1. News 24/SSL/2016
Lunedì, 13 Giugno 2016
Installazione e dichiarazione di conformità impianti elettrici impresa comunitaria.
Anche l’oggetto del parere espresso il 1.6.2016, prot. 156625 dal Ministero dello
sviluppo, come quello di cui ci siamo occupati in precedenza riguarda l’installazione
degli impianti elettrici da parte di impresa comunitaria, con la differenza che si
occupa della dichiarazione di conformità degli impianti.
I riferimenti normativi sono gli stessi elencati nel nostro precedente articolo (DLgs
206/2007; DLgs 15/2016), ma, con specifico riferimento all’attività di installazione
degli impianti elettrici. Idecreto Min. dello Sviluppo economico, di concerto con il
Min. dell’Ambiente, 22 gennaio 2008, n. 37*:
1) trova applicazione “con riguardo a tutti gli impianti posti al servizio degli edifici,
indipendentemente dalla destinazione d’uso, collocati all’interno degli stessi o delle
relative pertinenze, e ricompresi nell’ambito delle categorie elencate dal decreto e
tra le quali sono per l’appunto presenti gli impianti di produzione, trasformazione,
trasporto, distribuzione, utilizzazione dell’energia elettrica, gli impianti di protezione
contro le scariche atmosferiche, gli impianti per l’automazione di porte, cancelli e
barriere, gli impianti radiotelevisivi, antenne e impianti elettronici in genere”;
2) trovano applicazione, per effetto dell’art. 5 del regolamento “gli interventi di
installazione, trasformazione ed ampliamento degli impianti, con la sola esclusione di
quelli adibiti al sollevamento di persone o di cose per mezzo di ascensori, di
montacarichi, di scale mobili e simili, debba essere redatto ad opera dell’impresa un
progetto, mentre al termine dei lavori, previa effettuazione delle verifiche previste
dalla normativa vigente, comprese quelle di funzionalità dell’impianto”.
Per l’applicazione di cui al 2) l’impresa installatrice è tenuta** a rilasciare al
committente una dichiarazione che attesti la conformità degli impianti realizzati alle
disposizioni normative e regolamentari vigenti.
Se l’impresa intende affidare queste attività ad un prestatore stabilito in altro Stato
membro dell’Unione europea “è necessario che lo stesso prestatore, prima
dell’effettuazione degli interventi richiestigli e tenendo conto dei tempi di istruttoria,
invii alla Direzione generale. Divisione VI del Ministero dello sviluppo economico, la
dichiarazione preventiva di cui all’articolo 10 del decreto legislativo 9 novembre
2007, n. 206”, corredata dai prescritti documenti e dichiarazioni.
2. Il prestatore deve anche informare della sua prestazione l’ente di previdenza
obbligatoria competente per la professione esercitata. (Articolo di Enzo Gonano)
* Regolamento concernente l’attuazione dell’articolo 11-quaterdecies, co. 13, lett. a) della L 248
2005, “riordino delle disposizioni in materia di attività di installazione degli impianti all’interno degli
edifici”.
** Ai sensi dell’art. 7 del regolamento.
Info: (Olympus) Ministero Sviluppo Economico parere n.156625 1° giugno 2016
Fonte: quotidianosicurezza.it
Rischi, igiene, sicurezza, prevenzione piscine, nuovo Quaderno Inail.
ROMA – Piscine. È questo l’argomento dell’ultimo Quaderno per la Salute e la
sicurezza pubblicato da Inail, quaderno che riporta indicazioni sulla normativa
corrente nazionale e regionale, i rischi da agenti fisici chimici e microbiologici e la
prevenzione, gli elementi di controllo, al fine di informare sia i responsabili e il
personale delle piscine, che gli utenti.
Norme e Accordi
Il Quaderno aggiorna e rivede una precedente versione dello stesso pubblicata nel
2005. Partendo dalla descrizione del nuoto come pratica sportiva e dalla
classificazione delle piscine, arriva ad affrontare gli infortuni, le leggi, i requisiti di
sicurezza e igienico sanitari, ambientali, il primo soccorso, i controlli.
Sia per i frequentatori che per i bagnanti gli infortuni più frequenti sono dovuti a
cadute e scivolamenti: sono “lesioni dell’apparato scheletrico; fratture del cranio,
lacerazione del timpano; fratture al tratto cervicale, dorsale, lombare, osso sacro,
coccige; fratture al bacino, al torace; fratture agli arti superiori (braccio,
avambraccio, polso e mano);fratture agli arti inferiori (femore, tibia, perone,
piede); lesioni dentarie; lesioni muscolo-tendinee”. I pericoli che possono essere
connessi all’ambiente piscina sono quindi l’annegamento, i traumi da impatto,
l’esposizione ad agenti fisici come freddo e caldo, contatto inalazione o ingestione
di patogeni, virus, agenti chimici.
