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Filosofia 5^A
Chiara Ponti 5^ A A.S. 2014 - 2015 Pag. 1
Locke  Studia come avviene la conoscenza umana. Sostiene che:
la mente è una tabula rasa, un foglio bianco su cui l’intelletto “scrive” le idee fornite dai sensi.
Tutto ciò che esula dall’esperienza, cioè dai sensi, non è conoscibile.
L’esperienza fornisce tutte le idee che sono solo idee semplici, sia che derivino dall’esperienza
esterna o interna:
Esperienza esterna, proviene dalle cose naturali e produce le idee di sensazione o
sensazioni (colore, forme, sapori), tutte le qualità che attribuiamo alle cose; il materiale da
costruzione della nostra mente, che ha una funzione passiva e raccoglie le idee provenienti dai
5 sensi;
Esperienza interna, è relativa allo spirito dell’uomo, che ci permette di conoscere i nostri
pensieri, dubbi, sensazioni (gioia, rabbia, dolore, noia) e vissuti. L’esperienza esterna produce
le idee di riflessione, cioè tutte quelle idee che si riferiscono a operazioni del nostro spirito.
Locke mantiene il principio cartesiano secondo cui avere un’idea significa percepirla, cioè
esserne coscienti; attraverso questo principio, nel primo dei 4 libri del Saggio, critica gli innatisti
sostenendo la tesi che non esistano principi innati.
Per elaborare la critica parte da un unico argomento: le idee non ci sono quando non sono
pensate, quindi per l’idea esistere significa essere pensata. La critica di Locke si basa quindi su
due argomentazioni:
1. LE IDEE INNATE dovrebbero esistere in tutti gli uomini, in realtà non è così perché da
soggetti, come i bambini, selvaggi e quelli con deficit mentali, non sono pensate e quindi
non esistono.
2. I PRINCIPI ETICI, che dovrebbero essere innati, in quanto universali secondo Locke non lo
sono perché non esiste consenso sulle norme morali (ciò che è giusto per un popolo
non lo è per un altro)  RELATIVISMO ETICO (RISALENTE ALLA SOFISTICA – V SEC a.C. –
Protagora “siamo misura di tutte le cose”).
Filosofia 5^A
Chiara Ponti 5^ A A.S. 2014 - 2015 Pag. 2
La nostra mente non è solo passiva, ma anche attiva perché paragona, confronta e riunisce le
idee semplici ed elabora le idee complesse in modi infinitamente vari. Le idee complesse, infinite
di numero, sono però riconducibili a tre categorie fondamentali:
Idee di modo: del complesso che non possiedono un’esistenza autonoma, ma dipendente
da una sostanza, come l’idea di bellezza, manifestazione di una sostanza;
Idee di sostanza: che vengono considerate come entità particolari distinte e sussistenti di
per sé (es. oro, cavallo, rosa, mela).
Idee di relazioni: idee complesse che nascono dal confronto delle idee fra loro per cui
l’intelletto stabilisce un rapporto fra di esse (es. idea di padre, madre, figlio, nonno,
suocero, genero, alunno). Tra loro ci sono quelle di causa ed effetto (fumo  incendio).
Locke ha elaborato un’importante critica dell’idea di sostanza che, insieme alla critica di Hume
al concetto di causalità, costituisce uno dei contributi più efficaci dell’empirismo allo
sviluppo critico del pensiero moderno.
Locke critica l’idea di sostanza corporea e spirituale considerate come “x” sconosciute, per
spiegare questo ricorre alla storia dell’indiano a cui viene chiesto su cosa poggi la terra; egli
risponde “su un grosso elefante”; alla successiva domanda su cosa poggi l’elefante, dice “su una
grossa tartaruga” . Quando gli viene chiesto su cosa poggi la tartaruga egli risponde “su qualcosa
che io non conosco affatto”. Quindi l’idea alla quale noi diamo il nome generale di sostanza non è
altro tale supposto, ma sconosciuto sostegno delle qualità effettivamente esistenti.
La sostanza corporea è il substrato sconosciuto delle qualità sensibili, mentre la sostanza
spirituale è il substrato sconosciuto di quello che fa lo spirito.
Egli non giunge a negare la sostanza, ma si limita a sostenere che è inconoscibile, oscura.
Berkeley nega la sostanza materiale, mentre Hume negherà sia la sostanza materiale che
spirituale.
L’esperienza fornisce il materiale della conoscenza, ma non è la conoscenza stessa che ha
sempre a che fare con le idee, anche se non si riduce alle idee. Consiste nella percezione di un
accordo o di un disaccordo delle idee tra loro, quindi la conoscenza può essere di due tipi:
1. onoscenza intuitiva per evidenza immediata è la più chiara e certa che l’uomo possa
raggiungere e che ci permette di conoscere immediatamente che, per esempio, il dolce non
è amaro, che il verde non è il rosso, che il suono del violino non è il pianoforte, fondamento
di ogni altra conoscenza. Essa è quindi il fondamento della certezza dell’evidenza di ogni
altra conoscenza;
2. Dimostrativa, per evidenza non immediata, ma basata su un procedimento o
dimostrazione della ragione che è portata a ragionare. In questa conoscenza individua le
Filosofia 5^A
Chiara Ponti 5^ A A.S. 2014 - 2015 Pag. 3
certezza dell’esistenza di Dio, formulando la prova della sua esistenza a posteriori
(partendo dall’esperienza) e, utilizzando il principio di causalità, sostiene che il nulla non
può produrre nulla. Se c’è qualcosa e la sua esistenza è testimoniata dai sensi, allora
questo qualcosa è stato prodotto da qualcos’altro; non potendo risalire all’infinito in questa
catena di cose che esistono e sono causate da altro, dobbiamo ammettere l’esistenza di un
essere eterno, onnipotente, sommamente intelligente potente che ha prodotto ogni cosa,
tale essere è Dio.
3. Conoscenza delle cose esistenti al di fuori delle idee noi siamo certi degli oggetti che
vediamo, quando non li vediamo più non ne siamo più certi, ma è probabile che esistano.
Le conoscenze che abbiamo sono certe in piccola quantità e sono sensibili (intuitiva) e non
sensibili (esistenza del nostro io, per intuizione, ed esistenza di Dio). Accanto alla
conoscenza certa, limitata all’intuizione e alla sensazione attuale, esiste la conoscenza
probabile, probabilistica e quindi non assoluta, per la sua conformità con l’esperienza
passata o con la testimonianza di altri uomini.
La conoscenza certa e quella probabile costituiscono il dominio della ragione, da quest’ultima si
distingue la fede, che si basa sulla rivelazione, la cui attendibilità comunque è decisa dalla
ragione. Per ciò la fede non può turbare, né negare la ragione.
Il ‘700 è l’età dei lumi (immagine metaforica per indicare la ragione umana) in continuità con la
cultura razionalistica che celebra la ragione come fonte dell’uomo.
In contrapposizione al razionalismo sta la filosofia empiristica il cui maggior rappresentante è
David Hume, filosofo scozzese, con il quale l’empirismo raggiunge le conseguenze estreme,
approdando allo scetticismo.
Il suo obiettivo è comprendere la natura umana; a differenza dei filosofi precedenti, che hanno
individuato nella ragione umana il tratto distintivo dell’uomo, Hume ha come tesi di fondo la
convinzione che la natura umana è molto complessa per cui la ragione è condizionata anche
da altre componenti, come gli istinti e i sentimenti, che rappresentano i veri moventi delle
azioni umane. Secondo lui l’esperienza non dà validità alla conoscenza che, ricondotta nei suoi
legittimi confini, è solamente probabile.
Hume nasce il 26.04.1711 a Edimburgo in Scozia. Studia giurisprudenza. Tra il 1739 e 1740 scrive
Trattato sulla natura umana. Nel 1742 compone la prima parte dei Saggi morali e politici. Dal 1745
al 1748 ha incarichi politici; nel 1748 scrive Ricerca sull’intelletto umano (rielaborazione della prima
parte del Trattato). Nel 1752 compone una Storia dell’Inghilterra – pubblicazione di La ricerca sui
principi della morale (rielaborazione della terza parte del Trattato). Nel 1757 Storia naturale della
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religione - composizione dei Dialoghi sulla religione naturale (pubblicati postumi nel 1779). Nel
1763 è segretario del conte di Hartford, due anni dopo torna in Inghilterra, dove dal 1769 fa una
vita ritirata e tranquilla. E muore il 25.08.1776.
Hume vuole costruire una scienza della natura umana su base sperimentale che offra un’analisi
sistematica delle varie dimensioni che costituiscono la natura umana: dalla ragione al sentimento,
dalla morale alla politica.
Hume è convinto che l’uomo costituisce la “capitale” del regno del sapere ed è indispensabile
studiarla in modo scientifico. Alla base del procedimento seguito da Hume stanno l’empirismo e
una tendenza anti-metafisica.
Hume nell’analizzare la conoscenza umana considera:
1. la portata e la forza dell’intelletto umano;
2. la natura delle idee
3. le operazioni che compiamo nei nostri ragionamenti.
Hume si occupa di conoscenza riprendendo la teoria empiristica secondo cui la conoscenza
umana è costituita da percezioni; il primo passo che fa è dividere le percezioni della mente in
due classi in base alla forza e vivacità con cui colpiscono lo spirito:
1) impressioni  sono le percezioni nel momento in cui sono attuali, quelle cioè che penetrano
con maggior forza ed evidenza nella conoscenza, quando cioè colpiscono la nostra coscienza.
Sono tutte le sensazioni, passioni ed emozioni, nell’atto in cui vediamo o sentiamo, amiamo o
odiamo, desideriamo o vogliamo.
2) idee o pensieri  Le immagini illanguidite sbiadite, illanguidite delle impressioni che si
formano quando pensiamo / ricordiamo un’impressione vissuta nel momento precedente
all’attuale.
IMPRESSIONE
Dolore provato per un calore eccessivo
IDEA
Ricordo del dolore
Vivace e forte Meno vivace e forte
Precede l’idea Deriva dalla corrispondente impressione
LOCKE BERKELEY HUME
L’unico oggetto della
conoscenza umana è
l’idea, ma riconosce al di
là di essa, la realtà
dell’io, di Dio e delle
Nega la materia, ma
ammette la realtà degli
spiriti finiti e dello spirito
infinito di Dio, entrambe
riconducibili alle idee
Risolve totalmente la realtà nel
molteplice delle idee attuali e non
ammette nulla al di là delle cose.
Per spiegare la realtà del mondo e dell’io
usa soltanto le impressioni, le idee e i
Filosofia 5^A
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cose. loro rapporti. La conclusione scettica è
inevitabile
Hume nega l’esistenza delle idee astratte, perché secondo lui esistono solo idee particolari,
assunte come segni di altre idee particolari a esse simili.
L’abitudine spiega la capacità di richiamare un gruppo di idee tra loro simili, cioè la funzione del
segno; l’abitudine, considerata da Locke e Berkeley una funzione puramente logica del segno
concettuale, diventa in Hume un fatto psicologico.
Hume ha una concezione filosofica che nega valore alla metafisica, perché secondo lui le idee su
cui essa si fonda sono astratte e non riconducibili all’esperienza percettiva e come tali
rappresentano delle costruzioni arbitrarie senza fondamento. Nella Ricerca sull’Intelletto Umano
utilizza parole pungenti nei confronti dei libri di teologia e metafisica affermando che “contengono
solo sofisticherie ed inganni” e dovrebbero essere bruciati.
Per il filosofo conoscere significa stabilire delle relazioni tra le idee, cioè connetterle. È
consapevole di aver scoperto una legge che caratterizza l’intelletto umano, il principio di
associazione, una sorta di legge gravitazionale della mente umana, secondo cui la mente umana
ha una tendenza ad associare. Essa è una “dolce forza” che ci trasporta inavvertitamente da
un’idea all’altra:
 per somiglianza;
 per contiguità nello spazio o nel tempo;
 per relazione di causa – effetto.
Hume ritiene che l’associazione stia alla base delle “idee complesse” di Locke, anche se si
propone di mostrare come ad esse non corrisponda alcuna impressione. Lo spazio e il tempo non
sono “impressioni”, ma modi con cui le impressioni si dispongono dinanzi allo spirito.
Hume recupera l’idea dell’io su base emozionale, negando la tesi del razionalismo per cui la
ragione era anche il fondamento dell’agire umano (come sosterrà in seguito anche Kant); afferma
inoltre che il fondamento della morale è il sentimento, in particolare di simpatia, che
rappresenta l’agire umano e porta gli uomini ad essere solidali gli uni con gli altri; il
sentimento di simpatia è il fondamento dell’etica e dell’agire sociale.
Hume riprende le argomentazioni di Locke nella critica all’idea di sostanza, distinguendo tra
sostanza materiale e spirituale, ovvero l’io (anima). La nostra mente percepisce solo le impressioni
delle singole cose (oro  lucentezza, colore, levigatezza).
LOCKE HUME
(oro  lucentezza, colore, (oro  lucentezza, colore, levigatezza) Esperienza costante
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levigatezza) Esperienza costante
e ripetuta ci presenta in
connessione tali qualità
e ripetuta ci presenta in connessione tali qualità e la nostra
mente è spinta a pensare che tali qualità appartengano
ad un’entità che identifichiamo come una cosa 
sostanza è il nome che per abitudine siamo soliti attribuire
ad un determinato insieme di impressioni costantemente
associate tra loro.
L’errore che la mente commette consiste nel ritenere esistente la cosa come sostanza, mentre è
una semplice compresenza di singole proprietà.
Critica anche la sostanza spirituale sostenendo che sia un flusso caotico di impressioni che
caratterizzano la nostra vita interiore (freddo, amore, odio) e per abitudine siamo portati a
pensare che esse abbiano un fondamento unitario che i filosofi identificano come anima,
ma che per Hume è una semplice compresenza di singolo proprietà dello spirito. Nel Trattato
sulla Natura umana afferma che quando le nostre percezioni sono assenti, cioè nel sonno
profondo, infatti per tutta a sua durata non esistiamo. La morte, secondo Hume, è il
quietamento totale dell’uomo perché con questo evento tutte le nostre percezioni vengono
soppresse e l’uomo, di conseguenza, viene interamente annientato.
La critica al concetto di causalità di Hume, insieme alla critica al concetto di sostanza di Locke è il
più importante risultato conseguito per la filosofia moderna. Il concetto di causalità è di ordine sia
metafisico che scientifico:
metafisico  se è vero è la causa del principio primo di causalità (origine platoniche –
metodo tomistico  parte dai sensi, ne costata i concetti fondamentali arriva al principio di
causalità e infine al concetto di Dio). Criticare questo principio significa colpire nel cuore la
metafisica.
Scientifico  è importante perché da quando è nata la scienza moderna che ricerca le cause
efficienti che produce il fenomeno. Si ha una nuova visione della natura di ordine oggettivo,
non soggettivo; lo scienziato deve ricercare l’ordine di causa – effetto tra le cose. L’ordine
causale è a vantaggio dell’uomo (“sapere è potere” - Bacone)
La relazione di causa – effetto non è né necessaria né oggettivo, ma soggettivo; non è la
realtà ma la mente dell’uomo che porta, in virtù della “dolce forza” a collegare un fenomeno A
(esempio fuoco) a un fenomeno B (esempio incendio). I fenomeni si presentano contigui e in
successione, uno dopo l’altro (hoc post hoc  questo dopo questo) con contiguità, regolarità
e costanza perché l’esperienza ci presenta costantemente associati determinati fenomeni
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che nella nostra mente si ripetono proprio perché essa fa esperienza costante di fenomeni
ripetuti. La mente è portata, per abitudine, a credere1
che Asia causa di B.
La nostra mente commette l’errore di trasformare l’ “hoc post hoc” in “hoc propter hoc”.
Secondo Hume non possiamo conoscere a priori ma si può conoscere solo a posteriori. Non è
contraddittorio pensare che domani il sole potrebbe non sorgere perché la non esperienza non può
garantire nulla al futuro. Non ci sono certezze: da qui lo scetticismo scientifico di Hume ovvero
quella concezione filosofica, che Kant non condividerà, secondo cui la scienza non è fonte di
certezze assolute.
La scienza non certa dà origine allo scetticismo metafisico, che secondo Hume non è un
sapere né certo né valido. Questo concetto viene condiviso da Kant che gli riconosce di “averlo
svegliato dal sonno dogmatico2
”.
1
credenza è una predisposizione naturale dell’uomo che lo porta a pensare in maniera arbitraria che l’esperienza fatta in passato si
ripeterà anche in futuro (il sole che sorge e tramonta) per cui la mente crede che anche domani sarà così (scetticismo scientifico)
2
Dogmatismo: il dogma è una concezione secondo la quale esistono verità indiscutibili che, come tali, devono essere accettate.
Consiste nell’accettare opinioni o dottrine senza interrogarsi preliminarmente sulla loro effettiva conoscenza.
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LA VITA Immanuel Kant nasce nel 1724 a Könisberg, capoluogo della Prussia orientale (oggi
corrisponde alla cittadina di Kalinimbarg della Russia) da famiglia di origine scozzese. Viene
educato, in particolare dalla madre e nel Collegium Friediricanum, nello spirito religioso del
pietismo3
di cui la madre era convinta seguace. Uscito dal collegio studia filosofia, matematica,
teologia e della fisica newtoniana; dopo gli studi diventa precettore privato nelle case patrizie.
Nel 1755 ottiene la libera docenza presso l’università di Könisberg dove svolge per 15 anni i
corsi liberi su varie discipline; nel 1766 è sottobibliotecario nella biblioteca reale e nel 1770
diventa professore ordinario di logica e metafisica a Könisberg, fino alla morte.
L’esistenza di Kant è priva di avvenimenti drammatici e di passioni, con pochi affetti e amicizie,
interamente concentrata sullo sforzo continuo di pensiero che si accompagna ad uno stile di vita
rigidamente abitudinario. Non è estraneo agli avvenimenti politici del suo tempo; simpatizza
con i francesi per gli ideali della rivoluzione diretta a realizzare l’ideale di libertà politica. Il suo
ideale politico era la costituzione repubblicana fondata sul principio di libertà dei membri di
una società, sul principio di indipendenza di tutti e sulla legge dell’eguaglianza, come
cittadini. Il contrasto con il governo prussiano dopo la pubblicazione della seconda edizione (1794)
de La religione entro i limiti della sola ragione. Kant ne Il conflitto delle facoltà (1798), rivendica la
libertà di pensiero e di parola, contro gli arbitri del dispotismo, anche nei confronti della religione.
Negli ultimi anni Kant viene preso da una debolezza senile che lo priva gradualmente di tutte le
sue facoltà.
Muore nel 1804.
CORNICE STORICO – CULTURALE, La cornice storica – culturale in cui vive Kant è
l’Illuminismo (derivazione tedesca  “rischiaramento dalle tenebre per mezzo della luce della
ragione”), il più importante movimento culturale dell’Europa nel Settecento che coinvolge tutti i
campi del sapere (filosofia, letteratura). Nasce nell’Inghilterra di fine Seicento, dalla filosofia di
3
Pietismo: corrente del protestantesimo sorta nel 1600 caratterizzata da rigore etico e una robusta vita di fede. Questa corrente
protestante nella quale viene educato Kant è fondamentale per capire la sua visione della morale come dovere incondizionato e
assoluto.
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Chiara Ponti 5^ A A.S. 2014 - 2015 Pag. 9
John Locke (1632 - 1704), si sviluppa principalmente in Francia, dagli anni 30 del Settecento, per
poi diffondersi nei maggiori paesi d’Europa.
L’espressione “età dei lumi” rimanda alla metafora secondo la quale si esalta la ragione e prevale
un atteggiamento critico verso la tradizione e le religioni positive (Voltaire), che alimentano
l’ignoranza e la superstizione. Gli illuministi si propongono di liberare gli uomini dall’ignoranza e
dalle false credenze per mezzo della luce della ragione.
KANT E L’ILLUMINISMO: Nel 1784 Kant scrive un testo Risposta alla domanda: che cos’è
l’illuminismo?” in cui definisce l’Illuminismo come «l’uscita dell’uomo dallo Stato di minorità4
» inteso
come «l’incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro». Lo Stato di minorità è
imputabile a se stessi ed è dovuta non tanto al difetto di intelligenza, ma alla mancanza del
coraggio necessario per utilizzare al meglio la nostra ragione; da qui il motto degli illuministi
«Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza» in modo critico, libero e
autonomo.
Secondo gli illuministi, e Kant, bisogna saper usare la ragione liberamente e pubblicamente, ciò
significa assumere un atteggiamento problematizzante nei confronti della realtà e di ogni tesi
preconcetta (ragione = organo di verità), lottando contro la tradizione, l’autorità, il potere politico, le
religioni, le metafisiche. Inoltre secondo loro bisogna sforzarsi di sottoporre ogni realtà al
tribunale della ragione5
per distinguere il vero dal falso e individuare ciò che può migliorare la
società, utilizzando la ragione come strumento di progresso. La ragione necessita di un uso
critico, la filosofia di Kant viene infatti chiamata criticismo: il sapere non è erudizione, ma lo
strumento di progresso con un valore civile, finalizzato a migliorare la vita dell’uomo.
Da ciò deriva una diversa interpretazione della figura dell’intellettuale e del suo compito: non è più
il sapiente dedito a speculazioni metafisiche, ma un uomo tra gli altri uomini che lotta per
rendere più abitabile il mondo attraverso un’opera di divulgazione culturale (enciclopedia) e
ricerca del rapporto con il pubblico.
I PERIODI DELLAFILOSOFIADI KANT Le opere di Kant si dividono in tre periodi:
 Fino al 1760, in cui manifesta interesse per le scienze naturali;
 Fino al 1781, in cui manifesta interesse metafisico;
 Dal 1781 in poi, in cui manifesta interesse per la filosofia trascendentale.
LE PRINCIPALI OPERE DEL PERIODO CRITICO Le opere principali di Kant sono:
 Critica della ragion pura, 1781, in cui affronta il problema gnoseologico, la conoscenza;
4
Stato di minorità quando noi non sappiamo usare la nostra ragione.
5
Portare ogni verità davanti al tribunale della ragione. Kant si propone di portare davanti al tribunale della ragione la ragione
stessa per chiarirne strutture e possibilità, nonostante ritenga che i confini della ragione possono essere tracciati solo dalla ragione
stessa che, essendo autonoma non può essere guidata nel suo procedimento dall’esterno.
Filosofia 5^A
Chiara Ponti 5^ A A.S. 2014 - 2015 Pag. 10
 Critica della ragion pratica, 1788, in cui affronta il problema dell’etica e morale6
 Critica del giudizio, 1790, in cui affronta il problema dell’estetica, più precisamente il
sentimento e in particolare il tema della bellezza.
Kant attua una rivoluzione in campo filosofico, sia in campo gnoseologico (conoscenza) ed etico –
morale.
1. Nel
periodo precritico gli studi di Kant sono sia filosofici che scientifici; i suoi scritti infatti rispondono
agli interessi naturalistici propri della sua formazione universitaria come testimoniato dall’opera
Storia naturale universale e teoria del cielo, del 1755, che descrive la formazione dell’intero
sistema cosmico a partire dalla fisica newtoniana.
Accanto ad altre ricerche sui fenomeni fisici, occorre segnalare la dissertazione per la libera
docenza del 1755. La frase della Critica della ragion pratica “Il cielo stellato sopra di me e la legge
morale dentro di me” incisa sulla sua tomba, sintetizza i suoi interessi riscontrabili sia nel periodo
precritico che in quello critico:
A. : richiama a ciò che va oltre e tende all’infinito;
B. : approda ad un esito scettico, secondo lui la metafisica non è una scienza.
Tuttavia si dichiara innamorato deluso della metafisica e riconosce l’anelito perenne7
dell’uomo per la metafisica. La ragione umana è spinta in maniera naturale ad
interrogarsi su questioni di natura metafisica:
a) Da dove veniamo?;
b) Dove andiamo?: il finito non ci basta, da qui la questione
gnoseologica (l’anima esiste? Dio esiste?);
c) Il senso della vita.
2.
.
