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Periodico di informazione a cura dell’associazione “Il Cielo sopra Esquilino” Numero 27 anno V - Settembre/Ottobre 2019
L'orchestra che promuove piazza Vittorio nel mondoIl vicedirettore Pino Pecorelli ci racconta di questa esperienza unica, dei suoi esordi, della musica.
Anche del forte rapporto con il rione, dove, però, non è stata mai individuata e concessa una sede
Qual è stata la motivazione
principale che vi ha spinto a
creare l'Orchestra di Piazza
Vittorio?
L'intuizione originaria è stata di
Mario Tronco, a tutt'oggi diretto-
re dell'orchestra, che ebbe l'idea
di trasformare in musica il suono
della piazza. Io, che ho sempre
nutrito grande curiosità, sia da un
punto di vista musicale che socia-
le, nei confronti delle contamina-
zioni con persone di altri paesi,
sono stato contattato da lui e ho
aderito immediatamente al pro-
getto. Era un periodo, quello dopo
gli attentati alle Torri Gemelle del
2001, in cui il fenomeno migra-
torio stava diventando più impo-
nente e in cui affioravano segni di
paura nei confronti dei migranti;
nello stesso tempo, tuttavia, c'era
anche la curiosità di confrontarsi
con le culture ‘altre’. Così Tron-
co, insieme con Agostino Ferrente
dell'Apollo 11, misero insieme vari
musicisti stranieri che abitavano
ad Esquilino, provenienti dalle di-
verse comunità presenti nel rione,
per fare un concerto dimostrati-
vo. Sembrava un'impresa folle; in
realtà l'iniziativa è stata un suc-
cesso. L'esperienza è continuata
e dopo 18 anni siamo ancora qui
a parlarne. L'idea era quindi nata
all'interno del progetto dell'ex Ci-
nema Apollo che purtroppo non
ha mai visto la luce nell'ottica ori-
ginaria. Le due anime in seguito
si sono divise ma le due realtà,
l'orchestra e l'Apollo 11, sono en-
trambe vive.
Ora che siete un’orchestra af-
fermata in tutto il mondo riu-
scite a mantenere ancora un
legame con il rione?
Il rapporto con l’Esquilino non
lo abbiamo mai perso. Ma, non
condividendo più lo spazio con
Apollo11, non siamo più quotidia-
namente presenti nel territorio;
inoltre, i numerosi impegni pro-
fessionali ci tengono lontani per
lunghi periodi. Ma noi continuiamo
ad essere legatissimi all’Esquilino,
tant’è che l’Orchestra porta il nome
della piazza in giro per il mondo,
valorizzando la sua immagine.
Maria Grazia Sentinelli
segue a pagina 4
Ilpoloculturale‘coniato’nellaprimaZeccad’Italia
Progetto da 35 milioni di euro per riqualificare la zona e ricucire la città. Fine lavori prevista nel 2023
La riqualificazione e il recupero dello stori-
co edificio che ha ospitato la prima Zecca
d’Italia diventerà a breve una realtà grazie al
progetto di valorizzazione presentato dal grup-
po guidato dallo Studio Atelier(S) Alfonso Fe-
mia, che si è aggiudicato il primo premio del
concorso internazionale bandito dal Poligrafico
e Zecca dello Stato lo scorso marzo 2018. Il
progetto di riqualificazione prevede la nascita
di un polo culturale a vocazione museale, per
custodire al meglio le risorse artistiche del pa-
trimonio nazionale numismatico e la sezione
di archeologia industriale. Ma sarà al contem-
po un luogo di formazione e promozione per i
mestieri d’arte, più accogliente per la preziosa
tradizione della Scuola dell’Arte della Medaglia,
attiva nell’edificio fin dall’inaugurazione nel
1911. Un ulteriore tassello del puzzle di riqua-
lificazione del rione, composto dal rifacimento
dei giardini di piazza Vittorio, dal recupero del
cinema Apollo e dall’inaugurazione della nuova
sede dei servizi segreti italiani a piazza Dante.
Per gennaio 2020, è previsto il progetto defi-
nitivo, nell’agosto dello stesso anno l’esecutivo
con inizio lavori nel giugno 2021 e conclusio-
ne stimata per il maggio 2023. L’investimento
stabilito dal Ministero dell’Economia e delle Fi-
nanze è pari a 35 milioni di euro di cui 27 per
i lavori, 5 per gli allestimenti interni e 3 per gli
oneri tecnici e amministrativi.
Silvio Nobili
segue a pagina 3
2
antonio.finelli@tiscali.it antonio.finelli@tiscali.it
Il tram
Sguardi sull’Esquilino di Antonio Finelli
(antonio.finelli@tiscali.it)
Vi presento Mobi, la mobilità del terzo millennio
Come già visto nell’ultimo numero di que-
sto giornale, la leggenda narra che Roma
sia nata da un’idea di due fratelli gemelli i cui
animi furono scossi dagli interessi connessi al
primo piano regolatore urbano.
Il terzo millennio ci ha portato due nuovi ge-
melli: Mobi e Monne, Mobilità e Monnezza. I
loro difetti li conosciamo: sciuponi con i soldi,
svogliati sul lavoro, grande passione per i fuo-
chi e le fiamme, specie se a prendere fuoco
sono autobus, depositi di rifiuti e cassonetti.
Mobi ha superato se stesso facendo prende-
re fuoco addirittura a un piccolo autobus elet-
trico, cosa ritenuta impossibile. Ma forse si è
trattato di un esperimento in scala ridotta per
poi passare a quelli più grandi, dopo aver ac-
quisito esperienza nei flammebus degli auto-
bus a gasolio.
I due fratelli, Mobi e Monne, sono anche poveri
accattoni: Monne prega e paga per farsi portar
via l’immondizia verso altre regioni o addirit-
tura all’estero, in Austria o Germania, alla fac-
cia del ‘prima gli italiani’, Mobi cerca autobus
anche se vecchi e usati in Israele e in Turchia.
Cambiare i connotati. Anche Mobi, come già
Monni, sta pensando di cambiare nome… e già
sono pronti i paroloni! La NUOVA MOBI dovreb-
be fornire “un servizio efficiente e di qualità, in
grado di rispondere alle esigenze dei lavora-
tori e degli utenti, universale, con attenzione
alle differenze sociali e di genere e alle classi
di abitanti più in difficoltà per età, condizione
di reddito, di abitazione, di precarietà lavora-
tiva…”. Ciò comporta modifiche nell’organiz-
zazione interna e nel governo della mobilità.
facendosi carico del pendolarismo, del peso del
turismo, della gestione urbanistica e abitativa,
nonché delle tante e tante recenti innovazioni
tecnologiche.
Non sarebbe male se il suicidio e la rinasci-
ta avvenissero in concomitanza del 21 mar-
zo 2021, ossia dei 110 anni della prima linea
pubblica, la n. 3 Piazza Colonna-Santa Croce in
Gerusalemme, della ATM (Azienda Tranvie Mu-
nicipali) che era stata fondata nel 1909 come
AATM (Azienda Autonoma Tranviaria Municipa-
le) per iniziativa dell’avvocato Giovanni Monte-
martini e del sindaco Ernesto Nathan.
Il vestito nuovo. Mobi da poco dovrebbe
avere un vestitino nuovo, un vestitino della
collezione PUM (Poco Uso dei Mezzi Pubblici)
ovvero della collezione MUP (Molto Uso Mezzi
Privati). Si tratta di una collezione di model-
li di qualche anno fa, di quando c’era Ignazio
Marino (erano suoi i Punti Fermi), portato ora
avanti senza un riesame e una riprogettazione.
