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27 GENNAIO 2017
GIORNATA DELLA MEMORIA
Serata di riflessione realizzata dagli studenti delle classi terze
della scuola secondaria di I grado di Ronco Briantino
Scuola Secondaria di I grado, Ronco Briantino,
27 gennaio 2017, Giornata della Memoria
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INTRODUZIONE AL LABORATORIO | Patrizia Spada
Fra il 1939 e il 1945 circa 6 milioni di Ebrei vennero
sistematicamente uccisi dai nazisti del Terzo Rei-
ch con l’obiettivo di creare un mondo più ‘puro’ e
‘pulito’. Non era la prima volta nella Storia che si
procedeva a una repressione così dura e a un’elimi-
nazione così forzata. Ma era la prima volta che un’o-
perazione di “pulizia etnica” avveniva in modo così
programmato, sistematico. A questa “soluzione fina-
le” - così la chiamarono i nazisti – si arrivò attraver-
so una serie di atti di emarginazione degli Ebrei da
parte della società tedesca. Le leggi di Norimberga
del 1935 legittimarono prima il boicottaggio econo-
mico degli Ebrei, poi quello sociale, ma dalla “notte
dei cristalli” (8-9 nov. 1938) il processo di repressione
venne accelerato: le sinagoghe vennero date alle
fiamme e si decise per lo “sterminio sistematico”
della parte ebrea della società tedesca.
Stiamo parlando di uno sterminio partito dalla Ger-
mania e diffusosi in tutta l’Europa conquistata dal
Terzo Reich. A una prima discriminazione fece se-
guito la ghettizzazione e quindi la deportazione, ter-
mini ormai tristemente acquisiti dalle nostre lingue.
Ad Auschwitz, Treblinka, Dachau, Bergen Belsen,
Mauthausen, solo per citare i campi più conosciuti,
giungevano ogni giorno convogli carichi di persone
che, dopo la selezione iniziale, venivano mandate
direttamente alla morte, oppure ai lavori forzati.
I campi di sterminio erano anche luoghi di torture e
di esperimenti pseudo-scientifici.
Le vittime erano anche zingari, omosessuali, oppositori
politici e/o religiosi.
Anche l’Italia, nel 1938, emanò le leggi razziali, esclu-
dendo gli Ebrei dalle scuole, dalle professioni, dalla vita
socio-culturale dell’epoca. Ma le deportazioni iniziarono
più tardi, nel 1943, quando, in seguito al crollo del regi-
me fascista e all’armistizio, i Tedeschi occuparono l’Italia
settentrionale, e la Repubblica Sociale Italiana collaborò
con la Germania. Il campo di Fossoli (provincia di Mode-
na) divenne il luogo di transito verso i campi dell’Europa
Orientale.
Il termine SHOAH è un richiamo all’Antico Testamento,
significa “tempesta devastante”, ed è vocabolo preferi-
bile ad olocausto poiché non richiama, come quest’ulti-
mo, l’idea di un sacrificio inevitabile.
Una pagina della nostra Storia così ricca di eventi, per
quanto drammatici, richiedeva dei tempi lunghi e delle
riflessioni approfondite.
“Far conoscere ai giovani la tragedia che si è consuma-
ta nei campi di sterminio significa attualizzarne il senso,
esortarli a riflettere sul continuo pericolo di un possibile
ritorno di quei sentimenti che hanno portato allo ster-
minio ebraico”, Ministro dell’Istruzione, dell’Università e
della Ricerca, Stefania Giannini
5
Ecco perché ho deciso di dedicare a questa tragedia un
Laboratorio. Ed è dal gruppo del Laboratorio che è nato
l’evento che abbiamo cercato di condensare in queste
pagine.
Abbiamo deciso di scegliere quale luogo della Memo-
ria la Chiesa Vecchia del paese e abbiamo chiesto a chi
entrava di diventare “nuovo testimone” di una tragedia
che non si è esaurita.
Partecipare a questa Giornata significa impegnarsi per
una società “Giusta”, in cui non conta “arrivare”, ma con-
dividere un percorso di vita.
Vorrei finire con le parole di Peter.
Peter è un bambino ebreo, ucciso dai nazisti nel ghetto
di Terezin.
Si intitola “Filo spinato”
Su un acceso rosso tramonto,
sotto gli ippocastani fioriti,
sul piazzale giallo di sabbia,
ieri i giorni sono tutti uguali,
belli come gli alberi fioriti.
è il mondo che sorride
e io vorrei volare. Ma dove?
Un filo spinato impedisce
che qui dentro sboccino fiori.
Non posso volare.
Non voglio morire.
6
PARTECIPANO AL PROGETTO:
Paolo Oggioni, Responsabile della Fondazione “La
Rosa d’Argento” e della “Gesa Vegia”
Maria Lucia Lecchi, Dirigente Scolastico dell’Istituto
Comprensivo Sulbiate-Ronco
Patrizia Spada, Docente di Lettere, Responsabile
della Scuola Secondaria di Ronco
Duilio Fenzi, Docente dell’UsrLo, per la Provincia di
Monza Brianza
Don Gianpaolo Lattuada, vicario parrocchiale
a Ronco
Claudia Sala, Direttrice di OffertaSociale
Arianna Ronchi, Direttrice della Cooperativa Aeris
Claudia Sanna, Docente di musica della Scuola
Secondaria di Ronco
Lorella Sala, Assessore alla Pubblica Istruzione -
Ecologia, per il Comune di Ronco
Antonella Panzeri, Docente – violino
Gabriel Tancredi Nicotra, Docente – pianoforte
7
GLI ALUNNI:
Giulia Berruti
Riccardo Brambilla
Marco Bresciani
Marcello Caiani
Martina Cantù
Alessia Cattaneo
Davide Colombo
Chiara Crippa
Anna Di Pellegrino
Nikolas Galazzo
Caroline Gaudioso
Magni Gabriele
Aurora Mandelli
Wiam Mehrar
Federico Policicchio
Asia Russo
8
27 Gennaio 1945, i soldati russi entrano ad Auschwitz, campo di concentramento e di sterminio nazista.
Nessuno s’immagina cosa troverà, purtroppo la realtà supera in modo orrendo la fantasia.
7.000 scheletri(uomini, donne, bambini), vestiti quasi di nulla, nel gelido inverno polacco. Questi sono i
primi liberati dai Lager. Da quel giorno si scoprirà, liberando altri campi, altri Lager, cosa ha potuto fare
“l’uomo”, se così possiamo definirlo. Continuo poi la mia esperienza raccontando dei tanti campi di ster-
minio e prigionia sparsi in Europa, terminando il mio intervento con la lettura di una poesia dialettale
scritta subito dopo il rientro da una visita al campo nazista di Dacau, periferia di Monaco di Baviera, visi-
tata negli anni Ottanta con un gruppo d’Amministratori dell’allora Provincia di Milano, io, giovane asses-
sore alla Pubblica Istruzione del comune di Ronco Briantino,
inviato a fare esperienza sulla realtà europea.
DACAU | Paolo Oggioni
9
Dacau
La par una piona	 		 Sembra solo una spianata
tuta piena de sass,				 tutta piena di sassi,
inveci ghe pien onca i foss		 invece sono pieni anche i fossi
tucc de oss					 tutti di ossa.
A passà tutt in mèss			 A passare nel mezzo
a stù lunc vialôn,				 in questo lungo vialone,
a te par de vèss			 ti sembra di essere
in mèss la prucessiôn.			 in mezzo ad una processione.
Te sèntèt di vùss				 Senti delle voci
di vùss de lunton,				 delle voci lontane,
se fonn chi gent lé				 cosa ci fa quella gente
cascià in di cantôn?			 nascosta negli angoli.
Perché sti por gent			 Perché questa gente
inn sta tucc brusà,				 è stata tutta bruciata,
son fa						 cosa ha fatto
son fa pò de mà?				 cosa ha fatto di male?
Perché tucc quil’è				 Perché solo quelli
perché tucc Ebrei,				 perché tutti Ebrei,
se pò Lu la dì				 se poi Lui ha detto
sèmm tucc di fradéi.			 siamo tutti fratelli.
10
Ringrazio i ragazzi e i docenti della scuola di Ronco,
in particolare la prof.ssa Spada, per aver preparato
questo evento, per aver voluto condividere con tutti
noi un’esperienza di umanità.
Ho apprezzato la vostra scelta di voler diventare
“nuovi testimoni” perché ciascuno di noi si deve
sentire il compito di contribuire a costruire una so-
cietà più “umana”.
Avete scelto di impegnarvi per costruire una società
più “giusta” e quindi con un amore anche per il pre-
sente, senza limitarvi solo a ricordare il passato.
L’errore più grande che si commette oggi, invece, è
quello di pensare che fatti gravi come lo sterminio
degli Ebrei o la deportazione di persone innocenti
e inermi siano capitati solo in un tempo che ormai è
passato, concluso, che non ci riguarda più.
Un “giornata della memoria”, quindi, che si limitasse
ad accusare il passato e che non riflettesse sul pre-
sente sarebbe un gesto sterile e retorico.
Se il presente deve illuminare il passato è anche
vero il contrario, ovvero che il passato deve aiutarci
a scrutare meglio il presente.
Che cos’è allora la memoria?
A che cosa serve nella vita dell’uomo?
Scrive Pavese:
“Le cose si scoprono attraverso i ricordi che se ne
hanno.
Ricordare una cosa significa vederla-ora soltanto-
per la prima volta”.
Ho scelto allora di ricordare una delle più belle espe-
rienze di coraggio, di amore alla verità e all’uomo che
io abbia mai incontrato: la testimonianza di alcuni gio-
vani tedeschi che hanno dato la vita per contrastare
la violenza del nazismo e della menzogna, i “Ragazzi
della Rosa Bianca”.
La loro vicenda è narrata in un volume che vi invito a
leggere: La Rosa Bianca - Volti di un’amicizia.
Era un piccolo gruppo di studenti universitari che sep-
pero creare un movimento di resistenza contro il nazi-
smo: erano tutti giovanissimi, poco più di 20 anni.
Essi ci hanno offerto una grandissima testimonianza
di vita, di amicizia, di libertà: amavano gli uomini e la
libertà e l’hanno giocata fino in fondo, fino a morire per
essa.
Si può avere l’impressione che i gesti di questi ragazzi
appartengano ormai al passato, ma in realtà la loro
stessa vita rappresenta per tutti noi (e lo è stato anche
per me), un richiamo a vivere con passione l’epoca in
cui ciascuno di noi è chiamato ad operare.
Essi, è vero, sono morti ma la loro voce risuona ancora
per noi, ed è una voce lieta, di speranza.
Dobbiamo mantenere viva questa voce e per questo
ci può aiutare una riflessione di Joseph Rovan, parente
di uno dei ragazzi della Rosa Bianca:
CHI NON HA MEMORIA NON HA FUTURO| Maria Lucia Lecchi
11
“La testimonianza di questi ragazzi non deve impedirci di essere lieti
né di pensare con gioia a coloro che hanno sacrificato la loro vita.
Molti di essi lo hanno fatto, come Chris, i fratelli Sholl, Willi Graf.
Come esprimere tutto questo a parole?
Non si va mai incontro alla morte con gioia, ma con la percezione di
aver compiuto ciò a cui si è chiamati.
Posso solo augurare a ognuno di voi, quando la sera penserete alla
giornata trascorsa, di avere la percezione di aver fatto ciò a cui siete
stati chiamati”
12
Vi voglio parlare di un’iniziativa di cui molti di voi
avranno già avuto sentore, soprattutto dalla crona-
ca di questi ultimi giorni. Mi riferisco alle “PIETRE
D’INCIAMPO”, definite anche semplicemente “Pietre
della MEMORIA”.
Cosa sono le PIETRE D’INCIAMPO e perché si chia-
mano così?
“Le Pietre d’inciampo (ted. Stolpersteine) sono una
iniziativa dell’artista tedesco Gunter Demnig per de-
positare, nel tessuto urbanistico e sociale delle città
europee, una memoria diffusa dei cittadini deportati
nei campi di sterminio nazisti. L’iniziativa, attuata
in diversi paesi europei, consiste nell’incorporare,
nel selciato stradale delle città, davanti alle ultime
abitazioni delle vittime di deportazioni, dei blocchi in
pietra ricoperti al di sopra con una piastra di ottone.