In questo periodo prevalgono gli interessi filosofici e un primo delinearsi di temi e motivi che
confluiranno nel criticismo. Kant ricorre all’immagine dell’oceano “tenebroso senza sponde o fari” e
di “un abisso senza fondo” in cui soltanto con timore e diffidenza ci si avventura. L’anelito ci porta
6
Etica e morale saranno divise in Hegel
7
L’anelito perenne, nasce nell’età della ragione, e ci porta ad avventurarci oltre l’orizzonte del finito. La metafisica è un ambito che
va oltre le conoscenze possibili dell’uomo. Kant utilizza la metafora dell’isola e dell’oceano: noi abitiamo l’isola dei fenomeni, che è
l’unico mondo che possiamo conoscere scientificamente (valido e certo), ma siamo spinti a navigare nell’oceano. Questa immagine è
già presente negli scritti precritici, quando paragona la metafisica ad un oceano senza sponde, insondabile, un abisso senza fondo. La
metafisica è un ambito che va oltre le conoscenze possibili dell’uomo.
 Isola = è il mondo dei fenomeni, cioè la realtà così come ci appare ed è conoscibile (uti apparent), diversa dalla conoscenza
noumenica, ciò così com’è. Indica la cosa in sé che non è conoscibile (uti sunt);
 Mare = rappresenta l’ambito della metafisica, cioè l’ “abisso senza fondo”
Filosofia 5^A
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ad avventurarci oltre l’orizzonte dell’infinito; l’isola dei fenomeni è la metafora che ci permette di
conoscere in maniera valida e certa, per cercare di andare oltre il finito; la metafisica è un ambito
che va oltre le possibilità conoscitive dell’uomo che si pone delle domande fondamentali:
a. qual è l’origine del cosmo (cioè l’archè da cui tutto ha origine)?;
b. esiste Dio (domanda centrale nella metafisica medievale, in particolare nella patristica
di S. Agostino e nella scolastica di S. Tommaso)?
LA DISSERTAZIONE INAUGURALE DEL 1770. Di questo periodo fa parte la dissertazione inaugurale
del 1770 (titolo originale La forma e i principi del mondo sensibile e intellegibile – De mundi
sensibilis atque intellegibilis forma et princiipis), elaborata per la nomina a professore ordinario
all’università di Konisberg, rappresenta lo spartiacque tra il periodo precritico e quello critico.
Il 1769 è l’hanno della “grande luce”, cioè della grande intuizione, che Kant svilupperà nella Critica
della Ragion pura; questa sua intuizione è una vera e propria rivoluzione, paragonata alla
rivoluzione scientifica copernicana; come Copernico ha ribaltato il rapporto plurisecolare terra –
sole passando dalla visione geocentrica, così Kant ha ribaltato il rapporto tra soggetto e oggetto
nella visione collettiva:
RIVOLUZIONE SCIENTIFICA
COPERNICANA
RIVOLUZIONE KANTIANA
si passa dalla visione
plurisecolare geocentrica (terra
immobile al centro
dell’universo), alla visione
eliocentrica (sole al centro
dell’universo)
Ribaltamento del rapporto soggetto – oggetto del processo
conoscitivo, superando la teoria della centralità dell’oggetto e
ponendo al centro il soggetto8
che caratterizza la filosofia del
processo conoscitivo. Se non ci fosse un soggetto in grado di
conoscere non avrebbe senso la realtà. Non è più il soggetto
che si adegua passivamente all’oggetto ma l’oggetto che si
adegua al soggetto che è dotato di forme pure a priori senza
le quali la conoscenza sarebbe impossibile. “Benché ogni
nostra conoscenza inizi dall’esperienza essa non si esaurisce
interamente in essa”.
La Dissertazione è la soluzione critica del problema dello spazio e del tempo, che secondo lui
non sono proprietà delle cose, realtà ontologica, nemmeno semplici rapporti tra corpi, ma le forme
pure a priori della sensibilità, cioè le condizioni necessarie senza le quali non potremmo conoscere
sensibilmente le cose9
. In essa, Kant sottolinea come le posizioni reciproche delle parti della
materia presuppongano determinazioni spaziali e di conseguenza il concetto di spazio è
originario. Kant distingue tra:
8
Centralità del soggetto: carattere della filosofia moderna - rinascimentale
9
Conoscere sensibilmente una cosa significa spazializzarla e temporizzarla.
Filosofia 5^A
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CONOSCENZA SENSIBILE: dovuta alla ricettività (o passività del soggetto), che ha per
oggetto il fenomeno, cioè la cosa come appare. A sua volta la conoscenza sensibile si può
distinguere in:
 materia, cioè la sensazione, ovvero una modificazione degli organi di senso e che
testimonia le presenza dell’oggetto da cui è causata;
 forma, cioè la legge, che ordina la materia sensibile ed è indipendente dalla sensibilità.
Questa conoscenza è costituita da spazio e tempo che:
 non derivano dalla sensibilità (che la presuppone);
 sono intuizioni “pure”;
 precedono ogni conoscenza sensibile e sono indipendenti da essa;
 sono condizioni soggettive e necessarie della mente umana per coordinare a sé, in
virtù di una legge, tutti i dati sensibili;
La conoscenza sensibile si distingue in:
I. apparenza: è anteriore all’intervento dell’intelletto logico;
II. esperienza: consiste nel confronto operato dall’intelletto tra una molteplicità di
apparenza; è una forma di conoscenza riflessa; dall’apparenza all’esperienza si va
attraverso la riflessione. I suoi oggetti sono i fenomeni.
CONOSCENZA INTELLETTUALE: Kant condivide l’idea tradizionale che essa abbia la
possibilità di cogliere le cose uti sunt, ossia nel loro ordine intellegibile (i “noumeni”), a differenza
della sensibilità che le percepisce uti apparent, ossia come appaiono i fenomeni
Successivamente il filosofo si stacca da questa distinzione e si pone coerentemente alla
prospettiva criticistica, insistendo sempre di più sui limiti dell’intelletto.
3. . Di
questo periodo fa parte la Critica della Ragion pura del 1781, in cui analizza la questione
gnoseologica, semplificata nella seconda edizione del 1787, in particolare per quanto riguarda la
deduzione trascendentale.
La filosofia di Kant è detta criticismo perché si contrappone al dogmatismo10, e il filosofo fa
della critica lo strumento per eccellenza della filosofia. “Criticare” per Kant significa,
conformemente all’etimologia greca “giudicare”, “distinguere”, “valutare”, “soppesare” ecc,
ossia interrogarsi programmaticamente circa il fondamento di determinate esperienze
umane, si interroga sulle possibilità della conoscenza umana, cercando di capire le forme
di conoscenza. Chiarisce:
10
Dogmatismo: il dogma è una concezione secondo la quale esistono verità indiscutibili che, come tali, devono essere accettate.
Consiste nell’accettare opinioni o dottrine senza interrogarsi preliminarmente sulla loro effettiva conoscenza.
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Chiara Ponti 5^ A A.S. 2014 - 2015 Pag. 13
Se tradizionalmente l’etica dipendeva dalla metafisica, con
la crisi progressiva delle metafisiche tradizionali, con Kant
nasce il problema dell’etica – morale autonoma rispetto
alle speculazioni ontologiche che, come vedremo dipende
dalla ragione.
 le possibilità  le condizioni che permettono l’esistenza di determinate esperienze;
 la validità  i titoli di legittimità e non che le caratterizzano;
 i limiti  i confini di validità.
Nel criticismo di Kant è centrale e qualificante l’aspetto del limite, tanto che esso si
configura come una filosofia del limite11, un’interpretazione dell’esistenza che cerca di
stabilire, nei vari settori esperienziali, le “colonne d’Ercole” dell’umano, oltre il quale
l’umano non può inoltrarsi: fissa i confini oltre i quali la conoscenza non è valida e
possibile, e dentro i quali la conoscenza è valida, certa, legittima (oltre i quali la
conoscenza è illegittima): riconosce il carattere finito o condizionato delle possibilità
esistenziali che non garantiscono di fatto l’onniscienza e l’onnipotenza dell’individuo12.
Questa filosofia del finito non equivale a una forma di scetticismo13 perché tracciare
il limite di un’esperienza significa nel contempo garantirne la validità entro il limite
stesso. L’assunto di base della filosofia critica “è di reperire nel limite della validità la validità del
limite”. L’impossibilità per la conoscenza di trascendere i limiti dell’esperienza diventa la base
dell’effettiva validità della conoscenza stessa.
Il criticismo non è solo una scoperta geniale di Kant, ma anche il risultato di determinate
condizioni e istanze intellettuali della sua epoca e di tutto il pensiero precedente, in
particolare:
1. della rivoluzione scientifica;
2. della crisi progressiva
delle metafisiche tradizionali.
La metafisica non è più la “regina delle scienze”, con lo scetticismo di Kant infatti essa non è
più il fondamento dell’etica: è necessario rifondare la morale non nella religione, ma nella
ragione.
11
Filosofia del limite o “ermeneutica della finitudine”: questa espressione è stata usata da Nicola Abbagnano, inaugura e sintetizza
l’interpretazione anti-idealistica di Kant che si è sviluppata all’interno della filosofia italiana del secondo dopoguerra.
12
Lo stesso discorso vale per la morale.
13
Scetticismo kantiano: Kant non approda allo scetticismo se non in parte, ma non in modo radicale come quello di Hume, perché
l’illuminista riconosce l’ambito di validità in modo assolutamente certo; approda solo allo scetticismo metafisico, che è un sapere né
certo né valido. Riconosce a Hume di “averlo svegliato dal sonno dogmatico”. Il kantismo si distingue dall’empirismo perché 1.
rifiuta
i suoi esiti scettici 2.
Spinge più a fondo l’analisi critica, cercando di fissare le condizioni di possibilità e i limiti di validità dei
meccanismi conoscitivi, etici, sentimentali…
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La Critica della ragion pura è un’analisi critica dei fondamenti del sapere. Ai tempi di Kant
l’universo del sapere, che prende la forma di un’indagine valutativa, si articola in:
 Scienza (fisica e matematica), un sapere fondato e in continuo progresso
 Metafisica, non sembra aver trovato il cammino sicuro della scienza perché fornisce le
soluzioni più disparate (antitetiche).
Hume ha minato alla base i fondamenti ultimi della metafisica e della scienza, è inevitabile un
riesame globale della struttura e della validità della conoscenza per rispondere in modo
esauriente alla domanda sulla scientificità dei due campi del sapere.
Kant non condivide lo scetticismo scientifico di Hume14
, infatti secondo il filosofo criticista non si
deve dubitare del valore della scienza; ne condivide lo scetticismo metafisico15
le riconosce una
certa nobiltà e importanza. Tuttavia si dichiara innamorato deluso della metafisica e riconosce
l’anelito perenne16
dell’uomo per la metafisica.
La ricerca kantiana sui fondamenti del sapere è un’indagine rivolta alla matematica e alla fisica e
alla metafisica, lungo due percorsi paralleli.
Nella Critica Kant cerca di dare delle risposte a:
 Com’è possibile la scienza (matematica e fisica pure)?  cerca di chiarire le condizioni
che le rendono possibili come scienze.
 Com’è possibile la metafisica come disposizione naturale? A cui si aggiunge la terza
domanda com’è possibile la metafisica come scienza? cerca di scoprire “se” esistano le
14
Secondo Hume non possiamo conoscere a priori ma si può conoscere solo a posteriori. Non è contraddittorio pensare che domani
il sole potrebbe non sorgere perché la non esperienza non può garantire nulla al futuro. Non ci sono certezze: da qui lo scetticismo
scientifico diHume ovvero quella concezione filosofica secondo cui la scienza non è fonte di certezze assolute. Hume ritiene che
l’esperienza da un momento all’altro può smentire le verità fondamentali della scienza perché l’esperienza da un momento all’altro
può smentire le verità fondamentali della scienza. Kant sostiene invece che tale realtà non sussiste, in quanto l’esperienza, essendo
condizionata dalle categorie dell’intelletto e dall’io penso non potrà mai smentirne i principi perché essi rappresentano l’ordine
oggettivo della natura che coincide con le condizioni formali del soggetto.
15
La scienza non certa dà origine allo scetticismo metafisico, che secondo Hume non è un sapere né certo né valido. Questo
concetto viene condiviso da Kant che gli riconosce di “averlo svegliato dal sonno dogmatico15
”.
16
L’anelito perenne, nasce nell’età della ragione, e ci porta ad avventurarci oltre l’orizzonte del finito. La metafisica è un ambito che
va oltre le conoscenze possibili dell’uomo. Kant utilizza la metafora dell’isola e dell’oceano: noi abitiamo l’isola dei fenomeni, che è
l’unico mondo che possiamo conoscere scientificamente (valido e certo), ma siamo spinti a navigare nell’oceano. Questa immagine è
già presente negli scritti precritici, quando paragona la metafisica ad un oceano senza sponde, insondabile, un abisso senza fondo. La
metafisica è un ambito che va oltre le conoscenze possibili dell’uomo.
 Isola = è il mondo dei fenomeni, cioè la realtà così come ci appare ed è conoscibile (uti apparent), diversa dalla conoscenza
noumenica, ciò così com’è. Indica la cosa in sé che non è conoscibile (uti sunt);
 Mare = rappresenta l’ambito della metafisica, cioè l’ “abisso senza fondo”
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condizioni tali che possano legittimare le sue pretese di porsi come scienza o “se” essa è
condannata alla non-scientificità.
Quali sono le condizioni che rendono possibile la conoscenza? Kant si interroga sulle
possibilità della conoscenza umana, cercando di chiarire quali sono le condizioni che la
rendono possibile:
1. L’esperienza cioè la condizione imprescindibile (rimanda all’empirismo “ogni conoscenza
parte dall’esperienza”) e il limite oltre il quale non c’è conoscenza, per cui dove non c’è
esperienza non c’è conoscenza; per Kant l’esperienza si divide in:
DATITÀ BRUTA, insieme di dati caotici che ci arrivano attraverso i sensi, che precede
l’opera unificatrice dell’intelletto che costituisce il materiale e fonte della conoscenza
sensibile per cui ogni nostra conoscenza comincia con l’esperienza;
ORDINE UNITARIO DEI DATI SENSIBILI SECONDO LE FORME PURE A PRIORI
2. 17
Le forme pure a priori ovvero:
 SPAZIO E TEMPO – che derivano dalla
sensibilità (è la facoltà con cui gli oggetti ci sono
dati intuitivamente attraverso i sensi e le forme
pure a priori di spazio e tempo)
 LE 12 CATEGORIE (o concetti puri) – che
derivano dall’intelletto (in senso stretto è la
facoltà con cui pensiamo i dati sensibili tramite i
concetti puri o le 12 categorie)
 L’IDEA DI ANIMA, MONDO E DIO – forme pure a
priori della ragione (razionale – è la facoltà con
cui, procedendo oltre l’esperienza cerchiamo di
spiegare globalmente la realtà mediante le idee
mediante le sue forme pure a priori)
Dimostrato che il sapere poggia su giudizi sintetici a priori, Kant deve spiegare la loro
provenienza. Infatti se non derivano dall’esperienza, da dove provengono i giudizi sintetici a
priori? La conoscenza è sintesi di materia e forma (espressione aristotelica), ovvero sintesi:
di un elemento a posteriori (MATERIA), ovvero l’esperienza MA “Benché ogni nostra
conoscenza inizi dall’esperienza essa non si esaurisce interamente in essa”, da ciò derivano le
17
ESEMPI: 1.
Occhiali colorati o occhiali permanenti attraverso cui la realtà si adegua al soggetto; 2.
Programmi interni fissi del
computer; 3.
Intelaiatura, sistema di caselle, schedario in cui si sistemano gli oggetti e gli eventi (Karl Popper)
Forme trascendentali (trascendentale
non è sinonimo di trascendente cioè
ciò che va oltre l’esperienza) sono la
condizione gnoseologica necessaria
per conoscere e coincide con le forme
pure a priori e coincidono con le forme
pure a priori, che unitamente
all’esperienza ci permette di
conoscere.
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forme pure a priori. Per “materia” della conoscenza si intende la molteplicità caotica e
mutevole delle impressioni che derivano dall’esperienza (elemento empirico o a posteriori).
di un elemento a priori (FORMA), che avviene prima dell’esperienza (innatismo kantiano18
).
Per “forma” della conoscenza si intende l’insieme delle modalità fisse attraverso cui la
mente ordina, secondo determinati rapporti (elemento razionale o a priori).
Kant intende mostrare che la conoscenza umana può essere universale e necessaria, ma al
tempo stesso feconda. Per questo motivo il filosofo apre la Critica della ragion pura con un’ipotesi
di fondo che, secondo lui, risulta immediatamente convalidata dall’esistenza di “giudizi sintetici a
priori”.
Per Kant conoscere vuol dire giudicare, cioè formulare giudizi, cioè connettere un soggetto ad
un predicato; es. “il cielo oggi è azzurro”, questo esempio è una conoscenza, cioè un giudizio in
cui avviene la connessione fra due concetti: il primo che funge da soggetto (cielo) e l’altro che
funge da oggetto (è azzurro).
Kant è convinto che la conoscenza umana19
, in particolare la scienza, offra il tipico esempio di
principi assoluti, verità universali e necessarie, che valgono ovunque e sempre allo stesso
modo. Infatti la scienza presuppone alla propria base, alcuni principi immutabili che sono i
“pilastri” su cui essa si regge. Esempio le proposizioni denominate da Kant giudizi sintetici a
priori:
1. GIUDIZI che consistono nel connettere un predicato con un soggetto;
2. SINTETICI perché il predicato dice qualcosa di nuovo e di più rispetto al soggetto;
3. A PRIORI in quanto universali e necessari perché non possono derivare dall’esperienza, che
non dice che ogni evento debba necessariamente dipendere da cause, ma solo che finora
(nel passato) è stato così.
Secondo Kant, i giudizi fondamentali della scienza non sono:
né GIUDIZI ANALITICI A PRIORI, cioè giudizi enunciati a priori, senza bisogno di ricorrere
all’esperienza, in essi il predicato non fa che esplicitare, con un processo di analisi basato sul
principio di non-contraddizione, quanto è già implicitamente contenuto nel soggetto, quindi sono
infecondi.
Es. “i corpi sono estesi” in cui il concetto di esteso non aggiunge nulla al concetto di corpo.
18
Innatismo kantiano che si distingue dal tradizionale che affonda le sue radici nel platonismo (l’anima ha dentro di sé le idee delle
cose che ha contemplato nella pianura del mondo delle idee); l’innatismo viene sviluppato nella filosofia medievale scolastica e poi
nella filosofia moderna dl razionalismo (vedi tabella di confronto con empirismo). L’innatismo kantiano è dunque diverso da quello
tradizionale perché i suoi schemi a priori sono ciò attraverso cui si conosce; per Kant conoscere vuol dire giudicare, cioè formulare
giudizi, cioè connettere un soggetto ad un predicato.
19
Conoscenza umana. La conoscenza è costituita da giudizi sintetici a priori, conoscere significa giudicare, ovvero connettere un
soggetto a un predicato
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CARATTERISTICHE
 Infecondi o sterili (analitici) per cui il predicato non dice nulla di nuovo rispetto al soggetto
 Universali e necessari per cui non hanno bisogno di convalide empiriche
Questi giudizi simboleggiano la concezione razionalista (deduttivistica) della scienza che
pretendeva di partire da alcuni principi a priori (le idee innate) per derivare da essi tutto lo scibile,
delineando il modello di un sapere universale e necessario.
né GIUDIZI SINTETICI A POSTERIORI, cioè giudizi in cui il predicato dice qualcosa di nuovo rispetto al
soggetto aggiungendosi o sintetizzandosi ad esso, a posteriori.
Es. “i corpi sono pesanti” formulato solo dopo aver fatto esperienza di più oggetti corporei, dal
momento che il peso, a differenza dell’estensione non è collegato a priori con il concetto di corpo.
CARATTERISTICHE
 Fecondi (sintetici) per cui il predicato dice qualcosa di nuovo rispetto al soggetto;
 Particolari e non necessari (contingente20
) perché derivano dall’esperienza.
Questi giudizi simboleggiano la concezione empiristica (induttivistica) della scienza che pretende di
fondare quest’ultima esclusivamente sull’esperienza, delineando il modello di un sapere fecondo,
ma privo di universalità e necessità.
Kant ritiene:
 contro il razionalismo, che la scienza derivi dall’esperienza;
 contro l’empirismo che alla base dell’esperienza vi siano dei principi inderivabili
dall’esperienza stessa.
Nella visione kantiana la scienza risulta feconda in un duplice senso:
1) il contenuto e la materia che deriva dall’esperienza;
2) la forma, che deriva dai giudizi sintetici a priori che ne rappresentano i quadri
3) concettuali di fondo, in virtù di questi ultimi, essa è anche a priori, cioè universale
e necessaria.
I giudizi sintetici a priori sono propri della matematica e della fisica, la spina dorsale
della scienza cioè l’elemento che conferisce stabilità e universalità. L’errore di Hume,
secondo Kant è proprio quello di non cogliere la differenza tra i giudizi sintetici (che
esprimono il collegamento percettivo di due fatti concomitanti) e il principio di causalità
“ogni evento ha una causa” che è un giudizio sintetico a priori.
20
Contingente ciò che potrebbe essere, ma anche non essere.
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Es. “il calore dilata i metalli” formulata in virtù dell’esperienza presuppone alla propria
base il giudizio sintetico a priori della causalità.
CARATTERISTICHE
Fecondi (sintetici) il predicato dice qualcosa di nuovo rispetto al soggetto, amplificano la
conoscenza, come i giudizi sintetici a posteriori
Universali e necessari (a priori) non derivano dall’esperienza
Questi giudizi simboleggiano la concezione criticistica della scienza, la spina dorsale della
scienza cioè l’elemento che conferisce stabilità e universalità. Senza alcuni principi assoluti di
fondo la scienza non potrebbe sussistere. Mentre il ricercatore “humiano” a ogni passo brancola
nel buio, non sapendo se anche nel futuro ogni evento dipenderà da cause o se ogni oggetto
d’esperienza sarà collocato nello spazio e nel tempo, lo scienziato “kantiano” è certo a priori di
tali verità, anche se per sapere quali siano le cause che producono gli eventi o che cosa vi
sia nello spazio e nel tempo ha bisogno di ricorrere alla testimonianza dell’esperienza.
La conoscenza vera secondo Kant è costituita da questo tipo di giudizi che unisce la priorità
(universalità e necessità) alla fecondità (sinteticità). La conoscenza è sintesi di materia e forma o
connessione di dati che può fornire solo l’esperienza, ma la sintesi è impossibile senza gli elementi
razionali, cioè le forme pure a priori.
Kant opera una rivoluzione copernicana in ambito gnoseologico21
perché come Copernico ha
rivoluzionato la visione astronomica plurisecolare passando dalla visione gnoseologica alla
visione eliocentrica, così Kant ha ribaltato il rapporto tra soggetto e oggetto nella visione
collettiva.
Per Kant ma il soggetto ha un ruolo attivo, mentre
RUOLO PASSIVO DEL SOGGETTO
NELLA TRADIZIONE (Eraclito, i Pitagorici e
Platone)
RUOLO ATTIVO DEL SOGGETTO IN KANT
nella tradizione la mente si limitava a
riflettere, come uno specchio, un ordine
già costituito, un tutto ordinato perché
dominato dal logos. Compito del filosofo
era decodificare l’ordine della realtà,
come il tuffatore di Delo va in profondità e
non rimane in superficie, così il filosofo
La mente umana non si limita a riflettere un
ordine già costituito, ma il soggetto ha un
ruolo attivo e centrale (già presente nella
filosofia umanistico – rinascimentale, ovvero
quella moderna)
21
Confronto con la rivoluzione copernicana a pag. 3
Filosofia 5^A
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deve decodificare la realtà in maniera
approfondita.
la realtà non è intersecante (il disordine è
solamente apparente), ma un tutto
ordinato perché dominato dal logos,
(universo = cosmos = ordine, alla base della
realtà ordinata e razionale) e il filosofo
deve decodificare quell’ordine
la realtà non è un tutto ordinato, i dati sono una
materia caotica, se non ci fossero gli elementi a
priori non ci sarebbe la possibilità di conoscere
Il soggetto ha un ruolo passivo per cui la
mente si adeguava alla realtà.
l’io è legislatore del mondo, o più precisamente
“della natura” (come il legislatore dà leggi per
ordinare la realtà, così l’io è legislatore ed ordina
la realtà) che conferisce ordine alla realtà per
cui essa non è già intrinsecamente ordinato
(centralità del soggetto22
), ma è la realtà, cioè
l’oggetto, che si modella sulle forme a priori
attraverso cui lo percepiamo.
