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rds Editore
2
PASQUALE STANZIALE
LA SERA DEL
18 MARZO A CASCANO
(Tradizione popolare e religiosità
festiva)
Seconda edizione
aggiornata
3
La sera del 18 Marzo a CASCANO
© by P. Stanziale 1988 - 2017
EBook: www.slideshare.net/geseleh
Copertina di Luigi Cappelli Arch. Des.
Foto dell’autore: Giulia Trasacco Photogr.
Ed. prec. In Quaderni di Civiltà Aurunca,
A. Caramanica Ed. Marina di Minturno (LT) 1988
Le foto della sera del 18 marzo e della
festa di S.Giuseppe a Cascano sono di
Antonio Manno
4
NOTA INTRODUTTIVA
(1988)
Da qualche tempo registriamo una rivisitazione
dei segni, dei luoghi, delle radici delle persone che
hanno, lungo un filo che si snoda da tremila anni,
caratterizzato la storia civile e sociale del Sud. Al
Sui dei poveri, dei cafoni, dei contadini è rivolta
l'attenzione di storici di antropologi, economisti e
5
letterati. Si direbbe che è il gusto estetizzante a
muovere uomini di diversa cultura a ricercare le
testimonianze di una umanità ricca di sentimenti e
compressa nelle ataviche paure e rassegnazioni
perché essa oggi riviva nei bozzetti e negli elzeviri.
Almeno il versante della cultura e della saggistica si
avvicina ai grandi e tremendi problemi della società
contadina con la vigile e trepida attenzione di chi
vuole non restaurare ma capire il senso profondo
di una società ricca di valori morali. Una società
che, seppure frantumata nelle mille realtà locali,
seppe mantenere e preservare una identità che
ancora oggi resiste, attaccata alle radici di antichi
valori e miti. Ad una realtà locale — ma che essa
stessa è un microcosmo variegato e pulsante di vita e
di interessi — come quello della frazione di
Cascano, nel Comune di Sessa Aurunca, si rivolge
con questa ricerca Pasquale Stanziale
per scandagliare il tessuto sociale, per radiografare
le strutture, per individuare segni e persone che
hanno alimentato le radici di una comunità integra
ed intatta nella immobilità della società contadina.
Almeno fino a qualche decennio fa, la società
contadina, con i suoi rituali e le sue tradizioni, con le
sue paure e le sue ansie, ha costituito un
patrimonio di interessi culturali che è bene non vada
disperso.
6
Le ricerche e le analisi antropologiche da Ernesto De
Martino il poi, sono oggi materia di riflessione e di
studio: già Carlo Levi aveva rotto gli incantesimi e
le magie della società contadina del suo
tempo. Dalla conoscenza del passato nasce
l'esigenza ed il bisogno del recupero e della
salvaguardia dei valori culturali e storico-ambientali
di una determinata realtà locale. All'obiettivo di
recuperare il grande patrimonio della società
contadina di Cascano è finalizzata, da qualche
anno l'attività benemerita e generosa di un gruppo di
amici che hanno costituito l'Associazione per lo
sviluppo turistico e artigianale.
Quest'esigenza spinge Pasquale Stanziale ad una
ricerca che sì rivela complessa ed articolata e che
risponde pienamente all'ansia di conoscere, di
capire, di penetrare un mondo chiuso e regolato da
codici di comportamento mai scritti ma vissuti, a
volte, come momenti di oppressione, a volte come
momenti di liberazione. In linea con la più moderna
teoria sociologica, Pasquale Stanziale individua
nella festa un duplice momento: la sera del 18
marzo, con il rituale proprio delle feste pagane, la
ricerca della liberazione dal quotidiano, con il suo
malessere e le sue ansie, i suoi problemi; la festa
religiosa è concentrata nel 19, e, come tutte le
7
tradizioni festive che, in generale, si richiamano
ai valori, ai segni, alle radici della terra, essa è
collocata nel periodo che va da Natale a Pasqua. Il
merito di Stanziale è quello di aver indagato, con il
sussidio di una ricca conoscenza di valori culturali e
delle analisi sociologico-antropologiche — di una
ricerca che non si chiude nell'astrattismo
velleitario e verbale, ma che si confronta con la
realtà — il mondo duro e complesso di
quella società contadina che a Cascano, non meno
che nelle altre contrade della terra aurunca, non fu
sempre un mondo immobile, chiuso ed arcaico.
Quando si va annebbiando l'intuizione che fu di
Carlo Cattaneo che attribuiva alla storia culturale di
ogni regione, paese e/o località una importanza
fondamentale, quando si disperdono le impostazioni
di Benedetto Croce che considerava la storia di un
paese come l'incrociarsi, il sovrapporsi e lo
snodarsi, delle mille storie locali, appare oggi più
evidente il lavoro di Pasquale Stanziale teso a
recuperare i valori positivi del patrimonio storico,
linguistico, ambientale e religioso del piccolo centro
di Cascano. Non è questa una operazione di
retroguardia culturale. Essa si iscrive certamente, e
con tutti i titoli di dignità culturale e di serietà di
analisi storico-antropologica nel filone di quella
cultura umanistica e scientifica profondamente
8
legata alla realtà del Sud. Una cultura che ha sempre
combattuto a viso aperto, e senza inganni e
manipolazioni, gli arcaismi, gli stereotipi, la
rassegnata contemplazione di arretratezze
immutabili.
Da Carlo Levi a Rocco Scotellaro, da Ernesto
De Martino a Lombardi-Satriani, questa cultura
non ha mai idoleggiato le arretratezze della società
contadina, ma ne ha indagato a fondo le cause per
debellarle, per aprirle al progresso dei tempi nuovi.
In questa prospettiva si muove la ricerca di Pasquale
Stanziale e la Rivista CIVILTÀ AURUNCA è lieta
di apprezzarne l'impegno indagatore e di ospitarla
nei Quaderni della sua collana di Studi e saggi sulla
terra aurunca.
Capodanno 1988
FRANCO COMPASSO
9
1-Elementi descrittivi
L'atmosfera della festa comincia a crearsi con la
presenza, già da qualche giorno prima
della ricorrenza, di ceppi legnosi, di radici di
grosse dimensioni, di legname vario e di fasci di
sterpi presso alcuni crocevia ed in posti
determinati per tradizione. Si tratta del
10
materiale che servirà, la sera precedente il giorno
di S. Giuseppe, per i falò. Abbiamo anche, nel
pomeriggio di tale giorno, la comparsa di
alcune bancarelle di giocattoli e di dolci
nella piazza Roma. Fin dalla mattina del 18 marzo la
gente sciama per i vicoli alla ricerca delle
cuccetelle che sono pagnottelle che ogni famiglia fa
produrre dai fornai locali o fa in proprio per
devozione o voto. Si può dire che la cuccetella è
proprio il simbolo di Cascano e della festa di S.
Giuseppe. Scesa la sera e finita la funzione religiosa
si procede all'accensione dei falò, i quali vengono,
durante la notte governati da persone che abitano
nelle vicinanze. Man mano che avanza la notte le
strade cominciano a riempirsi per gente che arriva
dalle frazioni vicine. In punti, fissi per
tradizione, da parte di famiglie, ancora per
tradizione vengono distribuiti vino e
cuccetelle. Presso alcune altre famiglie (*), ma non
per tutti, sono a disposizione: salsicce, fagioli, e
ceci cotti nell'olio (menestelle). In tutto, le
famiglie che si occupano di ciò sono circa cinque o
sei, mentre, come si è detto, molte sono le famiglie
che distribuiscono le cuccetelle. Si gira, quindi, per
i vicoli bevendo, mangiando, scaldandosi al fuoco.
Non di rado il vino fa alzare gli umori e vi può
essere qualche tafferuglio che rientra anch'esso
nel costume della festa. Negli ultimi tempi
tale festa ha perso la sua autenticità. La sera del 18
il paese è stretto in una morsa di automobili
11
parcheggiate nei posti più impensati. E
colore che vengono a Cascano in tale occasione
sembrano solo superficialmente incuriositi da ciò
che succede in questa festa che tende ad essere
considerata come un residuo folklorico. La festa
prosegue fino a notte inoltrata, finché non resta
che la cenere dei fuochi e qualche ceppo ancora
rovente.
(*) Negli ultimi tempi si è andata perdendo l'usanza per
cui famiglie di notabili si scambiavano, il 19, scodelle
di menestelle inviate mediante camerieri o servitori.
