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LICEO SCIENTIFICO ‟GALILEO GALILEI”
MODULO INTERDISCIPLINARE “I DIVERSI LINGUAGGI DELLA COMUNICAZIONE”
CLASSE II B
STORIA E GEOGRAFIA
LINGUAGGI E FORME DELLA
PROPAGANDA E DELLA
COMUNICAZIONE POLITICA
NELL’ETÀ ROMANA E
ALTOMEDIEVALE.
LA PROPAGANDA
AUGUSTEA
A CURA DI: SCUDERI MYRIAM – MARINO ALESSIA – TERSICORE
LUDOVICA
COS'È LA PROPAGANDA?
La propaganda è un'azione volta a influire sull'opinione pubblica
attraverso la diffusione di idee, dottrine politiche, sociali e religiose.
La propaganda usufruisce di tecniche comunicative, mass media e
linguaggi diversi.
CESARE OTTAVIANO AUGUSTO
Augusto salito al potere nel 31 a.C., creò un nuovo
modello istituzionale, il principato, che sarebbe durato
fino alla sua morte avvenuta nel 14 d.C. Egli ottenne il
consenso di gran parte della popolazione,
presentandosi come il custode della concordia civile
all'interno dello Stato e il garante di un periodo di pace.
L'assunzione, da parte di Ottaviano, di poteri via via
maggiori fu però un processo graduale.
CESARE OTTAVIANO AUGUSTO
Per assicurarsi il comando militare, tra il 31 e il 23 a.C. egli
si fece eleggere console in questo modo ottenne la guida
delle legioni, che gli garantì il controllo diretto su tutti i
territori romani.
A partire dal 29 a.C. Ottaviano divenne censore ottenendo
così il potere di intervenire personalmente sulle nomine o
sulla rimozione dei senatori.
Nel 28 a.C. si fece nominare principe dei senatori per non
apparire come monarca, ma soltanto come il primo di
cittadini tra loro uguali. Questo titolo nascondeva in realtà
un controllo diretto sul senato: in quanto princeps, egli
poteva votare per primo ogni proposta di legge esaminata
dall' assemblea, influenzando così le scelte.
CESARE OTTAVIANO AUGUSTO
Nel 27 a.C. fu proclamato dal senato Augusto, "venerabile",
un titolo che conferiva alla sua persona un carattere sacro.
Nel 23 a.C. Ottaviano Augusto abbandonò il titolo di
console per diventare proconsole, in questo modo estese il
suo controllo militare.
Nel 12 a.C. assunse anche il titolo di pontefice massimo
diventando la suprema autorità religiosa e presiedendo ai
culti e alle cerimonie sacre.
LA PROPAGANDA AUGUSTEA
Augusto lasciò un'impronta della sua grandezza nella
cultura e nell'arte. Attraverso queste cercò di diffondere
sua ideologia politica. Attraverso la costruzione di opere
pubbliche cercò di far rivivere certi antichi valori come
quelli del "mos maiorum", cercando di porre un freno
all'immoralità dei costumi, rafforzando l'stituzione della
famiglia.
LA PROPAGANDA AUGUSTEA
Augusto incoraggiò con apposite leggi il ritorno alla terre,
inoltre, consapevole che il rispetto di questi principi del
mos maiorum, dovesse essere a fondamento del suo
regime, divenne protettore della famiglia. Per volontà di
Augusto anche la moglie, ufficializzando le sue intenzioni
di fronte ad alcuni testimoni, ebbe il diritto di
abbandonare il marito e di ottenere la restituzione della
dote.
Augusto indirizzò la sua attenzione verso
la letteratura; fu amico di poeti con i quali
ebbe contatti attraverso i circoli culturali.
Affidò il compito di organizzare e
promuovere l’attività letteraria ad uno dei
suoi più fidati collaboratori, Gaio Cilnio
Mecenate, che costituì un circolo culturale
di cui facevano parte Virgilio, Orazio e
Properzio. Poeti quali Tibullo e Ovidio
appartenevano, invece, al circolo di
Messalla Corvino. Augusto non s'interessò
solo di poesia, arte, ma anche di teatro,
poiché pensava che l'arte potesse essere
mezzo di diffusione del suo programma
politico e di unificazione del corpo civico.
Per dare lavoro alla plebe di Roma,
l’imperatore ordinò la costruzione di
grandiosi monumenti ed edifici di pubblica
utilità finalizzati alla celebrazione del
princeps.
La sua vastissima opera di ricostruzione e
riorganizzazione portò al consolidamento
e alla diffusione della pax augustea, pace
della quale tutti beneficiarono.
AUGUSTO DI PRIMA PORTA
E' probabile che Tiberio, figliastro di Augusto, abbia fatto
commissionare una statua che ritraeva il patrigno e che
l'abbia regalata alla madre Livia. Questo spiegherebbe
perché la statua è stata rinvenuta nella villa di Livia a
Prima Porta, e spiegherebbe anche le raffigurazioni
sull'armatura; la figura indossa la corazza che è decorata
riccamente, al di sotto della quale porta la tunica corta
militare.
AUGUSTO DI PRIMA PORTA
Il paludamentum, mantello che insieme al parazonium era
il simbolo del generale romano quando comandava un
esercito, gli avvolge i fianchi, ricadendo mollemente sulla
mano sinistra, con un panneggio particolarmente
elaborato. Nella stessa mano impugna la lancia. Sulla
gamba destra è riportato un bambino: Eros, a cavallo di un
delfino. Eros era figlio di Venere e il delfino è un omaggio
a Venere, simboleggia infatti la nascita della dea avvenuta
dall'acqua. Infatti Augusto apparteneva alla gens Iulia, che
si riteneva discendere da Venere.
AUGUSTO DI PRIMA PORTA
L'imperatore è ritratto, almeno nel volto,
nelle sue reali fattezze, anche se
idealizzate.
Augusto mostra un volto sereno, con la
mano sinistra stringe la lancia mentre con
la destra chiede silenzio prima di iniziare
il suo discorso all'esercito. La sua
sicurezza è tale che avrebbe scoraggiato
qualsiasi oppositore.
La statua trasmette un chiaro messaggio
di equilibrio e di stabilità: qualità
assolutamente necessarie per reggere le
sorti di un impero.
L’ARA PACIS
A CURA DI: NICOLOSI DARIO – PELLEGRINO ANTONIO – GIUFFRIDA ANGELO
INTRODUZIONE
La politica di propaganda di Augusto
era volta ad assicurarsi il consenso del
popolo romano attraverso varie
direttrici: la letteratura, la scultura,
l’architettura, la numismatica. La
propaganda doveva mettere in risalto
due aspetti: Augusto portatore di pace
e restauratore della repubblica e degli
antichi mores maiorum.
Nell’ambito letterario sicuramente noto
è il Circolo di Mecenate. Tuttavia, non
si è limitato a circondarsi di artisti, egli
ha scritto un'opera che può essere
definita autocelebrativa: le Res Gestae
Divi Augusti.
Egli si presenta come prosecutore della
repubblica, sottolineando il fatto di aver
rivestito le più importanti cariche del cursus
honorum. Ma si tratta di una mistificazione,
poiché assumere contemporaneamente e
per molteplici anni più magistrature
significava annullare il sistema del controllo
reciproco e di rotazione annuale, proprio per
evitare che si instaurasse un potere
personale e assoluto. È pur vero che ha
messo fine a decenni di guerre civili,
garantendo pace e prosperità a Roma. Ed è
proprio su questo punto che Augusto
focalizza la propaganda, la Pax Augusta, (di
cui si fa portavoce Virgilio nell’Eneide).
