A settembre scorso l’ammontare dei prestiti nell’area euro è risultato inferiore di 200 miliardi rispetto a un anno prima (-1,2%) tornando ai valori di maggio 2008. Rispetto al picco massimo di settembre 2011, lo stock dei finanziamenti è diminuito di 718 miliardi attestandosi a 10.581 miliardi.
A settembre scorso l’ammontare dei prestiti nell’area euro è risultato inferiore di 200 miliardi rispetto a un anno prima (-1,2%) tornando ai valori di maggio 2008. Rispetto al picco massimo di settembre 2011, lo stock dei finanziamenti è diminuito di 718 miliardi attestandosi a 10.581 miliardi.
I Millennials italiani e il rapporto con risparmio e investimenti - Generazio...Diego Martone
la prima ricerca sulla Generazione Y (i Millennials) italiana e il loro rapporto con il risparmio, gli investimenti e la domanda di un grande progetto di avvicinamento ed educazione economico e finanziaria. Presentata al Salone del Risparmio 2015 organizzato da Assogestioni
ISBF14 e BNL - Il dialogo tra brand e persona. Costruire la fiducia sui socia...Social Minds
La case history di BNL presentata all'Italian Social Banking Forum 2014 #ISBF14 dal titolo "Il dialogo tra brand e persona. Costruire la fiducia sui social media". Relatore: Marco Scarsella, Comunicazione Retail BNL
Gli Internazionali BNL d'Italia ospiti alla Social Media Week di Roma per la sessione "Why did Internazionali BNL d’Italia win the match in the social media arena last month?"
Sono intervenuti:
Diego Nepi Molineris - Direttore operativo Internazionali BNL d’Italia, Direttore Marketing e Sviluppo CONI
Annalisa De Luca - Digital Chief Internazionali BNL d'Italia, Attività di Presidenza CONI
Luca La Mesa - Social Media Manager Internazionali BNL d'Italia 2015, Wengage
ISBF 2015 : BNL Dal Fan al Funnel: Basta “piacersi”! Benvenuti nell’epoca del...Social Minds
Intervento a ISBF 2015 di Sabrina Petrini Rossi – Digital ADV Performance Analyst – BNL Gruppo BNP Paribas.
Slide proiettate durante l'evento Italian Social Banking Forum del 1° ottobre 2015, Evento promosso nell'ambito del progetto di ricerca SOCIAL MINDS da DML srl. Guarda i video dei keynote su https://vimeo.com/album/3596062. Scopri di più sul progetto di ricerca SOCIAL MINDS su www.socialminds.it
Progetto Marketing e Comunicazione per Internazionali BNL d'ItaliaBeatrice Gollini
Progetto vincitore del 1° Premio Agol come giovane professionista nella categoria eventi.
Sviluppo progetto concept per l'edizione 2016 del torneo di tennis "Internazionali BNL d'Italia" attraverso:
1) Piano di comunicazione
2) Piano marketing
3) Attività onsite
Progetto a cura di Beatrice Gollini
La presentazione di Davide Geraci descrive la strategia di comunicazione - adottata dal Gruppo BNP Paribas - nella campagna digitale dedicata al Mutuo BNL 2in1.
Caso: BNL Paribas Italia progetto Management della Qualitàvalerio italia
L’ obiettivo del progetto è quello di analizzare lo stato
relativamente alle performance esterne (soddisfazione degli
clienti) e interne (indicatori di qualità e processo) di BNL
attraverso un set di dati disponibili.
Individuare punti di forza, criticità e opportunità di
miglioramento rispetto al caso BNL sulla base di dati e fatti.
In particolare tramite il confronto e l’analisi dei dati che ci sono
stati forniti, abbiamo cercato di individuare le aree
maggiormente critiche che a nostro parere richiedono un
prioritario piano di miglioramento.
A dicembre 2014, le risorse accumulate dalle forme pensionistiche complementari rappresentano circa l’8% del Pil e il 3% delle attività finanziarie delle famiglie italiane. Gli iscritti ammontano a circa 6,6 milioni e le risorse destinate alle prestazioni hanno raggiunto i 126 mld di euro. Il tasso di partecipazione ha raggiunto il 25,6% rispetto alla forza lavoro e il 29,5% rispetto agli occupati, tuttavia, solo il 15% per cento della forza di lavoro al di sotto dei 35 anni è iscritto a una forma pensionistica complementare.
A fine 2013 lo stock di investimenti dei fondi pensione indirizzati in Italia ammontava a circa 30 mld di euro, di questi solo 2,1 mld erano indirizzati alle imprese italiane. Per convogliare una maggiore quota del risparmio previdenziale nell’economia reale italiana occorre superare alcuni limiti tecnici ed incentivare l’investimento in strumenti come i fondi chiusi attraverso i quali investire in private equity, mini-bond ed energie rinnovabili, presenti in misura marginale solo nel portafoglio di alcuni fondi pensione preesistenti.
A dicembre ha prevalso l’incertezza sui mercati finanziari globali. Un’incertezza alimentata so- prattutto dalla caduta del prezzo del petrolio. La discesa dell’oro nero, iniziata a fine estate, si è intensificata dopo la riunione di novembre dell’Opec nella quale è stato deciso di mante- nere invariati gli attuali livelli di produzione. E così il greggio ha continuato a perdere terreno, salvo qualche breve sosta, fino a toccare i mini- mi a oltre cinque anni. Uno scenario appesantito dalle tensioni in Russia con il rublo che è crolla- to ai minimi storici. Mosca paga principalmente proprio la caduta dei prezzi del petrolio che ha acuito i timori di una recessione nel 2015. Nel frattempo in Europa si attende con rinnovato in- teresse la prossima riunione della Bce (22 gen- naio). Dal 2015 la Bce terrà, infatti, i suoi meeting ogni sei settimane e non più a inizio mese. A gen- naio potrebbero arrivare indicazioni più puntuali sulle nuove possibili misure non convenzionali da attuare per contrastare il rischio deflazione.
Nell’area euro, il peggioramento della congiuntura economica ha un carattere comune a tutti i principali paesi: la debolezza degli investimenti . In Italia, il taglio ha interessato con particolare intensità la componente pubblica, ridottasi di oltre un terzo negli ultimi quattro anni.
Sono una minoranza (il 38%) gli Italiani disposti a sacrificarsi per sostenere il rilancio del Paese. I sacrifici più duri da accettare sarebbero quelli relativi al welfare, all’aumento dell’età pensionabile e al peggioramento delle condizioni di lavoro, sia in termini di contratto, che di salario. In generale, viene preferita una riduzione di tasse su imprese e lavoro a fronte di un aumento di quelle su consumi e ricchezza patrimoniale. E anche l’ipotesi dell’Iva al 25% risulta più digeribile, sempre a patto che l’imposizione fiscale sul lavoro e sulle attività produttive venga mitigata. Quanto al grado di fiducia, il suo livello resta stabile: a ottobre si è attestato a 3,45 punti, contro i 3,54 del mese precedente. Sul tema del risparmio, negli ultimi 30 giorni si registra un calo della propensione, con il 14,2% degli Italiani che si dice pronto ad aumentare la quota di risorse messe da parte, contro il 15,5 di settembre.
In presenza di un contesto economico divenuto estremamente complesso l’Ocse già
prima dello scoppio della crisi dei mutui subprima suggeriva di introdurre
l’educazione finanziaria nei programmi scolastici. Solo dopo il 2007 tuttavia
l’esigenza di dotare le giovani generazioni di un bagaglio utile in campo finanziario ha
spinto molti paesi ad adottare programmi di educazione specifici. A metà 2014 erano
circa 50 i governi che avevano intrapreso programmi di educazione finanziaria o che
avevano in progetto di avviarne
Settore auto: un andamento a più velocità
Il settore automotiv e a livello globale sembra essere tornato su valori di crescita interessanti. I dati sulla produzione di nuovi veicoli evidenziano un incremento del 4% nel 2013 che potrebbe confermarsi anche per il 2014. Gli Stati Uniti nel 2013 sono tornati ai livelli produttivi pre-crisi. Il mercato europeo, pur avendo registrato nei primi nove mesi del 2014 un incremento del 5,8% delle immatricolazioni, rimane 25 punti percentuali sotto il livello del 2007 con ampie differenze tra i paesi. Ponendo pari a 100 le auto immatricolate nel 2007, la Germania nel 2013 ha raggiunto quota 92, il Regno Unito 91, la Spagna 75, la Francia 58; l’Italia si è fermata a 52.
Negli anni più recenti le imprese di maggiore dimensione hanno fortemente accentuato la propensione a detenere riserve di liquidità. Per l’intensità raggiunta questa propensione alla liquidità viene indicata tra i fattori corresponsabili (e non in misura marginale) della sterilizzazione degli stimoli monetari adottati dalle autorità dei principali paesi per favorire una più rapida uscita dalla crisi.
