1. Vita in trincea
a cura di Tommaso Rossi
IIIA, IC San Vito Romano (Rm)
2. Vita In Trincea: all'interno
Tutto al suo interno era difficile, piedi infangati costantemente, il perenne terrore del
nemico dell'altro fronte, le notti insonni accanto ai cadaveri dei propri compagni.
Tutto all'interno di una trincea era difficile. Fu un'esperienza che segnò la vita a
milioni e milioni di uomini di tutto il mondo. Furono pochi i sopravvissuti e anche se
erano ancora in vita, essi, potevano essere considerati morti, considerate le numerose
possibilità di malattie psicologiche dopo il ritorno dalla guerra.
La guerra, per tutta l'Europa fu disastrosa e difficile, poiché gli eserciti, sopratutto
quello italiano, erano completamente impreparati. Ad aggravare tutto ciò, ci pensò il
governo che non prestò minimamente attenzione a preparare il proprio esercito, con
l'intento di conquistare territori in poco tempo. Quindi, gli eserciti avevano dotazioni
estive e per niente adatte allo scorrere dell'anno.
I soldati, avevano un semplice berretto, che non riusciva di certo a fermare i
proiettili, inoltre non fu spiegato ai militari che bisognava restare accovacciati nelle
trincee. Ancora più imbarazzante fu la mancanza di organizzazione e costruzione
della trincea, permetteva così la vulnerabilità di chi si apprestava a creare dei varchi
tra una trincea e un'altra.
I numerosi problemi erano attinti anche al terreno carsico presente nel nord - Italia o
delle montagne. Le scarpe indossate dai soldati non erano affatto adatte a questo tipo
di terreno, infatti nel giro di pochi giorni scomparivano compromettendo la salute dei
piedi dei militari comportandogli gravi malattie ai piedi. Un altro problema, banale
ma grave, fu quello delle ferite, poiché venivano 'disinfettate' da semplice acqua
contenuta in un'antigienica borraccia di legno.
Ad aggravare ulteriormente la situazione, ci pensò il generale Luigi Cadorna che con
il suo modo di fare, abbassò significantemente il morale dei soldati, pronto ad
insultare chiunque non fosse riuscito in un'impresa di guerra e chiunque abbia
pensato di fuggire.
Nel 1916 la situazione migliorò leggermente. Comparvero nuove dotazioni per
l'esercito, come gli elmetti con l'abilità di 'parare' i proiettili, le calzature più adatte
alla dura vita in trincea e per il 'reparto montagna' si adottarono i primi scarponi da
neve chiodati. Entro l'inverno anche i primi abbigliamenti pesanti.
3. Vita In Trincea: il cibo
Significativo, fu anche il problema dell'alimentazione, in quanto scarsa o mal
nutriente sia per la popolazione civile che per quella militare. Molti furono i casi di
saccheggiamento nel mondo 'civile', infatti molti di questi si svolsero nelle campagne,
rendendo la vita delle famiglie, abitanti nelle retrovie, impossibile. Il cibo veniva
conservato in depositi lontani dal fronte, preparato nelle retrovie e poi portato a dorso
di mulo o a spalle in prima linea, dove eventualmente poteva essere scaldato
direttamente nelle gavette dei soldati con un piccolo scalda - rancio, un fornelletto a
cera o a grasso in grado di sprigionare calore in assenza di fiamme o fumo che
avrebbero attirato il fuoco nemico.
Ma quando il cibo arrivava in trincea, come il brodo, si trovava freddo e sotto forma
di gelatina collosa, stessa cosa per la carne ed il pane. Era comunque preferibile che
le pietanze giungessero già calde. A questo scopo l’esercito italiano aveva introdotto
le cosiddette “casse di cottura”: si trattava di casse coibentate nelle quali venivano
posti i tegami con le pietanze portate a bollore ma non cucinate; la chiusura ermetica
faceva sì che la cassa si trasformasse in una sorta di pentola a pressione: le marmitte
erano in grado di mantenere una temperatura interna di circa 60°, permettendo di
continuare la cottura delle pietanze durante il trasporto e di mantenerle calde per circa
24 ore.
