Questo racconto, mio esordio letterario in un concorso pubblico, è stato pubblicato all'interno della raccolta di racconti SCRIVIMI DI QUESTO TEMPO - Edilet 2008.
''ANNO 1962. CIAK SI GIRA:
palcoscenico di una scuola materna: sono alla mia prima recita.
Siamo dieci bambine che, disposte in cerchio, cantiamo la canzone ''La campagnola bella''. Indossiamo un costume di raso verde con applicate margherite bianche. Eseguiamo dei piccoli passi di danza tipo la Zorba ed alziamo le mani in alto, ci impegniamo molto, la suora ci fa segno e noi teniamo il tempo.
Siamo emozionate e cerchiamo con gli occhi, in platea, un viso conosciuto, i nostri genitori (...).''
Un romanzo dove la vita ed il teatro si fondono in un unico scenario.
"Tra le donne l'amore è contemplativo, non v'è lotta né vittoria, né sconfitta, ognuna è soggetto e oggetto, schiava e padrona."
Questo è un racconto vero, per gli argomenti trattati è destinato ad un pubblico adulto.
acconto #donne #femminile #sesso #lesbo #saffico #segreto #piacere #solitario #adulti
ATTENZIONE: RACCONTO AD ALTO CONTENUTO EROTICO - VIETATO AI MINORI DI 18 ANNI !
Un’istitutrice veramente “speciale” avvia la sua pupilla a piaceri languidi e femminili.
Si prenderà “cura” della giovane Nicole fino all’atto più estremo del suo svezzamento erotico.
Un gioco troppo facile che, alla fine, si ritorce proprio contro di lei, in maniera del tutto inaspettata.
''ANNO 1962. CIAK SI GIRA:
palcoscenico di una scuola materna: sono alla mia prima recita.
Siamo dieci bambine che, disposte in cerchio, cantiamo la canzone ''La campagnola bella''. Indossiamo un costume di raso verde con applicate margherite bianche. Eseguiamo dei piccoli passi di danza tipo la Zorba ed alziamo le mani in alto, ci impegniamo molto, la suora ci fa segno e noi teniamo il tempo.
Siamo emozionate e cerchiamo con gli occhi, in platea, un viso conosciuto, i nostri genitori (...).''
Un romanzo dove la vita ed il teatro si fondono in un unico scenario.
"Tra le donne l'amore è contemplativo, non v'è lotta né vittoria, né sconfitta, ognuna è soggetto e oggetto, schiava e padrona."
Questo è un racconto vero, per gli argomenti trattati è destinato ad un pubblico adulto.
acconto #donne #femminile #sesso #lesbo #saffico #segreto #piacere #solitario #adulti
ATTENZIONE: RACCONTO AD ALTO CONTENUTO EROTICO - VIETATO AI MINORI DI 18 ANNI !
Un’istitutrice veramente “speciale” avvia la sua pupilla a piaceri languidi e femminili.
Si prenderà “cura” della giovane Nicole fino all’atto più estremo del suo svezzamento erotico.
Un gioco troppo facile che, alla fine, si ritorce proprio contro di lei, in maniera del tutto inaspettata.
Warning: Racconto Eros - VM 18 years
Pagg. 7 - Time 15 min. circa
Occhi aperti, sempre: fare il "maestro" può dare alla testa; specialmente in una casa dal clima represso e dai ruoli incerti.
Questa è l'avventura reale di una ragazza che deve misurarsi con qualcosa di estremo e quasi invincibile, perchè il seme del male
è anche dentro di lei.
Un amore travolto dalla vita
Una passione riposta nel cassetto come un paio di autoreggenti.
I sentimenti sembrano non avere confini e si ripresentano,
con la stessa forza, anche dopo tanto, tanto tempo
Ma noi saremo pronti a riviverli con lo stesso vigore dei vent'anni?