Per acquistare il nuovo vestitino bisogna tro-
vare i soldi, e forse nella delibera n. 39 del 25
giugno 2011 c’è rimasto ancora qualcosa da
vendere. Ma anche questo potrebbe non ba-
stare, perché i cravattari vogliono lo spezzati-
no delle linee di trasporto, a cominciare dalla
Roma-Lido (che potrebbe essere acquisita dai
francesi o dalle Ferrovie).
Sul vestitino nuovo sono state cucite modeste
proposte di ‘Alto gradimento’ online, fingendo
una partecipazione non organizzata e prepara-
ta, ma neppure vincolante, insomma da chiac-
chiere al bar. È inutile cercare costi e certezze
di realizzazione: sono sostituiti da false assi-
curazioni di imminente realizzazione. C’è qual-
che ipotesi dei fondi promessi per la mobilità
dall’ex ministro Toninelli?
La Mobilità di Roma Capitale oggi non tiene
conto della Città Metropolitana (qualcuno sa
cosa sia?) e della Regione, cioè di un forte pen-
dolarismo di merci e persone. Solo la gestione
dei rifiuti solidi urbani sposta una montagna di
circa 1.000.000 (un milione!) di tonnellate di
rifiuti che escono ogni anno dalla città, diretti a
impianti di trattamento o smaltimento.
Oggi come allora. Pochi giorni fa è Stato ap-
provato il Piano Urbano della Mobilità Soste-
nibile. Sarà sufficiente a evitare un dramma
simile e peggiore di quello di 3.000 anni fa?
Oggi i nuovi gemelli Monne(zza) e Mobi(lità)
rischiano di rimanere soffocati, nel traffico e
nella spazzatura. E con loro soffochiamo tutti
noi.
Carlo Di Carlo
Per le stradePer le strade
Continuiamo a raccontarvi di Mobilità e Monnezza, i nuovi gemelli di Roma Capitale
3
Ilpoloculturale‘coniato’nellaprimaZeccad’Italia> segue dalla prima pagina
Rispettare il passato in chiave
green. Il primo obiettivo è quello
di riqualificare e ristrutturare l’e-
dificio esistente di 4.600 mq, nel
pieno rispetto dei criteri di soste-
nibilità ambientale ed efficienza
energetica, tutelandone i caratteri
originari risalenti alla prima metà
del ‘900. Con uno sguardo però
rivolto al futuro, grazie all’utilizzo
di innovativi materiali capaci di ri-
vitalizzare spazi ricchi di storia e
valore, un contributo alla crescita
della qualità del contesto cittadi-
no e sociale del rione Esquilino. Il
progetto illustrato alle porte dell’e-
state, infatti, combina tradizione e
innovazione attraverso il restauro
in chiave contemporanea dell’edi-
ficio, in accordo con una riutiliz-
zazione funzionale degli spazi in-
terni, rispettando la salvaguardia
degli elementi identitari che carat-
terizzavano l’impianto volumetrico
esistente e il carattere industriale
degli ambienti, per dare adeguata
dimora alle grandi macchine per la
lavorazione delle monete e al si-
stema impiantistico a vista, che il
progetto mantiene intatto.
Museo, biblioteca e aggre-
gazione. Le funzioni del nuovo
complesso edilizio prevedono uno
spazio museale per mostre tem-
poranee, un centro convegni, un
centro di artigianato di qualità, un
centro servizi culturali, una biblio-
teca con archivio storico, i nuovi
laboratori per i giovani talenti del-
la Scuola dell’Arte della Medaglia,
un bookshop con caffetteria e una
foresteria, sul modello di quello
parigino che dà il nome alla fer-
mata metro Arts et Métiers.
Le due corti laterali tornano a es-
sere il fulcro pulsante della fabbri-
ca, luoghi di aggregazione e in-
contro dei flussi interni, ma anche
punti di sfogo e di primo contatto
con l’edificio da parte del pubbli-
co. La corte su via Cairoli viene
riportata al suo sedime originario,
mentre quella su via La Marmora
viene parzialmente liberata, sce-
gliendo di conservare la grande
sala con copertura a pancia di
nave, prestandosi a diventare un
‘meltingpot’ per le funzioni. I due
piani ammezzati, che con mol-
te appendici si elevano a ferro di
cavallo attorno alla corte centra-
le dell’edificio, sono frutto di una
sopraelevazione degli anni ’50 e
il progetto vuole preservarle. Il
piano primo ammezzato viene in-
fatti conservato nelle sue forme,
il piano secondo ricostruito con
una sottile intelaiatura metallica,
ricalcando il sedime a ‘U’ del corpo
sottostante. La nuova intelaiatu-
ra si estende parzialmente verso
via Principe Amedeo, creando un
nuovo fronte dalle forme contem-
poranee, come contrappunto alla
facciata storica di via Principe Um-
berto.
“Con questo progetto diventa im-
portante riaffermare l’identità ori-
ginaria o quanto più una dimen-
sione vicina a essa, superando
quelle stratificazioni e modifiche
apportate nel tempo, che non
sono state in grado di far evolvere
l’opera in un’altra dimensione di
valore e contenuti”, ha dichiarato
il vincitore Alfonso Femia.
Silvio Nobili
La prima Zecca dell’Italia Unita
Nel 1904 la legge, n. 417 del 2 giugno promulgò la costruzione
della ‘Zecca d’Italia’ e il 27 giugno del 1908, alla presenza del
Re Vittorio Emanuele III e del Ministro del Tesoro Paolo Carcano, si
svolse la cerimonia della posa della prima pietra.
L’edificio fu inaugurato il 27 dicembre 1911 e da allora sono state
realizzate e coniate le monete del Regno d’Italia e della Repubblica,
dalla lira all’euro. Con l’entrata in vigore dell’euro, considerate le
accresciute esigenze produttive, è stato reso operativo anche lo sta-
bilimento situato nel quartiere dell’Appio, di via Gino Capponi, dove
la produzione è stata definitivamente trasferita nel 2006.
L’occhio del cieloL’occhio del cielo
4
> segue dalla prima pagina
Ora abbiamo realizzato anche un
film che ha per titolo proprio il
nome della piazza, a conferma del
grande amore che portiamo per
il rione. Il punto è che non siamo
mai riusciti ad ottenere qui all’E-
squilino una sede dove situare la
nostra attività, né tramite il sup-
porto pubblico, né tramite quello
privato, e nonostante le mille di-
sponibilità dimostrate dalle varie
amministrazioni. Se pensiamo
che c'è tutta l'area abbandonata
dei depositi ATAC sotto i giardini!
Eppure avere un posto, anche pic-
colo, in piazza o nelle strade adia-
centi, avrebbe potuto stimolare
moltissimo il rione da un punto
di vista artistico e sociale e rap-
presentare un volano per la vita
dell’Esquilino, una fonte di attra-
zione per nuovi cittadini romani in
cerca di vivacità culturale.
Come si è trasformato il rione
in questi anni?
Di fatto non è successo niente e
quando non succede niente pur-
troppo le cose peggiorano. Le
associazioni dei cittadini e degli
esercenti italiani negli ultimi tem-
pi stanno realizzando iniziative e
aprendo nuovi locali per ridare alla
piazza un po’ di vitalità, per riap-
propriarsi di questo luogo che era
diventato un grande magazzino
cinese. Oggi la piazza è spenta.
