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Non userà il bazooka, Angela Merkel, nemmeno ora che ha vinto la battaglia per
fare accettare alla sua maggioranza il Fondo salva Stati (Efsf) rafforzato. Glielo
chiedono governanti, economisti, analisti, ricordando la famosa battuta dell’ex
segretario al Tesoro americano Hank Paulson: “Se hai un bazooka in tasca e la gente
lo sa, probabilmente non avrai bisogno di usarlo”. Il fatto è che la cancelliera tedesca
non vuole un bazooka, uno strumento con il quale mettere in riga mercati e governi
finanziariamente indisciplinati, si tratti dei famosi Eurobond o di un Efsf da tremila
miliardi. Il voto al Bundestag di giovedì scorso l’ha liberata da una serie di vincoli,
che le permetteranno di rafforzare la sua leadership a Berlino e in Europa. Ma il
bazooka no. Per più di una ragione.
  La prima è politica. Passato l’ostacolo della ratifica dell’Efsf da 440 miliardi, uno
dei problemi della Germania è di uscire da un ruolo che ben pochi nel Paese amano,
quello di salvatore dell’Europa e allo stesso tempo di castigatore dei peccatori. Frau
Merkel, e con lei tutto il suo governo ma anche le opposizioni, non sono tranquilli ad
avere messo sul tavolo garanzie per 221 miliardi a salvataggio dei membri
dell’Eurozona in difficoltà. Dall’altra parte, non apprezzano nemmeno il fatto di
essere coloro che impongono alla Grecia, al Portogallo, all’Irlanda e probabilmente in
futuro anche a Italia e Spagna come vivere – in austerità – i prossimi anni. Più che un
bazooka, dunque, Berlino ha bisogno di qualcosa che le permetta di non essere lo zar
e l’affamatore dell’Europa, che la sollevi dall’enorme responsabilità che le è caduta
addosso da due-tre anni. In concreto, di una costruzione istituzionale in Europa che
garantisca un certo governo economico e di bilancio a tutta l’area euro,
un’architettura che controlli i conti pubblici di tutti i 17, che imponga sanzioni certe
(e non politicamente discusse) a chi esce dai ranghi, che spinga verso l’efficienza e la
competitività tutti i Paesi. Diversamente, se Berlino continuerà ad aver sulle spalle il
peso dell’Europa, ci sarà solo da indovinare se si ribelleranno prima i greci o i
tedeschi.
  Il secondo motivo per il quale Frau Merkel non vuole armarsi di bazooka è la sua
convinzione profonda che la crisi del debito non si superi con un sol colpo ma a
piccoli passi. E’ la tattica incrementale che nei mesi scorsi le ha portato enormi
critiche – “Non ha visione” - ma le ha permesso di coinvolgere il Fondo monetario
nella crisi greca (contro l’opposizione durissima di Nicolas Sarkozy e di Jean-Claude
Trichet), di fare accettare ad Atene una serie di riforme e ora di convincere il proprio
governo, scettico, a sostenere il Fondo salva Stati rafforzato. Andrà dunque avanti su
questa strada “incrementalista”, che comprende nel tempo la nuova architettura
economica dell’Eurozona (e quindi una nuova Ue) da fare approvare dai parlamenti
nazionali, su basi democratiche, compreso il cambiamento dei trattati europei e
probabilmente della costituzione tedesca.
  Terzo motivo: a differenza di Barack Obama, del suo segretario al Tesoro Tim
Geithner, degli economisti Larry Summers e Paul Krugman – che la invitano a essere
più generosa e mettere più euro tedeschi sul tavolo – la signora Merkel non è
keynesiana. L’area politica alla quale fa riferimento – cioè l’establishment
conservatore che ha guidato la ricostruzione e dato vita al mito della stabilità attorno
all’indipendenza assoluta della Bundesbank – si ispira al contrario alla scuola
austriaca di Friedrich Hayek e all’Ordoliberalismo sviluppato all’università di
Friburgo da Walter Eucken, attento agli aspetti sociali ma contrario alle intrusioni
dello Stato nell’economia e nei mercati finanziari ben regolati: così è stata impostata
a fine Anni Novanta l’Unione monetaria, con una banca centrale indipendente ma un
Patto di Stabilità fragile e inutile. Su queste basi, dunque, nessun intervento violento
sui mercati: piuttosto, costruzione delle istituzioni per farli funzionare e
riaffermazione della Bce che non deve fare interventi fiscali ma solo monetari.
Non saranno passi facili per Frau Merkel. La crisi del debito europeo resta
drammatica e, tra l’altro, il suo metodo incrementale non esclude affatto un default
pilotato della Grecia, meglio se sotto l’ombrello dell’Esm, l’European Stability
Mechanism che dovrebbe in futuro prendere il posto dell’Efsf: sarà un passaggio
delicatissimo. La cosa buona è che giovedì scorso la cancelliera ha dimostrato ai
critici di che pasta è fatta. E cosa vuole dire “avere una visione”.
