MAGAZINE PAMA NATALIZIO TERAMO 2017
La PaMa Marketing & Comunicazione di Teramo di Patrizia Manente è lieta di comunicare la realizzazione del nuovo progetto editoriale “MAGAZINE PAMA NATALIZIO TERAMO 2017 ”.
https://www.lelcomunicazione.it/blog/magazine-pama-natalizio-teramo-2017/
4. 4
IL PRESEPE VIVENTE
DI CASTELLALTO
di Patrizia Manente
L’
associazione “CASTRUM VETUS’’ di Castellalto,
(presidente Amelia Contrisciani), anche quest’an-
no organizzerà il presepe vivente. E’ un appunta-
mento importante con il borgo, con le persone, soprattut-
to con Gesù Cristo. Un invito ad accogliere il più grande
dei regali: quel dono prezioso che è la pace. L’obiettivo è
quello di far rivivere l’emozione della natività per giungere
al cuore della gente ed ascoltare il significato profondo
della vita. All’iniziativa verrà coinvolta la popolazione di
tutto il comune di Castellalto. Questa unione è sicura-
mente un esempio di solidale collaborazione e allo stesso
tempo una sana aggregazione che oggi più che mai vuo-
le fornire a tutti noi uno stimolo di alto spessore morale.
E’ bello vedere coinvolta la nuova generazione che non
deve dimenticare la storia dei nostri avi, ma conservare
le tradizioni e i costumi di un tempo. Entrare nel vivo del
presepe vivente di Castellalto significa abbandonarsi al
fascino di un mondo tanto diverso dal nostro, un mondo
dove l’uomo ritorna con la sua semplicità ai suoi veri valo-
ri. Lo spettacolo che si vive è così emozionante e carico di
sentimenti da farci credere quasi di ritrovarsi nel passato.
Un appuntamento da non perdere per trascorrere un mo-
mento di serenità, per vivere il racconto di ’’una magica
storia’’ simbolo di povertà e umiltà, fatta rivivere con pas-
sione e religiosità. I componenti che fanno parte del’Ass.
Castrum Vetus sono: Sonia Cipollone, Paola Fiorà, Mer-
cedes Rodriguez, Giuseppe Verrigni, Riccardo Forti, Dario
Di Liborio, Massimo Maggitti, Antonio Paesani. La mani-
festazone si avvale inoltre della collaborazione genero-
sa degli Amici del Presepe di Castellalto, dei volontari
della Protezione Civile e dei volontari di tutte le frazioni
del comune. San Giuseppe rappresentato da Giuseppe
Verrigni, la Madonna da Rossella D’Ambrosio, il Bambi-
nello dalla piccola Sofia. I figuranti saranno in tutto circa
150. Il suggestivo evento si svolgerà il 1 gennaio 2018 nel
borgo di Castellalto, coinvolgendo tutto il centro storico
e avrà inizio alle h.16:00. Sarà la quinta edizione e anche
quest’anno sicuramente ripeterà il successo dell’anno
scorso, dove tantissime persone (circa 3.000) visitarono
il borgo medioevale, richiamate dai scenari e dall’atmo-
sfera dell’antica Palestina. Con la rappresentazione di
scorci di vita quotidiana tra mercati, locande e botteghe di
antichi mestieri, con i profumi dei cibi semplici preparati
sul momento, e che accompagneranno i visitatori lungo
il percorso che, alla luce soffusa delle fiaccole, narra la
storia della Natività che si snoderà tra le vie del paese.
Per chi volesse fare un ristoro in loco, potrà rivolgersi
all’angolo “Vin Brulè’’.
Ingresso libero e servizio bus navetta.
gli amici del Presepe di Castellalto
6. 6
Fedele Romani
Ricordo di Silvi e delle
variopinte vele sull’antico
Adriatico del poeta teramano
di Elisabetta Mancinelli
I
l poeta e scrittore Fe-
dele Romani, nacque a
Colledara (Te) il 21 set-
tembre 1855, studiò nel
liceo di Teramo e fre-
quentò anche la scuo-
la di disegno del pittore
Gennaro Della Monica,
affinando un talento
naturale poi espresso
nella produzione di ca-
ricature.
Laureatosi in lettere
alla Normale di Pisa
insegnò prima al liceo
di Teramo e poi a Fi-
renze dove visse fino alla morte nel 1910. I suoi interessi
culturali furono estremamente differenziati. Notevole
l’apporto agli studi danteschi con la pubblicazione di nu-
merosi saggi per la “Lectura Dantis”. Si occupò inoltre
di dialettologia e pubblicò approfondite indagini relative
alle parlate d’Abruzzo, Sardegna, Calabria e Toscana e
collaborò con numerosi periodici tra i quali La Gazzetta
di Teramo, il Corriere Abruzzese. Fu caro amico di Gio-
vanni Pascoli, che gli dedicò i Poemi italici. La sua fama
è legata soprattutto all’opera narrativa. Ebbe vasta ri-
sonanza la pubblicazione di Colledara: libro di memorie
che descrive personaggi e vita quotidiana di varie località
abruzzesi che rappresenta la sua autobiografia intellet-
tuale. Fu anche autore di poesie nel dialetto della mon-
tagna teramana.
L’INCANTEVOLE VILLAGGIO
DELLA SILVI DI UN TEMPO
descritto da Fedele Romani
Nei primi anni del ‘900 il paese aveva ancora un aspetto
selvaggio: sia la spiaggia che le colline circostanti era-
no ricoperte di boschi, da qui il nome “Silvi” dal latino
“Silvae” che indica appunto questa antica conforma-
zione del litorale. Un litorale che all’epoca aveva colori
che andavano dal verde bottiglia dei boschi circostanti
al verde-turchese del mare Adriatico, quel mare che
d’Annunzio chiamò “selvaggio, verde come i pascoli dei
monti”. Il Romani ebbe più volte occasione nella sua vita
di visitare Silvi e nel 1909 così definisce questo incan-
tevole villaggio: “la spiaggia è tra le più belle d’Italia
tutta verdeggiante di vigne e d’ulivi, tutta ridente di
villette, variamente sparse ed aggruppate”.
In una di queste visite recatosi sull’altura dove sor-
ge il paese, godendosi lo spettacolo in cui l’occhio può
spaziare da una parte fino al promontorio di Ancona e
dall’altra allo sperone del Gargano, così descrive le vele
dipinte variopinte che solcavano le onde dell’Adriatico
sottostante. “Un non so che di barbarico e orientale e
dirò di turchesco… Andavano vagando qua e là per il
mare le paranze delle vele dipinte a vivi colori, i quali,
poiché tra essi predominavano il giallo e il rosso, for-
mavano mirabili e liete armonie. Ogni barca o, per dir
meglio ogni coppia di barche nelle acque abruzzesi, por-
ta il sacramento: la luna, il sole, la croce… Si sentono
tra i marinai frasi come queste: è uscito il sacramento,
è uscito il sole, è uscita la croce per indicare che le bar-
che con questi emblemi si sono avanzate in mare per la
pesca”.
In un interessante documento del primo decennio del
Novecento il poeta e scrittore Romani, che si trovava in
Germania a Colonia, descrive una particolare peculiarità
del magico paese: l’uva d’oro. “Nella vetrina di un nego-
zio scorsi al posto d’onore alcune scatole d’uva fresca,
d’un biondo così puro e trasparente che pareva staccata
allora dalla vite”.