Anche con riferimento all’orche-
stra, oggi sarebbe impensabile
riproporre un’impresa come quel-
la del 2011. Questo anche per la
situazione più generale dell’Italia,
dove le nuove politiche migrato-
rie ostacolano il ripetersi di que-
ste esperienze. Oggi, i musicisti
extracomunitari sono più attrat-
ti dalla Germania o dai paesi del
Nord Europa, dove ci sono politi-
che di accoglienza migliori e dove
nascono, non a caso, molte orche-
stre etniche, anche sovvenzionate
dalle amministrazioni nazionali e
locali. Anche noi, oggi, cerchiamo
i musicisti nuovi fuori dall’Italia.
Qual è, secondo lei, la ricchez-
za di un'orchestra multietnica?
La ricchezza sta nel fatto che
ognuno dei componenti dell’Or-
chestra ha cambiato il suo modo
di pensare la musica e ha allarga-
to il proprio punto di vista. Ciò è
stato merito sia della genialità del
direttore Mario Tronco che della
forza dei musicisti che hanno per-
messo a Mario di alzare lo sguardo
sempre più in alto. Da un punto
di vista sociale, poi, quando si mi-
schiano le culture rispettandole
tutte, si producono risultati di cui
gode tutta la comunità. La mu-
sica, come tutte le forme d’arte,
anticipa i tempi e permette inno-
vazioni permanenti. Per esempio,
la musica da ballo nell’ottocento
è stato il frutto dell’incontro tra
culture diverse, tra bianchi e neri,
schiavi e padroni e via dicendo, e
ha completamente modificato il
modo di concepire la danza.
Accanto alle vostre produzioni
autoriali che conservano una
caratteristica di musica etnica
e mediterranea, vi siete rivolti
alla musica classica rivisitan-
do varie opere, come Il flau-
to magico, il Don Giovanni, la
Carmen. Cosa vi ha portato a
questa scelta?
Tutto è partito dalla proposta di un
operatore culturale, Daniele Abba-
do, che nel 2009 aveva realizzato
un Flauto Magico di strada e che
propose a Mario Tronco di realiz-
zare l’Ouverture con l’Orchestra.
Poi il Festival di Lione, in collabo-
razione con Roma Europa Festi-
val, ci commissionarono l’opera
che, rivisitata dal direttore e da
Leandro Piccioni, ebbe un gran-
dissimo successo e diede il via a
nuovi arrangiamenti di altre opere
liriche. È un percorso interessante
perché, diversamente dai concer-
ti dove creiamo la nostra musica,
questo ci permette di utilizzare
partiture musicali di grandi musi-
cisti rivisitandole con gli strumen-
ti e i linguaggi dell’Orchestra, e
ti fa capire che tutte le musiche
possono essere suonate in diversi
modi. Non va inoltre sottovaluta-
to il fatto che l’esperienza teatrale
ci ha permesso di dare maggiore
continuità professionale ai musici-
sti. Sono due percorsi diversi che
viaggiano in parallelo e permetto-
no la crescita dell’Orchestra, l’uno
arricchendo l’altro.
Maria Grazia Sentinelli
L'orchestra che promuove piazza Vittorio nel mondo
Il rione mormoraIl rione mormora
5
Esquilino: i suoi primi quarant’anniCarmelo G. Severino, redattore del nostro giornale, è autore del volume ‘Roma. Esquilino (1870-1911)’,
nel quale delinea la storia dei primi quattro decenni del rione. Gli abbiamo chiesto di parlarcene in anteprima
Architetto e storico della città, Carmelo G.
Severino, in questa sua ultima opera, in
corso di stampa con Gangemi editore, delinea
il percorso che, a partire dall’Unità d’Italia, ha
portato all’impianto attuale dell’Esquilino. Con
il supporto di diverse fonti documentali, per lo
più di tipo archivistico – tra cui l’Archivio cen-
trale dello Stato, il Capitolino, quello storico
della Banca d’Italia – e con un ampio appara-
to iconografico, il volume prende avvio con la
descrizione della città e del territorio esquili-
no alla vigilia del 20 settembre 1870, per poi
esporre nel dettaglio la formazione del nuovo
‘quartiere’, dedicando molto spazio a piazza
Vittorio Emanuele II, che l’Esquilino “evoca,
rappresenta e rimanda” e che ne costituisce
a tutti gli effetti la polarità di riferimento pri-
vilegiato.
L’Esquilino, è dunque un quartiere che
può considerarsi ad impianto ‘moderno’?
È un ‘quartiere’ geometricamente definito, a
maglia regolare, realizzato ex novo dopo il
1870 sui colli orientali, in un territorio però di
ben più antica frequentazione umana: risalgo-
no infatti all’ottavo secolo a.C. le prime tracce
di insediamenti legati alla Roma arcaica, for-
nendo un eccezionale esempio di stratificazio-
ne storica plurisecolare.
A partire dal 1871, con la proclamazione di
Roma Capitale, inizia, sul piano edilizio, un
nuovo corso per il territorio esquilino e per tut-
ta la città.
Dopo gli avvenimenti di Porta Pia, Roma non è
più la città dei papi, capitale di un piccolo Sta-
to teocratico, ma di un grande Stato europeo.
Da qui il difficile compito di provvedere alla
propria modernizzazione, di ristrutturarsi per
diventare una capitale moderna all’altezza del
suo glorioso passato. Nel giro di pochi decenni,
la città rinnova, ampliandolo enormemente, il
proprio tessuto urbano; ma, nello stesso tem-
po, mette in moto una vera e propria distru-
zione del patrimonio storico-monumentale. La
realizzazione dell’Esquilino, infatti, così come
per gli altri insediamenti della nuova Roma,
comportò distruzioni indicibili ed interi quar-
tieri residenziali e monumenti anche grandiosi
andarono perduti per sempre. La cultura eu-
ropea criticherà aspramente i nuovi vandali di
Roma perché molto di quello che venne sco-
perto durante i lavori di sterro fu “sistematica-
mente distrutto”.
Quali sono le dinamiche sociali ed eco-
nomiche rintracciabili nella storia dell’E-
squilino?
In generale, agli aspetti urbanistici ed architet-
tonici si sommano sempre aspetti economici e
socio-culturali, legati a chi in definitiva vive le
trasformazioni del territorio e a coloro che si
propongono come promotori di tali trasforma-
zioni, cioè i proprietari terrieri, le imprese di
costruzione, le banche e le società di capitali,
particolarmente attivi in città nei primi decenni
di Roma Capitale. Nella storia dell’Esquilino, dal
1870 ad oggi, è possibile individuare più fasi
di formazione: una iniziale, durante la quale il
nuovo ‘quartiere’ viene progettato e realizza-
to sui colli orientali della città, rielaborando di
fatto quanto già avviato durante il pontificato
di Pio IX, fase che travalica nel nuovo secolo
XX sino agli anni che vedono al governo della
città, in Campidoglio, Ernesto Nathan, il pri-
mo sindaco veramente laico della città dopo
Luigi Pianciani, ed è questo il periodo trattato
dal mio saggio; una seconda fase che arriva
fino agli anni Sessanta del secolo scorso, con-
trassegnati dal boom economico nazionale, in
cui l’Esquilino, ridimensionato nei suoi confini
amministrativi, definisce e completa la maglia
del suo tessuto socio-economico ed urbanisti-
co; una terza fase, infine, ancora in atto, in cui
l’Esquilino, multietnico e multiculturale, viene
vissuto come zona di confine tra una Roma or-
mai città-metropoli europea e le periferie po-
vere del mondo, come una ‘grande porta urba-
na’ verso le aree centrali della città.
