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PRIMO GIORNO
SARAJEVO
02/10/2018
L’assetto urbanistico di Sarajevo è il risultato di un lungo processo di
assorbimento e rielaborazione dei mutamenti imposti dalla storia; in
particolare sono evidenti le influenze turche nel centro storico. La
capitale, sottoposta a un assedio dalle forze serbe durato 44 mesi, ha
subito gravissimi danni al patrimonio artistico e abitativo. I cittadini
fanno memoria delle atrocità avvenute per le strade rivestendo i segni
delle granate esplose di una resina rossa, che va a formare quelle che
vengono chiamate le " rose" di Sarajevo.
Dopo la fine dell’assedio, grazie agli aiuti internazionali, la città ha
intrapreso un difficile cammino verso la ricostruzione, il cui simbolo è la
Biblioteca Nazionale, distrutta da un incendio e in seguito ricostruita tale
e quale l’originale.
Questo processo è però lontano dal concludersi: infatti percorrendo le
vie della città si notano palazzi segnati dai solchi delle granate e dai fori
di proiettile, soprattutto lungo il "viale dei cecchini", una strada
tristemente famosa per essere stata la linea del fronte durante l’assedio.
LA CITTÀ DI SARAJEVO
02/10/2018
A partire dal gennaio 1993, durante l’assedio della città di Sarajevo, fu
costruito dagli assediati bosniaci il tunnel di Sarajevo.
Il tunnel aveva lo scopo di collegare la capitale ad una porzione libera del
territorio bosniaco, passando sotto l’aeroporto controllato dalle Nazioni Unite.
La galleria permise alle riserve alimentari e agli aiuti umanitari di raggiungere la
città e alla popolazione di fuggire.
Alto 1 m e 60 cm e largo mediamente 0,80 cm copriva una distanza di circa 800
metri. Ad oggi la città ha deciso di conservarne una parte per renderla visitabile
al pubblico.
IL TUNNEL DI SARAJEVO
IL TUNNEL DI SARAJEVO
COS’È STATO PER NOI
“Ho percorso il tratto di tunnel due volte: la prima ero con altri ragazzi, camminavamo veloci in uno
spazio troppo stretto per noi… Mi immaginavo gli uomini, le donne e i bambini che lo percorrevano,
magari feriti e stanchi.
Io pensavo a loro, loro pensavano a sopravvivere.
La seconda volta ho percorso il tunnel da sola, con una sensazione di angoscia e terrore che mi
accompagnava… Chissà quante persone sono passate da qui... Erano ferite? Quali erano le loro
storie? Il soffitto è troppo basso, le pareti umide e strette.
Cosa provavano nel rivedere la luce? “ Sofia P.
“È difficile spiegare le sensazioni provate mentre attraversavo il
tunnel, ricordo che un brivido mi ha percorso la schiena, mi sono
immedesimata in tutte quelle persone che hanno tentato di
percorrerlo, con tanta speranza e voglia di continuare a vivere. È
impossibile rimanere indifferenti di fronte a tanta crudeltà e
agonia”.
Camilla A.
02/10/2018
IL MUSEO DELLA RESISTENZA
Il Museo della Resistenza si trova nel centro di Sarajevo.
Una volta entrati, siamo stati accolti da un’enorme raffigurazione
a forma di infinito creata con la parola "rispetto" scritta in tutte
le lingue del mondo.
Appesi alle pareti, vi erano pannelli con fotografie e didascalie che
illustravano la qualità di vita durante gli anni della guerra. La cosa
che più ci ha colpito è stato vedere come, utilizzando la cultura, le
persone hanno incrementato la coesione all’interno dello stato e il
sentimento patriottico, riuscendo a distogliere lo sguardo dalla
guerra per quanto possibile. Tutto ciò avveniva organizzando
festival musicali e cinematografici o eventi come “Miss Sarajevo”.
02/10/2018
IL MUSEO DELLA RESISTENZA
Un’ala del museo è dedicata al racconto di storie dell’infanzia di
coloro che hanno vissuto durante la guerra; tra tutte, ci ha colpito
soprattutto quella di Nermin, un bambino di 6 anni fotografato in
due diversi momenti.
Le prime due foto (quelle in basso) lo ritraggono mentre sta
giocando sulla neve insieme al fotografo Gervasio Sanchez.
A distanza di un anno lo stesso Sanchez lo ha fotografato subito
dopo il colpo che lo ha ucciso.
Questa testimonianza ha lasciato in
noi un grande senso di malinconia e
tristezza, ma al tempo stesso la
consapevolezza di quanto siamo stati
fortunati a crescere in un ambiente
sereno e pacifico; inoltre abbiamo
capito come la vita non possa essere
prevedibile, perché le cose possono
mutare in un secondo e le certezze
che si hanno un giorno possono non
esserci più il successivo.
SECONDO GIORNO
SREBRENICA
MEMORIALE DI POTOČARI
Il Memoriale di Potočari è un grande cimitero costruito su una collina a 7 km da Srebrenica.
All'interno di questo luogo ci sono le vittime del genocidio che risale al 1995:
8372 morti, che potrebbero aumentare in caso di altri ritrovamenti.
A partire dal 2006 sono stati trovati nelle fosse comuni più di 12.000 corpi, riconosciuti solo in
parte attraverso esami del DNA.
Il memoriale è stato aperto il 20 settembre 2003 alla presenza dell’ex Presidente americano Bill
Clinton, il quale ha avuto un ruolo decisivo per quanto riguarda la conclusione del conflitto.
Ogni anno l'11 luglio si celebra l'anniversario del genocidio. In occasione del decimo anniversario
hanno partecipato più di 50.000 persone tra cui, per la prima volta, anche il Presidente serbo: in
questa occasione sono state sepolte altre 610 vittime. Ancora oggi durante questa ricorrenza
vengono inumati nuovi corpi riconosciuti grazie al lavoro del Centro di Identificazione di Tuzla.
03/10/2018
03/10/2018
MEMORIALE DI POTOČARI
Siamo partiti da Sarajevo la
mattina e, dopo tre ore di
viaggio, ci siamo accorti che
alla nostra destra iniziavano a
vedersi un'infinità di tombe.
Una volta giunti all’entrata ci
hanno consigliato di indossare
un velo che ci coprisse i
capelli per rispetto del luogo
in cui ci trovavamo. Dopo di
che siamo saliti sulla collina
del cimitero e ci siamo
trovati davanti ad una vista
spaventosa.
03/10/2018
MEMORIALE DI POTOČARI
Questa è la distesa della morte
e la sconfitta del mondo.
Luogo di riposo e dolore,
di fantasmi rotti, spezzati.
Questa è la distesa dei ricordi
di volti sconosciuti,
di famiglie divise e riunite.
Benvenuti nella distesa dell’orrore,
dove l’uomo è vittima e carnefice.
Nicole Casadei Della Chiesa
03/10/2018
BASE DELL’ONU
Intorno al 1992, la città bosniaca di Srebrenica era diventata una
vera e propria enclave circondata da territori serbi. Essa venne
dichiarata l’anno successivo zona protetta sotto il controllo delle
Nazioni Unite; per questo motivo vi si rifugiarono numerose
vittime di guerra, soprattutto musulmani. L’arrivo di così tante
persone portò ad un conseguente aumento della popolazione, che
raddoppiò. A presidiare il territorio, dopo le truppe francesi,
furono quelle olandesi, che fissarono la loro sede a Potočari (una
piccola città a 6 km da Srebrenica). Qui furono 10.000 gli uomini
che cercarono rifugio dall’avanzata dei Serbi, ma il 12 luglio del
‘95 le truppe olandesi costrinsero 5.000 di questi ad abbandonare
la base, consegnandoli praticamente nelle mani dei carnefici. La
restante metà in un primo periodo poté contare sulla protezione
dei Caschi blu, poi venne comunque uccisa dalle forze guidate da
Ratko Mladić (comandante militare delle forze serbo-bosniache).
03/10/2018
Dopo aver visitato il memoriale di Potočari ci siamo recati
alla base dei Caschi blu olandesi, dove subito siamo rimasti
colpiti dalla grandezza del posto, che durante la guerra ha
accolto migliaia di persone destinate poi alla morte.