L’iniziativa è partita a Colonia nel 1995 e ha portato,
a inizio 2016, all’installazione di oltre 56.000 “pietre”
(la cinquantamillesima pietra è stata posata a Torino)
in vari paesi europei: Germania, Austria, Ungheria,
Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia, Paesi Bas-
si, Belgio, Lus-semburgo, Norvegia, Italia, Francia,
Spagna, Svizzera, Grecia, Ucraina, Slovenia, Croazia,
Romania e Russia.
La memoria consiste in una piccola targa d’ottone
della dimensione di un sampietrino (10 x 10 cm.),
posta davanti alla porta della casa in cui abitò la
vittima del nazismo o nel luogo in cui fu fatta prigio-
niera, sulla quale sono incisi il nome della persona,
l’anno di nascita, la data in cui è stata arrestata,
LE PIETRE D’INCIAMPO| Duilio Fenzi
l’eventuale luogo di deportazione e la data di morte, se
conosciuta. Le informazioni, in questo modo, intendono
ridare individualità a chi si voleva ridur-re soltanto a nu-
mero. L’espressione “inciampo” deve dunque intendersi
non in senso fisico, ma visivo e mentale, per far ferma-
re a riflettere chi vi passa vicino e si imbatte nell’opera,
costringendolo a interrogarsi su quella diversità, e agli
attuali abitanti della casa a ricordare quanto accaduto in
quel luogo e in quella data, intrecciando continuamente
il passato e il presente, la memoria e l’attualità.
Le pietre d’inciampo vengono posate in memoria del-
le vittime del nazismo, indipendente-mente da etnia e
religione.”
13
ma che è anche una sorta di tomba dato che «non ab-
biamo una tomba perché l’hanno bruciato».
Un rappresentante delle istituzioni ha commentato così:
«I fascisti non hanno neanche il coraggio della storia.
Imbrattano le pietre d’inciampo pensando che magari
non vengano ricordati i loro crimini, come la collabora-
zione con i nazisti nelle deportazioni». «Sono certo che
se un luogo del ricordo verrà imbrattato, noi lo ripulire-
mo subito».
Dunque, per “ripulire” il presente dagli orrori del passato
occorre MEMORIA, che è al tempo stesso conoscenza
di ciò che è stato e consapevolezza di ciò che mai più
dovrà essere!
La mia piccola testimonianza di oggi vuole essere que-
sto: un messaggio rivolto alla scuola e ai ragazzi, affin-
ché possiate costituire l’utile inciampo per l’intera comu-
nità, di oggi e di domani.
Non fatico a immaginare che ognuno di noi, oggi
qui riuniti per ricordare l’orrore dell’Olocausto e della
deportazione, consideri le PIETRE D’INCIAMPO
un’iniziativa indiscu-tibilmente positiva e,
soprattutto, qualcosa con cui è impossibile
non essere d’accordo.
Ma non è così per tutti!
Non lo è, perché là fuori, magari fra le stesse
persone che conosciamo, molti non sanno a
sufficienza; o, peggio, minimizzano o negano.
Vi voglio leggere ciò che è avvenuto lunedì scor-
so, 23 gennaio 2017, a Milano, città che ha deciso di
aderire all’iniziative delle STOLPERSTEINE…
Appena posata è stata subito imbrattata la prima
delle sei pietre d’inciampo che verranno installate
a Milano per ricordare le vittime del nazifascismo.
Si tratta di quella posata in via Plinio e dedicata a
Dante Coen, deportato ad Auschwitz ed ucciso a
Buchenvald. A dare l’al-larme è stata la figlia Ornel-
la, che ha avvisato l’addetto alla sicurezza della Co-
munità ebraica. La polizia, ha raccontato, è andata
nella zona per vedere se c’erano testimoni. Or-nella
ha mandato sua figlia in via Plinio armata di acqua-
ragia per ripulire il sampietrino in ottone che è stato
messo sul marciapiede. «Vediamo quanto dura - ha
commentato -. Se ri-succede io ripulisco. Sicura-
mente è stato un atto di antisemitismo. Non han-
no rispetto nemmeno per chi non c’è più e non ha
colpa di niente». Ornella Coen tiene in modo par-
tico-lare alla targa che è «un omaggio giusto» per
ricordare il padre, che lei non ha mai cono-sciuto
dato che aveva 30 giorni quando è stato deportato,
14
15
Un uomo che coltiva il suo giardino, come voleva Voltaire.
Chi è contento che sulla terra esista la musica.
Chi scopre con piacere una etimologia.
Due impiegati che in un caffè del Sud giocano in silenzio agli scacchi.
Il ceramista che intuisce un colore e una forma.
Il tipografo che compone bene questa pagina che forse non gli piace.
Una donna e un uomo che leggono le terzine finali di un certo canto.
Chi accarezza un animale addormentato.
Chi giustifica o vuole giustificare un male che gli hanno fatto.
Chi è contento che sulla terra ci sia Stevenson.
Chi preferisce che abbiano ragione gli altri.
Tali persone, che si ignorano, stanno salvando il mondo.
Louis Borges
I GIUSTI | Aurora Mandelli e Gabriele Magni
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“Io credo nel sole anche quando non splende,
credo nell’amore anche quando non lo sento,
credo in Dio anche quando non parla.
E so che se parla, parla per amore,
se tace, tace per amore”.
Messaggio lasciato dall’ultimo combattente ebreo del ghetto di Varsavia
“Dio viene al centro della vita non ai margini di essa.
Dio non è l’ultima risorsa quando io non ho più risorse,
ma viene, invece, nel cuore della vita,
viene nella passione dell’amore, nella fedeltà al dovere,
nella fame di giustizia, nel coraggio della generosità,
nel non arrendermi, quando mi impegno a ridurre la distanza
tra il sogno grande dei Profeti e il poco che abbiamo tra le mani”.
Dietrich Bonhoeffer, teologo luterano tedesco protagonista della resistenza al Nazismo
Perché noi credenti siamo chiamati a ripetere che il mondo si regge su di un principio di bene, su di una luce
che viene prima, che è anteriore e più profonda del male.
Questa luce ce l’abbiamo dentro, è l’immagine e la somiglianza di Dio. Portiamo tutti una tunica di luce, ci è
stata consegnata nel battesimo quando il prete, mettendoci sopra quella veste bianca, ci ha invitato a passare
la vita a rivestirci di luce, a rivestirci di Cristo.
Noi vogliamo, allora, essere testimoni di un Dio luminoso, di un Dio solare e felice; che, come dice S. Paolo, ha
fatto risplendere la vita, ha dato splendore e bellezza all’esistenza, ha messo frammenti di sole dentro le vene
oscure della storia.
E a noi è affidato un compito: quello di essere annunciatori non del degrado, dello sfascio, del tutto va male,
testimoni non delle meschinità del vivere, non del peccato ma del bene per quanto piccolo.
Non della zizzania del campo, ma del buon grano che spunta; non del male di tanti figli prodighi, ma dell’ab-
braccio di un padre buono; non della piccolezza del granello di senape, ma dell’albero che è nascosto dentro.
CREDO NELL’AMORE…
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...E NON MI ARRENDO| Don Giampaolo Lattuada
Spesso abbiamo insistito sull’idea di un Dio giudice
e poco invece sulla fede in un Dio guaritore. Da-
vanti al giudice si nasconde il proprio male, perché
il giudizio sia benevolo; davanti al medico no, lo si
mostra, lo si racconta perché possa essere guarito,
tutto. La nostra fede è la testarda fiducia che, no-
nostante tutte le derive, il cammino di ciascuno e
del mondo è un cammino di luce in luce, di grazia
in grazia; la testarda fiducia che nonostante tutto il
cammino dell’uomo è un cammino di salvezza.
Per questo accogliamo l’invito di Gesù a «perseve-
rare»: perché l’umano in noi e negli altri si salva con
la perseveranza. Non nel disimpegno, nel chiamarsi
fuori, ma nel tenace, umile, quotidiano lavoro che
si prende cura della terra e delle sue ferite, degli
uomini e delle loro lacrime.
Perseveranza vuol dire: noi non ci arrendiamo; nel
mondo sembrano vincere i più violenti, i più crude-
li, ma noi non ci arrendiamo. Anche quando tutto il
lottare contro il male sembra senza esito, noi non ci
arrendiamo.
Noi che cosa possiamo fare? Ci viene a volte da
chiederci. Possiamo usare la tattica paziente del
contadino. Rispondere alla grandine piantando nuo-
vi frutteti, e per ogni raccolto di oggi perduto impe-
gnarci a prepararne uno nuovo per domani.
Il vero male il Vangelo lo descrive così: «per il dila-
gare dell’iniquità l’amore di molti si raffredderà».
L’amore che si raffredda è il pericolo drammatico del
mondo.
Non la sofferenza, non la violenza, ma il raffreddarsi
dell’amore, il freddo delle relazioni, la globalizzazione
dell’indifferenza, il menefreghismo sono l’ultimo, gelido
frutto del male.
Allora ecco il nostro compito: prenderci cura del cuore,
delle relazioni, degli affetti, prenderci cura della giusti-
zia, della compassione, della misericordia, della tene-
rezza, dell’attenzione.
Non lasciare raffreddare l’amore: è il grande compito
che ci attende tutti, nel piccolo e umile cammino di ogni
giorno.
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SE QUESTO È UN UOMO | Anna Di Pellegrino
Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo e’ un uomo,
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un si o per un no.
Considerate se questa e’ una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più’ forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d’inverno.
Meditate che questo e’ stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi:
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.
Primo Levi
19
20
21
UN PAIO DI SCARPETTE ROSSE | Giulia Berruti
C’è un paio di scarpette rosse
numero ventiquattro quasi nuove:
sulla suola interna si vede ancora la
marca di fabbrica “Schulze Monaco”.
C’è un paio di scarpette rosse
in cima a un mucchio di
scarpette infantili a Buckenwald
erano di un bambino
di tre anni e mezzo
chi sa di che colore erano
gli occhi bruciati nei forni
ma il suo pianto lo
possiamo immaginare
si sa come piangono i bambini
anche i suoi piedini
li possiamo immaginare
scarpa numero ventiquattro
per l’ eternità
perché i piedini dei bambini morti
non crescono.
C’è un paio di scarpette rosse
a Buckenwald, quasi nuove
perché i piedini dei bambini morti
non consumano le suole.
22
AFORISMI | Federico Policicchio, Gabriele Magni e Riccardo Brambilla
23
CHI È HITLER| Alessia Cattaneo
24
LA MEMORIA DELL’OGGI | Arianna Ronchi
25
26
DIALOGO SU HITLER | Martina Cantù e Chiara Crippa
C: Chi è Adolf Hitler ?
M: Adolf Hitler nasce in Austria nel 1889. La sua
infanzia è difficile a causa della morte della madre
e degli insuccessi negli studi. Vive inizialmente a
Vienna dove fa l’impiegato. Nel 1913 si trasferisce a
Monaco, poi partecipa alla prima Guerra Mondiale,
da cui torna profondamente deluso dalla sconfitta
della Germania. Nel 1919 inizia la sua attività politi-
ca, fondando il Partito Nazionalsocialista dei lavora-
tori tedeschi .
C: Scusa se ti interrompo ma che cosa è il partito
Nazionalsocialista?
M: E’ conosciuto anche come Partito nazista, che è
un governo totalitario di estrema destra dalle forti
connotazioni e di superiorità razziale.
C: Ah okay continua pure...
M: Dopo di ciò lui viene incarcerato per la sua attivi-
tà di agitatore, scrive in carcere il libro MeinKampf.
Dopo 9 mesi fu scarcerato, quindi continuò la sua
attività politica trasformando il partito in una orga-
nizzazione paramilitare. Dopo una crisi economica
del 1929 il nazionalsocialismo cresce sempre di più
fino a diventare nel 1933 il primo partito di Germa-
nia. Inizialmente il regime nazista ebbe lo scopo di
affermare
la sua grandezza in Germania stimolando contempora-
neamente l’odio verso gli ebrei.
C: Ma perché Adolf Hitler prese di mira il popolo degli
ebrei e insieme ai suoi uomini torturò queste povere
persone?
Non sono mai riuscita a capire perchè abbiano ucciso
proprio gli ebrei e non gli inglesi o gli italiani per esem-
pio.. Forse perchè Hitler essendo l’anticristo magari
odiava il popolo scelto da Gesù?