A monte nella normativa italiana, o meglio regionale, per quanto riguarda i requisiti
igienico-sanitari delle piscine troviamo l’Accordo Stato Regioni “aspetti igienico-
sanitari per la costruzione, la manutenzione e la vigilanza delle piscine ad uso
natatorio” (che ricordiamo è attualmente oggetto di revisione, con proposta del
Ministero della Salute ora in consultazione pubblica prima del vaglio della Stato
Regioni) e il successivo e conseguente Accordo 16 dicembre 2004 tra le Regioni e le
3. Province autonome di Trento e di Bolzano sulla disciplina interregionale delle piscine.
Entrambi gli accordi non hanno forza di legge, “ma costituiscono un preciso
impegno politico e istituzionale, già condiviso sul piano tecnico”, e sono stati la base
di leggi regionali che attraverso essi hanno sviluppato norme su:
“definizione; classificazione; campo di applicazione e finalità; dotazione di
personale, attrezzature e materiali; controlli interni; controlli esterni; sanzioni; regime
transitorio; requisiti igienico-ambientali di competenza del Ministero della salute”.
Tutte le leggi regionali sono elencate nel Quaderno Inail e sono affiancate
dall’indicazione delle Norme CONI per l’impiantistica sportiva (2008) che riportano
indicazioni non obbligatorie “per la realizzazione di impianti dove si svolgono attività
sportive non normate dalle Federazioni, come ad esempio gli impianti per il fitness, il
percorso vita ed i parchi acquatici”; e da tutte la norme tecniche elaborate da UNI
negli anni.
Utenti personale e sicurezza
Si parla di frequentatori, bagnanti, numero massimo ammissibile, quindi vengono
passati in rassegna i compiti di due figure centrali che devono essere nominate dal
titolare. Il responsabile della piscina e l’assistente bagnanti. Con il titolare che può
scegliere di essere egli stesso il responsabile.
Requisiti dell’impianto: “Le piscine a uso natatorio sono contemporaneamente
luogo di lavoro per gli operatori e di vita per gli utenti. Per le loro caratteristiche di
ambienti circoscritti e, in alcuni casi, affollati, rappresentano siti dove il rischio
più rilevante è quello di carattere igienico-sanitario. L’acqua in vasca, come anche
le superfici degli spazi perimetrali, i percorsi a piedi nudi, gli spogliatoi e gli stessi
impianti idrici dei servizi, possono infatti rappresentare una via di trasmissione di
infezioni e malattie sostenute da microrganismi che, in condizioni ambientali
favorevoli, possono sopravvivere e moltiplicarsi”.
Vengono descritti i rischi derivanti dalla manutenzione e dalla temperatura
dell’acqua, i requisiti delle acque (riempimento, approvvigionamento, immissione,
scarico, tracimazione, il rinnovo), il campionamento, i trattamenti (ricircolo,
filtrazione, disinfezione, ancora il rinnovo), i requisiti igienico ambientali (temperatura,
umidità, velocità dell’aria, ricambio d’aria, illuminazione rumore) e ancora, i requisiti
di sicurezza e controlli.
“II decreto ministeriale del 18 marzo 1996 Norme di sicurezza per la costruzione e
l’esercizio degli impianti sportivi, coordinato con le modifiche e le integrazioni
introdotte dal decreto ministeriale del 6 giugno 2005,
prevede che i titolari degli impianti siano responsabili dell’attuazione e del
mantenimento delle condizioni di sicurezza, a garanzia dell’incolumità del pubblico,
4. degli atleti e del personale addetto. I titolari possono essere configurati sia nei
proprietari della struttura sia nei gestori della stessa con responsabilità di: valutazione
del rischio; predisposizione e redazione del piano di sicurezza; predisposizione e
redazione del piano di emergenza; nomina del personale addetto alla sicurezza
dell’impianto; formazione e informazione degli addetti agli impianti; effettuazione e
registrazione di controlli periodici del corretto funzionamento.
Pertanto, il responsabile della piscina, ai sensi del D.Lgs. 81/2008 e successive
modifiche, deve redigere il Documento di valutazione dei rischi che tenga conto
di: potenziali rischi igienico-sanitari; punti o fasi in cui si possono verificare i
rischi; misure preventive da adottare; sistema di monitoraggio; azioni
correttive; verifiche del piano di sicurezza ed emergenza; aggiornamento delle
procedure dei sistemi di prevenzione e protezione, dei soggetti coinvolti in tali
procedure, con definizione di incarichi specifici; procedure di attuazione; mansioni a
rischio che richiedono un’idoneità professionale”.
Da ciò i controlli interni, esterni, il registro dei requisiti tecnico-funzionali, il registro dei
controlli dell’acqua, la nomina dei “soggetti responsabili dell’igiene, della
funzionalità, della sicurezza degli impianti e dei bagnanti, sulla base delle figure
professionali individuate dalle Regioni”.