Roma viene proclamata capitale al termi-
ne di un complesso processo di unificazio-
ne del Paese, con non poche contraddizio-
ni e contrasti. Una capitale alla quale con
difficoltà viene riconosciuto il ruolo che le
compete, che non tutti ‘amano’. Viene da
dire: allora come ora…
Con la conclusione della lotta risorgimentale,
iniziò la fase nuova della costruzione dello Sta-
to unitario. Allo stesso tempo, si pose il proble-
ma del ruolo che Roma doveva occupare nella
geografia urbana nazionale, con una classe
politica che, nella stragrande maggioranza,
aveva subìto più che voluto Roma capitale d’I-
talia. E se Cavour, alla Camera dei deputati,
nel 1861, aveva ben evidenziato come la scel-
ta di Roma scaturisse da grandi ragioni mora-
li, essendo “la sola città d’Italia” a non avere
“memorie esclusivamente municipali”, dieci
anni dopo, ormai scomparso il grande statista,
il governo si dimostra del tutto impreparato
ad accompagnare Roma nel suo nuovo difficile
compito. E disponendo di scarsi mezzi finan-
ziari, per realizzare le opere necessarie alla
nuova funzione di capitale del regno si limita
ad autorizzare solo operazioni di anticipo da
parte della Banca d’Italia a favore del Comu-
ne di Roma. Soltanto nel 1881 e 1883, con le
leggi speciali, il governo si impegnerà a fornire
finanziamenti per l’attuazione del Piano rego-
latore e la realizzazione delle più importanti
opere pubbliche: questi furono i primi decenni
di Roma capitale d’Italia e… non si può certo
dire che oggi molto sia cambiato.
Paola Mauti
Il rione mormoraIl rione mormora
In attesa dell’uscita in libreria, prevista
entro novembre 2019, è possibile
prenotare il volume al prezzo riservato
ai lettori del Cielo sopra Esquilino
di euro 24,90 anziché euro 30,00
al seguente link internet:
https://bit.ly/2kRq9ph
6 C’è chi faC’è chi fa
EsquilinoChiamaRoma,unforumperilrioneNasce da un gruppo di residenti, architetti e professionisti della tutela dei beni culturali, una pro-
posta di intervento che parte dalla conoscenza condivisa del valore culturale del nostro territorio
“Non si può abitare e governare
un luogo che non si comprenda
insieme”: è questo il motto che
guida le attività del forum Esquili-
no Chiama Roma, attivo dal 2018.
(www.esquilinochiamaroma.it)
Per saperne di più, abbiamo incon-
trato alcuni componenti del Comi-
tato scientifico: il presidente Pie-
tro Petraroia (già Soprintendente)
e i componenti Andrea Grimaldi
(Sapienza Università di Roma) e
Gennaro Berger (vice Presidente
di Esquilino Vivo).
Quale spirito ha portato alla
nascita del forum?
Lo spunto venne dalla mostra del
Bernini alla Galleria Borghese, nel
2017. La statua di Santa Bibiana
fu trasferita per il restauro e poi
ricollocata nell’omonima basilica
di via Giolitti. Il divario tra la bel-
lezza dell’opera e la trascuratezza
dell’ambiente circostante portò ad
una riflessione: è possibile, par-
tendo dal riconoscimento di valore
del patrimonio culturale, arrivare
ad una risoluzione integrata delle
problematiche che affliggono l’E-
squilino? Oggi le competenze sono
estremamente frammentate. Divi-
se tra Stato, Comune e Municipio
ma anche, al loro interno, tra i
vari assessorati. Ciò porta a situa-
zioni paradossali. Per i giardini di
piazza Vittorio, mentre il restauro
è seguito da un assessorato, l’at-
tivazione del bar dovrebbe essere
gestita da un altro. Inoltre, spes-
so manca una base di conoscenze
condivisa a partire dalla quale co-
struire soluzioni. Ci siamo così resi
conto che la strada da percorrere
era quella di un approccio integra-
to e partecipato. Non è una posi-
zione di tipo politico, ma esclusi-
vamente di metodo. In altre città
è così che si opera. Roma fa ecce-
zione. L’Esquilino sembra il luogo
più adatto per ridisegnare le mo-
dalità di lavoro e potrebbe essere
di esempio per l’intera città. Di qui
il nome ‘Esquilino Chiama Roma’.
Lo scorso 24 giugno è stata
presentata a Palazzo Merulana
la convenzione siglata con enti
e istituzioni. Faciliterà il lavoro
del forum?
È una convenzione proposta dal
Gruppo di Lavoro Via Giolitti e pro-
mossa da Piazza Vittorio Aps, l’as-
sociazione fondata dalla Fondazio-
ne Enpam. La convenzione vede
la partecipazione di numerosi sog-
getti: il Primo Municipio, il Museo
Nazionale Romano, l’Ordine degli
Architetti di Roma, alcuni diparti-
menti universitari de La Sapienza
e Roma Tre, il Centro Studi sulle
politiche urbane Urban@it. Anche
altri soggetti hanno intenzione di
aderire, tra questi la Sovrinten-
denza Capitolina ai Beni Culturali.
Nella convenzione ognuno accetta
di impegnarsi in base alle proprie
competenze, favorendo una cono-
scenza integrata, base necessaria
per rendere gli interventi meno
episodici ed effimeri o addirittura
in contrasto con l’interesse gene-
rale. Proponiamo che, a partire da
ciò, l’Esquilino diventi subito il la-
boratorio urbano per una revisio-
ne efficace del piano di gestione
del sito Unesco Centro storico di
Roma: d’altra parte con la situa-
zione attuale, Roma rischia l’e-
spulsione dalla lista Unesco.
Tra i sottoscrittori colpisce
l'assenza del Comune di Roma.
Non dovrebbe essere uno degli
attori principali?
La Sovrintendenza Capitolina è
un organo del comune di Roma. È
referente nei confronti degli uffici
Unesco di Parigi e può essere pro-
motrice di interventi sul territorio
con azioni che coinvolgano diversi
assessorati. Naturalmente Sta-
to, Regione Lazio, Roma Capitale
e Municipio, così come la cittadi-
nanza attiva, debbono tutti rac-
cordarsi in un progetto unitario di
rigenerazione sociale ed urbana;
il patrimonio culturale e paesag-
gistico può essere secondo noi il
volano di tutto questo.
Il contributo di Piazza Vittorio
Aps, che si è resa disponibile
a ricoprire il ruolo di ’braccio
operativo’ del forum, sembra
fondamentale.
Piazza Vittorio Aps ha un ruolo es-
senziale di pivot organizzativo per
noi tutti. Con l’Associazione ed il
Museo Nazionale Romano si lavo-
ra ad un’app per residenti, turisti,
scuole che aiuti a capire e, qua-
si, a rivivere il rapporto fra luoghi
dell’Esquilino e capolavori nei mu-
sei che vengono da qui, come il
Laocoonte o il Discobolo Lancellot-
ti. Attendiamo gli esiti di un ban-
do regionale cui si è concorso. Gli
strumenti di edutainment possono
essere utili anche per sviluppare
nelle nuove generazioni respon-
sabilità verso i beni comuni, e il
patrimonio culturale è tra questi.