E’ l’immigrazione la grande preoccupazione delle famiglie Italiane. Una su due, la ritiene la criticità più rilevante: le notizie che da mesi arrivano dal Canale di Sicilia angosciano in profondità il Paese, per i loro drammatici risvolti umanitari. Sul fronte interno, il 44% degli Italiani nei prossimi 12 mesi si aspetta che vengano approvate le riforme di cui tanto si è discusso: da quella del lavoro a quella della pubblica amministrazione; da quella della giustizia a quella della scuola. Per quanto riguarda il grado di fiducia, il dato resta stabile sui valori dei mesi precedenti: 3,54 punti, contro i 3,53 di agosto e i 3,55 di luglio.
Risale la propensione al risparmio: il 15,5 degli italiani lo aumenterà nei prossimi 12 mesi. A settembre, si era impegnato in questa direzione il 13,1.
I Millennials italiani e il rapporto con risparmio e investimenti - Generazio...Diego Martone
la prima ricerca sulla Generazione Y (i Millennials) italiana e il loro rapporto con il risparmio, gli investimenti e la domanda di un grande progetto di avvicinamento ed educazione economico e finanziaria. Presentata al Salone del Risparmio 2015 organizzato da Assogestioni
ISBF14 e BNL - Il dialogo tra brand e persona. Costruire la fiducia sui socia...Social Minds
La case history di BNL presentata all'Italian Social Banking Forum 2014 #ISBF14 dal titolo "Il dialogo tra brand e persona. Costruire la fiducia sui social media". Relatore: Marco Scarsella, Comunicazione Retail BNL
Gli Internazionali BNL d'Italia ospiti alla Social Media Week di Roma per la sessione "Why did Internazionali BNL d’Italia win the match in the social media arena last month?"
Sono intervenuti:
Diego Nepi Molineris - Direttore operativo Internazionali BNL d’Italia, Direttore Marketing e Sviluppo CONI
Annalisa De Luca - Digital Chief Internazionali BNL d'Italia, Attività di Presidenza CONI
Luca La Mesa - Social Media Manager Internazionali BNL d'Italia 2015, Wengage
ISBF 2015 : BNL Dal Fan al Funnel: Basta “piacersi”! Benvenuti nell’epoca del...Social Minds
Intervento a ISBF 2015 di Sabrina Petrini Rossi – Digital ADV Performance Analyst – BNL Gruppo BNP Paribas.
Slide proiettate durante l'evento Italian Social Banking Forum del 1° ottobre 2015, Evento promosso nell'ambito del progetto di ricerca SOCIAL MINDS da DML srl. Guarda i video dei keynote su https://vimeo.com/album/3596062. Scopri di più sul progetto di ricerca SOCIAL MINDS su www.socialminds.it
Progetto Marketing e Comunicazione per Internazionali BNL d'ItaliaBeatrice Gollini
Progetto vincitore del 1° Premio Agol come giovane professionista nella categoria eventi.
Sviluppo progetto concept per l'edizione 2016 del torneo di tennis "Internazionali BNL d'Italia" attraverso:
1) Piano di comunicazione
2) Piano marketing
3) Attività onsite
Progetto a cura di Beatrice Gollini
La presentazione di Davide Geraci descrive la strategia di comunicazione - adottata dal Gruppo BNP Paribas - nella campagna digitale dedicata al Mutuo BNL 2in1.
Caso: BNL Paribas Italia progetto Management della Qualitàvalerio italia
L’ obiettivo del progetto è quello di analizzare lo stato
relativamente alle performance esterne (soddisfazione degli
clienti) e interne (indicatori di qualità e processo) di BNL
attraverso un set di dati disponibili.
Individuare punti di forza, criticità e opportunità di
miglioramento rispetto al caso BNL sulla base di dati e fatti.
In particolare tramite il confronto e l’analisi dei dati che ci sono
stati forniti, abbiamo cercato di individuare le aree
maggiormente critiche che a nostro parere richiedono un
prioritario piano di miglioramento.
A dicembre 2014, le risorse accumulate dalle forme pensionistiche complementari rappresentano circa l’8% del Pil e il 3% delle attività finanziarie delle famiglie italiane. Gli iscritti ammontano a circa 6,6 milioni e le risorse destinate alle prestazioni hanno raggiunto i 126 mld di euro. Il tasso di partecipazione ha raggiunto il 25,6% rispetto alla forza lavoro e il 29,5% rispetto agli occupati, tuttavia, solo il 15% per cento della forza di lavoro al di sotto dei 35 anni è iscritto a una forma pensionistica complementare.
A fine 2013 lo stock di investimenti dei fondi pensione indirizzati in Italia ammontava a circa 30 mld di euro, di questi solo 2,1 mld erano indirizzati alle imprese italiane. Per convogliare una maggiore quota del risparmio previdenziale nell’economia reale italiana occorre superare alcuni limiti tecnici ed incentivare l’investimento in strumenti come i fondi chiusi attraverso i quali investire in private equity, mini-bond ed energie rinnovabili, presenti in misura marginale solo nel portafoglio di alcuni fondi pensione preesistenti.
A dicembre ha prevalso l’incertezza sui mercati finanziari globali. Un’incertezza alimentata so- prattutto dalla caduta del prezzo del petrolio. La discesa dell’oro nero, iniziata a fine estate, si è intensificata dopo la riunione di novembre dell’Opec nella quale è stato deciso di mante- nere invariati gli attuali livelli di produzione. E così il greggio ha continuato a perdere terreno, salvo qualche breve sosta, fino a toccare i mini- mi a oltre cinque anni. Uno scenario appesantito dalle tensioni in Russia con il rublo che è crolla- to ai minimi storici. Mosca paga principalmente proprio la caduta dei prezzi del petrolio che ha acuito i timori di una recessione nel 2015. Nel frattempo in Europa si attende con rinnovato in- teresse la prossima riunione della Bce (22 gen- naio). Dal 2015 la Bce terrà, infatti, i suoi meeting ogni sei settimane e non più a inizio mese. A gen- naio potrebbero arrivare indicazioni più puntuali sulle nuove possibili misure non convenzionali da attuare per contrastare il rischio deflazione.
Nell’area euro, il peggioramento della congiuntura economica ha un carattere comune a tutti i principali paesi: la debolezza degli investimenti . In Italia, il taglio ha interessato con particolare intensità la componente pubblica, ridottasi di oltre un terzo negli ultimi quattro anni.
Sono una minoranza (il 38%) gli Italiani disposti a sacrificarsi per sostenere il rilancio del Paese. I sacrifici più duri da accettare sarebbero quelli relativi al welfare, all’aumento dell’età pensionabile e al peggioramento delle condizioni di lavoro, sia in termini di contratto, che di salario. In generale, viene preferita una riduzione di tasse su imprese e lavoro a fronte di un aumento di quelle su consumi e ricchezza patrimoniale. E anche l’ipotesi dell’Iva al 25% risulta più digeribile, sempre a patto che l’imposizione fiscale sul lavoro e sulle attività produttive venga mitigata. Quanto al grado di fiducia, il suo livello resta stabile: a ottobre si è attestato a 3,45 punti, contro i 3,54 del mese precedente. Sul tema del risparmio, negli ultimi 30 giorni si registra un calo della propensione, con il 14,2% degli Italiani che si dice pronto ad aumentare la quota di risorse messe da parte, contro il 15,5 di settembre.
In presenza di un contesto economico divenuto estremamente complesso l’Ocse già
prima dello scoppio della crisi dei mutui subprima suggeriva di introdurre
l’educazione finanziaria nei programmi scolastici. Solo dopo il 2007 tuttavia
l’esigenza di dotare le giovani generazioni di un bagaglio utile in campo finanziario ha
spinto molti paesi ad adottare programmi di educazione specifici. A metà 2014 erano
circa 50 i governi che avevano intrapreso programmi di educazione finanziaria o che
avevano in progetto di avviarne
Settore auto: un andamento a più velocità
Il settore automotiv e a livello globale sembra essere tornato su valori di crescita interessanti. I dati sulla produzione di nuovi veicoli evidenziano un incremento del 4% nel 2013 che potrebbe confermarsi anche per il 2014. Gli Stati Uniti nel 2013 sono tornati ai livelli produttivi pre-crisi. Il mercato europeo, pur avendo registrato nei primi nove mesi del 2014 un incremento del 5,8% delle immatricolazioni, rimane 25 punti percentuali sotto il livello del 2007 con ampie differenze tra i paesi. Ponendo pari a 100 le auto immatricolate nel 2007, la Germania nel 2013 ha raggiunto quota 92, il Regno Unito 91, la Spagna 75, la Francia 58; l’Italia si è fermata a 52.