Una donna, con il suo bagaglio di segreti occultati al mondo come gioielli rubati, si incamminò sulla strada per l’inferno. L’unica che le sia rimasta, crede. L’ultima a dirla tutta.
Ma qualcuno la attende ai cancelli. Per presentarle il conto.
WARNING: ADULTS ONLY - PER ADULTI
Non aprite quella... PUBBLICAZIONE.
Gli esperti dicono che gran parte del successo di un libro proviene dalla sua copertina. Capita che delle copertine, anche molto azzeccate, non possano essere proposte per pura correttezza. Pubblico dappertutto, non tutti i lettori sono appassionati di eros, così le copertine più intriganti, spesso restano nel ripostiglio, eccole per i cultori del genere. 25 Illustrazioni sessualmente esplicite. TASSATIVAMENTE VIETATO AI MINORI E AD UN PUBBLICO SENSIBILE.
Warning: Racconto Eros - VM 18 years
Pagg. 7 - Time 15 min. circa
Occhi aperti, sempre: fare il "maestro" può dare alla testa; specialmente in una casa dal clima represso e dai ruoli incerti.
Questa è l'avventura reale di una ragazza che deve misurarsi con qualcosa di estremo e quasi invincibile, perchè il seme del male
è anche dentro di lei.
Un amore travolto dalla vita
Una passione riposta nel cassetto come un paio di autoreggenti.
I sentimenti sembrano non avere confini e si ripresentano,
con la stessa forza, anche dopo tanto, tanto tempo
Ma noi saremo pronti a riviverli con lo stesso vigore dei vent'anni?
Una donna, con il suo bagaglio di segreti occultati al mondo come gioielli rubati, si incamminò sulla strada per l’inferno. L’unica che le sia rimasta, crede. L’ultima a dirla tutta.
Ma qualcuno la attende ai cancelli. Per presentarle il conto.
WARNING: ADULTS ONLY - PER ADULTI
Non aprite quella... PUBBLICAZIONE.
Gli esperti dicono che gran parte del successo di un libro proviene dalla sua copertina. Capita che delle copertine, anche molto azzeccate, non possano essere proposte per pura correttezza. Pubblico dappertutto, non tutti i lettori sono appassionati di eros, così le copertine più intriganti, spesso restano nel ripostiglio, eccole per i cultori del genere. 25 Illustrazioni sessualmente esplicite. TASSATIVAMENTE VIETATO AI MINORI E AD UN PUBBLICO SENSIBILE.
De Short Title Catalogus Vlaanderen is in haar dertienjarig bestaan aangegroeid tot een respectabele omvang van 19.500 titelbeschrijvingen op basis van meer dan 33.000 exemplaren. Of je nu wel of geen partner bent in deze databank: hoe gebruik je als erfgoedbibliotheek dit rijke en betrouwbare bestand in je voordeel?
Feiras Agroecológicas e Grupos de Consumo ResponsávelInstitutoKairosSP
A relação das feiras agroecológicas e grupos de consumo é estreita. Se complementam e se apoiam buscando estabelecer circuitos curtos de comercialização: do produtor direto para o consumidor.
Presentación la Rede ULBRA de Innovación - ULBRATECH, sus parques tecnológicos, incubadoras de tecnología, incluyendo datos sobre el Rio Grande do Sul, al final, una propuesta de colaboración.
Sole nasce sulle rive del lago di Bolsena. Una famiglia perfetta, si direbbe vedendola da fuori. E’ una bambina curiosa, innamorata della sorella Valeria, più grande di lei di appena due anni. Un fratello più piccolo, un padre psichiatra e una madre distratta. Le due sorelle condividono il loro mondo, fatto esclusivamente di segreti, alcuni dei quali impossibili da raccontare pertanto nascosti nei loro diari. Quando Valeria scompare nel nulla, inizia per Sole una vita di domande e ricordi importanti che non racconterà mai a nessuno fino al giorno dell’incontro con Marco. Un uomo che la costringerà a rivivere i suoi segreti, a guardare in faccia i mostri del passato. Per farlo, l’uomo utilizzerà l’unico modo che conosce. I segreti sono svelati, l’anima è leggera ma la scia di sangue, rimarrà sempre ai suoi piedi.