L’ARA PACIS
L'Ara Pacis Augustae (Altare della pace augustea) è un altare dedicato
da Augusto, nel 9 a.C., alla Pace nella sua accezione di divinità, e
originariamente posto in una zona del Campo marzio consacrata alla
celebrazione delle vittorie, luogo emblematico perché posto a un miglio
romano (1.472 m) dal pomerium, limite della città dove il console di
ritorno da una spedizione militare perdeva i poteri ad essa relativi
(imperium militiae) e rientrava in possesso dei propri poteri civili
(imperium domi). Questo monumento rappresenta una delle più
significative testimonianze arrivate a noi della propaganda augustea ed
intende simboleggiare la pace e la prosperità raggiunte come risultato
della Pax Romana.
L’ARA PACIS
Il 4 luglio del 13 a.C., il Senato decise la costruzione di un altare dedicato a
tale raggiungimento in occasione del ritorno di Augusto da una spedizione
pacificatrice di tre anni in Spagna e nella Gallia meridionale. La dedica, cioè
la cerimonia di consacrazione solenne, non ebbe però luogo fino al 30
gennaio del 9 a.C. Essendo stata edificata a poche centinaia di metri dal
fiume Tevere (non dove sorge attualmente, ma dove si trova adesso Palazzo
Fiano-Peretti-Almagià), l'Ara Pacis fu fin da subito, già nel II secolo d.C.,
soggetta a danni causati dall'acqua e dall'umidità, tanto che ben presto molte
sue parti ne risultarono rotte o separate dal corpo principale; il livello del
terreno nella zona si alzò notevolmente a causa dell'apporto di materiale da
parte del vicino fiume, e l'ara dovette essere circondata da un muro di mattoni
per proteggerla dall'assalto del limo e della sabbia, poiché ormai già
sporgeva dal terreno solo a partire dai fregi figurati.
IL CIRCOLO DI MECENATE
Caio Cilnio Mecenate è nato ad Arezzo il 15 aprile del 70 a.C., lo
stesso anno in cui nacque Virgilio. Fu il più prezioso collaboratore di
Ottaviano Augusto. A lui l’imperatore affidò il compito di costruire il
consenso di letterati e poeti attorno all’ideologia del principato.
Sensibile, fine e generoso nei rapporti con i poeti e letterati, Mecenate
organizzò il suo circolo chiamandone a farne parte gli spiriti migliori del
tempo. Essi cantarono e descrissero l’età augustea come un periodo di
pace, di prosperità, di ritorno ai valori fondamentali della civiltà romana,
tanto per citare i temi più importanti che furono alla base di opere
altissime, come le Odi di Orazio, le Georgiche, le Bucoliche e l’Eneide
di Virgilio.
IL CIRCOLO DI MECENATE
Nel brano che segue, tratto dalle Odi, il poeta Orazio esalta la figura del principe
come restauratore della pace e dell’ ordine.
«La tua era Cesare, ha restituito ai campi le pingui messi, e al nostro Giove le insegne strappate
ai superbi battenti dei Parti, e chiuso, libero da guerre, il tempio di giano Quirino, e imposto
Giusto ordine, a freno di una debordata licenza, e spazzato via i crimini, e resuscitato le regole
antiche del vivere, per cui il nome latino l’Itale forze crebbero, e la forma e la maestà dell’impero
spaziò da dove sorge il sole sino a dove riposa. Finché Cesare vegli sullo Stato, non furore civile
o violenza distruggeranno la pace, né l’ira che forgia le spade e inimica le sventurate città. Non
coloro che bevono al profondo Danubio, non i Geti spazzeranno gli editti giulii, non i seri e i
malfidi persiani, non quelli che nacquero presso il fiume Tanai. Noi nei giorni di lavoro e nei festivi
fra i doni del gioioso libero, con i figli e le nostre spose, invocati prima ritualmente gli dei, secondo
l’uso dei padri, mischiando il canto ai flauti lidii, i condottieri che hanno compiuto valorose gesta,
e Troia e Anchise e la progenie dell’alma Venere canteremo».
RES GESTAE DIVI AUGUSTI
A CURA DI: DI MAURO DAVIDE – COLALEO FRANCESCO – SAPIOLI STEFANO
INTRODUZIONE
Le Res Gestae Divi Augusti sono una delle fonti
epigrafiche più importanti dell’antichità. Essa e’
anche nota con il nome di Monumentum
Anciranum, in quanto rinvenuta proprio nell’antica
città di Ancyra, oggi Ankara, in Turchia.
Tutto il documento racconta in stile trionfalistico gli
“Le imprese del Divino Augusto” che egli compì
durante la sua lunga carriera politica ( dal 31 a.C. al
14 d.C.). È stata scritta dallo stesso Augusto prima
della sua morte. Nel testo si ripercorrono le tappe
della una rivoluzione compiuta dal Princeps che,
dopo aver posto fine alle guerre civili ed esterne,
creò le condizioni di una pace perpetua tra diverse
etnie.
IL RITROVAMENTO
Il testo ci è giunto inciso, in lingua latina e in
traduzione greca, sulle pareti del tempio di
Augusto e della dea Roma situato ad Ancyra
(attuale Ankara in Turchia).
Oltre al testo trovato ad Ancyra, si conoscono
copie epigrafiche frammentarie provenienti da
Antiochia e da Apollonia località entrambe a non
molta distanza da Ankara.
COMPOSIZIONE
Il testo è composto da un’introduzione, 35
paragrafi, raggruppabili in 3 paragrafi e
un’appendice.
Pars prima (parr. 1-14): essa descrive la
carriera politica di Augusto, il suo cursus
honorum, le cariche, uffici e onori che egli ha
ricevuto o dato.
Pars altera (parr. 15-24): è il racconto, o
meglio, l’inno all’uomo generoso. In questa
sezione si descrivono le spese sostenute da
Augusto con risorse attinte direttamente dal suo
patrimonio privato. Le spese effettuate per la
costruzione o il restauro di edifici pubblici,
templi, acquedotti, strade e ponti.
COMPOSIZIONE
Pars tertia (parr. 25 a 35): è la parte riservata alla narrazione
delle sue imprese, prima fra tutte la lotta contro i pirati, quindi la
guerra civile, e le campagne militari in Gallia, Spagna,
Germania ed Egitto. Il piu’ importante e’ il capitolo 34 dove è
riportata la storia della nascita del principato e vi sono elencati
tutti i titoli e gli onori a lui conferiti. Il capitolo 35 rappresenta
invece la chiusura delle Res Gestae Divi Augusti con la celebre
frase che indica il periodo storico in cui l’Imperatore redasse
l’opera, ovvero: “scrissi questo all’età di 76 anni”.
Appendix: non fu probabilmente scritta per mano di Augusto e
riassume le spese sostenute da Augusto per i monumenti per i
giochi e per far fronte a diverse calamità naturali. Illuminante
l’ultima frase cui si citano le spese sostenute per amici e
senatori, caduti tanto in disgrazia da non avere più il censo
richiesto per far parte del senato. La quantità di denaro spesa fu
innumerabilis, ovvero, non conteggiabile.
