1. La Casa
"Un libro che ricostruisce quello che è successo nella Piazza dei Teatri di Reggio
Emilia il 7 luglio del 1960. È un libro sulla violenza dello stato, ma è anche un libro
sull'educazione dei bambini, ed è anche un libro sulle cose che scompaiono, sulla
memoria, e su come la coltivano in certe isolate comunità che meno male che ci
sono, e su come se ti uccidono un fratello quando hai diciassette anni è un po'
come quando ti nasce un figlio, e poi è anche un libro sull'Emilia, e, tutto sommato,
adesso che ci penso, in un certo senso, se non fosse un'espressione abusata, si
potrebbe anche dire che è un romanzo d'amore. Nel luglio del 1960, a Reggio
Emilia, è successa una cosa inaudita, che è la materia principale che forma questo
romanzo. Mentre ancora lo stavo scrivendo mio fratello, che ha sei anni meno di
me, si è fermato a dormire a casa mia e prima di mettersi a letto ha preso dal tavolo
un libro, «Era il luglio del 1960» dello storico inglese Philip Cooke. Il giorno dopo mi ha detto: «Stanotte
ho letto quel libro lì di Cooke. Sai che è incredibile? Sembrava di essere a Genova»." (Paolo Nori)
Di cosa è fatta la bellezza di una casa, se non della vita di chi la abita? Ma quando
accade che un intero popolo si trovi all'improvviso espropriato delle sue dimore, la
domanda che passa, amara, di bocca in bocca è soltanto una: che fine fa quella
bellezza, e che fine fa l'anima di chi in quelle case, in quei palazzi, in quei giardini,
ci ha vissuto, ci ha pianto e ci ha gioito, per una vita intera? Questa storia ha inizio
nel 1948, quando gli inglesi, partendo da Israele, lasciarono due popoli in lotta: l'uno
con tutto, l'altro con niente. Suad Amiry, palestinese, racconta quella perdita
inestimabile, quella dei muri con dentro le anime, la memoria, i gesti, gli affetti. Muri
a cui oggi, ai vecchi proprietari di sempre, è addirittura proibito avvicinarsi, è
preclusa la vista, la memoria delle sensazioni. Come all'architetto Andoni, che
vorrebbe tornare nell'abitazione che ha progettato e costruito, il "suo gioiello", e
scopre in tribunale di non poterlo fare in quanto "proprietario assente"; o come a Huda, che preferisce
testardamente la cella alla condanna di non poter rientrare nella casa dei genitori. Insieme agli effetti di
un conflitto storico che dura da allora, Suad Amiry, con profonda grazia e humour dissacrante, si
confronta con un tema universale e potente com'è quello della casa, che finisce per coincidere con la
nostra stessa identità, con la nostra stessa, comune, storia.
Trovarsi la casa svaligiata dai ladri è senza dubbio un evento sinistro. Ma se
spariscono anche la moquette, il rotolo della carta igienica, il forno e l'arrosto che
attendeva lo scatto del timer, è palese che non può trattarsi di un semplice furto. E
l'allibita vittima, un avvocato londinese agiato e pedante, ha tutto il diritto di pensare
a una beffa del destino, o a una nuova formula di candid camera. Travolti da una
realtà truce e idiota, l'avvocato e la sua spenta consorte si trovano ad affrontare un
rompicapo di comica suspense, dal quale schizzano fuori colpi di scena turbinosi,
mentre il lettore viene guidato verso un'esilarante catarsi di rara crudeltà.
Incastonando uno straordinario equilibrio di grottesco e oggettivo, di concreto e
assurdo, in un impianto stilistico sopraffino, Kafka è riuscito a creare un capolavoro
letterario senza tempo. La parabola di umiliazione suprema alla quale Gregor
Samsa non può fare a meno di sottostare, dà sfogo ad un intrico di contraddizioni
mai risolte e di vincoli insormontabili nel rantolo senza voce di un insetto;
l'opressione e la repressione familiare, il legame di schiavitù civile col posto di
lavoro, lo scontro silenzioso tra le tensioni individuali e i rigidi schemi di una società
inesorabilmente vicina al collasso, rendono questo gioiello un'incredibile allegoria di
ogni umana vicenda.