Negli anni più recenti le imprese di maggiore dimensione hanno fortemente accentuato la propensione a detenere riserve di liquidità. Per l’intensità raggiunta questa propensione alla liquidità viene indicata tra i fattori corresponsabili (e non in misura marginale) della sterilizzazione degli stimoli monetari adottati dalle autorità dei principali paesi per favorire una più rapida uscita dalla crisi.
E’ l’immigrazione la grande preoccupazione delle famiglie Italiane. Una su due, la ritiene la criticità più rilevante: le notizie che da mesi arrivano dal Canale di Sicilia angosciano in profondità il Paese, per i loro drammatici risvolti umanitari. Sul fronte interno, il 44% degli Italiani nei prossimi 12 mesi si aspetta che vengano approvate le riforme di cui tanto si è discusso: da quella del lavoro a quella della pubblica amministrazione; da quella della giustizia a quella della scuola. Per quanto riguarda il grado di fiducia, il dato resta stabile sui valori dei mesi precedenti: 3,54 punti, contro i 3,53 di agosto e i 3,55 di luglio.
Risale la propensione al risparmio: il 15,5 degli italiani lo aumenterà nei prossimi 12 mesi. A settembre, si era impegnato in questa direzione il 13,1.
Alla ripresa autunnale lo scenario economico si presenta a due facce.
Quella rassicurante di conferma delle buone dinamiche e prospettive extra-europee.
E quella preoccupante di deterioramento del quadro già debole nell’Eurozona e in Italia.
Il contesto rimane caratterizzato dai cambiamenti su scala globale portati dalla crisi: minore ampliamento
dei commerci internazionali, investimenti frenati dalla perdurante incertezza e condizioni
più selettive del credito bancario1.
Tutti fattori che abbassano il profilo dello sviluppo mondiale.
Tempo di riforme
I nuovi dati innalzano intorno al 44 per cento il valore raggiunto in Italia dal tasso disoccupazione giovanile. Oltre al problema della disoccupazione, le difficoltà del mercato giovanile del lavor o sono riscontrabili nella consistente riduzione tra gli occupati di età inferiore ai 35 anni dei dipendenti con contratto a tempo indeterminato.
I migranti e la crisi economica
Le tensioni geo-politiche ai confini dell’Europa e il protrarsi della debolezza del ciclo economico in molti paesi dell’area hanno contribuito a modificare i flussi migratori interni e internazionali sia in termini di numerosità sia nella scelta dei paesi di destinazione. L’allargamento a est dei paesi aderenti all’Unione e il perdurare di elevati tassi di disoccupazione in molte economie della zona euro hanno favorito la dinamica delle migrazioni interne, con una polarizzazione verso la Germania che nel 2013 è divenuto il primo paese di destinazione in Europa e il secondo tra le economie sviluppate dopo gli Stati Uniti.
Negli ultimi anni una serie di fenomeni economici e politici hanno portato molti a ritenere che l’ordine economico mondiale disegnato a partire da Bretton Woods sia ormai da rivedere. L’idea è che il concetto stesso di libero scambio, che del vecchio ordine rappresentava uno dei pilastri portanti, sia destinato nel prossimo futuro ad avere un ruolo progressivamente meno centrale nello stimolare la crescita mondiale.
Le famiglie italiane spenderanno in media 710 € per l’istruzione dei figli, circa 10 € in più rispetto allo scorso anno. E il 5% di queste dovrà ricorrere a un prestito per farvi fronte.
Il risparmio gestito nel corso del 2014 ha continuato ad evidenziare una dinamica di sviluppo molto positiva. Il patrimonio a luglio ha toccato un nuovo massimo pari a 1.480 mld di euro, un valore dell’11% superiore a quello di dicembre 2013. Nei primi sette mesi del 2014 la raccolta netta ha raggiunto i 75,7 miliardi, un valore superiore a quello relativo all'intero 2013 (62 mld di euro) che già costituiva il miglior risultato dal 1999. Nel 2014 sono stati i fondi comuni a trainare la raccolta del risparmio gestito.
In controtendenza rispetto al calo di oltre venti punti percentuali segnato dal totale della
manifattura, la produzione italiana di birra supera oggi di tre punti percentuali i
volumi ante-crisi. Allo stesso modo, le esportazioni italiane di birra sono oggi oltre il
doppio di quelle di sette anni fa. Pur avendo un peso assai limitato sull’economia
nazionale, la performance del comparto brassicolo italiano offre spunti interessanti di
riflessione sulle leve per svilupparsi anche in tempi di crisi: innovazione, investimenti,
domanda interna.
1. Quote export Italia vs. crescita paese/area
(%)
9,0
Cina
8,0
Emergenti Asia
Tasso di crescita del PIL del paese/area (%) media 2012-17
India
7,0
Vietnam
6,0
5,0
Medio Oriente e Nord
Brasile Africa
4,0 Corea
Russia
Turchia
Messico Europa Centrale ed
Polonia
Sud Africa Orientale
3,0
USA
Irlanda
2,0 Regno Unito
Giappone Svizzera
Belgio
Grecia Francia Germania
1,0
Portogallo Spagna
0,0
0,0 2,0 4,0 6,0 8,0 10,0 12,0 14,0 16,0
Quota % del paese/area sul totale dell'export italiano (anno 2011)
Fonte: elaborazioni Servizio Studi BNL su dati e previsioni FMI.
Le esportazioni italiane decelerano a ritmi non dissimili di quelle tedesche.
Contestualmente, aumenta il peso delle vendite nei mercati posti fuori dei confini
dell’Unione europea che ora rappresentano il 45% del totale per l’Italia contro il
42% in Germania. Si affinano anche in Italia gli strumenti creditizi a sostegno
dell’export e dell’internazionalizzazione.
A partire dall’avvio della crisi, a metà 2008, la situazione del mercato del lavoro è
via via peggiorata. Nei paesi dell’euro zona ad agosto il tasso di disoccupazione ha
toccato l’11,4%: 18,2 milioni di persone sono alla ricerca attiva di un’occupazione,
oltre due milioni in più rispetto a un anno prima. In Italia nel II trimestre 2012 gli
occupati dipendenti a tempo indeterminato sono scesi (a/a) di 63mila unità circa; gli
occupati indipendenti sono scesi di oltre 90mila unità. Risultano in aumento invece
37 gli occupati a tempo determinato (più 105mila unità).
A livello globale il problema della gestione dei rifiuti urbani è destinato a
diventare sempre più importante. In Europa, tuttavia, nel corso degli ultimi 15 anni il
8 ottobre quadro complessivo risulta migliorato: la produzione procapite ha cominciato a
diminuire; è mutato profondamente il processo di trattamento. Anche nel caso
2012 dell’Italia si percepisce un’evoluzione favorevole ma la meta (soprattutto quella
conseguita dalle best practice) è ancora decisamente lontana. La raccolta
differenziata ha raggiunto il 35%.
Direttore responsabile:
Giovanni Ajassa
tel. 0647028414 Banca Nazionale del Lavoro – Gruppo BNP Paribas
giovanni.ajassa@bnlmail.com Via Vittorio Veneto 119 - 00187 Roma
Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 159/2002 del 9/4/2002
Le opinioni espresse non impegnano la responsabilità della banca.
2. 8 ottobre 2012
setesettembresette
SettsettembreAgost
o 2008
Editoriale: Sostegno all’export
G. Ajassa 06-47028414 giovanni.ajassa@bnlmail.com
Esportazioni vs. paesi extra-Ue 27
(var. % a/a su somme mobili di 12 mesi)
40
30
20
10
Germania
0 Italia
-10
-20
-30
Fonte: elaborazioni Servizio Studi BNL su Eurostat
Esportare per l’Italia è essenziale. Lo è stato. Lo sarà, negli anni futuri di “fiscal
compact” e di sobrietà dei consumi interni. Lo è oggi, dato che senza la crescita
dell’export e la contestuale contrazione dell’import, il calo tendenziale del PIL alla metà
di quest’anno non sarebbe stato di due punti e mezzo, ma avrebbe superato i cinque
punti percentuali. Senza l’export, i conti della nostra recessione assumerebbero oggi
proporzioni elleniche.
Eppur si esporta. Le imprese italiane continuano ad assicurare un flusso annuo di
vendite estere dell’ordine dei quattrocento miliardi di euro nonostante numerosi
svantaggi comparati tra cui un cuneo fiscale e contributivo superiore di un terzo alla
media OCSE. E, nonostante una fase globale di decelerazione degli scambi, le
esportazioni realizzate dall’Italia nei dodici mesi terminanti a luglio 2012 sono
aumentate su base annua di sei punti percentuali, solo un punto in meno
dell’incremento fatto registrare nell’analogo periodo dalle esportazioni tedesche.