12
2- Carnevale e S. Giuseppe
Dall'analisi degli elementi presenti in questa usanza
risultano abbastanza evidenti alcune situazioni.
2.1- Lo scandirsi di una festività con elementi di
origine pagana a ridosso di una festività religiosa
13
antropologicamente significativa nel senso che la
tradizionale festa religiosa tende strategicamente ad
inglobare un residuo di religiosità pagana nel suo
celebrarsi. Presa come usanza a sé stante quella di
Cascano della sera del 18 marzo certamente ha
molto a che vedere con la celebrazione di S.
Giuseppe. Ma essa ha, in qualche modo,anche molto
a che vedere con il Carnevale — festa antireligiosa
per eccellenza — e la nostra ipotesi è che in tempi
andati, quasi sicuramente nel V secolo, quando S.
Ambrogio e S. Agostino fecero del tutto per
sradicare elementi della popolare tradizione del
Carnevale (Saturnale), questa usanza sia stata, con
una operazione sincreticamente e cronologicamente,
“attaccata” alla festa/ricorrenza del S. Giuseppe. Ciò
perché elementi festivi carnevaleschi erano e sono
molto sentiti dal popolo ed anche perché, come nota
il Bachtin (1979), negli elementi carnevaleschi
sono presenti ed unificati, forme festive arcaiche non
aventi più esistenza autonoma ma vive nello spirito
popolare.
2.2- Tutte le situazioni suddette rimandano senza
alcun dubbio alla presenza di elementi
di carnevalizzazione. Si tratta, in realtà, di un
universo festivo ma senza la figura burlesca (a
qualunque titolo) di Carnevale. Ma procediamo con
ordine.
14
2.3- Il Carnevale, derivato dai Saturnali romani, è la
festa per eccellenza della cultura contadina. Il
Carnevale ha una serie di caratterizzazioni che sono
state ormai accuratamente analizzate da vari studiosi
e di cui noi ci siamo occupati per quanto riguarda il
Carnevale nella zona aurunca (P. Stanziale A.
Calenzo S. Coppa 1977). In che cosa, dunque, la fe-
sta della sera del 18 marzo a Cascano allude
concretamente ad elementi carnevaleschi? Anzitutto
proprio come festa nel senso in cui indica un
piacere collettivo (M. Horkheimer T.W. Adorno
1977:115) ed una ricerca di liberazione dal
quotidiano (K. Karenji 1950). Pensate agli anni
Venti, a come poteva essere attesa tale festa dai
braccianti e dai contadini della zona a cui i
possidenti offrivano vino, pane, salsicce... In qua-
lunque modo tale accesso al cibo era una
programmata inversione dei rapporti di forza e ciò
non è senza importanza ed è tipica del fenomeno (M.
Horkheimer T. W. Adorno cit. :117)
2.4- Oggi il senso della festività intesa come fede
verso un valore comunitario si è perso (F. Jesi
1977:201) e così si spiega la vuota partecipazione
della gente che viene a Cascano la sera del 18
marzo. Altri elementi carnevaleschi sono poi, come
si è accennato in precedenza, la presenza del fuoco,
il cibo, il dato cronologico, i rapporti di produzione
sociale: elementi di rilevanza antropologica che
vanno esaminati.
15
2.2- Abbiamo quindi:
-il configurarsi antropologico della festa di S.
Giuseppe;
-il configurarsi di tale usanza come festa del fuoco;
-la presenza in tale usanza della liberalizzazione
dell'accesso al cibo;
- la festa vista in relazione ai rapporti di produzione.
16
3- S. Giuseppe
3.1- In origine la festa di san Giuseppe, poi diventata
correntemente la festa del papà, è celebrata nella
gran parte dei paesi la terza domenica di giugno
(richiamo a Demetra ). Il 19 marzo, il giorno in cui
si festeggia in Italia, invece, è tutt’altro che casuale.
Si tratta, infatti, di una data che rimanda alla
tradizione rurale antica quando, alla vigilia
17
dell’equinozio di primavera venivano celebrati gli
antichi riti dionisiaci di propiziazione e fertilità, i
baccanali, poi vietati anche a Roma per l’eccessiva
licenziosità dei costumi..
3.2- Riguardo, invece, la tradizione cattolica, il culto
di san Giuseppe ha un’origine orientale. In
Occidente giunse, invece, nell’alto medioevo e si
diffuse a partire dal Trecento, quando alcuni ordini
religiosi cominciarono a celebrarlo il 19 marzo,
ovvero il giorno della morte di S. Giuseppe. Ad
inserire la festività nel calendario romano fu, invece,
nel 1479, papa Sisto IV, mentre nel 1870 Pio IX
dichiarò san Giuseppe patrono della Chiesa
universale.
3.3- Secondo la tradizione, san Giuseppe, oltre ad
essere il patrono dei falegnami e degli artigiani è
considerato, anche, il protettore dei poveri poiché
nessuno gli offrì ospitalità in occasione della nascita
di Gesù. Proprio per questa ragione, nel giorno a lui
dedicato, in molti centri dell’Italia meridionale, si
usava invitare i poveri a pranzo (rimandando anche
ad una analogia con l’inversione sociale
carnevalesca). Ogni comunità aveva le sue tradizioni
e le sue usanze. Alcuni preparavano la tavola ed
18
invitavano i poveri, altri gli amici, altri ancora i
parenti.
3.4- La festa di San Giuseppe però non è solo
la festa del raccolto e del risveglio della natura, è
soprattutto la festa della famiglia, un’occasione per
ritrovarsi e ricordarsi anche di chi ha bisogno.
19
4- La sera del 18 marzo a Cascano come
festa del fuoco
4.1- Nella nostra zona i falò agli angoli delle strade
in varie occasioni, nel periodo gennaio/marzo, sono
un dato costante. Come mostra Frazer (1973
VII:943) il fuoco è un elemento fisso nei rituali
della cultura contadina europea e nei rituali
carnevaleschi nel periodo inizio d'anno-
20
quaresima. Il fuoco, chiaramente propiziatorio,
come fine ed inizio di un ciclo (agrario). Il fuoco
distrugge e purifica, esso è anche luce e sole (J.
Frazer cit.:935). Nel caso della sera del 18 marzo a
Cascano non vengono bruciati simboli in modo
diretto, non vi è il capro espiatorio che viene
espulso come liberazione del male. A nostro avviso
è il materiale stesso che brucia — grosse radici
arboree ricavate da scassi profondi — che
può indicare una negazione (il vecchio,
l'improduttivo) ed una affermazione positiva (nuove
radici, nuovo raccolto ecc.). Siamo quindi in un tipi-
co rituale della cultura contadina in cui la festa è
gioia per il compimento di un ciclo produttivo,
finisce l'inverno, ed ancora gioia per propiziare
l'arrivo della primavera che porterà nuovi frutti
dalla terra.
4.2- Si trattava, in origine, di riti di purificazione
agraria. Il collegamento a questi ultimi culti è palese
nella tradizione dei falò ancora oggi viva in molte
regioni: si bruciano nelle piazze residui del raccolto
dell’anno precedente e cataste di legna come
auspicio di una buona stagione.
Il fuoco di San Giuseppe conserva, per i membri
della comunità cascanese, le caratteristiche proprie
21
di una celebrazione collettiva, intesa come momento
di sospensione del tempo sociale, occasione
eccezionale, carnevalesca: San Giuseppe, a
Cascano, resta, insomma, una grande festa dalla
densa sostanza culturale.
4.3- La tradizione, che si celebra sempre il 19
marzo, nel giorno di San Giuseppe, è legata anche
alla disponibilità delle frasche derivanti dalla
potatura degli alberi, in particolare olivi, alle quali
veniva poi dato fuoco. Un tempo l’evento era un
momento di gioco per i bambini, un’occasione di
festa per tutta la comunità locale e per i falegnami
anche un’occasione per ringraziare il santo
protettore. Anticamente, con la fine dei mesi più
freddi, i falegnami facevano pulizia nelle loro
botteghe e accatastavano all’esterno i residui delle
lavorazioni che venivano utilizzate per alimentare i
fuochi. Ma non è solo l'ulivo l'albero propiziatorio,
in altri paesi si bruciano infatti rami di pino o leccio
o addirittura ginestre. Insomma, un'usanza molto
diffusa ancora oggi, dove la tradizione si fonde con
la modernità degli eventi, senza però perdere la
magia del rito del falò devozionale, simbolo di
purificazione e di buon auspicio per un'annata
rigogliosa nei campi.