Uno degli ultimi capitoli del Quaderno infine è dedicato alla normativa sugli scivoli
acquatici (UNI, pendenza, altezza, superficie scivolo, carichi), mentre l’appendice è
riservata alla norma Norma CEI 64-8:2012 parte 7, “Ambienti speciali” e agli impianti
elettrici. (Articolo di Corrado De Paolis)
Info: Inail Quaderni per la sicurezza – Le piscine
Fonte: quotidianosicurezza.it
Società di capitali: servizio di prevenzione e medico competente.
Un intervento si sofferma sulle specificità normative riguardo ai servizi di prevenzione
e protezione dai rischi e ai medici competenti nelle organizzazioni complesse, ad
esempio nei casi di aziende con più unità produttive o di gruppi d’imprese.
Urbino, 10 Giu – Non è sempre facile comprendere come la normativa sulla tutela
della salute e sicurezza si applichi alle organizzazioni complesse e si articoli in
relazione alla dimensione aziendale. Quali sono, ad esempio, le specificità
5. normative riguardo al servizio di prevenzione e protezione e al medico
competente nelle organizzazioni complesse?
Per rispondere in parte a questa domanda ci soffermiamo su un intervento di Chiara
Lazzari (Ricercatrice di Diritto del lavoro nell’ Università di Urbino Carlo Bo) al
convegno di studi su «La sicurezza sul lavoro nella galassia delle società di capitali»
che si è tenuto nell’Università di Urbino il 14 novembre 2014. Un intervento raccolto,
insieme agli altri atti del convegno, nel Working Paper, pubblicato da Olympus nel
mese di dicembre 2015, dal titolo “ La sicurezza sul lavoro nella galassia delle società
di capitali - Atti del Convegno di Studi - Urbino - 14 novembre 2014” e a cura di Piera
Campanella e Paolo Pascucci (professori ordinari di Diritto del lavoro nell’Università
di Urbino Carlo Bo).
L’intervento di Chiara Lazzari – intitolato “Il servizio di prevenzione e protezione dai
rischi ed il medico competente” – si è tenuto durante il secondo Focus del
convegno dal titolo “Problematiche applicative del d.lgs. n. 81/2008 nelle società e
nei gruppi di imprese”.
L’intervento ricorda innanzitutto che in ragione delle “peculiarità delle organizzazioni
complesse”, il d.lgs. n. 81/2008 “ammette – con una previsione innovativa e di sicura
rilevanza quale l’art. 31, comma 8 – l’istituzione, in presenza di aziende con più unità
produttive, di un unico servizio di prevenzione e protezione dai rischi (d’ora in poi:
SPP)”. In questo modo “nelle imprese di maggiori dimensioni, che possono anche
assumere la forma di società di capitali, al datore di lavoro è consentito scegliere se
organizzare il SPP a livello di singola unità produttiva o – specie nei casi di difficile
valutazione dell’autonomia finanziaria e tecnico-funzionale di quest’ultima – di
azienda” (art. 31, comma 1: …il datore di lavoro organizza il servizio di prevenzione e
protezione prioritariamente all’interno della azienda o della unità produttiva...)
E – continua la relatrice – “analoga possibilità è riconosciuta nell’ipotesi dei ‘gruppi
di imprese’”. E questo malgrado siano assenti definizioni e precisazioni sulle
caratteristiche dei gruppi. Sembra tuttavia ragionevole “ritenere che la formula in
questione possa innanzitutto riferirsi – beninteso ai fini dell’applicazione dell’art. 31,
comma 8, d.lgs. 81/2008 – alle società controllate e collegate ai sensi dell’art. 2359
c.c.”.
Ricordiamo che l’art. 2359 c.c. indica che ‘sono considerate società controllate: 1)
le società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili
nell’assemblea ordinaria; 2) le società in cui un’altra società dispone di voti sufficienti
6. per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria; 3) le società che
sono sotto influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli
contrattuali con essa. Ai fini dell’applicazione dei numeri 1) e 2) del primo comma si
computano anche i voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a
persona interposta: non si computano i voti spettanti per conto di terzi. Sono
considerate collegate le società sulle quali un’altra società esercita un’influenza
notevole. L’influenza si presume quando nell’assemblea ordinaria può essere
esercitato almeno un quinto dei voti ovvero un decimo se la società ha azioni
quotate in mercati regolamentati’.
Inoltre al di fuori del fenomeno societario, “potrebbe ipotizzarsi il caso di imprese, per
l’appunto non organizzate in forma di società, connesse da vincoli negoziali (come,
ad esempio, quelli derivanti dalla conclusione di contratti d’appalto o di
somministrazione ovvero di rete, oppure dalla costituzione di consorzi) e da
un’interazione operativa tale da giustificare l’istituzione di un unico SPP. Ciò,
però, purché – e l’osservazione sembra valere altresì per le aggregazioni societarie
ai sensi della normativa codicistica –, le attività svolte siano di analoga specie o
comunque tecnicamente e funzionalmente collegate, al fine di evitare che, in
presenza di rischi troppo eterogenei, l’adozione dello stesso modello organizzativo
possa compromettere la finalità preventiva del servizio”.