All’interno del totale Mondo, le esportazioni italiane verso le economie poste al di fuori
dell’Unione europea sono cresciute di undici punti percentuali, anche in questo caso
solo un punto al di sotto delle corrispettive tedesche.
Nell’ultimo anno la quota di extra-Ue sul totale dell’export italiano è cresciuta di due
punti percentuali e si attesta al 45 per cento, tre punti al di sopra del 42 per cento
rilevato in Germania. Rispetto agli inizi degli anni Duemila, ovvero agli albori
dell’introduzione della moneta unica e dell’ingresso della Cina nel WTO, il peso delle
vendite fuori dai confini dell’Unione è aumentato di nove punti percentuali per l’Italia e
di sette punti per la Germania.
2
3. 8 ottobre 2012
setesettembresette
SettsettembreAgost
o 2008
Nell’intero 2011 le esportazioni italiane crebbero del diciannove per cento in Italia e del
diciotto per cento in Germania. Rispetto ai dati dello scorso anno le esportazioni
marciano oggi a velocità sensibilmente ridotte. In questa fase di difficoltà l’export
italiano tiene sostanzialmente il passo dell’export tedesco e conferma la tendenza a un
riorientamento verso i più dinamici mercati extraeuropei. Fin qui il bicchiere mezzo
pieno. Nella parte mezzo vuota, il rischio è ora vedere ulteriormente affievolirsi la
spinta della domanda estera senza avere, a differenza dei tedeschi, possibilità
consistenti di compensazione sul fronte delle componenti interne della spesa e,
soprattutto, dei consumi. Sostenere le esportazioni rappresenta una priorità. Farlo è
possibile, nel rispetto delle regole comunitarie, cercando di allentare alcuni vincoli che
affliggono i nostri esportatori. C’è il problema, strutturale, della piccola dimensione
aziendale. C’è la questione, più recente ma non meno importante, del credito alle
aziende esportatrici.
Sul fronte della dimensione, il problema dell’export italiano è avere tantissimi piccoli
esportatori più di altri esposti ai maggiori costi e ai maggiori rischi della globalizzazione.
Non è solo la nota questione della moltiplicazione delle distanze, dei chilometri che
aumentano dagli 800 agli 8.000 quando ci si deve spostare dai tradizionali mercati
europei ai nuovi bacini asiatici e latino-americani. È anche il rischio, stante il vincolo
della piccola dimensione, di non riuscire a costruire un “portafoglio” sufficientemente
diversificato di sbocchi sugli stessi mercati emergenti. Un portafoglio che quando il
ciclo rallenta in Cina consenta all’esportatore di compensare i minori introiti in quel
paese magari con le maggiori vendite nell’Africa sub-sahariana o in America Latina.
Oggi anche le economie emergenti stanno scoprendo il ciclo. Gli alti e bassi di paesi
come Cina, India, Brasile e altri ancora non sono sincronizzati. Gli stessi modelli di
sviluppo sono entrati in una fase di transizione strutturale. È un mondo più complesso,
dove riuscire ad esportare più di prima richiede una dimensione adeguata.
Sul mercato cinese 8.600 imprese esportatrici italiane realizzano un fatturato di sei
miliardi di euro che è meno di un terzo rispetto ai diciannove miliardi dell’export
fatturato dalle meno numerose 6.300 imprese tedesche. I dati sono nell’ultima
Relazione annuale della Banca d’Italia. La dimensione conta. E conta la presenza di un
numero adeguato di grandi imprese esportatrici che facciano da nutrici e da argini nei
confronti della disintegrazione – il cosiddetto “unbundling” – delle filiere nazionali di
piccoli subfornitori. Il commercio internazionale tende a concentrarsi su un numero
relativamente limitato di “player” globali. In Germania e in Francia le imprese con 250 e
più addetti sono titolari del 75 per cento delle esportazioni dell’industria. In Italia questa
quota si ferma al 50 per cento. Nel manifatturiero le imprese tedesche con oltre 250
addetti – le “grandi” imprese in senso statistico – sono oltre quattromila. Quelle italiane
non arrivano a millecinquecento. Oltre ai tanti piccoli operatori, il problema dell’export
italiano è anche quello di avere poche grandi aziende realmente internazionalizzate.
Su entrambi i fronti occorre lavorare. Lo strumento dei contratti di rete, la legge
122/2010, può rappresentare un utile supporto, non solo per l’aggregazione tra i
piccoli, ma anche per il rafforzamento delle grandi.
Oltre a una maggiore dimensione aziendale, al rilancio delle esportazioni occorre un
3
4. 8 ottobre 2012
setesettembresette
SettsettembreAgost
o 2008
supporto adeguato del credito. Sono molte ed importanti le manifestazioni del
coinvolgimento del credito sul fronte dell’export e dell’internazionalizzazione. Si tratta,
ad esempio, di assicurare linee di credito pluriennali ai compratori esteri. Di finanziare
la costruzione sui nuovi mercati extra-europei di quelle strutture distributive che sono
essenziali per collocare con continuità e guadagno i prodotti del “made in Italy”. Di
intervenire a supporto della gestione finanziaria delle nuove filiere produttive globali.
Oggi il perdurare della crisi rende più difficile connettere il credito all’export e
all’internazionalizzazione delle nostre imprese. Il rincaro degli spread, le spinte alla
segmentazione dei mercati interbancari, l’aggiungersi dei rischi di controparte ai rischi
paese, gli impegni che le banche affrontano nell’adeguamento ai nuovi requisiti
regolamentari concorrono nel contrarre le risorse di finanziamento per l’interscambio e
per l’internazionalizzazione. Sono vincoli d’offerta particolarmente gravi perché pesano
su un comparto ove le condizioni di domanda sono migliori che altrove ed occasioni di
crescita non possono essere perdute per un problema di credito. Il credito non deve
diventare il nuovo svantaggio comparato nella competizione delle imprese italiane con i
concorrenti globali.
Quote export Italia vs. crescita paese/area
(%)
9,0
Cina
8,0
Emergenti Asia
Tasso di crescita del PIL del paese/area (%) media 2012-17
India
7,0
Vietnam
6,0
5,0
Medio Oriente e Nord
Brasile Africa
4,0 Corea
Russia
Turchia
Messico Europa Centrale ed
Polonia
Sud Africa Orientale
3,0
USA
Irlanda
2,0 Regno Unito
Giappone Svizzera
Belgio
Grecia Francia Germania
1,0
Portogallo Spagna
0,0
0,0 2,0 4,0 6,0 8,0 10,0 12,0 14,0 16,0
Quota % del paese/area sul totale dell'export italiano (anno 2011)
Fonte: elaborazioni Servizio Studi BNL su dati e previsioni FMI
Va visto quindi con favore ogni intervento che possa assicurare ed accrescere le
risorse di finanziamento a sostegno del circuito dei pagamenti dell’interscambio, del
capitale circolante degli esportatori italiani e delle operazioni a più lungo termine di
“export finance”. Importante in questo senso è la costituzione del sistema della “Export-
Banca” che mette insieme la Cassa Depositi e Prestiti, la SACE e le banche e
consente di mobilizzare la raccolta postale a beneficio del sostegno finanziario
all’internazionalizzazione.
Passi ulteriori dovranno essere compiuti, tenendo presente che oggi tutti i maggiori
paesi esportatori del Mondo dispongono di potenti entità creditizie di matrice pubblica il
4
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o 2008
cui fine sociale è un sostegno a tutto tondo dello sviluppo, dell’internazionalizzazione e
delle esportazioni delle imprese. Si va dalle “Exim-banks” di USA, Giappone e Corea
alla China Development Bank di Pechino alle realtà rese operative in paesi europei
come Germania, Danimarca e Finlandia dopo una fase di consultazione con le autorità
europee per assicurare il rispetto delle normative che vietano gli aiuti di Stato. Una
curiosità: in Germania la banca pubblica per l’innovazione e l’internazionalizzazione ha
un nome che a noi italiani può dire qualcosa. KfW sta per Kreditanstalt für
Wiederaufbau, istitituto di credito per la ricostruzione. Dall’export,
dall’internazionalizzazione e dal credito deve venire un contributo importante alla
ricostruzione di uno scenario di ripresa.
5
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Una lente d’ingrandimento sul mercato del lavoro
S. Costagli 06-47027054 – simona.costagli@bnlmail.com
Il lavoro continua a rimanere in cima alla lista delle emergenze nelle agende dei
principali paesi sviluppati. A partire dall’avvio della crisi, a metà 2008, la
situazione del mercato del lavoro è via via peggiorata, e in molti paesi avanzati è
ancora oggi ben lontana dal trovare una via di risoluzione. Nei paesi dell’area
dell’euro ad agosto il tasso di disoccupazione ha toccato l’11,4%: 18,2 milioni di
persone sono alla ricerca attiva di un’occupazione, oltre due milioni in più
rispetto a un anno prima.
