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Come definire
il vero margine?
EstrattodaLargoConsumon.2/2014©EditorialeLargoConsumosrl
Nuovi approcci metodologici e nuovi strumenti per il calcolo del giusto margine,
al centro di un workshop che ha coinvolto
le funzioni strategiche di un panel di imprese retail
REDDITIVITÀ
EEddiittoorriiaallee LLaarrggoo CCoonnssuummoo SSrrll
Via Bodoni, 2 - 20155 Milano
Tel. +39 02 3271646 (digitare 2) - Fax +39 02 3271840
e-mail: redazione@largoconsumo.it www.largoconsumo.info
GLI INCONTRI
DI LARGO CONSUMO
67
DISTRIBUZIONE
mance di rotazione della referenza a scaffale. Oggi i retailer
devono tenere sotto controllo al meglio queste variabili di co-
sto, pena veder appesantito il loro conto economico. Il primo
passo per poter identificare le aree di inefficienza è la misura-
zione della progressione del costo operativo delle merci a li-
vello di singolo item lungo la filiera, con l’obiettivo di una de-
finizione del reale profitto e delle ipotesi di azioni da intra-
prendere per migliorarlo.
ALLA RICERCA DI NUOVI EQUILIBRI
Lo scorso 14 novembre 2013, presso la sede milanese di
GS1 Italy – Indicod Ecr, si è dibattuto di questi temi in oc-
casione di un workshop organizzato da Largo Consumo e con
il contributo di Tesisquare – il brand che segna l’evoluzione
di Gruppo Tesi, società con uffici in Italia, Amsterdam e Pari-
gi, specializzata nelle soluzioni di software collaborativo per
il business – e un nutrito panel di retailer. L’incontro, intitola-
to “Processo di gestione merci nel retail: costi operativi e red-
ditività sotto controllo?”, è stata l’occasione di un franco con-
fronto stimolato da un’introduzione di Davide Pellegrini,
professore associato della Facoltà di Economia dell’Univer-
sità degli Studi di Parma e dalla presentazione del Proactive
Profit Management. Il Ppm è una soluzione frutto della col-
laborazione tra Tesisquare e Giancarlo Pelarin, consu-
tudi internazionali hanno dimostrato che il costo della
gestione delle merci nelle imprese retail cresce progres-
sivamente dalla fase di acquisto alla logistica, fino a
esplodere sul punto di vendita, con ovvie conseguenze
sul reale margine netto, elemento fondamentale ma spesso dif-
ficile da definire. Un tema particolarmente sentito in una sta-
gione di forte competizione sui margini, come quella che stia-
mo vivendo. Dopo la chiusura dei contratti, tre voci in partico-
lare – legate ai processi di gestione fisica dei singoli prodotti –
incidono sul costo delle merci: il costo del lavoro e il suo im-
patto su ogni singola categoria e prodotto; il costo di occu-
pancy logistica e quello inventariale, influenzato soprattutto
dalle operazioni di movimentazione in store e dalle perfor-
S
Come definire il vero margine?
Nuovi approcci metodologici e nuovi strumenti per il calcolo del giusto margine,
al centro di un workshop che ha coinvolto le funzioni strategiche di un panel di imprese retail
di Leonardo Rastelli e Armando Garosci
REDDITIVITÀ
GLIINCONTRI
DILARGO
CONSUM
O
Largo Consumo promuove direttamente la realizzazione o partecipa in
qualità di partner, all’organizzazione di diverse tipologie di incontri
(convegni, seminari, tavole rotonde ecc..) su temi di carattere produttivo,
economico, gestionale, relazionale, aventi come riferimento i rapporti
tra la produzione in genere, la distribuzione e il consumatore finale.
Trattandosi di temi strettamente collegati alla cultura della rivista, l’ideale,
dal punto di vista informativo, sarebbe di poterne pubblicare, di tutti,
una sintesi giornalistica. Non potendo ovviamente farlo, per ragioni
di spazio, la redazione ne propone alcuni in questa serie di articoli,
denominata Gli Incontri di Largo Consumo.
Guarda la sintesi video dell’evento su:
www.youtube.com/largoconsumo
LARGO CONSUMO n. 2/2014
Un momento dell’intervento introduttivo di Davide Pellegrini (Università degli Studi di Parma)
̈
68
DISTRIBUZIONE
lente direzionale con una lunga esperienza manageriale in
aziende industriali e retail, tra cui P&G ed Esselunga: il suo
obiettivo è individuare la redditività netta di ciascun prodot-
to e le azioni che il retailer deve intraprendere per monito-
rarla e migliorarla, al fine di aumentare la bottom line.