L’intervento si sofferma sulla locuzione ‘funzionalmente collegate’: la materia della
sicurezza sul lavoro si avvale spesso “a fini definitori di canoni funzionalistici: valga
per tutti l’esempio delle nozioni di datore di lavoro e lavoratore contenute nel d.lgs.
n. 81/2008, con cui si individuano i due poli della relazione di sicurezza ricorrendo
essenzialmente a criteri di tipo sostanziale-funzionale, ritenuti maggiormente idonei
di quelli giuridico-formali rispetto alle finalità di tutela perseguite dall’ordinamento”.
L’art. 31, comma 8, continua poi affermando che i datori di lavoro “possono
rivolgersi alla struttura unitaria per l’istituzione del servizio e per la designazione degli
addetti e del responsabile”. Ma tale precisazione “appare tutt’altro che chiara,
tanto che, secondo un’opinione, essa lascerebbe pensare alla necessità di
organizzare in ogni caso un SPP per ogni unità produttiva o impresa del gruppo”. E
secondo tale linea interpretativa si può arrivare alla conclusione secondo cui “i
datori di lavoro delle singole unità produttive o imprese, anziché procedere
direttamente, secondo i principi generali, alla designazione del RSPP ed alla
costituzione del servizio a livello locale, potrebbero rivolgersi, per ricevere assistenza
7. in relazione a tali adempimenti, alla struttura centralizzata, a cui, pertanto, sarebbe
da riconoscere una posizione sovraordinata rispetto ai servizi periferici, oltre che
funzioni di impulso e coordinamento dei medesimi in ordine alle politiche di sicurezza
aziendale. L’interpretazione appare sicuramente apprezzabile, nella misura in cui l’
istituzione del SPP unico consentirebbe allo stesso di assumere un ruolo di guida
tanto nella programmazione delle politiche aziendali di prevenzione, quanto nella
loro attuazione uniforme a livello decentrato, ad esempio attraverso la
predisposizione di linee guida o di atti di indirizzo 15, verosimilmente da condividere
nell’ambito della riunione periodica di cui all’art. 35 del d.lgs. n. 81/2008”.
Tuttavia questa interpretazione “non convince del tutto”, perché “alla norma
parrebbe sottesa una finalità di semplificazione che mal si concilia con la
duplicazione di servizi (in sede centralizzata e locale), e connessi responsabili,
presupposta da tale opzione”. E si ricorda che “in ragione delle rilevanti
conseguenze” che deriverebbero, “l’assegnazione, alla nuova struttura, di un ruolo
siffatto avrebbe verosimilmente richiesto almeno una qualche attenzione, da parte
del legislatore, ai compiti specifici – ed aggiuntivi rispetto a quelli usuali – ad essa
riconosciuti, di cui, invece, non v’è traccia”.
E quest’ultima osservazione – continua la relatrice - pare trovare conferma anche
“considerando la disposizione che consente al datore di lavoro, nei casi di aziende
con più unità produttive o di gruppi d’imprese (nonché qualora la valutazione dei
rischi ne evidenzi la necessità), di nominare più medici competenti, individuandone
tra essi uno con funzioni di coordinamento (art. 39, comma 6 del d.lgs. n. 81/2008)”.
E in realtà in un confronto con quanto previsto in tema di SPP la normativa sembra
realizzare un “processo di segno inverso”. Se in tema di SPP al datore “è concessa la
possibilità di centralizzare il servizio, anziché procedere ad una sua ‘moltiplicazione’;
qui, all’opposto, gli si consente di designare più medici, attribuendo ad uno di essi
un ruolo di coordinamento, come riconosciuto anche dalla giurisprudenza”. E
questa scelta potrebbe dare un argomento ulteriore per concludere – “a proposito
del dibattito in ordine alle funzioni da assegnare al SPP unico, se, cioè, sostitutive dei
singoli SPP od integrative dei medesimi, in un’ottica, per l’appunto, di
coordinamento degli stessi – che, laddove il legislatore ha voluto seguire
quest’ultima opzione, lo ha esplicitamente detto”, come nell’ipotesi relativa ai
medici competenti.
In definitiva “sembrerebbe più plausibile ritenere che il legislatore” abbia voluto
ribadire che, nei casi individuati dall’art. 31, comma 8, “gli adempimenti relativi alla
8. costituzione ed al funzionamento del SPP possono essere assolti tramite il ricorso al
servizio unico, chiamato, in questa prospettiva, a svolgere in via sostitutiva le funzioni
tipiche delle strutture che, altrimenti, si sarebbero dovute costituire a livello
periferico”.