M: In realtà uccise gli ebrei perchè era un politico os-
sessivo. Come tu sicuramente ben saprai alla fine della
prima guerra mondiale la Germania fu condannata da
una pesante sconfitta militare e il primo ministro dell’
economia che era ebreo riuscì a ottenere il pagamento
rateale. Hitler poi vide che nel suo periodo storico vi era
una classe medi- alta ebraica che si era enormemente
diffusa in Germania e temeva prendesse il sopravvento
sullo stesso popolo tedesco e nutrendo odio verso il
pagamento rateale ratificato dal primo ministro ebraico
arrivò a incolpare gli ebrei della crisi economica che
attraversò la Germania nel dopoguerra.
C: Così, per colpa di un folle, la storia dell’Europa fu
stravolta….
27
28
I TRIANGOLI DI AUSCHWITZ| Marco Bresciani e Riccardo Brambilla
I Simboli dei campi di concentramento nazisti, prin-
cipalmente triangoli, facevano parte del sistema di
identificazione dei prigionieri. Questi simboli erano
in stoffa ed erano cuciti sui vestiti. La loro forma e il
loro colore avevano significati precisi.
Il seguente sistema è basato su quello utilizzato nel
campo di concentramento di Dachau, uno dei più
elaborati.
- Rosso: Politici
- Blu: Politici Spagnoli
- Nero: Asociali
- Marrone: Zingari
- Viola: Testimoni di Geova
- Rosa: Omosessuali
- Giallo: Ebrei
- Verde: Criminali
- Triangolo più rettangolo: Prigionieri recidivi
- Triangolo con pallino nero: Prigionieri assegnati 	
alle compagnie di disciplina
- Cerchio bianco e rosso: Prigionieri sospettati di 	
fuga
- N°: Cambio del nome
- Sigla SU: Prigionieri di guerra sovietici
29
30
Zita nasce a Milano nel 1921 da una famiglia ungherese, nel 1933 torna in Ungheria con sua madre, sua
sorella Anna e il nipote Franchino. Nel 1944 è costretta e vivere nel ghetto e poco dopo viene depor-
tata, con la madre, la sorella e il nipotino anche se a loro non viene detto nulla se non di un viaggio in
Germania per lavorare per persone più anziane.
Arrivate ad Auschwitz viene subito divisa dal resto della famiglia: lei è definita “forza lavoro”, mentre la
madre, la sorella e il nipotino essendo più gracili vengono inviati direttamente al forno crematorio.
Zita resta per 3 mesi al campo di Auschwitz poi viene spostata nel nord della Germania in una fabbrica
metallurgica dove rimane per circa sei mesi fino alla liberazione nella primavera del 1945.
La poesia “Il faro” scritta da Zita è quella con cui si è “liberata”, quella che le ha permesso pian piano di
raccontare la sua storia.
LA STORIA DI ZITA SZIGETI | Lorella Sala
31
IL FARO | Lorella Sala
Oh! Meraviglia! Tutto uno splendore nella notte
nera.
Abbagliante di speranza come sole
ecco la riva... la nave non è più stanca
Il viaggio è terminato... tutto il resto non conta:
la tempesta... il pericolo... tutto superato!
Il porto l’attende per il riposo
questo è importante e nulla altro!
Il non aver sperato invano!
Essere arrivati – il non aver pianto!
Zita Szigeti
Lungi dall’occhio umano il faro nella bufera
fracassano le onde le ruvide sponde
È sempre sera... invano cerca l’uomo un piccol rag-
giar di stella.
Nulla esiste di luce – solo fioca – lieve la speranza si
dibatte
con la furiosa tempesta – è tutto acqua e cielo nel
buio della notte.
Ma fermo come un unico stelo l’albero di poppa
non si piega
né a destra né a manca e a reggere mai la vela si
stanca.
Va la vela a scanso di energia e con fatica e trova la
sua via…
Tra nubi oscure e schiume prepotenti cammina e si
dimena.
Ed anche se ormai stanca
sa che nel fondo del cammino il faro sta!
Ed è come se già vedesse un lumicino...
Ma ahimè è un miraggio questo frutto di speranza
o fantasia - ma non è perduta la via...
E va – è stanca ma si trascina ancora
anche se le onde le volessero togliere la vita...
Ed ecco – ecco – laggiù in fondo
il faro che rischiara!
32
DA HEICHMANN A HERROU, PASSANDO
PER NORIMBERGA | Claudia Sala
Il processo di Norimberga
Il Processo di Norimberga comprende diversi pro-
cessi che si svolsero nella città di Norimberga (la
città era, insieme a Berlino e Monaco, una delle città
simbolo del regime nazista), dal 20 novembre 1945
al 1º ottobre 1946.
Nel corso di questi processi vennero giudicati i na-
zisti coinvolti nella seconda guerra mondiale e nella
Shoah. Più precisamente, più di 200 tedeschi ven-
nero processati come criminali di guerra davanti al
Tribunale militare internazionale (IMT). Diverse furo-
no le imputazioni. Tra le più rilevanti quella per aver
commesso crimini di guerra, crimini contro l’umanità
e crimini contro la pace. I giudici in quel modo affer-
marono che la pace e gli esseri umani erano beni
sottoposti alla tutela della comunità internazionale.
I processi di Norimberga ebbero grande influenza
sullo sviluppo del Diritto penale internazionale, in
specie attraverso le sentenze del tribunale di quella
città che affermarono alcuni importanti principi che,
cinquant’anni dopo quell’evento, diedero il via a
movimenti da cui nacque lo statuto della Corte
penale internazionale.
Tra questi principi vi è quello per cui “ il rapporto
gerarchico tra capo e subordinato non comporta
l’esenzione della pena”. Molti nazisti, a loro difesa,
invocavano infatti l’attenuante di aver commesso i
crimini per aver obbedito al proprio superiore.
Sino a quel momento, gli individui dovevano obbedire
agli imperativi posti dai superiori militari anche quando
questi erano contrari alle regole umanitarie più elemen-
tari. La sentenza del Tribunale di Norimberga ebbe quin-
di il merito di stabilire un principio fino ad allora scono-
sciuto: il subordinato ha l’obbligo di rifiutarsi di eseguire
un comando quando questo è criminoso.
Eichmann
Così anche Heichmann, il funzionario tedesco conside-
rato uno dei maggiori responsabili operativi dello ster-
minio degli ebrei (organizzava il traffico ferroviario per il
trasporto degli ebrei ai vari campi di concentramento)
33
disse di sentirsi responsabile “solo per aver eseguito gli
ordini come qualunque soldato avrebbe dovuto fare
durante una guerra”. Sulla base dei principi stabiliti a
Norimberga egli fu processato e condannato a morte
(dopo essere fuggito in Argentina) in Israele nel 1961 per
aver commesso crimini contro l’umanità.
Il Tribunale di Norimberga tuttavia andò anche oltre
questo principio statuendo che “davanti al conflitto tra
norme internazionali che salvaguardano valori umanitari
e norme statali, contrarie a quei valori, ogni individuo è
tenuto a trasgredire le norme dello Stato”.
Cedric Herrou
L’importanza di questo principio di diritto internazionale
pare attualmente maggiormente tutelato dalle persone
comuni che non dai governanti europei. Ce ne danno
dimostrazione diversi fatti di cronaca riguardanti i cittadi-
ni impegnati a fornire supporto ai migranti.
Nonostante il clima ostile diffusosi ormai in molti Pae-
si, molte sono le persone che, in nome di un principio
umanitario, si assumono il rischio di essere arrestati
aiutando i migranti, in specie nell’oltrepassare le fron-
tiere. Si tratta di semplici cittadini, contadini, professori,
studenti, che cercano di intervenire lì dove le autorità
attuano politiche di persecuzione.
A riguardo di tale materia, vige in Europa una specifica
direttiva emanata dalla Commissione nel 2002 la quale
afferma il principio per cui “chi aiuta un migrante irrego-
lare a entrare in Europa o durante il suo viaggio all’inter-
no dei confini dell’Unione sta violando la legge».
Per questo motivo tutti coloro che contravvengono
a questo principio possono essere arrestati e de-
nunciati.
Un caso interessante è quello di Cedric Herrou, un
coltivatore di ulivi francese, che vive al confine tra
Italia e Francia. Herrou è stato recentemente accu-
sato di aver aiutato a passare il confine duecento
migranti senza documenti regolari, e di aver sfa-
mato e offerto riparo a 57 di loro. La pena ipotizzata
è pesante: 5 anni di prigione e circa 30mila euro di
multa. Il processo è iniziato il 4 gennaio a Nizza e si
attende la metà di febbraio per la sentenza. Herrou
ha affermato, «se dobbiamo infrangere la legge per
difendere le persone lo faremo”.
Il gesto di Herrou ha ottenuto la solidarietà di molte
persone in Francia.
Cosa possiamo comprendere dai fatti qui raccontati,
certamente distanti nel tempo ma intrinsecamente
legati tra loro?
Che la Storia viene fatta dagli uomini, dalla somma
delle scelte e dei gesti che ognuno di noi compie
ogni giorno. Le leggi che ci governano possono
evolvere e diventare più giuste anche a seconda
di quanto ciascuno di noi si impegna a difendere il
valore della vita umana, in qualsiasi forma esso si
presenti. La responsabilità di Cedric Herrou di farsi
carico dei problemi dei migranti oggi è di fatto la
stessa che ha visto molti uomini violare gli ordini
nazisti più di 70 anni fa.
34
IL VENTO SI FERMÒ AD AUSCHWITZ | Luca Manzotti
35
IL VENTO HA TANTE VOCI | FIlippo Carrettiero
36
SHOAH: PICCOLE, GRANDI LEZIONI DI VITA | Patrizia Spada
In occasione di questa Giornata, vorrei ricordare in
modo particolare la figura di Zygmunt Bauman, nato
a Poznan, in Polonia, nel 1925.
È mancato, in questo periodo (9 gennaio 2017), un
grande intellettuale, filosofo, sociologo polacco di
origini ebraiche, Zygmunt Bauman. Bauman, che
vide lucidamente il nesso fra modernità e Shoah,
parte, nella sua analisi sull’esistenza, dalla “paura
delle paure”, la consapevolezza della nostra mor-
talità, dimostrando che proprio dalla nostra fragilità
nasce la nostra forza. Proprio il nostro senso del
finito ci spinge a creare, a progettare, ad innalzare il
nostro livello culturale.
La cultura - ricorda Bauman - riflette il nostro sforzo
costante di rendere vivibile una vita mortale.
È dunque la paura dell’incompiuto che spinge gli uomini
a “spiccare il volo”, a sprigionare la propria immagina-
zione. Il motore della nostra sete di cultura nascerebbe
quindi dalla necessità di colmare il vuoto che ancora
esiste fra il finito e l’infinito, “per passare da una parte
all’altra del precipizio”.
Ancora una volta ci viene in aiuto la letteratura italiana,
e la grandezza di uno scrittore come Leopardi, “Io nel
pensiero mi fingo; ove per poco / il cor non si spaura”.
Banalmente potremmo portare con noi questa piccola
lezione: la nostra grandezza può nascere dalle nostre
debolezze, anzi dalla nostra “mortalità”.
Come cantava De André “dai diamanti non nasce niente,
dal letame nascono i fior”.
Perché Shoah e modernità? Bauman era consapevole
del fatto che l’omicidio di massa non fosse un’inven-
zione recente, ma la novità del nazismo sta nell’indu-
strializzazione della morte, nelle officine di Hitler, ecco
perché “il regime nazista è finito da tempo, ma la sua
venefica eredità è tutt’altro che morta”. È una questione,
quella dell’Olocausto, che va al di là dei suoi esecutori,
e persino al di là delle sue vittime, “il significato attuale
dell’Olocausto è dato dalla lezione che esso contiene
per l’intera umanità”.
E a chi si chiede dove fosse Dio in quel momento Bau-
man risponde che “il male non è un principio della mi-
stica di cui dovrebbe rispondere Dio. È un’offesa di cui
deve rispondere l’uomo”.
