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17 marzo 1876: il presidente del Consiglio Minghetti annunciò ufficialmente il raggiungimento del
pareggio di bilancio: la Destra storica aveva vinto la sua battaglia.
Questo però non bastò a frenare l’insofferenza crescente della borghesia e questo aprì una crisi di
governo che avrebbe portato al potere l’opposizione.
L’evento che segnò il tramonto definitivo della Destra riguardò la scadenza delle concessioni relative
alla gestione delle ferrovie a compagnie private. Il Governo ne propose l’acquisizione da parte dello
Stato (parziale nazionalizzazione) ma alcuni deputati della Destra, in rappresentanza degli interessi
di banchieri e finanzieri, si dichiararono contrari al progetto.
Il governo chiese il voto di fiducia in Parlamento e fu messo in minoranza. Minghetti rassegnò le
dimissioni e il re conferì l’incarico di formare i nuovo governo al capo dell’opposizione, AGSTINO
DEPRETIS, che entrò in carica il 25 marzo 1876.
Il passaggio del governo della Sinistra avvenne per ragioni più complesse della
nazionalizzazione delle ferrovie.
Il problema principale consisteva nell’evidente incapacità del governo di rappresentare
adeguatamente il paese e farsi portavoce dei nuovi ceti imprenditoriali.
I vari governi della Destra storica si erano dimostrati poco attenti alle trasformazioni
economiche: si erano concentrati sugli interessi dei produttori agricoli centro – settentrionali
e avevano continuato a vedere nell’agricoltura il centro dell’economia italiana, assegnando
alla nascente industria un ruolo secondario.
STORICA AL
POTERE
Il programma della Sinistra storica, che rimase al potere fino al 1896, fu esposto in un celebre discorso
tenuto da Depretis nel 1875. In quell’occasione aveva presentato un ampio piano di riforme i cui punti
principali erano:
 la protezione dell’economia nazionale attraverso adeguate misure doganali per favorire i nuovi ceti
industriali;
 una riforma della legge elettorale che prevedesse l’allargamento del suffragio;
 l’istruzione elementare laica, gratuita e obbligatoria;
 il decentramento amministrativo (trasferimento a livello locale di alcune funzioni dello Stato);
 la soppressione della tassa sul macinato.
Nel 1882 la Sinistra storica vinse le elezioni, ma la Destra ottenne un buon risultato e, per la prima
volta viene eletto un deputato socialista: Andrea Costa.
In seguito a questo risultato i leader degli schieramenti opposti, Depretis e Minghetti, si accordarono
per costruire un’ampia formazione politica di centro che isolasse le “ali estreme” del Parlamento, da
un lato i conservatori e reazionari di Destra, dall’altro la nuova Sinistra, definita Estrema (quella
socialista e radicale).
Questo fenomeno venne definito TRASFORMISMO e segnò la fine di ogni distinzione ideologica e
programmatica tra Destra e Sinistra, la fine dello scontro tra i due principali schieramenti politici.
Tutto questo determinò una degenerazione del sistema politico in quanto portò a costituire
maggioranze diverse a seconda della legge da approvare , con scambi di favori non sempre limpidi tra
governo e parlamentari.
Negli anni ’70 sorsero le prime grandi industrie italiane - gli stabilimenti chimici Pirelli, le acciaierie
Terni, le officine metallurgiche Breda – mentre anche l’industria tessile raggiungeva dimensioni
significative.
L’economia agricola rimaneva comunque di gran lunga prevalente e quando negli anni ‘80 entrò in
crisi per effetto della grande depressione economica internazionale, tutta l’economia italiana ne
risentì.
Infatti a causa delle crescenti importazioni di cereali dall’America il prezzo dei cereali si dimezzò e
trascinò nella crisi tutta la produzione agricola, soprattutto nei grandi latifondi del Sud.
Di conseguenza gli agrari, specie nel Mezzogiorno, presero a premere sul governo affinché elevasse le
tariffe doganali a «protezione» della produzione cerealicola nazionale.