Sicuramente entrare in questo edificio ci ha suscitato
diverse emozioni contrastanti: sia l’odore sia le condizioni in
cui è conservato ci hanno fatto per un momento catapultare
indietro nel tempo. La prima cosa che salta all’occhio sono i
numerosi pannelli che raffigurano foto originali del periodo
del conflitto, che ricoprono tutte le pareti della base, ora
musealizzata.
È presente anche una sezione dedicata a racconti di storie
vere, di persone che sono morte durante il genocidio; insieme
ad esse, sono presenti effetti personali, ritrovati insieme ai
loro corpi.
Guardando queste immagini siamo rimasti tutti stupiti dalla
crudeltà dell’uomo e allo stesso tempo dalla sua fragilità:
parlando tra noi compagni, abbiamo notato che è capitato di
doverci soffermare più volte davanti alla stessa fotografia
per metabolizzare il fatto che ciò che guardavamo con i
nostri occhi era reale.
EMOZIONI
BASE DELL’ONU
03/10/2018
MARCIA DELLA MORTE
Srebrenica era stata dichiarata "zona
libera" il 16 aprile 1993, ma nel 1995 i
cittadini capirono che di lì a pochi giorni i
serbi avrebbero attaccato la città. Una
parte della popolazione decise di tentare la
fuga, procedendo verso Tuzla, città ancora
libera e distante circa 110 km. Presero
parte circa 15.000 musulmani, che
scapparono attraversando boschi e
montagne. I civili camminavano giorno e
notte, combattendo contro la fame e il
sonno. Essi proseguivano il loro cammino in
condizioni pessime: i vestiti erano molto
spesso strappati e non venivano indossate
scarpe. Le persone furono decimate lungo il
percorso a causa delle mine trovate nei
campi e dei bombardamenti dell'artiglieria
serba. A questa "marcia della morte",
chiamata così proprio perché chi ne
prendeva parte era consapevole di star
rischiando la vita, parteciparono famiglie
intere, senza distinzione tra uomini, donne e
bambini. Uno dei 3.500 civili sopravvissuti
alla marcia si chiama Hasan Hasanovic e noi
lo abbiamo incontrato.
MARCIA DELLA PACE
LA MARCIA PER LA PACE
Marš mira, in italiano Marcia per la pace, si
svolge ogni anno in memoria dei 15.000 bosniaci
musulmani che nel luglio del 1995, all'arrivo
dell’esercito di Mladić e dei paramilitari serbo-
bosniaci nell’enclave di Srebrenica, cercarono di
mettersi in salvo camminando nei boschi verso il
cosiddetto “territorio libero” di Tuzla.
La Marcia per la pace avviene dal 2005 in senso contrario al cammino
percorso allora, avendo una durata di tre giorni da Nezuk a Potočari,
per permettere ai partecipanti di arrivare il 10 luglio a Srebrenica, in
tempo per assistere alla cerimonia funebre che si tiene per le vittime
del genocidio presso il Memoriale. Durante la marcia vengono
costeggiati interi campi con il cartello "Pozor Mine", ossia "Attenzione
alle mine", e fiancheggiate numerose fosse comuni. Marš mira è il
coraggio delle persone di ripercorrere quelle strade per mantenere viva
la memoria, è la dimostrazione che l'indifferenza può essere sconfitta
stando dalla parte delle vittime, in difesa dei diritti umani.
03/10/2018
HASAN HASANOVIĆ
La nostra guida al Memoriale ONU, Hasan
Hasanovic, scrittore del libro "Surviving
Srebrenica" uscito nel 2016, è proprio uno
dei sopravvissuti a questa marcia. Nel 1995
aveva appena diciannove anni ed ha percorso i
110 km insieme al padre e al fratello gemello.
Durante l'incontro, Hasan è parso molto
turbato, ma grazie alla scrittura del suo libro
abbiamo saputo che si divise dalla madre e
dal fratello minore per percorrere la strada
verso la salvezza. Durante il cammino perse i
due familiari con cui stava camminando, ma la
voglia di vivere superava la paura e questo lo
spinse ad arrivare a Tuzla, riabbracciando
finalmente la madre e il fratello minore.
All'interno della classe, noi studenti
abbiamo percepito le stesse emozioni e gli
stessi sentimenti durante l'incontro con
Hasan Hasanovic. Nonostante un dialogo
molto breve, dovuto probabilmente alla
difficoltà di raccontare ciò che ha vissuto,
abbiamo cercato di immedesimarci nei suoi
panni, cercando di comprendere il dolore, la
tristezza, la freddezza e la forza avuta
durante la marcia. Sapendo che stava
raccontando episodi molto crudi riguardanti
la sua vita, abbiamo ammirato il suo
coraggio di mettersi a nudo davanti a delle
persone sconosciute. "Oggi lavoro al
Memoriale e cerco di far conoscere al
mondo la mia storia e dei tanti che non ce
l'hanno fatta. La memoria è fondamentale
affinché tutto questo non accada più. " Con
questa frase, Hasan ci ha trasmesso il
desiderio di continuare a diffondere la
storia di Srebrenica, portando così avanti il
ricordo delle vittime.
03/10/2018
ADOPT
SREBRENICA
Il progetto "Adopt Srebrenica" è promosso e sostenuto dalla Fondazione Alexander Langer di
Bolzano e dall’associazione Tuzlanska Amica di Tuzla. L’idea della collaborazione è nata nel 2005 in
occasione della consegna del Premio Internazionale Alexander Langer alla psichiatra Irfanka
Pašagić. In quel periodo è emersa anche la volontà di riportare l’attenzione internazionale su
Srebrenica, avviando un progetto di partnerariato con la città che prevede un coinvolgimento
attivo di amministrazioni pubbliche e associazioni italiane e internazionali. Da subito quindi c'è
stata una doppia finalità: parlare di Srebrenica e operare con Srebrenica. I temi su cui si focalizza
sono quelli della memoria, della giustizia e dell’elaborazione del conflitto.
Le principali attività di "Adopt Srebrenica" sono:
> raccolta di storie e immagini che documentino la vita quotidiana di Srebrenica prima della guerra;
> acquisizione di un fondo di libri, foto, video, documenti sulla storia di Srebrenica e della BiH, da
mettere a disposizione della cittadinanza;
> realizzazione di un servizio skype gratuito per consentire i contatti tra residenti di Srebrenica e
parenti e amici lontani nella diaspora;
> produzione e diffusione periodica di informazioni sull'attualità di Srebrenica;
> ideazione e organizzazione dell'annuale Settimana Internazionale della Memoria e
accompagnamento di gruppi di visitatori;
> organizzazione di corsi di lingue, attività culturali e formazione;
> partecipazione a visite e scambi con analoghi centri nazionali o internazionali, associazioni
o istituzioni interessate.
03/10/2018
ADOPT SREBRENICA
Dopo aver incontrato i ragazzi di Adopt Srebrenica
tra cui Muhamed Avdic, Valentina Gagić Lazić, Bekir
Halilović e Amra Nalic, abbiamo aperto gli occhi sul
clima tremendo che ha avvolto parte della Bosnia-
Herzegovina durante la guerra del '92-'95. È stato
inconcepibile, da parte nostra, pensare che ragazzi
poco più grandi di noi hanno preso parte ad uno dei
genocidi più cruenti del '900.
Ascoltando le diverse storie, però, siamo stati
protetti da una sorta di “distanza di sicurezza”
perché, nonostante la guerra sia vicina nel tempo,
rimane lontana dal nostro mondo; questa distanza si è
annullata nel momento in cui Muhamed ha parlato del
figlio Azam e di come gli ha raccontato la storia del
nonno ucciso dai militari serbi. D’un tratto ci siamo
trovati catapultati nel presente: come potrà la nuova
generazione concepire la guerra che ha visto coinvolti
i loro famigliari?
«Mi è sembrato strano pensare di avere
testimoni diretti della guerra davanti ai miei
occhi.»
«Ho provato
empatia soprattutto
ascoltando le loro
storie.»