37
E allora, proprio ciò che è successo nei lager, e fuori di
essi, ci offre una seconda lezione, forse dimenticata, l’e-
tica è indispensabile alla vita dell’uomo, e la responsabi-
lità, come la morale, è sempre assolutamente individua-
le. Non possiamo e non dobbiamo delegare nessuno a
rappresentare il nostro senso di responsabilità. La nostra
grandezza si misurerà su quanto onesto sia stato il no-
stro vivere.
È solo questa l’immortalità possibile per l’uomo.
A partire dal XVII secolo in Europa ha prevalso una lo-
gica di controllo basata su schemi sempre più ordina-
ti, che aveva come obiettivo principale una maggiore
sicurezza. Nell’ultimo sessantennio benessere e pro-
poste sempre più consumistiche hanno destabilizzato
il vecchio ordine, alimentando una società sempre più
orientata alla rincorsa di piaceri effimeri, passando così
da una società “solida” a una società “liquida”.
Il concetto di liquidità è l’aspetto più conosciuto
di Bauman.
C’è una terza strada da seguire? Saranno i giovani a
poter dare risposte nuove, intanto Bauman, che non è
mai stato pessimista, ha ispirato la sua vita al motto di
Goethe: “la felicità consiste nel superare, giorno dopo
giorno, l’infelicità”.
Valga per tutti noi, in questo momento storico, una
lezione generale: non importa quante persone antepon-
gano il dovere morale alla conservazione,
all’opportunismo, è importante che qualcuno lo faccia.
Affinché ognuno di noi abbia la possibilità di
continuare questo viaggio nella Memoria, e possa
trasformare i riti in opportunità, ricordo alcuni dei
saggi di Bauman, riferiti all’Olocausto, e non solo,
pubblicati in Italia:
“Modernità e Olocausto”, Edizioni Il Mulino
“Stranieri alle porte”, Edizioni Laterza
“Stato di crisi”, Edizioni Einaudi
“Modernità liquida”, Edizioni Laterza
“L’arte della vita”, Edizioni Laterza
“Visti di uscita e biglietti di entrata, paradossi dell’as-
similazione ebraica”, Edizioni Giuntina
“Il demone della paura”, Edizioni Laterza
“La vita è un’avventura”, Edizioni Laterza
“Mortalità, immortalità e altre strategie di vita”, Edi-
zioni Il Mulino
38
FOTOGRAFIE DAL CONCERTO | Musiche per ricordare
BRANI ESEGUITI:
- Brano cantato Gam Gam
- Violino e pianoforte “La vita è bella”
- Brano flauti “Barcarola”
- Brano flauti “Inverno” di Vivaldi
- Violino e piano “Lied” di Schubert
- Brano flauti “Romanza” di Beethoven
- Violino e pianoforte
- Brano cantato “Auschwitz”
- Violino e piano “Schindler’s list”
- Brano cantato “Hallelujah” di Cohen
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45
Quando fu costruito Auschwitz, era già nella tra-
dizione dei camp d i concentramento nazisti for-
mare un’orchestra degli internati. Mentre le squa-
dre si avviavano al lavoro o tornavano, i musicisti
dovevano suonare delle marce e non solo perché
gli uomini delle SS ci tenevano a dare una parven-
za pseudo-militare alla vita dei lager. Infatti, già nel
gennaio del 1941, i prigionieri rinchiusi nel Blocco 24
del campo principale avevano cominciato a esegui-
re le prove, con strumenti che si erano fatti mandare
da casa. La morte, le torture, il dolore, il sangue, la
fame, la vita ridotta a niente imperversavano, ma
l’orchestra e la musica non potevano mancare!
Ma qual era il suono della Shoah? Quale compo-
sizione poteva ‘dire’ il lugubre silenzio dei campi
squarciato dagli urli delle sirene, dall’abbaiare dei
cani, dallo sferragliare dei treni? Nei campi gli alto-
parlanti diffondevano musica da ballo per dare la
sveglia o avviare al lavoro forzato; nei campi c’erano
perfino orchestre formate dai deportati costretti a
suonare mentre i loro parenti, amici, si avviavano
verso la morte. Qual era il suono della morte? Che
musica si eseguiva nei luoghi ai confini della vita?
È noto che la musica era presente, in molti luoghi
dell’universo concentrazionario nazista: nei ghet-
ti della Polonia o delle regioni baltiche, nei campi
di concentramento e perfino in “città della morte”
come Treblinka o Birkenau.
Ma c’era un luogo quasi irreale in cui risuonava musica
vera, la grande musica: Mozart, Verdi, Puccini, perfino il
jazz “degenerato”. Questo luogo era Terezín.
Lo stesso avveniva in altri campi, dove il repertorio ab-
bracciava le Danze slave di Dvořák (VOGIAK), Sinfonie di
Beethoven, l’Incompiuta di Schubert, La Traviata di Verdi
e, poi ‘operette’ di Franz Lehar e il Lohengrin di Wagner,
eseguita davanti a Himmler nel gennaio del 1945 a
Mauthausen.
Tutto questo, quando il tempo era già finito ed era chia-
ro che non c’era più tempo per nulla.
LA MUSICA NEL LAGER
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POESIE DI GIOVANNI PAOLO II | Patrizia Spada
LA COSCIENZA
Non influisco sulla sorte del mondo,
Non sono io che incomincio le guerre.
Sono con te o contro di te - non lo so,
Non pecco
Ma questo mi tormenta: tornisco viti che non fanno
male mai
Preparo dei frammenti di sterminio, non uccido
l’uomo mai.
Potrei creare un altro mondo io stesso.
Come ogni uomo, potrei essere causa.
Dove nessuno lo distrugge con atti,
Né lo delude con parole ingannevoli.
Il mondo ch’io creo non è buono,
Eppur non sono io che lo rendo malvagio!
Ma questo mi tormenta: tornisco viti che non fanno
male mai
Preparo dei frammenti di sterminio, non uccido
l’uomo mai.
LA LIBERTÀ
La libertà è conquista
Che termine non ha
Non sarà mai un possesso
Mai un’eredità
Nulla lo sai è lo stesso
C’è una battaglia che
Ogni giorno si combatte In te
La libertà
Non ha prezzo
La pagherai
Con te stesso
Tutto dovrai dare
Senza recriminare
E allora splenderà la tua umanità
La libertà è un dono
Che ti sorprenderà
Ma per serbarla devi
Lottare più che puoi
Devi spiccare il volo
E non fermarti mai
Altrimenti in un attimo solo
La perderai
Pesa su noi la storia
Siamo un pilastro che
Ha una crepa da rinchiudere
In sé
La libertà
Non ha prezzo
La pagherai
Con te stesso
Tutto dovrai dare
Senza recriminare
E allora splenderà la tua umanità
50
Antonella Panzeri - Violino
Gabriel Tancredi Nicotra – Pianoforte
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54
IL VIOLINO DELLA SHOAH | La storia di Eva Maria
Quel violino, con una Stella di David intarsiata sul retro, ha salvato la vita a un ragazzo 21enne. Apparteneva a
Maria, una ebrea di 22 anni che con il fratello Renzo, più giovane di lei appunto di un anno esatto, stava scap-
pando in Svizzera. Ma non arrivarono mai dall’altra parte della frontiera. I tedeschi li catturarono portandoli a
Milano e da lì a Verona, dove furono caricati su un treno. Destinazione Auschwitz. Maria istintivamente con-
segnò il suo violino a Renzo, pensando che un uomo avrebbe avuto più probabilità di salvare se stesso e lo
strumento. Così è stato: Maria morì nel lager, mentre il fratello fu liberato dall’Armata Rossa nel gennaio 1945 e
tornò in Italia. Aveva con sé il violino, che custodì per altri dodici anni fino al 1957, quando morì.
Incollati sul fondo la scritta (in tedesco) «Inno alla musica che rende liberi» e uno spartito con le note di un motivo.
55
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CARTOLINE | Immagini per non dimenticare
59
Chi legge ci ascolta, ma capirci NO.
E’ impossibile
60
Chi testimonia
quello che ha
ascoltato, diventa
Nuovo Testimone
61
….IO NON SONO
UN VIDEO-GIOCO,
IO SONO ESISTITO
VERAMENTE….
62
63
…” La verità è tanto difficile
da sentire quanto più a
lungo la si è taciuta” …
Anna Frank
64
65
«SIAMO DA ‘’EDUCARE’’, SIAMO NULLITA’, DOBBIAMO SERVIRE
LA GRANDE GERMANIA, SIAMO SCHIAVE DESTINATE A
LAVORARE, SIAMO PERSONE CHE VOGLIONO DISTRUGGERE,
VOGLIONO ESASPERARCI, SFINIRCI E FARCI DIVENTARE BESTIE
ELIMINANDO IN NOI OGNI SCINTILLA DI UMANITA’, CI
OSSERVANO SENZA VEDERCI PERCHE’ PER LORO SIAMO SOLO
E SEMPRE OMBRE. … M. Maggi
…. MA NOI SIAMO ESSERI UMANI»
66
SARA’ANCORAPIU’VIVO
NELRICODODICHIRESTA
NONSARA’PIU’-ILTUOSPIRITO
67
Sono ospite da parecchi giorni , ma quello che
ho da raccontare è ancora chiuso dentro di me.
Lo sento come un’ansia che in certi momenti
sembra voler esplodere e in altri restare
indisturbata. Quando ero nel campo soffrivo,
dicevo a me stessa che poi la vita ,al ritorno, mi
avrebbe aiutata a diluire la pena, perché avrei
raccontato a tutti del mio dramma. Fino a
liberarmene, perché parlare fa vivere. Tutti
devono sapere mi dicevo. E invece nulla di tutto
ciò.
NON C’E’ POSTO PER LE PAROLE QUI, PER
QUELLE PAROLE.
68
69
Le cartoline sono state pensate e realizzate
interamente dai ragazzi
del laboratorio
70
LA CANZONE DEL BAMBINO NEL VENTO | I Nomadi
Questa canzone di Francesco Guccini è uscita per la prima volta nel 1964. Il bambino della canzone
diventa il simbolo di tutte quelle vittime, dell’olocausto, di quella incomparabile tragedia ma anche
della violenza che ancora oggi prevale in molti paesi.
71
Son morto con altri cento,
son morto che ero bambino
72
passato per il camino
e adesso sono nel vento
73
Ad Auschwitz c’era la neve,
il fumo saliva lento
74
nel freddo giorno d’inverno
e adesso sono nel vento
75
Ad Auschwitz tante persone,
ma un solo grande silenzio
76
è strano non riesco ancora
a sorridere qui nel vento
77
Io chiedo come può l’uomo
uccidere un suo fratello
78
eppure siamo a milioni
in polvere qui nel vento
79
Ancora tuona il cannone
ancora non è contento
80
di sangue la bestia umana
e ancora ci porta il vento
81
Io chiedo quando sarà
che l’uomo potrà imparare
82
a vivere senza ammazzare
e il vento si poserà
83
Io chiedo quando sarà
che l’uomo potrà imparare
a vivere senza ammazzare
84
e il vento si poserà
e il vento si poserà
85
...E IL VENTO SI POSERÀ.
