1. 12MESI
DICEMBRE 2011
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OPINIONI
di ANTONIO PANIGALLI
SEDICI SUMMIT IN VENTI MESI
MA… L’EUROPA BRUCIA
T
ante sono le riunioni orga-
nizzate da parte di Unione
Europea e BCE che hanno
avuto ad oggetto il proble-
ma, all’epoca embrionale assolutamente
gestibile, della Grecia e di quello che ne
consegue/conseguirà, ma nulla, assolu-
tamentenulladisignificativoèaccaduto,
anzi, la mancanza di una vera banca cen-
trale (stile Fed negli USA) e di un vero
e proprio autorevole governo Europeo
(politico o come minimo economico),
più o meno federale, portano diritto ver-
so gli espropri massificati delle singole
sovranità popolari, destinate ad una ca-
pitolazione, magari fino a quando non si
arriverà al bond tedesco? (ammesso poi
ci si fermi), ma con quale effetto?
Intanto una delle solenni dichiarazioni
fatte fin dalla grande crisi USA del 2008
e cioè dare regole certe e stringenti al
devastante modus operandi della incon-
trollabile finanza legata agli strumenti
non convenzionali (es: derivati, vendite
allo scoperto, credit swap, ecc.) utilizza-
ti purtroppo, magari anche naked, verso
le emissioni del debito sovrano dei paesi
che di volta in volta entrano nella mira
degli speculatori, non ha ancora avuto
esiti di sorta se non delle dichiarazioni
di intenti.
Anche l’Unione Europea, finalmente,
sostiene di aver apprestato una apposi-
ta tabella di marcia per impostare una
riforma della “finanza selvaggia” che
dovrebbe essere composta ed approvata
entro fine 2011 (meglio tardi che mai)
per poi entrare effettivamente in vigore
nei successivi sei mesi (se nel frattempo
non saranno già falliti la metà dei paesi
EU).
Sbagliare le analisi significa nella mag-
gior parte dei casi sbagliare anche la dia-
gnosiediconseguenzalaterapiaequesto
vale anche e soprattutto se si sbagliano i
tempi di intervento, se questo lo si fa vo-
lutamente, il dolo, probabilmente corre-
lato agli interessi dei big drivers (leggesi
Germania e Francia) diventa veramente
grave, anche perché alla fine rischia di
travolgere i piccoli inermi stati della UE,
ma anche le grandi potenze economiche
se non l’area euro nel suo complesso.
Il crack finanziario di tre anni fa aveva
fatto in modo che la comunità inter-
nazionale (un po’ tutti gli economisti
e policy maker mondiali) facesse qua-
drato sulla necessità di regole, regole
che dovevano, principalmente ma non
solo, evitare la nascita di nuove bolle di
speculazione selvaggia, riducendo la fi-
nanziarizzazione dei mercati e il potere
delle private società di rating.
La crisi della Grecia e a questo punto an-
che quella di Spagna, Italia e degli altri
paesi per ora e man mano contagiati, di-
mostra che nulla in questo senso è stato
fatto e che la crisi non si combatte con
una spinta selvaggia alle privatizzazio-
ni, che essendo condotte sotto la sferza
della troika UE, Fmi e Bce potrebbero
consistere in vere e proprie svendite di
immensi patrimoni nazionali (la scorsa
settimana un amico greco mi ha rac-
contato che di fatto la Grecia e tutte le
sue proprietà sono di fatto ipotecate in
toto dalla Germania, loro la chiamano
la guerra del Quarto Reich). Le priva-
tizzazioni hanno senso e vanno sicura-
mente fatte solo in un ambito di regola-
mentazione e controllo di medio lungo
periodo, altrimenti, all’attuale stato di
valorizzazione dell’economia, è come
cercare di risolvere le cose con gli stessi
strumenti che hanno messo in crisi il si-
stema stesso o come voler spegnere un
incendio con un lanciafiamme senza mai
uscire dal vortice della finanziarizzazio-
ne esasperata dell’economia.
Più i mercati sono aperti, più, in
assenza di regole rigide, è densa
l´interconnessione ed è facile il conta-
gio. La libera circolazione dei capitali
ne è l’esempio più estremo ed emble-
matico, perché basta un clic sul tasto di
un computer a New York per vedere un
titolo, magari anche sovrano, che sale e
scende su una borsa qualsiasi in giro per
il mondo.
Ma questo non vale per tutto il mondo.
Lodimostrano,come controprova,i casi
importanti di immunità dal contagio che
la Cina e l´India hanno dimostrato nel-
la recessione del 2008-2009. Questi
nuovi giganti economici hanno una cosa
in comune: l´adesione solo parziale alla
libertà di movimento delle merci o dei
capitali e la loro ferrea regolamentazio-
ne normativa e questo rende le loro eco-
nomie di fatto vaccinate contro i disastri
che la deregulation della esasperata
finanziarizzazione economica produce
nella globalizzazione.
Italia ed UE, quindi, sono di fronte
all’ennesimo bivio: o si modifica sostan-
zialmente il modello di sviluppo e si ri-
duce progressivamente la finanziarizza-
zione dell’economia con un contestuale
rilancio di una nuova industria soste-
nibile in grado di far ripartire i motori
dell’economia stessa, oppure si resta in
balìa dell’uragano e con gli uragani non
si scherza, prima o dopo si muore!