Quel 27 gennaio mio papà mi ha liberata dalle zavorre della nostalgia; mi ha permesso di accettare la mia identità composta da due anime, da due culture, da due patrie: non potrei consistere senza una delle due.
Storia di un reduce dai campi di sterminio nazisti, fra i molti che racchiude, è questo forse il messaggio conclusivo del libro memoria-romanzo di Centonze. Quello che condensa i caratteri del suo animo esuberante e mette in luce il legame profondo con il padre. Legame che non è banale attaccamento al genitore preferito, ma elogio della paternità – il senso acuto della responsabilità sopravvissuto in uomo pur così ferito e segnato da una esperienza atroce - e della maternità. Perché Cosetta (colei che scrive in prima persona) l’ha preso veramente per mano, come quei bambini che si sono persi in un contesto non più familiare, e che il sentimento materno spinge a raccogliere per “riportare a casa”. Rapporto unico ed esemplare sul quale fiorisce come sentimento maturo il perdono di Lui ai suoi aguzzini e la sapiente - sperimentata sulla sua carne - fraternità di Lei.
Un limoncello all'inferno (prima stazione)elnovovassor
Quel 27 gennaio mio papà mi ha liberata dalle zavorre della nostalgia; mi ha permesso di accettare la mia identità composta da due anime, da due culture, da due patrie: non potrei consistere senza una delle due.
Storia di un reduce dai campi di sterminio nazisti, fra i molti che racchiude, è questo forse il messaggio conclusivo del libro memoria-romanzo di Centonze. Quello che condensa i caratteri del suo animo esuberante e mette in luce il legame profondo con il padre. Legame che non è banale attaccamento al genitore preferito, ma elogio della paternità – il senso acuto della responsabilità sopravvissuto in uomo pur così ferito e segnato da una esperienza atroce - e della maternità. Perché Cosetta (colei che scrive in prima persona) l’ha preso veramente per mano, come quei bambini che si sono persi in un contesto non più familiare, e che il sentimento materno spinge a raccogliere per “riportare a casa”. Rapporto unico ed esemplare sul quale fiorisce come sentimento maturo il perdono di Lui ai suoi aguzzini e la sapiente - sperimentata sulla sua carne - fraternità di Lei.
Lettera al vento: esercizio di scrittura creativa volto alla riflessione-attualizzazione del messaggio di lode del "Cantico delle creature" di San Francesco. Scritta da Giorgia Quaresima, IIA, scuola secondaria di I° grado, San Vito Romano (Rm)
"Schegge di me" è uno Young Adult, primo libro di una trilogia della giovane scrittrice Tahereh Mafi.
Il secondo libro, Unravel Me, sarà in uscita l'anno prossimo, ma visto il forte successo già riscosso negli USA da Schegge di me, la 20th Century Fox ne già acquisito i diritti cinematografici.
1. SOLO.
CON TE.
di Edoardo Sorani
Pubblicato all’interno dell’antologia SCRIVIMI DI QUESTO TEMPO - EDILET - 2008
2. Coff! …Coff!
- Vuole un bicchiere d’acqua, prima di cominciare?
- No, grazie, sto bene così.
- Ragazzo, siamo tutti molto addolorati per quello che è successo. Ti siamo vicini
e capiamo che questo non è il momento più adatto, ma sai bene che la prassi impone
questo colloquio, per chiarire gli eventi e mettere i puntini sulle “i”.
- Lo so, agente.
- Bene, allora procediamo… Vogliamo darci del “tu”, Andrea?
- Diamoci pure del “tu”, agente, va benissimo.
