1. Non c’è più il futuro di una volta !
Marco Liera, uno dei principali giornalisti economici italiani, da anni collaboratore de Il Sole 24 Ore e più
recentemente imprenditore con una propria iniziativa on line, a fine settembre ha scritto un articolo sul
quotidiano rosa (non La Gazzetta … l’altro) traendo spunto da un’indagine della società di consulenza londinese
Scorpio Partnership.
Tema dell’articolo sono i comportamenti dei clienti milionari, a livello mondiale, nell’era di Facebook, Twitter,
Linkedin, e chi più ne ha ne metta. Una delle conclusioni a cui giunge, tra le altre, è che pur partendo da una
scarsa consuetudine dei paperoni con la tecnologia in generale, la situazione è destinata a cambiare
rapidamente quando i patrimoni di lor signori, mediamente “âgées”, si trasferiranno progressivamente ai figli i
quali, normalmente più preparati e avvezzi alla tecnologia, cambieranno radicalmente l’approccio avuto fino a
quel momento dai genitori.
Era ora ! Non vanto primogeniture particolari, ma sono anni che batto su questo tasto e sono lieto che oggi
venga dato giusto risalto a questa situazione: quando i patrimoni, adesso in mano ai genitori
sessanta/settantenni, passeranno ai figli trenta/quarantenni, il rapporto che quest’ultimi avranno con il
denaro e soprattutto con chi glielo ha gestito fino a quel momento si modificherà non poco, anzi cambierà senza
dubbio, ne sono certo. E sarà, come sempre, una medaglia dalle due facce: da un lato la straordinaria
opportunità offerta a chi, per tempo, si sarà attrezzato per affrontare e gestire queste modifiche, dall’altro una
pietra tombale sul rapporto professionale col cliente per chi, al contrario, arriverà impreparato
all’appuntamento. Ne ho parlato nei numeri 2 e 3 di Mercati € Mercanti dello scorso marzo (a conferma di
quanto lo consideri un tema fondamentale per lo sviluppo della professione), ma ne parlo da molto prima, e chi
ha lavorato negli ultimi anni con me lo sa.
Non è però questo l’argomento di cui voglio parlare oggi. Mi preme invece porre l’accento su un altro aspetto, di
altrettanta e straordinaria importanza, messo in evidenza da un altro approfondimento pubblicato da
pochissimo. E’ l’ultimo aggiornamento dell’Indagine sul Risparmio e sulle scelte finanziarie degli italiani
realizzata dal Centro di Ricerca e Documentazione Luigi Einaudi, in collaborazione con Intesa San Paolo
(probabilmente una delle più autorevoli e complete nel panorama italiano).
Tra i molteplici spunti di riflessione che se ne traggono leggendola, ve ne sono due più di altri che meritano un
faro puntato. Il primo (vedi grafico sotto) mostra l’orientamento degli italiani circa le condizioni che gli
investimenti dovrebbero avere. A fronte di quattro caratteristiche ben definite (sicurezza del capitale, aumento
del valore, cedola e liquidabilità) e con risposte analizzate fin dal 1988, emergono chiaramente due cose:
Il diamante del risparmio.
Gli obiettivi degli investimenti privilegiati dagli intervistati
Numero 16 del 15 ottobre 2013
Marcello Agnello
2. a) dal 2007 le preferenze degli italiani non si sono più mosse (e prima non erano troppo diverse)
b) la sicurezza del capitale (54% delle preferenze) rispetto all’attesa o alla promessa di crescita dello
stesso (8,3%) è la caratteristica più ambita e quella di gran lunga dominante rispetto alle altre quattro.
Non credo servissero ancora conferme, ma per i più scettici eccole servite: i clienti non vogliono perdere soldi,
molto più e molto prima che guadagnarne. Anche questo è un refrain che sto ripetendo da tempo: faremo un
vero salto in avanti, professionale ed “economico” (ovvero accrescendo stabilmente nel tempo le masse in
gestione senza condizionarle agli umori dei mercati) quando ci preoccuperemo dei veri obiettivi dei nostri
clienti, e non di quelli che tentiamo di fargli condividere perché forse più nostri che loro.
L’altro spunto di riflessione, che va a braccetto col precedente, fa riferimento all’orizzonte temporale ideale
sul quale giudicare un investimento.
Il 33% dei risparmiatori è ancorato all’anno, ovvero non esce dalla logica di investimenti quali Bot e
certificati di deposito a 12 mesi
il 36% è disposto ad arrivare a tre anni
il 18,7% pazienta fino ai cinque anni
solo un 4,2% si avventura sui dieci anni
Oltre i 10 anni, un insignificante 0,7 per cento
Riassumendo quindi abbiamo quasi il 70% degli investitori che non varca la soglia dei tre anni (per i quali
quindi ogni investimento di natura azionaria dovrebbe essere bandito a priori), e solo poco meno del 5% che
staziona tra i dieci anni e oltre.
Mi chiedo: ma davvero fatti cento i nostri clienti solo cinque hanno investimenti azionari ? E davvero ha senso
lottare coi mulini a vento di quel 99,3% che non crede opportuno un orizzonte temporale superiore ai dieci
anni ? Perché, come ampiamente testimoniato dai mercati, spesso il lasso di tempo necessario va oltre il
decennio (e a volte nemmeno basta).
Sono sicuro: qualcuno obietterà che i clienti vanno educati, vanno aiutati a scoprire i loro veri bisogni nascosti
(???) e vanno motivati a mantenere gli investimenti, che magari sull’onda di qualche rialzo di mercato si sono
spinti a sottoscrivere, anche quando le cose vanno male o peggio (un giorno pubblicherò una simpatica
rassegna stampa del periodo Lehman Brothers: c’è da divertirsi).
Possiamo continuare a fare raccolta netta quando i mercati tirano, e averla negativa o nulla (se va bene)
quando questi scendono. Possiamo accorgerci dopo qualche anno, a volte tanti anni, che i soldi affidatici dai
clienti sono rimasti ancora gli stessi perché non sono cresciuti, ma hanno comunque sopportato tutti i
saliscendi dei listini. Possiamo ancora sperare che prima o poi questo decennio finalmente passi … ma la fine
di questo “decennio” ogni volta è spostata sempre un po’ più in là.
Possiamo raccontarci tante favole, e facendolo tenere la testa sotto la sabbia.
Oppure possiamo scrollarcela di dosso, la sabbia, e convincerci che il futuro non sarà affatto come ce lo
eravamo immaginato. Forse sarà anche meglio.
Numero 16 del 15 ottobre 2013
Marcello Agnello