UNA SFIDA CULTURALE
Davide Pellegrini, nel suo intervento incentrato sul te-
ma “Channel Metrics: nuovi indicatori di performance”
(affrontato dal docente nel-
l’omonimo volume edito da
Egea, ndr), ha sottolineato
che quello del Direct Pro-
duct Profit è un tema stori-
co. “Il Dpp presenta note-
voli complessità, a comin-
ciare dall’annosa questione
del come imputare certi co-
sti ai singoli prodotti. Co-
struire un sistema di conta-
bilità di prodotto che non
corra il rischio di annovera-
re passaggi di semplifica-
zione è un esercizio com-
plesso. In questi anni peral-
tro sono stati molti gli espe-
rimenti aziendali per trovare
vie di mezzo utili tra uno
strumento troppo analitico e uno strumento che funzioni”.
Per funzionare, il Dpp non richiede strumenti ipersofisti-
cati, bensì una soluzione organizzativa semplice, un ap-
proccio molto concreto ai problemi, tanto più in una situa-
zione di crisi, nella quale le aziende hanno bisogno di sa-
pere quanto si guadagna davvero sul singolo prodotto. “La
realtà è che le imprese retail italiane – ha proseguito Pelle-
grini – hanno una struttura dei costi che mediamente arri-
va a 23-25 punti, mentre i leader europei si fermano a
quota 20: il gap è evidente. In Italia scontiamo componen-
ti esogene negative (costo dell’energia, logististica diffici-
le, ecc.), ma è chiaro che ci sono modelli organizzativi
forse da rivedere. Non dimentichiamo che i più bravi a ri-
durre i costi sono i più bravi ad aumentare le vendite. Effi-
cienza ed efficacia vanno di pari passo e la prima è figlia
della seconda”.
Da dove nasce dunque l’inefficienza? “Qui entrano in
gioco i rapporti con l’industria: il fuori fattura in Italia
può incidere fino a 17 punti, contro percentuali molto più
basse dei retailer europei. La commistione di interazioni
tra industria e distribuzione non aumenta l’efficienza: gli
spazi espositivi, la logistica, i magazzini sono troppo in-
fluenzati dalle condizioni negoziali. Purtroppo in Italia si
preferisce la poca trasparenza, che premia l’inefficienza.
La sfida quindi non è tecnologica, ma innanzitutto cultu-
rale e organizzativa. I processi delle imprese commerciali
sono complessi e interfunzionali: i retailer hanno sempre
bisogno di un confronto tra funzioni, visto che i costi so-
no trasversali. Le aziende che ne prendono atto hanno fat-
to un’azione culturale”.
UNA NUOVA METODOLOGIA
“Nel retail – ha affermato Giancarlo Pelarin, introducen-
do il Ppm – la redditività viene normalmente determinata
sulla base del margine lordo, che tuttavia non permette di
conoscere l’effettivo profitto netto generato dai singoli pro-
dotti, in quanto non riflette il peso di elementi determinanti
ai fini del risultato finale di esercizio, quali la gestione dello
spazio e degli asset fisici, la generazione di costi all’interno
dell’impresa, il livello di giacenza e il correlato onere finan-
ziario. E non tiene conto del tasso di rotazione dei singoli
articoli, col rischio di privilegiare i prodotti ad alto margine
ma a bassa rotazione”.
Il Ppm è uno strumento ideato per misurare i costi operativi
sostenuti dal singolo prodot-
to dall’acquisto alla vendita
al consumatore, determinan-
do i valori di profitto netto a
livello di referenza e, per ag-
gregazione, di categoria, sto-
re, fornitore e cliente; fornire
l’analisi delle performance
del momento; formulare ipo-
tesi di azioni da intraprende-
re tese all’aumento del pro-
fitto netto, valutandone pre-
ventivamente gli effetti.