- Bene Andrea, allora comincia pure a parlarci di come sono andate le cose, fin dal-
l’inizio. Cerca di essere preciso e di non tralasciare nulla.
…Coff! …Coff!
“Come sono andate le cose” volevi sapere, agente Anselmi.
Però per me non è possibile parlare solo dei semplici fatti; non adesso almeno. Adesso posso solo parlare della paura
che ancora sento calda e forte nel mio corpo. Posso parlare del dolore, immenso per quello che è successo. Si dice che
“a caldo” le nostre reazioni non siano lucide, obiettive; beh io credo che non mi raffredderò mai abbastanza, mi spiace.
Quello che è successo l’altra sera, d’altronde, non può essere trattato come un semplice fatto.
Dio… ancora non me ne capacito.
Ale, mi manchi da impazzire. È solo un giorno che sono senza di te, e alla sera mi sento soffocare.
Stamattina quei due stronzi di poliziotti erano lì a fare i comprensivi, usavano tutte parole infiocchettate di mille e più
espressioni rassicuranti e incoraggianti, del tipo “fatti forza Andrea”, “coraggio, Andrea”.
Si fa presto a tranquillizzare la gente con le parole, dopo le tragedie. Tranquillizzarla con le parole quando ogni giorno
dovrebbero farlo coi fatti, che poi è il loro lavoro, e non lo fanno. E si comportano come se ciò non li sfiori minima-
mente. Non sono le “forze dell’ordine”? Non dovrebbero proteggerci da quello per cui, dopo, ci tranquillizzano a pa-
role?
Che faccia tosta… avresti dovuto vederli, Ale.
Ma che dico? Tu c’eri. Sicuramente eri lì, in quella stupida stanza con quel vetro tanto grande.
C’eri anche tu, lì, con me e quei tre poliziotti, impettiti nelle loro divise perfettamente stirate.
Eri lì al mio fianco, seduta accanto a me, di fronte ad Anselmi, a darmi la forza per continuare a parlare dell’altra sera,
di quanto il mondo sia ingiusto e di quanto l’uomo sia cattivo, a tal punto da non meritarsi il mondo stesso.
[…]
- Siamo andati a cena, come già avevamo fatto altre volte. Solito posto, solita
trattoria “Da Enrico”. Siamo sempre andati là nelle occasioni particolari, e quello
era il nostro sesto mese.
- E dopo? Cosa è successo?
- È successo che, pagato il conto, era in programma di concludere la serata al ci-
nema, al secondo spettacolo. Invece poi, una volta entrati in macchina, stavamo così
bene da soli, io e Ale, che abbiamo preferito fare un giro assieme, rimanendo al
calduccio. Ad Ale la città, vista di notte, piaceva sempre molto. Guardava rapita
quegli scenari di mille colori, creati da quel miscuglio di lampioni e luci diverse.
Diceva che era bellissima, che era romantica, che non avrebbe mai sognato di essere
in un posto migliore, sola con me in questa città bellissima…
- Coraggio Andrea. A questo punto siete in macchina, usciti dal ristorante. Dove
siete diretti?
- L’idea era quella di fare una passeggiata e poi rientrare a casa: non è necessario
fare tardi, specie se non si impegna il tempo in niente di particolarmente utile o
divertente.
- Quindi?
- Beh, il giro in macchina stava ormai per concludersi e quindi l’inerzia ci avrebbe
riportato verso casa di Alexandra, ma giunti al bivio, prima di imboccare la strada
privata per casa sua, mi ha detto che voleva stare ancora un po’ sola con me, che
era una sera da sogno e che non voleva che finisse tutto così presto. Ha detto che
voleva stare con me.
- Per questo vi siete poi appartati in macchina?
3. - Sì, ma non siamo una coppietta in calore che voleva fare sesso e basta, mi risparmi
quel tono da “non potevate proprio farne a meno?”. Non è per una questione di morale
che siamo qui a parlare, ma per una questione di sicurezza, anzi di insicurezza.