Il piano di lavoro dovrebbe poi
portare ad un progetto esecu-
tivo. Giusto?
L’obiettivo è quello di intervenire
in tre zone specifiche del rione.
Agendo su queste, la ricaduta ge-
nerale potrebbe essere molto più
ampia, sempre che l’intervento sia
multidisciplinare. Siamo partiti dal
caso di piazza Vittorio, su cui An-
drea Grimaldi ha presentato uno
studio prodotto con i suoi allievi
in Sapienza. A seguire, trattere-
mo l’area del mercato e di piazza
Pepe e poi, nella primavera 2020,
l’area di via Giolitti. Non produrre-
mo una progettazione dettagliata,
ma scenari da condividere ancor
prima che siano definiti gli inve-
stimenti necessari: infatti, se ci
si confronta dopo le decisioni, la
partecipazione diventa una finzio-
ne. Inoltre, occorre far passare il
concetto che cooperare è per tutti
un’opportunità e ci si guadagna.
Per portare un esempio concre-
to, le leggi attuali consentono ai
singoli proprietari di accedere a
strumenti come eco bonus e si-
sma bonus, ma le famiglie che
vogliono ricevere fondi pubblici a
fronte di lavori di adeguamento,
devono coalizzarsi almeno a livello
di condominio e far gestire unita-
riamente i loro crediti d’imposta.
Risparmierebbero così fino a più
dell’ottanta per cento della spesa.
Con le istituzioni si potrebbe poi
accedere anche ad altri tipi di fi-
nanziamenti, regionali, nazionali
ed europei: strumenti e opportu-
nità da conoscere meglio.
Riccardo Iacobucci
8 La memoriaLa memoria
1880-1881. Il Concorso per il monumento al gran reNel progetto originario era collocato a piazza Vittorio Emanuele II, luogo cardine tra vecchio e nuovo
assetto cittadino. Fu installato a piazza Venezia: una posizione strategica rispetto alla Roma governativa
Il 14 settembre 1871, in Campidoglio, il Con-
siglio comunale aveva approvato il proget-
to del nuovo ‘quartiere’ dell’Esquilino sull’asse
della Strada Felice – lo stradone di Santa Croce
in Gerusalemme – come raccordo tra la cit-
tà vecchia e la città nuova, con al suo centro
una vastissima piazza da dedicare a re Vittorio
Emanuele II. Nella piazza avrebbe dovuto in-
nalzarsi il monumento al re sabaudo, espres-
sione dell’Indipendenza e dell’Unità d’Italia.
Anni dopo, pur restando sempre attuale il pro-
gramma di realizzare una grandiosa piazza in-
titolata al primo re dell’Italia unita, l’idea del
monumento aveva cominciato a vacillare.
Il Concorso internazionale. La morte del re,
il 9 gennaio 1878, e la partecipazione straor-
dinaria dei romani ai solenni funerali, aveva
convinto il Governo a prendere una decisione
nel merito. Accantonata definitivamente l’idea
di realizzare qualsiasi tipo di Pantheon, il 23
settembre 1880, finalmente - presidente del
consiglio Benedetto Cairoli - viene pubblicato
un bando di concorso per realizzare il monu-
mento celebrativo, aperto alla partecipazio-
ne di tutti ma che, per la sua vaghezza, la-
scia campo libero sul luogo dove realizzare il
monumento. La partecipazione è consistente
e assai variegata. Sono stati presentati infatti
292 progetti (di cui 236 italiani) da architet-
ti, ingegneri, pittori, scultori, impiegati tecni-
ci, decoratori, ingegneri del genio civile, pro-
fessori di ornato e di statuaria ma anche da
“generali in pensione, segretari dei ministeri
e incaricati ai telegrafi”. Alcuni sono professio-
nisti affermati, “artisti egregi e uomini di stu-
dio”, altri sono “giovani in cerca di gloria” e
spesso privi “delle armonie del disegno”. Tutti i
progetti nel dicembre 1881 vengono esposti al
pubblico in una mostra allestita presso il mu-
seo agrario-geologico di via XX Settembre, da
poco inaugurato.
Pochi i progetti meritevoli di premio. Nel
loro complesso i progetti sono estremamente
eterogenei. Molte proposte fanno riferimento a
tipologie tradizionali – colonne e archi di trion-
fo – utilizzando ornati policromi, fregi aurei o
marmi preziosi spesso combinati a strutture
metalliche. Altre si rifanno al battistero o al
tempio, con tipologie desunte dall’antico, ri-
proposte con sovrapposizioni e iterazioni. La
Commissione giudicatrice, scartato oltre l’80%
dei progetti, il 1 aprile 1882 premia l’unico pro-
getto che ha raggiunto la quasi unanimità dei
voti, redatto da un giovane allievo dell’Accade-
mia di Francia, Henri-Paul Nénot, scatenando
di conseguenza “sublimi sentimenti patriotti-
ci”. Un secondo premio viene comunque asse-
gnato ex-aequo a due professionisti romani, lo
scultore Ettore Ferrari (1845-1929) e l’archi-
tetto Pio Piacentini (1846-1928) ed un terzo
allo scultore ferrarese Stefano Galletti (1832-
1905). Il concorso, “colpa della arcipessima
legge votata dal Parlamento”, viene comunque
ufficialmente dichiarato fallito perché “nessuna
proposta poteva soddisfare le esigenze della
nazione”.
Alla ricerca di un sito. Le localizzazioni pro-
poste vanno dal Pincio al Campidoglio, dal
Quirinale al Gianicolo. Soltanto un architetto
toscano, Corinto Corinti, ripropone l’originaria
piazza Vittorio Emanuele II, delineando però
una diversa zonizzazione urbanistica per im-
pegnare completamente le aree ancora libere
del nuovo ‘quartiere’ Esquilino e farne il cen-
tro politico della Roma italiana. Rifacendosi al
mausoleo di Teodorico a Ravenna, la celebre
costruzione funeraria degli Ostrogoti, l’archi-
tetto Corinti propone sull’asse di Santa Croce
in Gerusalemme, a metà strada tra la piazza e
la basilica, in corrispondenza di via Statilia, un
monumento di dimensioni eccezionali. Il mo-
numento al re viene quindi previsto al centro
di un vasto invaso spaziale, circondato da otto
edifici imponenti, sede dei ministeri – Interni,
Esteri, Istruzione pubblica, Commercio, Lavo-
ri Pubblici, Guerra, Marina, Grazia e Giustizia
– fortemente rappresentativi per le valenze
autocelebrative ed in sintonia con le strate-
gie di assetto della nuova capitale. Si tratta
di una maestosa torre celebrativa - “la mole
sabauda”, la “più alta del mondo che grandeg-
gi sopra tutti i monumenti dell’antica Roma”,
composta dalla “giustapposizione di tre par-
ti diverse”: alla base, un corpo ottagonale di
eccezionale altezza “traforato con un doppio
ordine di arcate”, al centro la statua del so-
vrano ed in alto la copertura rastremata. E, a
coronamento, “una sorta di minareto di gusto
orientaleggiante” riproposto in stile nazionale.