In un mercato dove i retai-
ler sono sottoposti a forti
pressioni per mantenere
competitivi i prezzi e ridurre
i costi, il Ppm può diventare
un’arma competitiva impor-
Il Ppm ha un duplice obiettivo: aumentare il profitto
netto e migliorare la velocità e la qualità delle decisioni di bu-
siness, monitorandone gli effetti. In particolare, il Ppm:
• Misura i costi operativi sostenuti dal singolo articolo nel suo
percorso, dall’acquisto alla vendita al consumatore;
• Determina i valori di profitto netto a livello di Sku/Store e,
per aggregazione, di categoria, store, fornitore e cliente;
• Fornisce l’analisi della perfomance As Is e identifica possibi-
li aree di beneficio;
• Determina gli incrementi di redditività netta ottenibili dalla
razionalizzazione dei costi operativi;
• Permette di formulare ipotesi di azioni da attuare, finalizza-
te all’aumento del profitto netto, e di valutarne preventiva-
mente gli effetti diretti e cross.
I partecipanti al Workshop
Giulio Canestri (Controller, Basko Supermercati), Luca Bar-
santi (Direttore Acquisti Grocery e Non Food, Cadla De-
spar), Riccardo Rizzo (Direttore HR, Carrefour Italia), Ceci-
lia Chizzali (Direttore Prodotto Casa, Coin), Silvio Bacci
(Controller, Conad del Tirreno), Franco Iazeolla (Responsa-
bile Controllo di Gestione, Conad del Tirreno), Giovanni Lo-
dovici (Direttore Amministrazione e Controllo di Gruppo, Fi-
niper), Nicola Morchio (Logistic Manager, Finiper) Anna
Bellone (Marketing Manager Fragranze, Givaudan), Stefano
Brascugli (ICT Manager, Inres Coop), Fabio Vadilonga (Di-
rettore Acquisti e Sviluppo Prodotto, La Gardenia Beauty),
Daniela Mosele (Capo Contabile, Maxi Zoo), Luigi Marianto-
ni (Acquisti Internazionali, Mercadona), Frédéric Doucet-
Bon (Responsabile Supply Chain, Self Italia), Antonio Scarpi-
no (Supply Chain, Self Italia), Marco Ferrari (Responsabile
Controllo di Gestione, Sogegross).
Servizio fotografico: Michele Ravasio - Servizio video: Paolo Vecchi (Phid srl)
Il Proactive profit management
Da sinistra, Giancarlo Pelarin e Riccardo Cicero (Tesisquare)
Guarda la sintesi video dell’evento su:
www.youtube.com/largoconsumo
LARGO CONSUMO n. 2/2014
69LARGO CONSUMO n. 2/2014
DISTRIBUZIONE
tante. “Uno strumento che consente
di controllare i costi operativi e
avere la piena visibilità sul profitto
netto a livello di Sku, di classificare
l’offerta sulla base del profitto net-
to generato, di aumentare l’effi-
cienza nel rapporto negoziale con i
fornitori e la focalizzazione sui ri-
sultati in termini di efficienza ed
efficacia. Il tutto con un aumento
del profitto netto stimato non infe-
riore all’1% sulle vendite”. Inoltre,
il Ppm sottende l’importanza del
lavoro di un team interfunzionale
che coinvolga gli acquisti, la distri-
buzione, il merchandising, le ope-
rations, i sistemi informativi, il
controllo di gestione e le finanze.
IL PPM ALLA PROVA
A Riccardo Cicero, account executive e responsabile
Ppm in Tesisquare, è spettato il compito di scendere sul
terreno dell’operatività, illustrando un esempio di applica-
zione concreta del Ppm. “Abbiamo preso in considerazio-
ne – ha spiegato – in un arco temporale di quattro settimane,
una categoria composta da 15 Sku, tre punti di vendita di un
retailer del Mid-West statunitense, appartenenti allo stesso
format, con dimensioni e spazi espositivi simili. Il margine
lordo risulta dalla differenza tra il prezzo di vendita e il costo
di acquisto rettificato. Il costo orario del lavoro è stato applica-
to in misura uguale a tutte le attività. Abbiamo definito un co-
sto standard per mq/anno dello spazio differenziato per il wa-
rehouse e per i pdv, e costi di mantenimento della giacenza at-
torno al 25% sul valore dell’inventario”.
Il risultato finale è la definizione di una serie di risultati di
performance per ciascun prodotto – vendite in valore e vo-
lume, margine lordo e profitto netto – e pdv, da analizzare
per intraprendere le azioni opportune e disegnare una previ-
sione di risultati. “Abbiamo evidenziato, per esempio, la
differenza tra i pdv in termini di profitto netto ed è emerso
quali prodotti creano profitto, quali non ne generano e quali
tendono a distruggerlo. Possiamo così fare un benchmark
sui prodotti nei diversi pdv per capire qual è la differenza di
comportamento di ogni Sku su ciascun pdv e cogliere le cri-
ticità su cui intervenire, permettendo così di evidenziare
eventuali benefici ottenibili sulla redditività e le azioni as-
sociate da perseguire”.