2. Una sera di aprile del 1836 giunge in una villa alle pendici del Vesuvio,
accompagnato dal "signor cognato" dell'avvocato Ferrigni, padrone di casa, un
ospite di riguardo. Per lui è stata preparata una stanza con una scrivania
affacciata su una grande finestra, come a casa di suo padre. Ma chi è costui?
Pochi indizi, sapientemente seminati nel testo, ne fanno intuire l'identità. È un
uomo malato, sofferente, che sorride pacato e ama ascoltare racconti, leggende
e canti di villanelle. È un poeta. Durante un soggiorno a Pisa ha sentito il suo
cuore, che credeva morto, ridestarsi all'amore e poi di nuovo essere sconfitto dal
pensiero della morte. Ama tornare col ricordo ai tempi passati, non solo quelli
della sua giovinezza, ma quelli dell'umanità, e persino dell'universo. Le
conversazioni che intrattiene riconducono a stretta e inevitabile lucidità senza costringersi a felicità
esteriori.
La storia di una solitudine individuale di fronte all'impegno civile e storico; la
contraddizione da risolvere tra vita in campagna e vita in città, nel caos della
guerra; il superamento dell'egoismo attraverso la scoperta che ogni caduto somiglia
a chi resta e gliene chiede ragione. "Ora che ho visto cos'è la guerra civile, so che
tutti, se un giorno finisse, dovrebbero chiedersi: "E dei caduti che facciamo? Perché
sono morti?" Io non saprei cosa rispondere. Non adesso almeno. Né mi pare che
gli altri lo sappiano. Forse lo sanno unicamente i morti, e soltanto per loro la guerra
è finita davvero". La grande intuizione delle ultime pagine de "La casa in collina"
sarà ripresa e portata alle estreme conseguenze artistiche e morali nell'altro grande
libro di Cesare Pavese, "La luna e i falò".
Elizabeth, lasciata la famiglia e l'Irlanda per una vita più autonoma, deve ritornare a
Dublino perché la madre è gravemente malata. Quando varca la soglia della casa
materna si trova in una situazione del tutto inattesa: davanti a sé non ha più
l'energica e sagace antagonista di sempre, bensì una fragile creatura a cui è stata
sottratta ogni possibilità di comunicare con gli altri. Finché Beth non scopre le
lettere che l'anziana donna, alle prime, inequivocabili avvisaglie della malattia,
aveva lasciato perché fossero ritrovate proprio da lei, la figlia con cui voleva ricucire
un rapporto dolorosamente interrotto anni prima... Beth intraprende un travagliato
viaggio interiore che la porterà non solo a conoscere davvero sua madre e a
ristabilire un dialogo con il fratello James, ma anche, finalmente, ad accettare se
stessa come figlia e come donna.
"È tutto accaduto, più o meno". È l'incipit di un grande romanzo e peccato sia stato
già scritto da Kurt Vonnegut, perché sarebbe l'attacco ideale per questa storia.
Anzi, per queste storie. I due protagonisti - e autori - sono fratelli ma non si
frequentano molto, forse nemmeno si sopportano molto. Vite diverse, caratteri
diversi e forse anche qualche lontano rancore, lasciati covare sotto la cenere per
troppo tempo. Adesso però gli tocca stare insieme, almeno per qualche ora:
devono dare un'ultima occhiata alla casa di villeggiatura della loro infanzia - la casa
nel bosco - prima di consegnare le chiavi al nuovo proprietario. Sembra solo un
adempimento banale anche se un po' triste e invece diventa l'occasione, inattesa e
sorprendente, per un viaggio nella memoria, per una riconciliazione, per un
inventario buffo e struggente di oggetti, luoghi, odori, storie e soprattutto sapori. In una sequenza di
dialoghi fulminanti, comici e commoventi, Gianrico e Francesco Carofiglio (rigorosamente disposti in
ordine di anzianità) percorrono il crinale sottile che divide affetto e rivalità, divertimento e malinconia,
nostalgia e disincanto. Un memoir a quattro mani che racconta di amicizie perdute, di amori rubati, di
vecchi fumetti e di torte di ricotta. Un ricettario, non solo metaforico, dell'infanzia, dell'adolescenza e di
un'età adulta ancora capace di riservare sorprese.