22
5- Il cibo nella festa del 18 marzo a
Cascano
5.1- II paese di Cuccagna è un antico mito. Si
tratta di un paese dell'abbondanza in cui si
banchetta continuamente senza penuria di cibo.
Tale mito inizia a decadere dal XVIII° secolo (P.
Camporesi 1978:77) quando cominciano a modi-
ficarsi i rapporti di proprietà. In realtà il paese di
Cuccagna è stato un mito di riscatto simbolico,
una rimozione delle frustrazioni sociali originate
23
da un rapporto di classe basato sul privilegio dei
possidenti terrieri e del clero che avevano
l'egemonia sociale. Nel paese di Cuccagna era
sempre festa e c'era un banchetto collettivo
popolare permanente. Questo banchettare, questo
saziare il ventre, il basso corporeo è una situazione
tipica dell'universo carnevalesco come mostra il
Bachtin (1979:239). Un basso corporeo che viene
valorizzato come rovesciamento simbolico
dell'uomo considerato, nel Carnevale, per il suo
ventre, più che per la testa. Questi elementi sono
presenti nella sera del 18 marzo a Casca-
no. Ovviamente ora il cibo, il vino, nella società
dei consumi di massa acquistano una colorazione
culturale diversa da quella originaria delle epoche
di rarità. Ora, si è nella categoria dello sfizio più
che della festosa e desiderata abbondanza
celebrativa. In ogni caso, fino ad alcuni anni fa,
era osservabile il doppio binario per l'accesso al
cibo: da una parte il popolo che girava e chiedeva
il cibo ed il vino, dall'altra, lo scambio
delle menestelle tra le famiglie di notabili. Ciò è
indicativo rispetto al tipo di rapporti sociali e ci
riporta, ancora una volta, alla fenomenologia
carnevalesca in cui, unicamente per un solo
giorno, c'era una inversione sociale: i poveri
prendevano il posto dei ricchi a tavola.
5.2- C'è da notare, infine, il fatto che la produzione,
da parte di molte famiglie, delle cuccetelle pur
24
avente, in qualche modo, un rimando al cibo, in
senso carnevalesco, ha certamente un carattere
votivo religioso nel senso che anche le famiglie più
abbienti fanno in proprio e fanno
fare le cuccetelle come voto per S. Giuseppe. Non di
rado la quantità di cuccetelle prodotte può
dipendere oltre che dalle condizioni
economiche delle famiglie, anche dalla entità
delle grazie ricevute da S. Giuseppe.
5.3- Tutte le feste che si celebrano in onore di San
Giuseppe hanno infatti come caratteristica comune la
preparazione di un banchetto, denominato in vari
modi a seconda del paese: cena, cummitu, artaru,
tavulata. Questo banchetto, come la preparazione dei
pani, viene spesso fatta, come si è visto, come ex-
voto. In questi pranzi i pani votivi sono i protagonisti
per eccellenza. Afferma infatti lo storico siciliano
Pitrè (2016:128): “trattandosi di un omaggio al
Padre della Provvidenza, tutto dev’esser grande e
spettacoloso, e il panedà la misura della provvidenza
della giornata”. “Ite ad Joseph” è l’esortazione che
la Chiesa rivolge ai fedeli per ricorrere al patrocinio
di San Giuseppe, facendo riecheggiare, in tal
modo, l’invito del faraone d’Egitto che, negli anni
della carestia invitava il popolo a rivolgersi al figlio di
Giacobbe il quale, negli anni dell’abbondanza, aveva
preparato scorte di frumento.
Il pane rappresenta, secondo la tradizione popolare e
contadina, l’abbondanza e, quindi, anche la gloria del
25
Santo Patriarca. La festa di San Giuseppe è in effetti
un vero trionfo di pani. Ve ne sono di tutte le fogge,
con le decorazioni più ricche e varie
I pani votivi prima di essere consumati vengono, nelle
varie regioni, generalmente benedetti e poi distribuiti
da chi ha fatto il voto a parenti e amici.
5.4- I pani votivi sono, inoltre, connessi al culto del
grano, un culto che quasi sicuramente ha origini
arcaiche: i culti della fertilità della terra in onore
delle divinità delle messi. Demetra nella mitologia
greca, Cerere in quella romana. A Demetra si
attribuisce anche la nascita del pane. (F. Passaretti
2016). La tradizione arcaica nel tempo si è
incontrata con quella religiosa e, come è accaduto
anche in altre parti dell'Italia, si è rinnovata e
adattata ai nuovi bisogni spirituali. In particolare si
nota come nei Sepolcri della Settimana Santa
sessana sugli altari compaiono spesso anche i
caratteristici piatti dove sono cresciuti germogli di
frumento, elemento anch'esso di forte simbolicità.
5.5- In Campania, Calabria e Sicilia, ma non solo, il
prodotto più usato in assoluto, erano e sono i ceci, il
cui impiego rimanderebbe alla circostanza che la festa
di san Giuseppe coincide, grosso modo, con la fine
dell’inverno. Per questo motivo, i legumi in genere ed
i ceci in particolare venivano consumati, per poi
essere rimpiazzati con i prodotti del nuovo raccolto.
26
La zuppa di ceci è una minestra povera molto diffusa
in tutta la Sicilia. Nella parte orientale è tradizione
mangiarla in occasione della festa di San Giuseppe.
Anche a Cascano, nel giorno di san Giuseppe non
c’era camino in cui non cuocesse una “pignata cu ri
ciceri”. Chi ne aveva la possibilità, oltre alla pasta e
ceci con il sugo dello stoccafisso, preparava anche le
zeppole e una volta “mandati” i piatti ai parenti ed ai
vicini si predisponevano le porzioni da distribuire ai
poveri.
27
6- Cronologia e registri soggettivi
6.1- Il periodo che va tra Natale e Pasqua è quello
che comprende la maggior parte delle feste di
origine agraria. In particolare il Carnevale è
collocato tra il 6 gennaio e le Ceneri. Per quanto
28
riguarda, invece, la festa cascanese del 18 marzo,
essa viene dopo le Ceneri ma pur sempre prima di
Pasqua. Anche questa usanza non sfugge al
sincretismo tipico delle feste di tale periodo in cui
elementi pagani si mescolano ad elementi cristiani.
6.2- In ogni caso il periodo è quello del calendario
agricolo che riguarda la fine e l'inizio di un ciclo
agrario. E ancora: morte è resurrezione, vecchio e
nuovo, inverno e primavera, sterilità e fertilità,
espiazione e purificazione, secondo le categorie di
immaginario, simbolico e reale ovvero i registri
propri dell’esperienza umana del soggetto di cui
aveva parlato C. Lévi-Strauss (1966:120), nella sua
analisi antropologica dei miti e ripresi in ambito
psicoanalitico da J. Lacan (1974). Più
specificamente (P. Stanziale A. Calenzo S. Coppa
1977:139) abbiamo:
Immaginario
magico
Vita/morte Futuro/passato
Desiderio/censura Tatigkeit/Arbeit
Simbolico Bruciare il male – Propiziazione
S.Giuseppe
Reale ciclo agrario Fine ciclo/inizio ciclo
Fecondità/sterilità
29
Reale biologico Cibo/rarità
Grasso/magro
Sazietà/Fame
Ebbrezza/normalità
Cuccetelle, menestelle vino ecc.
Reale sociale Individuo/comunità
Uguaglianza/differenza sociale
Gioco/lavoro
Libertà/repressione
Ospitalità
6.3- Lo schema ci consente una serie di
considerazioni che ci portano al cuore di eventi
come quello cascanese e quello relativo alla
Settimana Santa sessana (P. Stanziale 2016), eventi
complessi in cui l’analisi storica- facendo salvo
l’importantissimo lavoro di ricerca degli studiosi di
storia locale nel reperire fonti e metterle in
relazione- trova un suo limite costituendo solo un
primo livello esplicativo. Livelli di indagine
successivi non possono non richiedere l’ausilio di
altre scienze umane quali l’antropologia, la
sociologia e la psicoanalisi. Tutto ciò secondo una
30
tradizione che in Italia è poco presente ma che in
Francia ha un lungo excursus che va dagli Annales
agli studi di J. Le Goff sull’immaginario medievale.