86
INDICE
- Introduzione al Laboratorio	 		 pag.4
- Partecipano al Progetto - Gli alunni	 pag.6
- Dacau - Paolo Oggioni				 pag.8
- Chi non ha memoria non ha futuro - Maria Lucia Lecchi		 pag.10
- Le pietre d’inciampo - Duilio Fenzi								 pag.12
- I giusti - Aurora Mandelli, Gabriele Magni	 pag.15
- Credo nell’amore e non mi arrendo - Don Giampaolo Lattuada	 pag.16
- Se questo è un uomo - Anna Di Pellegrino	 pag.18
- Un paio di scarpette rosse - Giulia Berruti	 pag.20
- Aforismi - Federico Policicchio, Gabriele Magni, Riccardo Brambilla			 pag.22
- Chi è Hitler - Alessia Cattaneo				 pag.23
- La memoria dell’oggi - Arianna Ronchi			 pag.24
- Dialogo su Hitler - Martina Cantù, Chiara Crippa	 pag.26
- I triangoli di Auschwitz - Marco Bresciani, Riccardo Brambilla		 pag.28
- La storia di Zita Szigeti - Lorella Sala	 pag.30
- Il faro - Lorella Sala 														 pag.31
- Da Heichmann a Herrou, passando per Norimberga - Claudia Sala			 pag.32
- Il vento si fermò ad Auschwitz - Luca Manzotti, Filippo Carrettiero	 pag.34
- Shoah: piccole, grandi lezioni di vita - Patrizia Spada	 pag.36
- Fotografie dal concerto	 pag.38
- La musica nel Lager 													 pag.45
- Poesie di Giovanni Paolo II - Patrizia Spada	 pag.48
- Il violino della Shoah	 pag.54
- Cartoline	 pag.58
- La canzone del bambino nel vento	 pag.70
87
Fotografie e Grafica:
Alessia Perego
27 GENNAIO 2017 giornata della memoria

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27 GENNAIO 2017 giornata della memoria

  • 1. 27 GENNAIO 2017 GIORNATA DELLA MEMORIA Serata di riflessione realizzata dagli studenti delle classi terze della scuola secondaria di I grado di Ronco Briantino Scuola Secondaria di I grado, Ronco Briantino, 27 gennaio 2017, Giornata della Memoria
  • 2. 2
  • 3. 3
  • 4. 4 INTRODUZIONE AL LABORATORIO | Patrizia Spada Fra il 1939 e il 1945 circa 6 milioni di Ebrei vennero sistematicamente uccisi dai nazisti del Terzo Rei- ch con l’obiettivo di creare un mondo più ‘puro’ e ‘pulito’. Non era la prima volta nella Storia che si procedeva a una repressione così dura e a un’elimi- nazione così forzata. Ma era la prima volta che un’o- perazione di “pulizia etnica” avveniva in modo così programmato, sistematico. A questa “soluzione fina- le” - così la chiamarono i nazisti – si arrivò attraver- so una serie di atti di emarginazione degli Ebrei da parte della società tedesca. Le leggi di Norimberga del 1935 legittimarono prima il boicottaggio econo- mico degli Ebrei, poi quello sociale, ma dalla “notte dei cristalli” (8-9 nov. 1938) il processo di repressione venne accelerato: le sinagoghe vennero date alle fiamme e si decise per lo “sterminio sistematico” della parte ebrea della società tedesca. Stiamo parlando di uno sterminio partito dalla Ger- mania e diffusosi in tutta l’Europa conquistata dal Terzo Reich. A una prima discriminazione fece se- guito la ghettizzazione e quindi la deportazione, ter- mini ormai tristemente acquisiti dalle nostre lingue. Ad Auschwitz, Treblinka, Dachau, Bergen Belsen, Mauthausen, solo per citare i campi più conosciuti, giungevano ogni giorno convogli carichi di persone che, dopo la selezione iniziale, venivano mandate direttamente alla morte, oppure ai lavori forzati. I campi di sterminio erano anche luoghi di torture e di esperimenti pseudo-scientifici. Le vittime erano anche zingari, omosessuali, oppositori politici e/o religiosi. Anche l’Italia, nel 1938, emanò le leggi razziali, esclu- dendo gli Ebrei dalle scuole, dalle professioni, dalla vita socio-culturale dell’epoca. Ma le deportazioni iniziarono più tardi, nel 1943, quando, in seguito al crollo del regi- me fascista e all’armistizio, i Tedeschi occuparono l’Italia settentrionale, e la Repubblica Sociale Italiana collaborò con la Germania. Il campo di Fossoli (provincia di Mode- na) divenne il luogo di transito verso i campi dell’Europa Orientale. Il termine SHOAH è un richiamo all’Antico Testamento, significa “tempesta devastante”, ed è vocabolo preferi- bile ad olocausto poiché non richiama, come quest’ulti- mo, l’idea di un sacrificio inevitabile. Una pagina della nostra Storia così ricca di eventi, per quanto drammatici, richiedeva dei tempi lunghi e delle riflessioni approfondite. “Far conoscere ai giovani la tragedia che si è consuma- ta nei campi di sterminio significa attualizzarne il senso, esortarli a riflettere sul continuo pericolo di un possibile ritorno di quei sentimenti che hanno portato allo ster- minio ebraico”, Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Stefania Giannini
  • 5. 5 Ecco perché ho deciso di dedicare a questa tragedia un Laboratorio. Ed è dal gruppo del Laboratorio che è nato l’evento che abbiamo cercato di condensare in queste pagine. Abbiamo deciso di scegliere quale luogo della Memo- ria la Chiesa Vecchia del paese e abbiamo chiesto a chi entrava di diventare “nuovo testimone” di una tragedia che non si è esaurita. Partecipare a questa Giornata significa impegnarsi per una società “Giusta”, in cui non conta “arrivare”, ma con- dividere un percorso di vita. Vorrei finire con le parole di Peter. Peter è un bambino ebreo, ucciso dai nazisti nel ghetto di Terezin. Si intitola “Filo spinato” Su un acceso rosso tramonto, sotto gli ippocastani fioriti, sul piazzale giallo di sabbia, ieri i giorni sono tutti uguali, belli come gli alberi fioriti. è il mondo che sorride e io vorrei volare. Ma dove? Un filo spinato impedisce che qui dentro sboccino fiori. Non posso volare. Non voglio morire.
  • 6. 6 PARTECIPANO AL PROGETTO: Paolo Oggioni, Responsabile della Fondazione “La Rosa d’Argento” e della “Gesa Vegia” Maria Lucia Lecchi, Dirigente Scolastico dell’Istituto Comprensivo Sulbiate-Ronco Patrizia Spada, Docente di Lettere, Responsabile della Scuola Secondaria di Ronco Duilio Fenzi, Docente dell’UsrLo, per la Provincia di Monza Brianza Don Gianpaolo Lattuada, vicario parrocchiale a Ronco Claudia Sala, Direttrice di OffertaSociale Arianna Ronchi, Direttrice della Cooperativa Aeris Claudia Sanna, Docente di musica della Scuola Secondaria di Ronco Lorella Sala, Assessore alla Pubblica Istruzione - Ecologia, per il Comune di Ronco Antonella Panzeri, Docente – violino Gabriel Tancredi Nicotra, Docente – pianoforte
  • 7. 7 GLI ALUNNI: Giulia Berruti Riccardo Brambilla Marco Bresciani Marcello Caiani Martina Cantù Alessia Cattaneo Davide Colombo Chiara Crippa Anna Di Pellegrino Nikolas Galazzo Caroline Gaudioso Magni Gabriele Aurora Mandelli Wiam Mehrar Federico Policicchio Asia Russo
  • 8. 8 27 Gennaio 1945, i soldati russi entrano ad Auschwitz, campo di concentramento e di sterminio nazista. Nessuno s’immagina cosa troverà, purtroppo la realtà supera in modo orrendo la fantasia. 7.000 scheletri(uomini, donne, bambini), vestiti quasi di nulla, nel gelido inverno polacco. Questi sono i primi liberati dai Lager. Da quel giorno si scoprirà, liberando altri campi, altri Lager, cosa ha potuto fare “l’uomo”, se così possiamo definirlo. Continuo poi la mia esperienza raccontando dei tanti campi di ster- minio e prigionia sparsi in Europa, terminando il mio intervento con la lettura di una poesia dialettale scritta subito dopo il rientro da una visita al campo nazista di Dacau, periferia di Monaco di Baviera, visi- tata negli anni Ottanta con un gruppo d’Amministratori dell’allora Provincia di Milano, io, giovane asses- sore alla Pubblica Istruzione del comune di Ronco Briantino, inviato a fare esperienza sulla realtà europea. DACAU | Paolo Oggioni
  • 9. 9 Dacau La par una piona Sembra solo una spianata tuta piena de sass, tutta piena di sassi, inveci ghe pien onca i foss invece sono pieni anche i fossi tucc de oss tutti di ossa. A passà tutt in mèss A passare nel mezzo a stù lunc vialôn, in questo lungo vialone, a te par de vèss ti sembra di essere in mèss la prucessiôn. in mezzo ad una processione. Te sèntèt di vùss Senti delle voci di vùss de lunton, delle voci lontane, se fonn chi gent lé cosa ci fa quella gente cascià in di cantôn? nascosta negli angoli. Perché sti por gent Perché questa gente inn sta tucc brusà, è stata tutta bruciata, son fa cosa ha fatto son fa pò de mà? cosa ha fatto di male? Perché tucc quil’è Perché solo quelli perché tucc Ebrei, perché tutti Ebrei, se pò Lu la dì se poi Lui ha detto sèmm tucc di fradéi. siamo tutti fratelli.
  • 10. 10 Ringrazio i ragazzi e i docenti della scuola di Ronco, in particolare la prof.ssa Spada, per aver preparato questo evento, per aver voluto condividere con tutti noi un’esperienza di umanità. Ho apprezzato la vostra scelta di voler diventare “nuovi testimoni” perché ciascuno di noi si deve sentire il compito di contribuire a costruire una so- cietà più “umana”. Avete scelto di impegnarvi per costruire una società più “giusta” e quindi con un amore anche per il pre- sente, senza limitarvi solo a ricordare il passato. L’errore più grande che si commette oggi, invece, è quello di pensare che fatti gravi come lo sterminio degli Ebrei o la deportazione di persone innocenti e inermi siano capitati solo in un tempo che ormai è passato, concluso, che non ci riguarda più. Un “giornata della memoria”, quindi, che si limitasse ad accusare il passato e che non riflettesse sul pre- sente sarebbe un gesto sterile e retorico. Se il presente deve illuminare il passato è anche vero il contrario, ovvero che il passato deve aiutarci a scrutare meglio il presente. Che cos’è allora la memoria? A che cosa serve nella vita dell’uomo? Scrive Pavese: “Le cose si scoprono attraverso i ricordi che se ne hanno. Ricordare una cosa significa vederla-ora soltanto- per la prima volta”. Ho scelto allora di ricordare una delle più belle espe- rienze di coraggio, di amore alla verità e all’uomo che io abbia mai incontrato: la testimonianza di alcuni gio- vani tedeschi che hanno dato la vita per contrastare la violenza del nazismo e della menzogna, i “Ragazzi della Rosa Bianca”. La loro vicenda è narrata in un volume che vi invito a leggere: La Rosa Bianca - Volti di un’amicizia. Era un piccolo gruppo di studenti universitari che sep- pero creare un movimento di resistenza contro il nazi- smo: erano tutti giovanissimi, poco più di 20 anni. Essi ci hanno offerto una grandissima testimonianza di vita, di amicizia, di libertà: amavano gli uomini e la libertà e l’hanno giocata fino in fondo, fino a morire per essa. Si può avere l’impressione che i gesti di questi ragazzi appartengano ormai al passato, ma in realtà la loro stessa vita rappresenta per tutti noi (e lo è stato anche per me), un richiamo a vivere con passione l’epoca in cui ciascuno di noi è chiamato ad operare. Essi, è vero, sono morti ma la loro voce risuona ancora per noi, ed è una voce lieta, di speranza. Dobbiamo mantenere viva questa voce e per questo ci può aiutare una riflessione di Joseph Rovan, parente di uno dei ragazzi della Rosa Bianca: CHI NON HA MEMORIA NON HA FUTURO| Maria Lucia Lecchi
  • 11. 11 “La testimonianza di questi ragazzi non deve impedirci di essere lieti né di pensare con gioia a coloro che hanno sacrificato la loro vita. Molti di essi lo hanno fatto, come Chris, i fratelli Sholl, Willi Graf. Come esprimere tutto questo a parole? Non si va mai incontro alla morte con gioia, ma con la percezione di aver compiuto ciò a cui si è chiamati. Posso solo augurare a ognuno di voi, quando la sera penserete alla giornata trascorsa, di avere la percezione di aver fatto ciò a cui siete stati chiamati”
  • 12. 12 Vi voglio parlare di un’iniziativa di cui molti di voi avranno già avuto sentore, soprattutto dalla crona- ca di questi ultimi giorni. Mi riferisco alle “PIETRE D’INCIAMPO”, definite anche semplicemente “Pietre della MEMORIA”. Cosa sono le PIETRE D’INCIAMPO e perché si chia- mano così? “Le Pietre d’inciampo (ted. Stolpersteine) sono una iniziativa dell’artista tedesco Gunter Demnig per de- positare, nel tessuto urbanistico e sociale delle città europee, una memoria diffusa dei cittadini deportati nei campi di sterminio nazisti. L’iniziativa, attuata in diversi paesi europei, consiste nell’incorporare, nel selciato stradale delle città, davanti alle ultime abitazioni delle vittime di deportazioni, dei blocchi in pietra ricoperti al di sopra con una piastra di ottone. L’iniziativa è partita a Colonia nel 1995 e ha portato, a inizio 2016, all’installazione di oltre 56.000 “pietre” (la cinquantamillesima pietra è stata posata a Torino) in vari paesi europei: Germania, Austria, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia, Paesi Bas- si, Belgio, Lus-semburgo, Norvegia, Italia, Francia, Spagna, Svizzera, Grecia, Ucraina, Slovenia, Croazia, Romania e Russia. La memoria consiste in una piccola targa d’ottone della dimensione di un sampietrino (10 x 10 cm.), posta davanti alla porta della casa in cui abitò la vittima del nazismo o nel luogo in cui fu fatta prigio- niera, sulla quale sono incisi il nome della persona, l’anno di nascita, la data in cui è stata arrestata, LE PIETRE D’INCIAMPO| Duilio Fenzi l’eventuale luogo di deportazione e la data di morte, se conosciuta. Le informazioni, in questo modo, intendono ridare individualità a chi si voleva ridur-re soltanto a nu- mero. L’espressione “inciampo” deve dunque intendersi non in senso fisico, ma visivo e mentale, per far ferma- re a riflettere chi vi passa vicino e si imbatte nell’opera, costringendolo a interrogarsi su quella diversità, e agli attuali abitanti della casa a ricordare quanto accaduto in quel luogo e in quella data, intrecciando continuamente il passato e il presente, la memoria e l’attualità. Le pietre d’inciampo vengono posate in memoria del- le vittime del nazismo, indipendente-mente da etnia e religione.”
