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18/Scienza&Sport
leggere vi aiuti a comprendere come
nella nostra semplificazione
biomeccanica l’uomo sia paragonabile
a una macchina di natura biologica e
di come la parte di controllo, quella
neurofisiologica, sia integrante della
macchina stessa e del suo buon
funzionamento e, come tale, sia
essenziale monitorarla e ancor più
conoscerne le basi del funzionamento
fisiologico. La macchina motoria umana
ha potenzialità veramente incredibili e
l’equilibrio tra le varie componenti è
fondamentale per il suo buon
funzionamento. Infatti, oltre a migliorare
l’efficienza delle sue attività, ne certifica
l’efficacia. Potremmo quindi sostenere
che spesso l’equilibrio è l’opposto della
patologia o dell’infortunio. Questo
equilibrio si definisce omeostasi e diversi
fattori concorrono al suo mantenimento.
Si pensi ad esempio alla temperatura
corporea: sistemi come l’evaporazione
del sudore quando questa si alza a causa
di un aumento del metabolismo, o i
brividi di freddo (contrazioni della
muscolatura liscia autonoma che
contraendosi produce calore) quando
questa si abbassa, intervengono per
mantenerla nel giusto range.
L’energia
Le macchine che conosciamo
funzionano attraverso l’uso di energia.
È un processo sconosciuto in natura?
O unico? No, anche la macchina umana
Abstract
LA CONOSCENZA DELLA
NEUROFISIOLOGIA, CIOÈ DI QUEI
MECCANISMI DI DECISIONE CHE
PRESIEDONO IL GESTO SPORTIVO
APRONO NUOVI CAPITOLI
RELATIVAMENTE ALL’ANALISI
DELL’ATLETA E AL SUO
ALLENAMENTO. LA RICHIESTA DI
UNA SEMPRE MAGGIORE
PERFORMANCE UNITA ALLA
SALVAGUARDIA DELL’ATLETA
DAL PUNTO DI VISTA DEGLI
INFORTUNI CI OBBLIGA A
INVESTIGARE MAGGIORMENTE
IN QUESTA DIREZIONE, AREA
ANCORA TUTTA DA ESPLORARE
E CODIFICARE. L’ARTICOLO
CONTIENE UN’ELABORAZIONE
DIFFERENTE DI INFORMAZIONI
A MOLTI GIÀ NOTA, LO SCOPO
È QUELLO DI CONDIVIDERE
UNA VISIONE DEL TRAINING
DEL FUTURO E
CONTEMPORANEAMENTE SUL
LAVORO E SULLE CONOSCENZE
CHE DOVRANNO ESSERE PROPRIE
DEL BIOMECCANICO.
• Neurofisiologia
• Biomeccanica
• Allenamento ideomotorio
fisiologia
U
na gru! Chi di noi non ha mai
visto l’oggetto rappresentato
nella figura qui a lato?
Questa macchina costruita
dall’uomo compie lavori altrimenti
impossibili. Certo, nessuno di noi si
sogna di ritenerla superiore all’essere che
l’ha creata o di pensarla autonoma solo
perché compie qualcosa che a noi risulta
impossibile. Nemmeno pensiamo che
possa funzionare senza l’intervento e il
controllo dell’uomo stesso. Quindi se
dovessimo identificare la parte prioritaria
del funzionamento della gru non
avremmo difficoltà a vederla nel suo
operatore.Avrebbe senso quindi pensare
a una gru solo come un insieme di leve e
parti meccaniche, separate e indipendenti
da chi le comanda?Avrebbe senso
concentrarci sul lavoro che queste parti
svolgono dimenticando chi le “fa
muovere”? O peggio, sarebbe utile nella
manutenzione della gru scordarsi del
posto di comando con relativi sistemi
collegati a quello operativo (le leve in
questo caso sono gli effettori del
movimento)?
Lasciamo per ora le domande in sospeso,
sperando che l’articolo che state per
Neurofisiologia
del movimento
La base della
biomeccanica
Scienza&Sport/19
del flusso energetico al corpo.
Per questi fattori, tali aspetti relativi
alla capacità dell’individuo di produrre
energia viene definita energetica
perché, quando la si considera o allena,
si pensa a come ottimizzarla.
Questa parte dello scibile
sull’organismo tiene anche conto dei
valori di acqua persa e introdotta e di
quello che ingeriamo e poi
metabolizziamo attraverso i fluidi
ematici: queste sostanze verranno
distribuite ai tessuti e quindi anche a
muscoli e cervello.
Tali componenti usate per fornire
energia saranno utilizzate durante il
gesto atletico e consumate per
permettere ai muscoli stessi di
funzionare. Ad esempio, i crampi
potrebbero essere la conseguenza di una
mancanza di ATP, insieme alla perdita
di sali, che irrigidisce il muscolo
bloccando il ciclo dei ponti, ossia quel
meccanismo del sarcomero che
sfruttando l’accoppiamento delle
proteine dell’actina, della miosina e
l’energia dell’ATP permette la
contrazione del muscolo e quindi il
movimento. Per cui un atleta ben
allenato dovrà saper ben utilizzare le
sue potenzialità contrattili e le sue
riserve energetiche, affaticando meno il
cuore (frequenza e gettata cardiaca),
permettendo una buona ossigenazione
dei tessuti con una frequenza
respiratoria ottimale per l’attività che si
sta svolgendo (debito di ossigeno). Da
questa semplice spiegazione
comprendiamo il perché ultimamente ci
si sia concentrati nell’allenare gli
aspetti energetici, il cuore e i polmoni,
allo sforzo attraverso l’allenamento
funzionale o muscolare, cioè quello dei
muscoli (gli esecutori del movimento).
Ma proprio come nel nostro esempio
iniziale, non andrebbero dimenticati gli
altri fattori.
info@ergoconsult.it
Mauro Testa
• RESPONSABILE SCIENTIFICO DI BIOMOOVE
LAB E BIOMECCANICO
• HA LAVORATO COME BIOMECCANICO AL
BELLINZONA, AL CHIEVO, AL PARMA E PER
ULTIMO AL BOLOGNA
▼
opera attraverso l’uso di energia e come
quelle costruite dall’uomo, ha bisogno
di essere creata partendo dalla
trasformazione dalle sostanze che si
inseriscono nel corpo. Questo processo,
che rappresenta il metabolismo della
macchina umana, avviene per
disgregazione delle sostanze che
ingeriamo (processo definito
catabolismo), ma – a differenza delle
macchine motorie create dall’uomo – la
stessa fonte di nutrimento serve come
raccolta di materia prima per riparare,
mantenere e sostituire parti della
macchina stessa (processo chiamato
anabolismo). Infatti, dalle proteine che
ingeriamo ricaviamo alcuni aminoacidi
(i costituenti della catena proteica),
essenziali per la vita e che il nostro
corpo non è in grado di produrre.
Come una buona macchina, anche noi
abbiamo dei serbatoi che conservano
quegli elementi indispensabili in caso
di richiesta energetica suppletiva, come
avviene durante un’attività fisica.
Il nostro corpo ha bisogno di zuccheri
(cervello e muscoli ne sono i principali
fruitori) e allora li conserviamo
sotto forma di glicogeno nel fegato,
pronto a trasformarli, e nei muscoli,
pronti a usarli. Inoltre, sotto forma di
trigliceridi nel tessuto adiposo
immagazziniamo gli acidi grassi che
verranno mobilizzati quando vi sarà
bisogno di molta energia.
Infatti, quest’
ultimi, più degli zuccheri, attraverso il
loro catabolismo possono produrre
molta dell’energia che è sfruttata per far
funzionare la macchina umana.
Tale energia è legata alla molecola
dell’ATP (adenosin-trisfosfato) ed alla
sua trasformazione in ADP e a volte in
AMP (adenosin di fosfato e
monofosfato). Senza dimenticare anche
la produzione di CP, creatinfostato, che
concorre con l’ATP al mantenimento
20/Scienza&Sport
Gli altri fattori determinanti
Fattori come quello meccanico o
biomeccanico e quello psicologico,
sebbene conosciuti, sono poco
approfonditi e soprattutto utilizzati
nel mondo sportivo allo scopo di
incrementare performance e prevenire
infortuni, non solo di natura traumatica.
Questi ultimi sono diventati per molti
club un vero problema.