3. La luce del tramonto colora di rosso la siepe intorno alla veranda. I piatti sul tavolo
di ferro battuto sono quasi vuoti, e tutt'intorno aleggia ancora un profumo denso di
enchiladas, pollo arrosto e pomodori grigliati. Kate inala ricordi e si guarda intorno.
Oggi è un giorno speciale, la fine di un anno difficile e pieno di dolore, e le sue
amiche sono lì, riunite accanto a lei per festeggiare la sua forza e il suo coraggio.
Tutte loro nascondono un regalo inaspettato. Una sorpresa e una sfida. Una
settimana di rafting in una profondissima gola del Grand Canyon. Kate è molto
impaurita, ma accetta. A un patto, però. Ognuna delle sue amiche, nel corso
dell'anno a venire, dovrà fare qualcosa che la terrorizza o che non vorrebbe mai
affrontare. Qualcosa di difficile, forse impossibile, ma che le può aiutare a ritrovare
la strada per il sogno, anche se sembra perduta. Come Caroline, una libraia che non riesce a disfarsi
dei libri dell'ex marito; o Daria, che deve inventare una nuova ricetta per il pane e per la sua vita; Sara,
che decide di perdersi tra le calli di Venezia per ricordare com'è il gusto dell'avventura; Hadley, che
prendendosi cura del suo giardino deve scoprire la pianta giusta per curare la sua anima. Tutte quante
devono mettersi in gioco e superare sé stesse. Una storia sulla forza dell'amicizia, la voglia di
ricominciare e la speranza.
La notte di luglio in cui i Langley - padre, madre, figlio adolescente vengono
assassinati, non si registra nulla di insolito nella zona, a parte il caldo asfissiante. E
i vicini, i Cutter - di nuovo: padre, madre, figlio adolescente - non ricordano di aver
sentito alcun rumore. Ma la scoperta, il giorno dopo, è scioccante. Se i Langley,
anche loro così "normali", hanno potuto essere vittime di un atto di tale efferatezza,
allora nessuno può dirsi al sicuro. Eppure, se si è trattato solo di una tragica
fatalità, se i Langley hanno solo avuto la colpa di trovarsi al posto sbagliato al
momento sbagliato, non c'è nulla da temere: è improbabile che la sfortuna si
accanisca due volte di seguito sullo stesso punto. Così si dice Jim Cutter, per
rassicurarsi. Ma nella sua mente si fa strada anche un altro pensiero: e se gli
assassini avessero sbagliato casa? Se avessero mancato di poco il vero bersaglio? Un'ipotesi folle. O
forse no. Del resto, di fronte alla totale assenza di movente per quel pluriomicidio (non c'è stato
nemmeno un furto in casa Langley), nulla è da escludere. Persino che tra i Cutter si celino segreti tali
da giustificare una simile vendetta, a loro in realtà indirizzata. Segreti di cui lo stesso Jim sarebbe
all'oscuro. Pur di scoprirli, sarà disposto a mettere in discussione la fiducia verso la moglie e il figlio e
intraprendere una scomoda indagine personale.