6.3- Osserviamo intanto nello schema:
-che la scansione dell’evento ben si definisce nella
sua apparente semplicità ma che però richiama un
insieme di elementi propri del campo socio-
antropologico;
-che l’immaginario è ovviamente legato al desiderio
e ad una ipostatizzazione presente in una prospettiva
simbolica;
-il reale, qui nella sua accezione psicoanalitica (J.
Lacan 1972) non ha niente a che vedere con la
realtà- esso rappresenta ciò che permane oltre la
simbolizzazione della realtà-conoscenza con una
originaria pulsione originaria al godimento;
-che tra la sera del 18 marzo ed il successivo 19
marzo -S. Giuseppe- si realizza una diversa
figurazione del simbolico, ovvero mentre la sera del
18 abbiamo un simbolico ed un immaginario più
legati all’ambito individuale con una resa al reale, il
19 abbiamo un “festivo” che vede il trionfo
dell’immaginario e del simbolico religioso;
-che il reale della sera del 18, pur legato alle sue
varie declinazioni consumistiche, permane legato ad
una originaria cultura agraria antica.
31
7- Rapporti di produzione
7.1- La liberalizzazione dell'accesso al cibo,
come elemento dell'universo carnevalesco, indica
una inversione — programmata— dei rapporti
32
sociali. Questa inversione era anche però una
valvola di sfogo sociale che serviva a rafforzare
ancora di più il controllo sociale da parte della
classe egemone. Come mostrato altrove
(P.Stanziale A. Calenzo S. Coppa cit. :12) è vero
che i contadini a Carnevale ed a S. Giuseppe nel
cortile di casa Ciocchi a Cascano pote-
vano banchettare ma è anche vero che alle cinque
del mattino seguente dovevano tornare nei campi
a lavorare 14 ore per una bottiglia di vino ed un
sacchetto di fagioli: la struttura aveva il
sopravvento sulla sovrastruttura. Questo
banchettare, poi, come mostra Godelier
(1976:37), ha un duplice aspetto: appartiene alla
sovrastruttura ma anche alla struttura in un
quadro di organizzazione e di controllo sociale (M.
Godelier cit.:38). Con il mutamento sociale i
rapporti di classe sono cambiati e quindi anche
l'usanza cascanese del 18 marzo ha assunto
connotazioni diverse rispetto alla situazione dei
rapporti di produzione. I produttori
di cuccetelle, di menestelle e di vino non hanno più
una connotazione di classe precisa e significativa né,
d'altra parte, i consumatori appartengono a
classi subalterne. Oggi i vari elementi della festività
del 18 marzo sono nei canali della tradizione
familiare, della religiosità votiva, della curiosità e
nella esigenza di socialità che questa festa può
soddisfare. Indipendentemente dalle origini, dai
33
mutamenti storici e dalle motivazioni profonde,
resta di questa festa il momento comunitario,
l'incontro davanti al fuoco e ad un bicchiere di
vino, l'atto augurale.
7.2- Una ricerca da fare, infine, sarebbe quella
avente l’obiettivo di rivelare il backstage dei fuochi,
la parte invisibile della festa. Un’invisibilità (oltre
che pratica: chi, quando, dove, come si preparano
materialmente i falò ed i cibi del 18/19 marzo)
soprattutto emotiva, simbolica. Che riguarda, cioè, le
rappresentazioni individuali e collettive della festa.
Una ricerca tesa a riattivare reperimenti relativi ad
un insieme eterogeneo di materiali (interviste audio-
video, foto, disegni, racconti scritti, oggetti) raccolti
durante la fase di ricerca. Realizzare così un
percorso espositivo non per spiegare ma descrivere
un fenomeno importante della tradizione popolare
cascanese.
34
Bibliografia
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ecc., Roma
1966 C. LÈVI-STRAUSS, Antropologia strutturale,
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Graf. Caramanica, Marina di Minturno (LT)
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Settimana Santa a Sessa Aurunca nell’altro
casertano, Caserta , EBook
36
DEDICAPOSPOSTA
Cascano, nel decennio ‘60-‘70 era, probabilmente,
l'unico paese della zona aurunca in cui era
avvertibile una certa vivacità intellettuale. Ciò per la
passione culturale che animava un gruppo — non
folto di giovani che mostravano un certo disagio
rispetto all'estremo conformismo della cultura
egemone, intrisa di statico classicismo e di idealismo
di maniera, una cultura, peraltro, perfettamente
funzionale al blocco di potere operante. Già qualche
anno prima, per merito di Renato Filippelli, alcuni
orizzonti si erano aperti rispetto ad un movimento di
entusiasmo per la poesia e per la ricerca letteraria
(ricordo alcuni vecchi versi di Filippelli: ... o mare/o
biancomare/non voglio che l’albasia/t'abbia in sua
balìa e trasognata sia/la transumanza/dei tuoi
greggi d’onde/ non credo nell’ipocrita tua pace/
voglio il tuo grido predace…)
Successivamente, con Mario Buonoconto e Maurizio
D'Erme, noi adolescenti potemmo leggere libri che
parlavano di psicoanalisi e di ricerca pittorica. Gli
interessi, poi, del gruppo si spostarono sulle scienze
umane, sulla semiotica, sul pensiero francese
moderno, tra scontri le convergenze di opinioni Gli
amici di allora erano: Enzo Passaretti, Giovanni
37
Matano, Wilma e Loredana Passaretti, Donato
Daniele ed il più giovane Giovanni Tartaglione.
Altri interessi che univano e disunivano questo
gruppo erano: il cinema e la letteratura americana,
con i loro miti, ed il Jazz (Californiano). Le
inquietudini di quel tempo, quindi di, portavano
periodicamente il sottoscritto, Enzo Passaretti,
Ernesto Irace ed Ezio Coppa a Parigi (anche nel
maggio '68...) cercando il contatto con esperienze
culturalmente stimolanti.
Di tutto questo oggi resta una ovvia sensazione di
accennata nostalgia e, credo, anche la continua e
contrastata esigenza di essere sempre contemporanei
A quegli amici e ad Enzo Passaretti, prematu-
ramente scomparso, è dedicata questa ricerca.
Dicembre1987
L'Autore
© by P. Stanziale 1988 2017
38
Indice
Nota introduttiva 4
1- Elementi descrittivi 9
2- Carnevale e S. Giuseppe 12
3- S. Giuseppe 16
4- La sera del 18 marzo a Cascano come festa del
fuoco 19
5- Il cibo nella festa del 18 marzo a Cascano 22
6- Cronologia e registri soggettivi 27
7- Rapporti di produzione 31
Bibliografia 34
Dedica posposta 36
39
40
Pasquale Stanziale è nato a Sessa Aurunca in
provincia di Caserta, laureato in Filosofia, docente di
Storia e Filosofia nei Licei, collabora con Università ed
Agenzie di Formazione ed è docente emerito di Filosofia
Teoretica presso l’ISSR “S.Pietro” di Caserta. Ha al suo
attivo un’ampia pubblicistica nel campo delle Scienze
Umane. Collabora con la rivista Civiltà aurunca per la
parte socioantropologica. Tra le sue pubblicazioni
Omologazioni e anomalie (Caserta 1999), ricerca
divenuta un classico degli studi locali, Mappe
dell’alienazione (Roma 1995), saggio di filosofia politica,
la traduzione del best-seller la Società dello spettacolo
di G. Debord (Viterbo 2002). Ha curato anche Il
Manuale di saper vivere ad uso delle giovani
generazioni di R. Vaneigem (Viterbo 2004) ed una
antologia di autori situazionisti (Viterbo 1998). Tra le
pubblicazioni più recenti: Cultura e società nel
Mezzogiorno (Caserta 2007), Materiali per un’economia
politica dell’immaginario (Civiltà Aurunca n. 2 2008-
41
2012 Latina), Scenari tra economia e scienze umane
(Quaderni Craet n. 11 Sec Univ. Napoli 3-2009),
Cyberanalysis, (Quaderni Craet n. 14 – Sec Univ. Napoli
6-2010). Laclau & Mouffe: egemonie, socialismo,
populismo, La Sinistra Rivista- Mothly Review 5-2013) ,
Dallo spettacolo del fantasma al fantasma dello
spettacolo, in AA VV L’antispettacolo nella società dello
spettacolo, Viterbo 2016.