  • 13. 13 ma che è anche una sorta di tomba dato che «non ab- biamo una tomba perché l’hanno bruciato». Un rappresentante delle istituzioni ha commentato così: «I fascisti non hanno neanche il coraggio della storia. Imbrattano le pietre d’inciampo pensando che magari non vengano ricordati i loro crimini, come la collabora- zione con i nazisti nelle deportazioni». «Sono certo che se un luogo del ricordo verrà imbrattato, noi lo ripulire- mo subito». Dunque, per “ripulire” il presente dagli orrori del passato occorre MEMORIA, che è al tempo stesso conoscenza di ciò che è stato e consapevolezza di ciò che mai più dovrà essere! La mia piccola testimonianza di oggi vuole essere que- sto: un messaggio rivolto alla scuola e ai ragazzi, affin- ché possiate costituire l’utile inciampo per l’intera comu- nità, di oggi e di domani. Non fatico a immaginare che ognuno di noi, oggi qui riuniti per ricordare l’orrore dell’Olocausto e della deportazione, consideri le PIETRE D’INCIAMPO un’iniziativa indiscu-tibilmente positiva e, soprattutto, qualcosa con cui è impossibile non essere d’accordo. Ma non è così per tutti! Non lo è, perché là fuori, magari fra le stesse persone che conosciamo, molti non sanno a sufficienza; o, peggio, minimizzano o negano. Vi voglio leggere ciò che è avvenuto lunedì scor- so, 23 gennaio 2017, a Milano, città che ha deciso di aderire all’iniziative delle STOLPERSTEINE… Appena posata è stata subito imbrattata la prima delle sei pietre d’inciampo che verranno installate a Milano per ricordare le vittime del nazifascismo. Si tratta di quella posata in via Plinio e dedicata a Dante Coen, deportato ad Auschwitz ed ucciso a Buchenvald. A dare l’al-larme è stata la figlia Ornel- la, che ha avvisato l’addetto alla sicurezza della Co- munità ebraica. La polizia, ha raccontato, è andata nella zona per vedere se c’erano testimoni. Or-nella ha mandato sua figlia in via Plinio armata di acqua- ragia per ripulire il sampietrino in ottone che è stato messo sul marciapiede. «Vediamo quanto dura - ha commentato -. Se ri-succede io ripulisco. Sicura- mente è stato un atto di antisemitismo. Non han- no rispetto nemmeno per chi non c’è più e non ha colpa di niente». Ornella Coen tiene in modo par- tico-lare alla targa che è «un omaggio giusto» per ricordare il padre, che lei non ha mai cono-sciuto dato che aveva 30 giorni quando è stato deportato,
  • 14. 14
  • 15. 15 Un uomo che coltiva il suo giardino, come voleva Voltaire. Chi è contento che sulla terra esista la musica. Chi scopre con piacere una etimologia. Due impiegati che in un caffè del Sud giocano in silenzio agli scacchi. Il ceramista che intuisce un colore e una forma. Il tipografo che compone bene questa pagina che forse non gli piace. Una donna e un uomo che leggono le terzine finali di un certo canto. Chi accarezza un animale addormentato. Chi giustifica o vuole giustificare un male che gli hanno fatto. Chi è contento che sulla terra ci sia Stevenson. Chi preferisce che abbiano ragione gli altri. Tali persone, che si ignorano, stanno salvando il mondo. Louis Borges I GIUSTI | Aurora Mandelli e Gabriele Magni
  • 16. 16 “Io credo nel sole anche quando non splende, credo nell’amore anche quando non lo sento, credo in Dio anche quando non parla. E so che se parla, parla per amore, se tace, tace per amore”. Messaggio lasciato dall’ultimo combattente ebreo del ghetto di Varsavia “Dio viene al centro della vita non ai margini di essa. Dio non è l’ultima risorsa quando io non ho più risorse, ma viene, invece, nel cuore della vita, viene nella passione dell’amore, nella fedeltà al dovere, nella fame di giustizia, nel coraggio della generosità, nel non arrendermi, quando mi impegno a ridurre la distanza tra il sogno grande dei Profeti e il poco che abbiamo tra le mani”. Dietrich Bonhoeffer, teologo luterano tedesco protagonista della resistenza al Nazismo Perché noi credenti siamo chiamati a ripetere che il mondo si regge su di un principio di bene, su di una luce che viene prima, che è anteriore e più profonda del male. Questa luce ce l’abbiamo dentro, è l’immagine e la somiglianza di Dio. Portiamo tutti una tunica di luce, ci è stata consegnata nel battesimo quando il prete, mettendoci sopra quella veste bianca, ci ha invitato a passare la vita a rivestirci di luce, a rivestirci di Cristo. Noi vogliamo, allora, essere testimoni di un Dio luminoso, di un Dio solare e felice; che, come dice S. Paolo, ha fatto risplendere la vita, ha dato splendore e bellezza all’esistenza, ha messo frammenti di sole dentro le vene oscure della storia. E a noi è affidato un compito: quello di essere annunciatori non del degrado, dello sfascio, del tutto va male, testimoni non delle meschinità del vivere, non del peccato ma del bene per quanto piccolo. Non della zizzania del campo, ma del buon grano che spunta; non del male di tanti figli prodighi, ma dell’ab- braccio di un padre buono; non della piccolezza del granello di senape, ma dell’albero che è nascosto dentro. CREDO NELL’AMORE…
  • 17. 17 ...E NON MI ARRENDO| Don Giampaolo Lattuada Spesso abbiamo insistito sull’idea di un Dio giudice e poco invece sulla fede in un Dio guaritore. Da- vanti al giudice si nasconde il proprio male, perché il giudizio sia benevolo; davanti al medico no, lo si mostra, lo si racconta perché possa essere guarito, tutto. La nostra fede è la testarda fiducia che, no- nostante tutte le derive, il cammino di ciascuno e del mondo è un cammino di luce in luce, di grazia in grazia; la testarda fiducia che nonostante tutto il cammino dell’uomo è un cammino di salvezza. Per questo accogliamo l’invito di Gesù a «perseve- rare»: perché l’umano in noi e negli altri si salva con la perseveranza. Non nel disimpegno, nel chiamarsi fuori, ma nel tenace, umile, quotidiano lavoro che si prende cura della terra e delle sue ferite, degli uomini e delle loro lacrime. Perseveranza vuol dire: noi non ci arrendiamo; nel mondo sembrano vincere i più violenti, i più crude- li, ma noi non ci arrendiamo. Anche quando tutto il lottare contro il male sembra senza esito, noi non ci arrendiamo. Noi che cosa possiamo fare? Ci viene a volte da chiederci. Possiamo usare la tattica paziente del contadino. Rispondere alla grandine piantando nuo- vi frutteti, e per ogni raccolto di oggi perduto impe- gnarci a prepararne uno nuovo per domani. Il vero male il Vangelo lo descrive così: «per il dila- gare dell’iniquità l’amore di molti si raffredderà». L’amore che si raffredda è il pericolo drammatico del mondo. Non la sofferenza, non la violenza, ma il raffreddarsi dell’amore, il freddo delle relazioni, la globalizzazione dell’indifferenza, il menefreghismo sono l’ultimo, gelido frutto del male. Allora ecco il nostro compito: prenderci cura del cuore, delle relazioni, degli affetti, prenderci cura della giusti- zia, della compassione, della misericordia, della tene- rezza, dell’attenzione. Non lasciare raffreddare l’amore: è il grande compito che ci attende tutti, nel piccolo e umile cammino di ogni giorno.
  • 18. 18 SE QUESTO È UN UOMO | Anna Di Pellegrino Voi che vivete sicuri Nelle vostre tiepide case Voi che trovate tornando a sera Il cibo caldo e visi amici: Considerate se questo e’ un uomo, Che lavora nel fango Che non conosce pace Che lotta per mezzo pane Che muore per un si o per un no. Considerate se questa e’ una donna, Senza capelli e senza nome Senza più’ forza di ricordare Vuoti gli occhi e freddo il grembo Come una rana d’inverno. Meditate che questo e’ stato: Vi comando queste parole. Scolpitele nel vostro cuore Stando in casa andando per via, Coricandovi alzandovi: Ripetetele ai vostri figli. O vi si sfaccia la casa, La malattia vi impedisca, I vostri nati torcano il viso da voi. Primo Levi
  • 19. 19
  • 20. 20
  • 21. 21 UN PAIO DI SCARPETTE ROSSE | Giulia Berruti C’è un paio di scarpette rosse numero ventiquattro quasi nuove: sulla suola interna si vede ancora la marca di fabbrica “Schulze Monaco”. C’è un paio di scarpette rosse in cima a un mucchio di scarpette infantili a Buckenwald erano di un bambino di tre anni e mezzo chi sa di che colore erano gli occhi bruciati nei forni ma il suo pianto lo possiamo immaginare si sa come piangono i bambini anche i suoi piedini li possiamo immaginare scarpa numero ventiquattro per l’ eternità perché i piedini dei bambini morti non crescono. C’è un paio di scarpette rosse a Buckenwald, quasi nuove perché i piedini dei bambini morti non consumano le suole.
  • 22. 22 AFORISMI | Federico Policicchio, Gabriele Magni e Riccardo Brambilla
  • 23. 23 CHI È HITLER| Alessia Cattaneo
  • 24. 24 LA MEMORIA DELL’OGGI | Arianna Ronchi
  • 25. 25
  • 26. 26 DIALOGO SU HITLER | Martina Cantù e Chiara Crippa C: Chi è Adolf Hitler ? M: Adolf Hitler nasce in Austria nel 1889. La sua infanzia è difficile a causa della morte della madre e degli insuccessi negli studi. Vive inizialmente a Vienna dove fa l’impiegato. Nel 1913 si trasferisce a Monaco, poi partecipa alla prima Guerra Mondiale, da cui torna profondamente deluso dalla sconfitta della Germania. Nel 1919 inizia la sua attività politi- ca, fondando il Partito Nazionalsocialista dei lavora- tori tedeschi . C: Scusa se ti interrompo ma che cosa è il partito Nazionalsocialista? M: E’ conosciuto anche come Partito nazista, che è un governo totalitario di estrema destra dalle forti connotazioni e di superiorità razziale. C: Ah okay continua pure... M: Dopo di ciò lui viene incarcerato per la sua attivi- tà di agitatore, scrive in carcere il libro MeinKampf. Dopo 9 mesi fu scarcerato, quindi continuò la sua attività politica trasformando il partito in una orga- nizzazione paramilitare. Dopo una crisi economica del 1929 il nazionalsocialismo cresce sempre di più fino a diventare nel 1933 il primo partito di Germa- nia. Inizialmente il regime nazista ebbe lo scopo di affermare la sua grandezza in Germania stimolando contempora- neamente l’odio verso gli ebrei. C: Ma perché Adolf Hitler prese di mira il popolo degli ebrei e insieme ai suoi uomini torturò queste povere persone? Non sono mai riuscita a capire perchè abbiano ucciso proprio gli ebrei e non gli inglesi o gli italiani per esem- pio.. Forse perchè Hitler essendo l’anticristo magari odiava il popolo scelto da Gesù? M: In realtà uccise gli ebrei perchè era un politico os- sessivo. Come tu sicuramente ben saprai alla fine della prima guerra mondiale la Germania fu condannata da una pesante sconfitta militare e il primo ministro dell’ economia che era ebreo riuscì a ottenere il pagamento rateale. Hitler poi vide che nel suo periodo storico vi era una classe medi- alta ebraica che si era enormemente diffusa in Germania e temeva prendesse il sopravvento sullo stesso popolo tedesco e nutrendo odio verso il pagamento rateale ratificato dal primo ministro ebraico arrivò a incolpare gli ebrei della crisi economica che attraversò la Germania nel dopoguerra. C: Così, per colpa di un folle, la storia dell’Europa fu stravolta….