Essendo il fondamento della natura, l’io è anche il
fondamento della scienza che studia. Infatti i
pilastri ultimi della fisica, che in concreto si
identificano con i principi dell’intelletto puro,
poggiano sui giudizi sintetici a priori della mente,
che al loro volta derivano dalle intuizioni pure di
spazio e di tempo e delle 12 categorie
Kant distingue tre facoltà conoscitive su cui basa la Critica della ragion pura:
Sensibilità è la facoltà con cui gli oggetti ci sono dati intuitivamente attraverso i sensi e le
forme pure a priori di spazio e tempo;
Intelletto (in senso stretto) è la facoltà con cui pensiamo i dati sensibili tramite i concetti
puri o le 12 categorie;
Ragione è la facoltà con cui, procedendo oltre l’esperienza cerchiamo di spiegare
globalmente la realtà mediante le idee mediante le sue forme pure a priori.
22
Centralità del soggetto: conquista fondamentale per il passaggio all’idealismo che sviluppa la posizione kantiana sostenendo che è
l’io a creare la realtà indipendentemente dal soggetto che la conosce (Kant) o addirittura la crea (idealismo)
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LA PARTIZIONE DELLA CRITICA DELLA RAGION PURA
L’opera si divide in due tronconi:
La dottrina degli elementi, studia le forme pure a priori, si divide a sua volta in:
 estetica trascendentale che studia le forme a priori della sensibilità, ovvero gli
elementi formali della conoscenza (spazio e tempo);
 logica trascendentale che studiale le forme a priori del pensiero, ovvero intelletto e
ragione; si divide in:
1. analitica trascendentale studia le forme pure a priori dell’intelletto (le 12
categorie);
2. dialettica trascendentale studia le forme pure a priori della ragione (le
idee).
La dottrina del metodo, studia l’applicazione delle forme pure a priori
N.B. Intelletto e ragione non sono sinonimi. Sono due facoltà del pensiero umano oggetto di studio
filosofico nella logica trascendentale.
RAGIONE (IN SÉ  UTI SUNT) INTELLETTO (PER NOI  UTI APPARENT)
Definizi
one
Facoltà che spinge l’uomo al di là del
finito, a cercare i principi primi e le cause
ultime del reale tramite l’anelito perenno
che ci spinge verso la metafisica, oltre
l’esperienza, oltre il finito. È la facoltà
dell’infinito dell’assoluto e
dell’incondizionato.
Facoltà che consente all’uomo di
conoscere l’orizzonte dell’esperienza,
(l’isola che abitiamo, l’isola della verità con
la scienza) entro cui può conoscere
legittimamente. È la facoltà del finito.
Oggett
o
L’oggetto verso cui è attratta la ragione è il
noumeno, cioè la realtà considerata
indipendentemente da noi.
Ha come oggetto il finito, è la facoltà del
fenomeno, del finito, conosce solo il
fenomeno.
Limiti La realtà noumenica può essere pensata
con la ragione, ma non conosciuta perché
per Kant conoscere è diverso da pensare.
Il soggetto può pensare a Dio, all’anima e
al cosmo ma non può conoscerli, perché
gli mancano le condizioni necessarie per
conoscerli.
La conoscenza intellettiva, legata e
dipende da quella sensibile, rappresenta
l’unica fonte di conoscenza unica, certa,
valida e possibile all’uomo per conoscere il
finito. Attraverso questa facoltà il soggetto
può pensare i dati che ci arrivano
dall’esperienza grazie alle categorie che
sono concetti puri, universali e propri di
ogni uomo (es. unità, pluralità e totalità)
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Il concetto di trascendentale, che nella tradizione indicava “quelle proprietà universali comuni a
tutte le cose”, cioè quelle che “eccedono” o “trascendono” le categorie in senso aristotelico, per
Kant è connesso all’ “a priori” che non esprime una proprietà ontologica della realtà in sé,
ma solo una condizione gnoseologica che rende possibile la conoscenza della realtà
fenomenica. Il concetto di “trascendentale” non è sinonimo di trascendente, ma è ciò che va oltre
l’esperienza, infatti il filosofo lo identifica con lo studio delle forme pure a priori e non con gli
elementi a priori in quanto tali.
Nell’Estetica trascendentale Kant studia la sensibilità e le sue forme a priori, ovvero spazio e
tempo. Egli considera la sensibilità “ricettiva” perché essa non genera i propri contenuti, ma li
riceve e li accoglie per intuizione della realtà esterna o dall’esperienza interna.
La sensibilità è anche attiva perché organizza il materiale delle sensazioni che sono tramite le
forme pure a priori della sensibilità cioè le intuizioni empiriche che vengono organizzate
attraverso lo spazio e il tempo che sono le forme a priori della sensibilità, cioè le intuizioni pure
della sensibilità
 Lo spazio è la forma del senso esterno, cioè quella rappresentazione, necessaria per il
fondamento di tutte le intuizioni esterne e che pone tutte le cose una accanto all’altra.
 Il tempo è la forma del senso interno, cioè quella rappresentazione a priori che sta a
fondamento dei nostri stati interni e del loro disporsi l’uno dopo l’altro, ovvero secondo un
ordine di successione. È unicamente dal senso interno che ci giungono i dati del senso
esterno, il tempo si configura anche, indirettamente come la maniera universale attraverso cui
percepiamo tutti gli oggetti. Se ogni cosa è nello spazio ogni cosa è però nel tempo (tutti i
fenomeni in generale, ossia tutti gli oggetti dei sensi, cadono nel tempo). È la forma
universale in assoluto, gli stati interiori non sono localizzabili nello spazio, ma ogni cosa è
nel tempo.
Kant giustifica l’apriorità dello spazio e del tempo con:
 argomenti teorici generali nella “esposizione metafisica”
 argomenti tratti dalle scienze matematiche, nella “esposizione trascendentale”.
Nell’ esposizione metafisica, Kant confuta:
1. La visione empiristica, che considera spazio e tempo come nozioni tratte dall’esperienza;
Kant invece afferma che spazio e tempo non possono derivare dall’esperienza;
2. La visione oggettivistica, che considera spazio e tempo come entità a se stanti o recipienti
vuoti; perché se spazio e tempo fossero davvero dei recipienti vuoti, cioè degli assoluti a sé
stanti dovrebbero continuare ad esistere anche quando sono “vuoti” cioè senza oggetti.
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Puntualizza che spazio e tempo non sono contenitori in cui si trovano gli oggetti, ma dei quadri
mentali a priori entro cui connettiamo i dati fenomenici. Pur essendo “ideali” o soggettivi rispetto
alle cose in se stesse, sono tuttavia “reali” e “oggettivi” rispetto all’esperienza (nell’ipotesi in cui
noi portassimo sempre lenti azzurre, tale colore per noi sarebbe altrettanto “reale” per i vari
oggetti). Per questo motivo Kant parla di idealità trascendentale e realtà empirica dello spazio e
del tempo. Kant rifiuta l’oggettivismo di Newton, cioè la sua concezione dello spazio e del
tempo come realtà ontologiche a sé stanti, Kant non si avvicina allo scienziato inglese per la
sua dottrina di spazio e tempo come coordinate assolute dei fenomeni, facendo di essere delle
condizioni a priori del conoscere.
3. La visione concettualistica che considerava spazio e tempo come concetti esprimenti i
rapporti tra le cose. Contro l’interpretazione concettualistica Kant afferma che spazio e tempo
non possono essere considerati come concetti in quanto hanno una natura intuitiva e non
discorsiva, perché noi, ad esempio, non astraiamo il concetto di spazio dalla constatazione dei
vari spazi, ma intuiamo i vari spazi come parti di un unico spazio, presupponendo in tal modo la
rappresentazione originaria di spazio, che risulta un’intuizione pura a priori.
Nell’esposizione trascendentale Kant giustifica l’apriorità dello spazio e del tempo attraverso
considerazioni epistemologiche sulla matematica che tendono a una fondazione filosofica.
Egli considera la geometria e l’aritmetica delle scienze sintetiche a priori per eccellenza:
 sintetiche in quanto ampliano le nostre conoscenze mediante costruzioni mentali che
vanno oltre il già noto a priori in quanto i teoremi geometrici e aritmetici valgono
indipendentemente dall’esperienza.
Il punto di appoggio delle costruzioni sintetiche a priori della matematica risiede nelle
intuizioni di spazio e di tempo. Infatti la geometria è la scienza che determina sinteticamente
a priori la proprietà delle serie numeriche, basandosi sull’intuizione pura di tempo e di
successione, senza la quale lo stesso concetto di numero non sarebbe mai sorto. In quanto a
priori, la matematica è anche universale e necessaria, immutabilmente valida per tutte le
menti pesanti.
La seconda parte della dottrina degli elementi è la logica trascendentale che ha come specifico
oggetto di indagine “l’origine, l’estensione e la validità oggettiva” delle conoscenze a priori
che sono proprie dell’intelletto (Analitica trascendentale) e della ragione (dialettica trascendentale).
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Sensibilità e intelletto son entrambi indispensabili alla conoscenza poiché “senza sensibilità
nessun oggetto ci verrebbe dato e senza intelletto nessun oggetto verrebbe pensato. I pensieri
sono contenuto [senza intuizioni] sono vuoti, le intuizioni senza concetti sono cieche”.
Nella prima parte dell’analitica trascendentale, l’analitica dei concetti, Kant risponde alla domanda
“che cosa sono i concetti?”
Le intuizioni sono affezioni cioè qualcosa di passivo, mente i concetti sono “funzioni”, cioè
operazioni attive che consistono nell’ordinare, o unificare, diverse rappresentazioni “sotto una
rappresentazione comune”. I concetti possono essere empirici, cioè costruiti con materiali ricavati
dall’esperienza concetti empirici o puri, cioè contenuti a priori nell’intelletto.
Le categorie sono quei concetti basilari della mente che costituiscono le supreme funzioni
unificatrici dell’intelletto. E poiché ciascun concetto è il predicato di un giudizio possibile, le
categorie coincidono con i predicati primi, cioè quelle grandi “caselle” entro cui rientrano tutti i
predicati possibili.
CATEGORIE ARISTOTELICHE CATEGORIE KANTIANE
Le categorie per Aristotele sono:
 LE CARATTERISTICHE FONDAMENTALI
DELL’ESSERE; hanno un significato ontologico
cioè LEGES ENTIS cioè dell’essere.
 I MODI FONDAMENTALI CON CUI SI PREDICA (si
dice e si pensa) l’essere; senza di esse
non potremmo pensare.
Il filosofo individua 10 categorie
1) SOSTANZA (Socrate è un uomo)
2) QUALITA’ (Socrate è brutto)
3) QUANTITA(Socrate è basso)
4) RELAZIONE (Socrate è lontano)
5) AGIRE (Socrate sta spiegando la
lezione)
6) SUBIRE (Socrate viene ascoltato)
7) LUOGO (Socrate è lungo il fiume)
8) TEMPO (Socrate è del IV sec. a.C.)
9) AVERE (Socrate non porta le scarpe)
10) GIACERE (Socrate è seduto).
Coerentemente con l’indirizzo soggettivistico
della sua filosofia ritiene che le categorie non
siano solo LEGES ENTIS, con un significato
gnoseologico – trascendentale, ma sono modi
di funzionamento dell’intelletto unifica e
sintetizza la molteplicità dei dati che
conosciamo attraverso la sensibilità e l’intelletto.
Le categorie per Kant sono i concetti puri o
predicati primi cioè le supreme funzioni
unificatrici dell’intelletto.
Hanno un’accezione puramente
gnoseologico-trascendentale, in quanto
rappresentano dei modi di funzionamento
dell’intelletto (semplici leges mentis), che non
valgono per la cosa in sé, ma solo per il
fenomeno.
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Kant rimprovera ad Aristotele di aver ritenuto le categorie in modo casuale e frammentario cioè
servirsi di un principio sistematico comune, formula il proprio elenco sulla base del seguente
“filo conduttore”: poiché pensare è giudicare (e poiché giudicare significa attribuire un predicato
ad un soggetto) ci saranno tante categorie (cioè tanti predicati primi) quante sono le modalità di
giudizio. E poiché la logica generale raggruppa i giudizi secondo la qualità, la quantità, la
relazione e le modalità, Kant fa corrispondere a ogni tipo di giudizio un tipo di categoria. Le
categorie individuate da Kant sono 12:
QUANTITÀ QUALITÀ RELAZIONE MODALITÀ
UNITÀ REALTÀ 
penso a
qualcosa di
realmente
esistente
DELL’INERENZA E SUSSISTENZA
(SOSTANZA E ACCIDENTE)
POSSIBILITÀ E IMPOSSIBILITÀ
 penso ad un fatto come
possibile o impossibile
PLURALITÀ NEGAZIONE 
penso qualcosa
di non esistente
(es. cavallo
alato di Platone)
DELLA CAUSALITÀ E DIPENDENZA
(CAUSA - EFFETTO) 
 Causalità penso ad un
fenomeno da cui proviene un
altro fenomeno;
 Dipendenza penso ad un
fenomeno da cui dipende un
altro fenomeno.
ESISTENZA – INESISTENZA
penso a ciò che è e non
può non essere;
TOTALITÀ LIMITAZIONE 
penso a
qualcosa che
non è una tale
altra realtà (es.
Sara non è
Chiara)
DELLA COMUNANZA (azione
reciproca tra agente e
paziente)  es. medico che fa
la puntura ad un paziente.
NECESSITÀ – CONTINGENZA
 NECESSITÀ  Penso a
qualcosa di
necessariamente esistente
 CONTINGENZA  Penso a
qualcosa di non necessario
che c’è ma potrebbe anche
non esserci.
Una tappa fondamentale della rivoluzione copernicana kantiana è costituita dalla concezione dell’io
penso detto anche “appercezione” o “autocoscienza trascendentale”.
Non è l’io individuale o empirico (soggetti che hanno un modo diverso di pensare) di
ciascun soggetto, ma è la struttura mentale (unificatrice e sintetizzatrice) uguale in tutti gli uomini
grazie alla quale possiamo conoscere intellettivamente il mondo fenomenico. L’io penso svolge,
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dunque, un’attività unificatrice e sintetizzatrice senza la quale l’uomo non potrebbe pensare
alcunché.
Come in Aristotele le categorie hanno bisogno del giudizio per essere adoperate, così in Kant esse
hanno bisogno dell’ “Io penso”, cioè del pensare in atto, per esercitare la loro funzione unificatrice.
Esse sono dunque le facce del prisma del pensare, sono atti unificatori, ma non atti in atto.
La soluzione kantiana può essere articolata in:
1. poiché tutti i pensieri presuppongono l’io penso
L’UNIFICAZIONE DEL MOLTEPLICE DERIVA DA UN’ATTIVITÀ SINTETICA CHE HA LA SUA SEDE
NELL’INTELLETTO. La molteplicità delle cose non è un’unità, ciò che unifica il molteplice è l’io
penso, infatti l’intelletto svolge questa funzione unificatrice attraverso l’io penso; il fondamento
del soggetto è l’oggetto; per Kant l’oggetto presuppone il soggetto, il quale introduce nella
natura l’io legislatore della natura23
;
Distinguendo tra l’unificazione (il processo tramite il quale si attua la sintesi del molteplice)
e l’unità stessa (il principio in base a cui si realizza l’unificazione), Kant identifica la suprema
unità fondatrice della conoscenza; con l’io penso cioè l’identica struttura mentale che
accomuna gli uomini (“appercezione” o “autocoscienza” trascendentale). Infatti senza tale
autocoscienza le varie rappresentazioni non si configurerebbero come “mie” e quindi
risulterebbero impossibili;
L’attività dell’io penso si attua tramite giudizi che sono i modi concreti con cui il molteplice
dell’intuizione viene pensato.
2. e poiché l’io penso pensa tramite le categorie
i giudizi si basano sulle categorie, che sono le diverse maniere di agire dell’io penso, cioè le dodici
funzioni unificatrici in cui si concretizza la sua attività sintetica;
3. ne segue che tutti gli oggetti pensati presuppongono le categorie
di conseguenza, gli oggetti possono essere pensati solo se categorizzati.
L’io penso è dunque il principio supremo della conoscenza umana che permette ad ogni
realtà di entrare nel campo dell’esperienza e divenire un oggetto per-noi. Nello stesso tempo
rappresenta ciò che rende possibile l’oggettività cioè l’universalità e la necessità del sapere.
L’io penso non è un io creatore, ma ha un carattere solo formale e quindi finito, perché si
limita semplicemente a ordinare una realtà che gli preesiste e senza la quale la sua stessa
conoscenza non avrebbe senso.
23
Non è un ordine indipendente dal soggetto, sono l’io penso e le sue forme a priori a introdurre l’ordine nella natura (differente
rispetto al concetto tradizionale – intrinsecamente ordinato – era concepito come l’io che sta al centro e si oppone al soggetto – il cui
fondamento era nell’oggetto stesso).
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Il concetto kantiano "per noi" è chiamato, in altri termini, fenomeno, o apparenza sensibile, gli
oggetti dell'esperienza cioè la cosa uti apparet, ovvero la realtà come ci appare tramite le forme
a priori che sono proprie della nostra struttura conoscitiva. Il fenomeno è percepito
attraverso la sensibilità, non è un'apparenza illusoria, ma un oggetto reale, anche se soltanto
nel rapporto con il soggetto conoscente. Il fenomeno ha una peculiare oggettività
(universalità e necessità) che consiste nel fatto di valere allo stesso modo per tutti gli intelletti
umani. Il fenomeno è l'oggetto proprio della conoscenza umana che è sempre sintesi di un
elemento materiale e di uno formale; la conoscenza per Kant non può estendersi al di là
dell'esperienza (insieme dei fenomeni) altrimenti non è conoscenza, ma un vuoto pensiero.
La realtà non si esaurisce nel fenomeno perché se c'è un “per noi” deve per forza esserci anche
un “in sé” ossia un x metafenomenica (che va oltre l'esperienza) che si fenomenizza solo in
rapporto a noi. Il concetto kantiano "in sé" è chiamato noumeno, realtà pensabile, intellegibile
puro; indica la realtà uti est, considerata nel suo ordine intellegibile, indipendentemente da
noi e dalle forme a priori attraverso cui la conosciamo. Il noumeno è percepito attraverso la
conoscenza intellettuale, è il necessario correlato dal fenomeno. La cosa in sé costituisce il
presupposto del discorso gnoseologico di Kant che distingue tra significato positivo e uno
negativo del noumeno:
 in senso positivo in cui il noumeno è l'oggetto di un'intuizione non sensibile, cioè di una
conoscenza extra fenomenica a noi preclusa;
 in senso negativo, l'unica che possiamo legittimamente adoperare, in cui il noumeno è il
concetto di una cosa in sé che non può mai entrare in rapporto conoscitivo dell'uomo.
Il noumeno quindi più che una realtà è un concetto – limite che serve ad arginare le nostre
pretese conoscitive; quindi l'intelletto può soltanto pensare le cose in sé nella loro possibilità,
sotto forma di x ignote.
Nell’Estetica e nell’Analitica Kant dimostra come sia possibile il sapere scientifico; nella Dialettica
trascendentale invece affronta il problema se la metafisica possa essere anch’essa costituirsi
come scienza. Già il termine dialettica intesa come “logica della parvenza” o apparenza illusoria
lascia intuire la risposta negativa di Kant a tal proposito.
Per “dialettica trascendentale” Kant intende l’analisi e lo smascheramento dei ragionamenti
fallaci (ingannevoli) della metafisica che nonostante la sua infondatezza rappresenta “un’esigenza
naturale e inevitabile della mente umana”. La filosofia vuole chiarire la genesi profonda di questo
anelito / esigenza.
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La metafisica è un parto della ragione; la
ragione è l’intelletto stesso che come facoltà logica unificatrice dei dati sensibili tramite le
categorie, è inevitabilmente portato a voler pensare anche senza dati. In ciò è simile a una
colomba che, presa dall’ebrezza del volo e avvertendo l’impedimento dell’aria, immagini di poter
volare anche senza l’aria, non rendendosi conto che l’aria, pur essendo un limite al suo volo ne è
la condizione immanente, in mancanza della quale essa precipiterebbe a terra.
Kant ritiene che questo voler procedere oltre i dati esperienziali derivi dalla nostra innata tendenza
all’incondizionato e alla totalità, cioè: la nostra ragione, mai paga del mondo fenomenico, che è il
campo del condizionato e del relativo, è irresistibilmente attratta verso il regno dell’assoluto e
quindi verso una spiegazione globale e onnicomprensiva di ciò che esiste.
Questa spiegazione fa leva su tre idee trascendentali proprie della ragione che costritutivamente
portata a unificare:
i dati del senso interno mediante l’idea di “anima”, che è l’idea della totalità assoluta dei fenomeni
interni;
i dati del senso esterno mediante l’idea di “mondo”, che è l’idea della totalità assoluta dei
fenomeni esterni;
i dati interni ed esterni mediante l’idea di “Dio”, inteso come totalità di tutte le totalità e
fondamento di tutto ciò che esiste.
L’errore della metafisica consiste nel trasformare queste tre esigenze (mentali) di unificazione
dell’esperienza in altrettante realtà dimenticando che non abbiamo mai a che fare con la cosa in
sé, ma solo con la realtà non oltrepassabile del fenomeno. La dialettica trascendentale vuole
appunto essere lo studio critico e la denuncia impietosa dei fallimenti del pensiero quando
procede oltre gli orizzonti dell’esperienza. Per dimostrare l’infondatezza della metafisica, Kant
prende in considerazione le tre pretese scienze che ne costituiscono l’ossatura:
la , che studia l’anima. Kant ritiene che la psicologia razionale o
metafisica sia fondata su di un “ ” cioè su di un ragionamento errato che consiste
nell’applicare la categoria di sostanza (categoria applicabile solo ai dati sensibili) all’io penso,
trasformandolo in una “realtà permanente”, chiamata “anima”. In realtà l’io penso non è un
oggetto empirico, ma soltanto , cioè la condizione formale suprema del
costituirsi dell’esperienza. In realtà noi non possiamo conoscere , ma solo l’io
quale appare a noi stessi tramite le forme a priori, ossia l’io fenomenico;
la , che indaga il cosmo, ovvero il mondo inteso nella sua totalità. Questa
pretesa scienza vuole fare uso della nozione di mondo come totalità assoluta dei fenomeni
cosmici, è destinata a fallire in quanto noi possiamo sperimentare questo o quel fenomeno,
ma non la serie completa dei fenomeni. I filosofi che hanno cercato di dare una risposta
razionalmente fondata a questioni di natura metafisica intorno al mondo nella sua totalità
(es. il mondo è finito o infinito, sia temporalmente che spazialmente?; di che cosa è composto il
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cosmo? Di elementi semplici o composti?; nel mondo regna la necessità o la libertà?; all’origine del
mondo c’è un essere trascendente o no?) si sono imbattuti in errori, ovvero antinomie (nomos =
legge, contro la legge), conflitti della ragione in cui una tesi è l’opposto dell’antitesi; questo
crea veri e propri “conflitti della ragione con se stessa”, che si concretizzano in copie di
affermazioni opposte, dove l’una (la tesi) afferma e l’altra (l’antitesi) nega e non è possibile
decidere tra le due;
Tesi Antitesi
Critica: il mondo ha un suo inizio nel tempo e,
rispetto allo spazio, è chiuso dentro limiti.
Critica: il mondo non ha né un inizio, né limiti
nello spazio, ma è infinito così rispetto al
tempo come rispetto allo spazio.
Prolegomeni: il mondo ha un limite secondo il
tempo e secondo lo spazio
Prolegomeni: il mondo è infinito secondo il
tempo e lo spazio.
Tesi Antitesi
Critica: nel mondo, ogni sostanza composta
consta di parti semplici, e in nessun luogo
esiste qualcosa che non sia o il semplice o ciò
che ne risulta il composto.
Critica: nel mondo, nessuna cosa composta
consta di parti semplici, e in nessuna parte del
mondo esiste alcunché di semplice.
Prolegomeni: tutto nel mondo consta del
semplice.
Prolegomeni: non vi è niente di semplice, tutto
invece è composto.
Tesi Antitesi
Critica: La causalità in base a leggi di natura
non è l’unica da cui sia possibile far derivare tutti i
fenomeni del mondo. Per la loro spiegazione si
rende necessaria l’ammissione anche d’una
causalità mediante libertà.
Critica: non c’è liberta alcuna, ma tutto nel
mondo accade esclusivamente in base a
leggi di natura
Prolegomeni: vi sono nel mondo della cause con
libertà
Prolegomeni: non vi è libertà tutto invece è
natura
Tesi Antitesi
Critica: Del mondo fa parte qualcosa che – o
come suo elemento o come sua causa –
costituisce un essere assolutamente necessario
Critica: in nessun luogo – né nel mondo, né
fuori del mondo – esiste un essere
assolutamente necessario che ne sia la
Filosofia 5^A
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causa.