Copia moderna delle Res gestae
scolpita nel retro del Museo
dell’Ara Pacis a Roma
LA COLONNA TRAIANA
A CURA DI: TERSICORE VITTORIA – PORTO GABRIELE - TERSICORE
MARTINA
IL CONTESTO STORICO
Traiano (98-117d.C.) fu il primo imperatore romano originario di
una provincia, egli infatti, era nato in Spagna da una famiglia
nobile di origine Italica. Traiano proseguì la politica d’accordo
con il sanato iniziata da Nerva e grazie al suo atteggiamento
tollerante riuscì ad avere il consenso di tutti i ceti sociali. Egli
creò anche degli appositi fondi di assistenza per dare aiuto ai
nullatenenti. Promuovendo la diffusione della cultura romana
nelle provincie, si rafforzò l’unità e la compattezza dell’impero. I
maggiori successi di Traiano riguardarono per di più la politica
estera: la ripresa dell’espansione territoriale che portò alla
conquista di nuove terre in Europa e in Oriente. Tra il 101 e il
117 d.C. conquistò moltissimi territori come la Dacia, l’Arabia e
nuove provincie della Mesopotamia e dell’Armenia. La sua
avanzata terminò nel 117 a causa delle ribellioni delle comunità
ebraiche e in quello stesso anno morì.
LA COLONNA TRAIANA
Traiano combatté e sconfisse le popolazioni germaniche, portando
l’impero romano alla sua massima estensione. L’operazione militare
per cui il suo nome è rimasto inciso nella storia, è su tutte la
conquista della Dacia fra il 101 e il 106 d.C. I daci erano una
popolazione nomade, diventata poi stabile, che viveva nella zona a
nord del Danubio, dove ora sorge la Romania. In memoria di questa
grande impresa fu scolpito a Roma la Colonna Traiana, situata nel
Foro Traiano, all'interno del Foro Romano, con lo scopo di celebrare
è di raccontare tutte le imprese dell'imperatore. In tutte le
scene Traiano appare sempre come generale deciso, carismatico e
adulatore. Nella colonna di Traiano, architettonicamente molto simile
a quella di Marco Aurelio, vi sono alcune particolarità, la prima tra
tutte è la prevalenza delle scene di pace dei soldati romani in Dacia,
rispetto a quelle di guerra. Tra le scene narrate in modo attento e
scrupoloso è possibile vedere fotogrammi di soldati romani che
oltrepassano il Danubio, Traiano che celebra sacrifici rituali oppure
che si rivolge alle truppe. E ancora le battaglie e la vittoria sugli
avversari.
CONFRONTO TRA LA COLONNA TRAIANA E
LA COLONNA DI MARCO AURELIO
Colonna traiana
Raffigura la conquista di Traiano
della Dacia 101-105 d.C.
Colonna di Marco Aurelio
Raffigura le vittorie di Marco
Aurelio tra il 172-175 in due
campagne militari distinte contro i
Surmati, i Quadi e i Marcomanni
29
CONFRONTO TRA LA COLONNA
TRAIANA E LA COLONNA DI MARCO
AURELIO
Dal punto di vista stilistico è possibile fare delle
considerazioni: la colonna Aureliana risente molto di una
certa ansia propagandistica, che comporta la trascuratezza di
elementi ambientali a vantaggio di elementi esaltanti la
presenza imperiale.
30
LE MONETE
A CURA DI: PICONE MARISA – LO PRESTI ANNA – MILIA MARTINA
Sin dai primi giorni della
leggenda di Roma, dalla sua
fondazione, il metallo era
valutato a peso e
rappresentava lo strumento
di scambio da utilizzare nel
commercio in sostituzione
dell’usanza del tempo: il
baratto. Le monete romane
cominciarono ad entrare
nella società solo nella fase
repubblicana. Esse furono
non solo strumento
necessario allo sviluppo del
commercio ma anche
strumento di propaganda.
LA COMPOSIZIONE DELLE MONETE
In età imperiale ogni moneta recava un messaggio mediante
una effige, solitamente dell’imperatore rappresentato come
eroe guerriero con elmo e corazza o generale vittorioso con il
capo coronato d’alloro o, ancora, coronato di raggi, immagine
personificata del dio Sole. Sul lato opposto erano raffigurati
simboli propagandistici, come ad ad esempio un soldato
romano vittorioso che schiacciava a terra un barbaro, e
campeggiavano scritte che erano veri e propri slogan in cui si
esponeva la propaganda imperiale. Furono molti gli imperatori
a coniare le monete, tra questi Costantino.
COSTANTINO E LE MONETE
Costantino è stato imperatore dal 306 alla sua morte. Egli
riformò largamente l’Impero romano. A lui si deve la fine
ufficiale delle persecuzioni cristiane e la conseguente
diffusione del cristianesimo. Costantino regnò 31 anni e
fece coniare più di 2600 monete diverse, anche se
spesso le differenze erano minime e gli slogan più
importanti si ripetevano su centinaia di tipi. Nei periodi in
cui l’imperatore era impegnato a combattere i barbari le
monete informavano i sudditi delle gloriose imprese
compiute dall’esercito, e soprattutto delle ininterrotte
vittorie del sovrano. Alcuni degli slogan impressi nelle
monete erano: «gloria exercitus», « virtus militum» o
«ubique victores» e «victor omnium gentium».
Nei periodi in cui non c’erano guerre
l’imperatore si prendeva il merito della
pace di cui godevano i sudditi, infatti sulle
monete erano impressi slogan come
«beata tranquillitas» e «paci perpetuae».
Costantino durante la sua vita volle
assicurarsi che i suoi figli ereditassero il
trono quindi le zecche cominciarono a
battere monete con il loro volto e il loro
nome per renderli familiari ai sudditi.
Quando Costantino fece giustiziare suo
figlio Crispo accusato di complotto contro
di lui, il suo volto e il suo nome non
vennero più rappresentati nelle monete di
nuova coniazione pur continuando però a
circolare sulle vecchie monete che non
potevano essere ritirate tutte.
GLI EDITTI DI MILANO E DI
TESSALONICA
A CURA DI: CAVALLARO ANITA – CAVALLARO ESTER – GUARNACCIA DESIREÉ
L’EDITTO DI MILANO
Il 13 giugno del 313 Costantino, Augusto d’Occidente, e Licinio, Augusto
d’Oriente, promulgarono l’Editto di Milano. L’editto di Milano concedeva a
tutti gli abitanti dell’Impero, e quindi anche ai cristiani, la libertà di professare
liberamente la propria fede. Alle comunità cristiane vennero restituiti i luoghi
di culto e i beni che erano stati in precedenza espropriati. L’editto di Milano
aprì un’epoca nuova nei rapporti tra potere imperiale e chiesa. Nel corso
degli anni infatti molti cristiani entrarono a far parte dell’amministrazione
imperiale e l’imperatore concesse numerosi privilegi alle loro comunità,
come l’immunità fiscale per tutti i beni e per tutti i membri del clero. Allo
stesso tempo, concesse la possibilità di ricorrere ai tribunali ecclesiastici per
dirimere alcune questioni di carattere legale. I tribunali ecclesiastici vennero
così di fatto equiparati a quelli civili. Furono inoltre incentivate, anche da
parte della famiglia imperiale, le donazioni alla chiesa.
L’avvicinamento di Costantino al cristianesimo ebbe, forse, ragioni più
che altro politiche. L’imperatore aveva compreso che la chiesa cristiana
si stava avviando a diventare una grande forza sociale e organizzativa,
che poteva utilmente contribuire al rafforzamento dello stato che lui
stesso perseguiva.