Dal settore agricolo ben presto la crisi dilagò anche in quello industriale.
Il governo della Sinistra che, come quello della Destra storica, era stato fino ad allora liberoscambista,
accolse queste richieste, adottando alte tariffe doganali sul grano e su vari prodotti industriali.
Ovviamente i paesi stranieri reagirono alzando i dazi sui prodotti italiani.
La svolta protezionistica ebbe effetti positivi sui prodotti della giovane industria italiana, ma
l’aumento del prezzo del grano (e quindi del pane) determinò un grave peggioramento delle condizioni
di vita delle masse popolari.
Aumentarono i conflitti sociali e per molti l’emigrazione fu una scelta obbligata. Tra il 1881 e il 1901
più di 2 milioni di persone abbandonarono per sempre l’Italia.
Inoltre il protezionismo ebbe effetti negativi sull’agricoltura del Sud, in quanto determinò la crisi
dell’agricoltura specializzata (vino, olio, agrumi) che non trovò più sbocco in Europa a causa della
ritorsione degli altri paesi.
Tradizionalmente alleata della Francia e ostile all’Austria l’Italia governata dalla Sinistra storica operò
una brusca svolta nei rapporti internazionali.
La causa fu l’occupazione francese della Tunisia (1881). Da tempo l’Italia guardava con interesse a quel
paese, dove risiedeva una folta comunità di connazionali. Il successo francese era stato favorito
dall’isolamento internazionale dell’Italia.
Per uscire da tale isolamento e per ripicca nei confronti della Francia, l’Italia stipulò nel 1882 un’alleanza
con l’Austria e con la Germania: la TRIPLICE ALLEANZA. Si trattava di un accordo di natura difensiva: le
tre potenze si impegnavano ad intervenire in aiuto reciproco solo in caso di aggressione da parte di altri
paesi.
Questa alleanza suscitò un’ondata di proteste nell’opinione pubblica italiana: era chiaro che, stipulando un
accordo con l’Austria, l’Italia rinunciava alle “terre irredente” cioè non liberate dalla dominazione
austriaca: il Trentino e il Friuli Venezia Giulia.
Sempre nel 1882 prese il via l’avventura coloniale italiana: venne occupata una stretta
striscia di terra nei pressi della baia di Assab, sul Mar Rosso. Da lì le truppe italiane
partirono, nel 1885, alla conquista di Massaua (Eritrea).
Ma quando gli italiani cercarono di spingere le loro conquiste verso l’interno del paese,
provocarono la reazione del negus Menelik, l’imperatore d’Etiopia (o Abissinia come era
chiamata allora).
Nel gennaio 1887 un reparto di 500 italiani venne massacrato a Dogali da 7.000 etiopi.
L’AVVENTURA COLONIALE ITALIANA COMINCIAVA CON UN DISASTRO.
DI FRANCESCO
CRISPI
Nel 1887 Depretis morì. Gli succedette Francesco Crispi, il primo uomo
meridionale a diventare presidente del consiglio.
Agrigentino di nascita, Crispi era stato in gioventù fervente democratico
e mazziniano: partecipò alla rivolta siciliana del 1848 e alla spedizione
dei Mille di Garibaldi.
Dopo l’unificazione abbandonò le idee repubblicane e divenne sostenitore
della monarchia.
RIMASE AL POTERE QUASI ININTERROTTAMENTE TRA IL 1887 E
IL 1896.
Ammiratore di Bismarck e sostenitore dello Stato autoritario, con
l’appoggio del nuovo re Umberto I, accentrò su di sé le cariche di
presidente del consiglio, ministro degli Interni e ministro degli Esteri.
Mai nessuno nell’Italia postunitaria aveva concentrato nelle sue mani
tanto potere.
In politica estera il suo orientamento ostile alla Francia lo portò a consolidare l’alleanza con la
Germania.