Prolegomeni: nelle serie delle cause cosmiche vi
è un certo essere necessario
Prolegomeni: in quella serie non vi è niente
di necessario, tutto è contingente.
L’idea di mondo è al di là di ogni esperienza possibile, non può fornire alcun criterio atto a decidere
per l’una o per l’altra delle tesi in conflitto.
la , che specula e riflette filosoficamente su Dio. Tutti i
filosofi, fin dall’antichità hanno preteso di fondare riflessioni razionalmente formate per
dimostrare l’esistenza di Dio. Secondo Kant la questione della teologia razionale naturale
risulta priva di valore conoscitivo in quanto rappresenta l’ideale della ragion pura, cioè quel
supremo “modello” personificato di ogni realtà e perfezione che i filosofi hanno designato con il
nome di ens relissimum, l’essere da cui derivano e dipendono tutti gli esseri. Poiché questo ideale
ci lascia totalmente nell’ignoranza circa la sua realtà effettiva, la tradizione ha elaborato tutta una
serie di “prove dell’esistenza di Dio”, che Kant raggruppa in 3 classi:
1. che risale a sant’Anselmo, ma che Kant assume nella forma cartesiana,
ricava l’esistenza di Dio dal semplice concetto di Dio affermando che come essere perfettissimo
non può mancare dell’attributo dell’esistenza. Distinguendo tra piano mentale e piano reale, Kant
obietta che non è possibile saltare dal piano della possibilità logica a quello della realtà ontologica
perché l’esistenza può essere contrastata solo per via empirica e non dedotta per via puramente
intellettiva. Kant sostiene infatti che “l’esistenza non è un predicato” cioè non è una proprietà
logica, ma un fatto che si può affermare mediante l’esperienza. Pertanto la differenza tra cento
talleri reali e cento talleri pensati non risiede nella serie delle loro proprietà concettuali identiche,
ma nel fatto che gli uni esistono e gli altri no. Di conseguenza, la prova ontologica o è impossibile o
è contraddittoria:
 impossibile se vuol derivare da un’idea una realtà;
 contraddittoria se nell’idea del perfettissimo assume già quell’esistenza che vorrebbe
dimostrare entrambi fallace.
È un uso illegittimo del principio della causalità (CATEGORIA) pertanto si tratta di argomentazioni
sostanzialmente infondate
2. che costituisce il filtro delle “vie” tomistiche gioca sulla distinzione tra
contingente e necessario, affermando che “se qualcosa esiste, deve anche esistere un essere
assolutamente necessario stesso esisto, deve quindi esistere un essere assolutamente
necessario”.
 Secondo Kant questo argomento un uso illegittimo del principio del principio di causa perché,
partendo dall’esperienza della catena degli enti etero causati (i contingenti), pretende di
innalzarsi, oltre l’esperienza, a un primo anello incausato (il necessario). Ma il principio di
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causa è una regola con cui connettiamo i fenomeni tra loro e che quindi non può affatto servire
a connettere i fenomeni con qualcosa di trans-fenomenico.
 L’argomento si fonda su una serie di forzature logiche e quindi ricade nella prova ontologica;
dopo essersi elevato all’idea del perfettissimo, cioè ens realissimum che non può fare a meno
di esistere e legano forzatamente tra di loro (necessario - perfettissimo), l’argomento pretende
di aver dimostrato delle realtà. Anche la prova cosmologica implica la logica di quella
ontologica, che da puri concetti vuol far scaturire delle esistenze. Anche questo argomento,
che in sostanza parte dell’esperienza per saltare al di là di essa, risulta dunque
inequivocabilmente fallace e privo di autentica capacità dimostrativa.
3. (si riferisce allo studio di Dio) (che
significa “studio degli scopi”, indica considerazione dei fini in quanto tutto ciò che vediamo ha un
fine e origine di ogni fine è Dio, per cui dire “teleologico” è come dire finalistico) Considera l’ordine,
la finalità e la bellezza del mondo per innalzarsi a una Mente ordinatrice, identificata con un Dio
creatore, perfetto e infinito. Essa ha trovato fortuna anche presso gli illuministi, che l’hanno
espressa con il noto argomento secondo il quale se c’è un orologio deve per forza esserci un
orologiaio. Anche questa prova, secondo Kant, è minata da una serie di forzature logiche e
dall’utilizzazione mascherata dell’argomento ontologico.
a. Essa parte dall’esperienza dell’ordine del mondo, ma pretende di elevarsi subito all’idea di
una causa ordinante trascendente, dimenticando che l’ordine della natura potrebbe essere
un frutto della natura stessa e delle sue leggi immanenti. Infatti afferma che tale ordine può
scaturire dalla natura che concepisce Dio non solo come causa dell’ordine del mondo, ma
anche come causa dell’essere stesso del mondo, ossia come Creatore. Esso identifica la
causa ordinante con l’essere necessario creatore, ricadendo così nella prova cosmologica, la
quale ricade a sua volta in quella ontologica.
b. La prova pretende di stabilire, sulla base dell’ordine cosmico, l’esistenza di una causa
infinita e perfetta. Noi sappiamo che in questo universo una gradazione di ordine però
relativa ai nostri parametri mentali e non certo infinito e priva di imperfezioni. Se affermiamo
che la Causa del mondo e infinitamente perfetta, saggia; è perché altri, saltando “l’abisso”
che separa il finito dall’infinito, identifichiamo sottobanco, l’ipotetica causa ordinante con
l’idea della realtà perfettissima di cui parla l’argomento ontologico.
Come Kant, con tali critiche, abbia inteso mettere in discussione la dimostrabilità razionale e
metafisica della sua esistenza. In sede teorica, Kant non è ateo, agnostico, in quanto ritiene che la
ragione umana non possa dimostrare né l’esistenza di Dio, né la sua non-esistenza.
N.B. Queste prove possono essere raggruppate a loro volta in due gruppi:
che partono dalla constatazione del mondo, l’analizzano per arrivare a
dimostrare che Dio esiste; queste due prove sono state effettuate da Aristotele e S. Tommaso
d’Aquino (l’Aristotele cristiano);
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che sono prove formulate indipendentemente dall’esperienza; esse sono formulate
da Anselmo d’Aosta e Cartesio.
 Aristotele fornisce una prova dell’esistenza di Dio, tratta dalla teoria del
movimento o divenire inteso come possibilità di assumere nuove condizioni o forme. Egli afferma
che tutto ciò che è in moto è necessariamente mosso da altro; in questo processo di rimandi
non è possibile risalire all’infinito perché altrimenti il movimento iniziale rimarrebbe inspiegato.
Deve per forza esserci principio assolutamente primo e immobile, causa iniziale di ogni
movimento possibile che Aristotele identifica in Dio;
 Partendo dalla critica della dimostrazione ontologica di Anselmo,
Tommaso afferma che la dimostrazione a priori non è valida perché parte dalla definizione di Dio,
anch’essa tutta da dimostrare perché l’uomo non ha una nozione adeguata di Dio visto che EGLI
sfugge al campo dell’esperienza sensibile. Allora l’unico modo per dimostrare l’esistenza di Dio
con la ragione è partire dall’esperienza, cioè con una dimostrazione a posteriori. Tommaso
privilegia come punto di partenza il mondo esteriore, i sensi, poiché ritiene che “nulla è
nell’intelletto che prima non è stato nei sensi”. Egli quindi dimostra l’esistenza di Dio con le
celeberrime 5 vie, già esposte nella “Somma contro i gentili”, sono espresse nella loro
formulazione classica nella “Somma teologica”; ognuna di esse rappresenta un’argomentazione
atta a sostenere la tesi del filosofo:
I. fondata sul concetto di movimento, ricalca la
dimostrazione del motore primo immobile di Aristotele. Essa parte dal principio secondo cui
“tutto ciò che si muove è mosso da altro”, non è possibile procedere all’infinito e dobbiamo
riconoscere che a un certo punto esiste un motore non mosso da nullo, ma capace di
generare movimento di per sé; questo primo motore sarà quindi Dio.
II. siccome ogni effetto rimanda ad una causa efficiente,
nell’ordine delle cause efficienti non si può risalire all’infinito altrimenti non vi sarebbe una
causa prima o ultima, e quindi neppure tutte le cause intermedie. La causa efficiente prima è
Dio.
III. si fonda sui concetti di necessità e di contingenza, cioè sul rapporto tra
necessario e possibile: tutte le cose esistenti potrebbero anche non esistere e quindi sono
contingenti e possibili. Ma nella serie degli esseri contingenti bisogna risalire a qualcosa di
necessario, cioè a qualcosa che esiste necessariamente di per sé altrimenti dovremmo
ammettere che la realtà deriva dal nulla. L’essere originario e necessario è quindi Dio.
IV. si riferisce ai gradi di perfezione di una determinata qualità: nelle cose si
trovano il “meno” e il “più” di tutte le qualità che esisteranno anche nel grado massimo. La
causa dell’essere, della bontà e di ogni perfezione è Dio.
Filosofia 5^A
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V. si desume dalla finalità delle cose: le cose naturali, sebbene prive di intelligenza
appaiono tutte dirette a un fine; questo non potrebbe accadere se non fossero governate da
un essere dotato d’intelligenza. Questo essere che ordina tutte le cose è Dio.
 : Nel Proslogion Anselmo ricorre a un’argomentazione che parte dal concetto
di Dio per giungere a dimostrarne l’esistenza come “ciò di cui non si può pensare nulla di
maggiore”. Chi nega l’esistenza di Dio, deve possedere il concetto di Dio poiché è impossibile
negare la realtà di qualcosa che non si pensi. Ora il concetto di Dio è il concetto per cui non si può
pensare nulla di maggiore. Ma ciò di cui non si può pensare nulla di maggiore non può esistere nel
solo intelletto, poiché se fosse solo nell’intelletto, lo si potrebbe pensare anche come esistente
nella realtà, e cioè come maggiore, ma in tal caso ciò di cui non si può pensare nulla di maggiore
sarebbe qualcosa di maggiore. E dunque impossibile che ciò di cui non si può pensare nulla di
maggiore, ovvero Dio, esista solo nell’intelletto e non nella realtà. La sua dimostrazione ontologica
si basa su due presupposti:
1. Ciò che esiste nella realtà è maggiore, cioè “più perfetto” di ciò che esiste solo
nell’intelletto;
2. Negare che ciò di cui non si può pensare nulla di maggiore (cioè Dio) esista nella realtà
significhi contraddirsi, perché vorrebbe dire pensare che si può pensarlo maggiore cioè
esistente nella realtà. Quindi è impossibile che ciò di cui non si può pensare nulla di
maggiore, ovvero Dio esista nel solo intelletto e non nella realtà.
 la dimostrazione dell’esistenza di un Dio perfetto e buono ha in Cartesio un valore
gnoseologico (come l’uomo conosce, gnoseologia – teoria della conoscenza) poiché Dio
costituisce il fondamento e la garanzia sia della verità di ciò che l’uomo conosce, sia
dell’esistenza del mondo esterno. Cartesio elabora le sue prove sull’esistenza di Dio con un
procedimento a priori, cioè patendo dal cogito e precisamente dall’analisi dei contenuti del
pensiero.
Alle due prove Cartesio aggiunge la tradizionale secondo cui non è possibile
concepire Dio come essere sovranamente perfetto senza ammetterne l’esistenza, perché
l’esistenza è una delle sue perfezioni necessarie.
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annah Arendt, nasce il 14 ottobre 1906 a Hannover; cresce a Konisberg e Berlino.
Diventa studentessa di filosofia di all'università di Marburgo, allieva di Martin Heidegger
con cui ha una relazione sentimentale segreta, scoprendone tardi i suoi rapporti col
nazismo da cui si dissocia, non riuscendo tuttavia mai del tutto a cancellare l'amore e la
devozione verso il suo primo maestro.
Dopo aver chiuso questa relazione, Hannah Arendt si trasferisce a Heidelberg dove si laurea con
una tesi sul concetto di amore in Sant'Agostino, sotto la tutela del filosofo (ex psicologo) Karl
Jaspers, pubblicata nel 1929. A causa delle sue origini ebraiche, nel 1933 non può ottenere
l'abilitazione all'insegnamento nelle università tedesche.
Nel 1929 sposa il filosofo Gurther Anders, da cui si separa nel 1937, lascia la Germania per Parigi,
dove conosce il critico letterario marxista Walter Benjamin e aiuta gli esuli ebrei fuggiti dalla
Germania nazista.
Dopo l'invasione e occupazione tedesca della Francia durante la Seconda Guerra mondiale, e il
conseguente inizio delle deportazioni di ebrei e ebree verso i campi di concentramento tedeschi,
Hannah Arendt deve nuovamente emigrare con il marito Heinrich Blücher, sposato nel 1940, negli
Stati Uniti, con l'aiuto del giornalista americano Varian Fry. Diventa attivista nella comunità ebraica
tedesca di New York, e scrisse per il periodico in lingua tedesca Aufbau.
Dopo la seconda guerra mondiale si riconcilia con Heidegger e testimonia in suo favore durante un
processo in cui è accusato di aver favorito il regime nazista.
Nel 1951 ottiene la cittadinanza americana e nello stesso anno pubblica il Saggio sulle origini del
totalitarismo che le apre la carriera universitaria.
Nel 1961 viene inviata dal giornale “New Yorker” al processo Eichmann a Gerusalemme.
Nel 1963 pubblica La banalità del male in cui sostiene che all’origine della banalità non c'è la
stupidità, ma la mancanza di pensiero critico quindi obbedienza cieca all’autorità.
Successivamente l'università scozzese di Aberdeen la invita a tenere prestigiose conferenze.
Comincia a scrivere La vita delle menti, opera non conclusa.
Muore il 4 dicembre 1975 in seguito ad un attacco cardiaco ed è sepolta al cimitero del Bard
College, in Annandale-on-Hudson, US-NY.
H
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Chiara Ponti 5^ A A.S. 2014 - 2015 Pag. 34
 Il totalitarismo produce una società di individui spersonalizzati, irresponsabili, docili e
colonizzati sin nelle loro coscienze. In colui che si adatta completamente a questo regime si
può incontrare la “banalità” del male.
 La malvagità umana, infatti, non sorge, per Arendt, da abissali profondità (come per Freud),
ma dall’assenza di pensiero critico cui si giunge con la fine del dialogo della coscienza con se
stessi, quel dialogo dove l’alter interiore ci aspetta di ritorno dalle nostre azioni, approvandole o
dichiarandole inaccettabili. Quando tale dialogo non ha più luogo, diventiamo eticamente ottusi
e ci trasformiamo in strumenti del male. Il totalitarismo vive di questa banalità.
IL PROCESSO CONTRO EICHMANN
 La Arendt approfondisce tale argomento in un libro molto noto, La banalità del male. Eichmann a
Gerusalemme (1963), scritto in occasione del processo contro il criminale nazista Adolf Eichmann,
uno degli ufficiali del Reich responsabile della Shoà, che aveva mandato a morte centinaia di
migliaia di ebrei. A lui era stato attribuito l’incarico di provvedere alla “soluzione finale”, cioè allo
sterminio degli ebrei internati.
 La Arendt, che aveva assistito al processo tenutosi a Gerusalemme come inviata speciale del
“New Yorker”, si convince che oltre che “radicale” il male dei campi di sterminio è “banale”
COMPLICI DEL MALE
La Arendt si convince che un male tanto “estremo” e “radicale” come quello dei totalitarismi
novecenteschi non può essere concepito solo come il prefetto mostruoso di alcuni carnefici
demoniaci e malvagi. Per esplicarsi in tutta la sua terribile virulenza, infatti, esso deve contare sul
supporto e la collaborazione di una vasta parte della società (intellettuali, scienziati, militari, medici,
ecc.), che contribuisce attivamente con la sua opera a far funzionare la macchina infernale
dell’organizzazione nazista o che fa finta di non vedere i crimini mostruosi che si consumano sotto
i suoi occhi.
Queste riflessioni, condotte da una donna ebrea, attirarono le critiche dello stesso mondo ebraico,
che vide in esse una sottovalutazione del fenomeno nazista e delle sue atrocità.
L’espressione stessa “Banalità del male” fece scandalo; in realtà tale espressione, a differenza di
come alcuni vollero credere, non implica una banalizzazione del male, ma al contrario mette in
luce la possibilità che l’uomo apparentemente normale, diventi complice e strumento del male.
La riflessione arendtiana, dunque, lungi dal banalizzare la questione del male, la rende
profondamente inquietante.
LA ZONA GRIGIA
Secondo la Arendt questa “zona grigia” è composta da uomini comuni, padri di famiglia
apparentemente del tutto normali nella vita privata quotidiana, di ogni ceto e professione, che non
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presentano particolari “patologie” e che risultano “banalmente” allineati agli ordini superiori fino a
commettere atrocità disumane. Hanno rinunciato a pensare in proprio e si sono trasformati in
esecutori di comandi superiori.
LA MENTALITÀDEL GREGARIO
Tali ordini prescrivono di “uccidere” non un nemico in guerra, ma persone che non rispondono ai
parametri di umanità stabiliti dal regime: gli Ebrei, ma anche i malformati, gli ammalati, i disabili, i
malati di mente, gli anziani o i diversi come gli omosessuali o i rom.
È noto che Hitler cominciò la sia operazione di sterminio col concedere una “morte pietosa” agli
“incurabili” ed è noto che egli intendeva estendere il programma di eutanasia ai tedeschi”
geneticamente imperfetti (cardiopatici o tubercolotici).
Eichmann, già prima di entrare nel partito e nelle SS aveva dimostrato di avere una mentalità del
gregario.
I totalitarismi sono il risultato di un male banale. Eichmann si è reso carnefice di un male così
terribile a causa dell’assenza di pensiero critico.
OBBEDIENZACIECAE ASSENZA DI PENSIERO
La virtù dell’obbedienza cieca e acritica è invocata come un nuovo imperativo categorico da
applicare senza pensare.
L’assenza di pensiero autonomo è ciò che appare alla Arendt come uno dei tratti
caratteristici e l’emblema della banalità del male.
“la coscienza di Eichmann era come un contenitore vuoto; essa non aveva un proprio linguaggio,
ma articolava la lingua della società rispettabile” (la banalità del male)
LA MANCANZA DI IDEE
Eichmann, scrive la Arendt, era un uomo” senza idee” e “tale mancanza di idee” (molto diversa
dalla stupidità nel senso dell’incapacità di comprendere) ne faceva un individuo predisposto a
divenire uno dei più grandi criminali di quel periodo”.
Quella “mancanza di idee” e quella “lontananza dalla realtà” possono essere “molto più
pericolose di tutti gli istinti malvagi che forse sono innati nell’uomo. Questa fu la lezione di
Gerusalemme”. L’antidoto alla mancanza di idee è la curiosità.
LA TRASFORMAZIONE DEGLI UOMINI IN “FUNZIONARI”...
Con la complicità d persone come Eichmann, lo sterminio poté realizzarsi senza ostacoli e, salvo
qualche eroico episodio, non venne opposta resistenza alla deportazione di massa.
Per Arendt non solo ogni regime totalitario, ma “forse, ogni burocrazia” tende a “trasformare
gli uomini in burocrati, in funzionari e in semplici rotelle dell’ingranaggio amministrativo”. In
esso risiede la radice del male: nella capacità di “disumanizzare” l’uomo.
La BUROCRAZIA, pur essendo uno strumento fondamentale utile per far funzionare
l’amministrazione di un bene pubblico, può portare alla burocratizzazione  L’uomo nelle vesti di
ingranaggio amministrativo può diventare pericoloso.
Filosofia 5^A
Chiara Ponti 5^ A A.S. 2014 - 2015 Pag. 36
... E IN CIECHI ESECUTORI DI ORDINI
Eichmann, organizzatore dell’industria della morte, è l’esempio di uomo che non si pone alcun
problema circa i fini dell’azione. “Con grande zelo e cronometrica precisione” eseguiva gli ordini
riguardanti il trasporto di “milioni di uomini, donne e bambini verso la morte”
Eichmann incarna un modello di “razionalità strumentale” che fu criticato da Horkheimer,
filosofo della scuola di Francoforte. La razionalità strumentale ignora i fini, limitandosi solo a
valutare l’efficienza dei meri mezzi. È una razionalità pericolosa.
LA MANCANZA DI PENSIERO
Come scrive la Arendt in un brano de La vita della mente. Ciò che colpiva di Eichmann era la
mancanza non di intelligenza, ma di pensiero, cioè la mancanza di quella attitudine peculiare,
propria della persona, a sottoporre al giudizio tutto ciò che accade, così come le proprie azioni
e scelte, senza affidarsi ciecamente a regole e ordini dati.
CHE COSASIGNIFICAPENSARE?
Per la Arendt il pensiero umano è la facoltà di distinguere “bene e male”, “ciò che è giusto da
ciò che è sbagliato”
L’esercizio del pensiero, quindi, può acquisire un’importante e profondo significato etico-politico,
soprattutto in alcuni momenti storici
L’ANTIDOTO DEL PENSIERO UMANO
Il recupero del pensiero critico è un efficace antidoto contro le tentazioni del male totalitario,
latenti e sempre in agguato anche in un mondo posto-totalitario, che minacciano la
democrazia.
La Arendt è stata una implacabile critica delle storture delle società democratiche.
La lotta per la democrazia è, per la Arendt, una responsabilità quotidiana perché la democrazia è
in pericolo a causa delle tendenze dominanti che deformano i poteri e le facoltà
peculiarmente umane, quali la LIBERTÀ, il PENSIERO, la RESPONSABILITÀ
N.B. le analisi che la Arendt dedica alla ricostruzione delle dinamiche del TOTALITARISMO
sono sorrette da una RIFLESSIONE ANTROPOLOGICA ed ETICA più ampia.
IL “MALE TOTALITARIO” È DEFINITIVAMENTE SCONFITTO?
Arendt avverte che il totalitarismo è un pericolo che può ripresentarsi, magari in forme
diverse e disseminato sotto le vesti di un’apparente democrazia.
Perché?
Le “tentazioni” totalitarie rimangono latenti in un mondo post-totalitario.
Com’è già successo ci sono elementi (di ordine socio-politico o ideologico) che in un mondo non
totalitario hanno preparato il terreno per la nascita dell’esperienza totalitaria.
Filosofia 5^A
Chiara Ponti 5^ A A.S. 2014 - 2015 Pag. 37
IL DOVERE DI VIGILARE
Il totalitarismo non va visto come un corpo estraneo che, una volta sconfitto, non potrà ma più
ripresentarsi, ma come un terribile male della storia occidentale che può fare la sua ricomparsa
sulla scena del mondo.
Da qui il dovere della memoria e della vigilanza contro il pericolo della rimozione
La filosofia, in particolare, ha un importante compito critico-costruttivo in due direzioni: verso il
passato e verso il presente/futuro.
GLI “ANTIDOTI” CONTRO IL “MALE TOTALITARIO”
Per individuare gli “antidoti” contro le tentazioni totalitarie, sempre in agguato e latenti in un
mondo post-totalitario. Quali?
 Pensiero critico
 Etica (etica del volto, dignità umana, giustizia/uguaglianza/libertà)
 Memoria storica (cfr Primo Levi) “Tu che... ...Ricordati, non dimenticare”
Per fornire risposte adeguate per rendere migliore il mondo e la vita di ogni essere
14 ottobre 1963
Università di Chicago – Corso di laurea in ingegneria, corso di teoria politica.
IL PROCESSO, LO SCOPO
Lo scopo del processo è rendere giustizia e BASTA! Qualunque altro scopo anche il più nobile
non può pregiudicare quello che è il compito essenziale della legge soppesare le accuse per
fare giustizia e combinare la giusta pena. La giustizia vuole che l’imputato sia processato,
difeso, giudicato. E che tutte le altre questioni (anche se più importanti),
Com’è potuto accadere?, Perché è accaduto?;
Perché gli Ebrei? perché i tedeschi?
Quale fu il ruolo delle altre nazioni? Fino a che punto gli alleati sono da considerare
corresponsabili?;
Come hanno potuto i capi ebraici contribuire allo sterminio degli Ebrei? Perché gli Ebrei
andavano alla morte come agnelli al macello?
Che tutte queste questioni siano lasciate da parte. La giustizia vuole che si giudichi soltanto
un UOMO.
