2. Da sempre carico di
significati simbolici, il
vino, nettare degli dei, è
fortemente legato alla
sfera religiosa e poetica
dell’uomo.
È immagine di vita e di forza
per il suo colore intenso e
l’energica sinuosità del
ceppo di vite da cui
proviene, simbolo di
amore e amicizia grazie al
dio greco Dioniso.
3. Immancabile ospite in ogni banchetto fin dall’epoca
latina, il vino è particolarmente apprezzato per la sua
capacità di obliare la memoria, specie al termine di una
tortuosa relazione, come si vedrà in Catullo. Bevanda
d’obbligo nei riti delle Baccanti, è in grado di donare
un’ebbrezza liberatoria al corpo, privandolo dei freni
imposti dalla sobrietà e delle preoccupazioni che
affliggono la mente:
"Mescete, o amici, il vino. Il vin fremente / scuota da i
molli nervi ogni torpor, / purghi le nubi de l'afflitta
mente, / affoghi il tedio accidioso in cor".
Così cantava Giosuè Carducci, inneggiando a quella
salutare e schietta bevanda che fa decisamente buon
sangue.
4. Il vino ha sempre assunto un ruolo fondamentale nelle
opere degli autori latini che lo hanno valorizzato, anche
in periodi diversi. Attraverso rispettivi stili e sensibilità,
hanno attribuito alla bevanda un insieme di significati,
che connotano tutt’oggi il vino.
Di seguito, alcuni dei più importanti.
5. Nelle Odi di Orazio troviamo molti
nomi di vini e una gran varietà di
espressioni per introdurre
l’argomento del bere e del
banchetto: dal semplice mirto,
bevuto all’ombra di un pergolato
al vino collegato a danze, scherzi
e giochi al Falerno e agli ameni
colli della sua coltivazione al
Massico, vino smemorante, al vino
puro, invecchiato quattro anni, al
vino servito con fiori ed unguenti,
al vino filtrato, al vino misto a
danze e ringraziamenti agli dei, al
vinello di Sabina, fino al Cecubo e
al Mareotico e al Caleno.
6. Proprio Orazio lega al vino valori più importanti
corrispondenti ovviamente alla sua poetica.
Ode I 11: “Sapias, vina liques, et spatio brevi spem
longam reseces.” (Sii saggia, filtra il vino e accorcia la
speranza, poiché la vita è breve).
Così dice a Leuconoe, sottolineando che il mescere il vino
può aiutare a rasserenare l'animo, che si strugge mentre il
tempo e la vita breve scorrono inevitabilmente.
Ode I 9: “Dissolve frigus ligna super foco large
reponens atque benignus deprome quadrimum Sabina, o
Thaliarche, merum diota.” (Sciogli il freddo gettando
legna sul fuoco in abbondanza, e più largamente mesci
vino vecchio di quattro anni, o Taliarco, dall'anfora
sabina).
Suggerisce invece a Taliarco che deve dedicarsi a ogni azione
possibile che possa riempire la giornata che come la vita è
un guadagno immenso.
7. Anche Catullo, che dedica la maggior parte della sua
produzione letteraria a Lesbia, fonte di una passione
devastante, non dimentica di dedicare qualche verso al
vino dopo la fine di questo amore.
Carme 27: “Minister vetuli puer Falerni inger mi
calices amariores, ut lex Postumiae iubet magistrae
ebriosa acina ebriosioris. at vos quo lubet hinc
abite, lymphae vini pernicies, et ad severos migrate.
hic merus est Thyonianus.” (Giovane ragazzo, versami
calici più amari di vecchio Falerno, come la legge di
Postumia, la maestra, ordina acini brilli, lei troppo
brilla. Ma voi andatevene di qui, dove volete, acque,
rovina del vino, e trasferitevi dai più seri. Qui c’è puro
Tioniano).
