raggrup- pano attorno a un giusto mez- zo, mentre le deviazioni si si- stemano simmetricamente sui due lati. Per riassumere il fenomeno in modo economico e sistematico si parla di Deviazione Standard (DS): «un termine tecnico usa- to in statistica per descrivere il modo in cui i dati risultanti da una misurazione si dispongono in modo regolare e affidabile at- torno alla media. […] Se in un Paese in via di sviluppo ci sono pochi operatori di salute menta- le, solo gli individui gravemente disturbati appariranno mental- mente disturbati: allora, forse, il confine verrà tracciato in modo da avere solo l’un per cento de- gli anomali. In una città come New York, strapiena di terapeu- ti, il livello richiesto per un di- sturbo è decisamente più basso e forse il confine verrebbe traccia- to al 30 per cento o più. La co- sa si fa completamente arbitra- ria e la nostra bella curva non ha modo di dirci dove tracciare la linea di confine» (Alles, 2013, pagg. 26-28). A pensarci bene lo aveva già so- stenuto Howard Gardner con la teoria delle intelligenze multi- ple, combattendo quello che Ia- nes chiama “l’idealtipo medio”. Invertire le logiche della pro- grammazione per pianificare fin dalle prime mosse modalità di- versificate di accesso ai contenu- ti, di manipolazione e interven- to su di essi, di coinvolgimento e motivazione può rivelarsi un potente strumento nelle mani dei maestri, degli educatori e dei docenti. Ce lo chiariscono le neuroscien- ze che mostrano come le com- ponenti di riconoscimento, quelle esecutivo-motorie e affet- tive attivino parti diverse della corteccia cerebrale e del sistema nervoso. Questo significa che è necessa- rio diversificare canali e modali- tà di interazione e rappresenta- zione della conoscenza. Le maestre e i docenti che si cimentano in un lavoro di que- sta natura non stanno “so- lamente progettando” ma si stanno mettendo in cammi- no verso traiettorie di svilup- po professionale maturate sul campo, fatte di prove e di er- rori, di riflessione nell’azione, di nuovi inizi. Per approfondire Frances A. (2013). Primo, non cu- rare chi è normale. Contro l’inven- zione delle malattie. Bollati Borin- ghieri, Torino.
  • 15. n. 5 – gennaio 2020 13 eas Pensare UDL… Ragione e passione nella scuola inclusiva di domani di Giovanni Savia, docente giovsavia@gmail.com È vitale vivere nelle differenze (Canevaro, 2013, p. 127). Attualmente fornire un’educazione inclusiva, equa e di qualità1 rappresenta, forse, la sfida più importante e stimo- lante nel panorama dello sviluppo professionale, della ricerca educativa e della formazione dei docenti. Un ampio panorama, dove diritti, valori e principi condivisi nel rispetto e nella valorizzazione di ogni diversità esistenziale in- dicano la cornice concettuale nella quale disegnare operativamente lo sfondo inclusivo per accogliere tutti gli alunni e costruire situazioni di apprendimento significative adeguate alle peculiarità di ogni persona. In questa nuova prospet- tiva, un valido approccio che potrebbe aiutare concretamente ogni insegnante a riconoscere, garantire e sviluppare la variabilità dei bisogni educativi personali presenti a scuola è, senza dubbio, quello dell’Universal Design for Le- arning (UDL)2 . Un approccio che allarga la visione didattica e metodologica del fare scuola per tutti e che aiuta a progettare all’insegna della flessibilità, della rimozione di barriere all’apprendimento e della promozione di benessere. Le coordinate Il cambiamento di paradigma necessario a realizzare una scuo- la inclusiva che accoglie tutti in- terroga, prima di tutto, il nostro atteggiamento mentale verso le differenze, quell’esserci interio- re che noi docenti scopriamo a contatto con le molteplici rela- zioni umane che si generano nei contesti educativi. Per questo, è di fondamentale importanza capire che la scuo- la, vissuta come autentica comu- nità educante, contiene tutto ciò che serve per costruire una so- cietà migliore e che in essa i pro- cessi comunicativi possono re- almente trasformare il mondo in positivo, in quanto, attraver- so l’interazione delle sue com- ponenti più attive (alunni, inse- gnanti e genitori), si nutre, filtra e promuove quel saper vivere che Morin (2015) ci mostra in tutta la sua affascinante complessità, nella quale guardare la vita co- me un tessuto che intreccia o al- terna prosa e poesia. Ragione e passione, intrinsecamente con- nessi, di una nobile professio- ne che illumina la condivisione di un’avventura fatta anche di in- certezze, di confronto con l’altro nel bisogno di comprendere e di essere compresi, al fine di svi- luppare al meglio pensieri, azio- ni, qualità e attitudini. Il discorso di Morin apre al- la profonda riflessione di un’i- dea di educazione che non può mai essere non inclusiva, un’e- ducazione che ha bisogno so- lo di rigenerarsi, di abbandona- re la pochezza di quella rigidità che usa pochi colori in contrasto con la varietà della natura uma- na, che deve ritrovare se stes- sa nella sua vera essenza, nella passione per un insegnamento più travolgente e nella forza di quel desiderio che, come eviden- zia Recalcati (2014a; 2014b), ci invita a riscoprire l’energia erotica della lezione, ad amare chi im- para e ad amare anche la stortura della vita, «perché nella stortura c’è la vita originale» (Recalcati, 2014b, p. 39), quell’irripetibile singolarità di quello che siamo. In educazione, spesso, ci tro- viamo di fronte al fatto che non esiste determinismo, le espe- rienze sono sempre uniche in quanto si generano dall’incon- tro situazionale con l’altro, ed è proprio in situazioni partico- lari, considerate problematiche che «gli alunni difficili possono essere una straordinaria occa- sione per fare piazza pulita del- la muffa di una scuola troppo ancorata alla metodologia del passato. Con loro occorre dav- vero cambiare impostazione. […] creare situazioni di coin- volgimento, esperienze concre- te e sociali, superare i confini ri- stretti delle mura scolastiche e aprire la conoscenza a tutte le intelligenze possibili» (Novara, 2017, p. 180). 1 ONU (2015). Obiettivo n. 4 di Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. https:// www.unric.org/it/agenda-2030. 2 Per approfondimenti: cast.org.
