Forme alternative di finanziamento al sistema delle PMI in Italia
Se Basilea 3 tira la volata ai grandi fondi sovrani - MF, 23 novembre 2013
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Data Pubblicazione: 23/11/2013
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Numero 231 pag. 14 del 23/11/2013 | Indietro
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Anche se si è soliti misurare la solidità di una banca con misure statiche, è bene
ricordare che la forza di un intermediario finanziario, come di ogni azienda, andrebbe
considerata in chiave dinamica. Qualsiasi dotazione patrimoniale finisce per rivelarsi
insufficiente se non è in grado di adeguarsi all'evolvere delle condizioni esterne. Allora
dobbiamo guardare a tre variabili: la dinamica del fabbisogno regolamentare, la qualità
dell'attivo e l'autofinanziamento. Se la terza riesce a compensare le prime due, la
banca risulterà più forte, altrimenti anche l'eventuale forza attuale finirà per erodersi. Il
tema regolamentare è il primo da considerare perché, all'indomani della crisi del 2008,
le Autorità di vigilanza hanno ritenuto essenziale spingere le banche ad accrescere il
capitale. Già questo basta a comprendere come ciò che è considerato sufficiente oggi
possa non esserlo domani. Basilea 3 aveva disegnato un percorso di aumento della
patrimonializzazione minima che culminava nel requisito dell11% nel 2019. Ma il
percorso sta accelerando e così già dal 2014 entreranno in vigore alcune ipotesi
restrittive che, agendo su struttura del patrimonio e buffer di capitale, richiederanno
maggiori dosi di equity. Poi c'è il tema della copertura delle perdite su crediti e della
svalutazione degli attivi. Il Fmi ha calcolato che nel prossimo biennio le perdite su
crediti non eroderanno la riserva di capitale solo se resteranno entro il livello del 2011
e 2012 e se la severity, cioè la parte non recuperata del prestito, sarà inferiore al
55%. Dunque bisogna che non peggiori la qualità del portafoglio prestiti e che le
garanzie che li assistono si rivelino una protezione efficace in caso di insolvenza. Il
che, data la crisi dell'immobiliare, non pare molto realistico. Infine guardiamo
all'autofinanziamento. Anche da questo punto di vista le prospettive non sono così
positive, dato che oggi il roe delle banche italiane è nell'ordine del 2% e secondo
Prometeia nel 2013 non si arriverà all'1%. Livelli così modesti di profitto non
consentono di pagare dividendi interessanti né di effettuare accantonamenti cospicui. Il
combinato effetto di queste variabili è scoraggiante e rischia di far passare molte
banche italiane dalla lista dei buoni a quella dei cattivi. Ora, tutti concordano
sull'opportunità di avere intermediari solidi, ma se questo è l'effetto desiderato,
bisognerebbe ragionare anche sulle vie concrete per ottenerlo. Quali sono le aziende
che attirano nuovi capitali? Non quelle che vivono sulla soglia di una bocciatura
regolamentare, con scarsa redditività e potenziali svalutazioni. Sulla qualità dei prestiti
e sulla redditività non si può intervenire per decreto. Però bisogna chiedersi se la
scelta di rendere ancora più ripido il percorso di avvicinamento a Basilea 3 favorisca il
successo dell'operazione. Bankitalia ha stimato che l'accelerazione è sopportabile dal
sistema. Come sempre però i dati medi celano situazioni differenziate, visto che Mps
da solo abbisogna di 2,5 miliardi e Carige e Bpm ne richiederanno insieme 1,3. La
domanda che tutti eludono è: chi metterà i soldi nelle banche italiane? I mercati non
sembrano interessati a rendimenti dello «zero virgola», gli investitori istituzionali
aspettano un consolidamento della ripresa economica, le banche straniere devono
pensare ai loro problemi interni. Le Fondazioni hanno già fatto grossi sforzi in passato
e comunque incontrano ostilità da più parti verso un nuovo impegno. Restano i grandi
fondi sovrani e i capitali dei Paesi emergenti Stiamo forse tirando loro la volata?
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