SCRUM WARS - Manuale di sopravvivenza agile per frontendistiSimone Lelli
Lavorate con Agile/SCRUM ma le cose non vanno proprio così bene come ci aspettavamo? Qualche piccolo consiglio per cercare di migliorare e cacciar via il Lato Oscuro dai nostri SCRUM :)
Gli anti-pattern sono errori comuni commessi nella programmazione o progettazione del software, spesso visti in chiave ironica. Come i più noti design pattern, hanno nomi evocativi che ben descrivono con pochi termini il problema.
The author of this presentation has created the virtual model of a batch manufacturing factory, using an enterprise architecture tool. Processes, applications, infrastructures, data models, etal, are stored in a repository called encyclopedia. Due to the impossibility of publishing the encyclopedia I decided to publish at least the diagrams, that constitute only one facet of the whole. This presentation is the collection of such diagrams.
Approach to lean manufacturing and lean enterprise in small/mid sized companies of Central Italy, starting from mass production and lea production history. An informal lecture of this phenomenon.
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Lavorate con Agile/SCRUM ma le cose non vanno proprio così bene come ci aspettavamo? Qualche piccolo consiglio per cercare di migliorare e cacciar via il Lato Oscuro dai nostri SCRUM :)
Gli anti-pattern sono errori comuni commessi nella programmazione o progettazione del software, spesso visti in chiave ironica. Come i più noti design pattern, hanno nomi evocativi che ben descrivono con pochi termini il problema.
The author of this presentation has created the virtual model of a batch manufacturing factory, using an enterprise architecture tool. Processes, applications, infrastructures, data models, etal, are stored in a repository called encyclopedia. Due to the impossibility of publishing the encyclopedia I decided to publish at least the diagrams, that constitute only one facet of the whole. This presentation is the collection of such diagrams.
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I 7 fondamentali per approcciare al design for additive manufacturingSimone Ravaglia
In che modo posso ottenere il massimo risultato utilizzando le tecnologie addittive?
Devi conoscere i 7 fondamentali!
Che cosa sono? Sono le sette dimensioni che vanno prese in considerazione prima della produzione proprio per evitare problematiche durante la stampa o ritrovarci con delle parti che da un punto di vista economico non sono convenienti.
In questo articolo ti mostro quali sono le cose da non sottovalutare durante il tuo progetto pilota.
Lean Web Solutions with WP [versione italiana]Carlo Beschi
Slide della mia presentazione al Wordcamp Milano 2011 su "Soluzioni web Lean con WordPress"
(http://wordcamp.it/milano2011/thank-god-its-friday-wordcamp-programma-del-27-maggio-2011/)
Workshop su Agile Project Framework e Agile PM per il PMI®-NIC Branch Lombardia. Cosa è Agile, l'Agile Project Framework e Agile Project Management e le tecniche MoScoW e il Timeboxing. Come si struttura un Team Agile.
ABC dei costi - Edigit International s.r.l.Nicola Amoruso
Data l'importanza che riveste l'analisi dei costi per la corretta gestione aziendale, Edigit ha deciso di mettere direttamente a disposizione delle aziende l'esperienza e gli strumenti necessari ad introdurle all'analisi dei costi. Si tratta appunto di know-how e tools di base, utili per effettuare un primo approccio al calcolo dei propri costi, una specie di ABC introduttivo alla materia per stimolare la conoscenza e l'approfondimento di argomenti fondamentali per la gestione aziendale.
In questa presentazione analizzo le principali obiezioni fatte dalle PMI quando viene loro proposto di adottare soluzioni Open Source, i "comportamenti a rischio" che possono far fallire i progetti di migrazione all'Open Source e generare sfiducia verso di esse, ma anche quali sono i vantaggi per le imprese che riescono ad adottare con successo soluzioni Open Source.
Scopo della presentazione è quello di dare, in maniera rapida e comprensibile anche ai non tecnici, utili indicazioni su come un libero professionista o un’azienda possa sfruttare la tecnologia per risparmiare ed al contempo innovare.
Un sondaggio molto serio di qualche anno fa, effettuato da una delle Associazioni italiane dei professionisti HR , ha voluto verificare un’eventuale correlazione fra altezza e probabilità di carriera.