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  • 1. Filosofia 5^A Chiara Ponti 5^ A A.S. 2014 - 2015 Pag. 1 Locke  Studia come avviene la conoscenza umana. Sostiene che: la mente è una tabula rasa, un foglio bianco su cui l’intelletto “scrive” le idee fornite dai sensi. Tutto ciò che esula dall’esperienza, cioè dai sensi, non è conoscibile. L’esperienza fornisce tutte le idee che sono solo idee semplici, sia che derivino dall’esperienza esterna o interna: Esperienza esterna, proviene dalle cose naturali e produce le idee di sensazione o sensazioni (colore, forme, sapori), tutte le qualità che attribuiamo alle cose; il materiale da costruzione della nostra mente, che ha una funzione passiva e raccoglie le idee provenienti dai 5 sensi; Esperienza interna, è relativa allo spirito dell’uomo, che ci permette di conoscere i nostri pensieri, dubbi, sensazioni (gioia, rabbia, dolore, noia) e vissuti. L’esperienza esterna produce le idee di riflessione, cioè tutte quelle idee che si riferiscono a operazioni del nostro spirito. Locke mantiene il principio cartesiano secondo cui avere un’idea significa percepirla, cioè esserne coscienti; attraverso questo principio, nel primo dei 4 libri del Saggio, critica gli innatisti sostenendo la tesi che non esistano principi innati. Per elaborare la critica parte da un unico argomento: le idee non ci sono quando non sono pensate, quindi per l’idea esistere significa essere pensata. La critica di Locke si basa quindi su due argomentazioni: 1. LE IDEE INNATE dovrebbero esistere in tutti gli uomini, in realtà non è così perché da soggetti, come i bambini, selvaggi e quelli con deficit mentali, non sono pensate e quindi non esistono. 2. I PRINCIPI ETICI, che dovrebbero essere innati, in quanto universali secondo Locke non lo sono perché non esiste consenso sulle norme morali (ciò che è giusto per un popolo non lo è per un altro)  RELATIVISMO ETICO (RISALENTE ALLA SOFISTICA – V SEC a.C. – Protagora “siamo misura di tutte le cose”).
  • 2. Filosofia 5^A Chiara Ponti 5^ A A.S. 2014 - 2015 Pag. 2 La nostra mente non è solo passiva, ma anche attiva perché paragona, confronta e riunisce le idee semplici ed elabora le idee complesse in modi infinitamente vari. Le idee complesse, infinite di numero, sono però riconducibili a tre categorie fondamentali: Idee di modo: del complesso che non possiedono un’esistenza autonoma, ma dipendente da una sostanza, come l’idea di bellezza, manifestazione di una sostanza; Idee di sostanza: che vengono considerate come entità particolari distinte e sussistenti di per sé (es. oro, cavallo, rosa, mela). Idee di relazioni: idee complesse che nascono dal confronto delle idee fra loro per cui l’intelletto stabilisce un rapporto fra di esse (es. idea di padre, madre, figlio, nonno, suocero, genero, alunno). Tra loro ci sono quelle di causa ed effetto (fumo  incendio). Locke ha elaborato un’importante critica dell’idea di sostanza che, insieme alla critica di Hume al concetto di causalità, costituisce uno dei contributi più efficaci dell’empirismo allo sviluppo critico del pensiero moderno. Locke critica l’idea di sostanza corporea e spirituale considerate come “x” sconosciute, per spiegare questo ricorre alla storia dell’indiano a cui viene chiesto su cosa poggi la terra; egli risponde “su un grosso elefante”; alla successiva domanda su cosa poggi l’elefante, dice “su una grossa tartaruga” . Quando gli viene chiesto su cosa poggi la tartaruga egli risponde “su qualcosa che io non conosco affatto”. Quindi l’idea alla quale noi diamo il nome generale di sostanza non è altro tale supposto, ma sconosciuto sostegno delle qualità effettivamente esistenti. La sostanza corporea è il substrato sconosciuto delle qualità sensibili, mentre la sostanza spirituale è il substrato sconosciuto di quello che fa lo spirito. Egli non giunge a negare la sostanza, ma si limita a sostenere che è inconoscibile, oscura. Berkeley nega la sostanza materiale, mentre Hume negherà sia la sostanza materiale che spirituale. L’esperienza fornisce il materiale della conoscenza, ma non è la conoscenza stessa che ha sempre a che fare con le idee, anche se non si riduce alle idee. Consiste nella percezione di un accordo o di un disaccordo delle idee tra loro, quindi la conoscenza può essere di due tipi: 1. onoscenza intuitiva per evidenza immediata è la più chiara e certa che l’uomo possa raggiungere e che ci permette di conoscere immediatamente che, per esempio, il dolce non è amaro, che il verde non è il rosso, che il suono del violino non è il pianoforte, fondamento di ogni altra conoscenza. Essa è quindi il fondamento della certezza dell’evidenza di ogni altra conoscenza; 2. Dimostrativa, per evidenza non immediata, ma basata su un procedimento o dimostrazione della ragione che è portata a ragionare. In questa conoscenza individua le
  • 3. Filosofia 5^A Chiara Ponti 5^ A A.S. 2014 - 2015 Pag. 3 certezza dell’esistenza di Dio, formulando la prova della sua esistenza a posteriori (partendo dall’esperienza) e, utilizzando il principio di causalità, sostiene che il nulla non può produrre nulla. Se c’è qualcosa e la sua esistenza è testimoniata dai sensi, allora questo qualcosa è stato prodotto da qualcos’altro; non potendo risalire all’infinito in questa catena di cose che esistono e sono causate da altro, dobbiamo ammettere l’esistenza di un essere eterno, onnipotente, sommamente intelligente potente che ha prodotto ogni cosa, tale essere è Dio. 3. Conoscenza delle cose esistenti al di fuori delle idee noi siamo certi degli oggetti che vediamo, quando non li vediamo più non ne siamo più certi, ma è probabile che esistano. Le conoscenze che abbiamo sono certe in piccola quantità e sono sensibili (intuitiva) e non sensibili (esistenza del nostro io, per intuizione, ed esistenza di Dio). Accanto alla conoscenza certa, limitata all’intuizione e alla sensazione attuale, esiste la conoscenza probabile, probabilistica e quindi non assoluta, per la sua conformità con l’esperienza passata o con la testimonianza di altri uomini. La conoscenza certa e quella probabile costituiscono il dominio della ragione, da quest’ultima si distingue la fede, che si basa sulla rivelazione, la cui attendibilità comunque è decisa dalla ragione. Per ciò la fede non può turbare, né negare la ragione. Il ‘700 è l’età dei lumi (immagine metaforica per indicare la ragione umana) in continuità con la cultura razionalistica che celebra la ragione come fonte dell’uomo. In contrapposizione al razionalismo sta la filosofia empiristica il cui maggior rappresentante è David Hume, filosofo scozzese, con il quale l’empirismo raggiunge le conseguenze estreme, approdando allo scetticismo. Il suo obiettivo è comprendere la natura umana; a differenza dei filosofi precedenti, che hanno individuato nella ragione umana il tratto distintivo dell’uomo, Hume ha come tesi di fondo la convinzione che la natura umana è molto complessa per cui la ragione è condizionata anche da altre componenti, come gli istinti e i sentimenti, che rappresentano i veri moventi delle azioni umane. Secondo lui l’esperienza non dà validità alla conoscenza che, ricondotta nei suoi legittimi confini, è solamente probabile. Hume nasce il 26.04.1711 a Edimburgo in Scozia. Studia giurisprudenza. Tra il 1739 e 1740 scrive Trattato sulla natura umana. Nel 1742 compone la prima parte dei Saggi morali e politici. Dal 1745 al 1748 ha incarichi politici; nel 1748 scrive Ricerca sull’intelletto umano (rielaborazione della prima parte del Trattato). Nel 1752 compone una Storia dell’Inghilterra – pubblicazione di La ricerca sui principi della morale (rielaborazione della terza parte del Trattato). Nel 1757 Storia naturale della
  • 4. Filosofia 5^A Chiara Ponti 5^ A A.S. 2014 - 2015 Pag. 4 religione - composizione dei Dialoghi sulla religione naturale (pubblicati postumi nel 1779). Nel 1763 è segretario del conte di Hartford, due anni dopo torna in Inghilterra, dove dal 1769 fa una vita ritirata e tranquilla. E muore il 25.08.1776. Hume vuole costruire una scienza della natura umana su base sperimentale che offra un’analisi sistematica delle varie dimensioni che costituiscono la natura umana: dalla ragione al sentimento, dalla morale alla politica. Hume è convinto che l’uomo costituisce la “capitale” del regno del sapere ed è indispensabile studiarla in modo scientifico. Alla base del procedimento seguito da Hume stanno l’empirismo e una tendenza anti-metafisica. Hume nell’analizzare la conoscenza umana considera: 1. la portata e la forza dell’intelletto umano; 2. la natura delle idee 3. le operazioni che compiamo nei nostri ragionamenti. Hume si occupa di conoscenza riprendendo la teoria empiristica secondo cui la conoscenza umana è costituita da percezioni; il primo passo che fa è dividere le percezioni della mente in due classi in base alla forza e vivacità con cui colpiscono lo spirito: 1) impressioni  sono le percezioni nel momento in cui sono attuali, quelle cioè che penetrano con maggior forza ed evidenza nella conoscenza, quando cioè colpiscono la nostra coscienza. Sono tutte le sensazioni, passioni ed emozioni, nell’atto in cui vediamo o sentiamo, amiamo o odiamo, desideriamo o vogliamo. 2) idee o pensieri  Le immagini illanguidite sbiadite, illanguidite delle impressioni che si formano quando pensiamo / ricordiamo un’impressione vissuta nel momento precedente all’attuale. IMPRESSIONE Dolore provato per un calore eccessivo IDEA Ricordo del dolore Vivace e forte Meno vivace e forte Precede l’idea Deriva dalla corrispondente impressione LOCKE BERKELEY HUME L’unico oggetto della conoscenza umana è l’idea, ma riconosce al di là di essa, la realtà dell’io, di Dio e delle Nega la materia, ma ammette la realtà degli spiriti finiti e dello spirito infinito di Dio, entrambe riconducibili alle idee Risolve totalmente la realtà nel molteplice delle idee attuali e non ammette nulla al di là delle cose. Per spiegare la realtà del mondo e dell’io usa soltanto le impressioni, le idee e i
  • 5. Filosofia 5^A Chiara Ponti 5^ A A.S. 2014 - 2015 Pag. 5 cose. loro rapporti. La conclusione scettica è inevitabile Hume nega l’esistenza delle idee astratte, perché secondo lui esistono solo idee particolari, assunte come segni di altre idee particolari a esse simili. L’abitudine spiega la capacità di richiamare un gruppo di idee tra loro simili, cioè la funzione del segno; l’abitudine, considerata da Locke e Berkeley una funzione puramente logica del segno concettuale, diventa in Hume un fatto psicologico. Hume ha una concezione filosofica che nega valore alla metafisica, perché secondo lui le idee su cui essa si fonda sono astratte e non riconducibili all’esperienza percettiva e come tali rappresentano delle costruzioni arbitrarie senza fondamento. Nella Ricerca sull’Intelletto Umano utilizza parole pungenti nei confronti dei libri di teologia e metafisica affermando che “contengono solo sofisticherie ed inganni” e dovrebbero essere bruciati. Per il filosofo conoscere significa stabilire delle relazioni tra le idee, cioè connetterle. È consapevole di aver scoperto una legge che caratterizza l’intelletto umano, il principio di associazione, una sorta di legge gravitazionale della mente umana, secondo cui la mente umana ha una tendenza ad associare. Essa è una “dolce forza” che ci trasporta inavvertitamente da un’idea all’altra:  per somiglianza;  per contiguità nello spazio o nel tempo;  per relazione di causa – effetto. Hume ritiene che l’associazione stia alla base delle “idee complesse” di Locke, anche se si propone di mostrare come ad esse non corrisponda alcuna impressione. Lo spazio e il tempo non sono “impressioni”, ma modi con cui le impressioni si dispongono dinanzi allo spirito. Hume recupera l’idea dell’io su base emozionale, negando la tesi del razionalismo per cui la ragione era anche il fondamento dell’agire umano (come sosterrà in seguito anche Kant); afferma inoltre che il fondamento della morale è il sentimento, in particolare di simpatia, che rappresenta l’agire umano e porta gli uomini ad essere solidali gli uni con gli altri; il sentimento di simpatia è il fondamento dell’etica e dell’agire sociale. Hume riprende le argomentazioni di Locke nella critica all’idea di sostanza, distinguendo tra sostanza materiale e spirituale, ovvero l’io (anima). La nostra mente percepisce solo le impressioni delle singole cose (oro  lucentezza, colore, levigatezza). LOCKE HUME (oro  lucentezza, colore, (oro  lucentezza, colore, levigatezza) Esperienza costante
  • 6. Filosofia 5^A Chiara Ponti 5^ A A.S. 2014 - 2015 Pag. 6 levigatezza) Esperienza costante e ripetuta ci presenta in connessione tali qualità e ripetuta ci presenta in connessione tali qualità e la nostra mente è spinta a pensare che tali qualità appartengano ad un’entità che identifichiamo come una cosa  sostanza è il nome che per abitudine siamo soliti attribuire ad un determinato insieme di impressioni costantemente associate tra loro. L’errore che la mente commette consiste nel ritenere esistente la cosa come sostanza, mentre è una semplice compresenza di singole proprietà. Critica anche la sostanza spirituale sostenendo che sia un flusso caotico di impressioni che caratterizzano la nostra vita interiore (freddo, amore, odio) e per abitudine siamo portati a pensare che esse abbiano un fondamento unitario che i filosofi identificano come anima, ma che per Hume è una semplice compresenza di singolo proprietà dello spirito. Nel Trattato sulla Natura umana afferma che quando le nostre percezioni sono assenti, cioè nel sonno profondo, infatti per tutta a sua durata non esistiamo. La morte, secondo Hume, è il quietamento totale dell’uomo perché con questo evento tutte le nostre percezioni vengono soppresse e l’uomo, di conseguenza, viene interamente annientato. La critica al concetto di causalità di Hume, insieme alla critica al concetto di sostanza di Locke è il più importante risultato conseguito per la filosofia moderna. Il concetto di causalità è di ordine sia metafisico che scientifico: metafisico  se è vero è la causa del principio primo di causalità (origine platoniche – metodo tomistico  parte dai sensi, ne costata i concetti fondamentali arriva al principio di causalità e infine al concetto di Dio). Criticare questo principio significa colpire nel cuore la metafisica. Scientifico  è importante perché da quando è nata la scienza moderna che ricerca le cause efficienti che produce il fenomeno. Si ha una nuova visione della natura di ordine oggettivo, non soggettivo; lo scienziato deve ricercare l’ordine di causa – effetto tra le cose. L’ordine causale è a vantaggio dell’uomo (“sapere è potere” - Bacone) La relazione di causa – effetto non è né necessaria né oggettivo, ma soggettivo; non è la realtà ma la mente dell’uomo che porta, in virtù della “dolce forza” a collegare un fenomeno A (esempio fuoco) a un fenomeno B (esempio incendio). I fenomeni si presentano contigui e in successione, uno dopo l’altro (hoc post hoc  questo dopo questo) con contiguità, regolarità e costanza perché l’esperienza ci presenta costantemente associati determinati fenomeni
  • 7. Filosofia 5^A Chiara Ponti 5^ A A.S. 2014 - 2015 Pag. 7 che nella nostra mente si ripetono proprio perché essa fa esperienza costante di fenomeni ripetuti. La mente è portata, per abitudine, a credere1 che Asia causa di B. La nostra mente commette l’errore di trasformare l’ “hoc post hoc” in “hoc propter hoc”. Secondo Hume non possiamo conoscere a priori ma si può conoscere solo a posteriori. Non è contraddittorio pensare che domani il sole potrebbe non sorgere perché la non esperienza non può garantire nulla al futuro. Non ci sono certezze: da qui lo scetticismo scientifico di Hume ovvero quella concezione filosofica, che Kant non condividerà, secondo cui la scienza non è fonte di certezze assolute. La scienza non certa dà origine allo scetticismo metafisico, che secondo Hume non è un sapere né certo né valido. Questo concetto viene condiviso da Kant che gli riconosce di “averlo svegliato dal sonno dogmatico2 ”. 1 credenza è una predisposizione naturale dell’uomo che lo porta a pensare in maniera arbitraria che l’esperienza fatta in passato si ripeterà anche in futuro (il sole che sorge e tramonta) per cui la mente crede che anche domani sarà così (scetticismo scientifico) 2 Dogmatismo: il dogma è una concezione secondo la quale esistono verità indiscutibili che, come tali, devono essere accettate. Consiste nell’accettare opinioni o dottrine senza interrogarsi preliminarmente sulla loro effettiva conoscenza.
  • 8. Filosofia 5^A Chiara Ponti 5^ A A.S. 2014 - 2015 Pag. 8 LA VITA Immanuel Kant nasce nel 1724 a Könisberg, capoluogo della Prussia orientale (oggi corrisponde alla cittadina di Kalinimbarg della Russia) da famiglia di origine scozzese. Viene educato, in particolare dalla madre e nel Collegium Friediricanum, nello spirito religioso del pietismo3 di cui la madre era convinta seguace. Uscito dal collegio studia filosofia, matematica, teologia e della fisica newtoniana; dopo gli studi diventa precettore privato nelle case patrizie. Nel 1755 ottiene la libera docenza presso l’università di Könisberg dove svolge per 15 anni i corsi liberi su varie discipline; nel 1766 è sottobibliotecario nella biblioteca reale e nel 1770 diventa professore ordinario di logica e metafisica a Könisberg, fino alla morte. L’esistenza di Kant è priva di avvenimenti drammatici e di passioni, con pochi affetti e amicizie, interamente concentrata sullo sforzo continuo di pensiero che si accompagna ad uno stile di vita rigidamente abitudinario. Non è estraneo agli avvenimenti politici del suo tempo; simpatizza con i francesi per gli ideali della rivoluzione diretta a realizzare l’ideale di libertà politica. Il suo ideale politico era la costituzione repubblicana fondata sul principio di libertà dei membri di una società, sul principio di indipendenza di tutti e sulla legge dell’eguaglianza, come cittadini. Il contrasto con il governo prussiano dopo la pubblicazione della seconda edizione (1794) de La religione entro i limiti della sola ragione. Kant ne Il conflitto delle facoltà (1798), rivendica la libertà di pensiero e di parola, contro gli arbitri del dispotismo, anche nei confronti della religione. Negli ultimi anni Kant viene preso da una debolezza senile che lo priva gradualmente di tutte le sue facoltà. Muore nel 1804. CORNICE STORICO – CULTURALE, La cornice storica – culturale in cui vive Kant è l’Illuminismo (derivazione tedesca  “rischiaramento dalle tenebre per mezzo della luce della ragione”), il più importante movimento culturale dell’Europa nel Settecento che coinvolge tutti i campi del sapere (filosofia, letteratura). Nasce nell’Inghilterra di fine Seicento, dalla filosofia di 3 Pietismo: corrente del protestantesimo sorta nel 1600 caratterizzata da rigore etico e una robusta vita di fede. Questa corrente protestante nella quale viene educato Kant è fondamentale per capire la sua visione della morale come dovere incondizionato e assoluto.
  • 9. Filosofia 5^A Chiara Ponti 5^ A A.S. 2014 - 2015 Pag. 9 John Locke (1632 - 1704), si sviluppa principalmente in Francia, dagli anni 30 del Settecento, per poi diffondersi nei maggiori paesi d’Europa. L’espressione “età dei lumi” rimanda alla metafora secondo la quale si esalta la ragione e prevale un atteggiamento critico verso la tradizione e le religioni positive (Voltaire), che alimentano l’ignoranza e la superstizione. Gli illuministi si propongono di liberare gli uomini dall’ignoranza e dalle false credenze per mezzo della luce della ragione. KANT E L’ILLUMINISMO: Nel 1784 Kant scrive un testo Risposta alla domanda: che cos’è l’illuminismo?” in cui definisce l’Illuminismo come «l’uscita dell’uomo dallo Stato di minorità4 » inteso come «l’incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro». Lo Stato di minorità è imputabile a se stessi ed è dovuta non tanto al difetto di intelligenza, ma alla mancanza del coraggio necessario per utilizzare al meglio la nostra ragione; da qui il motto degli illuministi «Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza» in modo critico, libero e autonomo. Secondo gli illuministi, e Kant, bisogna saper usare la ragione liberamente e pubblicamente, ciò significa assumere un atteggiamento problematizzante nei confronti della realtà e di ogni tesi preconcetta (ragione = organo di verità), lottando contro la tradizione, l’autorità, il potere politico, le religioni, le metafisiche. Inoltre secondo loro bisogna sforzarsi di sottoporre ogni realtà al tribunale della ragione5 per distinguere il vero dal falso e individuare ciò che può migliorare la società, utilizzando la ragione come strumento di progresso. La ragione necessita di un uso critico, la filosofia di Kant viene infatti chiamata criticismo: il sapere non è erudizione, ma lo strumento di progresso con un valore civile, finalizzato a migliorare la vita dell’uomo. Da ciò deriva una diversa interpretazione della figura dell’intellettuale e del suo compito: non è più il sapiente dedito a speculazioni metafisiche, ma un uomo tra gli altri uomini che lotta per rendere più abitabile il mondo attraverso un’opera di divulgazione culturale (enciclopedia) e ricerca del rapporto con il pubblico. I PERIODI DELLAFILOSOFIADI KANT Le opere di Kant si dividono in tre periodi:  Fino al 1760, in cui manifesta interesse per le scienze naturali;  Fino al 1781, in cui manifesta interesse metafisico;  Dal 1781 in poi, in cui manifesta interesse per la filosofia trascendentale. LE PRINCIPALI OPERE DEL PERIODO CRITICO Le opere principali di Kant sono:  Critica della ragion pura, 1781, in cui affronta il problema gnoseologico, la conoscenza; 4 Stato di minorità quando noi non sappiamo usare la nostra ragione. 5 Portare ogni verità davanti al tribunale della ragione. Kant si propone di portare davanti al tribunale della ragione la ragione stessa per chiarirne strutture e possibilità, nonostante ritenga che i confini della ragione possono essere tracciati solo dalla ragione stessa che, essendo autonoma non può essere guidata nel suo procedimento dall’esterno.