Quell’uva, indicata col
nome di “Goldhi-vau-
ben” appunto uva d’o-
ro, era l’appellativo
usato in genere dai
tedeschi nei riguar-
di dell’uva di Silvi. Fu
essa a porgere al poeta
il nostalgico saluto alla
sua terra d’Abruzzo.
Anche Gabriele d’Annunzio, che nel periodo del Cenaco-
lo francavillese si recò spesso a Silvi con i suoi amici e da
solo, trasse probabilmente ispirazione dalla visione del-
le paranze che numerose uscivano nel mare antistante
il paese per la pesca quando compose questi inimitabili
versi:
“Rientran lente da le liete pèsche
sette vele latine,
e portan seco delle ondate fresche
di fragranze marine.
7. 7
un tratturo... Una torre quadrangolare di vedetta, mer-
lata sul mare... Il mare su una spiaggia tanto sottile che
sembra debba avanzarsi scorrendo su tutto il paese, fino
al piè dei poggi. Le file di paranze con un solo albero e le
antenne posate sul bordo, le reti tese sulla cima dell’al-
bero a poppa e a prua. Nella sabbia le piccole viti nera-
stre, sarmenti secchi e torti: Silvi”.
Ricerche storiografiche di Elisabetta Mancinelli
email: mancinellielisabetta@gmail.com
Son bianche, rosse, gialle e su ci raggia
l’occhiata ultima il sole;
s’allunga l’aura una canzon selvaggia”.
Da I Taccuini di Gabriele d’Annunzio: Silvi.
“Una strada corre lungo il mare, parallela alla spiaggia,
limitata da qualche pioppo. Un fiume di ghiaia, largo, si
confonde coi campi è come una via di migrazione, come
8. 8
I
l primo treno d’Italia sulla Napoli-Portici partì il 3 ot-
tobre 1839. Un viaggio di otto km in undici minuti a 50
km l’ora. Presente all’inaugurazione Ferdinando II di
Borbone, re delle Due Sicilie, a lungo contrario alla stra-
da ferrata nel suo regno. “Ci sono già le carrozze con i
cavalli…”, questo il pensiero del sovrano. Sono passati
meno di duecento anni e in ferrovia si viaggia sempre
più velocemente. Siamo ormai al “treno proiettile” che
va su rotaia a 440 km orari. Prossimamente, sui binari
viaggeremo con la stessa velocità degli aerei e l’impatto
per l’ambiente sarà zero. Non solo: la tecnologia pro-
mette altri miracoli in-
credibili (addirittura il
“treno sottovuoto” in
una capsula sparata a
1.120 all’ora). Eppure,
il nostro resta un Pa-
ese a due dimensioni.
Mentre da una parte
cresce il servizio ad
alta velocità (+276%),
per i treni regionali
siamo sempre in forte
ritardo. Basti sapere
che la Pescara-Ro-
ma è al sesto posto e
il numero dei pullmans è tre volte quello dei treni. Non
abbiamo ancora una seria politica dei trasporti, mentre
le problematiche della mobilità urbana si affrontano con
DAL TRENO
ALLA FUNIVIA
di Giovanna D’Alessandro
superficialità e ritardi. Come confermano la vicenda della
funivia per Colleparco e il progetto da anni nel casset-
to per l’ammodernamento dello scalo ferroviario nella
città-capoluogo. Insomma, siamo ancora ai tempi del
re delle Due Sicilie. Eppure, il treno serve persino per
combattere l’insonnia: quando Marcel Proust non riusci-
va a dormire, leggeva l’orario ferroviario. Per prendere
sonno.
10. “L
e iene” battono i lupi in difesa del Gran Sasso
e dell’acqua delle sue sorgenti. Non è la prima
volta che la nota trasmissione televisiva prende
a cuore un tema scottante, chiamando in causa l’Istituto
di Fisica nucleare e i suoi esperimenti scientifici sotto la
montagna. Un compito della stampa e del giornalismo
d’inchiesta in particolare far luce su ogni aspetto, a co-
minciare dal rischio radioattività e inquinamento dell’ac-
qua che beviamo. Perciò non è piaciuta la ruvida acco-
glienza di Luciano D’Alfonso, presidente degli abruzzesi.
Il governatore, ripudiato il fair-play andreottiano, negli
ultimi tempi adotta metodi forti con la stampa e i gior-
nalisti che fanno il loro mestiere. Pesante lo sgarbo su-
bito da una giovane inviata de “Le jene”, Nadia Toffa, nel
servizio andato in onda il 21 u.s. Con domande scomo-
de in merito alle autorizzazioni rilasciate dalla Regione
per esperimenti ritenuti pericolosi. Nessuna risposta di
D’Alfonso ai vari interrogativi (eppure straparla spesso
e volentieri). Scena muta su problemi che preoccupano
tutti. Non solo. Non ha esitato a mettere sbrigativamente
alla porta la malcapitata giornalista, strattonandola bru-
scamente. Signor presidente, no a molestie per aspiranti
attrici da registi intraprendenti, ma neppure l’arroganza
scortese del potere a donne croniste che fanno un lavoro
importante per la collettività. Opportuna la solidarietà del
LE IENE MOLTO PIU’
DEI LUPI
DIFENDONO
IL GRAN SASSO
di Marcello Martelli
presidente dell’Ordine dei giornalisti Stefano Pallotta e
del segretario del sindacato Adam Hanzelewicz a Paolo
Vercesi, giornalista del “Messaggero”, bersaglio verba-
le dello stesso governatore, durante una pubblica ma-
nifestazione. A quella dell’Ordine e del sindacato, vorrei
aggiungere la vicinanza di questo vecchio cronista. Occa-
sione propizia per estenderla al collega Primo Di Nicola,
che da poco ha lasciato la direzione di un noto quotidiano
abruzzese. I lettori sono ancora in attesa di leggere il suo
saluto. E’ la prima volta, forse, che un direttore stima-
to e prestigioso lascia l’incarico senza scrivere una sola
parola per comunicare le motivazioni d’una decisione
10
improvvisa e inattesa. Una pratica mai vista nei giornali
che ho conosciuto e frequentato. Giusto che la stampa
pretenda chiarezza e trasparenza dalla politica, ma l’in-
formazione può essere esente dall’osservare lo stesso
obbligo? “La parola è civiltà. E’ il silenzio che isola”. Un
pensiero di Thomas Mann che conviene a tutti condivide-
re. Al governatore e a certi editori per primi.
11.
12. 12
Da Carlo VIII ai giorni nostri
il CAPPELLO e
la sua storia
di Michela Cialini
L’
esatto inizio della storia del CAPPELLO è diffici-
le da stabilire con precisione. Tuttavia è possibile
tracciare un excursus ripercorrendo le tappe (e le
date) principali che hanno caratterizzato questo accesso-
rio estetico e funzionale al tempo stesso.
Prima che comparissero i cappelli, le donne medievali uti-
lizzavano i veli, le cuffie, ma anche cappucci. Le donne,
fin dall’antichità e in tutte le civiltà, hanno raccolto le loro
chiome in questo modo. La funzione principale del copri-
capo infatti era quella di proteggere la testa e con essa i
capelli. I cappelli dovevano inoltre coprire anche una zona
del corpo considerata troppo erotica: il collo.
Il primo cappello compare verso la metà del Quattrocento
con Carlo VIII che durante una visita a Roma indossò un
copricapo di feltro dotato di una falda.