«Mi ha colpito la loro
forza di volontà nel
provare a unire due
culture diverse e il
fatto che, insieme,
hanno cercato di
elaborare la
situazione della
guerra.»
«Per qualche secondo
ho creduto che una
situazione del genere
possa capitare anche
nel nostro paese.»
TERZO GIORNO
MOSTAR
04/10/2018
Jovan Divjak è attualmente impegnato socialmente nella sua fondazione Association Education
Builds BiH che si impegna ad aiutare economicamente bambini poveri o rimasti orfani a causa della
guerra e, più in generale, tutti i ragazzi bisognosi di aiuto, consentendo loro di ottenere
un'istruzione. Viene considerato eroe dalla popolazione bosniaca per il suo lavoro in ambito sociale e
per la difesa di Sarajevo durante l'aggressione serba. Essendo di origini serbe, tuttavia viene visto
come un traditore dalla sua "patria", tanto che è stato arrestato nel 2011 con l’accusa di tradimento,
spionaggio, corruzione e traffico d’armi: tutte accuse prive di prove concrete, da cui è stato
prosciolto.
Divjak ha combattuto a fianco dei bosniaci per difendere
Sarajevo quando i serbi hanno attaccato la città, ma si è
subito schierato anche in difesa dei diritti dei serbi rimasti,
contro ogni tentativo di discriminazione nei loro confronti.
Ha sempre preso la difesa dei perseguitati e lottato contro
ogni tipo di oppressione, da qualsiasi parte provenisse, senza
distinzioni di alcun genere (etniche, religiose o politiche).
Per questo è stato emarginato all’interno dello stesso
esercito bosniaco per il quale aveva combattuto e nel quale
aveva raggiunto il grado di generale : è stato liquidato senza
neppure essere consultato, ma lui non ha rinunciato alle sue
battaglie, spostandole in ambito sociale.
GENERALE JOVAN DIVJAK
04/10/2018
L’incontro con il generale ha rappresentato sicuramente un’opportunità unica, non solo per
quanto riguarda la conoscenza dei fatti ma soprattutto in ambito morale. La sua semplicità e
solarità hanno attirato l’attenzione di tutti, facendoci sentire vicini a lui malgrado la nostra
giovane età e la nostra comune tendenza ad ascoltare solo in parte ciò che gli adulti ci dicono.
Il generale ci ha invitati a riflettere e ci ha insegnato che non ci si può fermare solo alle parole:
è giunto il momento di mettere in pratica ciò che abbiamo appreso.
COS’È STATO PER NOI
Nonostante il suo passato difficile e pieno di guerre, è sorprendente
come il generale Divjak sia stato capace di lasciarsi tutto alle spalle
ricominciando una nuova vita, dedicata principalmente all’aiuto per i
più deboli e gli indifesi. Il messaggio che ha voluto mandare a tutti noi
è stato: “godetevi la vita e amatela”. Divjak si è presentato come un
esempio di forza per noi ragazzi che spesso ci perdiamo in problemi
futili, raccontandoci di aver vissuto sulla sua pelle l’importanza che la
vita ha e la semplicità con cui la morte ci coglie impreparati,
portandoci via tutto. Le sue parole sono state uno sprone verso la
ricerca del buono, la collaborazione fra uomini e la costruzione della
felicità, imparando dagli errori commessi nel passato. Di fronte ai
crimini di guerra l’uomo ha sempre detto “mai più”, ma è stato poi
così?
GENERALE JOVAN DIVJAK
04/10/2018
CITTÀ DI MOSTAR
• Ubicata nella valle del fiume Neretva,
fra le montagne della Erzegovina.
• Conta 100.000 abitanti.
• Città multietnica, comprende 4 etnie
diverse: cattolici, ortodossi, islamici ed
ebrei.
Fondata nel tardo XV secolo dai Turchi Ottomani, Mostar era il centro amministrativo
dell'Impero nella regione dell'Erzegovina. L'Impero Austro-Ungarico annesse Mostar nel 1878.
Dopo la I guerra mondiale la città a partire dal 29 ottobre 1918 divenne parte dello Stato degli
Sloveni, dei Croati e dei Serbi (DSHS), con capitale Belgrado, e quando questo il 10 dicembre
1918 fu unito al Regno di Serbia fu formato un nuovo Stato unitario, detto Regno dei Serbi, dei
Croati e degli Sloveni (KSHS), più tardi noto come Regno di Jugoslavia. Durante la Seconda
guerra mondiale, la città fece parte, come il resto dei territori dell'attuale Bosnia ed Erzegovina,
dello Stato Indipendente di Croazia, controllato dai nazifascisti.
Dopo la Seconda guerra mondiale, la città entrò a far parte della Repubblica Popolare di Bosnia
ed Erzegovina, che fu una delle sei repubbliche che componevano la Repubblica Socialista
Federale di Jugoslavia. In quegli anni furono costruite varie dighe per sfruttare l'energia
idroelettrica della Neretva.
04/10/2018
CITTÀ DI MOSTAR
STARI MOST
L’emblematico ponte con cui si identifica la città bosniaca di Mostar affonda le
radici della sua storia nella civiltà ottomana, come attesta la sua commissione da
parte di Solimano il Magnifico nel 1557, con la funzione di collegare le due parti
della città divisa dal fiume Neretva. La sua temporanea fine fu purtroppo decretata
dall’esercito croato durante la guerra che interessò la zona negli anni Novanta del
Novecento, in quanto simbolo della cultura bosniaca a loro ostile. Più precisamente il
9 novembre del 1993 venne intensamente bombardato e distrutto in quanto già
danneggiato da precedenti colpi di artiglieria. Questo non ha però permesso che la
sua storia fosse per sempre interrotta; alla fine del conflitto infatti la città si è
subito mobilitata per la sua ricostruzione conclusasi nel 2004, anno di inaugurazione,
tornando così ad essere una delle principali attrazioni del paese. Oggi lo ricordiamo
principalmente per gli spettacolari tuffi che vengono eseguiti dal punto più alto
(24m) solo dai più coraggiosi.
04/10/2018
CITTÀ DI MOSTAR
LA VERITÀ SUL PONTE PIÚ FAMOSO DI MOSTAR
La maestosità del ponte sembrerebbe riflettere la
sua importanza simbolica in una città divisa dalle forti
rivalità etniche lasciate dalla guerra. In realtà, come
ci è stato raccontato da un abitante di Mostar, esso
non è molto di più di un semplice ponte che congiunge
le sponde di un fiume. La meraviglia che ci ha
investito nell’attraversarlo e nell’ammirarlo infatti
non ha nessun risvolto sociale: se una volta era il
segno della fusione di due culture differenti, oggi
serve solo ad agevolare il passaggio di turisti e
commercianti. I veri ponti che sono stati costruiti tra
le persone sono quelli definiti “all’asciutto”:
associazioni o spazi in cui ognuno è libero di creare
rapporti sinceri lasciando in secondo piano realtà
etniche o religiose.
04/10/2018
CITTÀ DI MOSTAR
MONUMENTO A BRUCE LEE
Mostar è la prima città al mondo a dedicare un monumento a
Bruce Lee, grazie a un’idea nata dalla Ong Urban Movement della
città stessa.
La statua è situata nel parco Zrinjski, dove è stata inaugurata il
26 novembre del 2005.
Bruce Lee è un atleta di arti marziali e un’icona di un’epoca
bisognosa di miti ed eroi. La statua, realizzata in bronzo con
placcatura in oro, è stata scelta perché non rappresenta nessun
simbolo delle parti in conflitto e può contribuire così al
superamento delle divisioni etniche.
La statua è stata inizialmente soggetta ad atti vandalici e solo
dopo un lungo restauro terminato nel 2013 è stata rimessa al suo
posto.