In Italia il lieve calo dell’occupazione complessiva registrato a metà 2012 è la
conseguenza di mutamenti molto profondi nella composizione della stessa per
durata e tipologia contrattuale. Nell’anno terminato nel II trimestre 2012 gli
occupati dipendenti a tempo indeterminato sono scesi di 63mila unità circa;
ancora più marcato è stato il calo nel segmento degli occupati indipendenti
(scesi di oltre 90mila unità), ma soprattutto si è registrato un aumento degli
occupati a tempo determinato (più 105mila unità), nonché tra i dipendenti un
aumento di quelli a tempo parziale (+285mila unità).
Nello stesso periodo il numero delle persone in cerca di occupazione è salito di
758mila unità, portando il dato complessivo relativo ai senza lavoro a 2,7 milioni.
Ad alimentare il flusso dei 758mila nuovi disoccupati è stata in gran parte la
fascia più giovane della popolazione: 345mila unità circa tra i 15 e i 34 anni
contro un aumento di 67mila unità nella fascia più anziana (55-65 anni); ciò non
fa altro che replicare la composizione dello stock dei disoccupati italiani, che
risulta molto sbilanciato verso la giovane età (oltre il 50% dei disoccupati ha
meno di 35 anni).
Nel corso del periodo in esame il dato più interessante è la discesa del numero
di persone inattive. A giugno 2012 il tasso di inattività (33,2%) è sceso di 4 punti
percentuali rispetto al trimestre precedente e di sette rispetto allo stesso
trimestre del 2011. Ad uscire dall’inattività sono stati soprattutto coloro i quali
nelle precedenti rilevazioni avevano dichiarato di non cercare un’occupazione in
quanto pensionati o non interessati a cercarne una per motivi di età. In questa
categoria la flessione rispetto al II trimestre del 2012 è stata di 487mila unità fra
le donne e 188mila tra gli uomini.
Accanto al tema degli spread quello del lavoro è l’argomento che a partire da metà
2008 ha occupato più pagine nell’agenda delle riunioni del G20. Ancora oggi in gran
parte dei paesi avanzati il livello dell’occupazione rimane al di sotto dei livelli precedenti
la crisi del 2008. Secondo l’ILO1 a giugno il livello di disoccupazione era
consistentemente più alto del valore pre crisi in Francia, Italia, Spagna, Regno Unito e
Stati Uniti, anche se in quest’ultimo paese ha mostrato un trend lievemente
discendente negli ultimi mesi. In particolare, la situazione in molti paesi del G20 è
preoccupante dal lato della disoccupazione di lunga durata (oltre 12 mesi di ricerca),
che in alcuni casi (Spagna e Stati Uniti) è triplicata dalla metà del 2008. La situazione è
particolarmente complessa tra i paesi dell’area dell’euro, dove ad agosto la
disoccupazione è risultata pari all’11,4%, replicando il dato dei due mesi precedenti.
18,2 milioni di persone sono quindi alla ricerca di un’occupazione nei 17 paesi della
moneta unica, circa 2,1 milioni in più rispetto allo stesso mese del 2011. Il dato
1
International Labor Office, Boosting Jobs and living standars in G20 countries, giugno 2012.
6
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o 2008
complessivo è frutto dell’andamento divergente nei vari paesi; a fronte di una
sostanziale stazionarietà su livelli ancora contenuti per Germania (5,5%), Austria
(4,5%) e Paesi Bassi (5,3%), si registra un tasso di disoccupazione superiore al 25% in
Spagna, pari al 15% in Irlanda, al 10,7% in Italia e al 10,6% in Francia. Per la Grecia il
dato, fermo a giugno, segna un 24,4%.
Il tasso di disoccupazione in alcuni paesi
dell’area euro
(valori %)
30
25,1 24,4
25
22
20
17,2
15,9
14,7 15
15
12,7
10,6 10,7
9,6
10 8,4
5,8 5,5
5
0
Germania Francia Italia Spagna Grecia* Irlanda Portogallo
Agosto 2011 Agosto 2012
*giugno 2012
Fonte: elaborazioni Servizio Studi BNL su dati Eurostat
L’occupazione e la disoccupazione in Italia, qualche approfondimento
In Italia il tasso di disoccupazione di agosto rappresenta il valore più alto dal 1999, ma
fermarsi all’analisi di un solo indicatore per rappresentare lo stato di salute del mercato
del lavoro può essere fuorviante.
I dati trimestrali (che arrivano a giugno 2012) permettono di indagare più a fondo la
realtà italiana, sia relativamente ai disoccupati, sia agli occupati sia agli inattivi.
Relativamente all’occupazione, gli elementi più interessanti si ottengono considerando
il confronto con i valori relativi al II trimestre 2011;2 rispetto a quella data il numero
complessivo di coloro i quali avevano un’occupazione è sceso di 48mila unità circa,
portando il tasso di occupazione della popolazione tra i 15 e i 64 anni (dato grezzo) a
57,1% un valore pari ad appena 0,1 punti percentuali in meno di un anno prima. Lo
scenario apparentemente stabile fornito dalla lettura del semplice dato complessivo
nasconde però una realtà ben più complessa. In primo luogo è da sottolineare come il
saldo sia frutto quasi esclusivo del movimento tra gli occupati di due fasce di età: 15-34
e 55-64 anni. In particolare, la fascia più giovane tra le due è risultata la più
penalizzata, con una flessione di 230mila unità circa, contro un aumento pari a 225mila
unità nella fascia più anziana degli occupati. Quest’ultima, evidentemente anche a
causa di modifiche nella legislazione, arriva ormai a coprire il 13,1% dell’occupazione
complessiva, contro il 12,1% dello stesso trimestre del 2011 e il 10,5% di giugno 2008,
inizio della scorsa recessione. Al contrario, i 15-34enni hanno visto il loro peso
assottigliarsi dal 30,7% del II trimestre 2008 al 25,5% del 2012. All’inizio del 2004 (data
2
I dati relativi all’occupazione per durata e tipologia del contratto non sono destagionalizzati, il confronto
con lo stesso periodo dell’anno precedente permette, almeno in parte, di ovviare a problemi legati alla
stagionalità.
7
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o 2008
a partire dalla quale sono disponibili i dati) la composizione dell’occupazione era
ancora più sbilanciata verso la fascia di età più giovane (34,6%), con i più anziani a
coprire solo poco più del 9%.
Andamento dell'occupazione per classi di età
nell'ultimo anno
(Differenza tra II trim. 2012 e II trim. 2011; in migliaia, dati non
destagionalizzati)
300
225
200
100
0
-48
-100
-200
-230
-300
15 anni e più 15-34 anni 55-64 anni
Fonte: elaborazione Servizio Studi BNL su dati Istat
Il lieve calo dell’occupazione complessiva a metà 2012 è inoltre la conseguenza di
mutamenti molto profondi nella composizione della stessa per durata e tipologia
contrattuale. Nel corso del periodo esaminato gli occupati dipendenti a tempo
indeterminato sono scesi di 63mila unità circa; ancora più marcato è stato il calo nel
segmento degli occupati indipendenti (scesi di oltre 90mila unità), ma soprattutto si è
registrato un aumento degli occupati a tempo determinato (più 105mila unità nell’anno
che termina a giugno 2012). In aumento risulta inoltre la componente (dipendente)
degli occupati a tempo parziale (+285mila unità).
Variazione dell'occupazione nell'ultimo anno
(Differenza tra II trim. 2012 e II trim. 2011; in migliaia, dati non
destagionalizzati)
350
300 285
250
200
150
105
100
50
0
-50
-48
-100 -63
-90
-150
Totale Occupati Occupati Occupati Occupati
dipendenti a dipendenti a indipendenti dipendenti a
tempo tempo parziale tempo
determinato indeterminato
Fonte: elaborazione Servizio Studi BNL su dati Istat
8
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o 2008
Nello stesso periodo il numero delle persone in cerca di occupazione è salito di
758mila unità, portando il dato complessivo dei senza lavoro a 2,7 milioni; in particolare
risulta in aumento la disoccupazione di lunga durata, ossia superiore ai 12 mesi di
ricerca infruttuosa, che al II trimestre 2012 rappresentava il 53,1% di quella
complessiva contro il 52,9% di un anno prima.
I disoccupati in Italia sono per il 48,1% (1,38 milioni, in gran parte uomini) ex occupati
alla ricerca di una nuova attività, per il 26,4% alla ricerca di una prima occupazione e
per il 22,6% (612mila unità) ex inattivi, con una quota prevalente di persone che in
passato hanno svolto una qualche attività lavorativa.