  • 16. n. 5 – gennaio 202014eas Il pensiero inclusivo esige un agire comunicativo che riconosca l’altro come valore e come di- versità che arricchisce (Haber- mas, 1981; 2013) ogni conte- sto di vita, noi compresi. È indi- spensabile muoversi dentro una nuova logica pedagogica di par- tecipazione e di giustizia sociale, in grado di spostare lo sguardo dalle categorie diagnostiche alle ordinarie differenze delle perso- ne, superare quella visione, an- cora ristretta, del “modello ibri- do” (Lascioli, 2014, p. 72), in continua proliferazione di BES e incontrare il naturale evolver- si dell’ordinaria educazione alle diversità o meglio i nuovi oriz- zonti del concetto di inclusione educativa che silenziosa dovreb- be impregnare la nostra pratica didattica. Il perché di un nuovo approccio Partire da queste basilari con- siderazioni concettuali ci con- sente di abbracciare meglio il cambio di mentalità necessario per un ottimale sviluppo pro- fessionale dei docenti nella pro- pria comunità di pratica (Wenger, 2006), direttamente connessa al- la progettazione in ottica UDL, in quanto l’Universal Design for Learning richiede un’intesa col- laborativa tra insegnanti e mira ad aprire nuovi scenari che cer- cano di scavalcare il muro della pianificazione individualizzata etichettante, prescritta dietro cer- tificazione medica. L’approccio UDL, come sostie- ne Mitchell (2014), racchiude molti principi, integra più com- ponenti e strategie attive ritenu- te efficaci dall’evidenza, con ef- fect size (Hattie, 2012) superiore a 0.40 (aspettative degli alunni, apprendimento cooperativo, va- lutazione formativa, mappe e or- ganizzatori grafici, metacogni- zione, autoregolazione, assen- za di etichette, tutoring, ecc.); e pertanto conferma la definizio- ne di “quadro di riferimento” scientificamente fondato per la pratica educativa in quanto ga- rantisce flessibilità e riduce bar- riere3 . Sostanzialmente, l’idea di fondo è quella di spostare l’o- biettivo dell’educazione sulla va- riabilità sistematica del proces- so di apprendimento sfidando la discutibile pratica di diagnosti- care ed etichettare persone (Ro- se, Meyer, Gordon, 2014, p. 6), per capovolgere completamente la prospettiva della progettazio- ne curricolare in direzione uni- versale. Un nuovo modello pedagogico orientato al superamento del- la categorizzazione degli alun- ni (MIUR, 2018) con un insie- me di principi basati sulla ricer- ca per guidare la pianificazione di ambienti di apprendimento efficaci per tutti (cast.org). Am- bienti permeabili e creati flessi- bili per essere, fin dall’inizio, accessibili a tutti, proponendo molteplici forme di rappresen- tazione, di coinvolgimento e garantendo agli alunni la pos- sibilità di agire ed esprimersi in diverse modalità. Questo si ap- plica non soltanto ai contenu- ti, ma anche ai componenti es- senziali del curricolo: obiettivi, materiali, metodi e soprattutto la valutazione. Il cosa cambia In pratica, il docente che si im- merge nella logica UDL, dopo avere interiorizzato i tre princi- pi fondamentali e le linee guida, apprende, cresce, progetta e re- alizza percorsi formativi accessi- bili, personalizzabili e finalizza- ti esclusivamente a garantire op- portunità di apprendimento ed equità didattica a favore di tut- ti gli alunni, allontanandosi da quella scomoda taglia unica, one- size-fits-all (cast.org), che rischia di limitare l’espandersi dello svi- luppo armonico della personali- tà e/o di far scivolare attraverso le fessure del mancato successo scolastico molti alunni distribui- ti ancora ai margini del percorso educativo obbligatorio. L’approccio UDL, partendo dal concetto di variabilità, ri- sponde focalizzando l’attenzio- ne non sulle carenze dell’alun- no ma sulle eventuali disabilità del curricolo e sulle modalità di azione che il docente porta con sé dentro la classe. L’UDL, con- siderato come un modello di ri- ferimento didattico orientativo, proattivo e mai prescrittivo, do- vrebbe stare alla base della for- mazione generale di ogni do- cente e guarda sempre al po- sitivo, al possibile, alle infini- te potenzialità da individuare e sviluppare negli studenti in ar- monia con il contesto e con gli altri. Un modello semplice e ric- co di spunti riflessivi che vede il bicchiere mezzo pieno concen- trandosi di più sulla cura educati- va, su ciò che ogni alunno/a po- trebbe diventare, piuttosto che al mezzo vuoto del problemati- co o del difficoltoso. Concretamente, progettare e 3 Higher Education Opportunity Act (USA, 2008).
  • 17. n. 5 – gennaio 2020 15 eas realizzare UDL significa prin- cipalmente spogliarsi di ogni ri- gidità mentale legata ancora al concetto di selezione degli alun- ni per accogliere il concetto di dilatazione del campo delle op- portunità formative per tut- ti, della comunità di apprendi- mento e valutare costantemen- te l’impatto delle nostre scelte didattiche sugli studenti. Tutto questo, attraverso feedback con- tinui finalizzati essenzialmen- te a migliorare i processi di in- segnamento, rendere sempre più visibile l’apprendimento (Hat- tie, 2012) e quell’agire pedago- gico plurale, creativo, fluido ed efficace che contiene qualcosa di magico ma sommerso, carat- terizzante, anche inconsapevol- mente, la vocazione di eccellenti docenti (schema 1). Il come progettare Riguardo alla progettazione di ambienti di apprendimento si- gnificativamente inclusivi, per i docenti appassionati è bene trar- re ispirazione (Steele, 2009) dal- le numerose indicazioni psico- pedagogiche e dai continui ag- giornamenti neuroscientifici dei ricercatori del C.A.S.T.4 . Nel si- to web cast.org vengono eviden- ziate le validità teoriche e prati- che dei tre principi, ampliate in profondità le singole linee guida e i checkpoints, che possono esse- re mescolati e abbinati in base a specifici obiettivi di contesto ne- gli interconnessi elementi di svi- luppo del curricolo, tracciando le coordinate operative che sem- pre più spesso portano a risulta- ti apprezzabili anche nel nostro Schema 1 - Principi e linee guida UDL Lo schema grafico può essere utilizzato e sviluppato in modalità orizzontale, verticale, graduale con principi, linee guida e punti di controllo interconnessi. 4 Center for Applied Special Technology. Wakefield, MA (USA).
  • 18. n. 5 – gennaio 202016eas contesto (Savia, 2015; 2016; 2017 e 2018). Nella prospettiva UDL sono i curricoli a essere considerati po- tenzialmente disabili in chi, in cosa e in come insegnano, mai gli alunni. Partire da questa non indifferente considerazione de- termina un’analisi progettua- le che osserva ogni componen- te del curricolo da una diversa, multidimensionale e innovativa angolatura, che con il passare del tempo diventa molto stimo- lante per i docenti e per gli alun- ni coinvolti. Dal punto di vista procedura- le, per i docenti di qualsiasi or- dine di scuola, dopo una lettura delle linee guida nella sua ver- sione integrale, è di fondamen- tale importanza strutturare la propria progettazione partendo da obiettivi chiari, raggiungibi- li, misurabili, connessi alla va- riabilità dei bisogni educativi e allo sviluppo degli alunni e svi- lupparla con riferimento costan- te ai tre principi associati alle re- ti neurali affettive, di riconosci- mento e strategiche coinvolte nella dinamica relazionale ap- prendimento-insegnamento. In questo processo evolutivo a spirale, la pianificazione di una lezione UDL è orientata prio- ritariamente a soddisfare la di- versità delle esigenze formative degli alunni e a valutare la qua- lità della propria azione didatti- ca, fornendo scaffolds, moltepli- ci opzioni, scelte e percorsi con metodi, materiali e strategie fles- sibili, supportate anche dalle in- novazioni tecnologiche disponi- bili, tali da permettere a tutti gli studenti di cogliere gli elemen- ti essenziali della proposta, inte- riorizzare i contenuti più signi- ficativi e diversificare la propria risposta personale. La regia di tutto il percorso è as- segnata principalmente al pro- cesso valutativo formativo, au- tentico e circolare, pensato per individuare e rimuovere possi- bili barriere, garantire flessibi- lità, fornire feedback, calibrare la qualità dell’intervento e riflet- tere sui possibili miglioramenti nell’ottica del pieno raggiungi- mento del successo formativo di ogni alunno (schema 2). Quale conclusione? Non siamo in grado di conclu- dere il nostro discorso in modo esaustivo perché ancora in viag- gio, ma possiamo confermare che l’approccio UDL ci traspor- ta sul treno dell’innovazione di- dattica, della sperimentazione metodologica e della creativi- tà educativa. Proprio quello di cui abbiamo bisogno in questo momento di transizione cultura- le, un approccio umanizzante e profondamente pedagogico che ci fa sentire orgogliosi, passio- nali e responsabili di essere con- temporaneamente studenti, in- segnanti e ricercatori di propo- ste e soluzioni alternative perché “non esiste mai consenso preli- minare all’innovazione. Non si va avanti a partire da un’opi- nione media, che non è demo- cratica, ma mediocratica. Si va avanti a partire da una passione creatrice. Ogni innovazione tra- Schema 2 - Ciclo progettazione UDL