La Francia reagì introducendo una tariffa doganale molto pesante sui prodotti italiani, alla quale
Crispi rispose innalzando del 50% le tariffe sui prodotti francesi.
Ebbe così inizio una “guerra doganale” che causò una netta diminuzione delle esportazioni italiane in
Francia (- 40%).
Poiché la Francia era il nostro primo partner commerciale e il principale acquirente dei prodotti
agricoli del nostro Mezzogiorno, ad essere danneggiata fu soprattutto l’economia del Sud.
Nel 1889 Crispi firmò con il negus Menelik, imperatore d’Etiopia, il Trattato di
Uccialli.
Tale trattato fu redatto in due lingue: la versione italiana riconosceva i possedimenti
italiani in Eritrea e il protettorato italiano su Etiopia e Somalia. La versione in
lingua locale (amarico) parlava di un semplice patto di amicizia e come tale fu
interpretato il trattato da Menelik.
L’intenzione di Crispi era quella di riprendere l’espansione coloniale, ma questo
progetto non fu accolto dal Parlamento e Crispi fu costretto alle dimissioni nel 1891.
Il successore di Crispi, Giovanni Giolitti, dovette subito affrontare un grave problema di ordine
pubblico: lo scoppio in Sicilia del un moto di protesta popolare detto dei FASCI SICILIANI che
raggiunse il culmine nel 1893.
Il movimento comprendeva operai, artigiani, minatori e contadini che protestavano contro le pesanti
tasse del governo e contro i latifondisti, rivendicando una più equa distribuzione delle terre.
Ideologicamente non era un movimento rivoluzionario ma un movimento popolare privo di una precisa
identità: un’esplosione di rabbia per le condizioni in cui versava il popolo siciliano.
Giolitti decise di affrontare la questione con prudenza, senza fare ricorso a misure eccezionali e
repressive
Ciò lo fece apparire agli occhi di molti un presidente del Consiglio «debole», incapace di intervenire con
decisione in una situazione di pericolo.
Si tratta del più grande scandalo politico e finanziario che abbia colpito l’Italia unita.
Per coprire vari ammanchi, era successo che la Banca Romana (una delle sei banche che allora
potevano emettere moneta) aveva incominciato a stampare lire in eccedenza rispetto ai limiti di legge.
In più aveva finanziato in alcuni casi sovvenzionato la campagna elettorale di uomini politici, in altri
aveva concesso prestiti a condizioni particolarmente vantaggiose.
Il fatto era emerso nel 1889, quando Giolitti era ministro del Tesoro del governo Crispi: accusato di
debolezza e di aver coperto lo scandalo della Banca Romana, nel dicembre del 1893 dovette rassegnare
le dimissioni.
LA CRISI DI
FINE SECOLO
Tornato al potere, Crispi represse militarmente il movimento di protesta siciliano, proclamando lo
stato d’assedio.
Successivamente Crispi tornò a rivolgersi alla politica coloniale con la pretesa che l’Etiopia rispettasse
la versione italiana del trattato di Uccialli. Il rifiuto di Menelik portò all’invasione italiana del paese.
Per l’Italia la spedizione militare si risolse in un completo disastro: sconfitti ad Amba Alagi (1895), poi
a Maccalè (1896), il 1 marzo 1896 16.000 soldati italiani si scontrarono con 70.000 abissini nei pressi
di Adua. Fu una carneficina: 7.000 italiani rimasero uccisi, 3.000 furono fatti prigionieri.
Travolto dalle critiche, Crispi nel 1896 rassegnò le dimissioni e si ritirò a vita privata: morirà nel 1901
senza più tornare al governo. Con le dimissioni di Crispi, terminava l’età della Sinistra storica e
iniziava la CRISI DI FINE SECOLO.
Intanto nel Paese dilagava la crisi economica e il popolo cominciava a soffrire la fame.
Nel 1898 un improvviso innalzamento de prezzo del pane provocò un’ondata di manifestazioni che
percorse l’Italia intera.