Mi documento e scopro altre ricerche di questo tipo. Ad esempio: gli obesi con carica di CEO sono sotto rappresentati? Essere una bella donna facilita la carriera nelle grosse aziende?Sono solo alcune delle tematiche che sono state affrontate in questo tipo di studi. Ma è proprio vero che "dove c'e' fumo, non c'è anche arrosto"?
Ho intervistato alcuni manager ed HR amici: quelle che allego sono le conclusioni (semi-serie).
Metodologie agili, user-experience, customer-handling... e tutto quanto fa brodo.
(Ovvero come rinunciare ad avere il controllo sulle cose e vivere felici!)
Presentazione all'Italian Agile Day 2009
La tecnologia del cambiamento per contesti industrialiBruno Fabiano
I modelli manageriali e gestionali di maggior successo oggi, sia su business esistenti (con esempio Toyota nell'automotive) che su business innovativi (Amazon, Apple, start up innovative,…) richiedono l’adozione di paradigmi diversi da quelli tradizionalmente accettati nel rispettivo settore.
Se fosse possibile applicare solo gli strumenti, tutti otterrebbero automaticamente i risultati di Toyota o Apple, mentre solo una piccola parte ottiene i benefici attesi.
Kaizen Institute, con i suoi 30 anni di esperienza nel mondo e 10 anni in Italia, ha consolidato nei cantieri Gemba Kaizen una metodologia che interseca la tecnologia del cambiamento di Watzlawick e Nardone (dialogo strategico, problem solving strategico, analisi delle tentate soluzioni, tecnica dello scalatore, eventi emozionali correttivi, …) con le tecnologie di management (Lean Production, Concurrent Engineering, Blue Ocean Strategy, Business Model Generation).
“Chi non produce una strategia innovativa, finisce per subirla. …” Come fare a sviluppare strategie creative, caratterizzate da profonda innovazione? Quale processo conduce a questo risultato? Su questo tema si sono confrontati Paolo Borzatta e Alessandro De Biasio, due partner di TEH-A che intervengono quotidianamente nella formulazione delle scelte strategiche dei loro clienti.
PMexpo 2019 | Roberto Meli, Essere adeguati è meglio di essere maturi:PMexpo
Modelli di maturità e agilità: due filoni metodologici e di business che hanno occupato e occupano le menti pensanti della comunità informatica da anni. Certamente non è facile coniugare maturità ed agilità, almeno per come i vari Capability Maturity Model sono stati pensati fino ad oggi.
Le mode si susseguono e le tifoserie degli approcci strutturati e quelli degli approcci fluidi e leggeri sono sempre pronte a battersi in nome del “miglior sistema o approccio” possibile. La cattiva notizia è che non ci può essere un vincitore, la buona è che non ci serve un vincitore.
Il concetto di adeguatezza permette di superare la dicotomia. Il concetto di adeguatezza è una evoluzione del concetto di maturità perché mette in relazione le proprietà di un sistema (quanto è maturo sui vari fronti) rispetto all’ambiente in cui il sistema è calato (adeguatezza al contesto).
Un approccio non è vincente “sempre e dovunque” lo è in certe circostanze che caratterizzano il contesto dell’ecosistema in cui si opera.
I dinosauri erano vincenti o perdenti rispetto ai mammiferi?
La risposta deve prendere in considerazione il contesto in cui vivevano: in un contesto i dinosauri sono stati drammaticamente vincenti ed in un altro assolutamente perdenti.
Il mondo del business ICT non è omogeneo, è necessario che dei dinosauri convivano con dei mammiferi e ognuno nella sua nicchia ecologica prospererà e vincerà. Essere adeguati significa avere un perfetto match tra richieste ambientali e proprietà del sistema.
Il concetto di adeguatezza mette in relazione le capacità adattive di un organismo (sistema metrico, organizzazione aziendale) con le caratteristiche del contesto in cui deve agire e prosperare.
Se un contesto vuole comportamenti informali e adattivi è inutile pretendere di formalizzare tutto e irrigidire i processi.