E in quest’ottica, parrebbe muoversi anche l’interpretazione ministeriale (con
riferimento ad una risposta del Ministero del Lavoro ad un quesito del 30 marzo 2010)
per la quale ‘nel caso di gruppi di imprese non solo è ammessa la facoltà ai vari
datori di lavoro di delegare alla società capogruppo il compito di istituire il servizio
di prevenzione e protezione ma anche la possibilità, per tutte le aziende collegate,
di utilizzare tale servizio istituito da uno dei datori di lavoro delle aziende
appartenenti al gruppo stesso’, ferma restando, tuttavia, ‘anche in tali ipotesi, la
necessità di rispettare le previsioni di cui ai commi 6 (con riferimento alla necessità di
istituire un servizio di prevenzione e protezione interno a ciascuna struttura di
riferimento ove ricorrano le condizioni ivi indicate) e comma 7 dell’articolo 31’.
Finiamo l’articolo invitando alla lettura integrale dell’intervento che riporta, in
conclusione, anche alcune riflessioni relative alla posizione ministeriale come
espressa nel 2010.
Riflessioni in cui si sottolinea, ad esempio, che “vale il principio generale per cui il
servizio deve risultare comunque adeguato rispetto alle caratteristiche dell’azienda
ed ai rischi presenti (arg. specialmente dall’art. 31, comma 2), così da garantire
l’effettività dello svolgimento delle funzioni istituzionali ad esso attribuite dall’art. 33”.
Il che – ferma restando la sua unicità a livello centrale – “potrebbe rendere
necessaria un’articolazione interna del medesimo”. Un’articolazione in grado di
assicurare, “da un lato, la conoscenza diretta delle diverse realtà aziendali o delle
singole unità produttive, le quali possono anche essere topograficamente dislocate
in luoghi differenti; e, dall’altro, una circolazione delle informazioni relative alle
potenzialità rischiose delle stesse, utile in un’ottica di coordinamento”.
(Articolo di Tiziano Menduto)
Olympus - Osservatorio per il monitoraggio permanente della legislazione e giurisprudenza sulla
sicurezza del lavoro, “ La sicurezza sul lavoro nella galassia delle società di capitali - Atti del
Convegno di Studi - Urbino - 14 novembre 2014”, a cura di Piera Campanella e Paolo Pascucci -
professori ordinari di Diritto del lavoro nell’Università di Urbino Carlo Bo - Working Paper di Olympus
44/2015 inserito nel sito di Olympus il 31 dicembre 2015 (formato PDF, 2.56 MB).
Fonte: puntosicuro.it
9. La non responsabilità del CSE per l’infortunio in cantiere.
Per individuare la responsabilità del CSE per un infortunio in cantiere occorre
verificare se si è trattato di un accidente contingente scaturito dallo sviluppo dei
lavori o se riconducibile alla configurazione complessiva della lavorazione.
Torna la Corte di Cassazione in questa sentenza ad occuparsi di un argomento sul
quale si dibatte molto nelle aule giudiziarie e sul quale la stessa Corte non sembra
avere trovato un indirizzo univoco, fra la richiesta di una presenza frequente in
cantiere e quella “momento per momento” e fra la funzione di ”alta vigilanza”
finalizzata al coordinamento delle imprese e quella della vigilanza anche “minuta”
sull’applicazione delle norme di salute e sicurezza sul lavoro, e cioè l’argomento
riguardante la individuazione della responsabilità del coordinatore per la sicurezza in
fase di esecuzione per un infortunio occorso in un cantiere edile sottoposto al suo
controllo. Per comprendere se per un evento dannoso accaduto in un cantiere, ha
sostenuto la suprema Corte, è coinvolta la responsabilità del coordinatore per la
sicurezza occorre analizzare le caratteristiche del rischio dal quale è scaturito
l’evento infortunistico, occorre cioè comprendere se si tratti di un accidente
contingente, scaturito estemporaneamente dallo sviluppo dei lavori e come tale
affidato alla sfera di controllo del datore di lavoro o del suo preposto oppure se,
invece, l’evento stesso sia riconducibile alla configurazione complessiva, di base,
della lavorazione, ambito riservato allo stesso coordinatore per la sicurezza, il che
non implica, normalmente, una sua continua presenza nel cantiere con il ruolo di
controllo sulle contingenti lavorazioni in corso.
Nel caso in esame, in particolare, la Corte di Cassazione ha annullata la sentenza di
condanna del coordinatore per la sicurezza perché il fatto non sussiste essendo
emerso che l’evento per il quale era stato condannato nei primi gradi di giudizio era
sottratto alla sua sfera di controllo ed alla sua funzione di "alta vigilanza" attribuitagli
ed era invece ricompreso in quella del datore di lavoro o del suo preposto. La stessa
Corte, di converso, ha riconosciuta la responsabilità del capocantiere annullando
comunque la sentenza di condanna emanata nei suoi confronti per essere il reato
estinto per prescrizione.