Adesso assume un significato ben diverso come si può
vedere dal carme appena citato. Il vino, lodato a partire
dalla fine della storia con Lesbia, diventa l'unico modo
per non pensare, per distrarsi: esso diventa mezzo per
raggiungere la serenità e la pace interiore.
8. Hactenus arvorum cultus
et sidera caeli;
nun te, Bacche, canam, nec
non silvestria, tecum
virgulta et prolem tarde
crescentis olivae.
Huc, pater o Lenaee: tuis
hic omnia plena
muneribus, tibi pampineo
gravidus autumno
floret ager, spumat plenis
vindemia labris;
huc, pater o Lanee, vei,
nudataque musto
tingue novo mecum
dereptis crura cothurnis.
Finor de i campi la cultura e gli
astri;
Or io te, Bacco, e le tue dolci vigne
Canterò teco, e le silvestri piante,
E i lenti germi del fecondo ulivo,
Vieni, o padre Lenéo, de’ doni tuoi
Qui tutto è pien, di pampini vestito
A te ride l’autun, frondeggia il
campo
E fuor da gli orli dei capaci tini
Fuma spumante la vendemmia;
vieni,
Divo padre Lenéo, vieni, e slacciati
Gli aurei coturni, nel novello mosto
Meco l’ignudo piè tinger non
sdegna.
9. Virgilio, nelle Georgiche, ci porta su un piano molto
diverso e, forse, più significativo, anche se meno noto a
chi ama solo degustare e non è invece affascinato
dall’arte di produrre l’uva.
10. Il poeta afferma – nel II libro – che nell’età dell’oro il vino
scorreva a ruscelli, mentre oggi è frutto faticoso del
lavoro intelligente con cui l’uomo si è liberato dal
torpore di una felicità naturale che gli impediva di
sviluppare le sue capacità creative e organizzative: la
natura lo ha aiutato in questa emancipazione,
creandogli difficoltà che egli ha superato con la sua
intelligenza creativa.
Questo libro, come vediamo, si apre con l’invocazione a
Bacco (il Dio Leneo, dio dei tini) affinché protegga la
terra italica “… dove tutto è pieno dei tuoi doni nel
pampineo autunno, quando la vendemmia spumeggia
nei colmi tini”; Virgilio chiede a Bacco di togliersi “i
calzari e immergere le gambe nude nel nuovo mosto”.
Balzano ai nostri occhi i colori caldi delle colline a vite
nel momento della vendemmia; ci pare di sentire il
profumo intenso del mosto nell’autunno incombente,
quando i canti allegri di chi pestava l’uva con i piedi
riempivano le aie piemontesi e toscane con le speranze
di un “vino d’annata”.
11. Nobile o della plebe, di ispirazione per l’estro creativo ma
anche tentatore, nettare divino capace di scatenare
passioni: il vino è da sempre protagonista della
letteratura italiana.
È noto il legame tra letteratura e vino, tanto che
numerosi poeti e scrittori della storia hanno dedicato
proprio a questa bevanda alcuni dei loro più importanti
passi.
12. Come bevande al Manzoni piacevano tanto il caffè ed il
nettare di bacco, e sembra che arrivò a farsi realizzare un
bicchiere da vino più grande, in modo che se qualcuno lo
avesse accusato di aver ecceduto, poteva rispondere di
“averne bevuto solo due bicchieri…”
Alessandro Manzoni, l’esponente più importante del
romanticismo italiano, visse il suo tempo cercando di
interpretarne gli ideali e l’impegno morale. Nella sua opera
più celebre "I Promessi Sposi”, trattò il tema della fame
con una prospettiva inedita per la letteratura romanzesca
precedente, conferendo all’argomento serietà e dignità.
13. “Prese con al sua destra rugosa e scarnata un fiasco che
stava sulla tavola, con la sinistra un bicchiere, e fattili
prima cozzare un tratto e tintinnire, sollevò il fiasco, lo
inclinò sul bicchiere, lo riempì, se lo pose alla bocca,
tracannò un sorso, ritirò il bicchiere, batté due o tre volte
un labbro contro l’altro, e esclamo: << Ah! Questo
risusciterebbe un morto! Bella felicità averne dinanzi un
buon fiasco! Al diavolo i rangoli, e i pensieri! Non mi duole
più nemmeno d’esser vecchia; ma se fossi giovani ih!