  • 19. n. 5 – gennaio 2020 17 eas sformatrice è all’inizio una de- vianza. […] La devianza si dif- fonde divenendo una tendenza e poi una forza» (Morin, 2015, p. 103). Riferimenti bibliografici e risorse web Canevaro A. (2013). Scuola inclusiva e mondo più giusto. Erickson, Trento. Habermas J. (1981). Teoria dell’agire comunicativo. il Mulino, Bologna. Habermas, J. (2013). L’inclusione dell’altro. Feltrinelli, Milano. Hattie J. (2012). Visible Learning for teachers. Maximizing impact on learning. Routledge, London- New York (tr. it. Apprendimento visibile, insegnamento efficace. Metodi e strategie di successo evidence-based, a cura di Vivanet G., Erickson, Trento 2016). Lascioli A. (2014). Verso l’Inclusive Education. Edizioni del Rosone, Foggia. Mitchell D. (2014). What really works in special and inclusive education. Using evidence-based teaching strategies. Routledge, London-New York (tr. it. Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva. Le strategie basate sull’evidenza, a cura di Morganti A., Erickson, Trento 2018). MIUR (2018). L’autonomia scolastica per il successo formativo. Roma. Novara D. (2017). Non è colpa dei bambini. Rizzoli, Milano. Recalcati M. (2014a). L’ora di lezione. Per un’erotica dell’insegnamento. Einaudi, Torino. Recalcati M. (2014b). La forza del desiderio. Qiqajon, Magnano (Bi). Morin E. (2015). Insegnare a vivere. Manifesto per cambiare l’educazione. Raffaello Cortina, Milano. Rose D.H., Meyer A., Gordon D. (2014). Universal design for learning: Theory and Practice. CAST Professional Publishing, Wakefield. Savia G. (2015). Progettazione Universale per l’Apprendimento. Un valido approccio per l’inclusione di tutti. In «Educare.it», anno XV, n. 3, pp. 52-56. (https:// www.educare.it/j/temi/ scuola/scuola-e-dintorni/2999- pua). Savia G. (2016a). Scuola inclusiva, disabilità del curricolo e Universal Design for Learning. In «Annali della facoltà di Scienze della formazione», Università degli studi di Catania, 15 (2016), pp. 151-161 (http://www.ojs.unict.it/ojs/ index.php/annali-sdf/article/ view/207). Savia G. (2016b) (a cura di). Universal Design for Learning. Progettazione universale per l’apprendimento e didattica inclusiva. Erickson, Trento. Savia G. (2017). Nuovi linguaggi per l’inclusione. In Cultura inclusiva nella scuola e progettazioni curricolari. Suggestioni e proposte (a cura di A. Catalfamo). Erickson, Trento. Savia G. (2018). Universal Design for Learning in the italian context. Results of a research on the territory. In «Italian Journal of Special Education for Inclusion», anno VI, n. 1, pp. 101-119. Steele C.F. (2009). The Inspired Teacher: How to Know One, Grow One, or Be One. ASCD, Alexandria (VA). Wenger E. (2006). Comunità di pratica. Apprendimento, significato e identità. Raffaello Cortina, Milano. cast.org udlguidelines.cast.org udltheorypractice.cast.org Immaginiascuola - SitiUnescoItalia Una delle sale interne
  • 20. n. 5 – gennaio 202018eas Progettazione universale per l’apprendimento Una strategia per la didattica inclusiva di Ginevra Lituani, Laureata in psicologia, educatrice socia della cooperativa ARCA ginevra.lituani@gmail.com L’UDL è una palestra per l’allenamento degli insegnanti alla creatività, al fine di favorire i diversi stili cognitivi degli alunni nell’apprendimento; richiede ai professionisti della formazione di pensare a più modalità di presenta- re, esprimere e coinvolgere gli studenti. L’obiettivo di questo approccio inclusivo è di dare eque opportunità a tutti gli alunni, attraverso una progettazione didattica personalizzata, abbattendo le barriere dell’apprendimento. Universal Design for Learning è un modello che guida al pro- cesso di inclusione, intesa co- me partecipazione alla vita scolastica di tutti gli studenti, in cui le distanze tra normale e speciale vengono ridotte nella prospettiva di una «speciale nor- malità» (Ianes, 2006). Centrali sono le differenze nella varie- tà delle normali modalità di re- lazionarsi in situazioni di ap- prendimento. Nella scuola la variabilità individuale è la re- gola, non l’eccezione; se la pro- gettazione educativa è pensata solo per l’alunno medio è desti- nata a non avere risultati sod- disfacenti. La diversità nel mo- do di apprendere fa parte di una normalità che caratteriz- za l’essere umano in genera- le, sia i normodotati che i di- sabili. Nell’impostazione stan- dard, gli studenti con difficoltà si devono adattare al currico- lo: o intraprendono un percor- so speciale, oppure il rischio è che si ritrovino in difficoltà per tutto il percorso di studi. L’UDL ha lo scopo di abbat- tere le barriere dell’apprendi- mento fin dall’inizio, facendo in modo che i contenuti di ap- prendimento siano accessibili a tutti. La concezione di ugua- glianza, anche se ha una con- notazione positiva, tratta allo stesso modo persone che so- no diverse, negando le diffe- renze in nome di un’uniformi- tà che nella realtà non esiste; è più adeguato, invece, il termi- ne equità, cioè fornire pari op- portunità, non quindi una dif- ferenziazione quantitativa del compito, ma una differenzia- zione qualitativa; un approc- cio, pertanto, che con la sua «universalità, poggia decisa- mente sui valori etici, delle pari opportunità e dell’equità» (Ia- nes, 2015). Sono gli educatori a dover met- tere in pratica questo proces- so educativo inclusivo, acqui- sendo e migliorando le proprie capacità, con l’obiettivo di fa- re scuola per tutti: apprenden- do e sviluppando le competen- ze, usando tecniche innovative e tecnologiche, inquadrando ogni singolo allievo all’interno di una relazione e di una co- municazione dialogica, mira- ta all’arricchimento reciproco, che venga sostenuta e valoriz- zata. Quando un insegnante/ un educatore progetta un’atti- vità formativa, deve fare i conti fin dall’inizio con il fatto che gli studenti hanno modalità di ap- prendimento molto diverse. Bi- sogna pensare da subito a una pluralità di modi per presenta- re un contenuto, a più modi in cui il discente si potrà esprimere e agire in quell’apprendimento. Compito dell’insegnante sarà fornire diversi stimoli di moti- vazione a imparare, concen- trandosi sull’alunno e sul suo stile cognitivo: sarà così facilita- to il processo di apprendimen- to consentendo a ognuno di svi- luppare competenze reali. Il fo- cus è sulla flessibilità e sulla per- sonalizzazione degli interven- ti, che permetta agli studenti di progredire dal punto in cui si trovano a quello in cui possono arrivare, mantenendo aspettati- ve elevate per tutti gli studenti. I componenti del curriculum della progettazione universale dell’apprendimento sono:
  • 21. n. 5 – gennaio 2020 19 eas • gli obiettivi, le aspettative dell’apprendimento: il curricu- lum in questo caso si basa sulla formazione di “studenti esperti” cioè strategici, capaci, orientati all’obiettivo, determinati e mo- tivati; • i metodi basati sulla variabilità dello studente, del contesto e del compito, sulle risorse di ognuno che andranno adattate in base ai progressi raggiunti; • i materiali, che offrono stru- menti e supporti per analizza- re, dimostrare e organizzare la comprensione in più modalità; • la valutazione, che pone l’at- tenzione sull’obiettivo e non sui mezzi utilizzati per raggiungerlo (linee guida UDL CAST). Avviene così un capovolgi- mento di prospettiva nel mo- do di pensare la progettazio- ne educativa, che non parte da etichette (alunno disabile, BES, DSA ecc.) ma dal con- cetto di persona, senza discri- minazione nei processi di in- segnamento. L’UDL assimila, include e accresce tramite tre concetti connessi tra loro: di- sabilità, educazione inclusiva e uso delle tecnologie. L’uso delle tecnologie elimina le bar- riere favorendo un’educazio- ne disponibile, raggiungibile da tutti, in quanto il contenu- to è versatile (capace di adattarsi a diversi compiti), trasformabile (un contenuto può passare da un formato all’altro, per esem- pio trasformando il testo scrit- to in suono; inoltre con la digi- talizzazione un contenuto può essere evidenziato nella scelta di alcune sue parti); collegabile (capace di collegarsi con altri contenuti e scambiarsi infor- mazioni). Applicabilità alla scuola primaria Facciamo un esempio: se la le- zione è da proporre a un alun- no affetto da una severa ipoacu- sia, sappiamo che le sue difficol- tà saranno legate all’ascolto e al- la produzione scritta e orale del linguaggio. È necessario quindi fornire: 1) molteplici mezzi di rappresenta- zione, ad esempio, presentando all’alunno una lezione di geo- grafia non tramite il classico li- bro di testo, ma mostrandogli delle carte geografiche e delle immagini con brevi didascalie, oppure dei video con sottotitoli, per offrire alternative alle infor- mazioni uditive (studenti ben in- formati e pieni di risorse); 2) molteplici mezzi di azione e di espressione. L’accesso alla rete o a un dizionario illustrato posso- no facilitare l’apprendimento di questo alunno, che ha bisogno di maggiori stimoli visivi e di mino- ri stimoli scritti e orali. A secon- da dei suoi ritmi di esposizione e assimilazione della lezione, è possibile personalizzare le pause e il ritmo di lavoro in modo che risultino adeguati e che l’alunno sia stimolato ma non sopraffatto dal lavoro. Alla fine del modulo didattico potrebbe essergli utile lavorare attivamente, sostenuto dal/la maestro/a, a una presen- tazione in power-point su quan- to trattato (studenti strategici e orientati alla meta). 3) diversi mezzi di coinvolgimento. Ci sono, infine, diversi modi per sollecitare e motivare l’alunno, ad esempio: coinvolgerlo nel fis- sare i suoi personali obiettivi di- dattici e comportamentali, inco- raggiare la suddivisione in obiet- tivi a lungo e a breve termine, fornire feedback rivolti allo svi- luppo dell’efficacia e dell’auto- consapevolezza (studenti moti- vati e determinati). Applicabilità alla scuola dell’infanzia Facciamo un esempio riferito all’intero gruppo classe. Imma- giniamo di proporre l’argomen- to della formazione dei colori secondari. Dovremo fornire: 1) molteplici mezzi di rappresen- tazione: con una storia narra- ta, cantando una canzone, mo- strando un filmato, presentando delle immagini tematiche, per costruire, alla fine, in gruppo, un cartellone con i colori pri- mari e i derivati da appendere in aula; 2) molteplici mezzi di azione e di espressione: il passaggio succes- sivo è un’attività laboratoriale con i colori, per farli sperimen- tare, per stimolare la creatività dei bambini con varie tecniche (mischiando le tempere e poi usandole per fare un disegno; utilizzando il pongo: un piccolo pezzo di colore primario a ogni bambino, che lo può scambiare e condividere ‒ favorendo così la cooperazione ‒ manipolando due colori primari e ottenendo così il colore secondario; un col- lage sovrapponendo carte veline sottili, per vedere quali colori si ottengono; attività esplorative in spazi esterni e interni alla ricer- ca dei colori, proponendo gio- chi come “strega comanda co- lore”...) 3) diversi mezzi di coinvolgimento: ri- porto alcuni esempi tratti dalle linee guida UDL: ottimizzare la scelta individuale e l’autonomia,
  • 22. n. 5 – gennaio 202020eas svolgere attività di supporto che incoraggino l’autoriflessione, for- nire compiti che permettano la partecipazione attiva, l’esplora- zione e la sperimentazione, cre- are un clima di accettazione e di aiuto in classe coinvolgendo tut- ti i bambini, differenziare il gra- do di difficoltà o complessità con il quale si possono completare le attività, creare gruppi di appren- dimento cooperativo con obietti- vi, ruoli e responsabilità chiare. Per concludere, è dovere e re- sponsabilità di ogni educatore individuare i canali di appren- dimento consoni ai propri al- lievi, soprattutto quelli più in difficoltà, per consentire a tut- ti pari opportunità di succes- so formativo all’interno della scuola. Riferimenti bibliografici e fonti Cast (2011). UDL Guidelines version 2.0, Wakefield (MA), tr. it. versione 2.0 (2015) a cura di G. Savia e P. Mulè. http:// udlguidelines.cast.org/binaries/ content/assets/udlguidelines/ udlg-v2-0/udlg-graphicorganizer- v2-0-italian.pdf. Ianes D. Universal Design for Learning, Rai Rcuola: http://www.raiscuola.rai.it/ articoli-programma-puntate/ dario-ianes-universal-design-for- learning/39201/default.aspx. Savia G. (a cura di) (2016). Universal Design for Learning. Progettazione universale dell’apprendimento e didattica inclusiva. Erickson, Trento. Immaginiascuola - SitiUnescoItalia Dettaglio di una bifora
  • 23. a2a.eu Persone, energia, ambiente, nuove tecnologie per disegnare il futuro. Siamo parte del tuo mondo, ogni giorno. Perché la tua città è la nostra città. città2a
  • 24. n. 5 – gennaio 202022 Ricerca eas Il metodo EAS incontra l’app DEPIT di Alessandra Carenzio, ricercatrice di Didattica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e membro del Centro di Ricerca CREMIT L’articolo che occupa la Ru- brica dedicata alla ricerca af- fronta il tema della micro-pro- gettazione attraverso un’espe- rienza internazionale: la speri- mentazione DEPIT, legata al modello di Diana Laurillard (il Conversational Framework). Rimando all’articolo di Maila Pentucci per descrizioni e con- testo, per evitare ripetizioni, sfruttando questo spazio per presentare alcuni dati raccolti in Università Cattolica, grazie alla disponibilità di un grup- po di studenti di Scienze della Formazione Primaria coinvol- to nella sperimentazione sul fronte degli studenti (come si vedrà, larga parte della ricer- ca ha coinvolto insegnanti in aula). Si tratta del corso tenuto dal prof. Rivoltella, ovvero Di- dattica e tecnologie dell’istru- zione. Il gruppo ha usato la app, poi- ché composto da futuri inse- gnanti di scuola primaria, do- po averla sperimentata duran- te le lezioni nel loro ruolo ef- fettivo di studenti universita- ri con un focus preciso, su cui ci soffermiamo, ovvero l’uso dell’app quando si progetta secondo il metodo EAS a loro conosciuto, perché oggetto di una porzione del corso. Gli studenti hanno compilato una griglia di analisi, comu- ne ai partner della sperimen- tazione per poter attuare un confronto tra gli elementi re- stituiti, consentendoci di rac- cogliere 81 valutazioni com- plete. Cosa è emerso rispetto a que- sto nodo (APP+EAS)? Gli studenti, progettando per EAS con la app, hanno valu- tato in maniera molto positiva lo strumento di progettazione, identificandolo come “realisti- co” rispetto al metodo. La domanda “Come valuti la app quando progetti con il metodo EAS?” (con una sca- la da 1 = non soddisfacente a 6 = completamente soddisfa- cente) ha raccolto nei valori 4, 5 e 6 il maggior numero di ri- sposte (la metà sul versante 5 e 6). La motivazione viene ricon- dotta a tre elementi, che l’ar- ticolo che segue ci spiega nel dettaglio quando si sofferma sulla presentazione del model- lo e della struttura della app DEPIT. In prima battuta, la app con- sente di fare riferimento espli- cito a una struttura chiara (nei livelli), come richiesto dal me- todo EAS. Le tre fasi, infatti, non sono ipotetiche oppure opzionabili, bensì costituisco- no il senso del percorso che il metodo ci consente di proget- tare e condurre in aula. In seconda battuta, la app con- sente di raccogliere ‒ in un so- lo ambiente ‒ molti strumen- ti e materiali, come spesso ri- chiesto dall’EAS nel momento in cui fornisco stimoli diversi in entrata oppure metto a di- sposizione elementi a soste- gno dell’apprendimento per il raggiungimento degli obietti- vi nelle fasi dell’EAS che ab- biamo progettato (penso ai job aids). Infine, chiede agli insegnan- ti di seguire un percorso non improvvisato nella micro-pro- gettazione, cosa che evidente- mente non implica di abban- donare il lato creativo dell’in- segnamento ‒ ben evidente nel processo di design ‒ ma di focalizzare l’attenzione su ciò che potrebbe mancare o essere migliorato nel corso dell’azio- ne didattica stessa.