Lei crede di sapere come va il mondo, ma non eravamo lì per “fottere”; noi ci ama-
vamo, volevamo solo un po’ di intimità, per parlare di noi senza essere disturbati.
Il buio, d’altronde, elimina le distrazioni e fa scendere il sipario su questo mondo
di merda in cui viviamo. Il buio ci permette di sognare e al contempo ci rende più
uniti. Questo volevamo: sentirci uniti. Se solo il mondo fosse rimasto fuori dal
nostro sogno…
Coff! Coff!
Te lo ricordi, amore mio? Quante volte ci siamo immersi nella magica atmosfera della notte? Tu ed io soli. I nostri corpi,
avvolti l’uno all’altro, che si cercano, che si stringono, che si amano.
Quanto ti piaceva quando prendevo la tua testa fra le mie mani, piano, e ti baciavo la fronte e poi la bocca. Mi dicevi
che ero delicato, che ero speciale. E io amavo sentirmi speciale, solo con te e solo per te. Avrei tanto voluto vivere ieri
ancora tutto questo, ancora, avrei voluto viverlo ogni giorno sino alla fine dei miei giorni.
Ma ieri… cosa ha combinato Dio? Ha girato la testa dall’altra parte, ha ignorato il nostro bisogno d’aiuto, si è reso com-
plice di quei bastardi. Bastardo anche lui.
Bastardo il mondo in cui viviamo, dove due persone intente ad amarsi possono essere strappate l’una all’altra dalla pura
violenza.
[…]
- Agente, ho fermato la macchina lungo il marciapiede che costeggia parco S. Teo-
doro, tra una Peugeot e il cassonetto.
- C’era qualcuno oltre a voi due?
- Certo che no. Soli in macchina io e Ale e soli in quella strada, o almeno pensa-
vamo.
- Non hai notato nessun individuo sospetto, nessuna cosa, nell’ambiente, che ti ha
messo in guardia?
- Ripeto, no. E comunque è ovvio che non mi sia soffermato a guardare dietro ogni
cespuglio, anche se di questi tempi sarebbe questa l’unica cosa da fare, oltre na-
turalmente ad andare in giro armati e scortati da un esercito.
- Adesso continua, Andrea, e cerca di farti venire in mente ogni dettaglio, soprat-
tutto circa l’aspetto dei tuoi aggressori.
- Cosa vuole che le dica, è ancora tutto così confuso. Ricordo che ci stavamo ri-
lassando, avevamo abbassato i sedili ed eravamo stesi l’uno a fianco dell’altro.
- Probabilmente, però, i vetri appannati rivelavano la presenza di qualcuno all’in-
terno della vettura.
- Probabilmente… ad ogni modo, in un istante prima un’ombra e poi un rumore fortis-
simo ci hanno sorpresi, quei tipi hanno fracassato il mio finestrino e mi hanno col-
pito alla testa con un pugno o qualcosa del genere…
- In realtà una mazza, un arnese di legno, lo stesso che hanno presumibilmente usato
per mandare in frantumi il finestrino.
- Bastardi figli di puttana.
- …e questo è il punto dal quale poi non ricordi o non hai visto più nulla, giusto?
- Giusto. Più che altro mi tornano in mente dei rumori: altri vetri che si rompono,
risate, urla, parole che non conosco… le grida, le grida di Ale. O mio Dio…
Ho sentito che chiamavi il mio nome, che lo urlavi a gran voce, con tutte le forze che avevi in corpo. Ricordo l’erba
bagnata, in cui affondava il mio viso. A pochi metri da me, nel parco, ombre confuse, esseri immondi che parlano una
lingua che non capisco. Capisco poco, il mio sguardo è vicino a perdersi. Capisco che ti fanno del male, capisco che
stanno abusando di te, capisco che è la fine e io non posso fare nulla. Ricordo di aver pensato di urlare a mia volta, di
gridare con tutto me stesso di lasciarti stare, ma non più che un sussurro, nell’aria umida, sono state le mie parole.