04/10/2018
LA BATTAGLIA DELLA NERETVA
Il ponte è simbolo della battaglia della Neretva, combattuta nell'inverno del 1942 tra le forze dell'Asse e
l'Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia, dopo l'inizio dell'offensiva sferrata contro l'armata nazionale
guidata da Tito. Dopo aver sconfitto una divisione italiana, i partigiani jugoslavi, braccati dalle truppe tedesche
che per ordine di Hitler devono sterminarli, si dirigono verso il fiume Neretva per attraversarlo. Il comandante
Tito vuole far saltare in aria il ponte della ferrovia così da convincere i nazisti che i ribelli stiano scappando verso
il nord, quando in realtà il piano è quello di cogliere i nemici alle spalle, percorrendo il fiume mediante una zattera.
L' ostacolo al piano di Tito è il fatto che con i partigiani ci siano donne, anziani e bambini (molti sono addirittura
malati di tifo) che rallentano la loro fuga ma che, per ovvi motivi, non vengono abbandonati. Ad attendere i
partigiani sull'altra riva ci sono però altri nemici: gli Ustascia e i Cetnici, che aspettano solo l'occasione per
accerchiarli e regolare con cattiveria inaudita vecchi conti in sospeso. Gli Jugoslavi attraversano finalmente il
fiume e la trappola per i tedeschi scatta. Il comandante delle truppe naziste si convince effettivamente che i
ribelli stiano fuggendo verso il nord del paese e fa confluire lì tutte le sue forze; invece questi, dopo aver fatto
saltare il ponte della ferrovia, nottetempo, costruiscono una passerella per raggiungere i nemici. La battaglia è un
successo strategico per Tito che, nonostante le gravi perdite, riesce sfuggire ai Tedeschi e a infliggere una dura
sconfitta a reparti italiani e Cetnici collaborazionisti schierati sul fiume.
04/10/2018
LA BATTAGLIA
DELLA NERETVA
La visita al ponte e l’esperienza della classe in Bosnia Erzegovina ha suscitato in noi
studenti e nei docenti coinvolti un forte senso di angoscia, riflessione, ma soprattutto di
incredulità.
É impensabile che tanta fame di potere e tanto nazionalismo possano portare allo
sterminio di un numero così vasto di persone, tra cui moltissimi bambini.
Inoltre risulta difficile immaginare che soltanto vent’anni fa persone innocenti, che
saremmo potuti essere noi, siano state private della propria famiglia, di un futuro sereno
e, ancor peggio, della propria vita soltanto perché si trovavano nel posto sbagliato al
momento sbagliato.
Aprire gli occhi davanti a una così cruda realtà ci ha aiutato a capire quanto bella e
fortunata sia la nostra vita e a darle il giusto valore; ci siamo resi conto anche di quante
cose diamo per scontato.
QUARTO GIORNO
MOSTAR
04/10/2018
ASSOCIAZIONE ABRAŠEVIĆ
L’associazione ABRAŠEVIĆ è stata riaperta nel 2003 dopo dieci anni di
chiusura: oltre a essere un bar e un ristorante offre uno spazio per
giovani all’interno del quale vengono organizzati concerti, spettacoli
teatrali, esibizioni artistiche, letture di poesie e visioni di film. Tutto
questo ha l’obiettivo di ricreare un clima di coesione e convivenza
pacifica tra gli abitanti di etnie diverse della cittadina. Durante
l'incontro uno dei ragazzi che ha preso parte al progetto ci ha
raccontato di cosa si occupa l’associazione e qual è il suo ruolo
all’interno di essa.
04/10/2018
Il giovane responsabile del centro, Vladimir, ha introdotto la discussione facendo
riferimento alla precedente situazione di convivenza pacifica tra croati e musulmani.
Ci ha raccontato di quando fosse coesa la società di Mostar prima del conflitto. È
stato incredibile venire a conoscenza del fatto che quella sopracitata fosse la
città con più matrimoni misti della Bosnia Erzegovina. Seppur la situazione sia
nettamente migliorata rispetto ai giorni subito successivi allo scontro, ancora oggi
passeggiando per le strade della cittadina si avverte un senso di separazione tra gli
abitanti, sia fisica sia psicologica. Molto positivo però risulta l'atteggiamento dei più
giovani, sia di quelli che hanno vissuto direttamente il conflitto sia di coloro che invece
ne hanno subito solo gli effetti. Il desiderio di ricominciare è forte e il fatto che essi
non vogliano lasciarsi tutto alla spalle e dimenticare costituisce una forte spinta alla
responsabilizzazione e al progresso.
ASSOCIAZIONE ABRAŠEVIĆ
04/10/2018
CASA KAJTAZ
Nascosta dietro alte mura, la casa
più storica e antica di Mostar era
una volta la sezione femminile o
“gineceo” di un complesso abitativo
di utilità sia sociale e giuridica sia
familiare costruita nel XVI secolo
per un giudice turco. Ancora
altamente arricchita di artefatti
originali, continua ad appartenere
ai discendenti dell’antica famiglia
ed è inoltre sotto la protezione
dell’UNESCO.
La casa era inizialmente costituita
da due parti gemelle ma solo una è
sopravvissuta nel tempo. L’altra,
distrutta da un incendio durante la
guerra, era il luogo in cui il giudice
era solito accogliere gli uomini da
processare.
04/10/2018
CASA KAJTAZ
Durante la visita a questa casa
unica, della quale inizialmente
esisteva una parte gemella che
tuttavia nel tempo è stata
bruciata, siamo rimasti colpiti
dall’elevatissimo livello di pulizia
nonostante il periodo. In molte
stanze della casa, infatti, sono
presenti delle zone per lavarsi,
mentre il gabinetto si trovava in
un luogo distaccato ed esterno
all’abitazione dove, sfruttando
le pendenze del territorio, era
possibile far defluire le feci
lontano dalla casa.
Altri elementi che hanno
suscitato stupore e
curiosità sono stati i ricchi
ornamenti originali e l’enorme
quantità di libri antichi che si
possono trovare nei vari locali.
Interessantissimo è stato
conoscere ed entrare in
contatto con i tipici costumi e
le abitudini del tempo, che i
discendenti della famiglia ci
hanno esposto. Per esempio,
all’interno della casa non vi sono
stanze da letto, ma qualsiasi
locale può diventarne una.
Infatti in quel periodo si era
soliti dormire sopra sottili
materassi stesi a terra, che poi
venivano ripiegati e riposti
all’interno di armadi.
Per i pasti, si mangiava seduti
sul terreno e non venivano usate
posate ma ognuno, dopo essersi
lavato le mani in una ciotola
piena d’acqua, prendeva gli
alimenti direttamente con
queste.
04/10/2018
MOSCHEA KOSHI
MEHMED PASHA
La Moschea Koshi Mehmed Pasha di Mostar rappresenta un altro straordinario esempio
di architettura ottomana in Bosnia ed Erzegovina. Oltre alla Moschea Karadžoz Bey,
questa è la moschea più conosciuta e più monumentale di Mostar. Fu costruito negli anni
1618/19 e rappresenta la grande costruzione dell'architettura ottomana classica in
Bosnia ed Erzegovina. Il suo fondatore è Mehmed Koskija. Morì nel 1611 e l'edificio della
moschea Koshi Mehmed Pasha fu terminato da suo fratello Mahmud. La Moschea di Koshi
Mehmed Pasha ha un piano a spazio unico con una cupola. Progettato nell'ufficio
dell'architettura principale di Istanbul, è stato costruito con blocchi di pietra conciati
con precisione. Il suo design architettonico è molto simile alla moschea Karadžoz Beg,
che probabilmente serviva da modello. A differenza della Moschea di Karadžoz Beg, il
minareto della Moschea Kosh Mehmed Pasha è leggermente più basso senza la
decorazione a stalattiti nell'area di Sherefe. Ha un portico con tre cupole e un mihrab
straordinariamente ben fatti. Le proporzioni della moschea sono particolarmente
eleganti. La posizione della moschea Koshi Mehmed Pasha è piuttosto particolare in
quanto è situata sulle rupi che costeggiano il fiume Neretva, nel centro della città.
04/10/2018
MOSCHEA KOSHI
MEHMED PASHA
Appena arrivati di fronte alla moschea,
essa trasmette subito un forte senso di
religiosità. La vista dal minareto è
meravigliosa e da qui si possono catturare
le migliori foto del paesaggio circostante.