Noti i valori di Dpp/Dpc a livello di Sku/Store, occorre
dunque studiare come utilizzarli per ottimizzare i risultati
attraverso lo strumento
del Ppm declinato sulle
tre aree di costo del la-
voro, inventory e occu-
pancy logistica. “In
conclusione abbiamo
dimostrato che l’utiliz-
zo del solo margine lor-
do non solo non è suffi-
ciente per valutare la
redditività del prodotto,
ma può essere fuor-
viante, mentre si con-
ferma il target dell’1%
del profitto netto indicato tra i bene-
fici del Ppm”.
GESTIRE LA COMPLESSITÀ
Secondo Nicola Morchio, logistic
manager Finiper, “nella gdo ci sono
alcuni elementi chiaramente verifi-
cabili, mentre altri sono molto diffi-
cili da monitorare, perché le imprese
distributive sono assai meno centra-
lizzate dell’industria, che può map-
pare molto precisamente i processi.
C’è quindi un primo elemento di ge-
stione della complessità, cui va ag-
giunta la compresenza di tanti attori
a livelli diversi: alcuni lavorano co-
me nell’industria a livello centrale
(buyer, logistici, amministrativi),
una gran parte è allocata nei pdv periferici, dov’è più difficile
monitorare la singola operazione. A fronte di questa realtà, il
problema è come si guida la macchina: a fare la differenza è
il pilota, non solo la strumentazione”.
In Finiper un valore fondamentale è quello della condivi-
sione, che parte dall’informazione: “Se è importante avere
dati anche molto dettagliati – oggi per la verità bisognerebbe
saperli sintetizzare – e spiegarli, lo è non di meno conoscere
sempre la ‘storia’ che c’è alle spalle dei numeri. Per questo,
a livello organizzativo, è bene avere tavoli di lavoro interfun-
zionali: da noi, per esempio, il personale di vendita partecipa
alle negoziazioni. Finiper punta molto sulla trasparenza e
sulla responsabilità: non a caso, aver introdotto l’incentivo
per i buyer sulle vendite sta pagando”.
Sempre in tema di organizzazione, Riccardo Rizzo, re-
sponsabile organizzazione di Carrefour Italia, ha sottoli-
neato l’importanza di “trovare il giusto equilibrio tra la cen-
tralizzazione, in passato molto spinta in azienda, e l’ade-
guata responsabilizzazione e motivazione del personale nel
punto di vendita. Un caso significativo riguarda i trasporti,
che presentavano qualche difficoltà, come il multidrop. Ge-
stire i costi di trasporto in maniera più dettagliata, punto
vendita per punto vendita, trovando il giusto equilibrio tra
le opposte esigenze della logistica e delle vendite, è stato
molto gratificante sotto il profilo economico”.
Concludendo l’incontro, Riccardo Cicero ha evidenziato
come il Ppm necessiti ovviamente di un lavoro di messa a
punto e modellizzazione iniziale. “È possibile attivare lo
strumento su un perimetro pilota per comprenderne i poten-
ziali benefici: per esempio, una categoria su tre punti di ven-
dita al primo step, da analizzare su un arco temporale di 3-4
mesi. Da qui il Ppm si
può estendere ad altre
categorie e altri pdv,
con un timing che può
arrivare a 18-24 mesi.
Nell’ipotesi di un retai-
ler con un fatturato di
500 mln di euro e un
aumento della produtti-
vità a regime dello
0,4%, abbiamo stimato
un cash flow positivo
già entro la fine del pri-
mo anno di utilizzo”. IUno scorcio della sala durante il dibattito conclusivo
(I) Carrefour Iper
(D) Rewe
(I) SMA
(I) GS
(I) Auchan Iper
(F) Carrefour Iper
(F) Auchan Iper
(E) Mercadona
(I) Esselunga
(UK) Tesco
0 5 10 15 20 25 30
10,8 13,6 4,4
11,9 15,0 1,2
10,4 14,7 2,9
8,5 13,3 3,3
10,9 9,4 2,9
10,3 11,2 1,4
12,0 8,9 1,8
12,2 6,4 2,7
10,1 7,4 3,5
9,4 5,4 1,4
Ammortamenti
e accantonamenti
Costo del lavoro
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LA STRUTTURA SINTETICA DEI COSTI NEL RETAIL (in %)
Fonte: PriceWaterhouseCoopers for IBC 2010 Largo Consumo

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Come definire il vero margine del retail?