Come vorrei godermela.>>”
(da I Promessi Sposi, 1827)
14. Conversazione in Sicilia è "il libro" di Vittorini, scrittore e
traduttore italiano.
Tutte le altre sue opere fanno da corona a questo libro.
In Conversazione il fascismo non viene accettato
passivamente. Si pone, da subito, per il protagonista, il
problema di cercare la chiarezza.
Il romanzo mette in evidenza, inoltre, i problemi del
Meridione, della Sicilia, dove la questione di fondo è la
sopravvivenza.
Nella seconda parte si cercano i mezzi per operare: il
vino risulta l'ultima risorsa che è lasciata a chi non può
essere uomo diversamente.
15. “[...] i mesti uomini [...] stavano insieme nel nudo sepolcro
del vino e potevano essere come spiriti, partiti infine da
questo mondo di sofferenze e di offese.”
“Generazioni e generazioni avevano bevuto, avevano versato
il loro dolore nel vino, cercato nel vino la nudità, e una
generazione beveva dall’altra, dalla nudità di squallido
vino delle altre passate, e da tutto il dolore versato.”
(Da Conversazione in Sicilia)
16. Per Giovanni Verga la
bevanda aveva un ruolo
esclusivo e quotidiano
al pari del pane, come
gesti eucaristici per i
protagonisti della sua
“Cavalleria Rusticana”,
e per la Scapigliatura il
vino era trasgressivo al
pari dell’assenzio dei
francesi Baudelaire e
Rimbaud
17. Janu aveva anche del vino, del buon vino di Mascali che
regalava a Nedda senza risparmio, e la povera ragazza, la
quale non c'era avvezza, si sentiva la lingua grossa, e la testa
assai pesante. [...] Di tratto in tratto si guardavano e
ridevano senza saper perché. "L'annata sarà buona pel povero
e pel ricco" disse Janu, "e se Dio vuole alla messe un po' di
quattrini metterò da banda [...] e se tu mi volessi bene! ..."
e le porse il fiasco. "No, non voglio più bere" disse ella colle
guance tutte rosse. "O perché ti fai rossa?" diss'egli ridendo.
"Non te lo voglio dire" "Perché hai bevuto!" "No!". "Perché mi
vuoi bene?".Ella chinò gli occhi come se ci vedesse delle
fiamme, e le sembrò che tutto il vino che aveva bevuto le
montasse alla testa, e tutto l'ardore di quel cielo di metallo
le penetrasse nelle vene.
(da Nedda, 1874)
18. Carlo Goldoni è stato un drammaturgo, scrittore,
librettista e avvocato italiano, cittadino della
Repubblica di Venezia.
Nella sua opera più importante, “La locandiera”, i diversi
vini citati sono variamente associati ai nobiluomini che
ruotano attorno alla locandiera Mirandolina, divenendo
simbolo delle rispettive caratteristiche: il robusto
Borgogna è riferito all’altezzoso Cavaliere, il vino
sgradevole di Cipro allo spiantato e svenevole
Marchese, ed il rinomato Malvasia al Conte.
Non a caso l’ottava scena del secondo atto si conclude
con il brindisi di Mirandolina, attraverso il quale la
locandiera celebra il tradizionale binomio di vino ed
eros.
19. “Un brindisi che mi ha insegnato mia nonna:
Viva Bacco, e viva Amore:
L'uno e l'altro ci consola;
Uno passa per la gola,
L'altro va dagli occhi al cuore.
Bevo il vin cogli occhi poi ...
Faccio quel che fate voi.”
(da La locandiera, 1752)
20. ֍ Grasso Ida
֍ Saddemi Anna Rita
֍ Saraniti Giulia
֍ Wanausek Denis