Se i requisiti sono turbolenti in sé è inutile cercare di catturarli con un requirements management da progetto militare… e così via E’ fondamentale, quindi, non tendere a scale progressive e fisse di maturità legate a prassi e comportamenti da possedere a certi livelli crescenti.
La maturità deve essere quella adeguata al contesto. Troppa maturità, come troppa qualità, può uccidere. Occorre possedere quelle caratteristiche che sono vincenti nel mercato in cui si opera.
Employee motivation depends largely on good goals setting. The highest strategic goals are sometimes called directions. Goals are related to drivers, principles and requirements. This presentation shows an example of enterprise directions setting by the usage of an enterprise architecture tool.
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Che cosa sono? Sono le sette dimensioni che vanno prese in considerazione prima della produzione proprio per evitare problematiche durante la stampa o ritrovarci con delle parti che da un punto di vista economico non sono convenienti.
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Scopo della presentazione è quello di dare, in maniera rapida e comprensibile anche ai non tecnici, utili indicazioni su come un libero professionista o un’azienda possa sfruttare la tecnologia per risparmiare ed al contempo innovare.
Un sondaggio molto serio di qualche anno fa, effettuato da una delle Associazioni italiane dei professionisti HR , ha voluto verificare un’eventuale correlazione fra altezza e probabilità di carriera.
Mi documento e scopro altre ricerche di questo tipo. Ad esempio: gli obesi con carica di CEO sono sotto rappresentati? Essere una bella donna facilita la carriera nelle grosse aziende?Sono solo alcune delle tematiche che sono state affrontate in questo tipo di studi. Ma è proprio vero che "dove c'e' fumo, non c'è anche arrosto"?
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Kaizen Institute, con i suoi 30 anni di esperienza nel mondo e 10 anni in Italia, ha consolidato nei cantieri Gemba Kaizen una metodologia che interseca la tecnologia del cambiamento di Watzlawick e Nardone (dialogo strategico, problem solving strategico, analisi delle tentate soluzioni, tecnica dello scalatore, eventi emozionali correttivi, …) con le tecnologie di management (Lean Production, Concurrent Engineering, Blue Ocean Strategy, Business Model Generation).
“Chi non produce una strategia innovativa, finisce per subirla. …” Come fare a sviluppare strategie creative, caratterizzate da profonda innovazione? Quale processo conduce a questo risultato? Su questo tema si sono confrontati Paolo Borzatta e Alessandro De Biasio, due partner di TEH-A che intervengono quotidianamente nella formulazione delle scelte strategiche dei loro clienti.
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Le mode si susseguono e le tifoserie degli approcci strutturati e quelli degli approcci fluidi e leggeri sono sempre pronte a battersi in nome del “miglior sistema o approccio” possibile. La cattiva notizia è che non ci può essere un vincitore, la buona è che non ci serve un vincitore.
Il concetto di adeguatezza permette di superare la dicotomia. Il concetto di adeguatezza è una evoluzione del concetto di maturità perché mette in relazione le proprietà di un sistema (quanto è maturo sui vari fronti) rispetto all’ambiente in cui il sistema è calato (adeguatezza al contesto).
Un approccio non è vincente “sempre e dovunque” lo è in certe circostanze che caratterizzano il contesto dell’ecosistema in cui si opera.
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La risposta deve prendere in considerazione il contesto in cui vivevano: in un contesto i dinosauri sono stati drammaticamente vincenti ed in un altro assolutamente perdenti.
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Il concetto di adeguatezza mette in relazione le capacità adattive di un organismo (sistema metrico, organizzazione aziendale) con le caratteristiche del contesto in cui deve agire e prosperare.
Se un contesto vuole comportamenti informali e adattivi è inutile pretendere di formalizzare tutto e irrigidire i processi.
Se i requisiti sono turbolenti in sé è inutile cercare di catturarli con un requirements management da progetto militare… e così via E’ fondamentale, quindi, non tendere a scale progressive e fisse di maturità legate a prassi e comportamenti da possedere a certi livelli crescenti.
La maturità deve essere quella adeguata al contesto. Troppa maturità, come troppa qualità, può uccidere. Occorre possedere quelle caratteristiche che sono vincenti nel mercato in cui si opera.