Tuttavia solo a partire dal Settecento il cappello diventa
un capo d’abbigliamento indispensabile, soprattutto nei
guardaroba delle donne. Il Settecento è l’epoca degli ec-
cessi: qualsiasi cosa era utilizzata come decorazione di
cappelli. Nonostante
ciò, a fine Settecento,
a causa della Rivolu-
zione Francese che
associa il cappello
alle classi nobiliari,
questo accessorio su-
bisce un calo di popo-
larità che recupererà
grazie all’Inghilterra.
Fra l’epoca della Reg-
genza e quella Vitto-
riana, i cappellini da
donna tornano a vive-
re un periodo di gran-
de splendore, mutan-
do di anno in anno
ed essendo sempre
all’avanguardia.
All’inizio dell’e-
poca della Reg-
genza si parla di
una moda molto
bucolica, da pa-
storella: trovia-
mo ampli cappel-
li in paglia, siano
essi semplici o
decorati, con na-
stri da essere legati sotto al mento per garantire che il
cappello non si muova.
Nel corso della Reggenza, la falda del cappello utilizzata
per coprire il viso, si va via via riducendo. Nel 1840 la falda
sparisce del tutto scoprendo anche la parte posteriore
del collo. Si tratta di un’inversione del senso della tradi-
zione, che consente a questo accessorio di essere sempre
più alla moda.
Dal 1860 il cappello diventa solo
un ornamento di tipo grazioso e
prezioso. Nasce il cappello co-
stituito da sete, nastri, arriccia-
ture e pizzi in una composizione
elegante e delicata. Tuttavia per
le uscite in campagna rimane in-
tramontabile il cappello di paglia,
con ampia falda e nastro.
Si parte dalla Francia e dall’In-
ghilterra per arrivare poi alla
grande produzione italiana
dell’Ottocento e del Novecento.
Da qui in avanti i modelli dei cap-
pelli si moltiplicano, così come le decorazioni e gli stili, le
stoffe e i materiali. Troviamo cappellini per ogni occasio-
ne: cappellini da giorno, cappellini da sera, cappellini po-
meridiani e cappellini adatti alle funzioni religiose. In que-
sto periodo la moda attinge anche dal cappello maschile,
in particolar modo alla struttura del cilindro.
Negli anni successivi, il cappello continuerà a mutare
con la moda, riprendendo misure più discrete. Tuttavia le
guerre danno una svolta alla moda femminile facendo tra-
montare il cappellino da donna nell’ uso quotidiano; infatti
già dagli anni sessanta diviene appannaggio di una classe
lontana dalla gente comune.
13. 13
È importante ripercorrere la storia della cappelleria per
ricordare e valorizzare la tradizione del cappello dato che
quest’ultimo è stato ed è tuttora simbolo culturale e so-
ciale, nonché segno di personalità.
14. 14
Palazzo Melatino
Tra storia e nobiltà
di Luca Di Dionisio
P
alazzo Melatino è uno dei palazzi dalla storia più
significativa per Teramo, sia per i resti di mol-
teplici epoche, sia per la gloria del casato di cui
porta il nome. I più antichi resti risalgono all’epoca ro-
mana, quando c’era una domus, segno della crescente
ricchezza dell’allora Interamnia Praetutiorum. Ad una
prima pavimentazione più antica, in epoca augustea si
costruisce sopra una nuova pavimentazione, più ricca
e decorata. Nel periodo altomedievale, pur con la crisi
seguita alla fine dell’Impero romano, la domus dimo-
stra ancora la sua capacità attrattiva, seppur con una
nuova destinazione d’uso, come dimostrano i resti del-
le dolia, grandi vasi per contenere granaglie e legumi.
Il periodo più buio, però, è nel 1156, con la distruzione
della città ad opera del conte di Loretello. Per quasi un
secolo il palazzo si trova nell’abbandono fin quando,
nel 1232, Matteo I Melatino acquista dal vescovo-con-
te di Teramo Silvestro la proprietà dei ruderi; in pochi
anni tali ruderi si trasformano nella casa della fami-
glia nobiliare più importante del medioevo teramano.
I Melatino sono una famiglia nobiliare di origine lon-
gobarda e vantano una nobiltà d’armi. Nel corso dei
vari secoli ottengono numerosi possedimenti in tutta
la provincia e nel XIII secolo, con l’acquisizione della
casa, iniziano ad influenzare sempre di più la vita di
Teramo. Famiglia ghibellina, i Melatino si scontrano
con i De Valle, guelfi, e le lotte per il potere cittadi-
no portano anche all’uccisione di Andrea Acquaviva,
proprio in questo palazzo, da parte di Enrico Melati-
no, dopo che l’Acquaviva, inizialmente favorevole ai
Melatino, aveva cambiato alleanza. È da riferirsi alla
vendetta degli Acquaviva la famosa lapide “A lo par-
lare agi mesura”. Nonostante la sempre crescente
violenza politica, i Melatino riescono a farsi conoscere
anche oltre confine, difatti Berardo Melatino arriva a
diventare podestà di Firenze nel 1347. Nel 1372 Rober-
to IV restaura il palazzo, dandole l’attuale fisionomia.
Le faide contro i De Valle e la tradizione nobiliare lon-
gobarda di suddividere l’eredità ad ogni figlio (si sono
contati, in una generazione, fino ad 80 eredi diretti),
però, riducono notevolmente il potere della famiglia,
la quale si estingue con l’ultima erede Vincenza che,
nel XV secolo, si sposa con Giovanni Berarducci, do-
nando a questa famiglia anche la casa. Nel XIX e nel
XX secolo è proprietà della famiglia Savini. Nel 1902 la
casa dei Melatino viene inserita nella lista dei Monu-
menti nazionali italiani. È divenuta proprietà, nonché
sede, della Fondazione Tercas nel 1996. Attualmente è
sede di iniziative culturali e di una mostra permanente
di circa 180 opere in maiolica e porcellana di Castelli,
provenienti dalla collezione Gliubich.
16. 16
LE USANZE NATALIZIE TERAMANE A TAVOLA
di Patrizia Manente
LI FRITTE
P
repariamoci al Natale, la grande festa dell’anno, che
riscalda il cuore e rilancia il rito della tradizione. Con
al primo posto la tavola e le sue specialità. Ogni ter-
ritorio ha i suoi piatti che esaltano la convivialità delle fe-
ste trascorse nell’intimità della famiglia. Quando tornano
puntualmente le tradizioni e le ricette che si tramandano
da una generazione all’altra. Anche se le mode tentano
Il piatto è stato preparato da mia madre
Adele Di Franco
di cambiare persino la tavola, ma la tradizione riesce ad
avere sempre i suoi spazi. Anzi, diciamolo: non c’è Natale
senza i piatti delle brave cuoche d’un tempo. Fra questi
non mancano quasi mai alla Vigilia o a Natale, gli antipa-
sti di fritti prevalentemente a base di verdure: finocchio,
sedano, cavolfiore, zucchine, carciofi ma anche di baccalà
e olive all’ascolana.
17. 17
L
e sfogliatelle costituiscono il dolce natalizio più raffi-
nato e più difficile da preparare, perché richiede tem-
po, tanta dedizione e soprattutto ingredienti genuini.
A tutt’oggi è fortissima usanza nel territorio abruzzese sia
delle massaie più esperte che quelle più giovani.