Una vera signora sa sempre quand'è il momento di uscire di scena. E Maggie
Fortenberry, affascinante sessantenne che conosce almeno 48 modi diversi di
piegare un fazzoletto e non ha mai detto una parolaccia in vita sua, ha deciso che il
suo momento è arrivato. Ex Miss Alabama e quasi Miss America, dei suoi sogni di
ragazza Maggie ha realizzato ben poco: non ha conquistato un marito adorante,
non ha avuto con lui la nidia ta di pargoli d'ordinanza, e oggi è una single depressa
con una noiosa carriera da agente immobiliare a Birmingham. Ormai ha deciso,
vuole farla finita. Non senza però aver prima saldato ogni debito, sbrinato il
frigorifero e salutato gli amici con un'impeccabile lettera d'addio. Ma quando tutto
sembra finalmente pronto per girare l'ultimo ciak, ecco che un bizzarro scheletro in
kilt manda all'aria i suoi piani. Nella villa dove l'ha ritrovato, e che Maggie ha
ricevuto l'incarico di vendere, si celano infatti segreti che aspettano solo lei per essere svelati. E se poi
a scombinare il suo progetto ci si mettono anche una dispettosa capretta dal muso nero e il ritorno
inaspettato di un vecchio amore, ecco che forse organizzare la sua dipartita non è più così urgente...
4. Don Gonzalo Pirobutirro d'Eltino vive con la madre nella casa di campagna ereditata dal padre. Si trova
in una terra di fantasia, che potrebbe essere il Sudamerica ma che assomiglia molto alla Brianza. Tra la
donna e il figlio i rapporti non sono dei migliori. I litigi si ripetono di continuo, e don Gonzalo non
risparmia la sua crudeltà. Oltretutto don Gonzalo odia quella casa. Lo costringe a un isolamento forzato
per via del luogo sperduto in cui è stata costruita, ed è priva di qualsiasi comodità. E poi è frequentata
da contadini rozzi, senza contare i vari trafficanti girovaghi che capitano da quelle
parti. Ma su tutto, a inquietare e preoccupare don Gonzalo, c'è l'Istituto di
Sorveglianza Notturna (allegoria del fascismo), che tiene gli abitanti di quella terra
sotto un controllo ferreo. Quando poi accadrà la tragedia, don Gonzalo sprofonderà
negli abissi di un enorme senso di colpa, un irrimediabile rammarico nei confronti
della madre. Nel "La cognizione del dolore", apparso parzialmente su "Letteratura"
tra il 1938 e il 1941 e pubblicato" nel 1963, Gadda usa uno stile espressionistico
che mette in scena personaggi e vicende come manifestazioni di disadattamento
affettivo, sociale e politico, fino ad assumere aspetti di un'angoscia metafisica. I
tratti autobiografici appaiono quasi scoperti, e "la violenza autolesionista assume
un suono curioso". Qualsiasi denigrazione Gadda compia di se stesso, si
trasforma, tra le mani di questo straordinario Narciso, in una apologia.
Roma durante il fascismo. Il commissario di polizia don Ciccio Ingravallo è
incaricato di svolgere un'inchiesta su un furto di gioielli avvenuto al 219 di via
Merulana, una via popolare nel cuore di un vecchio quartiere. Nella casa abitano
due amici del commissario: i coniugi Balducci, dai quali è solito andare a pranzo nei
giorni festivi. Per lo scapolo don Ciccio Liliana Balducci è l'incarnazione della
dolcezza e della purezza femminile. Un mattino, Liliana viene selvaggiamente
assassinata nel suo appartamento: il furto dei gioielli e l'assassinio sono opera di
una stessa persona? Da questi episodi prende il via il romanzo gaddiano, che,
apparso in "Letteratura" nell'immediato dopoguerra, fu scritto a Firenze nel ricordo
di un lontano soggiorno nella capitale (1926-27). Basandosi su un reale fatto di
sangue, Gadda costruisce un intrigo poliziesco che gioca su un duplice registro:
può essere letto, infatti, come eco del mondo e come bricolage letterario. Prefazione di Pietro Citati e
nota di Giorgio Pinotti.
Una saga familiare del nostro secolo in cui si rispecchiano la storia e il destino di
tutto un popolo, quello cileno, nei racconti delle donne di una importante e
stravagante famiglia. Un grande affresco che per fascino ed emozione può
ricordare al lettore, nell'ambito della narrativa sudamericana, soltanto "Cent'anni di
solitudine" di García Márquez.