Proviamo a fare un breve esempio per
sottolineare questo aspetto prima di
addentrarci nel tema vero di questo
articolo. Un normale stato di ansia o di
preoccupazione è frequentemente
presente in un atleta prima della gara.
Questo aspetto psicologico (e con esso
molti altri), agendo sul sistema
ortosimpatico, può aumentare
la frequenza cardiaca, introdurre un
maggior numero di catecolamine in
circolo che concorrono allo stesso
effetto, alterando così con la frequenza
cardiaca anche la gettata sistolica.
Il conseguente aumento della velocità
del flusso di sangue riduce la
permanenza del sangue venoso (o
meglio del globulo rosso) all’interno
dell’alveolo, ed essendo ridotto il suo
tempo di passaggio (generalmente
0,75 s necessari allo scambio dei gas in
condizioni normali), la perfusione
d’ossigeno potrebbe risultare alterata.
Dato che l’ossigeno è un elemento
ossidativo necessario a produrre energia
attraverso la formazione di ATP (nel
contesto aerobico), comprendiamo
come anche semplici eventi emozionali
o mentali possano alterare la
performance, nonostante si abbia
lavorato ottimamente in settimana.
Mentre nei contesti di anaerobiosi,
eventi emozionali possono giocare sulla
motivazione a eseguire un gesto
modificando comunque la prestazione
finale, questo nonostante l’allenamento.
Tutto ciò ci porta al controllo o al
SNC, cioè al sistema nervoso
centrale, che presiede tutte queste
attività e quindi anche quelle
motorie.
Il controllo
Ma come fa il SNC a coordinare,
elaborare ed eseguire un gesto
sottoposto a comando o riflesso
(autonomo)? Il nostro movimento è
programmato e coordinato nel nostro
cervello, la corteccia dello stesso
insieme al cervelletto, al sistema
talamico e sub-talamico invia attraverso
le vie piramidali il segnale elettrico che
concorre a permetterci di muoverci e ci
consente di svolgere performance
sportive (figura 1). L’area corticale
insieme a quella sotto-corticale e al
cervelletto sono dunque i veri
organizzatori del nostro movimento e
della nostra capacità di relazionarci con
l’ambiente che ci circonda (figura 2).
Ci permettono con l’interazione
dell’area visiva di correlare noi stessi
al movimento di oggetti che
osserviamo oppure ad aree attorno a
noi con cui interagiamo,
programmando di conseguenza il nostro
gesto e le nostre reazioni. Nella
corteccia somato-sensoriale e in
particolare nel solco intraparietale
disposto tra l’area di Brodmann e l’area
visiva a livello occipitale (vedi figura 1,
area associativa posteriore) vengono
elaborate informazioni generalmente
provenienti dall’area esterocettiva più
rilevante nella nostra corteccia (quella
visiva), utili al movimento e alla
decisione motoria come quelle
raffigurate nella figura 3, che ci
consentono anche di “espandere” le
nostre sensazioni a oggetti esterni al
nostro corpo come racchette da tennis
oppure la nostra stessa macchina
mentre parcheggiamo.
Questa parte è chiamata PEF e
rappresenta la porzione retinotopica
degli oggetti che osserviamo (potrebbe
quest’area riguardare i movimenti tattici
proposti dall’allenatore di calcio o
fisiologia
Scienza&Sport/21
basket in campo?). Nello specifico:
1. la PAF è il campo parietale del
braccio e rappresenta la porzione
retinotopica nello spazio peri-
personale più vicino;
2. la PGF è il campo parietale della
presa e rappresenta l’informazione
richiesta per prendere un oggetto;
3. la PFF è il campo parietale della
faccia e codifica localizzazioni
rispetto alla testa.
I sensori
La macchina motoria umana è dotata
di molti sensori. Alcuni registrano e
notificano al cervello dati relativi
alla pressione e vibrazione; altri sono
inerenti alla propriocezione (cioè alla
posizione del corpo); altri ancora sono
termici, chimici, osmotici, oppure
passano informazioni di pericolo o di
dolore (i cosiddetti nocicettori).
Alcuni di loro presiedono la percezione
di accelerazione, velocità ed equilibrio
o ci riferiscono circa i sapori, rumori
e ciò che vediamo.
Questi sensori inviano informazioni
al cervello permettendoci di analizzare,
capire e reagire a ciò che ci circonda.
Alcuni sensori sono invece sulla pelle,
conducendo le informazioni relative
a ciò che tocchiamo o, se nei piedi,
al punto in cui mettiamo il nostro
peso. Ognuno di questi media a una
risposta diversa.
Alcuni, i tonici, si adattano allo stimolo
lentamente conducendo anche
lentamente il segnale al cervello.
Altri, i fasici, invece, inviano segnali al
medesimo a velocità da Formula 1, con
tempi brevi di adattamento allo stimolo.
Tutti questi, come in un’ordinata rete
stradale, danno precedenza ai segnali
provenienti dai sensori del dolore che
avvertono di un pericolo e sono
in grado di creare stimoli riflessi
dall’esecuzione rapidissima (0,40 ms),
come l’allontanamento di un arto da
una fonte calda (urente).
fisiologia
Area associativa
anteriore
Corteccia uditiva
primaria
Corteccia
associativa visiva
Putamen
Talamo
Coda del
caudato
Cervelletto
Testa del
caudato
Globo
pallido
Corteccia visiva
Cervelletto
PGF
PFF
PAF
PEF
PGF
PFF
PAF
PEF
ANTERIORE
S D
POSTERIORE
Corteccia
premotoria
Corteccia
motoria primaria
Corteccia
somatosensoriale
primaria Corteccia associativa
somatosensoriale
unimodale
Corteccia
associativa
posteriore
Figura 1
Il cervello.
Le aree della
corteccia
deputate
al controllo.
Figura 2
Le aree di
elaborazione
del pensiero.
Figura 3
La PEF.
Le aree di
percezione
di noi e
dell’ambiente
22/Scienza&Sport
Alcuni sono posti superficialmente, altri
più in profondità.
La sensibilità sensoriale di una zona
del corpo si definisce acuità.
Per esempio alcune aree del corpo come
i piedi, le mani o la zona del sacro sono
ad alta acuità sensoriale.
Alcuni sensori sono nei muscoli stessi e
forniscono informazioni o mediano la
contrazione muscolare anche a velocità
differenti.
Il complesso del Golgi, ad esempio,
posto in serie rispetto al muscolo dà
indicazioni circa un suo stiramento
eccessivo proteggendo il medesimo.
Il fuso neuromuscolare dà
informazioni sullo stato di contrazione
muscolare e permette il mantenimento
del tono che ci consente di vivere
vincendo la forza di gravità (sistema
tendineo del Golgi e fuso
neuromuscolare – figure 4, 5 e 6).
Infatti questa tenderebbe a far cadere
il tronco con piegamento delle
ginocchia, ma lo stiramento muscolare
attiva i sensori del muscolo che lo
contraggono permettendoci la stazione
eretta o il mantenimento della postura.
Questi sensori cooperano con altri che
sono allocati all’interno delle
articolazioni. Tali sinergie ci
permettono il movimento volontario
attraverso i riflessi involontari (il
miotatico ad esempio), che attiviamo
senza il bisogno di un nostro controllo
diretto dei fasci muscolari o meglio
delle unità motorie più adatte a
correggere tali disequilibri. Va detto
che, mentre i riflessi sono innati, i gesti
correlati sono allenabili per tutta la
durata della nostra vita essendo il nostro
SNC molto plastico. Cosa manca
dunque? Il collegamento tra ciò che
percepiamo e ciò che facciamo. Lo
stimolo afferente raggiunge il corno
posteriore del midollo spinale, il quale,
in modo diretto e quindi senza il
coinvolgimento del SNC, invia un
segnale attraverso un motoneurone
alfa, posto nel corno anteriore del
midollo, al muscolo (in questo caso il
quadricipite) che, contraendosi,
mantiene la postura eretta (effettore –
figura 7).
Questi stimoli, non necessitando di una
risposta programmata, sono come già
detto velocissimi. Se così non fosse
sarebbe per noi impossibile gestire
l’equilibrio. Ma che dire se la risposta
motoria necessitasse di qualcosa di più
complesso, come nel caso di quelle che
spesso si attuano in attività motorie
fisiologia
Fibre motoneuroni
gamma
Fibre motoneuroni
gamma
Fuso
neuromuscolare
Fibre sensoriali
IA
Neuroni sensoriali
al SNC
Fibre γ dal SNC
Fibra nervosa
Tendine
Organo del Golgi
Fibre muscolari
Fibre γ dal SNC
Neurone afferente
Capsula
Collagene
Fibre
intrafusali
Fibre
extrafusali
Fuso
neuromuscolare
Organo tendineo
del Golgi
Figura 4
Fibra muscolare,
tendine e
allocazione del
sistema tendineo
del Golgi.