  • 27. 27
  • 28. 28 I TRIANGOLI DI AUSCHWITZ| Marco Bresciani e Riccardo Brambilla I Simboli dei campi di concentramento nazisti, prin- cipalmente triangoli, facevano parte del sistema di identificazione dei prigionieri. Questi simboli erano in stoffa ed erano cuciti sui vestiti. La loro forma e il loro colore avevano significati precisi. Il seguente sistema è basato su quello utilizzato nel campo di concentramento di Dachau, uno dei più elaborati. - Rosso: Politici - Blu: Politici Spagnoli - Nero: Asociali - Marrone: Zingari - Viola: Testimoni di Geova - Rosa: Omosessuali - Giallo: Ebrei - Verde: Criminali - Triangolo più rettangolo: Prigionieri recidivi - Triangolo con pallino nero: Prigionieri assegnati alle compagnie di disciplina - Cerchio bianco e rosso: Prigionieri sospettati di fuga - N°: Cambio del nome - Sigla SU: Prigionieri di guerra sovietici
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  • 30. 30 Zita nasce a Milano nel 1921 da una famiglia ungherese, nel 1933 torna in Ungheria con sua madre, sua sorella Anna e il nipote Franchino. Nel 1944 è costretta e vivere nel ghetto e poco dopo viene depor- tata, con la madre, la sorella e il nipotino anche se a loro non viene detto nulla se non di un viaggio in Germania per lavorare per persone più anziane. Arrivate ad Auschwitz viene subito divisa dal resto della famiglia: lei è definita “forza lavoro”, mentre la madre, la sorella e il nipotino essendo più gracili vengono inviati direttamente al forno crematorio. Zita resta per 3 mesi al campo di Auschwitz poi viene spostata nel nord della Germania in una fabbrica metallurgica dove rimane per circa sei mesi fino alla liberazione nella primavera del 1945. La poesia “Il faro” scritta da Zita è quella con cui si è “liberata”, quella che le ha permesso pian piano di raccontare la sua storia. LA STORIA DI ZITA SZIGETI | Lorella Sala
  • 31. 31 IL FARO | Lorella Sala Oh! Meraviglia! Tutto uno splendore nella notte nera. Abbagliante di speranza come sole ecco la riva... la nave non è più stanca Il viaggio è terminato... tutto il resto non conta: la tempesta... il pericolo... tutto superato! Il porto l’attende per il riposo questo è importante e nulla altro! Il non aver sperato invano! Essere arrivati – il non aver pianto! Zita Szigeti Lungi dall’occhio umano il faro nella bufera fracassano le onde le ruvide sponde È sempre sera... invano cerca l’uomo un piccol rag- giar di stella. Nulla esiste di luce – solo fioca – lieve la speranza si dibatte con la furiosa tempesta – è tutto acqua e cielo nel buio della notte. Ma fermo come un unico stelo l’albero di poppa non si piega né a destra né a manca e a reggere mai la vela si stanca. Va la vela a scanso di energia e con fatica e trova la sua via… Tra nubi oscure e schiume prepotenti cammina e si dimena. Ed anche se ormai stanca sa che nel fondo del cammino il faro sta! Ed è come se già vedesse un lumicino... Ma ahimè è un miraggio questo frutto di speranza o fantasia - ma non è perduta la via... E va – è stanca ma si trascina ancora anche se le onde le volessero togliere la vita... Ed ecco – ecco – laggiù in fondo il faro che rischiara!
  • 32. 32 DA HEICHMANN A HERROU, PASSANDO PER NORIMBERGA | Claudia Sala Il processo di Norimberga Il Processo di Norimberga comprende diversi pro- cessi che si svolsero nella città di Norimberga (la città era, insieme a Berlino e Monaco, una delle città simbolo del regime nazista), dal 20 novembre 1945 al 1º ottobre 1946. Nel corso di questi processi vennero giudicati i na- zisti coinvolti nella seconda guerra mondiale e nella Shoah. Più precisamente, più di 200 tedeschi ven- nero processati come criminali di guerra davanti al Tribunale militare internazionale (IMT). Diverse furo- no le imputazioni. Tra le più rilevanti quella per aver commesso crimini di guerra, crimini contro l’umanità e crimini contro la pace. I giudici in quel modo affer- marono che la pace e gli esseri umani erano beni sottoposti alla tutela della comunità internazionale. I processi di Norimberga ebbero grande influenza sullo sviluppo del Diritto penale internazionale, in specie attraverso le sentenze del tribunale di quella città che affermarono alcuni importanti principi che, cinquant’anni dopo quell’evento, diedero il via a movimenti da cui nacque lo statuto della Corte penale internazionale. Tra questi principi vi è quello per cui “ il rapporto gerarchico tra capo e subordinato non comporta l’esenzione della pena”. Molti nazisti, a loro difesa, invocavano infatti l’attenuante di aver commesso i crimini per aver obbedito al proprio superiore. Sino a quel momento, gli individui dovevano obbedire agli imperativi posti dai superiori militari anche quando questi erano contrari alle regole umanitarie più elemen- tari. La sentenza del Tribunale di Norimberga ebbe quin- di il merito di stabilire un principio fino ad allora scono- sciuto: il subordinato ha l’obbligo di rifiutarsi di eseguire un comando quando questo è criminoso. Eichmann Così anche Heichmann, il funzionario tedesco conside- rato uno dei maggiori responsabili operativi dello ster- minio degli ebrei (organizzava il traffico ferroviario per il trasporto degli ebrei ai vari campi di concentramento)
  • 33. 33 disse di sentirsi responsabile “solo per aver eseguito gli ordini come qualunque soldato avrebbe dovuto fare durante una guerra”. Sulla base dei principi stabiliti a Norimberga egli fu processato e condannato a morte (dopo essere fuggito in Argentina) in Israele nel 1961 per aver commesso crimini contro l’umanità. Il Tribunale di Norimberga tuttavia andò anche oltre questo principio statuendo che “davanti al conflitto tra norme internazionali che salvaguardano valori umanitari e norme statali, contrarie a quei valori, ogni individuo è tenuto a trasgredire le norme dello Stato”. Cedric Herrou L’importanza di questo principio di diritto internazionale pare attualmente maggiormente tutelato dalle persone comuni che non dai governanti europei. Ce ne danno dimostrazione diversi fatti di cronaca riguardanti i cittadi- ni impegnati a fornire supporto ai migranti. Nonostante il clima ostile diffusosi ormai in molti Pae- si, molte sono le persone che, in nome di un principio umanitario, si assumono il rischio di essere arrestati aiutando i migranti, in specie nell’oltrepassare le fron- tiere. Si tratta di semplici cittadini, contadini, professori, studenti, che cercano di intervenire lì dove le autorità attuano politiche di persecuzione. A riguardo di tale materia, vige in Europa una specifica direttiva emanata dalla Commissione nel 2002 la quale afferma il principio per cui “chi aiuta un migrante irrego- lare a entrare in Europa o durante il suo viaggio all’inter- no dei confini dell’Unione sta violando la legge». Per questo motivo tutti coloro che contravvengono a questo principio possono essere arrestati e de- nunciati. Un caso interessante è quello di Cedric Herrou, un coltivatore di ulivi francese, che vive al confine tra Italia e Francia. Herrou è stato recentemente accu- sato di aver aiutato a passare il confine duecento migranti senza documenti regolari, e di aver sfa- mato e offerto riparo a 57 di loro. La pena ipotizzata è pesante: 5 anni di prigione e circa 30mila euro di multa. Il processo è iniziato il 4 gennaio a Nizza e si attende la metà di febbraio per la sentenza. Herrou ha affermato, «se dobbiamo infrangere la legge per difendere le persone lo faremo”. Il gesto di Herrou ha ottenuto la solidarietà di molte persone in Francia. Cosa possiamo comprendere dai fatti qui raccontati, certamente distanti nel tempo ma intrinsecamente legati tra loro? Che la Storia viene fatta dagli uomini, dalla somma delle scelte e dei gesti che ognuno di noi compie ogni giorno. Le leggi che ci governano possono evolvere e diventare più giuste anche a seconda di quanto ciascuno di noi si impegna a difendere il valore della vita umana, in qualsiasi forma esso si presenti. La responsabilità di Cedric Herrou di farsi carico dei problemi dei migranti oggi è di fatto la stessa che ha visto molti uomini violare gli ordini nazisti più di 70 anni fa.
  • 34. 34 IL VENTO SI FERMÒ AD AUSCHWITZ | Luca Manzotti
  • 35. 35 IL VENTO HA TANTE VOCI | FIlippo Carrettiero
  • 36. 36 SHOAH: PICCOLE, GRANDI LEZIONI DI VITA | Patrizia Spada In occasione di questa Giornata, vorrei ricordare in modo particolare la figura di Zygmunt Bauman, nato a Poznan, in Polonia, nel 1925. È mancato, in questo periodo (9 gennaio 2017), un grande intellettuale, filosofo, sociologo polacco di origini ebraiche, Zygmunt Bauman. Bauman, che vide lucidamente il nesso fra modernità e Shoah, parte, nella sua analisi sull’esistenza, dalla “paura delle paure”, la consapevolezza della nostra mor- talità, dimostrando che proprio dalla nostra fragilità nasce la nostra forza. Proprio il nostro senso del finito ci spinge a creare, a progettare, ad innalzare il nostro livello culturale. La cultura - ricorda Bauman - riflette il nostro sforzo costante di rendere vivibile una vita mortale. È dunque la paura dell’incompiuto che spinge gli uomini a “spiccare il volo”, a sprigionare la propria immagina- zione. Il motore della nostra sete di cultura nascerebbe quindi dalla necessità di colmare il vuoto che ancora esiste fra il finito e l’infinito, “per passare da una parte all’altra del precipizio”. Ancora una volta ci viene in aiuto la letteratura italiana, e la grandezza di uno scrittore come Leopardi, “Io nel pensiero mi fingo; ove per poco / il cor non si spaura”. Banalmente potremmo portare con noi questa piccola lezione: la nostra grandezza può nascere dalle nostre debolezze, anzi dalla nostra “mortalità”. Come cantava De André “dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior”. Perché Shoah e modernità? Bauman era consapevole del fatto che l’omicidio di massa non fosse un’inven- zione recente, ma la novità del nazismo sta nell’indu- strializzazione della morte, nelle officine di Hitler, ecco perché “il regime nazista è finito da tempo, ma la sua venefica eredità è tutt’altro che morta”. È una questione, quella dell’Olocausto, che va al di là dei suoi esecutori, e persino al di là delle sue vittime, “il significato attuale dell’Olocausto è dato dalla lezione che esso contiene per l’intera umanità”. E a chi si chiede dove fosse Dio in quel momento Bau- man risponde che “il male non è un principio della mi- stica di cui dovrebbe rispondere Dio. È un’offesa di cui deve rispondere l’uomo”.