La più grave si ebbe il 6 maggio 1898, a Milano, quando il generale Fiorenzo Bava Beccaris ordinò ai
soldati di cannoneggiare la folla che protestava.
I morti furono un centinaio. Molti dirigenti dell’opposizione, soprattutto socialisti, furono arrestati (tra
questi anche Filippo Turati, il capo del partito socialista italiano), la libertà di stampa fu decisamente
limitata.
Bava Beccaris fu elogiato dal governo e dal re Umberto I che lo decorò con un’importante onorificenza
militare, la Gran Croce dell’Ordine militare di Savoia.
Il nuovo capo del governo Luigi Pelloux tentò di far approvare
una serie di norme che restringevano notevolmente le libertà di
stampa e di riunione.
Il suo progetto fallì grazie alla decisa azione dell’opposizione e
Pelloux fu costretto a dimettersi.
Le nuove elezioni (1900) diedero buoni risultati per l’opposizione,
in particolare per i socialisti.
Nel luglio 1900 l’anarchico Gaetano Bresci, per vendicare i
morti di Milano, uccise, a Monza, il re Umberto I.
Bresci, il regicida, venne processato con un rito sommario dopo un mese dall’omicidio: durante gli
interrogatori sostenne sempre di aver agito da solo. La verità morì con lui il 22 maggio del 1901:
Bresci infatti si suicidò, in circostanze poco chiare, nel carcere dove stava scontando l’ergastolo.
Quello che è certo è che con l’assassinio del re la monarchia riconquistò il consenso: i giornali
raccontavano la storia del «re buono» trucidato e le varie forze politiche, che erano in conflitto tra loro,
si trovarono tutte d’accordo nel condannare il delitto.
E così re Umberto I divenne più da morto che da vivo il simbolo dell’unità d’Italia.
Il nuovo re, Vittorio Emanuele III, decise di affidare il nuovo governo a Zanardelli (l’autore del nuovo
Codice Penale che aboliva la pena di morte). Lo affiancava, come ministro degli Interni, Giovanni
Giolitti.
INIZIAVA COSÌ L’ETÀ GIOLITTIANA

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  • 1.
  • 2. 17 marzo 1876: il presidente del Consiglio Minghetti annunciò ufficialmente il raggiungimento del pareggio di bilancio: la Destra storica aveva vinto la sua battaglia. Questo però non bastò a frenare l’insofferenza crescente della borghesia e questo aprì una crisi di governo che avrebbe portato al potere l’opposizione. L’evento che segnò il tramonto definitivo della Destra riguardò la scadenza delle concessioni relative alla gestione delle ferrovie a compagnie private. Il Governo ne propose l’acquisizione da parte dello Stato (parziale nazionalizzazione) ma alcuni deputati della Destra, in rappresentanza degli interessi di banchieri e finanzieri, si dichiararono contrari al progetto. Il governo chiese il voto di fiducia in Parlamento e fu messo in minoranza. Minghetti rassegnò le dimissioni e il re conferì l’incarico di formare i nuovo governo al capo dell’opposizione, AGSTINO DEPRETIS, che entrò in carica il 25 marzo 1876.
  • 3. Il passaggio del governo della Sinistra avvenne per ragioni più complesse della nazionalizzazione delle ferrovie. Il problema principale consisteva nell’evidente incapacità del governo di rappresentare adeguatamente il paese e farsi portavoce dei nuovi ceti imprenditoriali. I vari governi della Destra storica si erano dimostrati poco attenti alle trasformazioni economiche: si erano concentrati sugli interessi dei produttori agricoli centro – settentrionali e avevano continuato a vedere nell’agricoltura il centro dell’economia italiana, assegnando alla nascente industria un ruolo secondario.