A seguito dell’editto si cominciò a parlare di "pace di Costantino”. Si trattò
probabilemte di abile mossa di propaganda della cancelleria imperiale
che promosse l’idea che la pace religiosa determinasse la pace civile. Il
nuovo ordine creato da Costantino sarà presto organizzato intorno al
cristianesimo. Infatti, se l'editto stabilisce un'autentica libertà di culto, è
difficile parlare di "libertà di coscienza" nel senso contemporaneo
della parola. Sarebbe più appropriato infatti parlare di tolleranza.
EDITTO DI TESSALONICA
Il 27 febbraio 380 venne reso noto l’Editto di Tessalonica, conosciuto anche
come Cunctos populos, promulgato dagli imperatori Graziano, Valentiniano II
e Teodosio, con il quale il Cristianesimo diventò la sola religione accettata
nell’Impero. Il Cristianesimo, secondo i canoni del Credo niceno, diventava,
così, religione di Stato, mentre coloro che non avessero aderito ad essa
sarebbero stati considerati «eretici» e perseguiti. Nella Chiesa erano che
aumentate le eresie, specialmente sui temi cristologici e ciò aveva creato un
clima che spesso sfociava in vere e proprie violenze. Mentre in Occidente
prevalevano i seguaci dell’ortodossia come stabilita dal Credo Niceno, in
Oriente era ancora molto diffuso l’Arianesimo. Con l’avvento di Teodosio, di
fede nicena, nella parte orientale le cose cambiarono radicalmente. Questi,
infatti, insieme agli imperatori occidentali Graziano e Valentiniano II, diede
inizio ad una decisa lotta contro l’arianesimo.
L’ultima parte dell’Editto conteneva la condanna degli eretici e
l’annuncio di nuove misure per combatterli. Il termine di Chiesa
sarebbe stato attribuito solo a quella cristiana cattolica, mentre le
altre comunità di credenti sarebbero state considerate, non solo fuori
dalla legge divina, ma anche da quella dell’Impero. Il Cristianesimo,
diventando religione di Stato, avrebbe usufruito, in futuro, dei mezzi
repressivi dell'autorità statale. Il testo dell’editto, preparato dalla
cancelleria di Teodosio, riaffermava la validità del Credo niceno
contro ogni forma di eresia e riconosceva alle sedi episcopali di
Roma e Alessandria di Egitto un vero e proprio primato in materia di
fede. Possiamo dire che Teodosio tentava di diffondere l’idea che
l’arianesimo non andava professato insieme ai culti pagani.
LA TETRARCHIA
A CURA DI: RACITI ANGELICA – STURNIOLO SIMONE – GUGLIELMINO GRETA
INTRODUZIONE
La tetrarchia (dal greco tetra
“quattro”) nacque nel 286 d.C. con
l’imperatore Diocleziano.
Egli decise di dividere l’imperò in 4
parti allo scopo di migliorarne il
controllo e l’amministrazione.
I due augusti erano Diocleziano, e
Massimiano; i cesari, invece,
Galerio e Costanzo Cloro.
Diocleziano fu un imperatore
autoritario, che impose al popolo
la divinizzazione di se stesso. Egli
stesso decise di non essere più il
magistrato dello stato ma un vero
e proprio monarca.
LA TETRARCHIA E DIOCLEZIANO
Uno degli scopi
fondamentali della divisione
dell’impero fu il controllo
diretto ed efficace dei
confini da parte di ogni
tetrarca.
IL MONUMENTO DELLA
TETRARCHIA
Da secoli incastonata nell’angolo Sud della Basilica di
San Marco a Venezia, in prossimità dell’edificio di
Palazzo Ducale, troviamo una particolarissima opera
che esula dall’origine del complesso architettonico in
cui si trova: ”Il monumento ai tetrarchi”. L’opera,
entrata nella storia di Venezia solo dal Medioevo,
risale al periodo tardoantico, all’epoca in cui
l’amministrazione del vasto e articolato Impero
romano era ripartita nelle mani di quattro coreggenti,
passati alla storia come Tetrarchi. Nell’opera di San
Marco, che si presenta come un quadruplice ritratto a
figura intera, sono tradizionalmente individuati proprio
i membri della prima Tetrarchia romana (293-305), qui
riuniti in due coppie adiacenti, ognuna stretta in un
abbraccio. Nel gruppo statuario è evidente il
messaggio propagandistico imperiale.
LA MONETA DELLA
TETRARCHIA
Un altro esempio di
propaganda è
rappresentato dalla
monetazione tetrarchica.
I MOSAICI BIZANTINI
A cura di: Rapisarda Carlo – Longo Dario – Urrata Federico
47
LA CENSURA BIZANTINA
LA POSIZIONE DI RAVENNA
Ravenna, detta città del mosaico, 1600 anni fa fu ben tre volte capitale:
dell'Impero Romano d'Occidente prima, di Teodorico re dei Goti poi,
dell'impero di Bisanzio in Europa in ultimo. La caratteristica che la
distingueva dalle altre citta del periodo era la posizione. Essa era infatti
circondata da foreste, paludi e mari; ciò rendeva possibile l’accesso ad
essa da un'unica via costantemente sorvegliata impedendo quindi
l’invasione da parte degli aggressori.
LONGO DARIO
48
IL DOMINIO OSTROGOTO
Teodorico forma il Regno ostrogoto in Italia dopo essersi impadronito di
Ravenna, rompendo l’accordo con Zenone. Il dominio ostrogoto durerà
solo per qualche secolo, esso infatti verrà sostituito successivamente
dall’esarcato bizantino.
IL DOMINIO BIZANTINO
Durante il domino bizantino viene il “sacro” viene contrapposto al
“profano”. La censura bizantina venne applicata principalmente sulle
opere artistiche della dominazione precedente. Era intento dei bizantini
esaltare l’imperatore e soprattutto la sacralità e la potenza dell’impero
riconquistato, cancellando ogni traccia della precedente dominazione.
IL MOSAICO DI GIUSTINIANO
49
A Istanbul, in Turchia, si trova uno degli edifici religiosi più famosi del mondo:
la Basilica di Santa Sofia, che nel corso dei secoli è stata prima una chiesa,
poi una moschea, infine un museo. A Ravenna, invece, sorge la Basilica di
San Vitale, forse meno celebre di quella turca, ma non meno importante.
Nonostante si trovino a migliaia di chilometri di distanza, queste due basiliche
sono strettamente legate. Entrambe sono capolavori dell’arte bizantina e
testimoniano l’epoca d’oro che l’Impero romano d’Oriente visse sotto la guida
di Giustiniano.
RAPISARDA CARLO
IL MOSAICO DI TEODORA
Teodora è stata un'imperatrice bizantina. Fu Augusta dell'Impero romano
d'Oriente. Dopo una iniziale vita avventurosa divenne moglie dell'imperatore
d'Oriente Giustiniano I, assieme al quale regnò, coadiuvandolo, in parte, nella
gestione del potere. La sua personalità viene vista in doppia luce da Procopio
di Cesarea, che da una parte ne esalta in talune sue opere l'effetto benefico,
dall'altra, nella sua Storia segreta, ne vede esclusivamente il lato negativo.