La scelta definitiva. Messa da parte l’idea di
realizzare il monumento a piazza Vittorio Ema-
nuele II, nel dicembre 1882 viene indetto un
secondo concorso e dopo diverse vicissitudini,
nel luglio 1884, viene approvato il progetto del
conte Giuseppe Sacconi, un giovane architetto
marchigiano, che localizza il monumento – il
Vittoriano – a piazza Venezia, “proponendo un
complesso sulle pendici del Colosseo a fonda-
le del Corso ben visibile da piazza Colonna,
centro della Roma governativa”, interpretando
“in forma di pastiche neoantico le indicazioni
del bando”. Il cantiere per la sua realizzazione
avrà tempi lunghissimi sicché l’intera procedu-
ra potrà dirsi conclusa con l’inaugurazione uffi-
ciale del monumento soltanto il 4 giugno 1911.
Carmelo G. Severino
9
Qualcosa di più che un cortile
I lavori di ristrutturazione nella scuola Di Donato hanno visto protagonisti anche gli alunni dell’istituto
Cortile: “porzione di area scoperta compresa
tra i corpi di fabbrica di un edificio e desti-
nata a dare aria e luce agli ambienti interni, al
passaggio delle persone o ad altre funzioni”.
La definizione della Treccani poco si addice a
definire il cortile della Di Donato, se non nel
senso prettamente tecnico. Il nostro cortile va
ben oltre “lo spazio compreso”, “che dà luce”,
“al passaggio di…”. Mi piace di più paragonar-
lo al Cortile dei gentili dove genti di ogni cul-
tura e credo si incontravano e dialogavano in
quel di Gerusalemme; o ancora al cortile che si
apre ogni sabato pomeriggio negli spazi della
Galleria di Arte Moderna e Contemporanea di
Roma: spazio di giochi all’aperto, di incontro,
di scambio tra bambine e bambini.
Un luogo del cuore. Ma la voce dei nostri
alunni ci dà maggiormente il polso della sua
importanza: nel numero 5 del Cielo sopra
Esquilino, descrivono tutto ciò che vi si svolge
e la partecipazione attiva di adulti e bambini;
nel numero 11 rivelano i sentimenti di un ex
alunno che ama ritornarvi ogni pomeriggio.
La ristrutturazione. Grazie ai fondi stanzia-
ti dal primo Municipio, si è ristrutturato anche
il nostro cortile, ma la cosa più entusiasman-
te è stata che hanno collaborato attivamente
alla sua sistemazione anche gli alunni. Sotto
la supervisione dell’architetto Biagio Perreca e
grazie al paziente lavoro svolto nel suo labo-
ratorio d’arte dall’insegnante Daniela Scaccia,
i nostri ragazzi hanno raccolto i desiderata di
ogni classe, effettuato una ricerca sui giochi da
cortile, intervistato i nonni su come giocavano
da piccoli.
Diamo la parola all’insegnante stessa: “La
scorsa primavera abbiamo iniziato un labora-
torio di progettazione partecipata, che ha visto
coinvolto il nostro Parlamentino scolastico del-
le bambine e dei bambini e che, per l’occa-
sione, ha esteso il gruppo di lavoro anche ai
più piccoli, formando una squadra composta
da rappresentanti eletti nelle III, IV e V.” Ci
racconta quindi come è andata: “L’architetto
ha incontrato i bambini più volte, coinvolgen-
doli attivamente nell’ideazione dei giochi per la
pavimentazione del cortile: dopo ogni riunio-
ne i rappresentanti si dovevano far portavoce
nelle rispettive classi, in modo da estendere la
partecipazione al maggior numero di bambini”.
Il passo successivo è stato quello di votare, in
ogni classe, i giochi che si desiderava riprodur-
re sulla superficie del cortile di sinistra (quello
di destra è riservato al basket). Si è passati
dunque ai disegni che sono poi stati dipinti sul
terreno dagli stessi bambini. A lavoro ultimato
si passerà al fissativo.
La voce dei protagonisti. Ma come hanno
vissuto questa esperienza gli alunni? Un nostro
‘piccolo corrispondente’, Pietro (IV-D), ha rac-
colto alcune loro emozioni. Fernando (V-C) ha
raccontato dall’inizio questa avventura: “Noi
del Parlamentino ci incontravamo maggior-
mente in biblioteca, un luogo fantastico in cui
proponevamo idee per migliorare la scuola e il
rione. Verso febbraio dovemmo iniziare un la-
voro per il cortile, cambiando i giochi e il pavi-
mento; per aiutarci c’era l’architetto Biagio. In
quel periodo la maestra Daniela fu ‘assillante’,
ma per una buona causa. Adesso ci troviamo
un cortile quasi finito e per me è stata una
bella esperienza”. Anche Leonardo (IV-D) ha
espresso tutta la sua soddisfazione con que-
ste parole: “È stato molto bello rappresentare
i miei compagni e partecipare ai progetti e alle
decisioni della scuola, in particolare a quello
del rinnovamento del cortile con i nuovi giochi.”
Contento anche Thomas (IV-C) che dichiara:
“Ho fatto incontri molto interessanti, mi sono
piaciuti soprattutto quelli con l’architetto Bia-
gio perché abbiamo deciso insieme i giochi da
mettere in cortile e li abbiamo anche provati
(non vedo l’ora che si possano utilizzare). Mi
è piaciuto partecipare alle idee per migliorare
la scuola.”
Monica (V-C) ricorda soprattutto quando fu-
rono informati della ‘responsabilità’ che veni-
va loro affidata: “Un giovedì ci chiamarono in
aula d’arte… iniziammo a parlare del cortile e
che doveva essere rinnovato. Si cominciarono
a proporre tanti giochi e intanto conoscemmo
Biagio; Biagio è un architetto e sarà lui a rinno-
vare il nostro cortile… Per avere molte più idee
decidemmo di far partecipare anche le terze
all’esperienza del Parlamentino; ogni classe
terza ha aiutato molto anche nei disegni”.
Lavori in corso. Per ora i giochi, provenienti
da diversi paesi del mondo, sono tre. Ma, a
scuole aperte, si prevede di continuare e ter-
minare l’opera.
Patrizia Pellegrini
Il rione mormoraIl rione mormora
10 In ItinereIn Itinere
Nel mezzo del cammin di piazza Dante
La similitudine appare immedia-
ta, fulminea, quasi scontata.
Nondimeno, serpeggia evocativa
e carica di suggestione. Tommaso
Hobbes, guardandolo stupefatto,
avrebbe forse ripensato alla ma-
gnitudine del suo Leviatano, altra
allegoria feroce ed efficacissima
del potere dello Stato che si fa so-
stanza innanzi al cittadino, escla-
mando: “Non est potestas super
terram quae comparetur ei”. Il
nostro Sommo Poeta, che dell’al-
legoria è stato funambolo finan-
che a dettarne le regole, avrebbe
sorriso osservandolo, ammantato
nel suo chiarore tutto nuovo, il Pa-
lazzo di Cassa Depositi e Prestiti.
Ed anche se questo gli è postu-
mo di centinaia di anni, immagi-
no avrebbe avuto più di un valido
motivo per reputarlo familiare.
Un’arcana presenza. Il gigante
addormentato, infatti, sta proprio
nel cuore del nostro rione e si af-
faccia su di una piazza Dante che,
da qualche anno a questa parte,
è stata più cantiere che altro. Un
cantiere blindatissimo, oggi sap-
piamo tutti il perché, intorno al
quale sono sorte curiosità e con-
getture di ogni genere. Comin-
ciando dalle fantasticherie rispetto
agli svariati piani scavati sotto ter-
ra e dai ritrovamenti che possano
esserne conseguiti, passando per
le speculazioni circa l’ipotesi che
voleva l’avveniristica struttura in
vetro e acciaio sovrastante come
sede di un inedito eliporto.