Employee motivation depends largely on good goals setting. The highest strategic goals are sometimes called directions. Goals are related to drivers, principles and requirements. This presentation shows an example of enterprise directions setting by the usage of an enterprise architecture tool.
The author has created a complete virtual model of a batch lot manufacturing factory using the IBM's modeling tool Rational System Architect. This presentation shows some of the improvements that the CORSO's Archimate plug-in brings to the traditional Enterprise Architecture environment.
1. QFD: THE UNSUNG HERO
QUALCHE RIFLESSIONE FILOSOFICA
Ci sono alcuni principi che ho sentito enunciare fin dai miei primi esordi nel mondo del lavoro e che mi ricordo
di avere immediatamente condiviso, forse più per simpatia o per istinto che altro, ma di non avere mai visti
applicati nella realtà concreta (intendo dire quella che sta al di là delle diapositive proiettate ai convegni) se non
in modo sporadico e sperimentale.
Eppure quegli stessi principi continuano ad essere enunciati anche a qualche decennio di distanza e ad essere
universalmente condivisi (quando se ne parla, la gente annuisce con espressione tra l’indignato ed il
preoccupato), ma regolarmente disattesi nella prassi quotidiana.
Uno di questi è il principio della qualità totale: Total Quality Management (abbreviato in TQM) dicono quelli
che ne hanno sentito parlare oltre oceano. In realtà alcuni affermano che all’estero la situazione sia decisamente
migliore che da noi, ma per quel che ho visto di persona (forse è più esatto dire con i miei occhi) “tutto il mondo
è paese”.
Devo però precisare di non essere mai stato in Giappone …………..
Ma in quello che viene definito mondo occidentale sembra prevalere la mentalità del “find and fix” (come
tradurlo? Scopri e ripara?). Nei reparti di produzione, specialmente quando si lancia un nuovo prodotto, si assiste
ad un grande prodigarsi di “vigili del fuoco” impegnati a spegnere metaforici incendi, vale adire a risolvere
problemi di produzione causati da scarsa qualità, non diciamo per il momento di che cosa.
Come spesso succede anche in altri campi, questi “salvatori della patria” sono relativamente ben retribuiti,
sicuramente meglio retribuiti di chi si preoccupa di risolvere i problemi “a monte”, lavorando nell’oscurità.
Gli “eroi” sono quelli che spengono gli incendi anche se la loro attività può al massimo limitarne i danni, non
certo migliorare il bosco. Fuori di metafora, la prevenzione dei problemi durante le fasi di progettazione dei
prodotti e dei processi ha molta più influenza sul miglioramento della qualità del prodotto degli eroismi in
officina.
In conclusione più che di “pompieri” ci sarebbe bisogno di una disciplina metodologica applicata alla
prevenzione dei problemi, disciplina che peraltro esiste ed è conosciuta sotto il nome di Quality Function
Deployment, abbreviato in QFD e pronunciato dagli estimatori: “chiùefdì”.
INTRODUZIONE
Se volessi tentarne una definizione, dovrei dire che QFD nella sua essenza è uno strumento di pianificazione per
l’introduzione di nuovi prodotti o per le modifiche (presumibilmente in meglio) di prodotti esistenti, pur
consapevole di non rendere, così facendo, un buon servigio alla sua promozione. Infatti se “strumento” è una
parola molto tranquillizzante in generale e soprattutto per gli amanti del bricolage, “pianificazione” è un termine
che per lo più semina terrore e panico nella gente. E’ vero che un ben noto proverbio americano dice: ”fail to
plan is plan to fail” (intraducibile), ma sono convinto che la maggior parte delle persone recita in cuor proprio:
“dalla pianificazione mi guardi iddio che dai fallimenti mi guardo io!”.
Non so se è tanto meglio dire, come qualcuno suggerisce, che QFD sia la risposta alla “voice of the customer”
(grido disperato del cliente) e cioè una metodologia per focalizzare risorse interdisciplinari sul miglioramento dei
prodotti in base alle priorità indicate dai clienti e dal mercato (vale a dire i propri clienti , quelli della
concorrenza e quelli potenziali). Perché anche in questa definizione si fa uso di parole a doppio taglio: alludo
non tanto all’aggettivo “interdisciplinari” che pure richiama scenari terrificanti di lavoro in team a scapito delle
comprovate strutture gerarchico-dipartimentali che hanno sempre dato i loro buoni risultati, quanto al sostantivo
“metodologia”.