Il dolce è stato preparato da
Stefania Di Battista
UNO DEI DOLCI TIPICI TERAMANI: LI SFUJATELLE
Foto di Patrizia Manente
18. 18
L’ARTE ANTICHISSIMA
DEI PROVERBI
di Patrizia Manente
C
osa può esserci di meglio per conoscere vera-
mente un popolo che osservarlo nella vita di tutti i
giorni, nelle sue minuzie e nelle sue manifestazio-
ni più spontanee? Solo in questo modo può emergere la
vera natura della gente semplice, ma autentica, che ha
accumulato un patrimonio di esperienza di vita (fatta di
lotte, sacrifici e rinunce) talmente significativa da poter
essere espressa e tramandata attraverso la saggezza
dei suoi detti popolari, utilizzando il proprio colorito lin-
guaggio. E’ così che nascono i proverbi e i modi di dire:
dalla filosofia spicciola della gente comune; dall’arte
esercitata o espressa da artisti sconosciuti, che gior-
no dopo giorno, massima dopo massima, ci guidano
nel percorso dell’esistenza confermandoci quanto sia
vero il detto ’’Niente c’è di nuovo sotto il sole’’. Il ciclo
vitale si ripete continuamente, le generazioni cambia-
no ma l’uomo è sempre lo stesso: nasce, vive, muore.
La natura umana è mutevole e contradditoria, capace
di gesti eroici, ma anche di tante piccole meschinità.
Nessuno può sfuggire alla saggezza dei proverbi: né i
potenti, né gli umili ne sono immuni. Infatti i proverbi
non fanno altro che lodare le buone azioni e castiga-
re le cattive, mettendoci in guardia sui pericoli che si
annidano ad ogni angolo e che solo con l’esperienza
l’uomo può schivare ma soprattutto sembra venire a
galla da essi un mascherato fatalismo, che suggeri-
sce un modo di comportamento e che vorrebbe stare
a significare ‘’Vivi e lascia vivere’’; perché nessuno è
perfetto, neanche chi conosce a memoria tanti prover-
bi. In realtà il proverbio non ti impedisce di sbagliare,
ma forse ti aiuta a non ripetere ostinatamente i tuoi
errori quando, ad azione compiuta, sembra quasi ri-
cordarti dispettosamente ‘’Te l’avevo detto’’. Fortunati
quelli che facendone tesoro riescono a prevenire guai
più grossi. ‘’Sbagliando s’impara’’ e ‘’Meglio nascere
fortunati che figli di gran signore’’. I motti, gli adagi, i
detti, le sentenze proverbiali che vanno per le bocche di
tutti, se appropriatamente vengono ricordati, sono una
guida al vivere umano; e, tutto quello che si diceva tanti
secoli fa è tutt’ora ancora valido. Nel libro dei proverbi
antichi di Salomone si trova scritto che essi erano stati
raccolti: per conoscere sapienza ed ammaestramenti;
per ricevere insegnamento di buon senso, di giustizia,
di giudizio e di dottrina; per dare avvedimenti sempli-
ci, e conoscenza ed accorgimento ai fanciulli; il savio li
udirà, e ne accrescerà la sua scienza, e l’uomo inten-
dente ne acquisterà buoni consigli e governo;
- per comprendere le sentenze ed i bei motti, le parole
dei savii, e i loro detti oscuri.
- Nella scelta dei proverbi indicati in questa rubrica si è
voluto ricercare tra i più simpatici, bizzarri ed espres-
sivi, dai toni ora sarcastici, ora metaforici. La forma
dialettale, vivace e genuina, si adatta in perfetta armo-
nia con il proverbio, perché la loro mescolanza rende
l’omogeneità di tradizioni, di intenti e di culture. Attenti
però a non prenderli sotto gamba, non ci inganni la loro
parlata spontanea: ‘’Voce di popolo voce di Dio’’.
19. 19
- Puleture de piatte,
unore de coche.
- Pulitura di piatto, ono-
re di cuoco.
- L’amore nen vò bbel-
lazze, l’appetite nen vò
la salze.
- L’amore non vuole
bellezze, l’appetito non
vuole la salsa.
- Tre cose nen vè ap-
prezzate: la forze de lu
facchine, lu cunzje de
lu puveròme e la bbel-
lazze de la puttane.
- Tre cose non vengono apprezzate: la forza del fac-
chino, il consiglio del pover’uomo e la bellezza della
puttana.
- L’arte de tate è mezze ‘mbarate.
- L’arte del padre è mezza imparata.
- Triste a chj nen tè ninde, ma cchjù triste a chj nen
tè nisciune.
- Triste a chi non possiede nulla, ma più triste a chi non
ha nessuno.
- Lu male cià simbre stàte e ce sarà, lu bbene se ce
stà …starà de llà.
- Il male c’è sempre stato e ci sarà, il bene se ci sarà…
lo si troverà nell’aldilà.
- A la prim’acque d’ahoste, lu ricche e lu povere s’ar-
cunòsce.
- Alla prim’acqua d’agosto, il ricco e il povero si ricono-
scono dagli abiti.
- A stu monne tutte pàsse, tutte se làsce, tutte fenìsce
dandr’a ‘na casce.
- A questo mondo tutto passa, tutto si lascia, tutto fini-
sce dentro a una cassa.
- Chj làsce la strada vicchje pe ’lla nove, sa calle che
làsce, ma ’n sa calle
che tròve.
- Chi lascia la strada
vecchia per quel-
la nuova, sa quale
lascia, ma non sa
quella che trova.
- La ciuàtte dìce ca
li fija su a è li cchiù
bille.
- La civetta dice che
i suoi figli sono i più
belli.
- Si chiude nà porte
e sa apre nù purto-
ne.
- Si chiude una porta
ma ti si può aprire un
portone.
- Fatìje poche, e ‘llu
poche che tì da fa
fàllu fa all’iddre.
- Lavora poco, e quel poco che devi fare fallo fare agli
altri.
- Lu cchjù dure a scurtecà a è la cote.
- Il più duro a scorticare è la coda.
BIBLIOGRAFIA:
- Proverbi e modi di dire abruzzesi,
di Tommaso Bruni, finito di stampare novembre 1985.
- Proverbi italiani (Club degli Editori),
a cura di Stefano Benvenuti,Salvatore Di Rosa, 1980.
20. 20
Fidani si è dedicata con tenacia, passione e intelligenza al
benessere dei propri Clienti. Attualmente la gamma Fida-
ni consta di 18 prodotti.
Dopo il successo
ottenuto a Londra
con la crostata
d’uva, dove le raf-
finate specialità
FIDANI hanno con-
quistato calorosa-
mente il pubblico
inglese, vincendo
così il primo pre-
mio assoluto per
la sezione food al
Bella Vita Expo,
ancora un impor-
tante riconoscimento per le specialità ‘’free-from’’
Fidani. Cresce il Palmares di FIDANI Healthy Food, inte-
ressante realtà nel panorama dell’alimentazione sana e
gustosa, che, dopo il successo di pochi mesi fa oltremani-
ca, compie un nuovo importante passo verso la conquista
di un pubblico sempre più ampio.
La linea di biscotti senza glutine, ha ottenuto il 21 Novem-
bre 2017 il 1° Premio nella categoria biscotti “Gluten
Free Lactose Free Awards “ nell’ambito di Gluten Free
Expo, Salone Internazionale del mercato e dei prodotti
senza glutine, che ha chiuso i battenti a Rimini registran-
do un record in merito a presenze e interesse da parte
del pubblico.”Siamo particolarmente onorati di questo
riconoscimento, ha dichiarato Francesco Capaccioni, di-
rettore commerciale FIDANI Healthy Food, che posiziona
ancora una volta le nostre specialità al vertice del gusto,
oltre che dell’alimentazione free-from preparata in modo
attento e con un’accurata selezione delle materie prime’’.