Figura 5
I neurorecettori
del muscolo
e del tendine.
Figura 6
Il fuso
neuromuscolare.
Scienza&Sport/23
fisiologia
Nucleo
Corpo
cellulare
Guaina mielinica
Assone
Dentrite
Nodo di Ranvier
Bottone
terminale
Bottone
terminale
Assone
terminale
Spazio
sinaptico
Bottone
dendridico
Bottone
terminale
Bottone
terminale
Bottone
terminale
Vescicola
sinaptica
Densità
postsinaptica
Cervelletto
CORTECCIA
MOTORIA
MOTONEURONE
ALFA
Corteccia visiva
Corteccia sensoriale
Corteccia uditiva
Gangli della base
Idea di movimento;
piano motorio
Pulsioni
affettive/cognitive
sportive? Ci dobbiamo aspettare tempi
più lunghi di risposta, dovendo lo
stimolo percorrere un tragitto più lungo
prima di dare il comando all’effettore,
cioè al muscolo?
I gesti conseguenti a una attività
volontaria possono avere anche tempi
di 0,200 millisecondi. Nel caso dei più
veloci, come quelli balistici, arrivano a
tempi di esecuzione addirittura
dimezzati rispetto a quello citato.
Questo è reso possibile perché
geneticamente abbiamo neuroni ricchi
di guaina mielinica che permette al
potenziale elettrico di saltare attraverso
i nodi di Ranvier (figura 8) oppure
grazie alla capacità di produrre e poi
recuperare i neurotrasmettitori nello
spazio sinaptico (figura 9). Esistono
inoltre organuli come la cellula di
Schwann collocate nell’area della
guaina mielica lungo l’assone facenti
parte della glia. Sono cellule molto
piccole: essendo meno lunghe
dell’assone, ne necessitano più di una.
Sono corresponsabili del fenomeno
definito “retroazione” o “feedback” in
inglese. Questa è la capacità di un
Figura 9
Lo spazio
sinaptico.
Figura 8
Il neurone.
Figura 7
Le vie dello
stimolo
motorio.
Vie piramidali
24/Scienza&Sport
sistema di autoregolarsi, tenendo conto
degli effetti scaturiti dalla
modificazione delle caratteristiche del
sistema stesso. Negli esseri viventi, ad
esempio, i sistemi a retroazione
negativa e positiva sono ampiamente
utilizzati per regolare l’omeostasi
dell’organismo (figura 10).
La riduzione dei tempi
esecutivi a seguito
dell’apprendimento
Occorre cominciare a chiarire quali
siano gli organi sensoriali coinvolti
nell’analizzare il movimento, come
questo avviene e attraverso quali vie.
Infine, grazie a tale analisi, occorre
anche concludere se l’apprendimento
di un gesto può ridurre i tempi esecutivi
e qual è il metodo più efficace per
ottenerlo (figura 11).
Perfezionare un gesto atletico anche
complesso è senz’altro possibile.
A molti di noi verrebbero in mente
i ballerini di danza classica che provano
e riprovano un certo movimento di
fronte a uno specchio osservandosi.
Perché questo? L’osservazione di se
stessi o di altri mentre si effettua il
compito motorio da eseguire è uno dei
sistemi di apprendimento più
importanti. Questo perché
l’osservazione stimola una parte
neuronale scoperta di recente attraverso
studi sui macachi e poi confermata
sull’uomo con RMN. Non a caso tale
parte si chiama area dei neuroni a
specchio. Si è visto infatti che questi
interagiscono non solo
nell’apprendimento vocale di una nuova
lingua semplicemente ascoltandola, ma
che intervengono anche
nell’apprendimento motorio
osservandolo. Quindi è proprio nella
fisiologia dei rapporti che l’occhio o
la visione intrattiene con il SNC che
dobbiamo cercare le nostre risposte.
Nella corteccia cerebrale l’area
visiva è ben rappresentata nella zona
occipitale, quindi nella zona posteriore
della testa. La parte centrale di
quest’area corrisponde alla fovea
oculare, che è l’area retinica
maggiormente ricca di ricettori a forma
conica deputati alla visione fine,
quella centrale posta di fronte ai nostri
fisiologia
Figura 10
Vie di azione e
retroazione.
Esecuzione
del movimento
Inizio
del movimento
Programmazione
del movimento
IDEA
Aree di
associazione
corticale
Gangli della
base
CervellettoCervelletto
Corteccia
motoria
Cervelletto
MOVIMENTO
Vie di retroazione
Scienza&Sport/25
occhi in buona illuminazione.
Le aree periferiche invece
corrispondono alla visione periferica
o corpuscolare. Quest’area,
capovolgendo l’immagine retinica,
elabora quello che percepiamo
attraverso la vista inviandolo alle aree
sensoriali, cioè a quelle aree che dal
punto di vista della percezione visiva
costruiscono il movimento, danno
continuità allo stesso permettendoci
di vederlo non a scatti, e ci consentono
di vedere i gesti di tutti gli esseri
biologici che si muovono attorno a noi.
L’elaborazione sensoriale è così
accurata e precisa non solo per l’uso
dell’occhio, ma anche grazie al
concorso degli altri sensori, che sulla
corteccia cerebrale potremo costruire
un’immagine stilizzata di come
vengono percepite le aree del nostro
corpo. Questa immagine si chiama
Homunculus motorio ed è
una rappresentazione somatotopica
(figura 12).
Non a caso le aree maggiormente
rappresentate sono quella del viso
e della mano con quella degli arti
inferiori. È stato appurato che questa
rappresentazione è plastica, cioè può
variare nel corso della vita e
l’allenamento motorio e
l’apprendimento possono giocare a
questo scopo un ruolo molto
importante. Abbiamo visto che gli occhi
sono la via principale d’ingresso del
vissuto da un punto di vista visivo.
L’elaborazione continua dell’area visiva
della corteccia e la sinergia con le parti
(come vedremo) motorie permettono
non solo di avere una perfetta
rappresentazione del proprio corpo, ma
di elaborare delle strategie di feedback
e di feedforward.
fisiologia
Figura 11
Dallo stimolo
al movimento.
Figura 12
“Homunculus
motorio”.
FIBRA AFFERENTE
UNO O PIÙ NEURONI
CENTRALI
FIBRA EFFERENTEEFFETTORE
RECETTORE
Dallo stimolo al movimento
26/Scienza&Sport
La prima consente di ricordare errori e
strategie errate commesse nel passato
correggendo in questo modo
il movimento mentre lo si esegue.
La seconda invece consente di
prevedere la strategia migliore di
movimento, basandosi sulle esperienze
vissute. La relazione tra l’area delle
corteccia visiva e le aree sensoriali
poste nella zona parietale del cervello
permette inoltre di costruire delle
mappe relative al movimento.
Tali aree, come scritto sopra, creano in
sincronia schemi e percezioni
modificabili continuamente.
Qual è il range visivo dell’occhio e
della visione binoculare? Fino a dove
possiamo sviluppare la nostra capacità
cinematica? Sicuramente essendo
l’occhio ricco di muscolatura veloce, è
allenabile e migliorabile.
Il biomeccanico quindi si occuperà
anche della valutazione visiva.
Fino a 62° abbiamo una visione
binoculare centrata maggiormente nei
punti della retina più ricca di
bastoncelli, avendo quindi una
definizione e una chiarezza
dell’immagine non ottimali. Abbiamo
pertanto sin qui stabilito l’importanza
dell’occhio come sensore fondamentale
nello stabilire forme, posizione e
movimento degli oggetti. Abbiamo
visto che possiamo imparare imitandolo
(allenamento ideo motorio) e “crescere”
dal punto di vista motorio sviluppando
movimenti più congrui, otteniamo lo
stesso osservandoci e notando i nostr
errori motori. Abbiamo in poche parole
sviluppato una capacità cinematica,
registrando una sorta di film che ci
creerà a feedback degli schemi di
comportamento e degli schemi motori.