Il fatto e il ricorso in Cassazione
10. Il coordinatore per la sicurezza ed il capocantiere di un’impresa edile hanno
proposto, per il tramite dei rispettivi difensori, ricorso per Cassazione avverso la
sentenza della Corte di Appello a conferma della sentenza del Tribunale con la
quale gli stessi sono stati ritenuti responsabili del reato di cui agli art. 41, 113, 590
comma 2 e 3 c.p. perché, con condotte indipendenti ma convergenti fra loro,
hanno cagionato al dipendente di una ditta appaltatrice lesioni gravissime dalle
quali derivava l’amputazione dell’arto inferiore sinistro, per colpa consistita in
negligenza, imprudenza imperizia e nella violazione delle norme per la prevenzione
degli infortuni (art. 5 comma 1 lett. c), 12 del D. Lgs. 494/96 e art. 4 del D. Lgs. 626/94.
Come risultato dalla ricostruzione dei fatti effettuata dai giudici di merito, l’infortunio
sul lavoro si era verificato nel corso dei lavori di straordinaria manutenzione con
adeguamento delle protezioni laterali di un tratto di strada affidati alla ditta
appaltatrice.
La mattina dell’infortunio, in particolare, dovendosi effettuare il getto e la posa in
opera del calcestruzzo all’interno di uno scavo del cantiere, il dipendente di
un’impresa fornitrice del nolo a caldo di calcestruzzo, aveva posizionato
l’autobetoniera a circa 50-60 cm dal ciglio della scavo da colmare, in posizione
parallela ad esso. Prima dell’inizio delle operazioni, due lavoratori dipendenti
dell’impresa appaltatrice si erano portati sul ciglio dello scavo, sul lato destro della
betoniera, dando le spalle ad essa, per sistemare le gabbie di ferro poste all’interno
dello scavo. Poiché la presenza della betoniera intralciava l’operazione l’autista del
mezzo, su richiesta dello stesso lavoratore infortunato, lo ha spostato, guardando
negli specchietti retrovisori, senonché le ruote del secondo asse hanno schiacciato
la gamba sinistra dell’infortunato che, dalla posizione prona sul ciglio dello scavo,
aveva allungato la gamba al di sotto della betoniera per fare leva sulla ruota ed
avere maggiore forza nel sistemare la gabbia di ferro. L’autista ha riferito che, al
momento dello spostamento del mezzo, non era presente alcun operaio a terra per
aiutarlo a dirigere la manovra, quindi egli si era basato solo sugli specchietti
retrovisori che, per sua stessa ammissione, non offrivano una completa visuale del
mezzo.
Il PSC e il POS avevano previsto compiutamente, fra i rischi connessi alle lavorazioni,
anche quello relativo alla posa in opera di armatura di acciaio e del getto di
calcestruzzo prevedendo, quali misure di protezione, l’impiego, durante l’uso dei
mezzi di lavoro, di un lavoratore a terra per le operazioni di retromarcia o comunque
di difficile esecuzione, in caso di manovre con limitata visibilità o in spazi ristretti.
11. I giudici di merito hanno addebitata la responsabilità dell’accaduto al
capocantiere preposto alla sicurezza per conto del datore di lavoro per la mancata
attuazione dei programmi di informazione dei lavoratori, la cui omissione aveva
determinato il mancato coordinamento fra i lavoratori impegnati nella operazione
sui tempi e modalità di movimentazione della betoniera da cui era scaturito
l’incidente. Hanno però attribuita la responsabilità anche al coordinatore per la
sicurezza in fase di esecuzione dei lavori che svolgeva una funzione che gli
imponeva l’osservanza degli obblighi di assicurare la cooperazione e il
coordinamento delle attività fra le imprese operanti nel cantiere e la loro reciproca
informazione, nonché di verificare l’osservanza delle prescrizioni stabilite nei piani di
sicurezza.
Il coordinatore per la sicurezza ha basata la sua difesa sostenendo che il
coordinatore per l’esecuzione svolge un’attività di alta vigilanza da non confondersi
con quella operativa demandata al datore di lavoro e alle figure dal predetto
incaricate, quali il preposto e il dirigente, ed ha una funzione riguardante la
generale configurazione delle lavorazioni che non richiede una puntuale, stringente
vigilanza sulla osservanza delle misure di sicurezza, demandata ad altre figure.