PREMIATI A RIMINI
I BISCOTTI FIDANI
SENZA GLUTINE
di Patrizia Manente
C
ostituita nel 2016, Fidani Healthy Food ha radici pro-
fonde: l’azienda nasce infatti come evoluzione della
società Pan di Zucchero, laboratorio di pasticceria
di Annamaria Fidani, con oltre venti anni di esperienza
e ricerca nel settore. Anni nel corso dei quali sono state
messe a punto ricette uniche nel loro genere: preparazio-
ni di alta qualità, sane, moderne e innovative, nel pieno ri-
spetto di tradizione e artigianalità. Da sempre Annamaria
21. 21
A
rriva il Natale con tanta abbondanza culinaria. Es-
sere abruzzese, significa avere la possibilità di go-
dere le feste con piatti squisiti e unici, ma ahimè
calorici. Tanto calorici. A cominciare dal timballo, una
vera leccornia, ma con tutte quelle scrippelle e carne,
anche con una sola porzione si può arrivare a coprire
il fabbisogno calorico dell’intera giornata. Poi, verdure
fritte, cotolette di agnello: autentici attentati alle coro-
narie. E i dolci? Vogliamo parlare dei dolci? Cagionetti,
candidamente fritti con ripieno di castagne e rhum (tra
gli innumerevoli ingredienti) che solo al consumarne uno
ti becchi una marea di calorie. E le sfogliatelle? Aspetto
delicato, ma consistenza aggressiva con strutto e mar-
mellata tra gli ingredienti principali. E i bocconotti? Forse
i più “contenuti” da un punto di vista calorico, ma sempre
dolci restano.
STRATEGIA ANTI-CALORIE
Quando arriva il Natale, i propositi di una buona condotta
alimentare sono sempre tanti ma decisamente e ineso-
rabilmente di fronte a cotanta beatitudine questi vanno a
farsi benedire e allora ci dobbiamo rassegnare a un Na-
tale di privazioni? Assolutamente no. Vale la pena tentare
qualche piccolo stratagemma che, se seguito, permette
di passare quasi indenne la festività più dolce dell’anno.
• Innanzitutto non mangiare più volte al giorno, rispet-
tare quindi la cadenza dei pasti e attenersi a quelli: co-
lazione, spuntino metà mattina, pranzo e cena, magari
iniziando i pasti principali con la frutta e la verdura che,
ricchi in fibre e acqua, danno un senso di sazietà.
• Non riempire il piatto fino a colmarlo, magari assaggia-
COME SOPRAVVIVERE
AL NATALE
di Patrizia Ambrogi
re diverse portate, anche tutte se sono veramente meri-
tevoli ma consumate in quantità inferiori, e, importante,
mai chiederne il bis.
• Bere molto, ma acqua però! Quindi laddove possibile
meno alcool.
• Considerato che le pietanze saranno tante si potrà fare
a meno del pane, o almeno cercare di contenerlo al mi-
nimo, in questo modo si potranno gustare anche meglio
le pietanze.
• Se si è indugiato la sera prima sull’agnello, il giorno
dopo è da tenersi leggeri privilegiando verdura e frutta,
il nostro corpo è una ragioniera inappuntabile che conta
ciò che entra così come ciò che esce in maniera rigorosa.
• Importante poi l’attività fisica, il movimento, che serve
a mantenere il nostro corpo efficiente anche equilibran-
do le calorie in eccesso. Se ci si è concessi un torrone e
un pepatello di troppo allora compensare con del sano
movimento, camminata veloce, giro in bicicletta, scale,
palestra, tutte attività che aiutano a bruciare le calorie
di troppo.
Dopo questo breve prontuario di pratici consigli, un ulti-
mo forse il più importante, se proprio non si è riusciti a
rinunciare a nulla, neanche all’ultimo panettone allora
passate le feste è da rimettersi in riga, ma fondamentale:
astenersi da diete drastiche improvvisate, le fai da te, che
danno risultati di “weight cycling” in cui si perde massa
magra, per intenderci quella soda e muscolosa, per poi
riprendere peso sostituito dalla massa grassa, la mas-
sa adiposa, che in queste diete yo-yo purtroppo accade,
affidatevi ad un buon programma di dimagrimento che
si ottiene associando al piano nutrizionale anche l’eser-
cizio fisico.
dott.ssa Patrizia Ambrogi
Master di 2° livello in “Nutrizione personalizzata:
basi molecolari e genetiche”
Università degli Studi di Roma Tor Vergata
22. 22
AZZINANO
TRA MURALES
E GIOCHI ANTICHI
di Stefano Mantini
A
zzinano, frazione di Tossicia, residenza della nota
pittrice Annunziata Scipione, è un borgo unico e
fiabesco. Dove i muri delle case raccontano at-
traverso decine di murales, che animano e colorano il
paese con la rappresentazione dei giochi di una volta.
L’origine del paese risale al XII secolo, anche se tracce
di insediamenti nella zona risalgono all’epoca del Ne-
olitico. Situato alle pendici del versante teramano del
Gran Sasso, all’interno del Parco Nazionale e Monti
della Laga. Nel 2.001 partì l’iniziativa per dipingere i
muri delle case, promossa dalla Pro Loco, ideata da
Luciano Marinelli e condivisa con orgoglio dalla comu-
nità locale. Azzinano fa parte del Club Nazionale dei
Paesi Dipinti definita “la Luzzara della Valle Sicilia-
na” per i suoi muri classificati “Muri d’Autore”. Un’arte
fresca e fantasiosa, intrisa di creatività ed ironia. Per
affreschi che possono significare proteste, disagi, ri-
cordi, racconti del passato. Così un paesino da anoni-
mo borgo, diventa “opera d’arte”. Per i numerosi turisti
che la visitano sono tante le emozioni di questo museo
all’aperto. Dove la bellezza dei numerosi murales colo-
rati parlano, ricordano la storia e la cultura del borgo.
Per tramandare un interessante e originale patrimonio
artistico.
23. 23
L
a ‘’memoria condivisa’’ filo conduttore dell’incon-
tro con la direttrice di Rai Teche Maria Pia Am-
mirati. Si è svolto nella sala dell’Archivio di Stato
organizzato dalla Sezione della FIDAPA BPW Italy di
Teramo. La scrittrice ha presentato il suo ultimo ro-
manzo‘’ Due mogli - 2 agosto 1980, edito da Mondadori,
sul tema della strage di Bologna. Il libro tratta il tema
dell’ineluttabilità, della normalità di un giorno qualsiasi,
INCONTRO CON LA
SCRITTRICE MARIA PIA
AMMIRATI
di Paola Manente
che viene interrotto da
un vile atto terroristico
che trasforma una cal-
da giornata d’agosto in
una tragedia collettiva,
che verrà raccontata
nei libri di storia dove si
intrecciano le vicende
umane e personali del-
le vittime, dei sopravis-
suti, delle forze dell’or-
dine, dei tassisti che
si sono trasformati in
soccorritori, dei corpi e
delle macerie. Il dibatti-
to è stato moderato dal
giornalista del quotidiano ‘’La Città’’ Simone Gambacor-
ta, che ha presentato il libro. La
direttrice di Rai Teche ha avuto
modo anche di parlare dell’im-
portanza degli archivi della Rai,
che sono tra i più grandi al mondo
e che costituiscono un’importan-
te fonte di studio della storia con-
temporanea. Al dibattito hanno
partecipato molte personalità del
territorio, segno che la sezione
teramana della Fidapa, costituita
a giugno, (Presidente Laura De
Berardinis) si sta radicando sul
territorio. Un sentito ringrazia-
mento a Carmela Di Giovannan-
tonio, direttrice dell’Archivio di
Stato per aver ospitato l’evento,
alle socie e ai rappresentanti di
enti ed istituzioni teramane.