  • 25. n. 5 – gennaio 2020 23 eas L’applicazione DEPIT Uno strumento per il visual design in classe di Maila Pentucci, assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università di Macerata, collaboratrice al progetto internazionale DEPIT cofinanziato da Erasmus+. L’articolo riflette sul tema della micro-progettazione a partire dall’esperienza condotta con una rete internazionale di scuole e università nell’ambito del progetto DEPIT (Design for Personalisation and Inclusion with Technologies) fi- nanziato dalla Comunità Europea, che ha dato origine a una sperimentazione didattica associata alla app omonima. Il lavoro svolto, anche in fase di progettazione dell’app, risponde all’esigenza di coprire i diversi livelli di progetta- zione didattica messi in atto a scuola, garantendo una continua ricorsività nel passaggio dal micro al macro design e rendendo evidenti gli elementi di coerenza tra un livello e l’altro. Introduzione La dimensione della progettazio- ne è una delle competenze im- prescindibili comprese nel pro- filo del docente professionista. Progettare è un processo com- plesso e articolato che nei con- testi di insegnamento-apprendi- mento riveste un ruolo essenzia- le, non solo perché contribuisce a organizzare e li-nearizzare i percorsi all’interno delle episte- mologie disciplinari e dei cam- pi di competenza da svi-luppare, ma anche e soprattutto perché sostiene sia il docente che lo stu- dente nel corso dell’azione didat- tica. Progettazione e azione sono oggi due momenti fortemente interrelati e quasi indistinguibi- li: la complessità dei contesti at- tuali infatti non permette di trac- ciare percorsi rigidi e prefissati, ma necessita di framework flessi- bili e continuamente ristruttura- bili, sia attraverso la regolazione dell’azione didattica, sia attra- verso la riprogettazione che de- riva da una riflessione costante in azione e post-azione. «La classe oggi si presenta “complessa” per vari motivi: differenze culturali e sociali, la presenza di diversi bisogni edu- cativi, di diverse abilità e com- petenze. Contemporaneamente le scelte di chi educa, oggi, sono rese difficili dall’impossibilità di prevedere il mondo di domani e le professionalità del futuro. Po- chi i punti fermi: il professioni- sta di domani, più che abile ad applicare routine sperimentate, dovrà saper leggere la propria esperienza per elaborare nuove modalità operative, nuovi sape- ri, nuove prospettive. Essere di- vergente e saper creare nuovi saperi sono due competenze che il professionista di domani deve possedere e che la scuola deve favorire e tener presente quan- do progetta e realizza i suoi per- corsi» (Rossi, 2016, p. 14). Tali differenze cognitive ed esperienziali tra gli studenti, ol- tre agli oggetti multimodali pre- senti nella didattica, pongono l’esigenza di processi personaliz- zati e individualizzati, legati al contesto, e richiedono una pro- gettazione complessa, situata e soprattutto esplicita. Per questo il Visible Design può essere una modalità progettua- le efficace, che rende l’insegna- mento visibile allo studente, e può reificare in senso topologico la trasposizione didattica attra- verso l’uso di organizzatori gra- fici che rappresentano tanto le micro-attività quanto il percor- so generale, macro, sostenendo l’orientamento e la consapevo- lezza degli studenti e l’organiz- zazione e la riflessione degli in- segnanti. L’applicazione DEPIT Da tali premesse nasce il pro- getto DEPIT (Design for Per- sonalisation and Inclusion with Technologies), finanziato dal- la Comunità Europea. Il pro- getto vede la partecipazione di tre reti di scuole (due italia- ne e una andalusa), la software- house Infofactory, associazioni di settore e quattro università: l’University College of London dove lavora Laurillard, il cui Conversational Framework è la base teorica del progetto (Lau- rillard, 2012); l’Università di Macerata, che è capofila e ave- va realizzato progetti di Visible design (Rossi, 2017); l’Universi- tà Cattolica del Sacro Cuore di
  • 26. n. 5 – gennaio 202024eas Milano, dove lavora Rivoltel- la che ha promosso il metodo EAS (Rivoltella, 2016) e l’Uni- versidad de Sevilla. Il progetto è finalizzato alla im- plementazione di una applica- zione libera e gratuita per gli in- segnanti che ne fanno richiesta, utilizzabile sia su pc che su di- spositivi mobili, per il learning design. L’applicazione produce, in for- ma di organizzatori grafici, arte- fatti di progettazione utilizzabili anche durante l’azione didatti- ca, in classe con gli studenti. Ta- li prodotti visuali, rappresentati in forma di mappe lineari o di altra forma liberamente strut- turabile dal docente-progetti- sta, sono profondi, cioè possono essere organizzati in livelli suc- cessivi, uno dentro l’altro. Tali mappe sono costituite da sche- de grafiche modificabili e scrivi- bili, all’interno delle quali si pos- sono caricare anche materia- li multimediali, come file di te- sto, video, immagini, link, ecc.; una volta costruiti e salvati, tali artefatti possono essere aperti e utilizzati anche offline. Questo è un valore aggiunto dell’app, che risponde a un’esigenza fon- damentale espressa dai docenti, in quanto le scuole non sempre dispongono di una connessione alla rete stabile in tutti gli spa- zi. Una volta sincronizzati, gli artefatti possono essere letti su dispositivi differenti (dal dispo- sitivo personale del docente, al pc dell’aula, a quello del labora- torio) semplicemente accedendo con il proprio account. I livelli principali degli artefatti sono tre: 1) livello curricolo, costituito da schede modulo; 2) livello modulo, costituito da schede sessione; 3) livello sessione, costituito da schede attività. Tale differenziazione risponde all’esigenza di coprire i diversi livelli di progettazione didatti- ca che il docente mette in atto a scuola e consente di attivare una continua ricorsività nel passag- gio dal micro al macro design rendendo evidenti gli elementi di coerenza tra un livello e l’al- tro, tra il percorso annuale del- la disciplina e la singola attività quotidianamente agita in aula (fig. 1). La coerenza tra i vari livelli è as- sicurata dal verso delle card, che tramite la funzione di editing vengono compilate dal docente progettista. Le card presentano diversi campi, alcuni rigidi e al- tri flessibili, che contemporane- amente guidano la progettazio- ne in base alle premesse pedago- gico-didattiche proprie del qua- dro teorico entro cui si colloca lo strumento e lasciano all’inse- gnante la libertà di inserire altre notazioni per lui significative. In particolare, è possibile inse- rire descrizioni libere e tag per classificare il modulo/lezione/ attività, ma anche scegliere, at- traverso un menu a discesa, la competenza di riferimento, defi- nire gli obiettivi e, nelle card at- tività che descrivono l’operativi- tà in aula, si può indicare il tipo di apprendimento tra quelli pro- posti da Laurillard (2012) e la ti- pologia di Teaching and Lear- ning Activity (Laurillard, 2004) che il docente intende mettere in atto. Lo sviluppo e le release dell’ap- plicazione, disponibile nella sua versione 5.0 al sito www.depit. eu, è stato portato avanti attra- verso un confronto continuo tra ricercatori, che hanno definito il background pedagogico-didatti- co di riferimento, docenti delle scuole, che hanno sperimentato l’applicazione in classe eviden- ziandone punti di forza e di de- bolezza su cui lavorare, e tecni- Figura 1 - I tre livelli dell’artefatto progettuale