Ad alimentare il flusso dei 758mila nuovi disoccupati nell’anno che termina a giugno
2012 è risultata in gran parte la componente maschile (456mila unità), ma soprattutto
la fascia più giovane della popolazione: 345mila unità circa tra i 15 e i 34 anni contro
un aumento di 67mila unità nella fascia più anziana (55-65 anni); d’altro canto ciò non
fa altro che replicare la composizione dello stock dei disoccupati italiani che risulta
molto sbilanciato verso la giovane età (oltre il 50% dei disoccupati ha meno di 35 anni).
Distribuzione dei nuovi disoccupati per Italia: distribuzione dei disoccupati
classe di età per età nel II trimestre 2012
(Differenza tra II trim. 2012 e II trim. 2011; migliaia) (Migliaia)
65 anni
5 65 anni e più
e più
55-64 anni
55-64
67
anni 174
45-54 586
158 45-54 anni
anni
470 15-24 anni
35-44
183
anni
25-34 666 799
193
anni
15-24
152 35-44 anni
anni
25-34 anni
0 50 100 150 200 250
Fonte: elaborazione Servizio Studi BNL su dati Istat Fonte: elaborazione Servizio Studi BNL su dati Istat
La fase di difficoltà attraversata dal mercato del lavoro ha sollevato da più parti
(soprattutto nelle organizzazioni internazionali specializzate) l’opportunità di affiancare,
a quelli tradizionali indicatori in grado di cogliere più in dettaglio le sfumature dettate
dalla attuale maggiore complessità delle forme contrattuali che regolano la condizione
di occupato (e disoccupato) rispetto al passato. In particolare, si è cominciato ad
affiancare al tradizionale tasso di disoccupazione (percentuale delle persone in cerca
di occupazione rispetto alle forze di lavoro) un indicatore che tiene conto anche del
peso degli occupati a tempo parziale che vorrebbero aumentare il numero delle ore
lavorate (e il reddito), ma non riescono a farlo. Secondo l’Organizzazione Mondiale del
Lavoro a fine 2011 tale indicatore (Gallop Index) a livello mondiale era pari al 19%. Per
l’Italia l’Ocse stima in circa 1,5 milioni gli occupati a tempo parziale che
desidererebbero aumentare il numero di ore ma ne sono impossibilitati; questi, aggiunti
al numero dei disoccupati “tradizionali”, arrivano a coprire oltre il 16% delle forze di
lavoro. Interessante è poi anche valutare il peso dei disoccupati sulla popolazione della
stessa fascia di età (Unemployment ratio), per l’Italia secondo i dati Eurostat tale valore
per i 15-64enni nel primo trimestre di quest’anno si posizionava intorno all’11,9%
9
10. 8 ottobre 2012
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o 2008
contro un tasso di disoccupazione del 15,9% se riferito alla stessa fascia di età (in
entrambi i casi si tratta di valori non destagionalizzati). Nello stesso trimestre in Spagna
l’Unemployment ratio risultava pari al 26,4%, in Francia al 6,8%, in Germania al 6,4% e
nel Regno Unito del 6,3%.
Tasso di disoccupazione e rapporto di
disoccupazione nella fascia di età 15-64 anni
(I trim. 2012; dati non destagionalizzati)
40
35 33,6
30
26,4
25
20
15,9
15
11,9
9,5
10 8,2 7,8
6,4 6,8 6,3
5
0
Germania Spagna Francia Italia Regno Unito
Tasso di disoccupazione riferito alla popolazione 15-64 anni
Tasso di disoccupazione riferito alle forze di lavoro 15-64 anni
Fonte: elaborazione Servizio Studi BNL su dati Eurostat
Scende l’inattività in Italia: una buona notizia?
Nel corso del periodo in esame il dato più interessante per l’Italia è la discesa del
numero di persone inattive. A giugno 2012 il tasso di inattività (33,2%) è sceso di
quattro punti percentuali rispetto al trimestre precedente e di sette rispetto allo stesso
trimestre del 2011. In termini assoluti il calo su base annua è stato pari a 729mila unità
(in gran parte donne: 474mila) che però solo in piccola parte (117mila unità) hanno
trovato un’occupazione, mentre i restanti 612mila hanno ampliato la coorte dei
disoccupati.
Ad uscire dall’inattività sono stati soprattutto coloro i quali nelle precedenti rilevazioni
avevano dichiarato di non cercare un’occupazione in quanto pensionati o non
interessati a cercarne una per motivi di età. In questa categoria la flessione rispetto al II
trimestre del 2012 è stata di 487mila unità fra le donne e 188mila tra gli uomini. Per
quanto riguarda la componente femminile, in particolare, risulta in flessione anche il
numero delle inattive per motivi familiari (-181mila unità), mentre pesa ancora molto il
fattore scoraggiamento, che al saldo finale netto contribuisce in modo negativo,
aggiungendo 211mila donne alle inattive. Per gli uomini il fenomeno scoraggiamento si
conferma più limitato, portando tra gli inattivi solo 9 mila unità in più rispetto a un anno
prima.
Nel complesso in Italia il numero degli inattivi con un’età compresa tra i 15 e i 64 anni
rimane molto alto: 14,3 milioni pari più o meno alla popolazione di Belgio e Irlanda
insieme e ciò nonostante si tratta del valore più basso dal 2003. Tra gli inattivi italiani la
componente femminile continua a rappresentare la fetta più consistente (9,2 milioni
circa di persone), anche se il peso percentuale sul totale (al 64,4% nel II trimestre di
quest’anno) sta lentamente scendendo (era pari al 65,5% nel 2008 e al 68,7% nel
1994), valore più alto da quando sono disponibili le serie.
10
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o 2008
L'inattività per genere in Italia
(migliaia, dato non destagionalizzato)
18.000
16.000 14.288
14.000
12.000
10.000
8.000
6.000
4.000
2.000
0
T2-2012
1993
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
2011
femmine maschi
Fonte: elaborazione Servizio Studi BNL su dati Istat
In termini di età il contributo maggiore alla flessione (come è facile evincere dai motivi
dell’uscita dall’inattività) è arrivato dalla fascia di età più anziana, che presenta un
saldo negativo di 287mila unità. Tra i giovani con un’età compresa tra i 15-24 anni circa
155mila hanno fatto ingresso o ritorno nel mondo del lavoro (sia nella forma di occupati
che di disoccupati), mentre più marginale è risultato il contributo delle classi 44-55
anni. Nel complesso le due fasce di età più estreme spiegano poco più del 60% degli
inattivi 15-64 italiani; tuttavia mentre il peso dei più anziani è sceso dal 32,9% del 2004
al 30,1% di metà 2012, quello dei giovani nello stesso periodo è salito dal 27,5% al
30,2%. Il fenomeno è ovviamente speculare se si guarda al mondo degli attivi: negli
ultimi anni il tasso di attività è costantemente aumentato per la popolazione più
anziana, mentre è arretrato in quella giovane. Tra il 1993 e il II trimestre di quest’anno il
rapporto tra attivi 15-24enni e popolazione pari età è passato dal 46,4% al 33,6%
(recuperando lievemente dopo il 31,6% del I trimestre); nello stesso periodo per i 55-64
il tasso di attività è passato dal 47,8% al 53,7%.
Andamento del tasso di attività per giovani e
anziani in Italia
(valori %)
55
50
45
40
35
15-24 anni 55-64 anni
30
1993
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
2012
2011
Fonte: elaborazione Servizio Studi BNL su dati Istat
11
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o 2008
In generale, il tasso di attività italiano rimane strutturalmente basso nel confronto con i
principali partner europei. Esso si riduce sostanzialmente, ma rimane comunque
ampio, se si considera la parte più istruita della popolazione. A fine 2011 il gap in
campo maschile relativo al tasso di attività complessivo era pari a 9,4 punti percentuali
con la Germania, 1,7 con la Francia e 7,3 con la Spagna. Il divario si riduce, pur senza
estinguersi, se si considerano solo i laureati: 6,4 p.p. con la Germania, 1,6 con la
Francia e 4 con la Spagna. Ancora maggiore è la distanza che ci separa dagli altri
paesi in termini di attività femminile: in questo caso i punti di distanza con la Germania
sono più di 20, e si riducono a 8,8 se si considerano le laureate, il confronto con la
Francia ci lascia indietro di 14,7 punti, con le laureate distanti dalle cittadine francesi di
oltre 5 punti. Con la Spagna infine la differenza (pari a 15,5 punti percentuali nel
complesso) si attesta sui 7,7 punti per le laureate.