Molto spesso le quantità di cibo non erano eque per ogni soldato, a differenza delle
razioni che si offrivano all'esercito Austro-Ungarico. L'esercito italiano dava ai suoi
soldati ogni giorno: 600 grammi di pane, 100 grammi di carne, frutta e verdura (a
volte), un quarto di vino e del caffè. L'acqua potabile era scarsa e si non si superava
un litro e mezzo al giorno. Per le gavette la porzione di cibo lievitava leggermente, in
quanto in prima linea.
Veniva utilizzato molto anche l'alcool. Infatti, ai soldati che dovevano combattere per
primi, gli venivano assunti dei superalcolici così sarebbe andati in stato di brezza e
non avrebbero avuto paura dell'avanzata in attacco.
4. Vita In Trincea: le malattie
Molte erano le cause delle malattie che affliggevano la vita dei poveri soldati del
fronte. Alcune erano dovute alla bassa temperatura del territorio, poiché per molto
tempo la guerra si svolse sulle Alpi; altre erano dovute alla completa mancanza di
igiene, sia personale, che alimentare, dato che era mal conservato.
Tra le malattie più diffuse in trincea riportiamo il tifo, il colera e la dissenteria. Alcuni
soldati si ammalarono anche per problemi legati all'apparato respiratorio. Fra tutti gli
italiani morirono almeno centomila uomini per malattie. Nel 1918, inoltre ci fu la
terribile influenza 'Spagnola' che ridusse di molto l'intera popolazione, anche quella
non in guerra.
Grande è l’importanza da dare alle malattie psichiche, dovute a vari fattori, anche al
lungo periodo passato in trincea, senza famiglia e con visione di fatti sconcertanti. I
più vulnerabili a questo tipo di malattie erano i soldati in prima linea, perché erano
soggetti a bombardamenti incessanti e i colpi di cecchino che non cessava mai di
vigilare. Poteva costare di vita anche un piccolo gesto, come alzare la testa. La
malattia psichica era dovuta anche alla vita costante accanto ad un cadavere: di notte
si dormiva accanto ai morti, con la probabilità di prendere gravi infezioni dovute alla
decomposizione del cadavere; di giorno mentre si combatteva o mentre di stava in
guardia. Questa situazione fu resa tragica dal comportamento degli ufficiali verso i
soldati, come l'ufficiale Luigi Cadorna che privava i soldati di ribellarsi o di passare
in seconda linea.
L'espressione che veniva usata per definire coloro che, tornati dalla guerra, erano
malati psichicamente, era 'scemo di guerra'. Triste fu il destino degli scemi, ripudiati
dalla famiglia, mandati in manicomio e privati delle loro emozioni con l'elettroshock,
col tentativo di cura ma peggiorando ancor di più i dolori e le complicanze, una volta
tornati dal fronte.
Si calcola che durante la guerra rimasero feriti circa un milione di soldati. Si tratta di
un numero molto elevato che però non sorprende se si tengono in considerazione gli
effetti devastanti delle nuove armi ed i lunghi periodi di permanenza in trincea dei
soldati.
5. Vita In Trincea: lettere ai soldati
'Carissimi Abbiamo riconquistato un forte perduto che gli austriaci hanno ridotto ad
un mucchio di rovine, su di esso che fu e che ormai non è più che un travolto avanzo,
ci siamo fermati nella notte e nella mattina con il pesante fardello del nostro sonno e
delle fatiche. [...] Su un blocco di calcestruzzo rimasto da una parte piano e liscio si è
improvvisato un tavolino, dagli zaini, dai tascapani è uscito un foglio di carta, una
penna stilografica ed ognuno scrive, e scrivendo si riposa, perché nel ricordare
voialtri, nel narrare a voi la nostra vita sembra che la stanchezza si allontani, pare che
ogni parola scritta si porti via uno dei nostri tanti dolori e quando la lettera è finita si
prova realmente un dolce benessere, si respira più liberamente, direi quasi si
comincia di nuovo a vivere. Per questo ogni minuto libero è dedicato a quelli che
sono lontani e lo scrivere una cartolina e quando è possibile una lettera, non è un
fastidio, ma una gioia; è il tempo meglio impiegato, l'unico che sia da noi benedetto.