  • 10. Filosofia 5^A Chiara Ponti 5^ A A.S. 2014 - 2015 Pag. 10  Critica della ragion pratica, 1788, in cui affronta il problema dell’etica e morale6  Critica del giudizio, 1790, in cui affronta il problema dell’estetica, più precisamente il sentimento e in particolare il tema della bellezza. Kant attua una rivoluzione in campo filosofico, sia in campo gnoseologico (conoscenza) ed etico – morale. 1. Nel periodo precritico gli studi di Kant sono sia filosofici che scientifici; i suoi scritti infatti rispondono agli interessi naturalistici propri della sua formazione universitaria come testimoniato dall’opera Storia naturale universale e teoria del cielo, del 1755, che descrive la formazione dell’intero sistema cosmico a partire dalla fisica newtoniana. Accanto ad altre ricerche sui fenomeni fisici, occorre segnalare la dissertazione per la libera docenza del 1755. La frase della Critica della ragion pratica “Il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me” incisa sulla sua tomba, sintetizza i suoi interessi riscontrabili sia nel periodo precritico che in quello critico: A. : richiama a ciò che va oltre e tende all’infinito; B. : approda ad un esito scettico, secondo lui la metafisica non è una scienza. Tuttavia si dichiara innamorato deluso della metafisica e riconosce l’anelito perenne7 dell’uomo per la metafisica. La ragione umana è spinta in maniera naturale ad interrogarsi su questioni di natura metafisica: a) Da dove veniamo?; b) Dove andiamo?: il finito non ci basta, da qui la questione gnoseologica (l’anima esiste? Dio esiste?); c) Il senso della vita. 2. . In questo periodo prevalgono gli interessi filosofici e un primo delinearsi di temi e motivi che confluiranno nel criticismo. Kant ricorre all’immagine dell’oceano “tenebroso senza sponde o fari” e di “un abisso senza fondo” in cui soltanto con timore e diffidenza ci si avventura. L’anelito ci porta 6 Etica e morale saranno divise in Hegel 7 L’anelito perenne, nasce nell’età della ragione, e ci porta ad avventurarci oltre l’orizzonte del finito. La metafisica è un ambito che va oltre le conoscenze possibili dell’uomo. Kant utilizza la metafora dell’isola e dell’oceano: noi abitiamo l’isola dei fenomeni, che è l’unico mondo che possiamo conoscere scientificamente (valido e certo), ma siamo spinti a navigare nell’oceano. Questa immagine è già presente negli scritti precritici, quando paragona la metafisica ad un oceano senza sponde, insondabile, un abisso senza fondo. La metafisica è un ambito che va oltre le conoscenze possibili dell’uomo.  Isola = è il mondo dei fenomeni, cioè la realtà così come ci appare ed è conoscibile (uti apparent), diversa dalla conoscenza noumenica, ciò così com’è. Indica la cosa in sé che non è conoscibile (uti sunt);  Mare = rappresenta l’ambito della metafisica, cioè l’ “abisso senza fondo”
  • 11. Filosofia 5^A Chiara Ponti 5^ A A.S. 2014 - 2015 Pag. 11 ad avventurarci oltre l’orizzonte dell’infinito; l’isola dei fenomeni è la metafora che ci permette di conoscere in maniera valida e certa, per cercare di andare oltre il finito; la metafisica è un ambito che va oltre le possibilità conoscitive dell’uomo che si pone delle domande fondamentali: a. qual è l’origine del cosmo (cioè l’archè da cui tutto ha origine)?; b. esiste Dio (domanda centrale nella metafisica medievale, in particolare nella patristica di S. Agostino e nella scolastica di S. Tommaso)? LA DISSERTAZIONE INAUGURALE DEL 1770. Di questo periodo fa parte la dissertazione inaugurale del 1770 (titolo originale La forma e i principi del mondo sensibile e intellegibile – De mundi sensibilis atque intellegibilis forma et princiipis), elaborata per la nomina a professore ordinario all’università di Konisberg, rappresenta lo spartiacque tra il periodo precritico e quello critico. Il 1769 è l’hanno della “grande luce”, cioè della grande intuizione, che Kant svilupperà nella Critica della Ragion pura; questa sua intuizione è una vera e propria rivoluzione, paragonata alla rivoluzione scientifica copernicana; come Copernico ha ribaltato il rapporto plurisecolare terra – sole passando dalla visione geocentrica, così Kant ha ribaltato il rapporto tra soggetto e oggetto nella visione collettiva: RIVOLUZIONE SCIENTIFICA COPERNICANA RIVOLUZIONE KANTIANA si passa dalla visione plurisecolare geocentrica (terra immobile al centro dell’universo), alla visione eliocentrica (sole al centro dell’universo) Ribaltamento del rapporto soggetto – oggetto del processo conoscitivo, superando la teoria della centralità dell’oggetto e ponendo al centro il soggetto8 che caratterizza la filosofia del processo conoscitivo. Se non ci fosse un soggetto in grado di conoscere non avrebbe senso la realtà. Non è più il soggetto che si adegua passivamente all’oggetto ma l’oggetto che si adegua al soggetto che è dotato di forme pure a priori senza le quali la conoscenza sarebbe impossibile. “Benché ogni nostra conoscenza inizi dall’esperienza essa non si esaurisce interamente in essa”. La Dissertazione è la soluzione critica del problema dello spazio e del tempo, che secondo lui non sono proprietà delle cose, realtà ontologica, nemmeno semplici rapporti tra corpi, ma le forme pure a priori della sensibilità, cioè le condizioni necessarie senza le quali non potremmo conoscere sensibilmente le cose9 . In essa, Kant sottolinea come le posizioni reciproche delle parti della materia presuppongano determinazioni spaziali e di conseguenza il concetto di spazio è originario. Kant distingue tra: 8 Centralità del soggetto: carattere della filosofia moderna - rinascimentale 9 Conoscere sensibilmente una cosa significa spazializzarla e temporizzarla.
  • 12. Filosofia 5^A Chiara Ponti 5^ A A.S. 2014 - 2015 Pag. 12 CONOSCENZA SENSIBILE: dovuta alla ricettività (o passività del soggetto), che ha per oggetto il fenomeno, cioè la cosa come appare. A sua volta la conoscenza sensibile si può distinguere in:  materia, cioè la sensazione, ovvero una modificazione degli organi di senso e che testimonia le presenza dell’oggetto da cui è causata;  forma, cioè la legge, che ordina la materia sensibile ed è indipendente dalla sensibilità. Questa conoscenza è costituita da spazio e tempo che:  non derivano dalla sensibilità (che la presuppone);  sono intuizioni “pure”;  precedono ogni conoscenza sensibile e sono indipendenti da essa;  sono condizioni soggettive e necessarie della mente umana per coordinare a sé, in virtù di una legge, tutti i dati sensibili; La conoscenza sensibile si distingue in: I. apparenza: è anteriore all’intervento dell’intelletto logico; II. esperienza: consiste nel confronto operato dall’intelletto tra una molteplicità di apparenza; è una forma di conoscenza riflessa; dall’apparenza all’esperienza si va attraverso la riflessione. I suoi oggetti sono i fenomeni. CONOSCENZA INTELLETTUALE: Kant condivide l’idea tradizionale che essa abbia la possibilità di cogliere le cose uti sunt, ossia nel loro ordine intellegibile (i “noumeni”), a differenza della sensibilità che le percepisce uti apparent, ossia come appaiono i fenomeni Successivamente il filosofo si stacca da questa distinzione e si pone coerentemente alla prospettiva criticistica, insistendo sempre di più sui limiti dell’intelletto. 3. . Di questo periodo fa parte la Critica della Ragion pura del 1781, in cui analizza la questione gnoseologica, semplificata nella seconda edizione del 1787, in particolare per quanto riguarda la deduzione trascendentale. La filosofia di Kant è detta criticismo perché si contrappone al dogmatismo10, e il filosofo fa della critica lo strumento per eccellenza della filosofia. “Criticare” per Kant significa, conformemente all’etimologia greca “giudicare”, “distinguere”, “valutare”, “soppesare” ecc, ossia interrogarsi programmaticamente circa il fondamento di determinate esperienze umane, si interroga sulle possibilità della conoscenza umana, cercando di capire le forme di conoscenza. Chiarisce: 10 Dogmatismo: il dogma è una concezione secondo la quale esistono verità indiscutibili che, come tali, devono essere accettate. Consiste nell’accettare opinioni o dottrine senza interrogarsi preliminarmente sulla loro effettiva conoscenza.
  • 13. Filosofia 5^A Chiara Ponti 5^ A A.S. 2014 - 2015 Pag. 13 Se tradizionalmente l’etica dipendeva dalla metafisica, con la crisi progressiva delle metafisiche tradizionali, con Kant nasce il problema dell’etica – morale autonoma rispetto alle speculazioni ontologiche che, come vedremo dipende dalla ragione.  le possibilità  le condizioni che permettono l’esistenza di determinate esperienze;  la validità  i titoli di legittimità e non che le caratterizzano;  i limiti  i confini di validità. Nel criticismo di Kant è centrale e qualificante l’aspetto del limite, tanto che esso si configura come una filosofia del limite11, un’interpretazione dell’esistenza che cerca di stabilire, nei vari settori esperienziali, le “colonne d’Ercole” dell’umano, oltre il quale l’umano non può inoltrarsi: fissa i confini oltre i quali la conoscenza non è valida e possibile, e dentro i quali la conoscenza è valida, certa, legittima (oltre i quali la conoscenza è illegittima): riconosce il carattere finito o condizionato delle possibilità esistenziali che non garantiscono di fatto l’onniscienza e l’onnipotenza dell’individuo12. Questa filosofia del finito non equivale a una forma di scetticismo13 perché tracciare il limite di un’esperienza significa nel contempo garantirne la validità entro il limite stesso. L’assunto di base della filosofia critica “è di reperire nel limite della validità la validità del limite”. L’impossibilità per la conoscenza di trascendere i limiti dell’esperienza diventa la base dell’effettiva validità della conoscenza stessa. Il criticismo non è solo una scoperta geniale di Kant, ma anche il risultato di determinate condizioni e istanze intellettuali della sua epoca e di tutto il pensiero precedente, in particolare: 1. della rivoluzione scientifica; 2. della crisi progressiva delle metafisiche tradizionali. La metafisica non è più la “regina delle scienze”, con lo scetticismo di Kant infatti essa non è più il fondamento dell’etica: è necessario rifondare la morale non nella religione, ma nella ragione. 11 Filosofia del limite o “ermeneutica della finitudine”: questa espressione è stata usata da Nicola Abbagnano, inaugura e sintetizza l’interpretazione anti-idealistica di Kant che si è sviluppata all’interno della filosofia italiana del secondo dopoguerra. 12 Lo stesso discorso vale per la morale. 13 Scetticismo kantiano: Kant non approda allo scetticismo se non in parte, ma non in modo radicale come quello di Hume, perché l’illuminista riconosce l’ambito di validità in modo assolutamente certo; approda solo allo scetticismo metafisico, che è un sapere né certo né valido. Riconosce a Hume di “averlo svegliato dal sonno dogmatico”. Il kantismo si distingue dall’empirismo perché 1. rifiuta i suoi esiti scettici 2. Spinge più a fondo l’analisi critica, cercando di fissare le condizioni di possibilità e i limiti di validità dei meccanismi conoscitivi, etici, sentimentali…
  • 14. Filosofia 5^A Chiara Ponti 5^ A A.S. 2014 - 2015 Pag. 14 La Critica della ragion pura è un’analisi critica dei fondamenti del sapere. Ai tempi di Kant l’universo del sapere, che prende la forma di un’indagine valutativa, si articola in:  Scienza (fisica e matematica), un sapere fondato e in continuo progresso  Metafisica, non sembra aver trovato il cammino sicuro della scienza perché fornisce le soluzioni più disparate (antitetiche). Hume ha minato alla base i fondamenti ultimi della metafisica e della scienza, è inevitabile un riesame globale della struttura e della validità della conoscenza per rispondere in modo esauriente alla domanda sulla scientificità dei due campi del sapere. Kant non condivide lo scetticismo scientifico di Hume14 , infatti secondo il filosofo criticista non si deve dubitare del valore della scienza; ne condivide lo scetticismo metafisico15 le riconosce una certa nobiltà e importanza. Tuttavia si dichiara innamorato deluso della metafisica e riconosce l’anelito perenne16 dell’uomo per la metafisica. La ricerca kantiana sui fondamenti del sapere è un’indagine rivolta alla matematica e alla fisica e alla metafisica, lungo due percorsi paralleli. Nella Critica Kant cerca di dare delle risposte a:  Com’è possibile la scienza (matematica e fisica pure)?  cerca di chiarire le condizioni che le rendono possibili come scienze.  Com’è possibile la metafisica come disposizione naturale? A cui si aggiunge la terza domanda com’è possibile la metafisica come scienza? cerca di scoprire “se” esistano le 14 Secondo Hume non possiamo conoscere a priori ma si può conoscere solo a posteriori. Non è contraddittorio pensare che domani il sole potrebbe non sorgere perché la non esperienza non può garantire nulla al futuro. Non ci sono certezze: da qui lo scetticismo scientifico diHume ovvero quella concezione filosofica secondo cui la scienza non è fonte di certezze assolute. Hume ritiene che l’esperienza da un momento all’altro può smentire le verità fondamentali della scienza perché l’esperienza da un momento all’altro può smentire le verità fondamentali della scienza. Kant sostiene invece che tale realtà non sussiste, in quanto l’esperienza, essendo condizionata dalle categorie dell’intelletto e dall’io penso non potrà mai smentirne i principi perché essi rappresentano l’ordine oggettivo della natura che coincide con le condizioni formali del soggetto. 15 La scienza non certa dà origine allo scetticismo metafisico, che secondo Hume non è un sapere né certo né valido. Questo concetto viene condiviso da Kant che gli riconosce di “averlo svegliato dal sonno dogmatico15 ”. 16 L’anelito perenne, nasce nell’età della ragione, e ci porta ad avventurarci oltre l’orizzonte del finito. La metafisica è un ambito che va oltre le conoscenze possibili dell’uomo. Kant utilizza la metafora dell’isola e dell’oceano: noi abitiamo l’isola dei fenomeni, che è l’unico mondo che possiamo conoscere scientificamente (valido e certo), ma siamo spinti a navigare nell’oceano. Questa immagine è già presente negli scritti precritici, quando paragona la metafisica ad un oceano senza sponde, insondabile, un abisso senza fondo. La metafisica è un ambito che va oltre le conoscenze possibili dell’uomo.  Isola = è il mondo dei fenomeni, cioè la realtà così come ci appare ed è conoscibile (uti apparent), diversa dalla conoscenza noumenica, ciò così com’è. Indica la cosa in sé che non è conoscibile (uti sunt);  Mare = rappresenta l’ambito della metafisica, cioè l’ “abisso senza fondo”
  • 15. Filosofia 5^A Chiara Ponti 5^ A A.S. 2014 - 2015 Pag. 15 condizioni tali che possano legittimare le sue pretese di porsi come scienza o “se” essa è condannata alla non-scientificità. Quali sono le condizioni che rendono possibile la conoscenza? Kant si interroga sulle possibilità della conoscenza umana, cercando di chiarire quali sono le condizioni che la rendono possibile: 1. L’esperienza cioè la condizione imprescindibile (rimanda all’empirismo “ogni conoscenza parte dall’esperienza”) e il limite oltre il quale non c’è conoscenza, per cui dove non c’è esperienza non c’è conoscenza; per Kant l’esperienza si divide in: DATITÀ BRUTA, insieme di dati caotici che ci arrivano attraverso i sensi, che precede l’opera unificatrice dell’intelletto che costituisce il materiale e fonte della conoscenza sensibile per cui ogni nostra conoscenza comincia con l’esperienza; ORDINE UNITARIO DEI DATI SENSIBILI SECONDO LE FORME PURE A PRIORI 2. 17 Le forme pure a priori ovvero:  SPAZIO E TEMPO – che derivano dalla sensibilità (è la facoltà con cui gli oggetti ci sono dati intuitivamente attraverso i sensi e le forme pure a priori di spazio e tempo)  LE 12 CATEGORIE (o concetti puri) – che derivano dall’intelletto (in senso stretto è la facoltà con cui pensiamo i dati sensibili tramite i concetti puri o le 12 categorie)  L’IDEA DI ANIMA, MONDO E DIO – forme pure a priori della ragione (razionale – è la facoltà con cui, procedendo oltre l’esperienza cerchiamo di spiegare globalmente la realtà mediante le idee mediante le sue forme pure a priori) Dimostrato che il sapere poggia su giudizi sintetici a priori, Kant deve spiegare la loro provenienza. Infatti se non derivano dall’esperienza, da dove provengono i giudizi sintetici a priori? La conoscenza è sintesi di materia e forma (espressione aristotelica), ovvero sintesi: di un elemento a posteriori (MATERIA), ovvero l’esperienza MA “Benché ogni nostra conoscenza inizi dall’esperienza essa non si esaurisce interamente in essa”, da ciò derivano le 17 ESEMPI: 1. Occhiali colorati o occhiali permanenti attraverso cui la realtà si adegua al soggetto; 2. Programmi interni fissi del computer; 3. Intelaiatura, sistema di caselle, schedario in cui si sistemano gli oggetti e gli eventi (Karl Popper) Forme trascendentali (trascendentale non è sinonimo di trascendente cioè ciò che va oltre l’esperienza) sono la condizione gnoseologica necessaria per conoscere e coincide con le forme pure a priori e coincidono con le forme pure a priori, che unitamente all’esperienza ci permette di conoscere.
  • 16. Filosofia 5^A Chiara Ponti 5^ A A.S. 2014 - 2015 Pag. 16 forme pure a priori. Per “materia” della conoscenza si intende la molteplicità caotica e mutevole delle impressioni che derivano dall’esperienza (elemento empirico o a posteriori). di un elemento a priori (FORMA), che avviene prima dell’esperienza (innatismo kantiano18 ). Per “forma” della conoscenza si intende l’insieme delle modalità fisse attraverso cui la mente ordina, secondo determinati rapporti (elemento razionale o a priori). Kant intende mostrare che la conoscenza umana può essere universale e necessaria, ma al tempo stesso feconda. Per questo motivo il filosofo apre la Critica della ragion pura con un’ipotesi di fondo che, secondo lui, risulta immediatamente convalidata dall’esistenza di “giudizi sintetici a priori”. Per Kant conoscere vuol dire giudicare, cioè formulare giudizi, cioè connettere un soggetto ad un predicato; es. “il cielo oggi è azzurro”, questo esempio è una conoscenza, cioè un giudizio in cui avviene la connessione fra due concetti: il primo che funge da soggetto (cielo) e l’altro che funge da oggetto (è azzurro). Kant è convinto che la conoscenza umana19 , in particolare la scienza, offra il tipico esempio di principi assoluti, verità universali e necessarie, che valgono ovunque e sempre allo stesso modo. Infatti la scienza presuppone alla propria base, alcuni principi immutabili che sono i “pilastri” su cui essa si regge. Esempio le proposizioni denominate da Kant giudizi sintetici a priori: 1. GIUDIZI che consistono nel connettere un predicato con un soggetto; 2. SINTETICI perché il predicato dice qualcosa di nuovo e di più rispetto al soggetto; 3. A PRIORI in quanto universali e necessari perché non possono derivare dall’esperienza, che non dice che ogni evento debba necessariamente dipendere da cause, ma solo che finora (nel passato) è stato così. Secondo Kant, i giudizi fondamentali della scienza non sono: né GIUDIZI ANALITICI A PRIORI, cioè giudizi enunciati a priori, senza bisogno di ricorrere all’esperienza, in essi il predicato non fa che esplicitare, con un processo di analisi basato sul principio di non-contraddizione, quanto è già implicitamente contenuto nel soggetto, quindi sono infecondi. Es. “i corpi sono estesi” in cui il concetto di esteso non aggiunge nulla al concetto di corpo. 18 Innatismo kantiano che si distingue dal tradizionale che affonda le sue radici nel platonismo (l’anima ha dentro di sé le idee delle cose che ha contemplato nella pianura del mondo delle idee); l’innatismo viene sviluppato nella filosofia medievale scolastica e poi nella filosofia moderna dl razionalismo (vedi tabella di confronto con empirismo). L’innatismo kantiano è dunque diverso da quello tradizionale perché i suoi schemi a priori sono ciò attraverso cui si conosce; per Kant conoscere vuol dire giudicare, cioè formulare giudizi, cioè connettere un soggetto ad un predicato. 19 Conoscenza umana. La conoscenza è costituita da giudizi sintetici a priori, conoscere significa giudicare, ovvero connettere un soggetto a un predicato
  • 17. Filosofia 5^A Chiara Ponti 5^ A A.S. 2014 - 2015 Pag. 17 CARATTERISTICHE  Infecondi o sterili (analitici) per cui il predicato non dice nulla di nuovo rispetto al soggetto  Universali e necessari per cui non hanno bisogno di convalide empiriche Questi giudizi simboleggiano la concezione razionalista (deduttivistica) della scienza che pretendeva di partire da alcuni principi a priori (le idee innate) per derivare da essi tutto lo scibile, delineando il modello di un sapere universale e necessario. né GIUDIZI SINTETICI A POSTERIORI, cioè giudizi in cui il predicato dice qualcosa di nuovo rispetto al soggetto aggiungendosi o sintetizzandosi ad esso, a posteriori. Es. “i corpi sono pesanti” formulato solo dopo aver fatto esperienza di più oggetti corporei, dal momento che il peso, a differenza dell’estensione non è collegato a priori con il concetto di corpo. CARATTERISTICHE  Fecondi (sintetici) per cui il predicato dice qualcosa di nuovo rispetto al soggetto;  Particolari e non necessari (contingente20 ) perché derivano dall’esperienza. Questi giudizi simboleggiano la concezione empiristica (induttivistica) della scienza che pretende di fondare quest’ultima esclusivamente sull’esperienza, delineando il modello di un sapere fecondo, ma privo di universalità e necessità. Kant ritiene:  contro il razionalismo, che la scienza derivi dall’esperienza;  contro l’empirismo che alla base dell’esperienza vi siano dei principi inderivabili dall’esperienza stessa. Nella visione kantiana la scienza risulta feconda in un duplice senso: 1) il contenuto e la materia che deriva dall’esperienza; 2) la forma, che deriva dai giudizi sintetici a priori che ne rappresentano i quadri 3) concettuali di fondo, in virtù di questi ultimi, essa è anche a priori, cioè universale e necessaria. I giudizi sintetici a priori sono propri della matematica e della fisica, la spina dorsale della scienza cioè l’elemento che conferisce stabilità e universalità. L’errore di Hume, secondo Kant è proprio quello di non cogliere la differenza tra i giudizi sintetici (che esprimono il collegamento percettivo di due fatti concomitanti) e il principio di causalità “ogni evento ha una causa” che è un giudizio sintetico a priori. 20 Contingente ciò che potrebbe essere, ma anche non essere.