Tasso di attività maschile totale e tra i Tasso di attività femminile totale e tra i
laureati nel 2011 laureati nel 2011
(Valori %) (Valori %)
100 90 86,2
83,8 85,1
95 92,9 82,5 82,5
90,3 90,5 90,4 80 77,4
90 88,1
86,5
71,8
85 82,5 69,7
81,7 70 67,0
80,4 66,2
80 77,6 64,9
74,8
75 73,1 60
70 51,5
65 50
60
40
55
50 30
Ue 27 Germania Spagna Francia Italia Regno Unito Ue 27 Germania Spagna Francia Italia Regno Unito
Totali Laureati Totali Laureate
Fonte: elaborazione Servizio Studi BNL su dati Fonte: elaborazione Servizio Studi BNL su dati
Eurostat Eurostat
12
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o 2008
Rifiuti urbani: cresce il problema ma anche la capacità di
risposta
S. Carletti 06-47028440 – silvano.carletti@bnlmail.com
Il problema della gestione dei rifiuti urbani è destinato a diventare sempre più
importante. A livello globale, dieci anni fa se ne producevano annualmente 0,7
miliardi di tonnellate; attualmente se ne producono 1,3 miliardi di tonnellate; si
prevede che nel 2025 saranno 2,2 miliardi di tonnellate.
In Europa nel corso degli ultimi 15 anni il problema dei rifiuti ha registrato una
favorevole evoluzione. In primo luogo, la produzione procapite dopo essere
aumentata fino al 2002 si è successivamente stabilizzata, registrando una
contenuta diminuzione nella parte finale del periodo. In secondo luogo è mutato
profondamente il loro processo di trattamento: è fortemente diminuito il ricorso
alla discarica (-37%) mentre è parallelamente aumentato l’incenerimento con o
senza recupero di energia (+66%), il riciclaggio dei materiali (+163%) e il
compostaggio (+157%).
Anche nel caso dell’Italia si percepisce un’evoluzione favorevole ma la meta
(soprattutto quella conseguita dalle best practice) è ancora decisamente lontana.
La discarica continua a costituire la principale modalità di smaltimento dei rifiuti
urbani (49% nel 2010). Nel contempo, però, la raccolta differenziata ha raggiunto
il 35% (22% la componente secca, 13% la frazione organica avviata a
compostaggio), circa 2 punti percentuali in più rispetto all’anno prima e 10 in più
rispetto a cinque anni prima.
Quando si esamina la questione dei rifiuti è difficile stabilire se è maggiore la velocità di
crescita del problema o la velocità di sviluppo di efficaci procedure per una loro corretta
gestione.
Lo scenario mondiale
Un recente rapporto della Banca Mondiale1 si mostra piuttosto pessimista. Dieci anni fa
la popolazione urbana a livello globale raggiungeva i 2,9 miliardi e produceva
annualmente 0,7 miliardi di tonnellate di rifiuti (0,64 kg procapite al giorno); attualmente
la popolazione urbana mondiale è pari a circa 3 miliardi ma la produzione procapite di
rifiuti è quasi raddoppiata (1,2 kg) con un conseguente rilevantissimo aumento della
massa di rifiuti da gestire (1,3 miliardi di tonnellate l’anno). Da qui al 2025 il problema è
destinato ad aggravarsi ulteriormente sia per il forte incremento della popolazione
urbana (4,3 miliardi) sia per un ulteriore aumento della produzione procapite (1,4 kg):
nel complesso, i rifiuti per i quali si dovrà annualmente trovare una destinazione
saranno a metà del prossimo decennio pari a 2,2 miliardi di tonnellate.
La produzione di rifiuti varia in funzione del livello di reddito, del grado di
industrializzazione, del livello di urbanizzazione, fattori largamente correlati tra di loro. Il
residente in un grande centro urbano produce orientativamente il doppio dei rifiuti di un
residente in una zona rurale. Le differenze tra un’area geografica e l’altra e quelle
all’interno di una stessa area possono essere molto vistose: la produzione procapite
media nei paesi dell’Estremo Oriente e del Pacifico (tra essi la Cina) è inferiore a 1 kg,
meno della metà di quanto rilevabile per i paesi Ocse (2,2 kg); nella prima area i paesi
1
World Bank, What a waste. A Global Review of Solid Waste Management, luglio 2012
13
14. 8 ottobre 2012
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o 2008
si posizionano nell’intervallo 0,4 - 4,3 kg, nella seconda tra 1,1 e 3,7 kg. Tra 15 anni la
produzione giornaliera procapite risulterà aumentata del 50% nella prima area e
viceversa leggermente ridotta nell’area Ocse.
Il metodo più diffuso di eliminazione dei rifiuti è la discarica, assolutamente dominante
nei paesi a basso e medio reddito ma prevalente anche nei paesi industrializzati (42%).
In questi ultimi paesi, i rifiuti selezionati per il riciclo sono il 22% del totale, il 21% quelli
sottoposti a incenerimento (con o senza recupero di energia) mentre i rifiuti organici
oggetto di processi di compostaggio pesano per l’11%.
I dati per una valutazione economica dell’intera attività sono relativamente scarsi. Si
stima che a livello globale il costo annuo per la gestione dei rifiuti si aggiri intorno a
$200mld, importo destinato quasi a raddoppiare nel 2025. Il riciclaggio (così come il
recupero energetico) consente una copertura parziale di questa spesa: il recupero dei
metalli (400 milioni di tonnellate) e di carta e cartone (175 milioni di tonnellate) genera
ricavi per circa $30 mld. A spingere verso una più ampia azione di recupero dei
materiali e una più attenta gestione dei rifiuti è però soprattutto l’opportunità di evitare
significative diseconomie esterne (dal deturpamento del territorio, all’emissione di gas
serra, etc) e di accrescere la disponibilità di un ampio spettro di materiali. In un’ottica
puramente contabile, salvo alcune limitate eccezioni il riciclaggio non sembra ancora
un’attività in grado di autofinanziarsi2.
Considerando l’attività di riciclaggio il rapporto della Banca Mondiale segnala due
importanti tendenze. La prima è costituita dal suo graduale assumere un carattere
globale: una larga parte del riciclo dei materiali raccolti a Buenos Aires avviene in Cina;
il prezzo d’acquisto della carta da macero in Cina condiziona l’andamento della
raccolta in gran parte del mondo; etc. In secondo luogo, è aumentata la volatilità della
quotazione mondiale dei materiali ricavati dai processi di riciclo, un’evidente
complicazione per lo sviluppo di questa attività (il livello di sofisticazione di questi
mercati è ancora modesto e di conseguenza limitata la possibilità di copertura da
variazioni di prezzo).
La Cina è diventata nel 2004 il primo paese al mondo per produzione di rifiuti; nel 2030
ne potrebbe produrre un ammontare annuo doppio rispetto agli Stati Uniti, il
precedente paese leader; la gestione di questa enorme massa di materiale è piuttosto
rozza (larga diffusione di discariche incontrollate); negli anni più recenti la Cina
(unitamente ai paesi del Sud Est Asiatico) è divenuta il principale mercato
d’esportazione di materiali recuperati (elevato fabbisogno di materie prime, minore
costo della mano d’opera, normativa ambientale meno vincolante).
Il quadro europeo
Nel corso degli ultimi 15 anni (1995-2010) il problema dei rifiuti ha registrato in Europa
una favorevole evoluzione. In primo luogo, la produzione procapite dopo essere
aumentata fino al 2002 si è successivamente stabilizzata, con una contenuta
diminuzione nella parte finale del periodo: dai 474 kg annui del 1995 si è saliti fino ai
526 kg del 2002 per scendere a 506 kg nell’ultimo biennio. Il profilo temporale per
l’eurozona è ovviamente simile a quello della Ue27 ma su livelli più elevati: dai 508 kg
annui procapite del 1995 si sale fino ai 567 kg del 2002 e si scende a 546 kg nell’ultimo
biennio. Le differenze tra i paesi europei sono molto ampie. Prendendo come
riferimento gli ultimi anni, in Danimarca, Cipro e Svizzera la produzione annua di rifiuti
2
Rispetto alla lavorazione della materia prima, il risparmio energetico consentito dalle materie prime
seconde (quelle risultato di un attività di recupero) è massimo nel caso dell’alluminio (95%) e della plastica
(70%), più limitato (40% in quello della carta).
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procapite si aggira intorno ai 700 kg; Repubblica Ceca, Estonia, Lettonia, Polonia e
Slovacchia sono all’altro estremo della distribuzione con valori inferiori a 350 kg.
Secondo i dati Eurostat, l’Italia muovendo da valori (454 kg nel 1995) inferiori a quelli
medi europei, sale ininterrottamente per un decennio fino a raggiungere il massimo nel
2006 (552 kg), livello da cui ridiscende limitatamente negli anni più vicini (532 kg). Il
dato per l’ultimo biennio è simile a quello di Francia e Spagna mentre è sensibilmente
inferiore a quello della Germania (588 kg).