Secondo lo stesso l’attività dalla quale era scaturito l’incidente, e cioè il getto e la
posa in opera del calcestruzzo, era un’attività tipica, compiutamente disciplinata
dai piani di sicurezza con la prescrizione di opportune cautele in forza delle quali le
operazioni di movimentazione dei mezzi dovevano essere effettuate sotto la guida
di un responsabile che doveva rimanere fuori dai mezzi in modo da dirigere la loro
movimentazione per cui ha sostenuto di non comprendere quale addebito gli
potesse essere mosso, posto che egli, nella sua qualità, aveva solo l’obbligo di
verificare l’idoneità del POS, di adeguare eventualmente il PSC in relazione
all’evoluzione dei lavori e alle modifiche intervenute durante le fasi della lavorazione
e di vigilare sulla osservanza delle misure di sicurezza previste nel PSC da parte dei
datori di lavoro. Difatti, l’intervento del coordinatore per la sicurezza, ha sostenuto
ancora, si concretizza ad un livello più generale ed è rivolto ai datori di lavoro delle
imprese esecutrici mentre l’obbligo di informazione e di formazione dei lavoratori, al
pari dell’obbligo di vigilare e sovraintendere sull’esatta attuazione ed adozione da
parte di costoro delle misure di sicurezza grava sul datore di lavoro e, per lui, sul
preposto. Peraltro dall’istruttoria era emerso che durante la fasi di lavorazione del
calcestruzzo i movimenti del mezzo erano in concreto guidati da un uomo a terra
come prescritto nel PSC.
12. Il capocantiere, invece, a sua difesa ha sostenuto che l’incidente si era verificato
non durante la normale lavorazione, che si articolava nelle fasi della collocazione
della gabbie di ferro nello scavo e della successiva operazione di getto del
calcestruzzo dalla betoniera, fasi che richiedevano, secondo la previsione dei piani
di sicurezza, la presenza di personale a terra per il controllo della movimentazione
del mezzo. Esso si è verificato per il comportamento del lavoratore infortunato che in
modo del tutto estemporaneo si è portato sul ciglio dello scavo per sistemare una
gabbia che non era stata ben allocata e che di sua iniziativa ha chiesto lo
spostamento del mezzo che nel muoversi lo ha investito.
Le decisioni della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha ritenuto fondato il ricorso del coordinatore ed ha invece
rigettato quello presentato dal capocantiere. La suprema Corte ha tenuto a
precisare che normalmente è il datore di lavoro il personaggio che riveste una
posizione di vertice nel sistema della sicurezza, in quanto titolare del rapporto di
lavoro e al contempo titolare dell’impresa esecutrice dei lavori, con compiti quindi
organizzativi ed economici inerenti l’attività dell’impresa che lo vedono
direttamente coinvolto anche nella predisposizione ed osservanza delle misure
antinfortunistiche. È ragionevole comunque, ha ancora sostenuto la suprema Corte,
che anche il committente, che ha assunto l’iniziativa della realizzazione dell’opera,
provvedendo a programmarla e a finanziarla, assuma una quota di responsabilità in
materia di prevenzione antinfortunistica collocandosi accanto al datore di lavoro
nella titolarità degli obblighi di protezione, con la possibilità di demandarli ad altra
figura, questa ausiliaria, del responsabile dei lavori, anziché occuparsene
direttamente e, per gli aspetti tecnici delle competenze facenti capo a lui in
materia antinfortunistica, a figure specializzate distinte per la fase della
progettazione e della realizzazione, che sono appunto il coordinatore per la salute e
sicurezza in fase di progettazione e il coordinatore per la salute e sicurezza in fase di
realizzazione.
Trattasi di figure, quelle dei coordinatori per la sicurezza, ha proseguito la suprema
Corte, le cui posizioni di garanzia non si sovrappongono a quelle degli altri soggetti
responsabili nel campo della sicurezza sul lavoro, ma ad esse si affiancano per
realizzare, attraverso la valorizzazione di una figura unitaria con compiti di
coordinamento e controllo, la massima garanzia dell’incolumità dei lavoratori. Senza
dubbio comunque, il ruolo centrale per ciò che attiene alla sicurezza del cantiere è
13. affidato al datore di lavoro che organizza e gestisce la realizzazione dell’opera
essendo gravato da plurimi, tipici obblighi che la legge gli ha assegnato..
Per quanto riguarda il coordinatore per l’esecuzione, in quanto diretta
promanazione del committente, “anch’egli titolare di una posizione di garanzia ma
non così pregnante e diretta come quella del datore di lavoro-appaltatore, la
funzione costantemente riconosciutagli nelle pronunce della Suprema Corte, anche
sulla base del contenuto dei compiti assegnatigli dalla normativa di settore (art. 5
d.lvo n. 494/1996), viene qualificata come funzione di ‘alta vigilanza’, nettamente
distinta da quella operativa riconosciuta invece al datore di lavoro e ai suoi
collaboratori, ovvero il dirigente e il preposto”.
Dalle attribuzioni contenute nelle disposizioni di legge si evince difatti che “al
coordinatore non è demandata un’attività di controllo diretto e continuo del
cantiere circa l’adozione ed osservanza delle misure di prevenzione previste nel
PCS. La sua funzione è quella di correlarsi con i datori di lavoro delle imprese
esecutrici e di vigilare sulla attuazione da parte di costoro delle misure e prescrizioni
antinfortunistiche previste nel PCS e nel documento di valutazione dei rischi e sulle
prescrizioni del piano di sicurezza (POS) di competenza del datore di lavoro”.