Come avviene dunque la
trasformazione da questa capacità
cinematica a quella cinetica?
La corteccia del nostro cervello è divisa
per aree a seconda del compito che
quella zona di corteccia deve
presiedere. La collaborazione e la
sinergia di queste aree si fa tanto più
efficiente e fluida quanto più la si usa.
Quindi più stimoli passano dall’area
somato-sensoriale a quella motoria
tanto più questi passeranno con minor
dispendio energetico e con efficacia.
Il flusso delle informazioni segue la
seguente direzione: dall’area somato-
sensoriale le informazioni vengono
inviate all’area prefrontale e poi a
quella pre-motoria. Alcune passano
direttamente dall’area somato-sensitiva
a quella motoria primaria (area di
Brodmann). Per rafforzare i concetti
sin qui espressi, cioè quelli relativi al
passaggio delle informazioni tra un’area
della corteccia e l’altra, possiamo
paragonare tale flusso di informazioni
all’acqua piovana che, cadendo su una
collina, crea il miglior percorso per
arrivare a valle. Più acqua passerà in
questo piccolo torrente più il suo letto
sarà profondo e quindi le sue sponde
alte, con meno rischi che l’acqua
esondi dal rivolo. Lo stesso vale per il
gesto ripetuto a cui è stato dato un input
tale da indirizzarlo nel percorso
ottimale per il raggiungimento del
movimento finale. Maggiori saranno i
passaggi del segnale e, se preferite, le
ripetizioni sottoposte a controllo del
sistema visivo dello stesso atleta,
maggiori saranno la facilità
nell’eseguire il compito motorio e
l’efficacia, riducendo rischi di errori
nell’esecuzione dello stesso.
Inoltre, da un punto di vista energetico
è stato dimostrato che tale processo
riduce affaticamento e sforzo.
L’esecuzione ripetuta crea aree di
sinapsi che si formano con la
ripetizione di un nuovo gesto, cioè
quelle aree di collegamento tra neuroni
dove l’assone di uno entra in contatto
con il dendrite o il corpo cellulare di
un’altra cellula nervosa, passando così
il segnale elettrico di depolarizzazione
della membrana cellulare, che
fisiologia
Scienza&Sport/27
rappresenta l’informazione o il
comando. Il dendrite (da dendros =
albero) è quella parte della cellula che
ricorda i rami di un albero.
Dato che il passaggio del segnale
richiede l’uso di energia (la
depolarizzazione della membrana
cellulare avviene attraverso l’apertura
dei canali del sodio e quella dei canali
del calcio con l’uso poi successivo
della pompa del sodio per riportare la
membrana a riposo ripolarizzandola con
uso di ATP), una frequenza di scarica
maggiore determina un incremento
energetico (quindi di deplezione) delle
sostanze che presiedono all’energetica
del gesto (fatica). Attenzione però
perché qui entra in gioco la
multifattorialità e multidisciplinarietà
presente nella biomeccanica.
Se chiediamo l’esecuzione ripetuta di
un gesto a scopo di apprendimento, ma
non abbiamo ad esempio valutato la
presenza o meno di limitazioni
funzionali (nelle articolazioni – ROM –
o nella differenza di stiffness della
muscolatura antagonista al gesto
richiesto) che possono impedirne una
fluida e libera esecuzione, creiamo solo
sovraccarichi muscolari.
Di conseguenza, il muscolo agente
sull’articolazione non libero o con
resistenze si iper-attiverà, ma in realtà
non si tratterà di maggior forza.
Sarà soltanto un maggior e inutile
dispendio energetico e frustrazione
nell’atleta, il quale si sentirà incapace
di eseguire come desidera il gesto
richiesto, mentre in realtà sono le sue
problematiche biomeccaniche a
limitarlo.
Non dovremo inoltre dimenticare che
la creazione di schemi motori a cui la
corteccia frontale (quella del lobo
frontale deputata agli schemi motori)
può attingere, proteggerà anche l’atleta
da eventi inaspettati, ottimizzando la
risposta a riflessi che, come sappiamo,
sono per lo più automatizzati, ma che
poi richiedono una risposta volontaria
atta a evitare danni o cadute. Così
vedendo la cosa si può prospettare tale
allenamento cinetico motorio come un
elemento di prevenzione ai traumi.
Altre strutture importanti perché
cooperanti alla programmazione del
movimento sono i gangli della base o
area limbica, che svolgono un ruolo di
filtro. Nei gangli infatti troviamo il
talamo, importante crocevia di tante
afferenze sensitive.
Anche il cervelletto collabora allo
sviluppo del programma motorio, oltre
che a presiedere l’equilibrio e la postura
della macchina motoria.
Il percorso
del pensiero
Semplificando la sequenza con la quale
avvengono i passaggi e la velocità con
la quale vengono elaborati, otteniamo
quel fattore in più per il miglioramento
della performance in gara. Infatti,
quando il movimento è diventato
un’idea motoria (questo avviene dopo
la costruzione di schemi motori
controllati dall’individuo stesso
attraverso la sua osservazione), allora
questo costantemente verrà sottoposto a
controllo dalle vie di retroazione che
afferiscono alle strutture del SNC già
citate prima. Essendo un processo
plastico, cioè modificabile, è quindi
anche allenabile, perché dunque non
farlo? Per coloro che ancora possono
nutrire dubbi al riguardo, vale la pena
ricordare che è esperienza comune
restare stupiti dopo aver ascoltato la
propria voce. Come la voce, spesso
ipotizziamo e immaginiamo il nostro
movimento in modo difforme dalla
realtà ed è solo guardandoci che
possiamo notare come l’idea di noi
stessi e del nostro movimento
andrebbero modificati. Anche perché è
proprio questo schema che ci induce a
prendere decisioni di tipo motorio,
decisioni che possono non essere in
fisiologia
28/Scienza&Sport
quel momento alla nostra portata.
Questo causa, come conseguenza,
l’ingenerare l’errore o il movimento
scomposto che potrebbe degenerare
anche in un infortunio di tipo
traumatico.
Conclusioni
Se volessimo seguire lo svolgimento
e la programmazione del movimento
volontario o intenzionale e quindi
volessimo ordinare per importanza le
strutture a esso preposte, potremo
pensare ai gradi di un esercito.
Il sensore o i sensori percepiscono
l’ambiente e la postura del corpo: sono
i sottotenenti. Le fibre nervose
conducono il segnale al midollo.
Le fibre nervose sono i tenenti.
Il midollo spinale, le vie piramidali ed
extrapiramidali conducono alla sede del
comando. Questi sono i capitani.
La sede del comando, corteccia,
cervelletto, tronco encefalico e talamo
ricevono le informazioni, le elaborano,
le associano, le correlano al vissuto, le
modificano o correggono e le salvano
nell’area della memoria. Poi inviano
il comando tramite fibre nervose
discendenti (tenenti) o ai corni anteriori
del midollo spinale (capitani), che
tramite motoneuroni alfa (sottotenenti)
comandano il movimento.
L’area di comando è rappresentata dai
generali, i più alti in grado.
Il movimento a questo punto è nel
motoneurone alfa (sottotenente) che
comanda alle unità motorie, cioè quel
gruppo di fibre muscolari (il muscolo è
come un mazzo di asparagi dove ogni
asparago è una fibra), che necessita di
reclutare, per il movimento e per le
caratteristiche dello stesso, forza
(generalmente fibre bianche o
intermedie), resistenza (le fibre rosse) o
la velocità (fibre bianche o pallide
esclusivamente glicolitiche
anaerobiche). L’unità motoria è il
maresciallo maggiore. Come il
muscolo nel suo insieme. Non
dimentichiamoci che internamente
al muscolo ci sono fibre (strutture intra-
fusali) che lo controllano e
lo coordinano e che funzionano da
sensori posti in parallelo (fusi
neuromuscolari) o in serie (sistema
del Golgi) e che queste sono i suoi
sottotenenti.
Il maresciallo a sua volta agisce su
tendini, i caporali, i quali a loro volta
a motivo della contrazione muscolare
agiscono sulle strutture ossee del
sistema locomotore, i soldati.
Stando a questo esempio semplice ma
efficace, chi stiamo allenando oggi?
Solo i sottufficiali e la truppa! Ma
potrebbe un esercito reggersi ed essere
efficace senza l’addestramento anche
dei suoi ufficiali e generali?