24. 24
San Valentino
le origini, le leggende,
la storia e la sua diffusione
nel mondo
di Elisabetta Mancinelli
S
an Valentino, vescovo romano martire patrono di
Terni, viene venerato dalle chiese: cattolica, orto-
dossa e anglicana.
Valentino nacque a Terni nel 175 d.c. e dedicò la sua esi-
stenza alla comunità cristiana della sua città in cui infu-
riavano le persecuzioni contro i seguaci di Gesù. Fu con-
sacrato vescovo di Terni nel 197 d.c. dal Papa Feliciano.
Quando l’imperatore Aureliano ordinò le persecuzioni
contro i cristiani, Valentino fu obbligato a convertirsi al
paganesimo e, poiché rifiutò di rinunciare alla fede cri-
stiana, fu imprigiona-
to e flagellato lungo la
via Flaminia lontano
dalla città per evitare
tumulti e rappresaglie
dei fedeli.
La Chiesa, nel 496
accolse come esem-
pio d’amore questo
Santo per sostituire
una antichissima festa
pagana, i Lupercalia:
una festività religiosa
romana che si cele-
brava il 15 febbraio, in
onore di Fauno nella
sua accezione di Lu-
perco (in latino Luper-
cus) secondo la quale
in tale data, i romani
innamorati rendevano
omaggio al dio pro-
tettore del bestiame
dall’attacco dei lupi,
affinchè garantisse
alle coppie un anno di
fertilità.
I Lupercalia venivano
celebrate nella grotta chiamata appunto Lupercale, sul
colle romano del Palatino dove, secondo la leggenda, i
fondatori di Roma, Romolo e Remo sarebbero cresciuti
allattati da una lupa.
STORIA DELLA FESTA
La Storia della festa di San Valentino protettore degli in-
namorati è contornata da diverse leggende.
La prima narra che Valentino legato teneramente alla gio-
vane figlia del suo “carceriere” alla quale aveva miracolo-
samente ridato la vista, prima di essere decapitato inviò
un messaggio di addio alla ragazza che si chiudeva con le
parole “dal tuo Valentino”. Da questa leggenda e questa
frase deriverebbe l’espressione usata in questa occasione
“Sii il mio Valentino (be my Valentine)”.
La seconda leggenda della Storia di San Valentino è lega-
ta ad una rosa.
Un giorno Valentino porse una rosa a due giovani che sta-
vano litigando, invitandoli a tenerla unita nelle loro mani,
e pregando il Signore affinchè il loro amore durasse in
eterno. I due così fecero e se ne andarono riappacificati,
per poi tornare dal Vescovo tempo dopo per far benedire
le loro nozze.
La Terza leggenda di San Valentino narra che Sabino, un
centurione romano di religione pagana, innamoratosi di
una fanciulla cristiana Serapia, non ricevette la mano del-
la ragazza dai genitori. La giovane gli suggerì di andare
dal Vescovo Valentino per avvicinarsi al Cristianesimo fa-
cendosi battezzare. Mentre erano in corso le preparazioni
per il battesimo di Sabino e le successive nozze, Serapia
si ammalò di tisi Il giovane, sconvolto, chiese a Valentino
di non essere separato dalla ragazza ormai in fin di vita
e di unirli in matrimonio. Al momento della benedizione
del vescovo i due giovani si spensero insieme, restando
uniti per l’eternità. Valentino è considerato il patrono degli
innamorati probabilmente poiché fu il primo religioso che
celebrò l’unione tra un legionario pagano e una giovane
cristiana.
LA FESTA NEL MONDO
La festa di San Valentino, simbolo d’amore, il 14 febbraio,
si è diffusa nei paesi di cultura anglosassone e poi in tutto
il mondo.
25. 25
a forma di cuore che viene donato al proprio innamorato
con una dichiarazione d’amore o una frase romantica.
Ma vi sono anche altre usanze: in Olanda il dono tipico
è il cuore di liquirizia; in Spagna, i fidanzati donano alla
propria donna le rose rosse, in Danimarca un mazzo di
fiori bianchi in Giappone, avviene il tradizionale scambio di
cioccolatini, anche tra amici, mentre in Cina sono le donne
a donare fiori o cioccolatini al proprio fidanzato.
La storia di San Valentino è ancora avvolta nel mistero a
metà tra realtà e miti, che però hanno un unico fattore
comune, l’amore, che ogni anno celebriamo il 14 febbraio.
Ricostruzione storiografica di Elisabetta Mancinelli
email: mancinellielisabetta@gmail.com
La ricorrenza si festeggia in Inghilterra, come negli USA,
con il tradizionale scambio di biglietti, il cui uso risale pro-
babilmente al XIX secolo quando negli Stati Uniti cominciò
ad essere prodotta e commercializzata questa tradiziona-
le piccola missiva: il valentine. Un bigliettino solitamente
26. 26
L’ARTISTA
DELLA FRUTTA
E VERDURA
di Patrizia Manente
R
omina Di Giuseppe,
nata a Teramo, fin da
ragazza ha sempre
avuto dimestichezza nel ta-
gliare con divertimento la
frutta e la verdura. Poi nel
2013 ha acquistato il suo pri-
mo coltellino e da dilettante
ha iniziato con la sua creati-
vità a intagliare la frutta e la
verdura. Successivamente,
ha voluto perfezionarsi in
una tecnica particolare ed
ha frequentato tre corsi da
intaglio tenuti da l’esperto
Andrea Lopopolo di Contro-
guerra. I corsi sono sempre
organizzati nei ristoranti,
soprattutto dell’Ascolano.
Romina ha ottenuto tre validi attestati. Per chi volesse
approfondire, basta cercare la pagina FB di Romina.
Anche per ordinare cestini o altre decorazioni di frutta
e verdura in occasione di compleanni e feste in genere.
fb Frutta che Passione
BUONE FESTE!
ASPETTANDO
I RE BIAGI
vinibiagi.com
28. 28
GABRIELE
d’ANNUNZIO
primo market- promoting
del nostro paese
di Elisabetta Mancinelli
P
oeta, romanziere,
giornalista, dram-
maturgo, aviatore,
deputato sindacalista e
infine anche francescano,
insuperabile trasformista
in margine alle sue fatiche
letterarie, militari e politi-
che d’Annunzio fu anche il
primo market-promoting
d’Italia, un inimitabile cre-
atore di etichette e marchi
di fabbrica.
Infatti tra un’ode, una favilla, un cartiglio, un romanzo
il Vate contribuì alla fortuna di molte imprese com-
merciali e industriali, dando nome a prodotti e ideando
slogan pubblicitari. Alcuni esempi: la penna Aurora
che gli deve il suo nome, il motto del dentifricio Gengi-
val: “A dir le mie virtù basta un sorriso”, anche il nome
Rinascente dei grandi magazzini costruiti accanto al
Duomo di Milano dopo un disastroso incendio, lo sug-
gerì lui ai fratelli Bocconi.
Nel 1900 Pietro Marchese apre a Genova una pastic-
ceria dove produce dei dolci scoperti durante un suo
viaggio in Inghilterra, i “sugar wafer”.