Mio Dio, Ale, non me lo perdonerò mai. Tu forse lo hai già fatto, o magari diresti che non è colpa mia, ma io non riesco
a sopportare tutto questo …Coff! …Coff!
Quando, circa sei mesi fa, giurammo che ci saremmo amati per sempre, io ti chiamai “principessa” e tu mi dicesti che
ero il principe più bello e dolce del mondo. Ti dissi che per te ci sarei sempre stato, che ti avrei protetta da ogni pericolo
4. e salvata da ogni insidia.
Ora ti ho perso, per sempre, e queste parole ormai sembrano più un gioco che un grande amore. Non ti ho protetto,
Ale, perdonami.
Perdonami anche per non averti salutato oggi, all’obitorio. Non ho avuto la forza di entrare, di vedere il tuo corpo mal-
ridotto, di sentirlo freddo, immobile, senza quella scintilla di vita che sembrava animarti più d’ogni altra creatura a
questo mondo.
Avrei desiderato varcare quella soglia, avvicinarmi e guardarti con tutto il mio amore, prenderti la mano e chiederti
“come stai?” come se tutto questo fosse solo un brutto sogno da dimenticare. Avrei voluto abbracciarti, stringerti
forte a me come spesso mi chiedevi, con quell’aria da bambina che io non capivo e canzonavo. Potessi farlo ora,
piccola mia, ti terrei stretta a me più che posso, per tutta la mia vita.
Avessi potuto farlo almeno un’ultima volta…Dio, Ale non ci siamo nemmeno detti addio…
Coff! Coff!
Mi manca tutto di te, Ale. Vorrei averti ancora qui, vicino a me, seduta ancora al mio fianco in questa macchina che ci
ha tenuto compagnia durante alcuni dei nostri momenti migliori. Vorrei poter aggiustare la tua assenza, come col fi-
nestrino che ho rattoppato col nylon e che poi, dopo il carrozziere, tornerà come nuovo. Vorrei poterti riparare, averti
qui per prenderti in giro per le tue stupide paure, per darti pizzichi sulle gambe, per guardarti negli occhi e dirti che ti
amo, per prendere delicatamente la tua testa fra le mie mani e baciarti la bocca, e la fronte.
Ale tutto questo è terribile, è ingiusto, cosa abbiamo fatto per meritare quest’assurda tragedia?
[…]
- Eccoti dell’acqua. Andrea, ascoltami: devi esser forte, devi farti coraggio. Ale-
xandra vorrebbe che tu reagissi al dolore e allo sconforto. Perdonami, ragazzo, ma
è la prassi: sei proprio sicuro di non poterci dire nulla di significativo riguardo
all’aspetto degli aggressori? Non ricordi se, mentre eri a terra ancora in parte
cosciente, avevano qualcosa di particolare? Erano stranieri? Erano bianchi?
- Agente, mi spiace, quello che sapevo e che ho visto gliel’ho detto. Non so dirle
nulla: potevano essere extra-comunitari, potevano essere dei fottuti bulli nostrani…
non so, ero svenuto. Magari mi verrà in mente dopo. Quanto a quello che vorrebbe
Ale, credo non stia a lei dirlo. Non la conosceva nemmeno. Ora, se non le dispiace,
dovrei andare. Mia madre mi aspetta per pranzo, è rimasta sconvolta. Sa, teme che
ci possano essere “conseguenze traumatiche” per la mia psiche… è così presa dalle
sue fisime e dalle sue deformazioni professionali da terapeuta che non si è accorta
del fatto che io sono qui salvo, mentre Ale… sono i genitori di Ale che hanno
davvero motivo di stare male, di piangere, di andare in televisione e gridare contro
l’uomo, contro lo Stato, contro Dio.