L’inaugurazione di qualche setti-
mana fa un po’ di dubbi ce li ha
tolti ma, inevitabilmente, la quasi
totalità degli arcani sono destina-
ti a rimanere confinati in quella
gabbia metafisica che è la nostra
curiosità. Per il momento, allora,
provo a farmi strada nella selva
selvaggia di quel che rimane del
cantiere e a penetrarla, almeno
con l’immaginazione, facendomi
aiutare proprio dal Sommo.
Allora, comincio ad illudermi: e
se a scavare tutti quei piani sot-
terranei non fossero state quelle
truppe di operai che per anni han-
no invaso le nostre strade? Inizio
quasi a credere che, magari nel
cuore di una notte tempestosa, la
terra si sia ritratta inorridita ve-
dendosi cadere addosso Lucifero,
scaraventato dal cielo dopo la ri-
bellione! Forse proprio la presenza
di questo nuovo ‘inquilino’ ci aiu-
terebbe a capire meglio alcuni dei
vizi e malcostumi che serpeggiano
tra le nostre strade!
L’inatteso soccorritore. Mentre
me ne sto assorto in queste fan-
tasticherie nel mio ufficietto che
affaccia su Via Petrarca, intravedo
due occhi sorridenti che fanno ca-
polino dalla porta vetrata. Ricono-
sco immediatamente la folta chio-
ma nera che viene a strapparmi via
dal turbine dei miei pensieri. Avrà
pensato che mi fossi smarrito, ed
allora il Maestro Andrea Fassi mi
è giunto in soccorso. Lo osservo,
mi colpisce un pacchetto color vi-
naccia che tiene sotto il braccio
destro, quasi nascosto. Finalmen-
te mi è tutto chiaro: “Si vorrà far
perdonare le settimane di latitan-
za con qualche sanpietrino al caf-
fè”, penso tra me e me. Non faccio
in tempo a rimproverargli la lunga
assenza che lui fulmina con uno
sguardo quel mio ‘filo’ di pancetta,
testimonianza di qualche peccato
di gola di troppo: abbiamo tutti
e due qualcosa da farci perdona-
re! L’estate è quasi alle spalle e
con Andrea rispolveriamo quel-
le piccole abitudini che riempio-
no le nostre giornate nel rione.
Un volo pindarico. Dopo il con-
sueto Giandujotto pomeridiano,
momento filosofeggiante e condi-
zione essenziale e categorica per
gli uomini di pensiero, decidiamo
di fare due passi verso via Merula-
na. Ed ecco che sfiorando quel che
rimane del cantiere di piazza Dan-
te decido di trascinare Andrea in
quella ridda di speculazioni nelle
quali ero inciampato poco prima.
Dapprima mi ascolta quasi rapito.
Prendo il discorso molto alla lon-
tana, usando quella sana dose di
nozionismo che da una parte se-
duce e dall’altra confonde l’inter-
locutore. Il mio lungo prodromo
sorge su fondamenta rigorose. Poi
compio il grande salto, quello ver-
so l’aleatorietà della speculazione.
Arrivo a credere, ingenuamente,
di essere piuttosto convincente
quando provo a suggestionarlo
svelandogli che la porta dell’In-
ferno dantesco, invero, non è tra
le viscere di Gerusalemme, ma si
trova all’Esquilino, a pochi passi da
noi! A quel punto vedo una nota di
disapprovazione nel suo sguardo.
Capisco di aver dipinto un quadro
dalle tinte troppo fosche, ed allo-
ra mi affretto a rettificare. Appro-
dando ad una fantasiosa e preten-
ziosa superfetazione di simboli e
parallelismi, arrivo a giustificarmi
spiegandogli quanto io sia convin-
to che, a ben vedere, tra questi
viali martoriati dall’umidità estiva
– che già basterebbe a richiamare
alcuni gironi e bolge dantesche –
si possano percorrere anche lun-
ghi tratti di Purgatorio e finanche
intravedere sprazzi di Paradiso.
In quel momento mi accorgo che
Andrea mi fissa con un misto di be-
nevolenza e tenerezza, ed incalza:
“Sei sempre troppo vago te, non
penserai mica di uscire da questo
vicolo cieco con qualche parolina
detta bene!? Se vuoi convincermi,
fammi almeno un esempio con-
creto!” In quel momento vacillo;
poi mi tornano in mente alcuni
versi appresi a memoria, figli delle
tante parafrasi della Divina Com-
media e degli studi classici, ed
esclamo: “Tu se' lo mio maestro
e 'l mio autore…tu se' solo colui
da cu' io tolsi…lo bello stiloche
m'ha fatto onore.” Lui mi guarda
interdetto e conclude sarcastico:
“E questo sarebbe l’esempio con-
creto? Sei stato evasivo anche più
del solito!”
Ormai siamo all’altezza di via Buo-
narroti e mi scappa un sorriso.
Guardo Andrea e me ne convinco:
all’Esquilino non avrò ancora tro-
vato il Paradiso ma, smarrendomi,
oltre che un Amico, ho trovato un
Maestro.
Francesco Ciamei
È forse all’Esquilino che si nasconde la porta d’accesso all’Inferno dantesco?
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Ditelo al cieloDitelo al cielo
Cercasi Mafalda disperatamente
Èun anno che vivo in via Cairoli, dalla parte di
Ciamei.
Abito un’ex portineria, s’affaccia su un cortile interno
trasformato in giardino da Luciano, classe 1930, una
voltacontadinodiUrbino. Laparticolaritàdelgiardino
è che è curato e sistemato come un orto. M’affaccio
su quest’orto interno, al posto di pomodori, ortensie.
Sono fortunata con tanti ma. Dubbi che aiutano ad
andare avanti.
Giorni fa ho incontrato per la prima volta da que-
ste parti una creatura buona: Mafalda. Classe 1929,
cercava la posta a piazza Dante: “Sto andando
anch’io là, lasci che l’accompagni.”
Mafalda, cuore puro, a detta sua scevro dal ma-
ligno, dacché l’Arcangelo Michele ci pose l’anima,
s’è affidata al mio braccio e dolce mi raccontava
che adora Dio, gli dice: “Fammi salire, sono pronta,
portami via da questo mondo, è diventato brutto.”
Mafalda, manco finiva la frase che un guizzo le fa-
ceva cambiare direzione al bastone, per rivolgersi
in ‘motherese’, la lingua primordiale delle madri, a
un vecchio cencioso, un clochard: “Come stai? È da
tanto che non esco! Come vivi?” Il vecchio rideva
sotto la barba incolta. Rassicurò a cenni Mafalda
che, mentre lui proseguiva strascicando i piedi, mi
disse: “Povera anima, viveva nel giardino di piazza
Dante, ci ha dormito per quarant’anni, adesso chis-
sà dove sta…”
Già, e adesso? Che fine hanno fatto, fanno o fa-
ranno, i dannati della terra intorno a piazza Dante?
Speranzosa, ho partecipato all’assemblea cittadina
del 10 giugno: all’ordine del giorno il destino della
piazza. Un’assemblea gremita, eppure monotema-
tica: i cittadini chiedono parcheggi. Un’assemblea
gremita, ripeto, eppure non uno, alla rassicurazione
del preposto del Consiglio dei Ministri che in quanto
a clochard sentenziava – spariranno -, non uno si è
alzato a chiedere: che ha detto? Lo ripeta.