Teodora morì forse a causa di una forma di cancro, in quello che sarebbe uno
dei primi casi documentati, nel 548. Il nome di Teodora resta legato nel campo
dell'arte a numerosi monumenti, quali la ricostruzione giustinianea di Hagia
Sophia e la Basilica di San Vitale a Ravenna. L'imperatrice Teodora incede
portando sulle mani un calice d'oro tempestato di gemme. La Basilissa
(imperatrice) è preceduta da due dignitari civili ed è seguita da un gruppo di
dame di corte.
URRATA FEDERICO

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  • 1. LICEO SCIENTIFICO ‟GALILEO GALILEI” MODULO INTERDISCIPLINARE “I DIVERSI LINGUAGGI DELLA COMUNICAZIONE” CLASSE II B STORIA E GEOGRAFIA LINGUAGGI E FORME DELLA PROPAGANDA E DELLA COMUNICAZIONE POLITICA NELL’ETÀ ROMANA E ALTOMEDIEVALE.
  • 2. LA PROPAGANDA AUGUSTEA A CURA DI: SCUDERI MYRIAM – MARINO ALESSIA – TERSICORE LUDOVICA
  • 3. COS'È LA PROPAGANDA? La propaganda è un'azione volta a influire sull'opinione pubblica attraverso la diffusione di idee, dottrine politiche, sociali e religiose. La propaganda usufruisce di tecniche comunicative, mass media e linguaggi diversi.
  • 4. CESARE OTTAVIANO AUGUSTO Augusto salito al potere nel 31 a.C., creò un nuovo modello istituzionale, il principato, che sarebbe durato fino alla sua morte avvenuta nel 14 d.C. Egli ottenne il consenso di gran parte della popolazione, presentandosi come il custode della concordia civile all'interno dello Stato e il garante di un periodo di pace. L'assunzione, da parte di Ottaviano, di poteri via via maggiori fu però un processo graduale.
  • 5. CESARE OTTAVIANO AUGUSTO Per assicurarsi il comando militare, tra il 31 e il 23 a.C. egli si fece eleggere console in questo modo ottenne la guida delle legioni, che gli garantì il controllo diretto su tutti i territori romani. A partire dal 29 a.C. Ottaviano divenne censore ottenendo così il potere di intervenire personalmente sulle nomine o sulla rimozione dei senatori. Nel 28 a.C. si fece nominare principe dei senatori per non apparire come monarca, ma soltanto come il primo di cittadini tra loro uguali. Questo titolo nascondeva in realtà un controllo diretto sul senato: in quanto princeps, egli poteva votare per primo ogni proposta di legge esaminata dall' assemblea, influenzando così le scelte.
  • 6. CESARE OTTAVIANO AUGUSTO Nel 27 a.C. fu proclamato dal senato Augusto, "venerabile", un titolo che conferiva alla sua persona un carattere sacro. Nel 23 a.C. Ottaviano Augusto abbandonò il titolo di console per diventare proconsole, in questo modo estese il suo controllo militare. Nel 12 a.C. assunse anche il titolo di pontefice massimo diventando la suprema autorità religiosa e presiedendo ai culti e alle cerimonie sacre.
  • 7. LA PROPAGANDA AUGUSTEA Augusto lasciò un'impronta della sua grandezza nella cultura e nell'arte. Attraverso queste cercò di diffondere sua ideologia politica. Attraverso la costruzione di opere pubbliche cercò di far rivivere certi antichi valori come quelli del "mos maiorum", cercando di porre un freno all'immoralità dei costumi, rafforzando l'stituzione della famiglia.
  • 8. LA PROPAGANDA AUGUSTEA Augusto incoraggiò con apposite leggi il ritorno alla terre, inoltre, consapevole che il rispetto di questi principi del mos maiorum, dovesse essere a fondamento del suo regime, divenne protettore della famiglia. Per volontà di Augusto anche la moglie, ufficializzando le sue intenzioni di fronte ad alcuni testimoni, ebbe il diritto di abbandonare il marito e di ottenere la restituzione della dote.
  • 9. Augusto indirizzò la sua attenzione verso la letteratura; fu amico di poeti con i quali ebbe contatti attraverso i circoli culturali. Affidò il compito di organizzare e promuovere l’attività letteraria ad uno dei suoi più fidati collaboratori, Gaio Cilnio Mecenate, che costituì un circolo culturale di cui facevano parte Virgilio, Orazio e Properzio. Poeti quali Tibullo e Ovidio appartenevano, invece, al circolo di Messalla Corvino. Augusto non s'interessò solo di poesia, arte, ma anche di teatro, poiché pensava che l'arte potesse essere mezzo di diffusione del suo programma politico e di unificazione del corpo civico.
  • 10. Per dare lavoro alla plebe di Roma, l’imperatore ordinò la costruzione di grandiosi monumenti ed edifici di pubblica utilità finalizzati alla celebrazione del princeps. La sua vastissima opera di ricostruzione e riorganizzazione portò al consolidamento e alla diffusione della pax augustea, pace della quale tutti beneficiarono.
  • 11. AUGUSTO DI PRIMA PORTA E' probabile che Tiberio, figliastro di Augusto, abbia fatto commissionare una statua che ritraeva il patrigno e che l'abbia regalata alla madre Livia. Questo spiegherebbe perché la statua è stata rinvenuta nella villa di Livia a Prima Porta, e spiegherebbe anche le raffigurazioni sull'armatura; la figura indossa la corazza che è decorata riccamente, al di sotto della quale porta la tunica corta militare.
  • 12. AUGUSTO DI PRIMA PORTA Il paludamentum, mantello che insieme al parazonium era il simbolo del generale romano quando comandava un esercito, gli avvolge i fianchi, ricadendo mollemente sulla mano sinistra, con un panneggio particolarmente elaborato. Nella stessa mano impugna la lancia. Sulla gamba destra è riportato un bambino: Eros, a cavallo di un delfino. Eros era figlio di Venere e il delfino è un omaggio a Venere, simboleggia infatti la nascita della dea avvenuta dall'acqua. Infatti Augusto apparteneva alla gens Iulia, che si riteneva discendere da Venere.
  • 13. AUGUSTO DI PRIMA PORTA L'imperatore è ritratto, almeno nel volto, nelle sue reali fattezze, anche se idealizzate. Augusto mostra un volto sereno, con la mano sinistra stringe la lancia mentre con la destra chiede silenzio prima di iniziare il suo discorso all'esercito. La sua sicurezza è tale che avrebbe scoraggiato qualsiasi oppositore. La statua trasmette un chiaro messaggio di equilibrio e di stabilità: qualità assolutamente necessarie per reggere le sorti di un impero.
  • 14. L’ARA PACIS A CURA DI: NICOLOSI DARIO – PELLEGRINO ANTONIO – GIUFFRIDA ANGELO
  • 15. INTRODUZIONE La politica di propaganda di Augusto era volta ad assicurarsi il consenso del popolo romano attraverso varie direttrici: la letteratura, la scultura, l’architettura, la numismatica. La propaganda doveva mettere in risalto due aspetti: Augusto portatore di pace e restauratore della repubblica e degli antichi mores maiorum. Nell’ambito letterario sicuramente noto è il Circolo di Mecenate. Tuttavia, non si è limitato a circondarsi di artisti, egli ha scritto un'opera che può essere definita autocelebrativa: le Res Gestae Divi Augusti.
  • 16. Egli si presenta come prosecutore della repubblica, sottolineando il fatto di aver rivestito le più importanti cariche del cursus honorum. Ma si tratta di una mistificazione, poiché assumere contemporaneamente e per molteplici anni più magistrature significava annullare il sistema del controllo reciproco e di rotazione annuale, proprio per evitare che si instaurasse un potere personale e assoluto. È pur vero che ha messo fine a decenni di guerre civili, garantendo pace e prosperità a Roma. Ed è proprio su questo punto che Augusto focalizza la propaganda, la Pax Augusta, (di cui si fa portavoce Virgilio nell’Eneide).