Ti ricordi, Ale, quando accettai per la prima volta di venire la domenica a pranzo a casa tua? Ci conoscevamo da un
mese o poco più, ma tu me lo avevi già chiesto un migliaio di volte. Mille volte ti avevo risposto di no, sperando che
avresti smesso di chiedermelo.
Non me ne fregava niente dei tuoi. Non li conoscevo e nemmeno volevo conoscerli. Arrivammo addirittura a litigare
per questo, per il mio ennesimo rifiuto. Poi facemmo la pace, ebbi l’impressione di aver superato uno di quegli scogli
su cui s’infrangono le storie d’amore. Poi, quel sabato, esattamente una settimana dopo quel fatidico litigio, tu mi chie-
desti “domani a pranzo vuoi venire da me”?
Restai di sasso e poi cominciai a ridere di brutto: avevo capito che non mi sarei liberato di te tanto facilmente, che eri
tenera, ma sapevi anche essere un osso duro.
Ti amavo.
Presto capii anche che accettare era stato un errore. Quel pranzo, come gli altri pochi che seguirono, era squisito, ma
l’atmosfera no, non mi piaceva per niente. C’era qualcosa di strano, di innaturale: forse quella grande sala in cui man-
giavamo, così bella e così vuota, silenziosa, oppure tuo padre, che con un sorriso forzato mi diceva di chiamarlo
Alberto, di dargli del “tu”, ma dava puntualmente del “lei” a me, ogni qualvolta mi faceva il terzo grado sui miei studi.
Probabilmente non gli piacevo, non mi considerava alla tua altezza.
Non ci siamo mai presi, io e la tua famiglia. Ora, però, le cose sono cambiate. La tragedia che ci ha travolto ha spazzato
via in un lampo tutto il nostro stupido passato, ci ha unito. Ci ha unito perché ci ha reso soli. Adesso quelle puntigliose
osservazioni sul mio rendimento scolastico, quei discorsi sul mio modo di vestire, appaiono lontani, trascorsi. Non “su-
perati”, ma semplicemente inutili. In un certo senso, è come se siamo un’unica, nuova famiglia. Siamo come fratelli,
tutti figli del più grande dolore che poteva colpirci: la tua scomparsa.
5. Non so come farò, adesso, senza di te. Non è passato che un giorno, neppure tutto, e la tua assenza è già insopportabile.
Non oso pensare a domani…
Anche i tuoi sono a terra. Sono distrutti, annientati. Ma si riprenderanno, vedrai: Alberto è forte anche per tua madre.
Che carattere diverso che hanno.
Tua madre era lì immobile, in quella sala fredda, pareva fosse morta con te. L’ho abbracciata, mi ha dato una carezza
e poi è tornata a fissare il tuo lettino vuoto, ma in realtà il suo sguardo era perso chissà dove. Le sono rimasto accanto
per qualche minuto, ma non sono riuscito a strapparle niente di più di un’inutile domanda sul mio stato di salute.
Poco fuori la stanza, tuo padre, avresti dovuto vederlo. Era letteralmente imbestialito, come una belva che, ferita, si
agita e ringhia con ritrovato vigore, determinata a sbranare il suo avversario e chiunque altro si trovi lungo il suo cam-
mino. Mi ha fatto pensare a quegli eroi dei film storici, che durante la battaglia vengono infilzati con la spada, ma, an-
ziché morire come gli altri, se la sfilano dal ventre e con furore sovrumano feriscono a morte il loro nemico e almeno
altri venti dei suoi soldati, prima di cadere a terra, esanimi, a loro volta. Alberto era nel corridoio, all’entrata del reparto,
che sbraitava coi giornalisti, accusando chiunque: lo Stato, la polizia, l’ospedale stesso. Con i pugni stretti, la voce rauca
e la faccia contrita, davanti ai microfoni e alle telecamere minacciava di andare personalmente a dar fuoco a tutti i
campi nomadi della città, uno ad uno.