  • 18. Filosofia 5^A Chiara Ponti 5^ A A.S. 2014 - 2015 Pag. 18 Es. “il calore dilata i metalli” formulata in virtù dell’esperienza presuppone alla propria base il giudizio sintetico a priori della causalità. CARATTERISTICHE Fecondi (sintetici) il predicato dice qualcosa di nuovo rispetto al soggetto, amplificano la conoscenza, come i giudizi sintetici a posteriori Universali e necessari (a priori) non derivano dall’esperienza Questi giudizi simboleggiano la concezione criticistica della scienza, la spina dorsale della scienza cioè l’elemento che conferisce stabilità e universalità. Senza alcuni principi assoluti di fondo la scienza non potrebbe sussistere. Mentre il ricercatore “humiano” a ogni passo brancola nel buio, non sapendo se anche nel futuro ogni evento dipenderà da cause o se ogni oggetto d’esperienza sarà collocato nello spazio e nel tempo, lo scienziato “kantiano” è certo a priori di tali verità, anche se per sapere quali siano le cause che producono gli eventi o che cosa vi sia nello spazio e nel tempo ha bisogno di ricorrere alla testimonianza dell’esperienza. La conoscenza vera secondo Kant è costituita da questo tipo di giudizi che unisce la priorità (universalità e necessità) alla fecondità (sinteticità). La conoscenza è sintesi di materia e forma o connessione di dati che può fornire solo l’esperienza, ma la sintesi è impossibile senza gli elementi razionali, cioè le forme pure a priori. Kant opera una rivoluzione copernicana in ambito gnoseologico21 perché come Copernico ha rivoluzionato la visione astronomica plurisecolare passando dalla visione gnoseologica alla visione eliocentrica, così Kant ha ribaltato il rapporto tra soggetto e oggetto nella visione collettiva. Per Kant ma il soggetto ha un ruolo attivo, mentre RUOLO PASSIVO DEL SOGGETTO NELLA TRADIZIONE (Eraclito, i Pitagorici e Platone) RUOLO ATTIVO DEL SOGGETTO IN KANT nella tradizione la mente si limitava a riflettere, come uno specchio, un ordine già costituito, un tutto ordinato perché dominato dal logos. Compito del filosofo era decodificare l’ordine della realtà, come il tuffatore di Delo va in profondità e non rimane in superficie, così il filosofo La mente umana non si limita a riflettere un ordine già costituito, ma il soggetto ha un ruolo attivo e centrale (già presente nella filosofia umanistico – rinascimentale, ovvero quella moderna) 21 Confronto con la rivoluzione copernicana a pag. 3
  • 19. Filosofia 5^A Chiara Ponti 5^ A A.S. 2014 - 2015 Pag. 19 deve decodificare la realtà in maniera approfondita. la realtà non è intersecante (il disordine è solamente apparente), ma un tutto ordinato perché dominato dal logos, (universo = cosmos = ordine, alla base della realtà ordinata e razionale) e il filosofo deve decodificare quell’ordine la realtà non è un tutto ordinato, i dati sono una materia caotica, se non ci fossero gli elementi a priori non ci sarebbe la possibilità di conoscere Il soggetto ha un ruolo passivo per cui la mente si adeguava alla realtà. l’io è legislatore del mondo, o più precisamente “della natura” (come il legislatore dà leggi per ordinare la realtà, così l’io è legislatore ed ordina la realtà) che conferisce ordine alla realtà per cui essa non è già intrinsecamente ordinato (centralità del soggetto22 ), ma è la realtà, cioè l’oggetto, che si modella sulle forme a priori attraverso cui lo percepiamo. Essendo il fondamento della natura, l’io è anche il fondamento della scienza che studia. Infatti i pilastri ultimi della fisica, che in concreto si identificano con i principi dell’intelletto puro, poggiano sui giudizi sintetici a priori della mente, che al loro volta derivano dalle intuizioni pure di spazio e di tempo e delle 12 categorie Kant distingue tre facoltà conoscitive su cui basa la Critica della ragion pura: Sensibilità è la facoltà con cui gli oggetti ci sono dati intuitivamente attraverso i sensi e le forme pure a priori di spazio e tempo; Intelletto (in senso stretto) è la facoltà con cui pensiamo i dati sensibili tramite i concetti puri o le 12 categorie; Ragione è la facoltà con cui, procedendo oltre l’esperienza cerchiamo di spiegare globalmente la realtà mediante le idee mediante le sue forme pure a priori. 22 Centralità del soggetto: conquista fondamentale per il passaggio all’idealismo che sviluppa la posizione kantiana sostenendo che è l’io a creare la realtà indipendentemente dal soggetto che la conosce (Kant) o addirittura la crea (idealismo)
  • 20. Filosofia 5^A Chiara Ponti 5^ A A.S. 2014 - 2015 Pag. 20 LA PARTIZIONE DELLA CRITICA DELLA RAGION PURA L’opera si divide in due tronconi: La dottrina degli elementi, studia le forme pure a priori, si divide a sua volta in:  estetica trascendentale che studia le forme a priori della sensibilità, ovvero gli elementi formali della conoscenza (spazio e tempo);  logica trascendentale che studiale le forme a priori del pensiero, ovvero intelletto e ragione; si divide in: 1. analitica trascendentale studia le forme pure a priori dell’intelletto (le 12 categorie); 2. dialettica trascendentale studia le forme pure a priori della ragione (le idee). La dottrina del metodo, studia l’applicazione delle forme pure a priori N.B. Intelletto e ragione non sono sinonimi. Sono due facoltà del pensiero umano oggetto di studio filosofico nella logica trascendentale. RAGIONE (IN SÉ  UTI SUNT) INTELLETTO (PER NOI  UTI APPARENT) Definizi one Facoltà che spinge l’uomo al di là del finito, a cercare i principi primi e le cause ultime del reale tramite l’anelito perenno che ci spinge verso la metafisica, oltre l’esperienza, oltre il finito. È la facoltà dell’infinito dell’assoluto e dell’incondizionato. Facoltà che consente all’uomo di conoscere l’orizzonte dell’esperienza, (l’isola che abitiamo, l’isola della verità con la scienza) entro cui può conoscere legittimamente. È la facoltà del finito. Oggett o L’oggetto verso cui è attratta la ragione è il noumeno, cioè la realtà considerata indipendentemente da noi. Ha come oggetto il finito, è la facoltà del fenomeno, del finito, conosce solo il fenomeno. Limiti La realtà noumenica può essere pensata con la ragione, ma non conosciuta perché per Kant conoscere è diverso da pensare. Il soggetto può pensare a Dio, all’anima e al cosmo ma non può conoscerli, perché gli mancano le condizioni necessarie per conoscerli. La conoscenza intellettiva, legata e dipende da quella sensibile, rappresenta l’unica fonte di conoscenza unica, certa, valida e possibile all’uomo per conoscere il finito. Attraverso questa facoltà il soggetto può pensare i dati che ci arrivano dall’esperienza grazie alle categorie che sono concetti puri, universali e propri di ogni uomo (es. unità, pluralità e totalità)
  • 21. Filosofia 5^A Chiara Ponti 5^ A A.S. 2014 - 2015 Pag. 21 Il concetto di trascendentale, che nella tradizione indicava “quelle proprietà universali comuni a tutte le cose”, cioè quelle che “eccedono” o “trascendono” le categorie in senso aristotelico, per Kant è connesso all’ “a priori” che non esprime una proprietà ontologica della realtà in sé, ma solo una condizione gnoseologica che rende possibile la conoscenza della realtà fenomenica. Il concetto di “trascendentale” non è sinonimo di trascendente, ma è ciò che va oltre l’esperienza, infatti il filosofo lo identifica con lo studio delle forme pure a priori e non con gli elementi a priori in quanto tali. Nell’Estetica trascendentale Kant studia la sensibilità e le sue forme a priori, ovvero spazio e tempo. Egli considera la sensibilità “ricettiva” perché essa non genera i propri contenuti, ma li riceve e li accoglie per intuizione della realtà esterna o dall’esperienza interna. La sensibilità è anche attiva perché organizza il materiale delle sensazioni che sono tramite le forme pure a priori della sensibilità cioè le intuizioni empiriche che vengono organizzate attraverso lo spazio e il tempo che sono le forme a priori della sensibilità, cioè le intuizioni pure della sensibilità  Lo spazio è la forma del senso esterno, cioè quella rappresentazione, necessaria per il fondamento di tutte le intuizioni esterne e che pone tutte le cose una accanto all’altra.  Il tempo è la forma del senso interno, cioè quella rappresentazione a priori che sta a fondamento dei nostri stati interni e del loro disporsi l’uno dopo l’altro, ovvero secondo un ordine di successione. È unicamente dal senso interno che ci giungono i dati del senso esterno, il tempo si configura anche, indirettamente come la maniera universale attraverso cui percepiamo tutti gli oggetti. Se ogni cosa è nello spazio ogni cosa è però nel tempo (tutti i fenomeni in generale, ossia tutti gli oggetti dei sensi, cadono nel tempo). È la forma universale in assoluto, gli stati interiori non sono localizzabili nello spazio, ma ogni cosa è nel tempo. Kant giustifica l’apriorità dello spazio e del tempo con:  argomenti teorici generali nella “esposizione metafisica”  argomenti tratti dalle scienze matematiche, nella “esposizione trascendentale”. Nell’ esposizione metafisica, Kant confuta: 1. La visione empiristica, che considera spazio e tempo come nozioni tratte dall’esperienza; Kant invece afferma che spazio e tempo non possono derivare dall’esperienza; 2. La visione oggettivistica, che considera spazio e tempo come entità a se stanti o recipienti vuoti; perché se spazio e tempo fossero davvero dei recipienti vuoti, cioè degli assoluti a sé stanti dovrebbero continuare ad esistere anche quando sono “vuoti” cioè senza oggetti.
  • 22. Filosofia 5^A Chiara Ponti 5^ A A.S. 2014 - 2015 Pag. 22 Puntualizza che spazio e tempo non sono contenitori in cui si trovano gli oggetti, ma dei quadri mentali a priori entro cui connettiamo i dati fenomenici. Pur essendo “ideali” o soggettivi rispetto alle cose in se stesse, sono tuttavia “reali” e “oggettivi” rispetto all’esperienza (nell’ipotesi in cui noi portassimo sempre lenti azzurre, tale colore per noi sarebbe altrettanto “reale” per i vari oggetti). Per questo motivo Kant parla di idealità trascendentale e realtà empirica dello spazio e del tempo. Kant rifiuta l’oggettivismo di Newton, cioè la sua concezione dello spazio e del tempo come realtà ontologiche a sé stanti, Kant non si avvicina allo scienziato inglese per la sua dottrina di spazio e tempo come coordinate assolute dei fenomeni, facendo di essere delle condizioni a priori del conoscere. 3. La visione concettualistica che considerava spazio e tempo come concetti esprimenti i rapporti tra le cose. Contro l’interpretazione concettualistica Kant afferma che spazio e tempo non possono essere considerati come concetti in quanto hanno una natura intuitiva e non discorsiva, perché noi, ad esempio, non astraiamo il concetto di spazio dalla constatazione dei vari spazi, ma intuiamo i vari spazi come parti di un unico spazio, presupponendo in tal modo la rappresentazione originaria di spazio, che risulta un’intuizione pura a priori. Nell’esposizione trascendentale Kant giustifica l’apriorità dello spazio e del tempo attraverso considerazioni epistemologiche sulla matematica che tendono a una fondazione filosofica. Egli considera la geometria e l’aritmetica delle scienze sintetiche a priori per eccellenza:  sintetiche in quanto ampliano le nostre conoscenze mediante costruzioni mentali che vanno oltre il già noto a priori in quanto i teoremi geometrici e aritmetici valgono indipendentemente dall’esperienza. Il punto di appoggio delle costruzioni sintetiche a priori della matematica risiede nelle intuizioni di spazio e di tempo. Infatti la geometria è la scienza che determina sinteticamente a priori la proprietà delle serie numeriche, basandosi sull’intuizione pura di tempo e di successione, senza la quale lo stesso concetto di numero non sarebbe mai sorto. In quanto a priori, la matematica è anche universale e necessaria, immutabilmente valida per tutte le menti pesanti. La seconda parte della dottrina degli elementi è la logica trascendentale che ha come specifico oggetto di indagine “l’origine, l’estensione e la validità oggettiva” delle conoscenze a priori che sono proprie dell’intelletto (Analitica trascendentale) e della ragione (dialettica trascendentale).
  • 23. Filosofia 5^A Chiara Ponti 5^ A A.S. 2014 - 2015 Pag. 23 Sensibilità e intelletto son entrambi indispensabili alla conoscenza poiché “senza sensibilità nessun oggetto ci verrebbe dato e senza intelletto nessun oggetto verrebbe pensato. I pensieri sono contenuto [senza intuizioni] sono vuoti, le intuizioni senza concetti sono cieche”. Nella prima parte dell’analitica trascendentale, l’analitica dei concetti, Kant risponde alla domanda “che cosa sono i concetti?” Le intuizioni sono affezioni cioè qualcosa di passivo, mente i concetti sono “funzioni”, cioè operazioni attive che consistono nell’ordinare, o unificare, diverse rappresentazioni “sotto una rappresentazione comune”. I concetti possono essere empirici, cioè costruiti con materiali ricavati dall’esperienza concetti empirici o puri, cioè contenuti a priori nell’intelletto. Le categorie sono quei concetti basilari della mente che costituiscono le supreme funzioni unificatrici dell’intelletto. E poiché ciascun concetto è il predicato di un giudizio possibile, le categorie coincidono con i predicati primi, cioè quelle grandi “caselle” entro cui rientrano tutti i predicati possibili. CATEGORIE ARISTOTELICHE CATEGORIE KANTIANE Le categorie per Aristotele sono:  LE CARATTERISTICHE FONDAMENTALI DELL’ESSERE; hanno un significato ontologico cioè LEGES ENTIS cioè dell’essere.  I MODI FONDAMENTALI CON CUI SI PREDICA (si dice e si pensa) l’essere; senza di esse non potremmo pensare. Il filosofo individua 10 categorie 1) SOSTANZA (Socrate è un uomo) 2) QUALITA’ (Socrate è brutto) 3) QUANTITA(Socrate è basso) 4) RELAZIONE (Socrate è lontano) 5) AGIRE (Socrate sta spiegando la lezione) 6) SUBIRE (Socrate viene ascoltato) 7) LUOGO (Socrate è lungo il fiume) 8) TEMPO (Socrate è del IV sec. a.C.) 9) AVERE (Socrate non porta le scarpe) 10) GIACERE (Socrate è seduto). Coerentemente con l’indirizzo soggettivistico della sua filosofia ritiene che le categorie non siano solo LEGES ENTIS, con un significato gnoseologico – trascendentale, ma sono modi di funzionamento dell’intelletto unifica e sintetizza la molteplicità dei dati che conosciamo attraverso la sensibilità e l’intelletto. Le categorie per Kant sono i concetti puri o predicati primi cioè le supreme funzioni unificatrici dell’intelletto. Hanno un’accezione puramente gnoseologico-trascendentale, in quanto rappresentano dei modi di funzionamento dell’intelletto (semplici leges mentis), che non valgono per la cosa in sé, ma solo per il fenomeno.
  • 24. Filosofia 5^A Chiara Ponti 5^ A A.S. 2014 - 2015 Pag. 24 Kant rimprovera ad Aristotele di aver ritenuto le categorie in modo casuale e frammentario cioè servirsi di un principio sistematico comune, formula il proprio elenco sulla base del seguente “filo conduttore”: poiché pensare è giudicare (e poiché giudicare significa attribuire un predicato ad un soggetto) ci saranno tante categorie (cioè tanti predicati primi) quante sono le modalità di giudizio. E poiché la logica generale raggruppa i giudizi secondo la qualità, la quantità, la relazione e le modalità, Kant fa corrispondere a ogni tipo di giudizio un tipo di categoria. Le categorie individuate da Kant sono 12: QUANTITÀ QUALITÀ RELAZIONE MODALITÀ UNITÀ REALTÀ  penso a qualcosa di realmente esistente DELL’INERENZA E SUSSISTENZA (SOSTANZA E ACCIDENTE) POSSIBILITÀ E IMPOSSIBILITÀ  penso ad un fatto come possibile o impossibile PLURALITÀ NEGAZIONE  penso qualcosa di non esistente (es. cavallo alato di Platone) DELLA CAUSALITÀ E DIPENDENZA (CAUSA - EFFETTO)   Causalità penso ad un fenomeno da cui proviene un altro fenomeno;  Dipendenza penso ad un fenomeno da cui dipende un altro fenomeno. ESISTENZA – INESISTENZA penso a ciò che è e non può non essere; TOTALITÀ LIMITAZIONE  penso a qualcosa che non è una tale altra realtà (es. Sara non è Chiara) DELLA COMUNANZA (azione reciproca tra agente e paziente)  es. medico che fa la puntura ad un paziente. NECESSITÀ – CONTINGENZA  NECESSITÀ  Penso a qualcosa di necessariamente esistente  CONTINGENZA  Penso a qualcosa di non necessario che c’è ma potrebbe anche non esserci. Una tappa fondamentale della rivoluzione copernicana kantiana è costituita dalla concezione dell’io penso detto anche “appercezione” o “autocoscienza trascendentale”. Non è l’io individuale o empirico (soggetti che hanno un modo diverso di pensare) di ciascun soggetto, ma è la struttura mentale (unificatrice e sintetizzatrice) uguale in tutti gli uomini grazie alla quale possiamo conoscere intellettivamente il mondo fenomenico. L’io penso svolge,
  • 25. Filosofia 5^A Chiara Ponti 5^ A A.S. 2014 - 2015 Pag. 25 dunque, un’attività unificatrice e sintetizzatrice senza la quale l’uomo non potrebbe pensare alcunché. Come in Aristotele le categorie hanno bisogno del giudizio per essere adoperate, così in Kant esse hanno bisogno dell’ “Io penso”, cioè del pensare in atto, per esercitare la loro funzione unificatrice. Esse sono dunque le facce del prisma del pensare, sono atti unificatori, ma non atti in atto. La soluzione kantiana può essere articolata in: 1. poiché tutti i pensieri presuppongono l’io penso L’UNIFICAZIONE DEL MOLTEPLICE DERIVA DA UN’ATTIVITÀ SINTETICA CHE HA LA SUA SEDE NELL’INTELLETTO. La molteplicità delle cose non è un’unità, ciò che unifica il molteplice è l’io penso, infatti l’intelletto svolge questa funzione unificatrice attraverso l’io penso; il fondamento del soggetto è l’oggetto; per Kant l’oggetto presuppone il soggetto, il quale introduce nella natura l’io legislatore della natura23 ; Distinguendo tra l’unificazione (il processo tramite il quale si attua la sintesi del molteplice) e l’unità stessa (il principio in base a cui si realizza l’unificazione), Kant identifica la suprema unità fondatrice della conoscenza; con l’io penso cioè l’identica struttura mentale che accomuna gli uomini (“appercezione” o “autocoscienza” trascendentale). Infatti senza tale autocoscienza le varie rappresentazioni non si configurerebbero come “mie” e quindi risulterebbero impossibili; L’attività dell’io penso si attua tramite giudizi che sono i modi concreti con cui il molteplice dell’intuizione viene pensato. 2. e poiché l’io penso pensa tramite le categorie i giudizi si basano sulle categorie, che sono le diverse maniere di agire dell’io penso, cioè le dodici funzioni unificatrici in cui si concretizza la sua attività sintetica; 3. ne segue che tutti gli oggetti pensati presuppongono le categorie di conseguenza, gli oggetti possono essere pensati solo se categorizzati. L’io penso è dunque il principio supremo della conoscenza umana che permette ad ogni realtà di entrare nel campo dell’esperienza e divenire un oggetto per-noi. Nello stesso tempo rappresenta ciò che rende possibile l’oggettività cioè l’universalità e la necessità del sapere. L’io penso non è un io creatore, ma ha un carattere solo formale e quindi finito, perché si limita semplicemente a ordinare una realtà che gli preesiste e senza la quale la sua stessa conoscenza non avrebbe senso. 23 Non è un ordine indipendente dal soggetto, sono l’io penso e le sue forme a priori a introdurre l’ordine nella natura (differente rispetto al concetto tradizionale – intrinsecamente ordinato – era concepito come l’io che sta al centro e si oppone al soggetto – il cui fondamento era nell’oggetto stesso).
  • 26. Filosofia 5^A Chiara Ponti 5^ A A.S. 2014 - 2015 Pag. 26 Il concetto kantiano "per noi" è chiamato, in altri termini, fenomeno, o apparenza sensibile, gli oggetti dell'esperienza cioè la cosa uti apparet, ovvero la realtà come ci appare tramite le forme a priori che sono proprie della nostra struttura conoscitiva. Il fenomeno è percepito attraverso la sensibilità, non è un'apparenza illusoria, ma un oggetto reale, anche se soltanto nel rapporto con il soggetto conoscente. Il fenomeno ha una peculiare oggettività (universalità e necessità) che consiste nel fatto di valere allo stesso modo per tutti gli intelletti umani. Il fenomeno è l'oggetto proprio della conoscenza umana che è sempre sintesi di un elemento materiale e di uno formale; la conoscenza per Kant non può estendersi al di là dell'esperienza (insieme dei fenomeni) altrimenti non è conoscenza, ma un vuoto pensiero. La realtà non si esaurisce nel fenomeno perché se c'è un “per noi” deve per forza esserci anche un “in sé” ossia un x metafenomenica (che va oltre l'esperienza) che si fenomenizza solo in rapporto a noi. Il concetto kantiano "in sé" è chiamato noumeno, realtà pensabile, intellegibile puro; indica la realtà uti est, considerata nel suo ordine intellegibile, indipendentemente da noi e dalle forme a priori attraverso cui la conosciamo. Il noumeno è percepito attraverso la conoscenza intellettuale, è il necessario correlato dal fenomeno. La cosa in sé costituisce il presupposto del discorso gnoseologico di Kant che distingue tra significato positivo e uno negativo del noumeno:  in senso positivo in cui il noumeno è l'oggetto di un'intuizione non sensibile, cioè di una conoscenza extra fenomenica a noi preclusa;  in senso negativo, l'unica che possiamo legittimamente adoperare, in cui il noumeno è il concetto di una cosa in sé che non può mai entrare in rapporto conoscitivo dell'uomo. Il noumeno quindi più che una realtà è un concetto – limite che serve ad arginare le nostre pretese conoscitive; quindi l'intelletto può soltanto pensare le cose in sé nella loro possibilità, sotto forma di x ignote. Nell’Estetica e nell’Analitica Kant dimostra come sia possibile il sapere scientifico; nella Dialettica trascendentale invece affronta il problema se la metafisica possa essere anch’essa costituirsi come scienza. Già il termine dialettica intesa come “logica della parvenza” o apparenza illusoria lascia intuire la risposta negativa di Kant a tal proposito. Per “dialettica trascendentale” Kant intende l’analisi e lo smascheramento dei ragionamenti fallaci (ingannevoli) della metafisica che nonostante la sua infondatezza rappresenta “un’esigenza naturale e inevitabile della mente umana”. La filosofia vuole chiarire la genesi profonda di questo anelito / esigenza.