Metodologia infatti, per chi ancora non lo sapesse, è quella cosa che i burocrati incapaci usano per tarpare le ali
della creatività e della fantasia a chi ne ha.
E’ probabilmente più opportuno non cimentarsi in definizioni, ma limitarsi a citare i dati storici: QFD è nata (o
nato?) nel 1972 nei cantieri navali Mitsubishi Kobe con il nome giapponese di Hin Shitsu Ki No Ten Kai,
traducibile in Quality Function Deployment, appunto e mai utilizzato (intendo dire il nome) fuori dal Giappone
per motivi del tutto ovvii.
Il padre fondatore (probabilmente uno dei tanti, come al solito) è un certo Yoji Akao che sembra andasse in giro
per il Giappone a predicare la buona novella fin dal 1966.
E’ stato anche detto che QFD è un “cattivo nome per una buona tecnica” perché la presenza del termine Qualità
avrebbe causato alcuni fraintendimenti. Io sarei prudente anche sull’utilizzo del termine “tecnica” perché
2. generalmente richiama inconsciamente qualcosa con cui i managers (soprattutto se top) non debbano sporcarsi le
mani.
Al contrario, senza la partecipazione diretta dei managers di tutti i reparti aziendali QFD ha ben poche possibilità
di sopravvivenza. Ma non basta, occorrono anche dei “professionisti” del QFD, modo orrendo per dire molto più
semplicemente: persone che fanno di mestiere il QFD, più o meno bene a seconda delle capacità individuali e,
non scandalizzatevi, di lavoro di gruppo (sotto questo profilo QFD condivide alcuni dei principi del Concurrent
Engineering).
La scarsità di tali figure professionali da un lato e la naturale ritrosia a mostrare a degli estranei i propri “panni
sporchi” sono un altro, forse non secondario, fattore limitante la diffusione di QFD.
I BENEFICI DI QFD
Mi ha sempre stupito la frequenza con cui nella letteratura specifica vengono citate (con tanto di disegnino per
offendere ancora di più l’intelligenza di chi legge) le matrici di Boston tipo quella relativa a Qualità/Costi, per
spiegare che, dei quattro possibili quadranti di cui si compone, bisogna rifuggire come la peste quello “bassa
qualità/alto costo) e cercare di posizionare la propria azienda in quello “alta qualità/basso costo”, ma è possibile
che mi sfugga qualcosa.
Inutile dire che, di qualsiasi cosa si stia parlando, senza quel qualcosa la vostra azienda non potrà mai
posizionarsi nel quadrante giusto (spero apprezziate il fatto che non vi ricordo quale). I promotori di QFD non
fanno eccezione e sentenziano: vuoi conquistarti un posto nel quadrante vincente? Se sì, devi diventare proattivo,
focalizzarti sulla prevenzione e sul “robust design” e ridurre le varianti; in altre parole devi adottare QFD. Ma,
obietterà qualcuno, non basta applicare rigorosamente controlli “find and fix” o altre misure di tipo reattivo? No,
verrà replicato, perché così facendo al massimo ti posizioni nel quadrante “alta qualità/alto costo”! Di più, senza
una buona dose di fortuna, rischi addirittura di finire nell’inferno del quadrante “bassa qualità/alto costo” .
(Credo che nessuno abbia il coraggio di confessare di fare volentieri a meno sia dei controlli reattivi che del
3. QFD, accontentandosi di finire nel purgatorio del quadrante “bassa qualità/basso costo”, ma sono convinto che
questo sia il caso più frequente).
In conclusione, per essere vincente devi passare dalla reazione alla prevenzione: dal “find and fix” al QFD.
Di mio aggiungerei solamente che per amore della precisione bisognerebbe parlare non di matrici, ma di cubi di
Boston, perché esiste, con pari importanza delle altre due (Costo e Qualità), anche la terza dimensione: Tempo
(per mania dell’esotico si parla solitamente di time-to-market). Ma, mi rendo perfettamente conto che, esplorare
tutte le otto combinazioni che ne risulterebbero, diventerebbe veramente troppo complicato (in questo caso sì
che un disegnino potrebbe tornare utile, ma non ne ho mai visti, forse perché il tridimensionale non è mai andato
di gran moda).