- Queste persone non devono essere calcolate come tali, chi ha fatto una cosa del genere non deve essere considerato
una persona. Li devono mandare via, lontano dai nostri confini, lontano dalle nostre case, lontano dai nostri figli – que-
sto ha detto tuo padre.
In realtà non è provato che siano stati degli extra-comunitari, ma l’opinione pubblica ha già deciso che sono stati loro.
Rom, rumeni, zingari, barboni, marocchini, tunisini, albanesi, algerini, in effetti, sono un pauroso miscuglio di troppi,
confusi ingredienti. La gente ha perso il conto, la gente ha perso la pazienza.
Tuo padre era evidentemente scosso, aveva perso il lume della ragione. Io mi trovo nella sua stessa situazione, e ne sono
consapevole, ciononostante il suo discorso mi appare sempre più sensato, ogni volta che ci penso.
In realtà era davvero “partito per la tangente”, roba da bomba nucleare o poco meno.
E pensare che quando mi ha visto uscire dalla stanza, dall’altra parte del corridoio, mi è venuto incontro urlandomi
come un matto, chiamandomi “assassino”. Ho capito la situazione: volevo andarmene, evitarlo, ma di fronte all’ascen-
sore mi ha raggiunto, e allora è iniziata una guerra che temevo ci portasse direttamente alla morte. Ci siamo urlati
contro, ci siamo accusati a vicenda di essere corresponsabili della tragedia. Alberto accusava me di averti condotta in
quel posto pericoloso, di essere uno “stronzo che ragiona solo col suo cazzo”; a mia volta io l’ho incolpato di avermi
e averci costretto a queste soluzioni, perché è troppo ottuso e stupido per capire che potendo stare tranquilli in casa,
a nessuno sarebbe mai saltato in mente di avventurarsi, una fredda notte di inverno, alla ricerca di un posto poco fre-
quentato. In quel momento ho creduto stesse per colpirmi, ma ha solo “finto” di farlo, dicendomi poi che è comunque
da pazzi andare in giro la notte, qualunque sia la meta; perché tra extra-comunitari, drogati, e ubriachi al volante di ogni
nazionalità, trovarsi per strada è pericolosissimo. Gli ho risposto che “salvarsi” la vita da queste cose, stando sempre
rinchiuso al sicuro della propria casa, non serve a nulla se poi, come succede troppe altre volte, a portarti all’altro
mondo è magari un tumore, una fuga di gas, un ladro che penetra sin dentro casa tua, per quanto sicura essa sia. A
quel punto stava per colpirmi davvero, ma per fortuna due infermieri si sono frapposti e ci hanno separato.
Forse ha ragione lui, forse ho anche ragione io.
La vera tragedia è che di fronte a quello che è successo la ragione può prendersela chi vuole, tanto non conta un cazzo.
Quello che conta è che tu non ci sei più, e che nessuno farà abbastanza per imparare da questo.
…Coff! Coff!
…Anzi, nessuno farà niente.
Ti aspetto, Ale…
- Mi perdoni, agente, ma non riesco a continuare in “questo stato”. Il mio povero
figlio… perché…? Perché è andata così?
- Signora, non si preoccupi, è naturale che sia in “questo stato”. Ci dispiace
molto. Noi lo abbiamo avuto qui ieri, e le giuro che non aveva dato l’impressione
di essere tanto sconvolto da fare un gesto del genere.
Io stesso, stamattina, sono rimasto di sasso quando ho saputo del gas di scarico
della macchina.
- E pensare che lo credevo in giro a sfogare la sua rabbia in modo costruttivo. Ora
è davvero finita. Ieri lo avevate qui, e oggi non c’è più. Dov’è, oggi, mio figlio?
E’ con quella lì, con la sua “Ale”. Glielo dicevo, io, di andarci piano. Aveva
tutta la vita davanti a sé per pensare con calma a queste cose… Ma diceva di non