  • 17. L’ARA PACIS L'Ara Pacis Augustae (Altare della pace augustea) è un altare dedicato da Augusto, nel 9 a.C., alla Pace nella sua accezione di divinità, e originariamente posto in una zona del Campo marzio consacrata alla celebrazione delle vittorie, luogo emblematico perché posto a un miglio romano (1.472 m) dal pomerium, limite della città dove il console di ritorno da una spedizione militare perdeva i poteri ad essa relativi (imperium militiae) e rientrava in possesso dei propri poteri civili (imperium domi). Questo monumento rappresenta una delle più significative testimonianze arrivate a noi della propaganda augustea ed intende simboleggiare la pace e la prosperità raggiunte come risultato della Pax Romana.
  • 18. L’ARA PACIS Il 4 luglio del 13 a.C., il Senato decise la costruzione di un altare dedicato a tale raggiungimento in occasione del ritorno di Augusto da una spedizione pacificatrice di tre anni in Spagna e nella Gallia meridionale. La dedica, cioè la cerimonia di consacrazione solenne, non ebbe però luogo fino al 30 gennaio del 9 a.C. Essendo stata edificata a poche centinaia di metri dal fiume Tevere (non dove sorge attualmente, ma dove si trova adesso Palazzo Fiano-Peretti-Almagià), l'Ara Pacis fu fin da subito, già nel II secolo d.C., soggetta a danni causati dall'acqua e dall'umidità, tanto che ben presto molte sue parti ne risultarono rotte o separate dal corpo principale; il livello del terreno nella zona si alzò notevolmente a causa dell'apporto di materiale da parte del vicino fiume, e l'ara dovette essere circondata da un muro di mattoni per proteggerla dall'assalto del limo e della sabbia, poiché ormai già sporgeva dal terreno solo a partire dai fregi figurati.
  • 19. IL CIRCOLO DI MECENATE Caio Cilnio Mecenate è nato ad Arezzo il 15 aprile del 70 a.C., lo stesso anno in cui nacque Virgilio. Fu il più prezioso collaboratore di Ottaviano Augusto. A lui l’imperatore affidò il compito di costruire il consenso di letterati e poeti attorno all’ideologia del principato. Sensibile, fine e generoso nei rapporti con i poeti e letterati, Mecenate organizzò il suo circolo chiamandone a farne parte gli spiriti migliori del tempo. Essi cantarono e descrissero l’età augustea come un periodo di pace, di prosperità, di ritorno ai valori fondamentali della civiltà romana, tanto per citare i temi più importanti che furono alla base di opere altissime, come le Odi di Orazio, le Georgiche, le Bucoliche e l’Eneide di Virgilio.
  • 20. IL CIRCOLO DI MECENATE Nel brano che segue, tratto dalle Odi, il poeta Orazio esalta la figura del principe come restauratore della pace e dell’ ordine. «La tua era Cesare, ha restituito ai campi le pingui messi, e al nostro Giove le insegne strappate ai superbi battenti dei Parti, e chiuso, libero da guerre, il tempio di giano Quirino, e imposto Giusto ordine, a freno di una debordata licenza, e spazzato via i crimini, e resuscitato le regole antiche del vivere, per cui il nome latino l’Itale forze crebbero, e la forma e la maestà dell’impero spaziò da dove sorge il sole sino a dove riposa. Finché Cesare vegli sullo Stato, non furore civile o violenza distruggeranno la pace, né l’ira che forgia le spade e inimica le sventurate città. Non coloro che bevono al profondo Danubio, non i Geti spazzeranno gli editti giulii, non i seri e i malfidi persiani, non quelli che nacquero presso il fiume Tanai. Noi nei giorni di lavoro e nei festivi fra i doni del gioioso libero, con i figli e le nostre spose, invocati prima ritualmente gli dei, secondo l’uso dei padri, mischiando il canto ai flauti lidii, i condottieri che hanno compiuto valorose gesta, e Troia e Anchise e la progenie dell’alma Venere canteremo».
  • 21. RES GESTAE DIVI AUGUSTI A CURA DI: DI MAURO DAVIDE – COLALEO FRANCESCO – SAPIOLI STEFANO
  • 22. INTRODUZIONE Le Res Gestae Divi Augusti sono una delle fonti epigrafiche più importanti dell’antichità. Essa e’ anche nota con il nome di Monumentum Anciranum, in quanto rinvenuta proprio nell’antica città di Ancyra, oggi Ankara, in Turchia. Tutto il documento racconta in stile trionfalistico gli “Le imprese del Divino Augusto” che egli compì durante la sua lunga carriera politica ( dal 31 a.C. al 14 d.C.). È stata scritta dallo stesso Augusto prima della sua morte. Nel testo si ripercorrono le tappe della una rivoluzione compiuta dal Princeps che, dopo aver posto fine alle guerre civili ed esterne, creò le condizioni di una pace perpetua tra diverse etnie.
  • 23. IL RITROVAMENTO Il testo ci è giunto inciso, in lingua latina e in traduzione greca, sulle pareti del tempio di Augusto e della dea Roma situato ad Ancyra (attuale Ankara in Turchia). Oltre al testo trovato ad Ancyra, si conoscono copie epigrafiche frammentarie provenienti da Antiochia e da Apollonia località entrambe a non molta distanza da Ankara.
  • 24. COMPOSIZIONE Il testo è composto da un’introduzione, 35 paragrafi, raggruppabili in 3 paragrafi e un’appendice. Pars prima (parr. 1-14): essa descrive la carriera politica di Augusto, il suo cursus honorum, le cariche, uffici e onori che egli ha ricevuto o dato. Pars altera (parr. 15-24): è il racconto, o meglio, l’inno all’uomo generoso. In questa sezione si descrivono le spese sostenute da Augusto con risorse attinte direttamente dal suo patrimonio privato. Le spese effettuate per la costruzione o il restauro di edifici pubblici, templi, acquedotti, strade e ponti.
  • 25. COMPOSIZIONE Pars tertia (parr. 25 a 35): è la parte riservata alla narrazione delle sue imprese, prima fra tutte la lotta contro i pirati, quindi la guerra civile, e le campagne militari in Gallia, Spagna, Germania ed Egitto. Il piu’ importante e’ il capitolo 34 dove è riportata la storia della nascita del principato e vi sono elencati tutti i titoli e gli onori a lui conferiti. Il capitolo 35 rappresenta invece la chiusura delle Res Gestae Divi Augusti con la celebre frase che indica il periodo storico in cui l’Imperatore redasse l’opera, ovvero: “scrissi questo all’età di 76 anni”. Appendix: non fu probabilmente scritta per mano di Augusto e riassume le spese sostenute da Augusto per i monumenti per i giochi e per far fronte a diverse calamità naturali. Illuminante l’ultima frase cui si citano le spese sostenute per amici e senatori, caduti tanto in disgrazia da non avere più il censo richiesto per far parte del senato. La quantità di denaro spesa fu innumerabilis, ovvero, non conteggiabile. Copia moderna delle Res gestae scolpita nel retro del Museo dell’Ara Pacis a Roma
  • 26. LA COLONNA TRAIANA A CURA DI: TERSICORE VITTORIA – PORTO GABRIELE - TERSICORE MARTINA
  • 27. IL CONTESTO STORICO Traiano (98-117d.C.) fu il primo imperatore romano originario di una provincia, egli infatti, era nato in Spagna da una famiglia nobile di origine Italica. Traiano proseguì la politica d’accordo con il sanato iniziata da Nerva e grazie al suo atteggiamento tollerante riuscì ad avere il consenso di tutti i ceti sociali. Egli creò anche degli appositi fondi di assistenza per dare aiuto ai nullatenenti. Promuovendo la diffusione della cultura romana nelle provincie, si rafforzò l’unità e la compattezza dell’impero. I maggiori successi di Traiano riguardarono per di più la politica estera: la ripresa dell’espansione territoriale che portò alla conquista di nuove terre in Europa e in Oriente. Tra il 101 e il 117 d.C. conquistò moltissimi territori come la Dacia, l’Arabia e nuove provincie della Mesopotamia e dell’Armenia. La sua avanzata terminò nel 117 a causa delle ribellioni delle comunità ebraiche e in quello stesso anno morì.