  • 1. Come definire il vero margine? EstrattodaLargoConsumon.2/2014©EditorialeLargoConsumosrl Nuovi approcci metodologici e nuovi strumenti per il calcolo del giusto margine, al centro di un workshop che ha coinvolto le funzioni strategiche di un panel di imprese retail REDDITIVITÀ EEddiittoorriiaallee LLaarrggoo CCoonnssuummoo SSrrll Via Bodoni, 2 - 20155 Milano Tel. +39 02 3271646 (digitare 2) - Fax +39 02 3271840 e-mail: redazione@largoconsumo.it www.largoconsumo.info GLI INCONTRI DI LARGO CONSUMO
  • 2. 67 DISTRIBUZIONE mance di rotazione della referenza a scaffale. Oggi i retailer devono tenere sotto controllo al meglio queste variabili di co- sto, pena veder appesantito il loro conto economico. Il primo passo per poter identificare le aree di inefficienza è la misura- zione della progressione del costo operativo delle merci a li- vello di singolo item lungo la filiera, con l’obiettivo di una de- finizione del reale profitto e delle ipotesi di azioni da intra- prendere per migliorarlo. ALLA RICERCA DI NUOVI EQUILIBRI Lo scorso 14 novembre 2013, presso la sede milanese di GS1 Italy – Indicod Ecr, si è dibattuto di questi temi in oc- casione di un workshop organizzato da Largo Consumo e con il contributo di Tesisquare – il brand che segna l’evoluzione di Gruppo Tesi, società con uffici in Italia, Amsterdam e Pari- gi, specializzata nelle soluzioni di software collaborativo per il business – e un nutrito panel di retailer. L’incontro, intitola- to “Processo di gestione merci nel retail: costi operativi e red- ditività sotto controllo?”, è stata l’occasione di un franco con- fronto stimolato da un’introduzione di Davide Pellegrini, professore associato della Facoltà di Economia dell’Univer- sità degli Studi di Parma e dalla presentazione del Proactive Profit Management. Il Ppm è una soluzione frutto della col- laborazione tra Tesisquare e Giancarlo Pelarin, consu- tudi internazionali hanno dimostrato che il costo della gestione delle merci nelle imprese retail cresce progres- sivamente dalla fase di acquisto alla logistica, fino a esplodere sul punto di vendita, con ovvie conseguenze sul reale margine netto, elemento fondamentale ma spesso dif- ficile da definire. Un tema particolarmente sentito in una sta- gione di forte competizione sui margini, come quella che stia- mo vivendo. Dopo la chiusura dei contratti, tre voci in partico- lare – legate ai processi di gestione fisica dei singoli prodotti – incidono sul costo delle merci: il costo del lavoro e il suo im- patto su ogni singola categoria e prodotto; il costo di occu- pancy logistica e quello inventariale, influenzato soprattutto dalle operazioni di movimentazione in store e dalle perfor- S Come definire il vero margine? Nuovi approcci metodologici e nuovi strumenti per il calcolo del giusto margine, al centro di un workshop che ha coinvolto le funzioni strategiche di un panel di imprese retail di Leonardo Rastelli e Armando Garosci REDDITIVITÀ GLIINCONTRI DILARGO CONSUM O Largo Consumo promuove direttamente la realizzazione o partecipa in qualità di partner, all’organizzazione di diverse tipologie di incontri (convegni, seminari, tavole rotonde ecc..) su temi di carattere produttivo, economico, gestionale, relazionale, aventi come riferimento i rapporti tra la produzione in genere, la distribuzione e il consumatore finale. Trattandosi di temi strettamente collegati alla cultura della rivista, l’ideale, dal punto di vista informativo, sarebbe di poterne pubblicare, di tutti, una sintesi giornalistica. Non potendo ovviamente farlo, per ragioni di spazio, la redazione ne propone alcuni in questa serie di articoli, denominata Gli Incontri di Largo Consumo. Guarda la sintesi video dell’evento su: www.youtube.com/largoconsumo LARGO CONSUMO n. 2/2014 Un momento dell’intervento introduttivo di Davide Pellegrini (Università degli Studi di Parma) ̈