  • 27. n. 5 – gennaio 2020 25 eas ci sviluppatori del software, che hanno reificato le successive ri- chieste e le istanze pedagogiche di riferimento. La metodologia applicata all’in- tero progetto è infatti quella del- la Design-Based Research nel- la sua estensione della Design- Based Implementation Re- search (DBIR), la cui appli- cazione in campo educativo consente la collaborazione tra teorici e pratici per implemen- tare e migliorare contesti e arte- fatti innovativi. La DBIR è una metodologia sistematica ma fles- sibile, che si articola nei seguenti step: progettazione, implemen- tazione sul campo, analisi degli effetti e riprogettazione (Wang & Hannafin 2005). In base a tale metodologia è sta- ta condotta la sperimentazione in aula dell’applicazione, con lo scopo di potenziare l’artefatto nella sua veste di Graphic Orga- nizer da utilizzare anche in clas- se e farlo diventare un vero sup- porto quotidiano all’organiz- zazione d’aula, attraverso una particolare cura dedicata al la- yout delle card di progettazione. Ciò per consentire di connette- re, anche visivamente, i vari li- velli di granularità del currico- lo e della progettazione didatti- ca, da quella globale, di scuola, a quella disciplinare dell’inse- gnante, a quella quotidiana del- la lezione. Inoltre, l’applicazio- ne doveva contribuire a poten- ziare i percorsi di inclusione e personalizzazione da attivare in aula e soprattutto essere sosteni- bile per i docenti, ovvero intu- itiva nell’uso, con ampie possi- bilità di riutilizzo e condivisione degli artefatti prodotti e con un ruolo importante di repository e aggregatore dei molti materia- li che il docente deve ogni gior- no portare con sé in aula per co- struire la lezione e renderla ac- cessibile a tutti gli alunni (Fedeli, Pennazio, Pentucci, 2018). La sperimentazione nelle scuole La prima sperimentazione dell’applicazione è durata cir- ca due anni scolastici e ha coin- volto oltre 200 insegnanti, im- pegnati su diversi piani. Prima di iniziare i lavori di sviluppo dell’applicazione sono stati som- ministrati questionari per capire quali fossero i bisogni e le idee dei docenti rispetto alla proget- tazione, sia in dimensione ma- cro che in dimensione micro. Ne è emerso un quadro interes- sante e inaspettato: la maggio- ranza dei docenti percepisce la progettazione curricolare come un’incombenza burocratica, fa- ticosa e complessa, ma con scar- sissime o nulle ricadute sull’a- zione didattica. I docenti produ- cono invece progettazioni “gri- gie”, informali, che li guidano nella loro didattica quotidiana, sia per il lungo periodo (quadri- mestre o mese) sia per l’imme- diato (il canovaccio della lezione quotidiana). Tali progettazioni sono spesso condivise con colle- ghi delle classi parallele o della stessa disciplina e vengono re- datte nelle forme più varie: ap- punti, mappe, descrizioni, sche- mi, tabelle. Si evidenzia inoltre un numero piuttosto elevato di docenti, soprattutto dei gradi scolastici più alti, che non pro- getta e va in aula con un’idea di ciò che deve fare, portando con sé al massimo materiali sciolti da utilizzare durante la lezione oppure che preferisce seguire la progettazione implicita suggeri- ta dal manuale. I bisogni espressi invece erano quelli di un modello di progetta- zione snello e sostenibile, adat- to soprattutto ad aggregare ma- teriali. Molti docenti, quelli che hanno compreso i limiti dell’u- tilizzo esclusivo del manuale, compongono le proprie lezioni con molti frammenti, materiali ricercati in rete o in riviste e testi specializzati, che necessitano di una strutturazione in una nar- razione lineare, legata a preci- si obiettivi e orientata verso tra- guardi di competenza. Inoltre, uno dei principali biso- gni era poter mostrare agli stu- denti il percorso pensato, in mo- do da esplicitare le attese del pro- cesso di apprendimento e aiutar- li a prendere consapevolezza di ciò che era stato già fatto e di ciò che ancora era da fare. L’applicazione, sviluppata se- guendo tali premesse e soprat- tutto basata a livello teorico sui principi ispiratori del Conver- sational Framework di Diana Laurillard, è stata fin dalla pri- ma versione consegnata ai do- centi perché la provassero in au- la, con i propri alunni. Dopo un anno scolastico di spe- rimentazione costante, duran- te il quale gli insegnanti hanno costruito i loro percorsi disci- plinari con l’applicazione DE- PIT, sono state raccolte opinio- ni ed evidenze rispetto all’utiliz- zo, alla usabilità, ai vantaggi e agli svantaggi di tale strumento. È stato somministrato prima un questionario a risposte sia chiu- se che aperte e sono stati effet- tuati alcuni focus group, guidati
  • 28. n. 5 – gennaio 202026eas dalle ricercatrici impegnate nel progetto, con lo scopo di capire le seguenti questioni: a) la portata trasformativa dell’app nelle modalità di pro- gettazione dei docenti. Tali cambiamenti si esplicitano sia prima dell’azione ‒ in quanto gli insegnanti sostengono di ave- re acquisito una maggiore con- sapevolezza della relazione tra i vari livelli di progettazione e una immediata visualizzazione dei molteplici fili rossi ‒ che in termini di saperi o di competen- ze attraversano le singole attivi- tà didattiche; b) l’efficacia della dimensione visuale dell’artefatto progettua- le per gli studenti. Questo con- sente, da un lato, un maggiore orientamento nei percorsi pro- gettati dai docenti dovuto alla visualizzazione topologica del processo, dall’altro la possibilità di generare essi stessi trasforma- zioni nella progettazione veden- do il proprio apporto reificato nell’artefatto. Durante la discussione nei focus group in particolare si è chiesto ai docenti di riflettere sugli effet- ti osservati, tanto sugli studenti che sui docenti, nei casi in cui le mappe progettuali prodotte con l’applicazione fossero state co- stantemente condivise in aula, a supporto dell’orientamento nel percorso disciplinare. I docenti hanno evidenziato una percezione di sicurezza ga- rantita dagli artefatti: il percorso sempre disponibile e ripercorri- bile, sia in fase di progettazione che di azione, consente di muo- versi meglio e di avere il polso della situazione in maniera sta- bile e documentata, con una maggiore facilità di gestione dei tempi e di articolazione di per- corsi alternativi o personalizzati. Altro punto di forza è stata la capacità dell’applicazione di ag- gregare e organizzare i materia- li: essa ha sostituito le memorie mobili utilizzate di solito e ha permesso di recuperare e strut- turare più facilmente le varie ri- sorse e i mediatori, in base ai va- ri moduli e alle varie sessioni in cui i docenti avevano strutturato la progettazione, con possibilità di riutilizzo, archiviazione e do- cumentazione delle singole le- zioni e dell’intero percorso. Altrettanto positivi sono stati gli effetti osservati rispetto agli stu- denti: la condivisione del per- corso formativo ha reso gli stu- denti più sicuri, consapevoli e meno ansiosi rispetto al futuro, poiché la mappa anticipa ciò che verrà fatto nei giorni suc- cessivi. Obiettivi e traguardi, ben esplicitati nei vari livelli del- la progettazione visuale, risulta- no chiari e possono orientare lo studio e la preparazione, soprat- tutto negli studenti più grandi. Il progetto prevede un secondo anno di sperimentazione appe- na avviato, durante il quale sa- ranno in particolare messe sotto osservazione le nuove possibili- tà dell’ultima versione dell’ap- plicazione, ovvero la condivisio- ne degli artefatti progettuali tra docenti, attraverso una ammini- strazione dello spazio di archi- viazione e progettazione delega- ta ai singoli istituti, i quali posso- no organizzare lo strumento per classi e condividere i prodotti con la segreteria, per consentir- ne la documentazione. Si cercherà di comprendere inoltre quanto la progettazione tramite l’app consentirà ai do- centi di creare una connessione tra micro e macro, ovvero di ri- trovare nelle attività quotidiane la coerenza generale del percor- so organizzato per competen- ze disciplinari e trasversali nella sua globalità. Altro elemento importante è quello legato alla trasformativi- tà: il docente adatta l’app ai suoi modelli mentali o è indotto/gui- dato a modificare tali modelli dall’artefatto? Infine, si cercherà di capire se la reificazione e la visualizzazione del percorso di classe potranno contribuire ad attivare una po- stura riflessiva nel docente, sia in azione sia dopo l’azione, fa- vorendo la regolazione e la ri- progettazione, condivisa anche con gli studenti (fig. 2). Figura 2