BENEFICI DIMOSTRABILI
Se qualcuno obiettasse che le matrici di Boston sono pura teoria (non parliamo dei cubi) e che la prassi “sul
campo” è ben altra cosa, gli verrebbe risposto citando qualche caso pratico. La Toyota è uno dei più ricorrenti
anche se ormai datato anni ’70, e quello che viene detto (cito perché, come ho già avuto modo di dire, in
Giappone non ci sono mai stato e poi anche se ci fossi stato penso che siano cose un po’ difficili da verificare) è
riassumibile nelle seguenti cinque categorie di benefici ottenuti:
1. Diminuzione del numero di modifiche progettuali e soprattutto loro attuazione anticipata. In
numeri: il 90% delle modifiche vengono fatte almeno un anno prima dell’avvio della produzione e
costano molto di meno dal momento che vengono eseguite “su carta”. Vorrei solo aggiungere che
la possibilità, oggi un po’ più realistica di allora, di lavorare su “prototipi elettronici” rende ancora
più appetibile il monte benefici disponibile.
2. Riduzione dei tempi di sviluppo (e di conseguenza del time-to-market, dal momento che l’attività
di sviluppo è sul cammino critico del ciclo di vita di ogni prodotto). Si parla di riduzioni intorno ad
1/3, dopo l’avvento di QFD in Toyota e pare che non sia affatto un record: altre aziende citano
meno di un ½..
3. Riduzione dei problemi di avviamento della produzione di circa 2/3.
4. Riduzione dei costi di avviamento della produzione: del 20% nel 1977, anno di introduzione dei
QFD, e del 61% dopo qualche annetto, nel 1984.
5. Riduzione dei problemi post-vendita. Si fa riferimento in particolare ai costi imputabili a problemi
di ruggine duranta il periodo di garanzia che agli inizi degli anni ’70 superavano di quattro volte i
profitti dell’azienda e che sono stati eliminati grazie all’impiego di QFD.
Il punto 4. Precedente viene spesso citato come esemplificazione del concetto di “continous improvement” che
pare essere un po’ ostico per la nostra mentalità occidentale e che invece dicono connaturato in quella
giapponese al punto che un loro proverbio dice: “più la strada è lunga e più la devi percorrere a piccoli passi”.
A me sembra di poterlo interpretare così : un passo falso capita a tutti di farlo e quindi bisogna metterlo in conto;
di conseguenza se decido di coprire il cammino da fare con quattro lunghi balzi e ne faccio uno falso, fallisco il
mio obiettivo del 25%, mentre se decido di fare cento piccoli passettini, di cui uno falso, lo fallisco solo dello
1%.
Certo che con quattro balzi farei probabilmente prima che con cento passettini, per quanto veloci, ma se ho la
gamba corta (come la maggior parte dei giapponesi) non mi restano altre alternative; se poi mi dite che su cento
passettini è probabile che ne faccia più di uno falso, posso anche essere d’accordo, ma mi sembra che i margini
ci siano comunque.
BENEFICI NON QUANTIFICABILI
Sappiamo tutti per esperienza che i benefici maggiori sono sempre quelli non quantificabili (non è una delle
leggi di Murphy). Nel caso del QFD ce ne sono almeno due che cadono in questa categoria, ma sulla cui
importanza nessuno può obiettare. Il primo, come vien subito di pensare, è la soddisfazione del cliente che, come
noto, vuole essere soddisfatto o rimborsato. Nonostante tutto quello che dica la propaganda troppo spesso in
azienda si patteggiano dei compromessi su come un prodotto deve essere fatto o modificato cercando di non
scontentare né la progettazione né la produzione, che già è un bel risultato, ma dimenticandosi completamente
del cliente. QFD serve a fare in modo che le esigenze del cliente o del mercato più in generale vengano tradotte
in specifiche che pilotino o vincolino se preferite il processo decisionale, garantendo che mai vengano disattese a
costo, se proprio è inevitabile, di scontentare un po’ sia la produzione che la progettazione. Ma, se il cliente
paga, poi ce ne sarà per tutti come ben sa chi ha lavorato per un numero sufficiente di anni.