  • 3. 68 DISTRIBUZIONE lente direzionale con una lunga esperienza manageriale in aziende industriali e retail, tra cui P&G ed Esselunga: il suo obiettivo è individuare la redditività netta di ciascun prodot- to e le azioni che il retailer deve intraprendere per monito- rarla e migliorarla, al fine di aumentare la bottom line. UNA SFIDA CULTURALE Davide Pellegrini, nel suo intervento incentrato sul te- ma “Channel Metrics: nuovi indicatori di performance” (affrontato dal docente nel- l’omonimo volume edito da Egea, ndr), ha sottolineato che quello del Direct Pro- duct Profit è un tema stori- co. “Il Dpp presenta note- voli complessità, a comin- ciare dall’annosa questione del come imputare certi co- sti ai singoli prodotti. Co- struire un sistema di conta- bilità di prodotto che non corra il rischio di annovera- re passaggi di semplifica- zione è un esercizio com- plesso. In questi anni peral- tro sono stati molti gli espe- rimenti aziendali per trovare vie di mezzo utili tra uno strumento troppo analitico e uno strumento che funzioni”. Per funzionare, il Dpp non richiede strumenti ipersofisti- cati, bensì una soluzione organizzativa semplice, un ap- proccio molto concreto ai problemi, tanto più in una situa- zione di crisi, nella quale le aziende hanno bisogno di sa- pere quanto si guadagna davvero sul singolo prodotto. “La realtà è che le imprese retail italiane – ha proseguito Pelle- grini – hanno una struttura dei costi che mediamente arri- va a 23-25 punti, mentre i leader europei si fermano a quota 20: il gap è evidente. In Italia scontiamo componen- ti esogene negative (costo dell’energia, logististica diffici- le, ecc.), ma è chiaro che ci sono modelli organizzativi forse da rivedere. Non dimentichiamo che i più bravi a ri- durre i costi sono i più bravi ad aumentare le vendite. Effi- cienza ed efficacia vanno di pari passo e la prima è figlia della seconda”. Da dove nasce dunque l’inefficienza? “Qui entrano in gioco i rapporti con l’industria: il fuori fattura in Italia può incidere fino a 17 punti, contro percentuali molto più basse dei retailer europei. La commistione di interazioni tra industria e distribuzione non aumenta l’efficienza: gli spazi espositivi, la logistica, i magazzini sono troppo in- fluenzati dalle condizioni negoziali. Purtroppo in Italia si preferisce la poca trasparenza, che premia l’inefficienza. La sfida quindi non è tecnologica, ma innanzitutto cultu- rale e organizzativa. I processi delle imprese commerciali sono complessi e interfunzionali: i retailer hanno sempre bisogno di un confronto tra funzioni, visto che i costi so- no trasversali. Le aziende che ne prendono atto hanno fat- to un’azione culturale”. UNA NUOVA METODOLOGIA “Nel retail – ha affermato Giancarlo Pelarin, introducen- do il Ppm – la redditività viene normalmente determinata sulla base del margine lordo, che tuttavia non permette di conoscere l’effettivo profitto netto generato dai singoli pro- dotti, in quanto non riflette il peso di elementi determinanti ai fini del risultato finale di esercizio, quali la gestione dello spazio e degli asset fisici, la generazione di costi all’interno dell’impresa, il livello di giacenza e il correlato onere finan- ziario. E non tiene conto del tasso di rotazione dei singoli articoli, col rischio di privilegiare i prodotti ad alto margine ma a bassa rotazione”. Il Ppm è uno strumento ideato per misurare i costi operativi sostenuti dal singolo prodot- to dall’acquisto alla vendita al consumatore, determinan- do i valori di profitto netto a livello di referenza e, per ag- gregazione, di categoria, sto- re, fornitore e cliente; fornire l’analisi delle performance del momento; formulare ipo- tesi di azioni da intraprende- re tese all’aumento del pro- fitto netto, valutandone pre- ventivamente gli effetti. In un mercato dove i retai- ler sono sottoposti a forti pressioni per mantenere competitivi i prezzi e ridurre i costi, il Ppm può diventare un’arma competitiva impor- Il Ppm ha un duplice obiettivo: aumentare il profitto netto e migliorare la velocità