  • 29. n. 5 – gennaio 2020 27 eas Riferimenti bibliografici Fedeli L., Pennazio V., Pentucci M. (2019). A Digital Map as a Representational Tool Implications for the Instructional Design Process. In A. Luigini (Ed.), Proceedings of the 1st International and Interdisciplinary Conference on Digital Environments for Education, Arts and Heritage. EARTH 2018 (pp. 608-617). Springer, Heidelberg. Laurillard D. (2004). Rethinking the teaching of science. In R. Holliman & E. Scanlon (Eds.), Mediating science learning through information and communications technology (pp. 27-50). Routledge, London. Laurillard D. (2012). Teaching as a design science. Building Pedagogical Patterns for Learning and Technology. Routledge. London. Rivoltella P.C. (2016). Che cos’è un EAS. L’idea, il metodo, la didattica. La Scuola, Brescia. Rossi P.G. (2016). Progettazione didattica e professionalità docente. PROPIT: l’artefatto progettuale come mediatore didattico. In P.G. Rossi & C. Giaconi (Eds.), Micro-progettazione: pratiche a confronto. PROPIT, EAS, Flipped Classroom (pp. 13-38). FrancoAngeli, Milano. Rossi P.G. (2017). Visible Design. In «Revista Fuentes», 19(2), pp. 23-38. Wang F., Hannafin, M.J. (2005). Design-based research and technology-enhanced learning environments. In «Educational technology research and development», 53(4), pp. 5-23. Immaginiascuola - SitiUnescoItalia Il castello è visibile anche da lontano
  • 30. n. 5 – gennaio 202028 Didattica delle discipline eas Lesson planning di Pier Cesare Rivoltella La parola-chiave che accomuna i contributi di didattica discipli- nare di questo numero è micro- progettazione. Si tratta di una del- le due facce del design didattico, come lo abbiamo messo a fuoco nello scorso numero. La prima, quella della macro- progettazione, descrive il tratto di strada che l’insegnante per- corre lavorando sulle Indicazio- ni Nazionali per declinarle in modo da individuare per ogni traguardo di competenza le sue dimensioni, i criteri per valutar- le, gli indicatori che ne defini- scono il possesso. La micropro- gettazione parte da dove la ma- cro si è arrestata. Si tratta di sce- gliere su quali indicatori lavora- re e poi di immaginare l’attività da svolgere in classe con gli stu- denti. In contesto anglosasso- ne questa attività viene definita lesson planning: essa consiste nel pianificare la lezione, ovvero nel capire in che ordine disporre le microattività, quali materiali utilizzare, quando prevedere le pause, cosa far fare alla classe e cosa, invece, consegnare al lavo- ro dell’insegnante. L’ideale, soprattutto per l’in- segnante ai primi passi nella carriera, sarebbe di pianifica- re queste azioni in modo espli- cito, ovvero mettendole su car- ta, o su supporto digitale. “Scri- vere la lezione” non è pedante- ria, né un’attività inutile: serve a fare bene i conti con i tempi, a prevedere il carico cognitivo, a immaginare quali attività sia- no più indicate per i diversi tipi di contenuto che si sceglie di af- frontare. Gli articoli di questo mese si possono usare in due modi. Il primo è di andare al contenu- to e all’attività che vengono pro- posti, farsi suggerire un modo per affrontarli: è il modo classi- co in cui l’insegnante si è sempre servito della “programmazione svolta” contenuta sulle pagine delle riviste di aggiornamento professionale. Ma c’è anche un altro modo. Un modo “metadi- dattico”. Esso consiste nel non lavorare sul cosa ma sul come. Se si guadagna questo sguar- do di secondo livello, allora ci si rende conto del lavoro metodo- logico che, ciascuno con la pro- pria specificità, gli autori hanno fatto sulla loro disciplina. Sug- geriscono un metodo, non del- le attività. L’ultima attenzione è a non per- dere mai di vista il livello macro. È importante, anche per la clas- se, che mentre si lavora nel micro il riferimento alla mappa generale del percorso, al disegno generale su cui si sta lavorando, sia sempre presente. Un movimento di anda- ta e ritorno che fa la differenza, che qualifica il bravo insegnante. Riferimenti bibliografici Sulla microprogettazione si consiglia di vedere: Rossi P.G., Giaconi C. (eds.) (2016). Microprogettazione: pratiche a confronto. PROPIT, EAS, Flipped Classroom. FrancoAngeli, Milano. Il volume è pubblicato in open access ed è scaricabile gratuitamente a questo indirizzo: http://ojs.francoangeli. it/_omp/index.php/oa/catalog/ book/149. Immaginiascuola - SitiUnescoItalia Il castello in una stampa della seconda metà del XIX secolo
  • 31. n. 5 – gennaio 2020 29 eas La questione pedagogica Al termine della seconda o all’i- nizio della terza primaria di- venta fondamentale promuove- re nei nostri alunni un atteggia- mento mentale utile ad affronta- re lo studio della storia, andan- do a mobilitare competenze e abilità di osservazione e analisi, capacità di formulazione e con- fronto di ipotesi, comprensione di cosa sia una fonte e sviluppo di capacità critica per leggerla e interpretarla, il tutto ovviamen- te calibrato sui limiti e le carat- teristiche di un bambino tra i 7 e gli 8 anni. Le guide e i sussidi didattici ci forniscono senza dubbio degli ottimi suggerimenti che spesso, però, privilegiano il concetto di fonte, trascurando in parte quegli altri aspetti che ritenia- mo fondamentali per comin- ciare a formare una “mentali- tà storica”. Per questo motivo, ho ritenuto fondamentale, in prima istanza, confrontar- mi con un esperto in mate- ria; credo infatti che prende- re l’abitudine di interfacciarsi con altre professionalità, per essere aiutati a cogliere aspet- ti epistemologici e metodologi- ci di discipline che non sempre conosciamo a fondo, possa ri- velarsi fondamentale per ela- borare attività didattiche cen- trate e rigorose rispetto alla di- sciplina. Dovendo avvicinare i bambi- ni alla preistoria, come da In- dicazioni Nazionali, mi rivolgo al Museo di Archeologia Ligu- re per incontrare l’archeologa Francesca Chiocci alla quale ho illustrato il mio “problema” di- dattico-pedagogico. Ecco, in nu- ce, la sua intuizione: gli archeo- logi, spesso, trovano i “rifiuti della preistoria”: il fondo di una capan- na abbandonata per ragioni difen- sive, armi o attrezzi dismessi, tracce lasciate involontariamente: a partire da quelli, essi cercano di ricostrui- re contesti d’uso, abitudini, modi di vita dell’uomo antico. E se partis- simo proprio dei rifiuti? I bambi- ni potrebbero osservare e analizza- re un sacchetto di rifiuti, classificare gli oggetti in base alla loro categoria di utilizzo, fare ipotesi circa l’iden- tità e le abitudini di chi ha prodot- to quell’immondizia. In tal modo si troverebbero in una situazione-pro- blema adatta a traguardare quel- le abilità e competenze che ci siamo prefissati. La questione didattica Ma come rendere appetibi- le e sfidante per dei bambi- ni un sacchetto di rifiuti? Per- ché mai dovrebbero mettere le mani nella spazzatura di altri, pur intendendo per spazzatu- ra quel che oggi classifichiamo come plastica, carta, vetro o secco residuo e non certo l’u- mido? È necessario un lancio per l’at- tività che catturi l’attenzione dei bambini, una sfida che li motivi all’azione. Come spes- so accade, l’idea viene per as- sociazione: rimettendo a posto la piccola biblioteca di classe, mi capita tra le mani una co- pia illustrata degli Aristogatti; la apro per controllarne l’inte- grità e lo sguardo cade sui gat- ti amici di Romeo che vivono proprio tra i rifiuti. Ecco l’idea, lo sfondo integra- tore all’interno del quale or- ganizzare le attività finalizza- te a raggiungere gli obiettivi di partenza: sarà proprio un gatto randagio a chiedere ai bambini di aiutarlo a risolve- re un’importantissima missio- ne! Il gatto rivelerà ai bambi- ni di aver trovato tra i rifiuti un cuccioletto abbandonato; quel gattino è così piccolo che ha bisogno di una famiglia che si prenda cura di lui… ma co- me trovare la famiglia giusta, rispettosa degli animali in cui Dai rifiuti… alla storia Un caso di microprogettazione di Stefano Bertora