  • 37. 37 E allora, proprio ciò che è successo nei lager, e fuori di essi, ci offre una seconda lezione, forse dimenticata, l’e- tica è indispensabile alla vita dell’uomo, e la responsabi- lità, come la morale, è sempre assolutamente individua- le. Non possiamo e non dobbiamo delegare nessuno a rappresentare il nostro senso di responsabilità. La nostra grandezza si misurerà su quanto onesto sia stato il no- stro vivere. È solo questa l’immortalità possibile per l’uomo. A partire dal XVII secolo in Europa ha prevalso una lo- gica di controllo basata su schemi sempre più ordina- ti, che aveva come obiettivo principale una maggiore sicurezza. Nell’ultimo sessantennio benessere e pro- poste sempre più consumistiche hanno destabilizzato il vecchio ordine, alimentando una società sempre più orientata alla rincorsa di piaceri effimeri, passando così da una società “solida” a una società “liquida”. Il concetto di liquidità è l’aspetto più conosciuto di Bauman. C’è una terza strada da seguire? Saranno i giovani a poter dare risposte nuove, intanto Bauman, che non è mai stato pessimista, ha ispirato la sua vita al motto di Goethe: “la felicità consiste nel superare, giorno dopo giorno, l’infelicità”. Valga per tutti noi, in questo momento storico, una lezione generale: non importa quante persone antepon- gano il dovere morale alla conservazione, all’opportunismo, è importante che qualcuno lo faccia. Affinché ognuno di noi abbia la possibilità di continuare questo viaggio nella Memoria, e possa trasformare i riti in opportunità, ricordo alcuni dei saggi di Bauman, riferiti all’Olocausto, e non solo, pubblicati in Italia: “Modernità e Olocausto”, Edizioni Il Mulino “Stranieri alle porte”, Edizioni Laterza “Stato di crisi”, Edizioni Einaudi “Modernità liquida”, Edizioni Laterza “L’arte della vita”, Edizioni Laterza “Visti di uscita e biglietti di entrata, paradossi dell’as- similazione ebraica”, Edizioni Giuntina “Il demone della paura”, Edizioni Laterza “La vita è un’avventura”, Edizioni Laterza “Mortalità, immortalità e altre strategie di vita”, Edi- zioni Il Mulino
  • 38. 38 FOTOGRAFIE DAL CONCERTO | Musiche per ricordare BRANI ESEGUITI: - Brano cantato Gam Gam - Violino e pianoforte “La vita è bella” - Brano flauti “Barcarola” - Brano flauti “Inverno” di Vivaldi - Violino e piano “Lied” di Schubert - Brano flauti “Romanza” di Beethoven - Violino e pianoforte - Brano cantato “Auschwitz” - Violino e piano “Schindler’s list” - Brano cantato “Hallelujah” di Cohen
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  • 45. 45 Quando fu costruito Auschwitz, era già nella tra- dizione dei camp d i concentramento nazisti for- mare un’orchestra degli internati. Mentre le squa- dre si avviavano al lavoro o tornavano, i musicisti dovevano suonare delle marce e non solo perché gli uomini delle SS ci tenevano a dare una parven- za pseudo-militare alla vita dei lager. Infatti, già nel gennaio del 1941, i prigionieri rinchiusi nel Blocco 24 del campo principale avevano cominciato a esegui- re le prove, con strumenti che si erano fatti mandare da casa. La morte, le torture, il dolore, il sangue, la fame, la vita ridotta a niente imperversavano, ma l’orchestra e la musica non potevano mancare! Ma qual era il suono della Shoah? Quale compo- sizione poteva ‘dire’ il lugubre silenzio dei campi squarciato dagli urli delle sirene, dall’abbaiare dei cani, dallo sferragliare dei treni? Nei campi gli alto- parlanti diffondevano musica da ballo per dare la sveglia o avviare al lavoro forzato; nei campi c’erano perfino orchestre formate dai deportati costretti a suonare mentre i loro parenti, amici, si avviavano verso la morte. Qual era il suono della morte? Che musica si eseguiva nei luoghi ai confini della vita? È noto che la musica era presente, in molti luoghi dell’universo concentrazionario nazista: nei ghet- ti della Polonia o delle regioni baltiche, nei campi di concentramento e perfino in “città della morte” come Treblinka o Birkenau. Ma c’era un luogo quasi irreale in cui risuonava musica vera, la grande musica: Mozart, Verdi, Puccini, perfino il jazz “degenerato”. Questo luogo era Terezín. Lo stesso avveniva in altri campi, dove il repertorio ab- bracciava le Danze slave di Dvořák (VOGIAK), Sinfonie di Beethoven, l’Incompiuta di Schubert, La Traviata di Verdi e, poi ‘operette’ di Franz Lehar e il Lohengrin di Wagner, eseguita davanti a Himmler nel gennaio del 1945 a Mauthausen. Tutto questo, quando il tempo era già finito ed era chia- ro che non c’era più tempo per nulla. LA MUSICA NEL LAGER
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  • 49. 49 POESIE DI GIOVANNI PAOLO II | Patrizia Spada LA COSCIENZA Non influisco sulla sorte del mondo, Non sono io che incomincio le guerre. Sono con te o contro di te - non lo so, Non pecco Ma questo mi tormenta: tornisco viti che non fanno male mai Preparo dei frammenti di sterminio, non uccido l’uomo mai. Potrei creare un altro mondo io stesso. Come ogni uomo, potrei essere causa. Dove nessuno lo distrugge con atti, Né lo delude con parole ingannevoli. Il mondo ch’io creo non è buono, Eppur non sono io che lo rendo malvagio! Ma questo mi tormenta: tornisco viti che non fanno male mai Preparo dei frammenti di sterminio, non uccido l’uomo mai. LA LIBERTÀ La libertà è conquista Che termine non ha Non sarà mai un possesso Mai un’eredità Nulla lo sai è lo stesso C’è una battaglia che Ogni giorno si combatte In te La libertà Non ha prezzo La pagherai Con te stesso Tutto dovrai dare Senza recriminare E allora splenderà la tua umanità La libertà è un dono Che ti sorprenderà Ma per serbarla devi Lottare più che puoi Devi spiccare il volo E non fermarti mai Altrimenti in un attimo solo La perderai Pesa su noi la storia Siamo un pilastro che Ha una crepa da rinchiudere In sé La libertà Non ha prezzo La pagherai Con te stesso Tutto dovrai dare Senza recriminare E allora splenderà la tua umanità
  • 50. 50 Antonella Panzeri - Violino Gabriel Tancredi Nicotra – Pianoforte
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  • 54. 54 IL VIOLINO DELLA SHOAH | La storia di Eva Maria Quel violino, con una Stella di David intarsiata sul retro, ha salvato la vita a un ragazzo 21enne. Apparteneva a Maria, una ebrea di 22 anni che con il fratello Renzo, più giovane di lei appunto di un anno esatto, stava scap- pando in Svizzera. Ma non arrivarono mai dall’altra parte della frontiera. I tedeschi li catturarono portandoli a Milano e da lì a Verona, dove furono caricati su un treno. Destinazione Auschwitz. Maria istintivamente con- segnò il suo violino a Renzo, pensando che un uomo avrebbe avuto più probabilità di salvare se stesso e lo strumento. Così è stato: Maria morì nel lager, mentre il fratello fu liberato dall’Armata Rossa nel gennaio 1945 e tornò in Italia. Aveva con sé il violino, che custodì per altri dodici anni fino al 1957, quando morì. Incollati sul fondo la scritta (in tedesco) «Inno alla musica che rende liberi» e uno spartito con le note di un motivo.
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  • 58. 58 CARTOLINE | Immagini per non dimenticare
  • 59. 59 Chi legge ci ascolta, ma capirci NO. E’ impossibile
  • 60. 60 Chi testimonia quello che ha ascoltato, diventa Nuovo Testimone
  • 61. 61 ….IO NON SONO UN VIDEO-GIOCO, IO SONO ESISTITO VERAMENTE….
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  • 63. 63 …” La verità è tanto difficile da sentire quanto più a lungo la si è taciuta” … Anna Frank
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  • 65. 65 «SIAMO DA ‘’EDUCARE’’, SIAMO NULLITA’, DOBBIAMO SERVIRE LA GRANDE GERMANIA, SIAMO SCHIAVE DESTINATE A LAVORARE, SIAMO PERSONE CHE VOGLIONO DISTRUGGERE, VOGLIONO ESASPERARCI, SFINIRCI E FARCI DIVENTARE BESTIE ELIMINANDO IN NOI OGNI SCINTILLA DI UMANITA’, CI OSSERVANO SENZA VEDERCI PERCHE’ PER LORO SIAMO SOLO E SEMPRE OMBRE. … M. Maggi …. MA NOI SIAMO ESSERI UMANI»
  • 67. 67 Sono ospite da parecchi giorni , ma quello che ho da raccontare è ancora chiuso dentro di me. Lo sento come un’ansia che in certi momenti sembra voler esplodere e in altri restare indisturbata. Quando ero nel campo soffrivo, dicevo a me stessa che poi la vita ,al ritorno, mi avrebbe aiutata a diluire la pena, perché avrei raccontato a tutti del mio dramma. Fino a liberarmene, perché parlare fa vivere. Tutti devono sapere mi dicevo. E invece nulla di tutto ciò. NON C’E’ POSTO PER LE PAROLE QUI, PER QUELLE PAROLE.
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  • 69. 69 Le cartoline sono state pensate e realizzate interamente dai ragazzi del laboratorio
  • 70. 70 LA CANZONE DEL BAMBINO NEL VENTO | I Nomadi Questa canzone di Francesco Guccini è uscita per la prima volta nel 1964. Il bambino della canzone diventa il simbolo di tutte quelle vittime, dell’olocausto, di quella incomparabile tragedia ma anche della violenza che ancora oggi prevale in molti paesi.
  • 71. 71 Son morto con altri cento, son morto che ero bambino
  • 72. 72 passato per il camino e adesso sono nel vento
  • 73. 73 Ad Auschwitz c’era la neve, il fumo saliva lento
  • 74. 74 nel freddo giorno d’inverno e adesso sono nel vento
  • 75. 75 Ad Auschwitz tante persone, ma un solo grande silenzio
  • 76. 76 è strano non riesco ancora a sorridere qui nel vento
  • 77. 77 Io chiedo come può l’uomo uccidere un suo fratello
  • 78. 78 eppure siamo a milioni in polvere qui nel vento
  • 79. 79 Ancora tuona il cannone ancora non è contento
  • 80. 80 di sangue la bestia umana e ancora ci porta il vento
  • 81. 81 Io chiedo quando sarà che l’uomo potrà imparare
  • 82. 82 a vivere senza ammazzare e il vento si poserà
  • 83. 83 Io chiedo quando sarà che l’uomo potrà imparare a vivere senza ammazzare
  • 84. 84 e il vento si poserà e il vento si poserà
  • 85. 85 ...E IL VENTO SI POSERÀ.
  • 86. 86 INDICE - Introduzione al Laboratorio pag.4 - Partecipano al Progetto - Gli alunni pag.6 - Dacau - Paolo Oggioni pag.8 - Chi non ha memoria non ha futuro - Maria Lucia Lecchi pag.10 - Le pietre d’inciampo - Duilio Fenzi pag.12 - I giusti - Aurora Mandelli, Gabriele Magni pag.15 - Credo nell’amore e non mi arrendo - Don Giampaolo Lattuada pag.16 - Se questo è un uomo - Anna Di Pellegrino pag.18 - Un paio di scarpette rosse - Giulia Berruti pag.20 - Aforismi - Federico Policicchio, Gabriele Magni, Riccardo Brambilla pag.22 - Chi è Hitler - Alessia Cattaneo pag.23 - La memoria dell’oggi - Arianna Ronchi pag.24 - Dialogo su Hitler - Martina Cantù, Chiara Crippa pag.26 - I triangoli di Auschwitz - Marco Bresciani, Riccardo Brambilla pag.28 - La storia di Zita Szigeti - Lorella Sala pag.30 - Il faro - Lorella Sala pag.31 - Da Heichmann a Herrou, passando per Norimberga - Claudia Sala pag.32 - Il vento si fermò ad Auschwitz - Luca Manzotti, Filippo Carrettiero pag.34 - Shoah: piccole, grandi lezioni di vita - Patrizia Spada pag.36 - Fotografie dal concerto pag.38 - La musica nel Lager pag.45 - Poesie di Giovanni Paolo II - Patrizia Spada pag.48 - Il violino della Shoah pag.54 - Cartoline pag.58 - La canzone del bambino nel vento pag.70