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Testo 18 marzo Cascano

  • 2. 2 PASQUALE STANZIALE LA SERA DEL 18 MARZO A CASCANO (Tradizione popolare e religiosità festiva) Seconda edizione aggiornata
  • 3. 3 La sera del 18 Marzo a CASCANO © by P. Stanziale 1988 - 2017 EBook: www.slideshare.net/geseleh Copertina di Luigi Cappelli Arch. Des. Foto dell’autore: Giulia Trasacco Photogr. Ed. prec. In Quaderni di Civiltà Aurunca, A. Caramanica Ed. Marina di Minturno (LT) 1988 Le foto della sera del 18 marzo e della festa di S.Giuseppe a Cascano sono di Antonio Manno
  • 4. 4 NOTA INTRODUTTIVA (1988) Da qualche tempo registriamo una rivisitazione dei segni, dei luoghi, delle radici delle persone che hanno, lungo un filo che si snoda da tremila anni, caratterizzato la storia civile e sociale del Sud. Al Sui dei poveri, dei cafoni, dei contadini è rivolta l'attenzione di storici di antropologi, economisti e
  • 5. 5 letterati. Si direbbe che è il gusto estetizzante a muovere uomini di diversa cultura a ricercare le testimonianze di una umanità ricca di sentimenti e compressa nelle ataviche paure e rassegnazioni perché essa oggi riviva nei bozzetti e negli elzeviri. Almeno il versante della cultura e della saggistica si avvicina ai grandi e tremendi problemi della società contadina con la vigile e trepida attenzione di chi vuole non restaurare ma capire il senso profondo di una società ricca di valori morali. Una società che, seppure frantumata nelle mille realtà locali, seppe mantenere e preservare una identità che ancora oggi resiste, attaccata alle radici di antichi valori e miti. Ad una realtà locale — ma che essa stessa è un microcosmo variegato e pulsante di vita e di interessi — come quello della frazione di Cascano, nel Comune di Sessa Aurunca, si rivolge con questa ricerca Pasquale Stanziale per scandagliare il tessuto sociale, per radiografare le strutture, per individuare segni e persone che hanno alimentato le radici di una comunità integra ed intatta nella immobilità della società contadina. Almeno fino a qualche decennio fa, la società contadina, con i suoi rituali e le sue tradizioni, con le sue paure e le sue ansie, ha costituito un patrimonio di interessi culturali che è bene non vada disperso.
  • 6. 6 Le ricerche e le analisi antropologiche da Ernesto De Martino il poi, sono oggi materia di riflessione e di studio: già Carlo Levi aveva rotto gli incantesimi e le magie della società contadina del suo tempo. Dalla conoscenza del passato nasce l'esigenza ed il bisogno del recupero e della salvaguardia dei valori culturali e storico-ambientali di una determinata realtà locale. All'obiettivo di recuperare il grande patrimonio della società contadina di Cascano è finalizzata, da qualche anno l'attività benemerita e generosa di un gruppo di amici che hanno costituito l'Associazione per lo sviluppo turistico e artigianale. Quest'esigenza spinge Pasquale Stanziale ad una ricerca che sì rivela complessa ed articolata e che risponde pienamente all'ansia di conoscere, di capire, di penetrare un mondo chiuso e regolato da codici di comportamento mai scritti ma vissuti, a volte, come momenti di oppressione, a volte come momenti di liberazione. In linea con la più moderna teoria sociologica, Pasquale Stanziale individua nella festa un duplice momento: la sera del 18 marzo, con il rituale proprio delle feste pagane, la ricerca della liberazione dal quotidiano, con il suo malessere e le sue ansie, i suoi problemi; la festa religiosa è concentrata nel 19, e, come tutte le
  • 7. 7 tradizioni festive che, in generale, si richiamano ai valori, ai segni, alle radici della terra, essa è collocata nel periodo che va da Natale a Pasqua. Il merito di Stanziale è quello di aver indagato, con il sussidio di una ricca conoscenza di valori culturali e delle analisi sociologico-antropologiche — di una ricerca che non si chiude nell'astrattismo velleitario e verbale, ma che si confronta con la realtà — il mondo duro e complesso di quella società contadina che a Cascano, non meno che nelle altre contrade della terra aurunca, non fu sempre un mondo immobile, chiuso ed arcaico. Quando si va annebbiando l'intuizione che fu di Carlo Cattaneo che attribuiva alla storia culturale di ogni regione, paese e/o località una importanza fondamentale, quando si disperdono le impostazioni di Benedetto Croce che considerava la storia di un paese come l'incrociarsi, il sovrapporsi e lo snodarsi, delle mille storie locali, appare oggi più evidente il lavoro di Pasquale Stanziale teso a recuperare i valori positivi del patrimonio storico, linguistico, ambientale e religioso del piccolo centro di Cascano. Non è questa una operazione di retroguardia culturale. Essa si iscrive certamente, e con tutti i titoli di dignità culturale e di serietà di analisi storico-antropologica nel filone di quella cultura umanistica e scientifica profondamente
  • 8. 8 legata alla realtà del Sud. Una cultura che ha sempre combattuto a viso aperto, e senza inganni e manipolazioni, gli arcaismi, gli stereotipi, la rassegnata contemplazione di arretratezze immutabili. Da Carlo Levi a Rocco Scotellaro, da Ernesto De Martino a Lombardi-Satriani, questa cultura non ha mai idoleggiato le arretratezze della società contadina, ma ne ha indagato a fondo le cause per debellarle, per aprirle al progresso dei tempi nuovi. In questa prospettiva si muove la ricerca di Pasquale Stanziale e la Rivista CIVILTÀ AURUNCA è lieta di apprezzarne l'impegno indagatore e di ospitarla nei Quaderni della sua collana di Studi e saggi sulla terra aurunca. Capodanno 1988 FRANCO COMPASSO
  • 9. 9 1-Elementi descrittivi L'atmosfera della festa comincia a crearsi con la presenza, già da qualche giorno prima della ricorrenza, di ceppi legnosi, di radici di grosse dimensioni, di legname vario e di fasci di sterpi presso alcuni crocevia ed in posti determinati per tradizione. Si tratta del
  • 10. 10 materiale che servirà, la sera precedente il giorno di S. Giuseppe, per i falò. Abbiamo anche, nel pomeriggio di tale giorno, la comparsa di alcune bancarelle di giocattoli e di dolci nella piazza Roma. Fin dalla mattina del 18 marzo la gente sciama per i vicoli alla ricerca delle cuccetelle che sono pagnottelle che ogni famiglia fa produrre dai fornai locali o fa in proprio per devozione o voto. Si può dire che la cuccetella è proprio il simbolo di Cascano e della festa di S. Giuseppe. Scesa la sera e finita la funzione religiosa si procede all'accensione dei falò, i quali vengono, durante la notte governati da persone che abitano nelle vicinanze. Man mano che avanza la notte le strade cominciano a riempirsi per gente che arriva dalle frazioni vicine. In punti, fissi per tradizione, da parte di famiglie, ancora per tradizione vengono distribuiti vino e cuccetelle. Presso alcune altre famiglie (*), ma non per tutti, sono a disposizione: salsicce, fagioli, e ceci cotti nell'olio (menestelle). In tutto, le famiglie che si occupano di ciò sono circa cinque o sei, mentre, come si è detto, molte sono le famiglie che distribuiscono le cuccetelle. Si gira, quindi, per i vicoli bevendo, mangiando, scaldandosi al fuoco. Non di rado il vino fa alzare gli umori e vi può essere qualche tafferuglio che rientra anch'esso nel costume della festa. Negli ultimi tempi tale festa ha perso la sua autenticità. La sera del 18 il paese è stretto in una morsa di automobili
  • 11. 11 parcheggiate nei posti più impensati. E colore che vengono a Cascano in tale occasione sembrano solo superficialmente incuriositi da ciò che succede in questa festa che tende ad essere considerata come un residuo folklorico. La festa prosegue fino a notte inoltrata, finché non resta che la cenere dei fuochi e qualche ceppo ancora rovente. (*) Negli ultimi tempi si è andata perdendo l'usanza per cui famiglie di notabili si scambiavano, il 19, scodelle di menestelle inviate mediante camerieri o servitori.