  • 27. Filosofia 5^A Chiara Ponti 5^ A A.S. 2014 - 2015 Pag. 27 La metafisica è un parto della ragione; la ragione è l’intelletto stesso che come facoltà logica unificatrice dei dati sensibili tramite le categorie, è inevitabilmente portato a voler pensare anche senza dati. In ciò è simile a una colomba che, presa dall’ebrezza del volo e avvertendo l’impedimento dell’aria, immagini di poter volare anche senza l’aria, non rendendosi conto che l’aria, pur essendo un limite al suo volo ne è la condizione immanente, in mancanza della quale essa precipiterebbe a terra. Kant ritiene che questo voler procedere oltre i dati esperienziali derivi dalla nostra innata tendenza all’incondizionato e alla totalità, cioè: la nostra ragione, mai paga del mondo fenomenico, che è il campo del condizionato e del relativo, è irresistibilmente attratta verso il regno dell’assoluto e quindi verso una spiegazione globale e onnicomprensiva di ciò che esiste. Questa spiegazione fa leva su tre idee trascendentali proprie della ragione che costritutivamente portata a unificare: i dati del senso interno mediante l’idea di “anima”, che è l’idea della totalità assoluta dei fenomeni interni; i dati del senso esterno mediante l’idea di “mondo”, che è l’idea della totalità assoluta dei fenomeni esterni; i dati interni ed esterni mediante l’idea di “Dio”, inteso come totalità di tutte le totalità e fondamento di tutto ciò che esiste. L’errore della metafisica consiste nel trasformare queste tre esigenze (mentali) di unificazione dell’esperienza in altrettante realtà dimenticando che non abbiamo mai a che fare con la cosa in sé, ma solo con la realtà non oltrepassabile del fenomeno. La dialettica trascendentale vuole appunto essere lo studio critico e la denuncia impietosa dei fallimenti del pensiero quando procede oltre gli orizzonti dell’esperienza. Per dimostrare l’infondatezza della metafisica, Kant prende in considerazione le tre pretese scienze che ne costituiscono l’ossatura: la , che studia l’anima. Kant ritiene che la psicologia razionale o metafisica sia fondata su di un “ ” cioè su di un ragionamento errato che consiste nell’applicare la categoria di sostanza (categoria applicabile solo ai dati sensibili) all’io penso, trasformandolo in una “realtà permanente”, chiamata “anima”. In realtà l’io penso non è un oggetto empirico, ma soltanto , cioè la condizione formale suprema del costituirsi dell’esperienza. In realtà noi non possiamo conoscere , ma solo l’io quale appare a noi stessi tramite le forme a priori, ossia l’io fenomenico; la , che indaga il cosmo, ovvero il mondo inteso nella sua totalità. Questa pretesa scienza vuole fare uso della nozione di mondo come totalità assoluta dei fenomeni cosmici, è destinata a fallire in quanto noi possiamo sperimentare questo o quel fenomeno, ma non la serie completa dei fenomeni. I filosofi che hanno cercato di dare una risposta razionalmente fondata a questioni di natura metafisica intorno al mondo nella sua totalità (es. il mondo è finito o infinito, sia temporalmente che spazialmente?; di che cosa è composto il
  • 28. Filosofia 5^A Chiara Ponti 5^ A A.S. 2014 - 2015 Pag. 28 cosmo? Di elementi semplici o composti?; nel mondo regna la necessità o la libertà?; all’origine del mondo c’è un essere trascendente o no?) si sono imbattuti in errori, ovvero antinomie (nomos = legge, contro la legge), conflitti della ragione in cui una tesi è l’opposto dell’antitesi; questo crea veri e propri “conflitti della ragione con se stessa”, che si concretizzano in copie di affermazioni opposte, dove l’una (la tesi) afferma e l’altra (l’antitesi) nega e non è possibile decidere tra le due; Tesi Antitesi Critica: il mondo ha un suo inizio nel tempo e, rispetto allo spazio, è chiuso dentro limiti. Critica: il mondo non ha né un inizio, né limiti nello spazio, ma è infinito così rispetto al tempo come rispetto allo spazio. Prolegomeni: il mondo ha un limite secondo il tempo e secondo lo spazio Prolegomeni: il mondo è infinito secondo il tempo e lo spazio. Tesi Antitesi Critica: nel mondo, ogni sostanza composta consta di parti semplici, e in nessun luogo esiste qualcosa che non sia o il semplice o ciò che ne risulta il composto. Critica: nel mondo, nessuna cosa composta consta di parti semplici, e in nessuna parte del mondo esiste alcunché di semplice. Prolegomeni: tutto nel mondo consta del semplice. Prolegomeni: non vi è niente di semplice, tutto invece è composto. Tesi Antitesi Critica: La causalità in base a leggi di natura non è l’unica da cui sia possibile far derivare tutti i fenomeni del mondo. Per la loro spiegazione si rende necessaria l’ammissione anche d’una causalità mediante libertà. Critica: non c’è liberta alcuna, ma tutto nel mondo accade esclusivamente in base a leggi di natura Prolegomeni: vi sono nel mondo della cause con libertà Prolegomeni: non vi è libertà tutto invece è natura Tesi Antitesi Critica: Del mondo fa parte qualcosa che – o come suo elemento o come sua causa – costituisce un essere assolutamente necessario Critica: in nessun luogo – né nel mondo, né fuori del mondo – esiste un essere assolutamente necessario che ne sia la
  • 29. Filosofia 5^A Chiara Ponti 5^ A A.S. 2014 - 2015 Pag. 29 causa. Prolegomeni: nelle serie delle cause cosmiche vi è un certo essere necessario Prolegomeni: in quella serie non vi è niente di necessario, tutto è contingente. L’idea di mondo è al di là di ogni esperienza possibile, non può fornire alcun criterio atto a decidere per l’una o per l’altra delle tesi in conflitto. la , che specula e riflette filosoficamente su Dio. Tutti i filosofi, fin dall’antichità hanno preteso di fondare riflessioni razionalmente formate per dimostrare l’esistenza di Dio. Secondo Kant la questione della teologia razionale naturale risulta priva di valore conoscitivo in quanto rappresenta l’ideale della ragion pura, cioè quel supremo “modello” personificato di ogni realtà e perfezione che i filosofi hanno designato con il nome di ens relissimum, l’essere da cui derivano e dipendono tutti gli esseri. Poiché questo ideale ci lascia totalmente nell’ignoranza circa la sua realtà effettiva, la tradizione ha elaborato tutta una serie di “prove dell’esistenza di Dio”, che Kant raggruppa in 3 classi: 1. che risale a sant’Anselmo, ma che Kant assume nella forma cartesiana, ricava l’esistenza di Dio dal semplice concetto di Dio affermando che come essere perfettissimo non può mancare dell’attributo dell’esistenza. Distinguendo tra piano mentale e piano reale, Kant obietta che non è possibile saltare dal piano della possibilità logica a quello della realtà ontologica perché l’esistenza può essere contrastata solo per via empirica e non dedotta per via puramente intellettiva. Kant sostiene infatti che “l’esistenza non è un predicato” cioè non è una proprietà logica, ma un fatto che si può affermare mediante l’esperienza. Pertanto la differenza tra cento talleri reali e cento talleri pensati non risiede nella serie delle loro proprietà concettuali identiche, ma nel fatto che gli uni esistono e gli altri no. Di conseguenza, la prova ontologica o è impossibile o è contraddittoria:  impossibile se vuol derivare da un’idea una realtà;  contraddittoria se nell’idea del perfettissimo assume già quell’esistenza che vorrebbe dimostrare entrambi fallace. È un uso illegittimo del principio della causalità (CATEGORIA) pertanto si tratta di argomentazioni sostanzialmente infondate 2. che costituisce il filtro delle “vie” tomistiche gioca sulla distinzione tra contingente e necessario, affermando che “se qualcosa esiste, deve anche esistere un essere assolutamente necessario stesso esisto, deve quindi esistere un essere assolutamente necessario”.  Secondo Kant questo argomento un uso illegittimo del principio del principio di causa perché, partendo dall’esperienza della catena degli enti etero causati (i contingenti), pretende di innalzarsi, oltre l’esperienza, a un primo anello incausato (il necessario). Ma il principio di
  • 30. Filosofia 5^A Chiara Ponti 5^ A A.S. 2014 - 2015 Pag. 30 causa è una regola con cui connettiamo i fenomeni tra loro e che quindi non può affatto servire a connettere i fenomeni con qualcosa di trans-fenomenico.  L’argomento si fonda su una serie di forzature logiche e quindi ricade nella prova ontologica; dopo essersi elevato all’idea del perfettissimo, cioè ens realissimum che non può fare a meno di esistere e legano forzatamente tra di loro (necessario - perfettissimo), l’argomento pretende di aver dimostrato delle realtà. Anche la prova cosmologica implica la logica di quella ontologica, che da puri concetti vuol far scaturire delle esistenze. Anche questo argomento, che in sostanza parte dell’esperienza per saltare al di là di essa, risulta dunque inequivocabilmente fallace e privo di autentica capacità dimostrativa. 3. (si riferisce allo studio di Dio) (che significa “studio degli scopi”, indica considerazione dei fini in quanto tutto ciò che vediamo ha un fine e origine di ogni fine è Dio, per cui dire “teleologico” è come dire finalistico) Considera l’ordine, la finalità e la bellezza del mondo per innalzarsi a una Mente ordinatrice, identificata con un Dio creatore, perfetto e infinito. Essa ha trovato fortuna anche presso gli illuministi, che l’hanno espressa con il noto argomento secondo il quale se c’è un orologio deve per forza esserci un orologiaio. Anche questa prova, secondo Kant, è minata da una serie di forzature logiche e dall’utilizzazione mascherata dell’argomento ontologico. a. Essa parte dall’esperienza dell’ordine del mondo, ma pretende di elevarsi subito all’idea di una causa ordinante trascendente, dimenticando che l’ordine della natura potrebbe essere un frutto della natura stessa e delle sue leggi immanenti. Infatti afferma che tale ordine può scaturire dalla natura che concepisce Dio non solo come causa dell’ordine del mondo, ma anche come causa dell’essere stesso del mondo, ossia come Creatore. Esso identifica la causa ordinante con l’essere necessario creatore, ricadendo così nella prova cosmologica, la quale ricade a sua volta in quella ontologica. b. La prova pretende di stabilire, sulla base dell’ordine cosmico, l’esistenza di una causa infinita e perfetta. Noi sappiamo che in questo universo una gradazione di ordine però relativa ai nostri parametri mentali e non certo infinito e priva di imperfezioni. Se affermiamo che la Causa del mondo e infinitamente perfetta, saggia; è perché altri, saltando “l’abisso” che separa il finito dall’infinito, identifichiamo sottobanco, l’ipotetica causa ordinante con l’idea della realtà perfettissima di cui parla l’argomento ontologico. Come Kant, con tali critiche, abbia inteso mettere in discussione la dimostrabilità razionale e metafisica della sua esistenza. In sede teorica, Kant non è ateo, agnostico, in quanto ritiene che la ragione umana non possa dimostrare né l’esistenza di Dio, né la sua non-esistenza. N.B. Queste prove possono essere raggruppate a loro volta in due gruppi: che partono dalla constatazione del mondo, l’analizzano per arrivare a dimostrare che Dio esiste; queste due prove sono state effettuate da Aristotele e S. Tommaso d’Aquino (l’Aristotele cristiano);
  • 31. Filosofia 5^A Chiara Ponti 5^ A A.S. 2014 - 2015 Pag. 31 che sono prove formulate indipendentemente dall’esperienza; esse sono formulate da Anselmo d’Aosta e Cartesio.  Aristotele fornisce una prova dell’esistenza di Dio, tratta dalla teoria del movimento o divenire inteso come possibilità di assumere nuove condizioni o forme. Egli afferma che tutto ciò che è in moto è necessariamente mosso da altro; in questo processo di rimandi non è possibile risalire all’infinito perché altrimenti il movimento iniziale rimarrebbe inspiegato. Deve per forza esserci principio assolutamente primo e immobile, causa iniziale di ogni movimento possibile che Aristotele identifica in Dio;  Partendo dalla critica della dimostrazione ontologica di Anselmo, Tommaso afferma che la dimostrazione a priori non è valida perché parte dalla definizione di Dio, anch’essa tutta da dimostrare perché l’uomo non ha una nozione adeguata di Dio visto che EGLI sfugge al campo dell’esperienza sensibile. Allora l’unico modo per dimostrare l’esistenza di Dio con la ragione è partire dall’esperienza, cioè con una dimostrazione a posteriori. Tommaso privilegia come punto di partenza il mondo esteriore, i sensi, poiché ritiene che “nulla è nell’intelletto che prima non è stato nei sensi”. Egli quindi dimostra l’esistenza di Dio con le celeberrime 5 vie, già esposte nella “Somma contro i gentili”, sono espresse nella loro formulazione classica nella “Somma teologica”; ognuna di esse rappresenta un’argomentazione atta a sostenere la tesi del filosofo: I. fondata sul concetto di movimento, ricalca la dimostrazione del motore primo immobile di Aristotele. Essa parte dal principio secondo cui “tutto ciò che si muove è mosso da altro”, non è possibile procedere all’infinito e dobbiamo riconoscere che a un certo punto esiste un motore non mosso da nullo, ma capace di generare movimento di per sé; questo primo motore sarà quindi Dio. II. siccome ogni effetto rimanda ad una causa efficiente, nell’ordine delle cause efficienti non si può risalire all’infinito altrimenti non vi sarebbe una causa prima o ultima, e quindi neppure tutte le cause intermedie. La causa efficiente prima è Dio. III. si fonda sui concetti di necessità e di contingenza, cioè sul rapporto tra necessario e possibile: tutte le cose esistenti potrebbero anche non esistere e quindi sono contingenti e possibili. Ma nella serie degli esseri contingenti bisogna risalire a qualcosa di necessario, cioè a qualcosa che esiste necessariamente di per sé altrimenti dovremmo ammettere che la realtà deriva dal nulla. L’essere originario e necessario è quindi Dio. IV. si riferisce ai gradi di perfezione di una determinata qualità: nelle cose si trovano il “meno” e il “più” di tutte le qualità che esisteranno anche nel grado massimo. La causa dell’essere, della bontà e di ogni perfezione è Dio.
  • 32. Filosofia 5^A Chiara Ponti 5^ A A.S. 2014 - 2015 Pag. 32 V. si desume dalla finalità delle cose: le cose naturali, sebbene prive di intelligenza appaiono tutte dirette a un fine; questo non potrebbe accadere se non fossero governate da un essere dotato d’intelligenza. Questo essere che ordina tutte le cose è Dio.  : Nel Proslogion Anselmo ricorre a un’argomentazione che parte dal concetto di Dio per giungere a dimostrarne l’esistenza come “ciò di cui non si può pensare nulla di maggiore”. Chi nega l’esistenza di Dio, deve possedere il concetto di Dio poiché è impossibile negare la realtà di qualcosa che non si pensi. Ora il concetto di Dio è il concetto per cui non si può pensare nulla di maggiore. Ma ciò di cui non si può pensare nulla di maggiore non può esistere nel solo intelletto, poiché se fosse solo nell’intelletto, lo si potrebbe pensare anche come esistente nella realtà, e cioè come maggiore, ma in tal caso ciò di cui non si può pensare nulla di maggiore sarebbe qualcosa di maggiore. E dunque impossibile che ciò di cui non si può pensare nulla di maggiore, ovvero Dio, esista solo nell’intelletto e non nella realtà. La sua dimostrazione ontologica si basa su due presupposti: 1. Ciò che esiste nella realtà è maggiore, cioè “più perfetto” di ciò che esiste solo nell’intelletto; 2. Negare che ciò di cui non si può pensare nulla di maggiore (cioè Dio) esista nella realtà significhi contraddirsi, perché vorrebbe dire pensare che si può pensarlo maggiore cioè esistente nella realtà. Quindi è impossibile che ciò di cui non si può pensare nulla di maggiore, ovvero Dio esista nel solo intelletto e non nella realtà.  la dimostrazione dell’esistenza di un Dio perfetto e buono ha in Cartesio un valore gnoseologico (come l’uomo conosce, gnoseologia – teoria della conoscenza) poiché Dio costituisce il fondamento e la garanzia sia della verità di ciò che l’uomo conosce, sia dell’esistenza del mondo esterno. Cartesio elabora le sue prove sull’esistenza di Dio con un procedimento a priori, cioè patendo dal cogito e precisamente dall’analisi dei contenuti del pensiero. Alle due prove Cartesio aggiunge la tradizionale secondo cui non è possibile concepire Dio come essere sovranamente perfetto senza ammetterne l’esistenza, perché l’esistenza è una delle sue perfezioni necessarie.
  • 33. Filosofia 5^A Chiara Ponti 5^ A A.S. 2014 - 2015 Pag. 33 annah Arendt, nasce il 14 ottobre 1906 a Hannover; cresce a Konisberg e Berlino. Diventa studentessa di filosofia di all'università di Marburgo, allieva di Martin Heidegger con cui ha una relazione sentimentale segreta, scoprendone tardi i suoi rapporti col nazismo da cui si dissocia, non riuscendo tuttavia mai del tutto a cancellare l'amore e la devozione verso il suo primo maestro. Dopo aver chiuso questa relazione, Hannah Arendt si trasferisce a Heidelberg dove si laurea con una tesi sul concetto di amore in Sant'Agostino, sotto la tutela del filosofo (ex psicologo) Karl Jaspers, pubblicata nel 1929. A causa delle sue origini ebraiche, nel 1933 non può ottenere l'abilitazione all'insegnamento nelle università tedesche. Nel 1929 sposa il filosofo Gurther Anders, da cui si separa nel 1937, lascia la Germania per Parigi, dove conosce il critico letterario marxista Walter Benjamin e aiuta gli esuli ebrei fuggiti dalla Germania nazista. Dopo l'invasione e occupazione tedesca della Francia durante la Seconda Guerra mondiale, e il conseguente inizio delle deportazioni di ebrei e ebree verso i campi di concentramento tedeschi, Hannah Arendt deve nuovamente emigrare con il marito Heinrich Blücher, sposato nel 1940, negli Stati Uniti, con l'aiuto del giornalista americano Varian Fry. Diventa attivista nella comunità ebraica tedesca di New York, e scrisse per il periodico in lingua tedesca Aufbau. Dopo la seconda guerra mondiale si riconcilia con Heidegger e testimonia in suo favore durante un processo in cui è accusato di aver favorito il regime nazista. Nel 1951 ottiene la cittadinanza americana e nello stesso anno pubblica il Saggio sulle origini del totalitarismo che le apre la carriera universitaria. Nel 1961 viene inviata dal giornale “New Yorker” al processo Eichmann a Gerusalemme. Nel 1963 pubblica La banalità del male in cui sostiene che all’origine della banalità non c'è la stupidità, ma la mancanza di pensiero critico quindi obbedienza cieca all’autorità. Successivamente l'università scozzese di Aberdeen la invita a tenere prestigiose conferenze. Comincia a scrivere La vita delle menti, opera non conclusa. Muore il 4 dicembre 1975 in seguito ad un attacco cardiaco ed è sepolta al cimitero del Bard College, in Annandale-on-Hudson, US-NY. H
  • 34. Filosofia 5^A Chiara Ponti 5^ A A.S. 2014 - 2015 Pag. 34  Il totalitarismo produce una società di individui spersonalizzati, irresponsabili, docili e colonizzati sin nelle loro coscienze. In colui che si adatta completamente a questo regime si può incontrare la “banalità” del male.  La malvagità umana, infatti, non sorge, per Arendt, da abissali profondità (come per Freud), ma dall’assenza di pensiero critico cui si giunge con la fine del dialogo della coscienza con se stessi, quel dialogo dove l’alter interiore ci aspetta di ritorno dalle nostre azioni, approvandole o dichiarandole inaccettabili. Quando tale dialogo non ha più luogo, diventiamo eticamente ottusi e ci trasformiamo in strumenti del male. Il totalitarismo vive di questa banalità. IL PROCESSO CONTRO EICHMANN  La Arendt approfondisce tale argomento in un libro molto noto, La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme (1963), scritto in occasione del processo contro il criminale nazista Adolf Eichmann, uno degli ufficiali del Reich responsabile della Shoà, che aveva mandato a morte centinaia di migliaia di ebrei. A lui era stato attribuito l’incarico di provvedere alla “soluzione finale”, cioè allo sterminio degli ebrei internati.  La Arendt, che aveva assistito al processo tenutosi a Gerusalemme come inviata speciale del “New Yorker”, si convince che oltre che “radicale” il male dei campi di sterminio è “banale” COMPLICI DEL MALE La Arendt si convince che un male tanto “estremo” e “radicale” come quello dei totalitarismi novecenteschi non può essere concepito solo come il prefetto mostruoso di alcuni carnefici demoniaci e malvagi. Per esplicarsi in tutta la sua terribile virulenza, infatti, esso deve contare sul supporto e la collaborazione di una vasta parte della società (intellettuali, scienziati, militari, medici, ecc.), che contribuisce attivamente con la sua opera a far funzionare la macchina infernale dell’organizzazione nazista o che fa finta di non vedere i crimini mostruosi che si consumano sotto i suoi occhi. Queste riflessioni, condotte da una donna ebrea, attirarono le critiche dello stesso mondo ebraico, che vide in esse una sottovalutazione del fenomeno nazista e delle sue atrocità. L’espressione stessa “Banalità del male” fece scandalo; in realtà tale espressione, a differenza di come alcuni vollero credere, non implica una banalizzazione del male, ma al contrario mette in luce la possibilità che l’uomo apparentemente normale, diventi complice e strumento del male. La riflessione arendtiana, dunque, lungi dal banalizzare la questione del male, la rende profondamente inquietante. LA ZONA GRIGIA Secondo la Arendt questa “zona grigia” è composta da uomini comuni, padri di famiglia apparentemente del tutto normali nella vita privata quotidiana, di ogni ceto e professione, che non
  • 35. Filosofia 5^A Chiara Ponti 5^ A A.S. 2014 - 2015 Pag. 35 presentano particolari “patologie” e che risultano “banalmente” allineati agli ordini superiori fino a commettere atrocità disumane. Hanno rinunciato a pensare in proprio e si sono trasformati in esecutori di comandi superiori. LA MENTALITÀDEL GREGARIO Tali ordini prescrivono di “uccidere” non un nemico in guerra, ma persone che non rispondono ai parametri di umanità stabiliti dal regime: gli Ebrei, ma anche i malformati, gli ammalati, i disabili, i malati di mente, gli anziani o i diversi come gli omosessuali o i rom. È noto che Hitler cominciò la sia operazione di sterminio col concedere una “morte pietosa” agli “incurabili” ed è noto che egli intendeva estendere il programma di eutanasia ai tedeschi” geneticamente imperfetti (cardiopatici o tubercolotici). Eichmann, già prima di entrare nel partito e nelle SS aveva dimostrato di avere una mentalità del gregario. I totalitarismi sono il risultato di un male banale. Eichmann si è reso carnefice di un male così terribile a causa dell’assenza di pensiero critico. OBBEDIENZACIECAE ASSENZA DI PENSIERO La virtù dell’obbedienza cieca e acritica è invocata come un nuovo imperativo categorico da applicare senza pensare. L’assenza di pensiero autonomo è ciò che appare alla Arendt come uno dei tratti caratteristici e l’emblema della banalità del male. “la coscienza di Eichmann era come un contenitore vuoto; essa non aveva un proprio linguaggio, ma articolava la lingua della società rispettabile” (la banalità del male) LA MANCANZA DI IDEE Eichmann, scrive la Arendt, era un uomo” senza idee” e “tale mancanza di idee” (molto diversa dalla stupidità nel senso dell’incapacità di comprendere) ne faceva un individuo predisposto a divenire uno dei più grandi criminali di quel periodo”. Quella “mancanza di idee” e quella “lontananza dalla realtà” possono essere “molto più pericolose di tutti gli istinti malvagi che forse sono innati nell’uomo. Questa fu la lezione di Gerusalemme”. L’antidoto alla mancanza di idee è la curiosità. LA TRASFORMAZIONE DEGLI UOMINI IN “FUNZIONARI”... Con la complicità d persone come Eichmann, lo sterminio poté realizzarsi senza ostacoli e, salvo qualche eroico episodio, non venne opposta resistenza alla deportazione di massa. Per Arendt non solo ogni regime totalitario, ma “forse, ogni burocrazia” tende a “trasformare gli uomini in burocrati, in funzionari e in semplici rotelle dell’ingranaggio amministrativo”. In esso risiede la radice del male: nella capacità di “disumanizzare” l’uomo. La BUROCRAZIA, pur essendo uno strumento fondamentale utile per far funzionare l’amministrazione di un bene pubblico, può portare alla burocratizzazione  L’uomo nelle vesti di ingranaggio amministrativo può diventare pericoloso.
  • 36. Filosofia 5^A Chiara Ponti 5^ A A.S. 2014 - 2015 Pag. 36 ... E IN CIECHI ESECUTORI DI ORDINI Eichmann, organizzatore dell’industria della morte, è l’esempio di uomo che non si pone alcun problema circa i fini dell’azione. “Con grande zelo e cronometrica precisione” eseguiva gli ordini riguardanti il trasporto di “milioni di uomini, donne e bambini verso la morte” Eichmann incarna un modello di “razionalità strumentale” che fu criticato da Horkheimer, filosofo della scuola di Francoforte. La razionalità strumentale ignora i fini, limitandosi solo a valutare l’efficienza dei meri mezzi. È una razionalità pericolosa. LA MANCANZA DI PENSIERO Come scrive la Arendt in un brano de La vita della mente. Ciò che colpiva di Eichmann era la mancanza non di intelligenza, ma di pensiero, cioè la mancanza di quella attitudine peculiare, propria della persona, a sottoporre al giudizio tutto ciò che accade, così come le proprie azioni e scelte, senza affidarsi ciecamente a regole e ordini dati. CHE COSASIGNIFICAPENSARE? Per la Arendt il pensiero umano è la facoltà di distinguere “bene e male”, “ciò che è giusto da ciò che è sbagliato” L’esercizio del pensiero, quindi, può acquisire un’importante e profondo significato etico-politico, soprattutto in alcuni momenti storici L’ANTIDOTO DEL PENSIERO UMANO Il recupero del pensiero critico è un efficace antidoto contro le tentazioni del male totalitario, latenti e sempre in agguato anche in un mondo posto-totalitario, che minacciano la democrazia. La Arendt è stata una implacabile critica delle storture delle società democratiche. La lotta per la democrazia è, per la Arendt, una responsabilità quotidiana perché la democrazia è in pericolo a causa delle tendenze dominanti che deformano i poteri e le facoltà peculiarmente umane, quali la LIBERTÀ, il PENSIERO, la RESPONSABILITÀ N.B. le analisi che la Arendt dedica alla ricostruzione delle dinamiche del TOTALITARISMO sono sorrette da una RIFLESSIONE ANTROPOLOGICA ed ETICA più ampia. IL “MALE TOTALITARIO” È DEFINITIVAMENTE SCONFITTO? Arendt avverte che il totalitarismo è un pericolo che può ripresentarsi, magari in forme diverse e disseminato sotto le vesti di un’apparente democrazia. Perché? Le “tentazioni” totalitarie rimangono latenti in un mondo post-totalitario. Com’è già successo ci sono elementi (di ordine socio-politico o ideologico) che in un mondo non totalitario hanno preparato il terreno per la nascita dell’esperienza totalitaria.
  • 37. Filosofia 5^A Chiara Ponti 5^ A A.S. 2014 - 2015 Pag. 37 IL DOVERE DI VIGILARE Il totalitarismo non va visto come un corpo estraneo che, una volta sconfitto, non potrà ma più ripresentarsi, ma come un terribile male della storia occidentale che può fare la sua ricomparsa sulla scena del mondo. Da qui il dovere della memoria e della vigilanza contro il pericolo della rimozione La filosofia, in particolare, ha un importante compito critico-costruttivo in due direzioni: verso il passato e verso il presente/futuro. GLI “ANTIDOTI” CONTRO IL “MALE TOTALITARIO” Per individuare gli “antidoti” contro le tentazioni totalitarie, sempre in agguato e latenti in un mondo post-totalitario. Quali?  Pensiero critico  Etica (etica del volto, dignità umana, giustizia/uguaglianza/libertà)  Memoria storica (cfr Primo Levi) “Tu che... ...Ricordati, non dimenticare” Per fornire risposte adeguate per rendere migliore il mondo e la vita di ogni essere 14 ottobre 1963 Università di Chicago – Corso di laurea in ingegneria, corso di teoria politica. IL PROCESSO, LO SCOPO Lo scopo del processo è rendere giustizia e BASTA! Qualunque altro scopo anche il più nobile non può pregiudicare quello che è il compito essenziale della legge soppesare le accuse per fare giustizia e combinare la giusta pena. La giustizia vuole che l’imputato sia processato, difeso, giudicato. E che tutte le altre questioni (anche se più importanti), Com’è potuto accadere?, Perché è accaduto?; Perché gli Ebrei? perché i tedeschi? Quale fu il ruolo delle altre nazioni? Fino a che punto gli alleati sono da considerare corresponsabili?; Come hanno potuto i capi ebraici contribuire allo sterminio degli Ebrei? Perché gli Ebrei andavano alla morte come agnelli al macello? Che tutte queste questioni siano lasciate da parte. La giustizia vuole che si giudichi soltanto un UOMO.