Produzione di rifiuti in Europa
(kg procapite)
Fonte: Eurostat
La seconda novità prodottasi a livello europeo negli ultimi 15 anni è il ben più evoluto
sistema di trattamento dei rifiuti. A livello Ue27 è fortemente diminuito il ricorso alla
discarica (-37%) mentre è parallelamente aumentato l’incenerimento con o senza
recupero di energia (+66%), il riciclaggio dei materiali (+163%) e il compostaggio
+157%). Sul totale dei rifiuti prodotti, la quota di quelli conferiti in discarica è diminuita
tra il 1995 e il 2010 di 30 punti percentuali (al 37%), mentre sono aumentate di 7 pp
quella dei rifiuti sottoposti a incenerimento (al 22%), di 14 pp quella del recupero e
riciclo dei materiali (al 24%), di 8 pp quella del compostaggio (al 14%).
Alla riduzione del ruolo della discarica ha contribuito fortemente il legislatore europeo,
in particolare con la direttiva del 1994 che regola la gestione degli imballaggi e dei rifiuti
di imballaggio e con la direttiva del 1999 che ha indicato la discarica come idonea solo
per i materiali a basso contenuto di carbonio organico e per i materiali non riciclabili,
imponendo altresì un graduale divieto allo sversamento di rifiuti biodegradabili3. In
alcuni paesi (Svizzera, Germania, Paesi Bassi, Svezia, Austria, Danimarca, Belgio)
l’adozione di ulteriori disposizioni ha ridotto il ricorso alla discarica a meno del 5%. In
Italia (-39 punti percentuali rispetto al 1995), Regno Unito (-34 pp), Spagna (-26 pp) il
ruolo della discarica risulta fortemente diminuito ma rimane ancora quello dominante
(nel 2010, prossimo o superiore al 50%). La Francia è in una posizione intermedia (al
31%, -14pp).
3
Nel luglio 2016 l’ammontare massimo di rifiuti biodegradabili conferiti in discarica non dovrà superare il
35% dell’ammontare rilevato nel 1995.
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Con una certa frequenza la drastica riduzione del ricorso alla discarica si accompagna
ad un più ampio ruolo degli inceneritori: il dato procapite di Danimarca, Svizzera,
Norvegia, Svezia, Germania, Olanda è due-tre volte quello medio della Ue27 (108 kg).
I paesi che hanno più limitato l’uso della discarica sono spesso (ma non sempre)
anche quelli che più hanno sviluppato l’attività di recupero e riciclo dei materiali:
rispetto ai 121 kg rilevati in media per Ue27, Germania e Svizzera sono (2010)
largamente sopra quota 200; Italia (105 kg), Francia (95 kg) e Spagna (81 kg)
sensibilmente al di sotto.
Modalità di smaltimento dei rifiuti in Italia e nella Ue27
(quote %; 2010)
60
50
Ue27 Italia
40
30
20
10
0
Discarica Incenerimento Riciclaggio Compostaggio
Fonte: Rapporto Rifiuti Urbani 2012
La situazione italiana
La valutazione della situazione italiana si prospetta difficile: si percepisce un’evoluzione
favorevole ma al tempo stesso la meta (soprattutto quella conseguita dalle best
practice) è ancora decisamente lontana.
Anche se il loro numero risulta in diminuzione (quelle attive sono poco più di 200) le
discariche continuano a costituire in Italia la principale modalità di smaltimento dei rifiuti
urbani (49% nel 2010), in un certo numero di casi ancora non sono a norma per il
mancato pre-trattamento. Pur risultando largamente insufficiente (11 punti percentuali
sopra la media della Ue27, quasi 20 sopra il dato medio dell’eurozona), il consuntivo
del 2010 migliora di 6 e 19 punti percentuali il dato, rispettivamente, di 5 e 10 anni
prima. In alcune regioni, però, negli ultimi 15 anni la situazione non è sostanzialmente
cambiata (Molise, Basilicata sono oltre l’80%, la Sicilia oltre il 90%).
La raccolta differenziata ha nel contempo raggiunto il 35% (22% la componente secca,
13% la frazione organica avviata a compostaggio), circa 2 punti percentuali in più
rispetto all’anno prima e circa 10 in più rispetto a cinque anni prima. Si è così raggiunto
con quattro anni di ritardo l’obiettivo che la normativa italiana (Dlgs 152/2006) aveva
fissato per il 31 dicembre 2006. Il Nord (49%) è quasi in linea con la scansione prevista
degli obiettivi (almeno il 50% entro il 31 dicembre 2009); le altre due aree denunciano,
invece, un ritardo molto rilevante (Centro al 27%, Sud al 21%). Tuttavia, è da
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segnalare che il 45% dell’incremento della raccolta differenziata registrato nell’ultimo
biennio in Italia è il risultato di una più intensa attività al Sud.
Nel 2010, la quantità di rifiuti di imballaggio complessivamente recuperata ha superato
8,5 milioni di tonnellate, con un incremento rispetto al 2009 del 6% (491mila
tonnellate). Rispetto a quanto immesso al consumo, la quota degli imballaggi
recuperati risulta salita al 76,8%, 2,2 punti percentuali in più rispetto al 2009. L’86% del
recupero complessivo si traduce in recupero del materiale; per il restante 14%, invece,
si tratta di recupero energetico. Per alcune tipologie di rifiuti (vetro e acciaio) il recupero
è integralmente recupero del materiale.
In definitiva, posto pari a 100 quanto annualmente immesso al consumo, nel 2010 il
66% (quota in crescita) dei rifiuti da imballaggio è stata riciclata con recupero di
materiale, quasi l’11% (quota stabile) ha consentito un recupero energetico, il restante
23% è finito in discarica. Nel caso degli imballaggi gli obiettivi di recupero e riciclaggio
stabiliti dalla legislazione europea, nonché quelli fissati dalla legislazione nazionale,
risultano già da tempo raggiunti.
La carta costituisce la voce principale della raccolta differenziata (44% del totale di
quanto viene recuperato) e al tempo stesso la materia per la quale più alta è la
percentuale di recupero (89% di quanto immesso al consumo durante l’anno rispetto al
70% del vetro, al 78% dell’alluminio, al 74% della plastica). Una quota significativa
(24%) del riciclaggio della carta avviene all’estero, un fenomeno quasi assente per gli
altri materiali.
Una larga parte (il 47%) del circuito di recupero degli imballaggi è gestito dal CONAI
(Consorzio Nazionale Imballaggi) cui aderiscono quasi 1,5 milioni di imprese. Il
consorzio si finanzia raccogliendo dalle imprese produttrici un contributo ambientale,
che varia in relazione al materiale d’imballaggio. Questo contributo ambientale, diverso
per ciascun materiale, varia in funzione delle condizioni dei singoli mercati e proprio
recentemente è stato significativamente diminuito4. Ad eccezione di una limitata
percentuale (3,4% nel 2010) destinata a pagare i costi di funzionamento del consorzio,
quanto incassato viene indirizzato ai cosiddetti consorzi di filiera (uno per materiale)
che a loro volta lo utilizzano per pagare i costi di raccolta o per rimborsare i costi
sostenuti da altri per la raccolta. Il CONAI ha da tempo stipulato con l’ANCI
(Associazione Nazionale dei Comuni Italiani) un accordo quadro per favorire la crescita
differenziata dei rifiuti di imballaggio. Agli oltre 7000 comuni che hanno sottoscritto la
convenzione viene riconosciuto un corrispettivo economico in funzione della quantità e
della qualità dei rifiuti d’imballaggio raccolti, di origine domestica.
4
Nel luglio scorso il CONAI ha deliberato una riduzione di tale contributo a partire dall’1 ottobre 2012.
Quello per la carta è stato ridotto del 29% (a 10 euro/tonnellata), quello della plastica dell’8% (a 110
euro/tonnellata), quello per l’acciaio del 16% (a 26 euro/tonnellata).
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Un cruscotto della congiuntura: alcuni indicatori
Indice Itraxx Eu Financial Indice Vix
400
350 60
300
50
250
200 40
150 30
100
Index Itraxx EU Financial Sector
20
50
0 10
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mar-12
apr-11
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Fonte: Thomson Reuters Fonte: Thomson Reuters
I premi al rischio scendono a 200 pb a 217 pb L’indice Vix rimane a 15.
della scorsa settimana.
Cambio euro/dollaro e quotazioni Brent Prezzo dell’oro
(Usd per barile) (Usd l’oncia)
2.000
130 1,5
125 1.900
1,45
120 1.800
1,4
115 1.700
1,35
110
1,3 1.600
105
1,25 1.500
100
95 Brent scala sin.(in Usd) 1,2 1.400
Cambio euro/dollaro sc.ds.
90 1,15 1.300
1.200
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ago-11
Fonte: Thomson Reuters Fonte: Thomson Reuters
Il tasso di cambio €/$ si muove intorno a 1,29. Il Il prezzo dell’oro si avvicina a 1.780 dollari
petrolio di qualità Brent quota 109$ al barile. l’oncia.
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