  • 12. 12 2- Carnevale e S. Giuseppe Dall'analisi degli elementi presenti in questa usanza risultano abbastanza evidenti alcune situazioni. 2.1- Lo scandirsi di una festività con elementi di origine pagana a ridosso di una festività religiosa
  • 13. 13 antropologicamente significativa nel senso che la tradizionale festa religiosa tende strategicamente ad inglobare un residuo di religiosità pagana nel suo celebrarsi. Presa come usanza a sé stante quella di Cascano della sera del 18 marzo certamente ha molto a che vedere con la celebrazione di S. Giuseppe. Ma essa ha, in qualche modo,anche molto a che vedere con il Carnevale — festa antireligiosa per eccellenza — e la nostra ipotesi è che in tempi andati, quasi sicuramente nel V secolo, quando S. Ambrogio e S. Agostino fecero del tutto per sradicare elementi della popolare tradizione del Carnevale (Saturnale), questa usanza sia stata, con una operazione sincreticamente e cronologicamente, “attaccata” alla festa/ricorrenza del S. Giuseppe. Ciò perché elementi festivi carnevaleschi erano e sono molto sentiti dal popolo ed anche perché, come nota il Bachtin (1979), negli elementi carnevaleschi sono presenti ed unificati, forme festive arcaiche non aventi più esistenza autonoma ma vive nello spirito popolare. 2.2- Tutte le situazioni suddette rimandano senza alcun dubbio alla presenza di elementi di carnevalizzazione. Si tratta, in realtà, di un universo festivo ma senza la figura burlesca (a qualunque titolo) di Carnevale. Ma procediamo con ordine.
  • 14. 14 2.3- Il Carnevale, derivato dai Saturnali romani, è la festa per eccellenza della cultura contadina. Il Carnevale ha una serie di caratterizzazioni che sono state ormai accuratamente analizzate da vari studiosi e di cui noi ci siamo occupati per quanto riguarda il Carnevale nella zona aurunca (P. Stanziale A. Calenzo S. Coppa 1977). In che cosa, dunque, la fe- sta della sera del 18 marzo a Cascano allude concretamente ad elementi carnevaleschi? Anzitutto proprio come festa nel senso in cui indica un piacere collettivo (M. Horkheimer T.W. Adorno 1977:115) ed una ricerca di liberazione dal quotidiano (K. Karenji 1950). Pensate agli anni Venti, a come poteva essere attesa tale festa dai braccianti e dai contadini della zona a cui i possidenti offrivano vino, pane, salsicce... In qua- lunque modo tale accesso al cibo era una programmata inversione dei rapporti di forza e ciò non è senza importanza ed è tipica del fenomeno (M. Horkheimer T. W. Adorno cit. :117) 2.4- Oggi il senso della festività intesa come fede verso un valore comunitario si è perso (F. Jesi 1977:201) e così si spiega la vuota partecipazione della gente che viene a Cascano la sera del 18 marzo. Altri elementi carnevaleschi sono poi, come si è accennato in precedenza, la presenza del fuoco, il cibo, il dato cronologico, i rapporti di produzione sociale: elementi di rilevanza antropologica che vanno esaminati.
  • 15. 15 2.2- Abbiamo quindi: -il configurarsi antropologico della festa di S. Giuseppe; -il configurarsi di tale usanza come festa del fuoco; -la presenza in tale usanza della liberalizzazione dell'accesso al cibo; - la festa vista in relazione ai rapporti di produzione.
  • 16. 16 3- S. Giuseppe 3.1- In origine la festa di san Giuseppe, poi diventata correntemente la festa del papà, è celebrata nella gran parte dei paesi la terza domenica di giugno (richiamo a Demetra ). Il 19 marzo, il giorno in cui si festeggia in Italia, invece, è tutt’altro che casuale. Si tratta, infatti, di una data che rimanda alla tradizione rurale antica quando, alla vigilia
  • 17. 17 dell’equinozio di primavera venivano celebrati gli antichi riti dionisiaci di propiziazione e fertilità, i baccanali, poi vietati anche a Roma per l’eccessiva licenziosità dei costumi.. 3.2- Riguardo, invece, la tradizione cattolica, il culto di san Giuseppe ha un’origine orientale. In Occidente giunse, invece, nell’alto medioevo e si diffuse a partire dal Trecento, quando alcuni ordini religiosi cominciarono a celebrarlo il 19 marzo, ovvero il giorno della morte di S. Giuseppe. Ad inserire la festività nel calendario romano fu, invece, nel 1479, papa Sisto IV, mentre nel 1870 Pio IX dichiarò san Giuseppe patrono della Chiesa universale. 3.3- Secondo la tradizione, san Giuseppe, oltre ad essere il patrono dei falegnami e degli artigiani è considerato, anche, il protettore dei poveri poiché nessuno gli offrì ospitalità in occasione della nascita di Gesù. Proprio per questa ragione, nel giorno a lui dedicato, in molti centri dell’Italia meridionale, si usava invitare i poveri a pranzo (rimandando anche ad una analogia con l’inversione sociale carnevalesca). Ogni comunità aveva le sue tradizioni e le sue usanze. Alcuni preparavano la tavola ed
  • 18. 18 invitavano i poveri, altri gli amici, altri ancora i parenti. 3.4- La festa di San Giuseppe però non è solo la festa del raccolto e del risveglio della natura, è soprattutto la festa della famiglia, un’occasione per ritrovarsi e ricordarsi anche di chi ha bisogno.
  • 19. 19 4- La sera del 18 marzo a Cascano come festa del fuoco 4.1- Nella nostra zona i falò agli angoli delle strade in varie occasioni, nel periodo gennaio/marzo, sono un dato costante. Come mostra Frazer (1973 VII:943) il fuoco è un elemento fisso nei rituali della cultura contadina europea e nei rituali carnevaleschi nel periodo inizio d'anno-
  • 20. 20 quaresima. Il fuoco, chiaramente propiziatorio, come fine ed inizio di un ciclo (agrario). Il fuoco distrugge e purifica, esso è anche luce e sole (J. Frazer cit.:935). Nel caso della sera del 18 marzo a Cascano non vengono bruciati simboli in modo diretto, non vi è il capro espiatorio che viene espulso come liberazione del male. A nostro avviso è il materiale stesso che brucia — grosse radici arboree ricavate da scassi profondi — che può indicare una negazione (il vecchio, l'improduttivo) ed una affermazione positiva (nuove radici, nuovo raccolto ecc.). Siamo quindi in un tipi- co rituale della cultura contadina in cui la festa è gioia per il compimento di un ciclo produttivo, finisce l'inverno, ed ancora gioia per propiziare l'arrivo della primavera che porterà nuovi frutti dalla terra. 4.2- Si trattava, in origine, di riti di purificazione agraria. Il collegamento a questi ultimi culti è palese nella tradizione dei falò ancora oggi viva in molte regioni: si bruciano nelle piazze residui del raccolto dell’anno precedente e cataste di legna come auspicio di una buona stagione. Il fuoco di San Giuseppe conserva, per i membri della comunità cascanese, le caratteristiche proprie
  • 21. 21 di una celebrazione collettiva, intesa come momento di sospensione del tempo sociale, occasione eccezionale, carnevalesca: San Giuseppe, a Cascano, resta, insomma, una grande festa dalla densa sostanza culturale. 4.3- La tradizione, che si celebra sempre il 19 marzo, nel giorno di San Giuseppe, è legata anche alla disponibilità delle frasche derivanti dalla potatura degli alberi, in particolare olivi, alle quali veniva poi dato fuoco. Un tempo l’evento era un momento di gioco per i bambini, un’occasione di festa per tutta la comunità locale e per i falegnami anche un’occasione per ringraziare il santo protettore. Anticamente, con la fine dei mesi più freddi, i falegnami facevano pulizia nelle loro botteghe e accatastavano all’esterno i residui delle lavorazioni che venivano utilizzate per alimentare i fuochi. Ma non è solo l'ulivo l'albero propiziatorio, in altri paesi si bruciano infatti rami di pino o leccio o addirittura ginestre. Insomma, un'usanza molto diffusa ancora oggi, dove la tradizione si fonde con la modernità degli eventi, senza però perdere la magia del rito del falò devozionale, simbolo di purificazione e di buon auspicio per un'annata rigogliosa nei campi.