La sua piccola azien-
da crebbe col tempo,
arrivando ad esse-
re una delle prime
Industrie dolciarie
italiane e nel 1920
viene registrata
come “S.A.I.W.A.”
(Società Accomandi-
ta Industria Wafer e
Affini), il cui nome
venne coniato da
Gabriele d’Annun-
zio, che contribuì
anche ad alcune
campagne pubbli-
citarie.
“Queste vostre no-
vissime scatole di
biscotti fini supe-
rano in finezza e
in bontà le migliori
di Inghilterra. Son
troppo squisite per
me. Vi ringrazio, Vi
lodo”.
Vittoriale, 11 marzo 1929 – GdA – marinaio.
Esiste anche un uso pubblicitario della letteratura,
dove temi, figure e citazioni vengono ripresi con lo sco-
po di nobilitare la pubblicità e il prodotto.
Nel primo dopoguerra, Gabriele d’Annunzio, fu un at-
tivo testimonial pubblicitario e nello stesso tempo fu
pubblicitario di sé stesso.
A tempo perso, in margine alle sue fatiche letterarie,
militari e politiche, Gabriele d’Annunzio fu anche il pri-
mo, pagatissimo market – promoting del nostro paese.
Infatti fra un’ode e una lauda, una favilla e un cartiglio,
il Vate contribuì alla fortuna di molte imprese indu-
striali e commerciali, battezzando prodotti e ideando
slogan.
Il motto dannunziano “Fisso l’idea” è uno dei molti
motti pensati e realizzati per la pubblicità: fu creato
per gli inchiostri “SANRIVAL” nel 1921. Gabriele d’An-
nunzio in questo modo poté ringraziare la ditta per
avergli riempito così generosamente il calamaio dis-
seccato.
Ebbe un estro particolarmente felice nel battezzare i
liquori AURUM, PRUNELLA, CERASELLA, SAN SIL-
VESTRO e nell’associare un prodotto a raffinatezze
culturali solo per pochi: allorchè le distillerie Luxardo
di Zara, gli chie-
sero di trovare
un nome sugge-
stivo per il loro
cherry – brandy,
si ricordo’ che la
Dalmazia, cinque
o sei secoli D.C
era abitata dai
Morlacchi.
E sulle mensole
dei bar fecero la loro apparizione le bottiglie, di un bel
rosso rubino, di SANGUE MORLACCO.
«Tutto cominciò nella Taverna dell’Ornitorinco di Fiu-
me, durante l’occupazione della legione dannunziana.
Una sera entrarono i giornalisti del quotidiano bri-
tannico che in uno dei propri editoriali inveiva contro
l’impresa fiumana, additando il poeta come un tiranno
barbaro che succhia il sangue dei poveri Morlacchi,
un popolo che viveva nell’entroterra dalmata. Anziché
adirarsi, Gabriele D’Annunzio, levando il calice colmo
del brandy, rispose: “Ecco l’unico sangue che io bevo.
Dei Morlacchi il sangue morlacco. D’ora in poi si chia-
merà Sangue Morlac-
co“. Di qui, l’incarico a
Pietro Luxardo di crea-
re un’etichetta speciale
per la vendemmia di
marasche del 1919, con
manoscritto “Il liquore
cupo che alla Mensa di
Fiume chiamavo San-
gue Morlacco“».
Così Pietro Luxardo,
presidente della distil-
leria di famiglia rico-
29. 29
realtà l’attrice si chiama Francesca Romana Rivelli) indiretta-
mente a d’Annunzio: sarebbe stato proprio il poeta abruzzese,
infatti, a coniare questo nome di battesimo e a usarlo per la
protagonista della tragedia “La figlia di Jorio” (1904). Tuttavia,
secondo il Dizionario Storico dei Nomi italiani della Utet, all’a-
nagrafe italiana risultava già nel 1900 una persona registrata
con quel nome.
LA RINASCENTE: Nel 1865 i fratelli Luigi e Ferdinando Boc-
coni aprono, in via Santa Radegonda a Milano, il primo nego-
zio in Italia dove si vendono abiti preconfezionati. Nel 1917 il
grande magazzino viene distrutto da un incendio e ricostruito:
per l’occasione Gabriele d’Annunzio lo ribattezzò Rinascente.
VIGILI DEL FUOCO: Alla nascita, nel 1935, il Corpo Naziona-
le creato per svolgere servizio anticendio e di protezione civile,
derivò il nome dall’analogo corpo francese: i pompieri.
Tre anni più tardi - in piena autarchia culturale - il francesi-
smo fu abbandonato e sostituito da “Vigile del Fuoco”: anche
in questo caso l’idea fu di Gabriele d’Annunzio, che si ispirò ai
“vigiles” dell’antica Roma.
IL MARCHIO SAIWA: All’inizio era una piccola pasticceria
nata a Genova nel 1900. La sua specialità erano i sugar wafer, bi-
scotti inglesi che il titolare aveva imparato a conoscere durante
un viaggio in Gran Bretagna. Nell’arco di vent’anni la produzio-
ne aumenta, si amplia la distribuzione e... la “piccola pasticce-
ria” diventa una delle prime produzioni industriali di prodotti da
forno. Cambia sede
e nome: nel 1922 di-
venta - su suggeri-
mento di d’Annunzio
che è un soddisfatto
consumatore - la
Società Accomandita
Industria Wafer e Af-
fini. Era nata (dall’a-
cronimo) la SAIWA.
MILITE IGNOTO:
Alcuni attribuiscono a d’Annunzio anche la definizione di “mi-
lite ignoto” con cui, dal 1921, viene indicato il militare italiano
non identificato, caduto nella Prima Guerra mondiale, sepolto
presso l’Altare della Patria a Roma. Non esistono, tuttavia,
documenti che provino che l’espressione sia stata effettiva-
mente coniata dal poeta, mentre è accertato che proprio d’An-
nunzio abbia svolto un ruolo fondamentale nella scelta, tra le
salme non identificabili recuperate nei campi di battaglia, di
quella che sarebbe poi diventato il simbolo di tutti i caduti e i
dispersi del primo conflitto mondiale.
Ricostruzione storiografica di Elisabetta Mancinelli
email: mancinellielisabetta@gmail.com
stituita sui Colli Eu-
ganei nel 1947 dallo
zio Giorgio, nota al-
tresì per il distillato
Maraschino, rac-
conta la genesi del
marchio di liquore
che vide protagoni-
sta il nonno Pietro,
all’epoca giovane irredentista sostenitore della causa
fiumana, poi trucidato dai partigiani di Tito.
Al Vate, ha ricordato l’imprenditore «si attribuisce an-
che il nome dei cioccolatini Fiat prodotti dalla Majani,
degli orologi Veglia della Borletti».
SCUDETTO: Il triangolino tricolore che, dal 1925, viene appli-
cato sulle maglie della squadra che vince il Campionato italia-
no di calcio, fu “inventato” da Gabriele d’Annunzio. Il simbolo,
infatti, si ispira allo “scudetto” che il Vate aveva voluto appli-
care alla divisa indossata dagli italiani in una partita di calcio
organizzata durante l’occupazione di Fiume.
TRAMEZZINO: Nacque a Torino (per la precisione, presso il
caffè Mulassano) nel 1925 ed era farcito con burro e acciughe.