  • 5. Il programma della Sinistra storica, che rimase al potere fino al 1896, fu esposto in un celebre discorso tenuto da Depretis nel 1875. In quell’occasione aveva presentato un ampio piano di riforme i cui punti principali erano:  la protezione dell’economia nazionale attraverso adeguate misure doganali per favorire i nuovi ceti industriali;  una riforma della legge elettorale che prevedesse l’allargamento del suffragio;  l’istruzione elementare laica, gratuita e obbligatoria;  il decentramento amministrativo (trasferimento a livello locale di alcune funzioni dello Stato);  la soppressione della tassa sul macinato.
  • 6. Nel 1882 la Sinistra storica vinse le elezioni, ma la Destra ottenne un buon risultato e, per la prima volta viene eletto un deputato socialista: Andrea Costa. In seguito a questo risultato i leader degli schieramenti opposti, Depretis e Minghetti, si accordarono per costruire un’ampia formazione politica di centro che isolasse le “ali estreme” del Parlamento, da un lato i conservatori e reazionari di Destra, dall’altro la nuova Sinistra, definita Estrema (quella socialista e radicale). Questo fenomeno venne definito TRASFORMISMO e segnò la fine di ogni distinzione ideologica e programmatica tra Destra e Sinistra, la fine dello scontro tra i due principali schieramenti politici. Tutto questo determinò una degenerazione del sistema politico in quanto portò a costituire maggioranze diverse a seconda della legge da approvare , con scambi di favori non sempre limpidi tra governo e parlamentari.
  • 7.
  • 8. Negli anni ’70 sorsero le prime grandi industrie italiane - gli stabilimenti chimici Pirelli, le acciaierie Terni, le officine metallurgiche Breda – mentre anche l’industria tessile raggiungeva dimensioni significative. L’economia agricola rimaneva comunque di gran lunga prevalente e quando negli anni ‘80 entrò in crisi per effetto della grande depressione economica internazionale, tutta l’economia italiana ne risentì. Infatti a causa delle crescenti importazioni di cereali dall’America il prezzo dei cereali si dimezzò e trascinò nella crisi tutta la produzione agricola, soprattutto nei grandi latifondi del Sud. Di conseguenza gli agrari, specie nel Mezzogiorno, presero a premere sul governo affinché elevasse le tariffe doganali a «protezione» della produzione cerealicola nazionale. Dal settore agricolo ben presto la crisi dilagò anche in quello industriale.
  • 9. Il governo della Sinistra che, come quello della Destra storica, era stato fino ad allora liberoscambista, accolse queste richieste, adottando alte tariffe doganali sul grano e su vari prodotti industriali. Ovviamente i paesi stranieri reagirono alzando i dazi sui prodotti italiani. La svolta protezionistica ebbe effetti positivi sui prodotti della giovane industria italiana, ma l’aumento del prezzo del grano (e quindi del pane) determinò un grave peggioramento delle condizioni di vita delle masse popolari. Aumentarono i conflitti sociali e per molti l’emigrazione fu una scelta obbligata. Tra il 1881 e il 1901 più di 2 milioni di persone abbandonarono per sempre l’Italia. Inoltre il protezionismo ebbe effetti negativi sull’agricoltura del Sud, in quanto determinò la crisi dell’agricoltura specializzata (vino, olio, agrumi) che non trovò più sbocco in Europa a causa della ritorsione degli altri paesi.
  • 10. Tradizionalmente alleata della Francia e ostile all’Austria l’Italia governata dalla Sinistra storica operò una brusca svolta nei rapporti internazionali. La causa fu l’occupazione francese della Tunisia (1881). Da tempo l’Italia guardava con interesse a quel paese, dove risiedeva una folta comunità di connazionali. Il successo francese era stato favorito dall’isolamento internazionale dell’Italia. Per uscire da tale isolamento e per ripicca nei confronti della Francia, l’Italia stipulò nel 1882 un’alleanza con l’Austria e con la Germania: la TRIPLICE ALLEANZA. Si trattava di un accordo di natura difensiva: le tre potenze si impegnavano ad intervenire in aiuto reciproco solo in caso di aggressione da parte di altri paesi. Questa alleanza suscitò un’ondata di proteste nell’opinione pubblica italiana: era chiaro che, stipulando un accordo con l’Austria, l’Italia rinunciava alle “terre irredente” cioè non liberate dalla dominazione austriaca: il Trentino e il Friuli Venezia Giulia.