  • 28. LA COLONNA TRAIANA Traiano combatté e sconfisse le popolazioni germaniche, portando l’impero romano alla sua massima estensione. L’operazione militare per cui il suo nome è rimasto inciso nella storia, è su tutte la conquista della Dacia fra il 101 e il 106 d.C. I daci erano una popolazione nomade, diventata poi stabile, che viveva nella zona a nord del Danubio, dove ora sorge la Romania. In memoria di questa grande impresa fu scolpito a Roma la Colonna Traiana, situata nel Foro Traiano, all'interno del Foro Romano, con lo scopo di celebrare è di raccontare tutte le imprese dell'imperatore. In tutte le scene Traiano appare sempre come generale deciso, carismatico e adulatore. Nella colonna di Traiano, architettonicamente molto simile a quella di Marco Aurelio, vi sono alcune particolarità, la prima tra tutte è la prevalenza delle scene di pace dei soldati romani in Dacia, rispetto a quelle di guerra. Tra le scene narrate in modo attento e scrupoloso è possibile vedere fotogrammi di soldati romani che oltrepassano il Danubio, Traiano che celebra sacrifici rituali oppure che si rivolge alle truppe. E ancora le battaglie e la vittoria sugli avversari.
  • 29. CONFRONTO TRA LA COLONNA TRAIANA E LA COLONNA DI MARCO AURELIO Colonna traiana Raffigura la conquista di Traiano della Dacia 101-105 d.C. Colonna di Marco Aurelio Raffigura le vittorie di Marco Aurelio tra il 172-175 in due campagne militari distinte contro i Surmati, i Quadi e i Marcomanni 29
  • 30. CONFRONTO TRA LA COLONNA TRAIANA E LA COLONNA DI MARCO AURELIO Dal punto di vista stilistico è possibile fare delle considerazioni: la colonna Aureliana risente molto di una certa ansia propagandistica, che comporta la trascuratezza di elementi ambientali a vantaggio di elementi esaltanti la presenza imperiale. 30
  • 31. LE MONETE A CURA DI: PICONE MARISA – LO PRESTI ANNA – MILIA MARTINA
  • 32. Sin dai primi giorni della leggenda di Roma, dalla sua fondazione, il metallo era valutato a peso e rappresentava lo strumento di scambio da utilizzare nel commercio in sostituzione dell’usanza del tempo: il baratto. Le monete romane cominciarono ad entrare nella società solo nella fase repubblicana. Esse furono non solo strumento necessario allo sviluppo del commercio ma anche strumento di propaganda.
  • 33. LA COMPOSIZIONE DELLE MONETE In età imperiale ogni moneta recava un messaggio mediante una effige, solitamente dell’imperatore rappresentato come eroe guerriero con elmo e corazza o generale vittorioso con il capo coronato d’alloro o, ancora, coronato di raggi, immagine personificata del dio Sole. Sul lato opposto erano raffigurati simboli propagandistici, come ad ad esempio un soldato romano vittorioso che schiacciava a terra un barbaro, e campeggiavano scritte che erano veri e propri slogan in cui si esponeva la propaganda imperiale. Furono molti gli imperatori a coniare le monete, tra questi Costantino.
  • 34. COSTANTINO E LE MONETE Costantino è stato imperatore dal 306 alla sua morte. Egli riformò largamente l’Impero romano. A lui si deve la fine ufficiale delle persecuzioni cristiane e la conseguente diffusione del cristianesimo. Costantino regnò 31 anni e fece coniare più di 2600 monete diverse, anche se spesso le differenze erano minime e gli slogan più importanti si ripetevano su centinaia di tipi. Nei periodi in cui l’imperatore era impegnato a combattere i barbari le monete informavano i sudditi delle gloriose imprese compiute dall’esercito, e soprattutto delle ininterrotte vittorie del sovrano. Alcuni degli slogan impressi nelle monete erano: «gloria exercitus», « virtus militum» o «ubique victores» e «victor omnium gentium».
  • 35. Nei periodi in cui non c’erano guerre l’imperatore si prendeva il merito della pace di cui godevano i sudditi, infatti sulle monete erano impressi slogan come «beata tranquillitas» e «paci perpetuae». Costantino durante la sua vita volle assicurarsi che i suoi figli ereditassero il trono quindi le zecche cominciarono a battere monete con il loro volto e il loro nome per renderli familiari ai sudditi. Quando Costantino fece giustiziare suo figlio Crispo accusato di complotto contro di lui, il suo volto e il suo nome non vennero più rappresentati nelle monete di nuova coniazione pur continuando però a circolare sulle vecchie monete che non potevano essere ritirate tutte.
  • 36. GLI EDITTI DI MILANO E DI TESSALONICA A CURA DI: CAVALLARO ANITA – CAVALLARO ESTER – GUARNACCIA DESIREÉ
  • 37. L’EDITTO DI MILANO Il 13 giugno del 313 Costantino, Augusto d’Occidente, e Licinio, Augusto d’Oriente, promulgarono l’Editto di Milano. L’editto di Milano concedeva a tutti gli abitanti dell’Impero, e quindi anche ai cristiani, la libertà di professare liberamente la propria fede. Alle comunità cristiane vennero restituiti i luoghi di culto e i beni che erano stati in precedenza espropriati. L’editto di Milano aprì un’epoca nuova nei rapporti tra potere imperiale e chiesa. Nel corso degli anni infatti molti cristiani entrarono a far parte dell’amministrazione imperiale e l’imperatore concesse numerosi privilegi alle loro comunità, come l’immunità fiscale per tutti i beni e per tutti i membri del clero. Allo stesso tempo, concesse la possibilità di ricorrere ai tribunali ecclesiastici per dirimere alcune questioni di carattere legale. I tribunali ecclesiastici vennero così di fatto equiparati a quelli civili. Furono inoltre incentivate, anche da parte della famiglia imperiale, le donazioni alla chiesa.
  • 38. L’avvicinamento di Costantino al cristianesimo ebbe, forse, ragioni più che altro politiche. L’imperatore aveva compreso che la chiesa cristiana si stava avviando a diventare una grande forza sociale e organizzativa, che poteva utilmente contribuire al rafforzamento dello stato che lui stesso perseguiva. A seguito dell’editto si cominciò a parlare di "pace di Costantino”. Si trattò probabilemte di abile mossa di propaganda della cancelleria imperiale che promosse l’idea che la pace religiosa determinasse la pace civile. Il nuovo ordine creato da Costantino sarà presto organizzato intorno al cristianesimo. Infatti, se l'editto stabilisce un'autentica libertà di culto, è difficile parlare di "libertà di coscienza" nel senso contemporaneo della parola. Sarebbe più appropriato infatti parlare di tolleranza.