  • 32. n. 5 – gennaio 202030eas il gattino possa trovarsi a suo agio? (fig. 1). La tecnologia come alleata Qualche “abilità tecnologica,” che ormai possediamo qua- si tutti, mi viene in aiuto nella creazione di una serie di slide per la LIM. Predispongo co- sì una narrazione animata in cui Yellow (il gatto randagio) chiede ai bambini di aiutarlo in questa ricerca. Come? Ana- lizzando i sacchetti della spaz- zatura che le molte famiglie del quartiere producono. Una volta che i bambini hanno accettato la sfida, Yellow pro- pone un esercizio collettivo di metodo di lavoro: adesso sono tanti piccoli detective che do- vranno imparare a leggere i ri- fiuti come se fossero tracce e re- perti in base ai quali ricostruire la “storia” di chi li ha prodotti. Sulla LIM appare così un bi- done dell’immondizia in cui ci sono diversi oggetti. Gli stes- si dovranno essere analizzati e classificati attraverso la compi- lazione di una scheda con i se- guenti campi: Oggetto: Materiale: Funzione: Ipotesi circa i possibili contesti d’uso: Il coinvolgimento dei genitori Terminata la fase di lancio dell’attività, per passare alla fase laboratoriale, occorre pre- disporre una discreta quanti- tà di sacchetti della spazzatu- ra reali (non più virtuali sulla LIM) su cui i bambini comin- cino a fare le loro osservazioni. Il contenuto di ogni sacchetto deve essere pensato in modo da facilitare la deduzione lo- gica circa la composizione fa- migliare e le possibili attività dei componenti, osservazioni in base alle quali i bambini po- tranno decretare se quella fa- miglia è adatta o meno a ospi- tare il micio trovatello. È necessario allora recupe- rare anche quei rifiuti (come una scatola di biscotti per ca- ni, o una confezione terminata di antistaminico) che, facendo presupporre la presenza di un cane o di un soggetto allergico, scoraggeranno la scelta di quel- la famiglia. In questa fase, il fatto che l’in- segnante si faccia aiutare dai genitori (ovviamente all’oscu- ro dai bambini) facilita enor- memente la raccolta di varie tipologie di rifiuti e consente il coinvolgimento delle famiglie in un lavoro che potrebbe de- stare perplessità. Condividere i percorsi, esplicitare e chiarire le scelte didattiche e il senso delle attività, rendere i genitori par- te attiva del percorso formativo dei loro figli è una delle strade per creare sinergia tra scuola e famiglia. Il lavoro di gruppo: tra problem solving e learning by doing Una volta “confezionati” i va- ri sacchetti, i gruppi di picco- li detective si mettono ad ana- lizzare i singoli elementi e per ognuno viene compilata una scheda come quella presenta- ta alla LIM nella fase prece- dente. Le discussioni si anima- no, sia relativamente alla fun- Figura 1
  • 33. n. 5 – gennaio 2020 31 eas zione sia, soprattutto, circa le ipotesi sulla composizione fa- migliare e su probabili eventi occorsi alla famiglia il giorno in cui hanno prodotto quei ri- fiuti. Il gioco del se… allora for- se… aiuta i bambini nella for- mulazione di possibili inter- pretazioni, ma la negoziazio- ne all’interno del gruppo non è sempre facile. In questa fase, la proposta di una nuova attività collettiva guidata assume la duplice fun- zione di promuovere una rifles- sione sulla relatività e la plausi- bilità di un’ipotesi e di essere al contempo occasione per forni- re un modello per la successiva sessione di lavoro. L’oggetto della riflessione collettiva diventa un sacchet- to, appositamente accantona- to, sul quale i bambini sono in- vitati a fare le loro considera- zioni; il docente avrà il ruolo di registrare i vari interventi e far notare come anche ipotesi diverse possono essere accol- te purché plausibili: in man- canza di ulteriori prove o indi- zi, che confermino l’una o l’al- tra ipotesi, dobbiamo imparare ad accogliere più possibili verità. Si invitano inoltre i bambi- ni a tentare di trasformare in una sorta di narrazione la se- rie di congetture emerse: “Se nell’immondizia c’è una schiu- ma da barba, un rossetto e la scatolina di un ciuccio, allora forse quella famiglia è com- posta da tre persone: un pa- pà, una mamma e un bambi- no piccolo. Poiché ci sono due biglietti del teatro forse quella sera sono andati a uno spetta- colo, cosa abbastanza probabi- le visto che il rossetto ci dice che la mamma si è truccata per farsi più bella; anche se non c’è nulla che ce lo può confer- mare, avranno chiamato una babysitter, perché i bambi- ni piccoli che usano il ciuccio non si possono portare a tea- tro…” eccetera. Terminata questa fase di la- voro collettiva si invitano i va- ri gruppi a rappresentare gra- ficamente una delle situazioni emerse, andando a creare una sorta di pannello in cui ogni “disegno-situazione” sarà col- legato attraverso un filo colo- rato all’oggetto che ha permes- so di ipotizzarla. Forti delle riflessioni sulla rela- tività delle ipotesi e avendo co- me modello la narrazione co- struita collettivamente, potran- no ritornare nei gruppi per ela- borare la narrazione suggerita dai rifiuti in loro possesso, cre- ando una sorta di pannello co- me quello realizzato con l’intero gruppo classe. Al termine, i va- ri gruppi potranno confrontare le loro “storie-ipotesi” per deci- dere quale sia il nucleo familiare più adatto ad ospitare il gattino trovatello. Didattica viva e flessibile La collaborazione con l’esper- ta archeologa porta una novi- tà: “Considerato tutto il mate- riale raccolto, perché non pro- viamo a costruire un museo dei rifiuti?”. L’idea è troppo ghiotta per non coglierla ma, per renderla una nuova sfida, invito l’archeologa in classe: sarà lei a proporlo direttamen- te ai bambini. Francesca viene a trovarci, si fa raccontare l’esperienza con- dotta fino a quel momento e comincia a far emergere un parallelo tra la sua professio- ne e quello che hanno fatto i bambini. Fa comprendere che la spaz- zatura è importante perché ha avuto il potere di racconta- re delle storie. Dalla sua borsa emergono due reperti archeo- logici: una punta di lancia e un ago in pietra. Si tratta di due cose semplici che raccontano storie straordinarie di lunghe ed estenuanti battute di caccia per procurarsi il cibo e di duro lavoro per cucire le pelli e con- fezionare abiti per proteggersi dal freddo. Quei reperti, provenienti da un lontano passato, hanno una loro collocazione al museo di archeologia e allora perché non rendere altrettanto nobi- li i reperti/rifiuti, costruendo una specie di museo? Prima di realizzarlo insieme a loro, invita i bambini a recar- si al museo di archeologia per capire com’è costruito un vero museo. I bambini vengono guidati a cogliere le diverse modalità di esposizione degli oggetti, in particolare si insiste sulla diffe- renza tra “vetrine collezione” che raggruppano tutti gli og- getti aventi la medesima fun- zione e “le vetrine ricostruzio- ne d’ambiente” e “vetrine con- testo”. I bambini ricordano che nel- le loro schede di classificazio- ne anche loro hanno prestato attenzione alla funzione dell’og- getto (fig. 2).