  • 11. Sempre nel 1882 prese il via l’avventura coloniale italiana: venne occupata una stretta striscia di terra nei pressi della baia di Assab, sul Mar Rosso. Da lì le truppe italiane partirono, nel 1885, alla conquista di Massaua (Eritrea). Ma quando gli italiani cercarono di spingere le loro conquiste verso l’interno del paese, provocarono la reazione del negus Menelik, l’imperatore d’Etiopia (o Abissinia come era chiamata allora). Nel gennaio 1887 un reparto di 500 italiani venne massacrato a Dogali da 7.000 etiopi. L’AVVENTURA COLONIALE ITALIANA COMINCIAVA CON UN DISASTRO.
  • 13. Nel 1887 Depretis morì. Gli succedette Francesco Crispi, il primo uomo meridionale a diventare presidente del consiglio. Agrigentino di nascita, Crispi era stato in gioventù fervente democratico e mazziniano: partecipò alla rivolta siciliana del 1848 e alla spedizione dei Mille di Garibaldi. Dopo l’unificazione abbandonò le idee repubblicane e divenne sostenitore della monarchia. RIMASE AL POTERE QUASI ININTERROTTAMENTE TRA IL 1887 E IL 1896. Ammiratore di Bismarck e sostenitore dello Stato autoritario, con l’appoggio del nuovo re Umberto I, accentrò su di sé le cariche di presidente del consiglio, ministro degli Interni e ministro degli Esteri. Mai nessuno nell’Italia postunitaria aveva concentrato nelle sue mani tanto potere.
  • 14. In politica estera il suo orientamento ostile alla Francia lo portò a consolidare l’alleanza con la Germania. La Francia reagì introducendo una tariffa doganale molto pesante sui prodotti italiani, alla quale Crispi rispose innalzando del 50% le tariffe sui prodotti francesi. Ebbe così inizio una “guerra doganale” che causò una netta diminuzione delle esportazioni italiane in Francia (- 40%). Poiché la Francia era il nostro primo partner commerciale e il principale acquirente dei prodotti agricoli del nostro Mezzogiorno, ad essere danneggiata fu soprattutto l’economia del Sud.
  • 15. Nel 1889 Crispi firmò con il negus Menelik, imperatore d’Etiopia, il Trattato di Uccialli. Tale trattato fu redatto in due lingue: la versione italiana riconosceva i possedimenti italiani in Eritrea e il protettorato italiano su Etiopia e Somalia. La versione in lingua locale (amarico) parlava di un semplice patto di amicizia e come tale fu interpretato il trattato da Menelik. L’intenzione di Crispi era quella di riprendere l’espansione coloniale, ma questo progetto non fu accolto dal Parlamento e Crispi fu costretto alle dimissioni nel 1891.
  • 16. Il successore di Crispi, Giovanni Giolitti, dovette subito affrontare un grave problema di ordine pubblico: lo scoppio in Sicilia del un moto di protesta popolare detto dei FASCI SICILIANI che raggiunse il culmine nel 1893. Il movimento comprendeva operai, artigiani, minatori e contadini che protestavano contro le pesanti tasse del governo e contro i latifondisti, rivendicando una più equa distribuzione delle terre. Ideologicamente non era un movimento rivoluzionario ma un movimento popolare privo di una precisa identità: un’esplosione di rabbia per le condizioni in cui versava il popolo siciliano. Giolitti decise di affrontare la questione con prudenza, senza fare ricorso a misure eccezionali e repressive Ciò lo fece apparire agli occhi di molti un presidente del Consiglio «debole», incapace di intervenire con decisione in una situazione di pericolo.