La risposta è ovvia. Rispondere
positivamente andrebbe contro ogni
logica e ogni esperienza comune. Ma
questo è ciò che avviene oggi nello
sport! Sappiamo che ufficiali e generali
sono allenabili nell’esercito che
rappresenta la macchina corporea
umana e sappiamo che esistono metodi
per farlo. Perché non avvalercene?
Inoltre, come è possibile evitare di
analizzare e valutare l’andamento
biologico di una macchina complessa
come quella umana?
Oggi questo è possibile attraverso la
biomeccanica per conoscere, valutare e
considerare gli aspetti neurofisiologici e
meccanici. Gli atleti di oggi
rappresentano, e non soltanto dal punto
di vista umano, un grande valore nelle
mani delle società che ne gestiscono le
prestazioni. Avere “macchine
biologiche” così di alto valore e
preziose senza la necessaria cura per
la loro salute e mostrare loro incuria,
è insensato e anti-economico.
Non seguire lo sviluppo motorio
e non conoscere i limiti funzionali dei
nostri atleti in fase evolutiva, lo è
altrettanto! ■
fisiologia
www.scienzaesport.it
La bibliografia a pagina 67

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Neurofisiologia del movimento, la base della biomeccanica

  • 1. 18/Scienza&Sport leggere vi aiuti a comprendere come nella nostra semplificazione biomeccanica l’uomo sia paragonabile a una macchina di natura biologica e di come la parte di controllo, quella neurofisiologica, sia integrante della macchina stessa e del suo buon funzionamento e, come tale, sia essenziale monitorarla e ancor più conoscerne le basi del funzionamento fisiologico. La macchina motoria umana ha potenzialità veramente incredibili e l’equilibrio tra le varie componenti è fondamentale per il suo buon funzionamento. Infatti, oltre a migliorare l’efficienza delle sue attività, ne certifica l’efficacia. Potremmo quindi sostenere che spesso l’equilibrio è l’opposto della patologia o dell’infortunio. Questo equilibrio si definisce omeostasi e diversi fattori concorrono al suo mantenimento. Si pensi ad esempio alla temperatura corporea: sistemi come l’evaporazione del sudore quando questa si alza a causa di un aumento del metabolismo, o i brividi di freddo (contrazioni della muscolatura liscia autonoma che contraendosi produce calore) quando questa si abbassa, intervengono per mantenerla nel giusto range. L’energia Le macchine che conosciamo funzionano attraverso l’uso di energia. È un processo sconosciuto in natura? O unico? No, anche la macchina umana Abstract LA CONOSCENZA DELLA NEUROFISIOLOGIA, CIOÈ DI QUEI MECCANISMI DI DECISIONE CHE PRESIEDONO IL GESTO SPORTIVO APRONO NUOVI CAPITOLI RELATIVAMENTE ALL’ANALISI DELL’ATLETA E AL SUO ALLENAMENTO. LA RICHIESTA DI UNA SEMPRE MAGGIORE PERFORMANCE UNITA ALLA SALVAGUARDIA DELL’ATLETA DAL PUNTO DI VISTA DEGLI INFORTUNI CI OBBLIGA A INVESTIGARE MAGGIORMENTE IN QUESTA DIREZIONE, AREA ANCORA TUTTA DA ESPLORARE E CODIFICARE. L’ARTICOLO CONTIENE UN’ELABORAZIONE DIFFERENTE DI INFORMAZIONI A MOLTI GIÀ NOTA, LO SCOPO È QUELLO DI CONDIVIDERE UNA VISIONE DEL TRAINING DEL FUTURO E CONTEMPORANEAMENTE SUL LAVORO E SULLE CONOSCENZE CHE DOVRANNO ESSERE PROPRIE DEL BIOMECCANICO. • Neurofisiologia • Biomeccanica • Allenamento ideomotorio fisiologia U na gru! Chi di noi non ha mai visto l’oggetto rappresentato nella figura qui a lato? Questa macchina costruita dall’uomo compie lavori altrimenti impossibili. Certo, nessuno di noi si sogna di ritenerla superiore all’essere che l’ha creata o di pensarla autonoma solo perché compie qualcosa che a noi risulta impossibile. Nemmeno pensiamo che possa funzionare senza l’intervento e il controllo dell’uomo stesso. Quindi se dovessimo identificare la parte prioritaria del funzionamento della gru non avremmo difficoltà a vederla nel suo operatore.Avrebbe senso quindi pensare a una gru solo come un insieme di leve e parti meccaniche, separate e indipendenti da chi le comanda?Avrebbe senso concentrarci sul lavoro che queste parti svolgono dimenticando chi le “fa muovere”? O peggio, sarebbe utile nella manutenzione della gru scordarsi del posto di comando con relativi sistemi collegati a quello operativo (le leve in questo caso sono gli effettori del movimento)? Lasciamo per ora le domande in sospeso, sperando che l’articolo che state per Neurofisiologia del movimento La base della biomeccanica
  • 2. Scienza&Sport/19 del flusso energetico al corpo. Per questi fattori, tali aspetti relativi alla capacità dell’individuo di produrre energia viene definita energetica perché, quando la si considera o allena, si pensa a come ottimizzarla. Questa parte dello scibile sull’organismo tiene anche conto dei valori di acqua persa e introdotta e di quello che ingeriamo e poi metabolizziamo attraverso i fluidi ematici: queste sostanze verranno distribuite ai tessuti e quindi anche a muscoli e cervello. Tali componenti usate per fornire energia saranno utilizzate durante il gesto atletico e consumate per permettere ai muscoli stessi di funzionare. Ad esempio, i crampi potrebbero essere la conseguenza di una mancanza di ATP, insieme alla perdita di sali, che irrigidisce il muscolo bloccando il ciclo dei ponti, ossia quel meccanismo del sarcomero che sfruttando l’accoppiamento delle proteine dell’actina, della miosina e l’energia dell’ATP permette la contrazione del muscolo e quindi il movimento. Per cui un atleta ben allenato dovrà saper ben utilizzare le sue potenzialità contrattili e le sue riserve energetiche, affaticando meno il cuore (frequenza e gettata cardiaca), permettendo una buona ossigenazione dei tessuti con una frequenza respiratoria ottimale per l’attività che si sta svolgendo (debito di ossigeno). Da questa semplice spiegazione comprendiamo il perché ultimamente ci si sia concentrati nell’allenare gli aspetti energetici, il cuore e i polmoni, allo sforzo attraverso l’allenamento funzionale o muscolare, cioè quello dei muscoli (gli esecutori del movimento). Ma proprio come nel nostro esempio iniziale, non andrebbero dimenticati gli altri fattori. info@ergoconsult.it Mauro Testa • RESPONSABILE SCIENTIFICO DI BIOMOOVE LAB E BIOMECCANICO • HA LAVORATO COME BIOMECCANICO AL BELLINZONA, AL CHIEVO, AL PARMA E PER ULTIMO AL BOLOGNA ▼ opera attraverso l’uso di energia e come quelle costruite dall’uomo, ha bisogno di essere creata partendo dalla trasformazione dalle sostanze che si inseriscono nel corpo. Questo processo, che rappresenta il metabolismo della macchina umana, avviene per disgregazione delle sostanze che ingeriamo (processo definito catabolismo), ma – a differenza delle macchine motorie create dall’uomo – la stessa fonte di nutrimento serve come raccolta di materia prima per riparare, mantenere e sostituire parti della macchina stessa (processo chiamato anabolismo). Infatti, dalle proteine che ingeriamo ricaviamo alcuni aminoacidi (i costituenti della catena proteica), essenziali per la vita e che il nostro corpo non è in grado di produrre. Come una buona macchina, anche noi abbiamo dei serbatoi che conservano quegli elementi indispensabili in caso di richiesta energetica suppletiva, come avviene durante un’attività fisica. Il nostro corpo ha bisogno di zuccheri (cervello e muscoli ne sono i principali fruitori) e allora li conserviamo sotto forma di glicogeno nel fegato, pronto a trasformarli, e nei muscoli, pronti a usarli. Inoltre, sotto forma di trigliceridi nel tessuto adiposo immagazziniamo gli acidi grassi che verranno mobilizzati quando vi sarà bisogno di molta energia. Infatti, quest’ ultimi, più degli zuccheri, attraverso il loro catabolismo possono produrre molta dell’energia che è sfruttata per far funzionare la macchina umana. Tale energia è legata alla molecola dell’ATP (adenosin-trisfosfato) ed alla sua trasformazione in ADP e a volte in AMP (adenosin di fosfato e monofosfato). Senza dimenticare anche la produzione di CP, creatinfostato, che concorre con l’ATP al mantenimento