e la qualità delle decisioni di bu- siness, monitorandone gli effetti. In particolare, il Ppm: • Misura i costi operativi sostenuti dal singolo articolo nel suo percorso, dall’acquisto alla vendita al consumatore; • Determina i valori di profitto netto a livello di Sku/Store e, per aggregazione, di categoria, store, fornitore e cliente; • Fornisce l’analisi della perfomance As Is e identifica possibi- li aree di beneficio; • Determina gli incrementi di redditività netta ottenibili dalla razionalizzazione dei costi operativi; • Permette di formulare ipotesi di azioni da attuare, finalizza- te all’aumento del profitto netto, e di valutarne preventiva- mente gli effetti diretti e cross. I partecipanti al Workshop Giulio Canestri (Controller, Basko Supermercati), Luca Bar- santi (Direttore Acquisti Grocery e Non Food, Cadla De- spar), Riccardo Rizzo (Direttore HR, Carrefour Italia), Ceci- lia Chizzali (Direttore Prodotto Casa, Coin), Silvio Bacci (Controller, Conad del Tirreno), Franco Iazeolla (Responsa- bile Controllo di Gestione, Conad del Tirreno), Giovanni Lo- dovici (Direttore Amministrazione e Controllo di Gruppo, Fi- niper), Nicola Morchio (Logistic Manager, Finiper) Anna Bellone (Marketing Manager Fragranze, Givaudan), Stefano Brascugli (ICT Manager, Inres Coop), Fabio Vadilonga (Di- rettore Acquisti e Sviluppo Prodotto, La Gardenia Beauty), Daniela Mosele (Capo Contabile, Maxi Zoo), Luigi Marianto- ni (Acquisti Internazionali, Mercadona), Frédéric Doucet- Bon (Responsabile Supply Chain, Self Italia), Antonio Scarpi- no (Supply Chain, Self Italia), Marco Ferrari (Responsabile Controllo di Gestione, Sogegross). Servizio fotografico: Michele Ravasio - Servizio video: Paolo Vecchi (Phid srl) Il Proactive profit management Da sinistra, Giancarlo Pelarin e Riccardo Cicero (Tesisquare) Guarda la sintesi video dell’evento su: www.youtube.com/largoconsumo LARGO CONSUMO n. 2/2014
  • 4. 69LARGO CONSUMO n. 2/2014 DISTRIBUZIONE tante. “Uno strumento che consente di controllare i costi operativi e avere la piena visibilità sul profitto netto a livello di Sku, di classificare l’offerta sulla base del profitto net- to generato, di aumentare l’effi- cienza nel rapporto negoziale con i fornitori e la focalizzazione sui ri- sultati in termini di efficienza ed efficacia. Il tutto con un aumento del profitto netto stimato non infe- riore all’1% sulle vendite”. Inoltre, il Ppm sottende l’importanza del lavoro di un team interfunzionale che coinvolga gli acquisti, la distri- buzione, il merchandising, le ope- rations, i sistemi informativi, il controllo di gestione e le finanze. IL PPM ALLA PROVA A Riccardo Cicero, account executive e responsabile Ppm in Tesisquare, è spettato il compito di scendere sul terreno dell’operatività, illustrando un esempio di applica- zione concreta del Ppm. “Abbiamo preso in considerazio- ne – ha spiegato – in un arco temporale di quattro settimane, una categoria composta da 15 Sku, tre punti di vendita di un retailer del Mid-West statunitense, appartenenti allo stesso format, con dimensioni e spazi espositivi simili. Il margine lordo risulta dalla differenza tra il prezzo di vendita e il costo di acquisto rettificato. Il costo orario del lavoro è stato applica- to in misura uguale a tutte le attività. Abbiamo definito un co- sto standard per mq/anno dello spazio differenziato per il wa- rehouse e per i pdv, e costi di mantenimento della giacenza at- torno al 25% sul valore dell’inventario”. Il risultato finale è la definizione di una serie di risultati di performance per ciascun prodotto – vendite in valore e vo- lume, margine lordo e profitto netto – e pdv, da analizzare per intraprendere le azioni opportune e disegnare una previ- sione di risultati. “Abbiamo evidenziato, per esempio, la differenza tra i pdv in termini di profitto netto ed è emerso quali prodotti creano profitto, quali non ne generano e quali tendono a distruggerlo. Possiamo così fare un benchmark sui prodotti