  • 17. Si tratta del più grande scandalo politico e finanziario che abbia colpito l’Italia unita. Per coprire vari ammanchi, era successo che la Banca Romana (una delle sei banche che allora potevano emettere moneta) aveva incominciato a stampare lire in eccedenza rispetto ai limiti di legge. In più aveva finanziato in alcuni casi sovvenzionato la campagna elettorale di uomini politici, in altri aveva concesso prestiti a condizioni particolarmente vantaggiose. Il fatto era emerso nel 1889, quando Giolitti era ministro del Tesoro del governo Crispi: accusato di debolezza e di aver coperto lo scandalo della Banca Romana, nel dicembre del 1893 dovette rassegnare le dimissioni.
  • 19. Tornato al potere, Crispi represse militarmente il movimento di protesta siciliano, proclamando lo stato d’assedio. Successivamente Crispi tornò a rivolgersi alla politica coloniale con la pretesa che l’Etiopia rispettasse la versione italiana del trattato di Uccialli. Il rifiuto di Menelik portò all’invasione italiana del paese. Per l’Italia la spedizione militare si risolse in un completo disastro: sconfitti ad Amba Alagi (1895), poi a Maccalè (1896), il 1 marzo 1896 16.000 soldati italiani si scontrarono con 70.000 abissini nei pressi di Adua. Fu una carneficina: 7.000 italiani rimasero uccisi, 3.000 furono fatti prigionieri. Travolto dalle critiche, Crispi nel 1896 rassegnò le dimissioni e si ritirò a vita privata: morirà nel 1901 senza più tornare al governo. Con le dimissioni di Crispi, terminava l’età della Sinistra storica e iniziava la CRISI DI FINE SECOLO.
  • 20. Intanto nel Paese dilagava la crisi economica e il popolo cominciava a soffrire la fame. Nel 1898 un improvviso innalzamento de prezzo del pane provocò un’ondata di manifestazioni che percorse l’Italia intera. La più grave si ebbe il 6 maggio 1898, a Milano, quando il generale Fiorenzo Bava Beccaris ordinò ai soldati di cannoneggiare la folla che protestava. I morti furono un centinaio. Molti dirigenti dell’opposizione, soprattutto socialisti, furono arrestati (tra questi anche Filippo Turati, il capo del partito socialista italiano), la libertà di stampa fu decisamente limitata. Bava Beccaris fu elogiato dal governo e dal re Umberto I che lo decorò con un’importante onorificenza militare, la Gran Croce dell’Ordine militare di Savoia.
  • 21. Il nuovo capo del governo Luigi Pelloux tentò di far approvare una serie di norme che restringevano notevolmente le libertà di stampa e di riunione. Il suo progetto fallì grazie alla decisa azione dell’opposizione e Pelloux fu costretto a dimettersi. Le nuove elezioni (1900) diedero buoni risultati per l’opposizione, in particolare per i socialisti. Nel luglio 1900 l’anarchico Gaetano Bresci, per vendicare i morti di Milano, uccise, a Monza, il re Umberto I.
  • 22. Bresci, il regicida, venne processato con un rito sommario dopo un mese dall’omicidio: durante gli interrogatori sostenne sempre di aver agito da solo. La verità morì con lui il 22 maggio del 1901: Bresci infatti si suicidò, in circostanze poco chiare, nel carcere dove stava scontando l’ergastolo. Quello che è certo è che con l’assassinio del re la monarchia riconquistò il consenso: i giornali raccontavano la storia del «re buono» trucidato e le varie forze politiche, che erano in conflitto tra loro, si trovarono tutte d’accordo nel condannare il delitto. E così re Umberto I divenne più da morto che da vivo il simbolo dell’unità d’Italia. Il nuovo re, Vittorio Emanuele III, decise di affidare il nuovo governo a Zanardelli (l’autore del nuovo Codice Penale che aboliva la pena di morte). Lo affiancava, come ministro degli Interni, Giovanni Giolitti. INIZIAVA COSÌ L’ETÀ GIOLITTIANA