Il secondo beneficio non quantificabile riguarda il patrimonio costituito dalla “conoscenza aziendale collettiva” a
proposito del quale bisogna dire, magari rischiando la banalità, che costituisce in molti, se non tutti, i casi il più
4. importante “asset” che un’azienda possieda. Succede spesso però che la conoscenza venga celata, come il
risparmio, sotto qualche mattonella o dentro il materasso e quindi, non circolando, non produca beneficio per la
collettività.
QFD costringe a rappresentare i processi in forma grafica e promuove le discussioni di gruppo su tali
rappresentazioni che vengono sempre conservate per future revisioni, venendo a costituire i gradini di una scala
in continua crescita cui ci si riferisce quando si parla di “continous improvement”. Sono gradini che il neo-
assunto, come il nuovo cooptato in un gruppo di lavoro, può salire per portarsi rapidamente al livello di
conoscenza degli altri.
Se poi il lavoro viene svolto con l’ausilio del computer, tutto acquisisce l’agilità e la leggerezza del “virtuale”,
non solo, ma il computer stesso può essere portato a salire la scala della conoscenza e a diventare un “sistema
esperto” in grado di prendere autonomamente le decisioni più routinarie liberando l’uomo dalle mansioni più
ripetitive e noiose.
E qui mi fermo per non essere accusato di apologia del computer.
ALTERNATIVE AL QFD
A sentire gli estimatori di QFD parrebbe non esserci medicina migliore per la salute di un’azienda di QFD. Ma
non esistono proprio altre? Naturalmente sì: ad esempio potenziare la penetrazione commerciale aprendo diversi
canali di vendita alternativi e, auspicabilmente, complementari; puntare sull’espansione geografica (va molto di
moda chiamarla internazionalizzazione o, peggio ancora, globalizzazione); acquisire o fondersi con altre
aziende; convincere i propri clienti a comprare di più; ecc. Ma resta comunque il fatto che niente giova di più
all’azienda che continuare a inventare nuovi prodotti o migliorare quelli esistenti per la delizia del cliente. E per
farlo nel modo migliore non c’è alternativa al QFD.
I CAMPI DI APPLICAZIONE DI QFD
Pianificazione di nuovi prodotti o di modifiche di prodotti esistenti si è detto, ma non solo: anche la
pianificazione dell’assistenza ai clienti o dei servizi in generale è un ottimo campo di applicazione di QFD.
5. Generalizzando possiamo quindi concludere che dovunque ci siano prodotti e servizi che si vuole soddisfino le
esigenze e le aspettative del cliente, li si può intervenire con uno strumento di pianificazione chiamato QFD.
Riassumendo:
• Pianificazione di nuovi prodotti o servizi
• Progettazione delle specifiche del Prodotto/Servizio
• Determinazione delle caratteristiche del Processo
• Controllo del Processo Manifatturiero
• Documentazione delle specifiche di Prodotti esistenti
LA METODOLOGIA
Sono previste quattro fasi d’intervento:
• Fase I – Pianificazione del Prodotto (la “casa della qualità”)
• Fase II – Progettazione del Prodotto
• Fase III – Pianificazione dei Processi
• Fase IV – Pianificazione della Produzione (controllo dei processi)
L’output di ogni fase è una tabella di un database relazionale che fa in modo che la “voce del cliente” , sotto
forma di specifiche e relative priorità sia “udita” in modo chiaro e preciso durante tutto il processo, dalla ricerca
e sviluppo fino alla produzione.
Queste tabelle sono sviluppate e vengono continuamente aggiornate da teams interfunzionali che si riuniscono
periodicamente per svolgere questa attività. Le tabelle sono correlate tra di loro in maniera biunivoca, ma solo gli
elementi più significativi vengono travasati da una tabella a quella successiva. Il team è di solito composto da
6. sei/otto membri cui si possono aggiungere partecipanti estemporanei, quando il team leader ritiene che occorra
un contributo specialistico, non posseduto da nessuno dei membri permanenti.