  • 22. 22 5- Il cibo nella festa del 18 marzo a Cascano 5.1- II paese di Cuccagna è un antico mito. Si tratta di un paese dell'abbondanza in cui si banchetta continuamente senza penuria di cibo. Tale mito inizia a decadere dal XVIII° secolo (P. Camporesi 1978:77) quando cominciano a modi- ficarsi i rapporti di proprietà. In realtà il paese di Cuccagna è stato un mito di riscatto simbolico, una rimozione delle frustrazioni sociali originate
  • 23. 23 da un rapporto di classe basato sul privilegio dei possidenti terrieri e del clero che avevano l'egemonia sociale. Nel paese di Cuccagna era sempre festa e c'era un banchetto collettivo popolare permanente. Questo banchettare, questo saziare il ventre, il basso corporeo è una situazione tipica dell'universo carnevalesco come mostra il Bachtin (1979:239). Un basso corporeo che viene valorizzato come rovesciamento simbolico dell'uomo considerato, nel Carnevale, per il suo ventre, più che per la testa. Questi elementi sono presenti nella sera del 18 marzo a Casca- no. Ovviamente ora il cibo, il vino, nella società dei consumi di massa acquistano una colorazione culturale diversa da quella originaria delle epoche di rarità. Ora, si è nella categoria dello sfizio più che della festosa e desiderata abbondanza celebrativa. In ogni caso, fino ad alcuni anni fa, era osservabile il doppio binario per l'accesso al cibo: da una parte il popolo che girava e chiedeva il cibo ed il vino, dall'altra, lo scambio delle menestelle tra le famiglie di notabili. Ciò è indicativo rispetto al tipo di rapporti sociali e ci riporta, ancora una volta, alla fenomenologia carnevalesca in cui, unicamente per un solo giorno, c'era una inversione sociale: i poveri prendevano il posto dei ricchi a tavola. 5.2- C'è da notare, infine, il fatto che la produzione, da parte di molte famiglie, delle cuccetelle pur
  • 24. 24 avente, in qualche modo, un rimando al cibo, in senso carnevalesco, ha certamente un carattere votivo religioso nel senso che anche le famiglie più abbienti fanno in proprio e fanno fare le cuccetelle come voto per S. Giuseppe. Non di rado la quantità di cuccetelle prodotte può dipendere oltre che dalle condizioni economiche delle famiglie, anche dalla entità delle grazie ricevute da S. Giuseppe. 5.3- Tutte le feste che si celebrano in onore di San Giuseppe hanno infatti come caratteristica comune la preparazione di un banchetto, denominato in vari modi a seconda del paese: cena, cummitu, artaru, tavulata. Questo banchetto, come la preparazione dei pani, viene spesso fatta, come si è visto, come ex- voto. In questi pranzi i pani votivi sono i protagonisti per eccellenza. Afferma infatti lo storico siciliano Pitrè (2016:128): “trattandosi di un omaggio al Padre della Provvidenza, tutto dev’esser grande e spettacoloso, e il panedà la misura della provvidenza della giornata”. “Ite ad Joseph” è l’esortazione che la Chiesa rivolge ai fedeli per ricorrere al patrocinio di San Giuseppe, facendo riecheggiare, in tal modo, l’invito del faraone d’Egitto che, negli anni della carestia invitava il popolo a rivolgersi al figlio di Giacobbe il quale, negli anni dell’abbondanza, aveva preparato scorte di frumento. Il pane rappresenta, secondo la tradizione popolare e contadina, l’abbondanza e, quindi, anche la gloria del
  • 25. 25 Santo Patriarca. La festa di San Giuseppe è in effetti un vero trionfo di pani. Ve ne sono di tutte le fogge, con le decorazioni più ricche e varie I pani votivi prima di essere consumati vengono, nelle varie regioni, generalmente benedetti e poi distribuiti da chi ha fatto il voto a parenti e amici. 5.4- I pani votivi sono, inoltre, connessi al culto del grano, un culto che quasi sicuramente ha origini arcaiche: i culti della fertilità della terra in onore delle divinità delle messi. Demetra nella mitologia greca, Cerere in quella romana. A Demetra si attribuisce anche la nascita del pane. (F. Passaretti 2016). La tradizione arcaica nel tempo si è incontrata con quella religiosa e, come è accaduto anche in altre parti dell'Italia, si è rinnovata e adattata ai nuovi bisogni spirituali. In particolare si nota come nei Sepolcri della Settimana Santa sessana sugli altari compaiono spesso anche i caratteristici piatti dove sono cresciuti germogli di frumento, elemento anch'esso di forte simbolicità. 5.5- In Campania, Calabria e Sicilia, ma non solo, il prodotto più usato in assoluto, erano e sono i ceci, il cui impiego rimanderebbe alla circostanza che la festa di san Giuseppe coincide, grosso modo, con la fine dell’inverno. Per questo motivo, i legumi in genere ed i ceci in particolare venivano consumati, per poi essere rimpiazzati con i prodotti del nuovo raccolto.
  • 26. 26 La zuppa di ceci è una minestra povera molto diffusa in tutta la Sicilia. Nella parte orientale è tradizione mangiarla in occasione della festa di San Giuseppe. Anche a Cascano, nel giorno di san Giuseppe non c’era camino in cui non cuocesse una “pignata cu ri ciceri”. Chi ne aveva la possibilità, oltre alla pasta e ceci con il sugo dello stoccafisso, preparava anche le zeppole e una volta “mandati” i piatti ai parenti ed ai vicini si predisponevano le porzioni da distribuire ai poveri.
  • 27. 27 6- Cronologia e registri soggettivi 6.1- Il periodo che va tra Natale e Pasqua è quello che comprende la maggior parte delle feste di origine agraria. In particolare il Carnevale è collocato tra il 6 gennaio e le Ceneri. Per quanto
  • 28. 28 riguarda, invece, la festa cascanese del 18 marzo, essa viene dopo le Ceneri ma pur sempre prima di Pasqua. Anche questa usanza non sfugge al sincretismo tipico delle feste di tale periodo in cui elementi pagani si mescolano ad elementi cristiani. 6.2- In ogni caso il periodo è quello del calendario agricolo che riguarda la fine e l'inizio di un ciclo agrario. E ancora: morte è resurrezione, vecchio e nuovo, inverno e primavera, sterilità e fertilità, espiazione e purificazione, secondo le categorie di immaginario, simbolico e reale ovvero i registri propri dell’esperienza umana del soggetto di cui aveva parlato C. Lévi-Strauss (1966:120), nella sua analisi antropologica dei miti e ripresi in ambito psicoanalitico da J. Lacan (1974). Più specificamente (P. Stanziale A. Calenzo S. Coppa 1977:139) abbiamo: Immaginario magico Vita/morte Futuro/passato Desiderio/censura Tatigkeit/Arbeit Simbolico Bruciare il male – Propiziazione S.Giuseppe Reale ciclo agrario Fine ciclo/inizio ciclo Fecondità/sterilità
  • 29. 29 Reale biologico Cibo/rarità Grasso/magro Sazietà/Fame Ebbrezza/normalità Cuccetelle, menestelle vino ecc. Reale sociale Individuo/comunità Uguaglianza/differenza sociale Gioco/lavoro Libertà/repressione Ospitalità 6.3- Lo schema ci consente una serie di considerazioni che ci portano al cuore di eventi come quello cascanese e quello relativo alla Settimana Santa sessana (P. Stanziale 2016), eventi complessi in cui l’analisi storica- facendo salvo l’importantissimo lavoro di ricerca degli studiosi di storia locale nel reperire fonti e metterle in relazione- trova un suo limite costituendo solo un primo livello esplicativo. Livelli di indagine successivi non possono non richiedere l’ausilio di altre scienze umane quali l’antropologia, la sociologia e la psicoanalisi. Tutto ciò secondo una
  • 30. 30 tradizione che in Italia è poco presente ma che in Francia ha un lungo excursus che va dagli Annales agli studi di J. Le Goff sull’immaginario medievale. 6.3- Osserviamo intanto nello schema: -che la scansione dell’evento ben si definisce nella sua apparente semplicità ma che però richiama un insieme di elementi propri del campo socio- antropologico; -che l’immaginario è ovviamente legato al desiderio e ad una ipostatizzazione presente in una prospettiva simbolica; -il reale, qui nella sua accezione psicoanalitica (J. Lacan 1972) non ha niente a che vedere con la realtà- esso rappresenta ciò che permane oltre la simbolizzazione della realtà-conoscenza con una originaria pulsione originaria al godimento; -che tra la sera del 18 marzo ed il successivo 19 marzo -S. Giuseppe- si realizza una diversa figurazione del simbolico, ovvero mentre la sera del 18 abbiamo un simbolico ed un immaginario più legati all’ambito individuale con una resa al reale, il 19 abbiamo un “festivo” che vede il trionfo dell’immaginario e del simbolico religioso; -che il reale della sera del 18, pur legato alle sue varie declinazioni consumistiche, permane legato ad una originaria cultura agraria antica.