Inoltre una delle caratteristiche più
importanti di questa struttura è il piccolo
giardino con una fontana dove visitatori e
religiosi possono dissetarsi. L’interno della
moschea è molto bello e caratteristico
anche perché è l’unica a Mostar ad aver
preservato il suo colore e le sue
decorazioni originali.
I NOSTRI STATI D’ANIMO NEI LUOGHI
BASE DELL’ONUMEMORIALE DI POTOČARI
OPERATION DAYWORK
«Dove finisce la logica, lì comincia la Bosnia»

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  • 1.
  • 3. 02/10/2018 L’assetto urbanistico di Sarajevo è il risultato di un lungo processo di assorbimento e rielaborazione dei mutamenti imposti dalla storia; in particolare sono evidenti le influenze turche nel centro storico. La capitale, sottoposta a un assedio dalle forze serbe durato 44 mesi, ha subito gravissimi danni al patrimonio artistico e abitativo. I cittadini fanno memoria delle atrocità avvenute per le strade rivestendo i segni delle granate esplose di una resina rossa, che va a formare quelle che vengono chiamate le " rose" di Sarajevo. Dopo la fine dell’assedio, grazie agli aiuti internazionali, la città ha intrapreso un difficile cammino verso la ricostruzione, il cui simbolo è la Biblioteca Nazionale, distrutta da un incendio e in seguito ricostruita tale e quale l’originale. Questo processo è però lontano dal concludersi: infatti percorrendo le vie della città si notano palazzi segnati dai solchi delle granate e dai fori di proiettile, soprattutto lungo il "viale dei cecchini", una strada tristemente famosa per essere stata la linea del fronte durante l’assedio. LA CITTÀ DI SARAJEVO
  • 4. 02/10/2018 A partire dal gennaio 1993, durante l’assedio della città di Sarajevo, fu costruito dagli assediati bosniaci il tunnel di Sarajevo. Il tunnel aveva lo scopo di collegare la capitale ad una porzione libera del territorio bosniaco, passando sotto l’aeroporto controllato dalle Nazioni Unite. La galleria permise alle riserve alimentari e agli aiuti umanitari di raggiungere la città e alla popolazione di fuggire. Alto 1 m e 60 cm e largo mediamente 0,80 cm copriva una distanza di circa 800 metri. Ad oggi la città ha deciso di conservarne una parte per renderla visitabile al pubblico. IL TUNNEL DI SARAJEVO
  • 5. IL TUNNEL DI SARAJEVO COS’È STATO PER NOI “Ho percorso il tratto di tunnel due volte: la prima ero con altri ragazzi, camminavamo veloci in uno spazio troppo stretto per noi… Mi immaginavo gli uomini, le donne e i bambini che lo percorrevano, magari feriti e stanchi. Io pensavo a loro, loro pensavano a sopravvivere. La seconda volta ho percorso il tunnel da sola, con una sensazione di angoscia e terrore che mi accompagnava… Chissà quante persone sono passate da qui... Erano ferite? Quali erano le loro storie? Il soffitto è troppo basso, le pareti umide e strette. Cosa provavano nel rivedere la luce? “ Sofia P. “È difficile spiegare le sensazioni provate mentre attraversavo il tunnel, ricordo che un brivido mi ha percorso la schiena, mi sono immedesimata in tutte quelle persone che hanno tentato di percorrerlo, con tanta speranza e voglia di continuare a vivere. È impossibile rimanere indifferenti di fronte a tanta crudeltà e agonia”. Camilla A.
  • 6. 02/10/2018 IL MUSEO DELLA RESISTENZA Il Museo della Resistenza si trova nel centro di Sarajevo. Una volta entrati, siamo stati accolti da un’enorme raffigurazione a forma di infinito creata con la parola "rispetto" scritta in tutte le lingue del mondo. Appesi alle pareti, vi erano pannelli con fotografie e didascalie che illustravano la qualità di vita durante gli anni della guerra. La cosa che più ci ha colpito è stato vedere come, utilizzando la cultura, le persone hanno incrementato la coesione all’interno dello stato e il sentimento patriottico, riuscendo a distogliere lo sguardo dalla guerra per quanto possibile. Tutto ciò avveniva organizzando festival musicali e cinematografici o eventi come “Miss Sarajevo”.
  • 7. 02/10/2018 IL MUSEO DELLA RESISTENZA Un’ala del museo è dedicata al racconto di storie dell’infanzia di coloro che hanno vissuto durante la guerra; tra tutte, ci ha colpito soprattutto quella di Nermin, un bambino di 6 anni fotografato in due diversi momenti. Le prime due foto (quelle in basso) lo ritraggono mentre sta giocando sulla neve insieme al fotografo Gervasio Sanchez. A distanza di un anno lo stesso Sanchez lo ha fotografato subito dopo il colpo che lo ha ucciso. Questa testimonianza ha lasciato in noi un grande senso di malinconia e tristezza, ma al tempo stesso la consapevolezza di quanto siamo stati fortunati a crescere in un ambiente sereno e pacifico; inoltre abbiamo capito come la vita non possa essere prevedibile, perché le cose possono mutare in un secondo e le certezze che si hanno un giorno possono non esserci più il successivo.
  • 9. MEMORIALE DI POTOČARI Il Memoriale di Potočari è un grande cimitero costruito su una collina a 7 km da Srebrenica. All'interno di questo luogo ci sono le vittime del genocidio che risale al 1995: 8372 morti, che potrebbero aumentare in caso di altri ritrovamenti. A partire dal 2006 sono stati trovati nelle fosse comuni più di 12.000 corpi, riconosciuti solo in parte attraverso esami del DNA. Il memoriale è stato aperto il 20 settembre 2003 alla presenza dell’ex Presidente americano Bill Clinton, il quale ha avuto un ruolo decisivo per quanto riguarda la conclusione del conflitto. Ogni anno l'11 luglio si celebra l'anniversario del genocidio. In occasione del decimo anniversario hanno partecipato più di 50.000 persone tra cui, per la prima volta, anche il Presidente serbo: in questa occasione sono state sepolte altre 610 vittime. Ancora oggi durante questa ricorrenza vengono inumati nuovi corpi riconosciuti grazie al lavoro del Centro di Identificazione di Tuzla. 03/10/2018
  • 10. 03/10/2018 MEMORIALE DI POTOČARI Siamo partiti da Sarajevo la mattina e, dopo tre ore di viaggio, ci siamo accorti che alla nostra destra iniziavano a vedersi un'infinità di tombe. Una volta giunti all’entrata ci hanno consigliato di indossare un velo che ci coprisse i capelli per rispetto del luogo in cui ci trovavamo. Dopo di che siamo saliti sulla collina del cimitero e ci siamo trovati davanti ad una vista spaventosa.
  • 11. 03/10/2018 MEMORIALE DI POTOČARI Questa è la distesa della morte e la sconfitta del mondo. Luogo di riposo e dolore, di fantasmi rotti, spezzati. Questa è la distesa dei ricordi di volti sconosciuti, di famiglie divise e riunite. Benvenuti nella distesa dell’orrore, dove l’uomo è vittima e carnefice. Nicole Casadei Della Chiesa
  • 12. 03/10/2018 BASE DELL’ONU Intorno al 1992, la città bosniaca di Srebrenica era diventata una vera e propria enclave circondata da territori serbi. Essa venne dichiarata l’anno successivo zona protetta sotto il controllo delle Nazioni Unite; per questo motivo vi si rifugiarono numerose vittime di guerra, soprattutto musulmani. L’arrivo di così tante persone portò ad un conseguente aumento della popolazione, che raddoppiò. A presidiare il territorio, dopo le truppe francesi, furono quelle olandesi, che fissarono la loro sede a Potočari (una piccola città a 6 km da Srebrenica). Qui furono 10.000 gli uomini che cercarono rifugio dall’avanzata dei Serbi, ma il 12 luglio del ‘95 le truppe olandesi costrinsero 5.000 di questi ad abbandonare la base, consegnandoli praticamente nelle mani dei carnefici. La restante metà in un primo periodo poté contare sulla protezione dei Caschi blu, poi venne comunque uccisa dalle forze guidate da Ratko Mladić (comandante militare delle forze serbo-bosniache).