VELIVOLO: “Che va e par volare con le vele”: questo è il si-
gnificato della parola velivolus (velivolo), il “vocabolo di au-
rea latinità” che secondo d’Annunzio (poeta diventato anche
esperto aviatore) è perfetto per indicare il nuovo mezzo di
trasporto. È il 1910 e durante una conferenza sul “Dominio dei
cieli”, il Vate ne spiega dettagliatamente le ragioni: «La parola
è leggera, fluida, rapida; non imbroglia la lingua e non allega
i denti; di facile pronunzia, avendo una certa somiglianza fòn-
ica col comune veicolo, può essere adottata dai colti e dagli
incolti».
AUTOMOBILE: (AL FEMMINILE) Quando fu inventata,
l’automobile era declinata quasi dappertutto al maschile. Ac-
cadde in Francia (dove si passò al femminile solo dopo l’inte-
vento dei linguisti), in Spagna (dove ancora oggi ha mantenuto
il genere originale) e, fino al 1926, anche in Italia. Quell’an-
no, infatti, D’Annunzio (che all’epoca era riconosciuto come
un’autorità in campo linguistico) dichiarò che «automobile è
femminile. Questa ha la grazia, la snellezza, la vivacità d’una
seduttrice; ha, inoltre, una virtù ignota alle donne: la perfetta
obbedienza. Ma, per contro, delle donne ha la disinvolta levità
nel superare ogni scabrezza». E automobile (femmina) fu.
ORNELLA: L’attrice Ornella Muti deve il suo nome d’arte (in
30. 30
LA STORIA
DEL PARROZZO
di Elisabetta Mancinelli
I
l Parrozzo nasce ed affonda le sue origini nella società
agricola. Era un antico pane delle mense contadine che,
i pastori abruzzesi ricavavano dalla meno pregiata fa-
rina di mais, veniva poi cotto nel forno a legna. Nacque
come dolce natalizio negli anni Venti per iniziativa del pe-
scarese Luigi D’Amico titolare di un caffè del centro che
ebbe l’idea di renderlo dolce e di produrlo nel suo labo-
ratorio, rielaborando la ricetta senza stravolgerne le ca-
ratteristiche originali, infatti s’ispirò all’antico pane delle
mense contadine utilizzando anche uno stampo a forma
di cupola che ricordasse appunto le pagnotte contadine.
Il Parrozzo fu ideato e preparato per la prima volta nel
1919 da Luigi D’Amico amico di D’Annunzio, il quale vol-
le dare forma d’arte ad una trasposizione dolciaria di
un’antica ricetta abruzzese fatta col latte delle greggi
profumato di timo e di menta insieme alle mandorle della
montagna: un pane rustico detto “Pan rozzo”: pagnotta
semisferica che veniva preparata dai contadini con il gra-
noturco e destinata ad essere conservata per molti giorni.
D’Amico, ispirato dalle forme e dai colori di questo pane
e facendo rimanere la forma inalterata, aveva riprodotto il
giallo del granturco con quello delle uova e aveva adope-
rato una copertura di finissimo cioccolato per imitare lo
scuro delle bruciacchiature caratteristiche della cottura
nel forno a legna.
La prima persona alla quale Luigi D’Amico fece assaggia-
re il Parrozzo fu Gabriele d’Annunzio glielo inviò a Gardo-
ne, il 27 settembre unitamente ad una lettera:
“Illustre Maestro questo Parrozzo il Pan rozzo d’Abruzzo
vi viene da me offerto con un piccolo nome legato alla vo-
stra e alla mia giovinezza”. Il dolce trovò ampio consenso
da parte del poeta che, dopo averlo assaggiato, scrisse a
D’Amico questo sonetto dialettale in sua lode.
“È tante bbone stu parrozze nov e che pare na pazzie de
San Ciattè, c’avesse messe a su gran forne tè la terre la-
vorata da lu bbove, la terre grasse e lustre che se coce
e che dovente a poche a poche chiù doce de qualunque
cosa doce . Benedette D’Amiche e San Ciattè …”
Sulla scatola a ricordare le nobili origini del Parrozzo let-
terario, compaiono i versi scritti dal poeta pescarese:
“Dice Dante che là da Tagliacozzo, ove senz’arme
visse il vecchio Alardo, Curradino avrie vinto quel
leccardo se abbuto avesse usbergo di Parrozzo”.
Correva l’anno 1927.
La ricetta:
Tritare 200 grammi di mandorle, aggiungete 150 grammi
di semolino e la buccia di un limone grattugiato.
Mescolate il tutto. Montate i bianchi di sei uova a neve con
una punta di sale e aggiungete i bianchi montati, assieme
ai rossi delle uova e a duecento grammi di zucchero, alle
mandorle ed al semolino. Rivestite di carta stagnola uno
stampo a campana. Versate il composto mettete in forno
per 3/4 d’ora a 180-200 gradi. Dopo la cottura ponete il
parrozzo su un foglio di carta assorbente.
Guarnite il Parrozzo quando sarà freddo con della cioc-
colata che avrete precedentemente sciolto e lasciate so-
lidificare.
Ricostruzione storiografica di Elisabetta Mancinelli
email: mancinellielisabetta@gmail.com
31. 31
ANTONIO ALLEVA
Poeta per vocazione
di Cristina Scipioni
A
ntonio Alleva
è nato a No-
cella di Cam-
pli. Poeta, vive da
poeta ogni giorno.
Le sue scelte sono
sempre subordi-
nate alla passione
per la letteratura e
la scrittura, intese
come potenti voca-
zioni, come ineludi-
bili richiami. Alleva
ha incontrato nel
suo destino la po-
esia e l’ha seguita
come un corrimano
verso l’atavico tentativo dell’individuo di dare un senso
profondo all’esistenza, certo di avere con essa a dispo-
sizione uno strumento di conoscenza di sé e del mondo.
L’autore camplese scrive dall’età di sedici anni, fino ai
quaranta (quando pubblicò il suo primo libro, Le farfalle
di Bartleby). Ha mantenuto anonima questa attività, che
ritiene la sua principale attività. Difatti, essa ha sempre
prevalso sul lavoro necessario per vivere e già dagli anni
‘70 (all’epoca impegnato politicamente nonché corri-
spondente provinciale de L’Unità) rinunciò a più rassicu-
ranti carriere pur di preservare libertà mentale e tem-
po quotidiano da dedicare alla scrittura. Ha svolto vari
mestieri: venditore di libri, impiegato, funzionario della
Cgil, correttore di bozze, pony express, portiere di not-
te. Dall’inizio degli anni ‘90 si occupa di pubblicità locale.
Come quasi tutti gli artisti, Antonio ha scontato sul piano
economico - sociale la sua vocazione in un ambito, quel-
lo poetico, ben poco gratificato dall’attenzione pubblica.
Tappa fondamentale, sia per l’uomo che per il poeta, è
stato il ritorno al villaggio, a Nocella di Campli, avvenuto
alle soglie del Duemila, durato poi quindici anni (adesso
Alleva vive a Giulianova). Quel villaggio che attraverso i
suoi libri è diventato simbolo della sua poetica, ormai ben
nota negli am-
bienti della poesia
italiana.
Con Ultime cor-
rispondenze dal
villaggio, la sua
ultima raccolta
pubblicata per i
prestigiosi tipi di
Il Ponte del Sale,
Alleva si è conge-
dato da Nocella.
Un congedo ma-
turo, frutto di quei
quindici anni di
intense riflessioni
esistenziali e di
scrittura protetta
dal prezioso silen-
zio del suo paese
natale.
(L’ultimo libro di Antonio Alleva è disponibile presso le libre-
rie di Teramo e Giulianova. Lo si può ricevere anche a casa
senza spese inviando una mail a ilpontedelsale@libero.it).