  • 39. EDITTO DI TESSALONICA Il 27 febbraio 380 venne reso noto l’Editto di Tessalonica, conosciuto anche come Cunctos populos, promulgato dagli imperatori Graziano, Valentiniano II e Teodosio, con il quale il Cristianesimo diventò la sola religione accettata nell’Impero. Il Cristianesimo, secondo i canoni del Credo niceno, diventava, così, religione di Stato, mentre coloro che non avessero aderito ad essa sarebbero stati considerati «eretici» e perseguiti. Nella Chiesa erano che aumentate le eresie, specialmente sui temi cristologici e ciò aveva creato un clima che spesso sfociava in vere e proprie violenze. Mentre in Occidente prevalevano i seguaci dell’ortodossia come stabilita dal Credo Niceno, in Oriente era ancora molto diffuso l’Arianesimo. Con l’avvento di Teodosio, di fede nicena, nella parte orientale le cose cambiarono radicalmente. Questi, infatti, insieme agli imperatori occidentali Graziano e Valentiniano II, diede inizio ad una decisa lotta contro l’arianesimo.
  • 40. L’ultima parte dell’Editto conteneva la condanna degli eretici e l’annuncio di nuove misure per combatterli. Il termine di Chiesa sarebbe stato attribuito solo a quella cristiana cattolica, mentre le altre comunità di credenti sarebbero state considerate, non solo fuori dalla legge divina, ma anche da quella dell’Impero. Il Cristianesimo, diventando religione di Stato, avrebbe usufruito, in futuro, dei mezzi repressivi dell'autorità statale. Il testo dell’editto, preparato dalla cancelleria di Teodosio, riaffermava la validità del Credo niceno contro ogni forma di eresia e riconosceva alle sedi episcopali di Roma e Alessandria di Egitto un vero e proprio primato in materia di fede. Possiamo dire che Teodosio tentava di diffondere l’idea che l’arianesimo non andava professato insieme ai culti pagani.
  • 41. LA TETRARCHIA A CURA DI: RACITI ANGELICA – STURNIOLO SIMONE – GUGLIELMINO GRETA
  • 42. INTRODUZIONE La tetrarchia (dal greco tetra “quattro”) nacque nel 286 d.C. con l’imperatore Diocleziano. Egli decise di dividere l’imperò in 4 parti allo scopo di migliorarne il controllo e l’amministrazione. I due augusti erano Diocleziano, e Massimiano; i cesari, invece, Galerio e Costanzo Cloro. Diocleziano fu un imperatore autoritario, che impose al popolo la divinizzazione di se stesso. Egli stesso decise di non essere più il magistrato dello stato ma un vero e proprio monarca.
  • 43. LA TETRARCHIA E DIOCLEZIANO Uno degli scopi fondamentali della divisione dell’impero fu il controllo diretto ed efficace dei confini da parte di ogni tetrarca.
  • 44. IL MONUMENTO DELLA TETRARCHIA Da secoli incastonata nell’angolo Sud della Basilica di San Marco a Venezia, in prossimità dell’edificio di Palazzo Ducale, troviamo una particolarissima opera che esula dall’origine del complesso architettonico in cui si trova: ”Il monumento ai tetrarchi”. L’opera, entrata nella storia di Venezia solo dal Medioevo, risale al periodo tardoantico, all’epoca in cui l’amministrazione del vasto e articolato Impero romano era ripartita nelle mani di quattro coreggenti, passati alla storia come Tetrarchi. Nell’opera di San Marco, che si presenta come un quadruplice ritratto a figura intera, sono tradizionalmente individuati proprio i membri della prima Tetrarchia romana (293-305), qui riuniti in due coppie adiacenti, ognuna stretta in un abbraccio. Nel gruppo statuario è evidente il messaggio propagandistico imperiale.
  • 45. LA MONETA DELLA TETRARCHIA Un altro esempio di propaganda è rappresentato dalla monetazione tetrarchica.
  • 46. I MOSAICI BIZANTINI A cura di: Rapisarda Carlo – Longo Dario – Urrata Federico
  • 47. 47 LA CENSURA BIZANTINA LA POSIZIONE DI RAVENNA Ravenna, detta città del mosaico, 1600 anni fa fu ben tre volte capitale: dell'Impero Romano d'Occidente prima, di Teodorico re dei Goti poi, dell'impero di Bisanzio in Europa in ultimo. La caratteristica che la distingueva dalle altre citta del periodo era la posizione. Essa era infatti circondata da foreste, paludi e mari; ciò rendeva possibile l’accesso ad essa da un'unica via costantemente sorvegliata impedendo quindi l’invasione da parte degli aggressori. LONGO DARIO
  • 48. 48 IL DOMINIO OSTROGOTO Teodorico forma il Regno ostrogoto in Italia dopo essersi impadronito di Ravenna, rompendo l’accordo con Zenone. Il dominio ostrogoto durerà solo per qualche secolo, esso infatti verrà sostituito successivamente dall’esarcato bizantino. IL DOMINIO BIZANTINO Durante il domino bizantino viene il “sacro” viene contrapposto al “profano”. La censura bizantina venne applicata principalmente sulle opere artistiche della dominazione precedente. Era intento dei bizantini esaltare l’imperatore e soprattutto la sacralità e la potenza dell’impero riconquistato, cancellando ogni traccia della precedente dominazione.
  • 49. IL MOSAICO DI GIUSTINIANO 49 A Istanbul, in Turchia, si trova uno degli edifici religiosi più famosi del mondo: la Basilica di Santa Sofia, che nel corso dei secoli è stata prima una chiesa, poi una moschea, infine un museo. A Ravenna, invece, sorge la Basilica di San Vitale, forse meno celebre di quella turca, ma non meno importante. Nonostante si trovino a migliaia di chilometri di distanza, queste due basiliche sono strettamente legate. Entrambe sono capolavori dell’arte bizantina e testimoniano l’epoca d’oro che l’Impero romano d’Oriente visse sotto la guida di Giustiniano. RAPISARDA CARLO
  • 50. IL MOSAICO DI TEODORA Teodora è stata un'imperatrice bizantina. Fu Augusta dell'Impero romano d'Oriente. Dopo una iniziale vita avventurosa divenne moglie dell'imperatore d'Oriente Giustiniano I, assieme al quale regnò, coadiuvandolo, in parte, nella gestione del potere. La sua personalità viene vista in doppia luce da Procopio di Cesarea, che da una parte ne esalta in talune sue opere l'effetto benefico, dall'altra, nella sua Storia segreta, ne vede esclusivamente il lato negativo. Teodora morì forse a causa di una forma di cancro, in quello che sarebbe uno dei primi casi documentati, nel 548. Il nome di Teodora resta legato nel campo dell'arte a numerosi monumenti, quali la ricostruzione giustinianea di Hagia Sophia e la Basilica di San Vitale a Ravenna. L'imperatrice Teodora incede portando sulle mani un calice d'oro tempestato di gemme. La Basilissa (imperatrice) è preceduta da due dignitari civili ed è seguita da un gruppo di dame di corte. URRATA FEDERICO