In quei momenti ci si astrae da tutto quello che ci circonda e che non è mai bello, non
si è più sotto un sasso, nascosti in una roccia, non si è più al pericolo, no, no, si è
accanto a voi nella casa tranquilla che non conosce che la pace e si parla di tante cose
del tempo bello e del vino buono. [...] Quando poi arrivano le vostre lettere è
un'esplosione di gioia è un protendere di mani nel buio, perché giungono sempre di
notte nelle posizioni avanzate, divise, separate per compagnia e per tutta la notte
stanno lì con noi serrate al petto del primo che l'ha ricevute e quando l'alba permette
di leggere ecco che ciascuno di noi esce dal riparo, dal nascondiglio e afferra la nota
busta col noto indirizzo. Si sa, la cernita è fatta in un momento, s'intravvede anche a
distanza, anche nel mucchio geloso la propria corrispondenza, chi non riconosce le
buste della propria famiglia e la calligrafia dei suoi anche da lontano? Ma tutti. [...]
Difficilmente noi mandiamo delle maledizioni, quasi mai, perché a tutto siamo
abituati e rassegnati, non ci si arrabbia se piove e non abbiamo da cambiarci, se il
rancio non arriva, se il fuoco infuria, si sa, siamo alla guerra e deve essere così, ma
guai se la posta non arriva, è Tira di Dio che si scatena.'
I soldati in trincea ricevevano molte lettere dalla proprie famiglie. Le lettere venivano
consegnate al fronte tramite un postino, che rischiava la vita ogni giorno per
consegnare un semplice sorriso al destinatario. Molte volte, però, le lettere venivano
'censurate' dall'ufficiale del fronte per non far rattristire i soldati in caso ci fossero
state cattive notizie. Da notare, inoltre, che le lettere contenevano molti errori di
grammatica, rappresentati il grado di alfabetizzazione molto basso.
6. Vita In Trincea: il combattimento
La strategia utilizzata nelle guerre in trincea è quella del logoramento, ovvero
imponendo al nemico un grande consumo di viveri ed altre risorse, così da non
consentirgli il proseguimento della guerra. Anche se i comandanti si affidavano
ancora alla tecnica dell'annientamento del nemico.
Il comandante che mise a punto questa strategia, fu l'inglese Douglas Haig, che con il
suo esercito, tento un attacco alle linee tedesche. Le sue più grandi offensive furono:
sul monte Somme nel 1916 (Germania) e nelle Fiandre nel 1917; quest'ultime erano
state ideate come battaglie di sfondamento ma poi si svolsero per logoramento.
La tattica del logoramento si rivelò fatale per i grandi imperi quando entrarono in
guerra gli Stati Uniti, che spostarono con decisione l'equilibrio delle forze a favore
dell'Intesa.
Nel 1917, l'esercito tedesco introdusse la tattica dell'infiltrazione: piccole unità, ben
armate e addestrate molto bene, dovevano attaccare i punti deboli delle linee
nemiche. Tutto ciò era preceduto da bombardamenti di breve durate, per non dare al
nemico la possibilità di organizzare le riserve. Solo dopo essersi infiltrati, le truppe
entravano nel territorio nemico ad attaccare le posizioni munite, così a questo punto,
il nemico non aveva più rinforzi. Questa strategia venne impiegata nella battaglia a
Caporetto e in altre parti dell'Europa occidentale.
L'artiglieria aveva doppio ruolo. In primo luogo, aveva il compito di distruggere le
difese nemiche, in secondo luogo, doveva creare uno 'schermo di proiettili': impediva
al nemico di attaccare la propria fanteria.
La conquista era solo la meta di una vittoria, poiché si doveva mantenere le conquiste
fatte. Per conquistare la trincea, gli attaccanti, non dovevano portare con sé solo le
armi, ma anche tutto il necessario per riparare la trincea dopo il danno dell'attacco,
quindi: filo spinato, pale, sacchi di sabbia, tavole ecc., per rendere possibile la difesa
in vista di un nuovo attacco.
Un grande problema per l'attacco fu quello delle comunicazioni, dal momento che era
molto complicato rimanere in contatto tra un'unità e l'altra durante le diverse ore del
giorno perché poteva succedere che durante lo scambio di informazioni tramite un
soldato, esso poteva essere ucciso dal nemico dell'altro fronte.
7. Lettere per i soldati
Rancio o pasto
Trincea tedesca
Trincea russa
Fonti:
www.itinerarigrandeguerra.it
http://web.educazione.sm/
mediac2/8progetti_didattici/Soldati%20in
%20trincea.pdf