  • 13. 03/10/2018 Dopo aver visitato il memoriale di Potočari ci siamo recati alla base dei Caschi blu olandesi, dove subito siamo rimasti colpiti dalla grandezza del posto, che durante la guerra ha accolto migliaia di persone destinate poi alla morte. Sicuramente entrare in questo edificio ci ha suscitato diverse emozioni contrastanti: sia l’odore sia le condizioni in cui è conservato ci hanno fatto per un momento catapultare indietro nel tempo. La prima cosa che salta all’occhio sono i numerosi pannelli che raffigurano foto originali del periodo del conflitto, che ricoprono tutte le pareti della base, ora musealizzata. È presente anche una sezione dedicata a racconti di storie vere, di persone che sono morte durante il genocidio; insieme ad esse, sono presenti effetti personali, ritrovati insieme ai loro corpi. Guardando queste immagini siamo rimasti tutti stupiti dalla crudeltà dell’uomo e allo stesso tempo dalla sua fragilità: parlando tra noi compagni, abbiamo notato che è capitato di doverci soffermare più volte davanti alla stessa fotografia per metabolizzare il fatto che ciò che guardavamo con i nostri occhi era reale. EMOZIONI BASE DELL’ONU
  • 14. 03/10/2018 MARCIA DELLA MORTE Srebrenica era stata dichiarata "zona libera" il 16 aprile 1993, ma nel 1995 i cittadini capirono che di lì a pochi giorni i serbi avrebbero attaccato la città. Una parte della popolazione decise di tentare la fuga, procedendo verso Tuzla, città ancora libera e distante circa 110 km. Presero parte circa 15.000 musulmani, che scapparono attraversando boschi e montagne. I civili camminavano giorno e notte, combattendo contro la fame e il sonno. Essi proseguivano il loro cammino in condizioni pessime: i vestiti erano molto spesso strappati e non venivano indossate scarpe. Le persone furono decimate lungo il percorso a causa delle mine trovate nei campi e dei bombardamenti dell'artiglieria serba. A questa "marcia della morte", chiamata così proprio perché chi ne prendeva parte era consapevole di star rischiando la vita, parteciparono famiglie intere, senza distinzione tra uomini, donne e bambini. Uno dei 3.500 civili sopravvissuti alla marcia si chiama Hasan Hasanovic e noi lo abbiamo incontrato. MARCIA DELLA PACE LA MARCIA PER LA PACE Marš mira, in italiano Marcia per la pace, si svolge ogni anno in memoria dei 15.000 bosniaci musulmani che nel luglio del 1995, all'arrivo dell’esercito di Mladić e dei paramilitari serbo- bosniaci nell’enclave di Srebrenica, cercarono di mettersi in salvo camminando nei boschi verso il cosiddetto “territorio libero” di Tuzla. La Marcia per la pace avviene dal 2005 in senso contrario al cammino percorso allora, avendo una durata di tre giorni da Nezuk a Potočari, per permettere ai partecipanti di arrivare il 10 luglio a Srebrenica, in tempo per assistere alla cerimonia funebre che si tiene per le vittime del genocidio presso il Memoriale. Durante la marcia vengono costeggiati interi campi con il cartello "Pozor Mine", ossia "Attenzione alle mine", e fiancheggiate numerose fosse comuni. Marš mira è il coraggio delle persone di ripercorrere quelle strade per mantenere viva la memoria, è la dimostrazione che l'indifferenza può essere sconfitta stando dalla parte delle vittime, in difesa dei diritti umani.
  • 15. 03/10/2018 HASAN HASANOVIĆ La nostra guida al Memoriale ONU, Hasan Hasanovic, scrittore del libro "Surviving Srebrenica" uscito nel 2016, è proprio uno dei sopravvissuti a questa marcia. Nel 1995 aveva appena diciannove anni ed ha percorso i 110 km insieme al padre e al fratello gemello. Durante l'incontro, Hasan è parso molto turbato, ma grazie alla scrittura del suo libro abbiamo saputo che si divise dalla madre e dal fratello minore per percorrere la strada verso la salvezza. Durante il cammino perse i due familiari con cui stava camminando, ma la voglia di vivere superava la paura e questo lo spinse ad arrivare a Tuzla, riabbracciando finalmente la madre e il fratello minore. All'interno della classe, noi studenti abbiamo percepito le stesse emozioni e gli stessi sentimenti durante l'incontro con Hasan Hasanovic. Nonostante un dialogo molto breve, dovuto probabilmente alla difficoltà di raccontare ciò che ha vissuto, abbiamo cercato di immedesimarci nei suoi panni, cercando di comprendere il dolore, la tristezza, la freddezza e la forza avuta durante la marcia. Sapendo che stava raccontando episodi molto crudi riguardanti la sua vita, abbiamo ammirato il suo coraggio di mettersi a nudo davanti a delle persone sconosciute. "Oggi lavoro al Memoriale e cerco di far conoscere al mondo la mia storia e dei tanti che non ce l'hanno fatta. La memoria è fondamentale affinché tutto questo non accada più. " Con questa frase, Hasan ci ha trasmesso il desiderio di continuare a diffondere la storia di Srebrenica, portando così avanti il ricordo delle vittime.
  • 16. 03/10/2018 ADOPT SREBRENICA Il progetto "Adopt Srebrenica" è promosso e sostenuto dalla Fondazione Alexander Langer di Bolzano e dall’associazione Tuzlanska Amica di Tuzla. L’idea della collaborazione è nata nel 2005 in occasione della consegna del Premio Internazionale Alexander Langer alla psichiatra Irfanka Pašagić. In quel periodo è emersa anche la volontà di riportare l’attenzione internazionale su Srebrenica, avviando un progetto di partnerariato con la città che prevede un coinvolgimento attivo di amministrazioni pubbliche e associazioni italiane e internazionali. Da subito quindi c'è stata una doppia finalità: parlare di Srebrenica e operare con Srebrenica. I temi su cui si focalizza sono quelli della memoria, della giustizia e dell’elaborazione del conflitto. Le principali attività di "Adopt Srebrenica" sono: > raccolta di storie e immagini che documentino la vita quotidiana di Srebrenica prima della guerra; > acquisizione di un fondo di libri, foto, video, documenti sulla storia di Srebrenica e della BiH, da mettere a disposizione della cittadinanza; > realizzazione di un servizio skype gratuito per consentire i contatti tra residenti di Srebrenica e parenti e amici lontani nella diaspora; > produzione e diffusione periodica di informazioni sull'attualità di Srebrenica; > ideazione e organizzazione dell'annuale Settimana Internazionale della Memoria e accompagnamento di gruppi di visitatori; > organizzazione di corsi di lingue, attività culturali e formazione; > partecipazione a visite e scambi con analoghi centri nazionali o internazionali, associazioni o istituzioni interessate.
  • 17. 03/10/2018 ADOPT SREBRENICA Dopo aver incontrato i ragazzi di Adopt Srebrenica tra cui Muhamed Avdic, Valentina Gagić Lazić, Bekir Halilović e Amra Nalic, abbiamo aperto gli occhi sul clima tremendo che ha avvolto parte della Bosnia- Herzegovina durante la guerra del '92-'95. È stato inconcepibile, da parte nostra, pensare che ragazzi poco più grandi di noi hanno preso parte ad uno dei genocidi più cruenti del '900. Ascoltando le diverse storie, però, siamo stati protetti da una sorta di “distanza di sicurezza” perché, nonostante la guerra sia vicina nel tempo, rimane lontana dal nostro mondo; questa distanza si è annullata nel momento in cui Muhamed ha parlato del figlio Azam e di come gli ha raccontato la storia del nonno ucciso dai militari serbi. D’un tratto ci siamo trovati catapultati nel presente: come potrà la nuova generazione concepire la guerra che ha visto coinvolti i loro famigliari? «Mi è sembrato strano pensare di avere testimoni diretti della guerra davanti ai miei occhi.» «Ho provato empatia soprattutto ascoltando le loro storie.» «Mi ha colpito la loro forza di volontà nel provare a unire due culture diverse e il fatto che, insieme, hanno cercato di elaborare la situazione della guerra.» «Per qualche secondo ho creduto che una situazione del genere possa capitare anche nel nostro paese.»