  • 3. 20/Scienza&Sport Gli altri fattori determinanti Fattori come quello meccanico o biomeccanico e quello psicologico, sebbene conosciuti, sono poco approfonditi e soprattutto utilizzati nel mondo sportivo allo scopo di incrementare performance e prevenire infortuni, non solo di natura traumatica. Questi ultimi sono diventati per molti club un vero problema. Proviamo a fare un breve esempio per sottolineare questo aspetto prima di addentrarci nel tema vero di questo articolo. Un normale stato di ansia o di preoccupazione è frequentemente presente in un atleta prima della gara. Questo aspetto psicologico (e con esso molti altri), agendo sul sistema ortosimpatico, può aumentare la frequenza cardiaca, introdurre un maggior numero di catecolamine in circolo che concorrono allo stesso effetto, alterando così con la frequenza cardiaca anche la gettata sistolica. Il conseguente aumento della velocità del flusso di sangue riduce la permanenza del sangue venoso (o meglio del globulo rosso) all’interno dell’alveolo, ed essendo ridotto il suo tempo di passaggio (generalmente 0,75 s necessari allo scambio dei gas in condizioni normali), la perfusione d’ossigeno potrebbe risultare alterata. Dato che l’ossigeno è un elemento ossidativo necessario a produrre energia attraverso la formazione di ATP (nel contesto aerobico), comprendiamo come anche semplici eventi emozionali o mentali possano alterare la performance, nonostante si abbia lavorato ottimamente in settimana. Mentre nei contesti di anaerobiosi, eventi emozionali possono giocare sulla motivazione a eseguire un gesto modificando comunque la prestazione finale, questo nonostante l’allenamento. Tutto ciò ci porta al controllo o al SNC, cioè al sistema nervoso centrale, che presiede tutte queste attività e quindi anche quelle motorie. Il controllo Ma come fa il SNC a coordinare, elaborare ed eseguire un gesto sottoposto a comando o riflesso (autonomo)? Il nostro movimento è programmato e coordinato nel nostro cervello, la corteccia dello stesso insieme al cervelletto, al sistema talamico e sub-talamico invia attraverso le vie piramidali il segnale elettrico che concorre a permetterci di muoverci e ci consente di svolgere performance sportive (figura 1). L’area corticale insieme a quella sotto-corticale e al cervelletto sono dunque i veri organizzatori del nostro movimento e della nostra capacità di relazionarci con l’ambiente che ci circonda (figura 2). Ci permettono con l’interazione dell’area visiva di correlare noi stessi al movimento di oggetti che osserviamo oppure ad aree attorno a noi con cui interagiamo, programmando di conseguenza il nostro gesto e le nostre reazioni. Nella corteccia somato-sensoriale e in particolare nel solco intraparietale disposto tra l’area di Brodmann e l’area visiva a livello occipitale (vedi figura 1, area associativa posteriore) vengono elaborate informazioni generalmente provenienti dall’area esterocettiva più rilevante nella nostra corteccia (quella visiva), utili al movimento e alla decisione motoria come quelle raffigurate nella figura 3, che ci consentono anche di “espandere” le nostre sensazioni a oggetti esterni al nostro corpo come racchette da tennis oppure la nostra stessa macchina mentre parcheggiamo. Questa parte è chiamata PEF e rappresenta la porzione retinotopica degli oggetti che osserviamo (potrebbe quest’area riguardare i movimenti tattici proposti dall’allenatore di calcio o fisiologia
  • 4. Scienza&Sport/21 basket in campo?). Nello specifico: 1. la PAF è il campo parietale del braccio e rappresenta la porzione retinotopica nello spazio peri- personale più vicino; 2. la PGF è il campo parietale della presa e rappresenta l’informazione richiesta per prendere un oggetto; 3. la PFF è il campo parietale della faccia e codifica localizzazioni rispetto alla testa. I sensori La macchina motoria umana è dotata di molti sensori. Alcuni registrano e notificano al cervello dati relativi alla pressione e vibrazione; altri sono inerenti alla propriocezione (cioè alla posizione del corpo); altri ancora sono termici, chimici, osmotici, oppure passano informazioni di pericolo o di dolore (i cosiddetti nocicettori). Alcuni di loro presiedono la percezione di accelerazione, velocità ed equilibrio o ci riferiscono circa i sapori, rumori e ciò che vediamo. Questi sensori inviano informazioni al cervello permettendoci di analizzare, capire e reagire a ciò che ci circonda. Alcuni sensori sono invece sulla pelle, conducendo le informazioni relative a ciò che tocchiamo o, se nei piedi, al punto in cui mettiamo il nostro peso. Ognuno di questi media a una risposta diversa. Alcuni, i tonici, si adattano allo stimolo lentamente conducendo anche lentamente il segnale al cervello. Altri, i fasici, invece, inviano segnali al medesimo a velocità da Formula 1, con tempi brevi di adattamento allo stimolo. Tutti questi, come in un’ordinata rete stradale, danno precedenza ai segnali provenienti dai sensori del dolore che avvertono di un pericolo e sono in grado di creare stimoli riflessi dall’esecuzione rapidissima (0,40 ms), come l’allontanamento di un arto da una fonte calda (urente). fisiologia Area associativa anteriore Corteccia uditiva primaria Corteccia associativa visiva Putamen Talamo Coda del caudato Cervelletto Testa del caudato Globo pallido Corteccia visiva Cervelletto PGF PFF PAF PEF PGF PFF PAF PEF ANTERIORE S D POSTERIORE Corteccia premotoria Corteccia motoria primaria Corteccia somatosensoriale primaria Corteccia associativa somatosensoriale unimodale Corteccia associativa posteriore Figura 1 Il cervello. Le aree della corteccia deputate al controllo. Figura 2 Le aree di elaborazione del pensiero. Figura 3 La PEF. Le aree di percezione di noi e dell’ambiente
  • 5. 22/Scienza&Sport Alcuni sono posti superficialmente, altri più in profondità. La sensibilità sensoriale di una zona del corpo si definisce acuità. Per esempio alcune aree del corpo come i piedi, le mani o la zona del sacro sono ad alta acuità sensoriale. Alcuni sensori sono nei muscoli stessi e forniscono informazioni o mediano la contrazione muscolare anche a velocità differenti. Il complesso del Golgi, ad esempio, posto in serie rispetto al muscolo dà indicazioni circa un suo stiramento eccessivo proteggendo il medesimo. Il fuso neuromuscolare dà informazioni sullo stato di contrazione muscolare e permette il mantenimento del tono che ci consente di vivere vincendo la forza di gravità (sistema tendineo del Golgi e fuso neuromuscolare – figure 4, 5 e 6). Infatti questa tenderebbe a far cadere il tronco con piegamento delle ginocchia, ma lo stiramento muscolare attiva i sensori del muscolo che lo contraggono permettendoci la stazione eretta o il mantenimento della postura. Questi sensori cooperano con altri che sono allocati all’interno delle articolazioni. Tali sinergie ci permettono il movimento volontario attraverso i riflessi involontari (il miotatico ad esempio), che attiviamo senza il bisogno di un nostro controllo diretto dei fasci muscolari o meglio delle unità motorie più adatte a correggere tali disequilibri. Va detto che, mentre i riflessi sono innati, i gesti correlati sono allenabili per tutta la durata della nostra vita essendo il nostro SNC molto plastico. Cosa manca dunque? Il collegamento tra ciò che percepiamo e ciò che facciamo. Lo stimolo afferente raggiunge il corno posteriore del midollo spinale, il quale, in modo diretto e quindi senza il coinvolgimento del SNC, invia un segnale attraverso un motoneurone alfa, posto nel corno anteriore del midollo, al muscolo (in questo caso il quadricipite) che, contraendosi, mantiene la postura eretta (effettore – figura 7). Questi stimoli, non necessitando di una risposta programmata, sono come già detto velocissimi. Se così non fosse sarebbe per noi impossibile gestire l’equilibrio. Ma che dire se la risposta motoria necessitasse di qualcosa di più complesso, come nel caso di quelle che spesso si attuano in attività motorie fisiologia Fibre motoneuroni gamma Fibre motoneuroni gamma Fuso neuromuscolare Fibre sensoriali IA Neuroni sensoriali al SNC Fibre γ dal SNC Fibra nervosa Tendine Organo del Golgi Fibre muscolari Fibre γ dal SNC Neurone afferente Capsula Collagene Fibre intrafusali Fibre extrafusali Fuso neuromuscolare Organo tendineo del Golgi Figura 4 Fibra muscolare, tendine e allocazione del sistema tendineo del Golgi. Figura 5 I neurorecettori del muscolo e del tendine. Figura 6 Il fuso neuromuscolare.