Secondo la Sez. VI, così come più volte è stato affermato dalla Corte di Cassazione,
“la funzione di alta vigilanza del coordinatore per la sicurezza, nei termini sopra
illustrati, riguarda la generale configurazione delle lavorazioni, e non anche il
puntuale controllo, momento per momento, delle singole attività lavorative, che è
demandato ad altre figure operative (datore di lavoro, dirigente, preposto); di
conseguenza essa ha ad oggetto quegli eventi riconducibili alla configurazione
complessiva, di base, della lavorazione e non anche gli eventi contingenti, scaturiti
estemporaneamente dallo sviluppo dei lavori medesimi e, come tali, affidati al
controllo del datore di lavoro e del suo preposto”.
Alla luce di tali principi, quindi ha precisato che “per comprendere se l’evento
dannoso coinvolga la responsabilità del coordinatore, occorre analizzare le
caratteristiche del rischio dal quale è scaturita la caduta. Occorre cioè
comprendere se si tratti di un accidente contingente, scaturito
estemporaneamente dallo sviluppo dei lavori, come tale affidato alla sfera di
controllo del datore di lavoro o del suo preposto; o se invece l’evento stesso sia
riconducibile alla configurazione complessiva, di base, della lavorazione, ambito
14. riservato al coordinatore per la sicurezza; il che non implica, normalmente, la
continua presenza nel cantiere con ruolo di controllo sulle contingenti lavorazioni in
corso”.
È evidente, ha sottolineato ancora la suprema Corte, che l’incidente si è verificato
per un estemporaneo e contingente sviluppo dei lavori, come tale non previsto nel
PSC, nel corso di una manovra posta in essere dal lavoratore infortunato
nell’intervallo fra due fasi della lavorazione dello scarico del calcestruzzo, ovvero la
collocazione delle gabbie in ferro nello scavo e il successivo getto di calcestruzzo
tramite la betoniera, e in conseguenza della imprudente posizione assunta
dall’operaio con la gamba posta a contrasto con l’asse delle ruote della betoniera.
Tale sviluppo non attiene alla configurazione di base del lavoro, che prevedeva
genericamente la presenza di un "moviere" a terra per dirigere i movimenti della
betoniera quando essa era in funzione. Discende da ciò che l’evento era sottratto
alla sfera di controllo del coordinatore per la sicurezza e alla funzione di "alta
vigilanza" riconosciutagli ed era invece ricompreso in quella del datore di lavoro o
del suo preposto.
Diversa è stata invece ritenuta dalla Corte di Cassazione la posizione del
capocantiere. Se al coordinatore non può essere rimproverata alcuna omissione in
relazione allo sviluppo contingente ed estemporaneo della lavorazione da cui è
scaturito l’infortunio, ha sostenuto infatti la Sez. VI, lo stesso non può dirsi per il
capocantiere il quale, nella sua qualità di preposto per la sicurezza, aveva l’obbligo
di vigilare sulla puntuale, costante osservanza delle misure di sicurezza da parte dei
lavoratori, anche quando, come nel caso in esame, la mancata adozione della
specifica misura antinfortunistica ha riguardato un anomalo e non previsto sviluppo
della lavorazione, inseritosi nella fase intermedia fra la collocazione delle barre in
acciaio nello scavo e l’inizio del getto a caldo di calcestruzzo tramite la betoniera
già presente in loco. È bene precisare che tale anomalia nello sviluppo dei lavori
non è idonea ad esonerare da responsabilità il capocantiere, il quale è tenuto a
vigilare sulla osservanza delle misure di sicurezza anche nel caso in cui l’incidente si
sia verificato al di fuori dall’ordinario prevedibile e disciplinato sviluppo della
lavorazione. Quindi, come condivisibilmente ritenuto dai giudici di merito, doveva
essere assicurata la presenza di un moviere a terra nelle immediate vicinanze della
macchina, sin dal momento in cui essa veniva portata sul luogo, al fine di poter
dirigere qualsiasi spostamento della betoniera che si fosse reso necessario in
qualunque momento della lavorazione, compresa la fase sistemazione nello scavo
15. delle gabbie di ferro, fatta a mano dagli operai, in vista di quella successiva del
getto a caldo del calcestruzzo. Allo stesso capocantiere peraltro deve essere
addebitata l’inosservanza dell’obbligo di informazione e di formazione dei lavoratori
sui rischi delle lavorazioni, attività facente capo al datore di lavoro e, per esso al
preposto alla sicurezza.
La Corte di Cassazione in definitiva, essendosi comunque prescritto il reato a carico
del capocantiere, ha annullata senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti del
coordinatore perché il fatto non sussiste e quella nei confronti del capocantiere
stesso per essere il reato estinto per prescrizione. (Articolo di Gerardo Porreca)
Fonte: puntosicuro.it