  • 19. 04/10/2018 Jovan Divjak è attualmente impegnato socialmente nella sua fondazione Association Education Builds BiH che si impegna ad aiutare economicamente bambini poveri o rimasti orfani a causa della guerra e, più in generale, tutti i ragazzi bisognosi di aiuto, consentendo loro di ottenere un'istruzione. Viene considerato eroe dalla popolazione bosniaca per il suo lavoro in ambito sociale e per la difesa di Sarajevo durante l'aggressione serba. Essendo di origini serbe, tuttavia viene visto come un traditore dalla sua "patria", tanto che è stato arrestato nel 2011 con l’accusa di tradimento, spionaggio, corruzione e traffico d’armi: tutte accuse prive di prove concrete, da cui è stato prosciolto. Divjak ha combattuto a fianco dei bosniaci per difendere Sarajevo quando i serbi hanno attaccato la città, ma si è subito schierato anche in difesa dei diritti dei serbi rimasti, contro ogni tentativo di discriminazione nei loro confronti. Ha sempre preso la difesa dei perseguitati e lottato contro ogni tipo di oppressione, da qualsiasi parte provenisse, senza distinzioni di alcun genere (etniche, religiose o politiche). Per questo è stato emarginato all’interno dello stesso esercito bosniaco per il quale aveva combattuto e nel quale aveva raggiunto il grado di generale : è stato liquidato senza neppure essere consultato, ma lui non ha rinunciato alle sue battaglie, spostandole in ambito sociale. GENERALE JOVAN DIVJAK
  • 20. 04/10/2018 L’incontro con il generale ha rappresentato sicuramente un’opportunità unica, non solo per quanto riguarda la conoscenza dei fatti ma soprattutto in ambito morale. La sua semplicità e solarità hanno attirato l’attenzione di tutti, facendoci sentire vicini a lui malgrado la nostra giovane età e la nostra comune tendenza ad ascoltare solo in parte ciò che gli adulti ci dicono. Il generale ci ha invitati a riflettere e ci ha insegnato che non ci si può fermare solo alle parole: è giunto il momento di mettere in pratica ciò che abbiamo appreso. COS’È STATO PER NOI Nonostante il suo passato difficile e pieno di guerre, è sorprendente come il generale Divjak sia stato capace di lasciarsi tutto alle spalle ricominciando una nuova vita, dedicata principalmente all’aiuto per i più deboli e gli indifesi. Il messaggio che ha voluto mandare a tutti noi è stato: “godetevi la vita e amatela”. Divjak si è presentato come un esempio di forza per noi ragazzi che spesso ci perdiamo in problemi futili, raccontandoci di aver vissuto sulla sua pelle l’importanza che la vita ha e la semplicità con cui la morte ci coglie impreparati, portandoci via tutto. Le sue parole sono state uno sprone verso la ricerca del buono, la collaborazione fra uomini e la costruzione della felicità, imparando dagli errori commessi nel passato. Di fronte ai crimini di guerra l’uomo ha sempre detto “mai più”, ma è stato poi così? GENERALE JOVAN DIVJAK
  • 21. 04/10/2018 CITTÀ DI MOSTAR • Ubicata nella valle del fiume Neretva, fra le montagne della Erzegovina. • Conta 100.000 abitanti. • Città multietnica, comprende 4 etnie diverse: cattolici, ortodossi, islamici ed ebrei. Fondata nel tardo XV secolo dai Turchi Ottomani, Mostar era il centro amministrativo dell'Impero nella regione dell'Erzegovina. L'Impero Austro-Ungarico annesse Mostar nel 1878. Dopo la I guerra mondiale la città a partire dal 29 ottobre 1918 divenne parte dello Stato degli Sloveni, dei Croati e dei Serbi (DSHS), con capitale Belgrado, e quando questo il 10 dicembre 1918 fu unito al Regno di Serbia fu formato un nuovo Stato unitario, detto Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni (KSHS), più tardi noto come Regno di Jugoslavia. Durante la Seconda guerra mondiale, la città fece parte, come il resto dei territori dell'attuale Bosnia ed Erzegovina, dello Stato Indipendente di Croazia, controllato dai nazifascisti. Dopo la Seconda guerra mondiale, la città entrò a far parte della Repubblica Popolare di Bosnia ed Erzegovina, che fu una delle sei repubbliche che componevano la Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia. In quegli anni furono costruite varie dighe per sfruttare l'energia idroelettrica della Neretva.
  • 22. 04/10/2018 CITTÀ DI MOSTAR STARI MOST L’emblematico ponte con cui si identifica la città bosniaca di Mostar affonda le radici della sua storia nella civiltà ottomana, come attesta la sua commissione da parte di Solimano il Magnifico nel 1557, con la funzione di collegare le due parti della città divisa dal fiume Neretva. La sua temporanea fine fu purtroppo decretata dall’esercito croato durante la guerra che interessò la zona negli anni Novanta del Novecento, in quanto simbolo della cultura bosniaca a loro ostile. Più precisamente il 9 novembre del 1993 venne intensamente bombardato e distrutto in quanto già danneggiato da precedenti colpi di artiglieria. Questo non ha però permesso che la sua storia fosse per sempre interrotta; alla fine del conflitto infatti la città si è subito mobilitata per la sua ricostruzione conclusasi nel 2004, anno di inaugurazione, tornando così ad essere una delle principali attrazioni del paese. Oggi lo ricordiamo principalmente per gli spettacolari tuffi che vengono eseguiti dal punto più alto (24m) solo dai più coraggiosi.
  • 23. 04/10/2018 CITTÀ DI MOSTAR LA VERITÀ SUL PONTE PIÚ FAMOSO DI MOSTAR La maestosità del ponte sembrerebbe riflettere la sua importanza simbolica in una città divisa dalle forti rivalità etniche lasciate dalla guerra. In realtà, come ci è stato raccontato da un abitante di Mostar, esso non è molto di più di un semplice ponte che congiunge le sponde di un fiume. La meraviglia che ci ha investito nell’attraversarlo e nell’ammirarlo infatti non ha nessun risvolto sociale: se una volta era il segno della fusione di due culture differenti, oggi serve solo ad agevolare il passaggio di turisti e commercianti. I veri ponti che sono stati costruiti tra le persone sono quelli definiti “all’asciutto”: associazioni o spazi in cui ognuno è libero di creare rapporti sinceri lasciando in secondo piano realtà etniche o religiose.
  • 24. 04/10/2018 CITTÀ DI MOSTAR MONUMENTO A BRUCE LEE Mostar è la prima città al mondo a dedicare un monumento a Bruce Lee, grazie a un’idea nata dalla Ong Urban Movement della città stessa. La statua è situata nel parco Zrinjski, dove è stata inaugurata il 26 novembre del 2005. Bruce Lee è un atleta di arti marziali e un’icona di un’epoca bisognosa di miti ed eroi. La statua, realizzata in bronzo con placcatura in oro, è stata scelta perché non rappresenta nessun simbolo delle parti in conflitto e può contribuire così al superamento delle divisioni etniche. La statua è stata inizialmente soggetta ad atti vandalici e solo dopo un lungo restauro terminato nel 2013 è stata rimessa al suo posto.