  • 6. Scienza&Sport/23 fisiologia Nucleo Corpo cellulare Guaina mielinica Assone Dentrite Nodo di Ranvier Bottone terminale Bottone terminale Assone terminale Spazio sinaptico Bottone dendridico Bottone terminale Bottone terminale Bottone terminale Vescicola sinaptica Densità postsinaptica Cervelletto CORTECCIA MOTORIA MOTONEURONE ALFA Corteccia visiva Corteccia sensoriale Corteccia uditiva Gangli della base Idea di movimento; piano motorio Pulsioni affettive/cognitive sportive? Ci dobbiamo aspettare tempi più lunghi di risposta, dovendo lo stimolo percorrere un tragitto più lungo prima di dare il comando all’effettore, cioè al muscolo? I gesti conseguenti a una attività volontaria possono avere anche tempi di 0,200 millisecondi. Nel caso dei più veloci, come quelli balistici, arrivano a tempi di esecuzione addirittura dimezzati rispetto a quello citato. Questo è reso possibile perché geneticamente abbiamo neuroni ricchi di guaina mielinica che permette al potenziale elettrico di saltare attraverso i nodi di Ranvier (figura 8) oppure grazie alla capacità di produrre e poi recuperare i neurotrasmettitori nello spazio sinaptico (figura 9). Esistono inoltre organuli come la cellula di Schwann collocate nell’area della guaina mielica lungo l’assone facenti parte della glia. Sono cellule molto piccole: essendo meno lunghe dell’assone, ne necessitano più di una. Sono corresponsabili del fenomeno definito “retroazione” o “feedback” in inglese. Questa è la capacità di un Figura 9 Lo spazio sinaptico. Figura 8 Il neurone. Figura 7 Le vie dello stimolo motorio. Vie piramidali
  • 7. 24/Scienza&Sport sistema di autoregolarsi, tenendo conto degli effetti scaturiti dalla modificazione delle caratteristiche del sistema stesso. Negli esseri viventi, ad esempio, i sistemi a retroazione negativa e positiva sono ampiamente utilizzati per regolare l’omeostasi dell’organismo (figura 10). La riduzione dei tempi esecutivi a seguito dell’apprendimento Occorre cominciare a chiarire quali siano gli organi sensoriali coinvolti nell’analizzare il movimento, come questo avviene e attraverso quali vie. Infine, grazie a tale analisi, occorre anche concludere se l’apprendimento di un gesto può ridurre i tempi esecutivi e qual è il metodo più efficace per ottenerlo (figura 11). Perfezionare un gesto atletico anche complesso è senz’altro possibile. A molti di noi verrebbero in mente i ballerini di danza classica che provano e riprovano un certo movimento di fronte a uno specchio osservandosi. Perché questo? L’osservazione di se stessi o di altri mentre si effettua il compito motorio da eseguire è uno dei sistemi di apprendimento più importanti. Questo perché l’osservazione stimola una parte neuronale scoperta di recente attraverso studi sui macachi e poi confermata sull’uomo con RMN. Non a caso tale parte si chiama area dei neuroni a specchio. Si è visto infatti che questi interagiscono non solo nell’apprendimento vocale di una nuova lingua semplicemente ascoltandola, ma che intervengono anche nell’apprendimento motorio osservandolo. Quindi è proprio nella fisiologia dei rapporti che l’occhio o la visione intrattiene con il SNC che dobbiamo cercare le nostre risposte. Nella corteccia cerebrale l’area visiva è ben rappresentata nella zona occipitale, quindi nella zona posteriore della testa. La parte centrale di quest’area corrisponde alla fovea oculare, che è l’area retinica maggiormente ricca di ricettori a forma conica deputati alla visione fine, quella centrale posta di fronte ai nostri fisiologia Figura 10 Vie di azione e retroazione. Esecuzione del movimento Inizio del movimento Programmazione del movimento IDEA Aree di associazione corticale Gangli della base CervellettoCervelletto Corteccia motoria Cervelletto MOVIMENTO Vie di retroazione
  • 8. Scienza&Sport/25 occhi in buona illuminazione. Le aree periferiche invece corrispondono alla visione periferica o corpuscolare. Quest’area, capovolgendo l’immagine retinica, elabora quello che percepiamo attraverso la vista inviandolo alle aree sensoriali, cioè a quelle aree che dal punto di vista della percezione visiva costruiscono il movimento, danno continuità allo stesso permettendoci di vederlo non a scatti, e ci consentono di vedere i gesti di tutti gli esseri biologici che si muovono attorno a noi. L’elaborazione sensoriale è così accurata e precisa non solo per l’uso dell’occhio, ma anche grazie al concorso degli altri sensori, che sulla corteccia cerebrale potremo costruire un’immagine stilizzata di come vengono percepite le aree del nostro corpo. Questa immagine si chiama Homunculus motorio ed è una rappresentazione somatotopica (figura 12). Non a caso le aree maggiormente rappresentate sono quella del viso e della mano con quella degli arti inferiori. È stato appurato che questa rappresentazione è plastica, cioè può variare nel corso della vita e l’allenamento motorio e l’apprendimento possono giocare a questo scopo un ruolo molto importante. Abbiamo visto che gli occhi sono la via principale d’ingresso del vissuto da un punto di vista visivo. L’elaborazione continua dell’area visiva della corteccia e la sinergia con le parti (come vedremo) motorie permettono non solo di avere una perfetta rappresentazione del proprio corpo, ma di elaborare delle strategie di feedback e di feedforward. fisiologia Figura 11 Dallo stimolo al movimento. Figura 12 “Homunculus motorio”. FIBRA AFFERENTE UNO O PIÙ NEURONI CENTRALI FIBRA EFFERENTEEFFETTORE RECETTORE Dallo stimolo al movimento
  • 9. 26/Scienza&Sport La prima consente di ricordare errori e strategie errate commesse nel passato correggendo in questo modo il movimento mentre lo si esegue. La seconda invece consente di prevedere la strategia migliore di movimento, basandosi sulle esperienze vissute. La relazione tra l’area delle corteccia visiva e le aree sensoriali poste nella zona parietale del cervello permette inoltre di costruire delle mappe relative al movimento. Tali aree, come scritto sopra, creano in sincronia schemi e percezioni modificabili continuamente. Qual è il range visivo dell’occhio e della visione binoculare? Fino a dove possiamo sviluppare la nostra capacità cinematica? Sicuramente essendo l’occhio ricco di muscolatura veloce, è allenabile e migliorabile. Il biomeccanico quindi si occuperà anche della valutazione visiva. Fino a 62° abbiamo una visione binoculare centrata maggiormente nei punti della retina più ricca di bastoncelli, avendo quindi una definizione e una chiarezza dell’immagine non ottimali. Abbiamo pertanto sin qui stabilito l’importanza dell’occhio come sensore fondamentale nello stabilire forme, posizione e movimento degli oggetti. Abbiamo visto che possiamo imparare imitandolo (allenamento ideo motorio) e “crescere” dal punto di vista motorio sviluppando movimenti più congrui, otteniamo lo stesso osservandoci e notando i nostr errori motori. Abbiamo in poche parole sviluppato una capacità cinematica, registrando una sorta di film che ci creerà a feedback degli schemi di comportamento e degli schemi motori. Come avviene dunque la trasformazione da questa capacità cinematica a quella cinetica? La corteccia del nostro cervello è divisa per aree a seconda del compito che quella zona di corteccia deve presiedere. La collaborazione e la sinergia di queste aree si fa tanto più efficiente e fluida quanto più la si usa. Quindi più stimoli passano dall’area somato-sensoriale a quella motoria tanto più questi passeranno con minor dispendio energetico e con efficacia. Il flusso delle informazioni segue la seguente direzione: dall’area somato- sensoriale le informazioni vengono inviate all’area prefrontale e poi a quella pre-motoria. Alcune passano direttamente dall’area somato-sensitiva a quella motoria primaria (area di Brodmann). Per rafforzare i concetti sin qui espressi, cioè quelli relativi al passaggio delle informazioni tra un’area della corteccia e l’altra, possiamo paragonare tale flusso di informazioni all’acqua piovana che, cadendo su una collina, crea il miglior percorso per arrivare a valle. Più acqua passerà in questo piccolo torrente più il suo letto sarà profondo e quindi le sue sponde alte, con meno rischi che l’acqua esondi dal rivolo. Lo stesso vale per il gesto ripetuto a cui è stato dato un input tale da indirizzarlo nel percorso ottimale per il raggiungimento del movimento finale. Maggiori saranno i passaggi del segnale e, se preferite, le ripetizioni sottoposte a controllo del sistema visivo dello stesso atleta, maggiori saranno la facilità nell’eseguire il compito motorio e l’efficacia, riducendo rischi di errori nell’esecuzione dello stesso. Inoltre, da un punto di vista energetico è stato dimostrato che tale processo riduce affaticamento e sforzo. L’esecuzione ripetuta crea aree di sinapsi che si formano con la ripetizione di un nuovo gesto, cioè quelle aree di collegamento tra neuroni dove l’assone di uno entra in contatto con il dendrite o il corpo cellulare di un’altra cellula nervosa, passando così il segnale elettrico di depolarizzazione della membrana cellulare, che fisiologia