Danilo Taino

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Merkel due

  • 1. Non userà il bazooka, Angela Merkel, nemmeno ora che ha vinto la battaglia per fare accettare alla sua maggioranza il Fondo salva Stati (Efsf) rafforzato. Glielo chiedono governanti, economisti, analisti, ricordando la famosa battuta dell’ex segretario al Tesoro americano Hank Paulson: “Se hai un bazooka in tasca e la gente lo sa, probabilmente non avrai bisogno di usarlo”. Il fatto è che la cancelliera tedesca non vuole un bazooka, uno strumento con il quale mettere in riga mercati e governi finanziariamente indisciplinati, si tratti dei famosi Eurobond o di un Efsf da tremila miliardi. Il voto al Bundestag di giovedì scorso l’ha liberata da una serie di vincoli, che le permetteranno di rafforzare la sua leadership a Berlino e in Europa. Ma il bazooka no. Per più di una ragione. La prima è politica. Passato l’ostacolo della ratifica dell’Efsf da 440 miliardi, uno dei problemi della Germania è di uscire da un ruolo che ben pochi nel Paese amano, quello di salvatore dell’Europa e allo stesso tempo di castigatore dei peccatori. Frau Merkel, e con lei tutto il suo governo ma anche le opposizioni, non sono tranquilli ad avere messo sul tavolo garanzie per 221 miliardi a salvataggio dei membri dell’Eurozona in difficoltà. Dall’altra parte, non apprezzano nemmeno il fatto di essere coloro che impongono alla Grecia, al Portogallo, all’Irlanda e probabilmente in futuro anche a Italia e Spagna come vivere – in austerità – i prossimi anni. Più che un bazooka, dunque, Berlino ha bisogno di qualcosa che le permetta di non essere lo zar e l’affamatore dell’Europa, che la sollevi dall’enorme responsabilità che le è caduta addosso da due-tre anni. In concreto, di una costruzione istituzionale in Europa che garantisca un certo governo economico e di bilancio a tutta l’area euro, un’architettura che controlli i conti pubblici di tutti i 17, che imponga sanzioni certe (e non politicamente discusse) a chi esce dai ranghi, che spinga verso l’efficienza e la competitività tutti i Paesi. Diversamente, se Berlino continuerà ad aver sulle spalle il peso dell’Europa, ci sarà solo da indovinare se si ribelleranno prima i greci o i tedeschi. Il secondo motivo per il quale Frau Merkel non vuole armarsi di bazooka è la sua convinzione profonda che la crisi del debito non si superi con un sol colpo ma a piccoli passi. E’ la tattica incrementale che nei mesi scorsi le ha portato enormi critiche – “Non ha visione” - ma le ha permesso di coinvolgere il Fondo monetario nella crisi greca (contro l’opposizione durissima di Nicolas Sarkozy e di Jean-Claude Trichet), di fare accettare ad Atene una serie di riforme e ora di convincere il proprio governo, scettico, a sostenere il Fondo salva Stati rafforzato. Andrà dunque avanti su questa strada “incrementalista”, che comprende nel tempo la nuova architettura economica dell’Eurozona (e quindi una nuova Ue) da fare approvare dai parlamenti nazionali, su basi democratiche, compreso il cambiamento dei trattati europei e probabilmente della costituzione tedesca. Terzo motivo: a differenza di Barack Obama, del suo segretario al Tesoro Tim Geithner, degli economisti Larry Summers e Paul Krugman – che la invitano a essere più generosa e mettere più euro tedeschi sul tavolo – la signora Merkel non è keynesiana. L’area politica alla quale fa riferimento – cioè l’establishment conservatore che ha guidato la ricostruzione e dato vita al mito della stabilità attorno all’indipendenza assoluta della Bundesbank – si ispira al contrario alla scuola austriaca di Friedrich Hayek e all’Ordoliberalismo sviluppato all’università di Friburgo da Walter Eucken, attento agli aspetti sociali ma contrario alle intrusioni dello Stato nell’economia e nei mercati finanziari ben regolati: così è stata impostata a fine Anni Novanta l’Unione monetaria, con una banca centrale indipendente ma un Patto di Stabilità fragile e inutile. Su queste basi, dunque, nessun intervento violento sui mercati: piuttosto, costruzione delle istituzioni per farli funzionare e riaffermazione della Bce che non deve fare interventi fiscali ma solo monetari.
  • 2. Non saranno passi facili per Frau Merkel. La crisi del debito europeo resta drammatica e, tra l’altro, il suo metodo incrementale non esclude affatto un default pilotato della Grecia, meglio se sotto l’ombrello dell’Esm, l’European Stability Mechanism che dovrebbe in futuro prendere il posto dell’Efsf: sarà un passaggio delicatissimo. La cosa buona è che giovedì scorso la cancelliera ha dimostrato ai critici di che pasta è fatta. E cosa vuole dire “avere una visione”. Danilo Taino