nei diversi pdv per capire qual è la differenza di comportamento di ogni Sku su ciascun pdv e cogliere le cri- ticità su cui intervenire, permettendo così di evidenziare eventuali benefici ottenibili sulla redditività e le azioni as- sociate da perseguire”. Noti i valori di Dpp/Dpc a livello di Sku/Store, occorre dunque studiare come utilizzarli per ottimizzare i risultati attraverso lo strumento del Ppm declinato sulle tre aree di costo del la- voro, inventory e occu- pancy logistica. “In conclusione abbiamo dimostrato che l’utiliz- zo del solo margine lor- do non solo non è suffi- ciente per valutare la redditività del prodotto, ma può essere fuor- viante, mentre si con- ferma il target dell’1% del profitto netto indicato tra i bene- fici del Ppm”. GESTIRE LA COMPLESSITÀ Secondo Nicola Morchio, logistic manager Finiper, “nella gdo ci sono alcuni elementi chiaramente verifi- cabili, mentre altri sono molto diffi- cili da monitorare, perché le imprese distributive sono assai meno centra- lizzate dell’industria, che può map- pare molto precisamente i processi. C’è quindi un primo elemento di ge- stione della complessità, cui va ag- giunta la compresenza di tanti attori a livelli diversi: alcuni lavorano co- me nell’industria a livello centrale (buyer, logistici, amministrativi), una gran parte è allocata nei pdv periferici, dov’è più difficile monitorare la singola operazione. A fronte di questa realtà, il problema è come si guida la macchina: a fare la differenza è il pilota, non solo la strumentazione”. In Finiper un valore fondamentale è quello della condivi- sione, che parte dall’informazione: “Se è importante avere dati anche molto dettagliati – oggi per la verità bisognerebbe saperli sintetizzare – e spiegarli, lo è non di meno conoscere sempre la ‘storia’ che c’è alle spalle dei numeri. Per questo, a livello organizzativo, è bene avere tavoli di lavoro interfun- zionali: da noi, per esempio, il personale di vendita partecipa alle negoziazioni. Finiper punta molto sulla trasparenza e sulla responsabilità: non a caso, aver introdotto l’incentivo per i buyer sulle vendite sta pagando”. Sempre in tema di organizzazione, Riccardo Rizzo, re- sponsabile organizzazione di Carrefour Italia, ha sottoli- neato l’importanza di “trovare il giusto equilibrio tra la cen- tralizzazione, in passato molto spinta in azienda, e l’ade- guata responsabilizzazione e motivazione del personale nel punto di vendita. Un caso significativo riguarda i trasporti, che presentavano qualche difficoltà, come il multidrop. Ge- stire i costi di trasporto in maniera più dettagliata, punto vendita per punto vendita, trovando il giusto equilibrio tra le opposte esigenze della logistica e delle vendite, è stato molto gratificante sotto il profilo economico”. Concludendo l’incontro, Riccardo Cicero ha evidenziato come il Ppm necessiti ovviamente di un lavoro di messa a punto e modellizzazione iniziale. “È possibile attivare lo strumento su un perimetro pilota per comprenderne i poten- ziali benefici: per esempio, una categoria su tre punti di ven- dita al primo step, da analizzare su un arco temporale di 3-4 mesi. Da qui il Ppm si può estendere ad altre categorie e altri pdv, con un timing che può arrivare a 18-24 mesi. Nell’ipotesi di un retai- ler con un fatturato di 500 mln di euro e un aumento della produtti- vità a regime dello 0,4%, abbiamo stimato un cash flow positivo già entro la fine del pri- mo anno di utilizzo”. IUno scorcio della sala durante il dibattito conclusivo (I) Carrefour Iper (D) Rewe (I) SMA (I) GS (I) Auchan Iper (F) Carrefour Iper (F) Auchan Iper (E) Mercadona (I) Esselunga (UK) Tesco 0 5 10 15 20 25 30 10,8 13,6 4,4 11,9 15,0 1,2 10,4 14,7 2,9 8,5 13,3 3,3 10,9 9,4 2,9 10,3 11,2 1,4 12,0 8,9 1,8 12,2 6,4 2,7 10,1 7,4 3,5 9,4 5,4 1,4 Ammortamenti e accantonamenti Costo del lavoro Altri costi LA STRUTTURA SINTETICA DEI COSTI NEL RETAIL (in %) Fonte: PriceWaterhouseCoopers for IBC 2010 Largo Consumo