  • 10. Scienza&Sport/27 rappresenta l’informazione o il comando. Il dendrite (da dendros = albero) è quella parte della cellula che ricorda i rami di un albero. Dato che il passaggio del segnale richiede l’uso di energia (la depolarizzazione della membrana cellulare avviene attraverso l’apertura dei canali del sodio e quella dei canali del calcio con l’uso poi successivo della pompa del sodio per riportare la membrana a riposo ripolarizzandola con uso di ATP), una frequenza di scarica maggiore determina un incremento energetico (quindi di deplezione) delle sostanze che presiedono all’energetica del gesto (fatica). Attenzione però perché qui entra in gioco la multifattorialità e multidisciplinarietà presente nella biomeccanica. Se chiediamo l’esecuzione ripetuta di un gesto a scopo di apprendimento, ma non abbiamo ad esempio valutato la presenza o meno di limitazioni funzionali (nelle articolazioni – ROM – o nella differenza di stiffness della muscolatura antagonista al gesto richiesto) che possono impedirne una fluida e libera esecuzione, creiamo solo sovraccarichi muscolari. Di conseguenza, il muscolo agente sull’articolazione non libero o con resistenze si iper-attiverà, ma in realtà non si tratterà di maggior forza. Sarà soltanto un maggior e inutile dispendio energetico e frustrazione nell’atleta, il quale si sentirà incapace di eseguire come desidera il gesto richiesto, mentre in realtà sono le sue problematiche biomeccaniche a limitarlo. Non dovremo inoltre dimenticare che la creazione di schemi motori a cui la corteccia frontale (quella del lobo frontale deputata agli schemi motori) può attingere, proteggerà anche l’atleta da eventi inaspettati, ottimizzando la risposta a riflessi che, come sappiamo, sono per lo più automatizzati, ma che poi richiedono una risposta volontaria atta a evitare danni o cadute. Così vedendo la cosa si può prospettare tale allenamento cinetico motorio come un elemento di prevenzione ai traumi. Altre strutture importanti perché cooperanti alla programmazione del movimento sono i gangli della base o area limbica, che svolgono un ruolo di filtro. Nei gangli infatti troviamo il talamo, importante crocevia di tante afferenze sensitive. Anche il cervelletto collabora allo sviluppo del programma motorio, oltre che a presiedere l’equilibrio e la postura della macchina motoria. Il percorso del pensiero Semplificando la sequenza con la quale avvengono i passaggi e la velocità con la quale vengono elaborati, otteniamo quel fattore in più per il miglioramento della performance in gara. Infatti, quando il movimento è diventato un’idea motoria (questo avviene dopo la costruzione di schemi motori controllati dall’individuo stesso attraverso la sua osservazione), allora questo costantemente verrà sottoposto a controllo dalle vie di retroazione che afferiscono alle strutture del SNC già citate prima. Essendo un processo plastico, cioè modificabile, è quindi anche allenabile, perché dunque non farlo? Per coloro che ancora possono nutrire dubbi al riguardo, vale la pena ricordare che è esperienza comune restare stupiti dopo aver ascoltato la propria voce. Come la voce, spesso ipotizziamo e immaginiamo il nostro movimento in modo difforme dalla realtà ed è solo guardandoci che possiamo notare come l’idea di noi stessi e del nostro movimento andrebbero modificati. Anche perché è proprio questo schema che ci induce a prendere decisioni di tipo motorio, decisioni che possono non essere in fisiologia
  • 11. 28/Scienza&Sport quel momento alla nostra portata. Questo causa, come conseguenza, l’ingenerare l’errore o il movimento scomposto che potrebbe degenerare anche in un infortunio di tipo traumatico. Conclusioni Se volessimo seguire lo svolgimento e la programmazione del movimento volontario o intenzionale e quindi volessimo ordinare per importanza le strutture a esso preposte, potremo pensare ai gradi di un esercito. Il sensore o i sensori percepiscono l’ambiente e la postura del corpo: sono i sottotenenti. Le fibre nervose conducono il segnale al midollo. Le fibre nervose sono i tenenti. Il midollo spinale, le vie piramidali ed extrapiramidali conducono alla sede del comando. Questi sono i capitani. La sede del comando, corteccia, cervelletto, tronco encefalico e talamo ricevono le informazioni, le elaborano, le associano, le correlano al vissuto, le modificano o correggono e le salvano nell’area della memoria. Poi inviano il comando tramite fibre nervose discendenti (tenenti) o ai corni anteriori del midollo spinale (capitani), che tramite motoneuroni alfa (sottotenenti) comandano il movimento. L’area di comando è rappresentata dai generali, i più alti in grado. Il movimento a questo punto è nel motoneurone alfa (sottotenente) che comanda alle unità motorie, cioè quel gruppo di fibre muscolari (il muscolo è come un mazzo di asparagi dove ogni asparago è una fibra), che necessita di reclutare, per il movimento e per le caratteristiche dello stesso, forza (generalmente fibre bianche o intermedie), resistenza (le fibre rosse) o la velocità (fibre bianche o pallide esclusivamente glicolitiche anaerobiche). L’unità motoria è il maresciallo maggiore. Come il muscolo nel suo insieme. Non dimentichiamoci che internamente al muscolo ci sono fibre (strutture intra- fusali) che lo controllano e lo coordinano e che funzionano da sensori posti in parallelo (fusi neuromuscolari) o in serie (sistema del Golgi) e che queste sono i suoi sottotenenti. Il maresciallo a sua volta agisce su tendini, i caporali, i quali a loro volta a motivo della contrazione muscolare agiscono sulle strutture ossee del sistema locomotore, i soldati. Stando a questo esempio semplice ma efficace, chi stiamo allenando oggi? Solo i sottufficiali e la truppa! Ma potrebbe un esercito reggersi ed essere efficace senza l’addestramento anche dei suoi ufficiali e generali? La risposta è ovvia. Rispondere positivamente andrebbe contro ogni logica e ogni esperienza comune. Ma questo è ciò che avviene oggi nello sport! Sappiamo che ufficiali e generali sono allenabili nell’esercito che rappresenta la macchina corporea umana e sappiamo che esistono metodi per farlo. Perché non avvalercene? Inoltre, come è possibile evitare di analizzare e valutare l’andamento biologico di una macchina complessa come quella umana? Oggi questo è possibile attraverso la biomeccanica per conoscere, valutare e considerare gli aspetti neurofisiologici e meccanici. Gli atleti di oggi rappresentano, e non soltanto dal punto di vista umano, un grande valore nelle mani delle società che ne gestiscono le prestazioni. Avere “macchine biologiche” così di alto valore e preziose senza la necessaria cura per la loro salute e mostrare loro incuria, è insensato e anti-economico. Non seguire lo sviluppo motorio e non conoscere i limiti funzionali dei nostri atleti in fase evolutiva, lo è altrettanto! ■ fisiologia www.scienzaesport.it La bibliografia a pagina 67