  • 25. 04/10/2018 LA BATTAGLIA DELLA NERETVA Il ponte è simbolo della battaglia della Neretva, combattuta nell'inverno del 1942 tra le forze dell'Asse e l'Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia, dopo l'inizio dell'offensiva sferrata contro l'armata nazionale guidata da Tito. Dopo aver sconfitto una divisione italiana, i partigiani jugoslavi, braccati dalle truppe tedesche che per ordine di Hitler devono sterminarli, si dirigono verso il fiume Neretva per attraversarlo. Il comandante Tito vuole far saltare in aria il ponte della ferrovia così da convincere i nazisti che i ribelli stiano scappando verso il nord, quando in realtà il piano è quello di cogliere i nemici alle spalle, percorrendo il fiume mediante una zattera. L' ostacolo al piano di Tito è il fatto che con i partigiani ci siano donne, anziani e bambini (molti sono addirittura malati di tifo) che rallentano la loro fuga ma che, per ovvi motivi, non vengono abbandonati. Ad attendere i partigiani sull'altra riva ci sono però altri nemici: gli Ustascia e i Cetnici, che aspettano solo l'occasione per accerchiarli e regolare con cattiveria inaudita vecchi conti in sospeso. Gli Jugoslavi attraversano finalmente il fiume e la trappola per i tedeschi scatta. Il comandante delle truppe naziste si convince effettivamente che i ribelli stiano fuggendo verso il nord del paese e fa confluire lì tutte le sue forze; invece questi, dopo aver fatto saltare il ponte della ferrovia, nottetempo, costruiscono una passerella per raggiungere i nemici. La battaglia è un successo strategico per Tito che, nonostante le gravi perdite, riesce sfuggire ai Tedeschi e a infliggere una dura sconfitta a reparti italiani e Cetnici collaborazionisti schierati sul fiume.
  • 26. 04/10/2018 LA BATTAGLIA DELLA NERETVA La visita al ponte e l’esperienza della classe in Bosnia Erzegovina ha suscitato in noi studenti e nei docenti coinvolti un forte senso di angoscia, riflessione, ma soprattutto di incredulità. É impensabile che tanta fame di potere e tanto nazionalismo possano portare allo sterminio di un numero così vasto di persone, tra cui moltissimi bambini. Inoltre risulta difficile immaginare che soltanto vent’anni fa persone innocenti, che saremmo potuti essere noi, siano state private della propria famiglia, di un futuro sereno e, ancor peggio, della propria vita soltanto perché si trovavano nel posto sbagliato al momento sbagliato. Aprire gli occhi davanti a una così cruda realtà ci ha aiutato a capire quanto bella e fortunata sia la nostra vita e a darle il giusto valore; ci siamo resi conto anche di quante cose diamo per scontato.
  • 28. 04/10/2018 ASSOCIAZIONE ABRAŠEVIĆ L’associazione ABRAŠEVIĆ è stata riaperta nel 2003 dopo dieci anni di chiusura: oltre a essere un bar e un ristorante offre uno spazio per giovani all’interno del quale vengono organizzati concerti, spettacoli teatrali, esibizioni artistiche, letture di poesie e visioni di film. Tutto questo ha l’obiettivo di ricreare un clima di coesione e convivenza pacifica tra gli abitanti di etnie diverse della cittadina. Durante l'incontro uno dei ragazzi che ha preso parte al progetto ci ha raccontato di cosa si occupa l’associazione e qual è il suo ruolo all’interno di essa.
  • 29. 04/10/2018 Il giovane responsabile del centro, Vladimir, ha introdotto la discussione facendo riferimento alla precedente situazione di convivenza pacifica tra croati e musulmani. Ci ha raccontato di quando fosse coesa la società di Mostar prima del conflitto. È stato incredibile venire a conoscenza del fatto che quella sopracitata fosse la città con più matrimoni misti della Bosnia Erzegovina. Seppur la situazione sia nettamente migliorata rispetto ai giorni subito successivi allo scontro, ancora oggi passeggiando per le strade della cittadina si avverte un senso di separazione tra gli abitanti, sia fisica sia psicologica. Molto positivo però risulta l'atteggiamento dei più giovani, sia di quelli che hanno vissuto direttamente il conflitto sia di coloro che invece ne hanno subito solo gli effetti. Il desiderio di ricominciare è forte e il fatto che essi non vogliano lasciarsi tutto alla spalle e dimenticare costituisce una forte spinta alla responsabilizzazione e al progresso. ASSOCIAZIONE ABRAŠEVIĆ
  • 30. 04/10/2018 CASA KAJTAZ Nascosta dietro alte mura, la casa più storica e antica di Mostar era una volta la sezione femminile o “gineceo” di un complesso abitativo di utilità sia sociale e giuridica sia familiare costruita nel XVI secolo per un giudice turco. Ancora altamente arricchita di artefatti originali, continua ad appartenere ai discendenti dell’antica famiglia ed è inoltre sotto la protezione dell’UNESCO. La casa era inizialmente costituita da due parti gemelle ma solo una è sopravvissuta nel tempo. L’altra, distrutta da un incendio durante la guerra, era il luogo in cui il giudice era solito accogliere gli uomini da processare.
  • 31. 04/10/2018 CASA KAJTAZ Durante la visita a questa casa unica, della quale inizialmente esisteva una parte gemella che tuttavia nel tempo è stata bruciata, siamo rimasti colpiti dall’elevatissimo livello di pulizia nonostante il periodo. In molte stanze della casa, infatti, sono presenti delle zone per lavarsi, mentre il gabinetto si trovava in un luogo distaccato ed esterno all’abitazione dove, sfruttando le pendenze del territorio, era possibile far defluire le feci lontano dalla casa. Altri elementi che hanno suscitato stupore e curiosità sono stati i ricchi ornamenti originali e l’enorme quantità di libri antichi che si possono trovare nei vari locali. Interessantissimo è stato conoscere ed entrare in contatto con i tipici costumi e le abitudini del tempo, che i discendenti della famiglia ci hanno esposto. Per esempio, all’interno della casa non vi sono stanze da letto, ma qualsiasi locale può diventarne una. Infatti in quel periodo si era soliti dormire sopra sottili materassi stesi a terra, che poi venivano ripiegati e riposti all’interno di armadi. Per i pasti, si mangiava seduti sul terreno e non venivano usate posate ma ognuno, dopo essersi lavato le mani in una ciotola piena d’acqua, prendeva gli alimenti direttamente con queste.
  • 32. 04/10/2018 MOSCHEA KOSHI MEHMED PASHA La Moschea Koshi Mehmed Pasha di Mostar rappresenta un altro straordinario esempio di architettura ottomana in Bosnia ed Erzegovina. Oltre alla Moschea Karadžoz Bey, questa è la moschea più conosciuta e più monumentale di Mostar. Fu costruito negli anni 1618/19 e rappresenta la grande costruzione dell'architettura ottomana classica in Bosnia ed Erzegovina. Il suo fondatore è Mehmed Koskija. Morì nel 1611 e l'edificio della moschea Koshi Mehmed Pasha fu terminato da suo fratello Mahmud. La Moschea di Koshi Mehmed Pasha ha un piano a spazio unico con una cupola. Progettato nell'ufficio dell'architettura principale di Istanbul, è stato costruito con blocchi di pietra conciati con precisione. Il suo design architettonico è molto simile alla moschea Karadžoz Beg, che probabilmente serviva da modello. A differenza della Moschea di Karadžoz Beg, il minareto della Moschea Kosh Mehmed Pasha è leggermente più basso senza la decorazione a stalattiti nell'area di Sherefe. Ha un portico con tre cupole e un mihrab straordinariamente ben fatti. Le proporzioni della moschea sono particolarmente eleganti. La posizione della moschea Koshi Mehmed Pasha è piuttosto particolare in quanto è situata sulle rupi che costeggiano il fiume Neretva, nel centro della città.
  • 33. 04/10/2018 MOSCHEA KOSHI MEHMED PASHA Appena arrivati di fronte alla moschea, essa trasmette subito un forte senso di religiosità. La vista dal minareto è meravigliosa e da qui si possono catturare le migliori foto del paesaggio circostante. Inoltre una delle caratteristiche più importanti di questa struttura è il piccolo giardino con una fontana dove visitatori e religiosi possono dissetarsi. L’interno della moschea è molto bello e caratteristico anche perché è l’unica a Mostar ad aver preservato il suo colore e le sue decorazioni originali.
  • 34. I NOSTRI STATI D’ANIMO NEI LUOGHI BASE DELL’ONUMEMORIALE DI POTOČARI
  • 35. OPERATION DAYWORK «Dove finisce la logica, lì comincia la Bosnia»