FASE I - PIANIFICAZIONE DEL PRODOTTO
Questa fase è, di solito, pilotata dal Marketing e viene spesso chiamata: Casa della Qualità, dalla forma che
assume la relativa matrice di correlazione. Non poche aziende si limitano a svolgere solo questa fase dell’intero
processo QFD.
Il punto di partenza è il rilevamento delle richieste dei clienti (RC) pianificato con la massima cura perché dalla
qualità dei dati iniziali dipende l’efficacia di tutto il resto. Si fa uso delle metodologie di rilievo convenzionali,
come questionari inviati per posta o fax, telefonate, interviste faccia-a-faccia e gruppi di interesse.
Tra i molti elementi che vengono presi in considerazione possiamo citare: le richieste dei clienti (manco a
dirlo!), i dati di garanzia del prodotto, le opportunità competitive, i criteri di valutazione del proprio prodotto e di
quello della concorrenza, la capacità dell’azienda di soddisfare le richieste dei clienti, ecc.
7. FASE II - PROGETTAZIONE DEL PRODOTTO
Come si può facilmente intuire, questa fase è pilotata dalla Progettazione. Altrettanto ovvia è la considerazione
che progettare un prodotto richiede grande inventiva e fantasia. Forse meno scontato è il fatto che le idee
migliori dipendono più dalla capacità di lavorare in team che dalla creatività dei singoli. In ogni caso nella
matrice QFD, relativa a questa fase, vengono catturati i criteri di concettualizzazione del prodotto e le specifiche
dei suoi componenti o parti. Solo le parti che hanno maggior influenza (alto indice di correlazione) sul
soddisfacimento delle richieste del cliente vengono travasate nella matrice successiva.
8. FASE III - PIANIFICAZIONE DEL PROCESSO
Sale adesso sul podio l’Ingegneria di Processo o come viene chiamato l’ente preposto alla progettazione dei
processi produttivi. E le tavole di specifiche tecniche nonché i disegni usati per documentare l’attività di
progettazione cedono il campo ai diagrammi o flowcharts di descrizione dei processi e delle attività
manifatturiere. Il “succo” di questa fase consiste nel catturare dai diagrammi tutti i parametri di processo e
trasformarli in “targets” (bersagli da colpire) che la Produzione dovrà raggiungere.
9. FASE IV - PIANIFICAZIONE DELLA PRODUZIONE
L’attività di questa fase conclusiva consiste nel ricavare, dai targets individuati nella fase precedente, gli
indicatori di prestazione che servono per tenere sotto controllo (o monitorizzare, se preferite) le operazioni di
fabbricazione di manutenzione e di addestramento del personale coinvolto. Ma, dal momento che la tentazione di
non fare le cose (bene) è sempre forte in questa fase si può eseguire anche la valutazione dei rischi che si corrono
se il processo manifatturiero non è debitamente tenuto sotto controllo. Ritengo pleonastico aggiungere, ma lo
faccio, che questa fase è pilotata dall’ente preposto al Controllo di Qualità in concerto con la Produzione.
10. CONCLUSIONE
Da quanto brevemente esposto (per saperne di più bisogna pagare) dovrebbe risultare chiaro che con QFD no ci
si propone solamente di migliorare le caratteristiche prestazionali di un prodotto, ma di soddisfare o, meglio
ancora, anticipare le aspettative del mercato.
Non so se quanto sto per aggiungere funzionerà come stimolo ad adottare QFD o al contrario come ulteriore
elemento di frustrazione, ma ormai da qualche anno i discepoli di Yoji Akao vanno predicando un nuovo verbo
che chiamano “mirio kuteki hin shitsu”. Gli americani lo tradurranno (se non l’hanno già fatto) in Wonder
Engineering Quality e lo abbrevieranno presumibilmente in WEQ.
Si tratta di una metodologia che consente di tradurre in parametri ingegneristici l’insieme di stimoli e reazioni
che creano eccitazione in un essere umano: i prodotti messi sul mercato dalle aziende che la adotteranno non
solo soddisferanno in pieno le aspettative del cliente, ma ne anticiperanno i desideri inarticolati al punto tale da
suscitare in lui quel piacevole sentimento che chiamiamo meraviglia.