Re, Principesse, Nani di corte, Sirenette, Streghe, creature misteriose, paesi
fantastici e atmosfere suggestive. Con questi ingredienti Wilde costruisce quattro
favole che pur rientrando pienamente in questo genere allo stesso tempo lo
sovvertono. Il mondo fiabesco che Wilde inventa e col quale avvolge il lettore è una
vera e propria arma per confutare, come è solito fare, convenzioni e cliché tramite
uno spirito eccentrico e anticonvenzionale che anima ogni pagina e ammicca, quasi
sornione, al lettore. Queste fiabe sono prive di finalità didascaliche e si presentano
piuttosto come pure invenzioni, frutto del genio esibizionista dell'autore, dotate di
un'antimorale o meglio della morale wildiana dell'immoralità. Fiabe adulte, verrebbe
in mente di dire, perché accanto alle atmosfere impalpabili proprie di questo
genere. Tramite la velata critica alla società vittoriana inglese,
personaggichecamminano sul perimetro che divide sogno e veglia, tramite l'esaltazione dell'infanzia
come unica portavoce di un'ingenuità onirica, e un sostrato di provocazione sempre attuale. Favole,
insomma, che racchiudono tradizione e trasgressione, ma che alla fine si abbandonano al loro epilogo
comunemente riconosciuto: l'etica, l'insegnamento che spesso però coincide con un vagheggiamento,
un evento fortuito, un miracolo che appena si volta mostra il suo ghigno ironico.
5. Il romanzo è la cronaca di un giorno reale, un inno alla cultura e alla saggezza
popolare, e il canto di un'umanità rinnovata. L'intera vicenda si svolge in meno di
ventiquattro ore, tra i primi bagliori del mattino del giugno 16 giugno 1904, data in
cui Joyce incontra Nora Barnacle, la futura compagna di una vita, che nel tardo
pomeriggio dello stesso giorno lo farà "diventare uomo" fino alle prime ore della
notte della giornata seguente. Il protagonista principale, l'ebreo irlandese Leopold
Bloom, non è un eroe o un antieroe, ma semplicemente un uomo tollerante, di
larghe vedute e grande umanità, sempre attento verso il più debole e il diverso, e
capace di cortesia anche nei confronti di chi queste doti non userà con lui. Gli altri
protagonisti sono il giovane intellettuale, brillante ma frustrato dalla vita e dalle
forze politiche e religiose che lo costringono, Stephen Dedalus già personaggio
principale del libro precedente di Joyce, Dedalus. Un ritratto dell'artista da giovane e Molly Bloom, la
moglie dell'ebreo, vera e propria regina del romanzo. Ulisse è un romanzo della mente: i suoi
monologhi interiori e il flusso di coscienza sono una vera e propria versione moderna dei soliloqui
amletici. Si insinuano gradualmente nelle trame dell'opera, fino a dissolvere ogni limite tra narrazione
realistico-naturalista e impressione grafica del pensiero vagante.
Con la versione dell'"Odissea" omerica, Ippolito Pindemonte realizzò il punto più
alto di una poetica del ricalco, del riecheggiamento, particolarmente felice nei passi
più vicini al suo gusto personale, consona a "quel classicismo prezioso, grazioso e
lezioso" che fu proprio della fine del Settecento e dei primi dell'Ottocento. Fu il
rappresentante di un'epoca debole sul piano creativo quanto matura nei mezzi di
espressione e nella consapevolezza critica che vi si annetteva, al tramonto
dell'umanesimo tradizionale evoluto in neoclassicismo. Ormai alle soglie di un'età
di cui presagiva i valori, non però fino a volervisi confondere, il letterato e poeta
veronese, col suo fragilissimo filo poetico, ebbe il merito di proporre una delle
ultime espressioni di una cultura esausta, ma proprio in tal modo fedele a se
stessa.