  • 31. 31 7- Rapporti di produzione 7.1- La liberalizzazione dell'accesso al cibo, come elemento dell'universo carnevalesco, indica una inversione — programmata— dei rapporti
  • 32. 32 sociali. Questa inversione era anche però una valvola di sfogo sociale che serviva a rafforzare ancora di più il controllo sociale da parte della classe egemone. Come mostrato altrove (P.Stanziale A. Calenzo S. Coppa cit. :12) è vero che i contadini a Carnevale ed a S. Giuseppe nel cortile di casa Ciocchi a Cascano pote- vano banchettare ma è anche vero che alle cinque del mattino seguente dovevano tornare nei campi a lavorare 14 ore per una bottiglia di vino ed un sacchetto di fagioli: la struttura aveva il sopravvento sulla sovrastruttura. Questo banchettare, poi, come mostra Godelier (1976:37), ha un duplice aspetto: appartiene alla sovrastruttura ma anche alla struttura in un quadro di organizzazione e di controllo sociale (M. Godelier cit.:38). Con il mutamento sociale i rapporti di classe sono cambiati e quindi anche l'usanza cascanese del 18 marzo ha assunto connotazioni diverse rispetto alla situazione dei rapporti di produzione. I produttori di cuccetelle, di menestelle e di vino non hanno più una connotazione di classe precisa e significativa né, d'altra parte, i consumatori appartengono a classi subalterne. Oggi i vari elementi della festività del 18 marzo sono nei canali della tradizione familiare, della religiosità votiva, della curiosità e nella esigenza di socialità che questa festa può soddisfare. Indipendentemente dalle origini, dai
  • 33. 33 mutamenti storici e dalle motivazioni profonde, resta di questa festa il momento comunitario, l'incontro davanti al fuoco e ad un bicchiere di vino, l'atto augurale. 7.2- Una ricerca da fare, infine, sarebbe quella avente l’obiettivo di rivelare il backstage dei fuochi, la parte invisibile della festa. Un’invisibilità (oltre che pratica: chi, quando, dove, come si preparano materialmente i falò ed i cibi del 18/19 marzo) soprattutto emotiva, simbolica. Che riguarda, cioè, le rappresentazioni individuali e collettive della festa. Una ricerca tesa a riattivare reperimenti relativi ad un insieme eterogeneo di materiali (interviste audio- video, foto, disegni, racconti scritti, oggetti) raccolti durante la fase di ricerca. Realizzare così un percorso espositivo non per spiegare ma descrivere un fenomeno importante della tradizione popolare cascanese.
  • 34. 34 Bibliografia 1950 K, KARENIJ, La religione antica ecc., Roma 1966 C. LÈVI-STRAUSS, Antropologia strutturale, Milano 1973 J. G. FRAZER, Il ramo d'oro, Torino, vol. II 1976 M. GODELIER, Rapportidi produzione, miti, società, Milano 1977 M. HORKHEIMER, T.W. ADORNO, Dialettica dell’Illuminismo, Torino 1977 F. JESI, La Festa, Torino 1977 P. STANZIALE, A. CALENZO, S.COPPA, L'illusionee la maschera, Arti. Graf. Caramanica, Marina di Minturno (LT) 1978 P. CAMPORESI, II paese della fame, Bologna,
  • 35. 35 1979 M. BACHTIN, L'opera di Rabelaise la cultura popolare, Torino, p. 238. 2016 G. Pitré, Fiabe e leggendepopolari siciliane, Donzelli, Roma 2016 F. PASSARETTI, I “Pesi” della Storia, Arti Graf. Caramanica, Marina di Minturno (LT) 2016 P. STANZIALE, Materiali d’indaginesulla Settimana Santa a Sessa Aurunca nell’altro casertano, Caserta , EBook
  • 36. 36 DEDICAPOSPOSTA Cascano, nel decennio ‘60-‘70 era, probabilmente, l'unico paese della zona aurunca in cui era avvertibile una certa vivacità intellettuale. Ciò per la passione culturale che animava un gruppo — non folto di giovani che mostravano un certo disagio rispetto all'estremo conformismo della cultura egemone, intrisa di statico classicismo e di idealismo di maniera, una cultura, peraltro, perfettamente funzionale al blocco di potere operante. Già qualche anno prima, per merito di Renato Filippelli, alcuni orizzonti si erano aperti rispetto ad un movimento di entusiasmo per la poesia e per la ricerca letteraria (ricordo alcuni vecchi versi di Filippelli: ... o mare/o biancomare/non voglio che l’albasia/t'abbia in sua balìa e trasognata sia/la transumanza/dei tuoi greggi d’onde/ non credo nell’ipocrita tua pace/ voglio il tuo grido predace…) Successivamente, con Mario Buonoconto e Maurizio D'Erme, noi adolescenti potemmo leggere libri che parlavano di psicoanalisi e di ricerca pittorica. Gli interessi, poi, del gruppo si spostarono sulle scienze umane, sulla semiotica, sul pensiero francese moderno, tra scontri le convergenze di opinioni Gli amici di allora erano: Enzo Passaretti, Giovanni
  • 37. 37 Matano, Wilma e Loredana Passaretti, Donato Daniele ed il più giovane Giovanni Tartaglione. Altri interessi che univano e disunivano questo gruppo erano: il cinema e la letteratura americana, con i loro miti, ed il Jazz (Californiano). Le inquietudini di quel tempo, quindi di, portavano periodicamente il sottoscritto, Enzo Passaretti, Ernesto Irace ed Ezio Coppa a Parigi (anche nel maggio '68...) cercando il contatto con esperienze culturalmente stimolanti. Di tutto questo oggi resta una ovvia sensazione di accennata nostalgia e, credo, anche la continua e contrastata esigenza di essere sempre contemporanei A quegli amici e ad Enzo Passaretti, prematu- ramente scomparso, è dedicata questa ricerca. Dicembre1987 L'Autore © by P. Stanziale 1988 2017
  • 38. 38 Indice Nota introduttiva 4 1- Elementi descrittivi 9 2- Carnevale e S. Giuseppe 12 3- S. Giuseppe 16 4- La sera del 18 marzo a Cascano come festa del fuoco 19 5- Il cibo nella festa del 18 marzo a Cascano 22 6- Cronologia e registri soggettivi 27 7- Rapporti di produzione 31 Bibliografia 34 Dedica posposta 36
  • 39. 39
  • 40. 40 Pasquale Stanziale è nato a Sessa Aurunca in provincia di Caserta, laureato in Filosofia, docente di Storia e Filosofia nei Licei, collabora con Università ed Agenzie di Formazione ed è docente emerito di Filosofia Teoretica presso l’ISSR “S.Pietro” di Caserta. Ha al suo attivo un’ampia pubblicistica nel campo delle Scienze Umane. Collabora con la rivista Civiltà aurunca per la parte socioantropologica. Tra le sue pubblicazioni Omologazioni e anomalie (Caserta 1999), ricerca divenuta un classico degli studi locali, Mappe dell’alienazione (Roma 1995), saggio di filosofia politica, la traduzione del best-seller la Società dello spettacolo di G. Debord (Viterbo 2002). Ha curato anche Il Manuale di saper vivere ad uso delle giovani generazioni di R. Vaneigem (Viterbo 2004) ed una antologia di autori situazionisti (Viterbo 1998). Tra le pubblicazioni più recenti: Cultura e società nel Mezzogiorno (Caserta 2007), Materiali per un’economia politica dell’immaginario (Civiltà Aurunca n. 2 2008-
  • 41. 41 2012 Latina), Scenari tra economia e scienze umane (Quaderni Craet n. 11 Sec Univ. Napoli 3-2009), Cyberanalysis, (Quaderni Craet n. 14 – Sec Univ. Napoli 6-2010). Laclau & Mouffe: egemonie, socialismo, populismo, La Sinistra Rivista- Mothly Review 5-2013) , Dallo spettacolo del fantasma al fantasma dello spettacolo, in AA VV L’antispettacolo nella società dello spettacolo, Viterbo 2016.