Non uno si è alzato (almeno finché sono stata pre-
sente) e invece del parcheggio abbia chiesto conto
della vita di chi è meno fortunato. Quanto a me,
tanto più colpevole ché m’ha attraversato questa
domanda, ma la timidezza, anche se non è una scu-
sa, appunto.
Ecco, sono sicura che se Mafalda fosse stata in
quell’assise, si sarebbe alzata e avrebbe chiesto: “I
miei poveri, che fine faranno? Perché non sguinza-
gliate assistenti sociali a ricostruire vite interrotte, a
farle ricominciare? Pietà l’è morta davvero?”
Per farla breve, vorrei rincontrare Mafalda, e chiedo
a chiunque la conosca o sappia dove abita, di far-
melo sapere, avrei piacere ad andarla a trovare, lei
che non esce quasi più, forse perché come dice, il
mondo s’è fatto brutto. Le porterei un gelato, e una
parola buona, a onor di un mondo che forse così
brutto non è.
eddagaber@gmail.com
13
Zahid ce l’ha fatta
Aperture straordinarie
per il Tempio di Minerva Medica
Nelle giornate di sabato 21 settembre
e domenica 22 settembre, in occasio-
ne delle Giornate Europee del Patrimonio
2019, la Soprintendenza Speciale Arche-
ologia Belle Arti e Paesaggio di Roma ha
aperto eccezionalmente ai visitatori il co-
siddetto Tempio di Minerva Medica, il ma-
estoso monumento situato in via Giolitti,
sospeso tra i binari delle Ferrovie dello
Stato e quelli delle ‘Laziali’.
L’imponente struttura – a pianta centra-
le decagonale polilobata, con cupola di
25 metri di diametro – apparteneva a un
grande complesso architettonico residen-
ziale sorto sul luogo degli Horti Pallantia-
ni nel settore orientale dell’Esquilino, ed
è oggi uno dei tanti gioielli nascosti del
nostro splendido rione. Per la sua tute-
la e valorizzazione si batte da anni l’As-
sociazione Abitanti via Giolitti, che ha
espresso soddisfazione per quello che
si spera possa essere un primo pas-
so verso una maggiore fruibilità del sito.
La prossima occasione per visitare il Tem-
pio di Minerva Medica sarà venerdì 18 ot-
tobre.
Per ulteriori informazioni e aggiornamenti
potete fare riferimento alla pagina inter-
net dell’Associazione Abitanti di via Giolitti
https://blog-esquilino.com
Zahid è rientrato in Pakistan con un
volo da Milano il 23 agosto. Zahid era
uno dei tanti senzatetto dell’Esquilino.
Lo scorso maggio il drammatico peggio-
ramento delle sue condizioni ha genera-
to profonda preoccupazione nelle asso-
ciazioni del rione, che hanno lanciato un
appello alle istituzioni e deciso di prova-
re ad aprire una breccia nella corazza di
incomunicabilità e di rifiuto del mondo
che il ragazzo aveva creato intorno a sé.
“Noi cittadini abbiamo solo fatto il nostro,
segnalando, collaborando e insistendo,
quando è stato necessario. Per noi Zahid
non è mai stato un senza dimora, ma un
abitante del rione, tragicamente collocato
per strada nella spazzatura. Per noi Zahid
ha sempre rappresentato un caso di gran-
de sofferenza umana, non un esempio di
degrado urbano da spostare o ignorare
condannandolo”, ha raccontato Gennaro
Berger di Esquilino Vivo. “La lezione che
noi cittadini abbiamo appreso è che si può,
senza ombra di dubbio. Se si vuole, se si
investe tempo e passione. Se si ha a cuore
la dignità delle persone.”
Fondamentale nella vicenda è stato il ruolo
delle istituzioni, “Esistono le competenze e
la professionalità della Sala Operativa So-
ciale del Comune di Roma che ha saputo
individuare il giusto luogo di accoglienza
presso le Suore missionarie della Carità,
che non si sono risparmiate nel vedere in
Zahid un essere umano. Abbiamo scoperto
una Ambasciata, quella del Pakistan, che
non ha voltato le spalle a Zahid, e che ha
riannodato i fili con la famiglia nel paese
d’origine permettendone il ricongiungi-
mento.”
Ma l’importanza di questo risultato dimo-
stra anche i limiti delle risorse impiegate
a tutti i livelli per il contrasto al disagio
sociale, “Noi cittadini abbiamo appreso
anche un’altra lezione. Ossia che le forze
in campo non sono proporzionate al pro-
blema dei senza dimora, dei migranti finiti
per strada, delle persone con sofferenze
acute. Quello che c’è da parte dell’Ammi-
nistrazione pubblica non basta.”
Numero 27 anno V
Settembre/Ottobre 2019
Bimestrale gratuito a cura dell’associazione
“Il Cielo sopra Esquilino”
Registrato presso il Tribunale di Roma
N° 62/2015 28-04-2015
da Associazione “Il Cielo sopra Esquilino”
Codice fiscale 97141220588
Direttrice Responsabile
Paola Mauti
Redazione
Chiara Armezzani, Carlo Di Carlo,
Francesco Ciamei, Andrea Fassi, Luca Ferrante,
M. Elisabetta Gramolini, Riccardo Iacobucci,
Salvatore Mortelliti, Antonia Niro, Silvio Nobili,
Patrizia Pellegrini, Maria Grazia Sentinelli,
Carmelo G. Severino
Hanno collaborato a questo numero
Antonio Finelli, Elisabetta Sanna
Per informazioni, lettere, sostegno,
proposte e collaborazioni
redazione@cielosopraesquilino.it
Potete trovare Il cielo sopra Esquilino
anche online:
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Chiuso in redazione il 28/09/2019
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sono curate da volontari. La stampa è finan-
ziata esclusivamente grazie al contributo di al-
cuni commercianti di zona e non riceve nessun
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Scrivete a:
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Ditelo al cieloDitelo al cielo14
Estati esquiline anni ’60
Iprimi di giugno negli anni ’60 finivano le lezioni
e chiudevano le scuole e ciò significava una
cosa sola per noi ragazzini: finalmente vacanze!
Ricordo che in quel periodo si apriva la Fiera di
Roma e la TV, eccezionalmente, trasmetteva alle
10 della mattina un film al giorno! Gioia infini-
ta perché all’epoca le trasmissioni TV credo ini-
ziassero nel pomeriggio, quindi vedere un film a
quell’ora era un evento!
Si andava a casa di Barbara un’amichetta che
abitava nel mio palazzo, al primo piano. C’era
anche Bruna, un’altra amichetta del secondo
piano. Ancora ricordo un film che ci impressionò
particolarmente: ‘Ultimatum alla terra’, in cui i
marziani sbarcavano sul nostro pianeta (all’epo-
ca le cronache sugli avvistamenti di UFO erano
abbastanza frequenti!).
Poi all’ora di pranzo ognuna a casa sua.
Ma nel pomeriggio via a correre per le scale: fare
le gare a saltarle a due a due e poi a tre o a quattro.
E quante cadute e quanti rimproveri da parte del
Sor Augusto. Col suo grembiule grigio, il portiere
del palazzo attraversava il cortile e dall’ingresso
della scala A attraverso la tromba delle scale,
con la sua voce roboante ci strillava: “A regaz-
zi’ fatela finita co ‘sta caciara, annate a gioca’ a
casa vostra, qui pe le scale nun se gioca, capito?”
Ovviamente noi zitte e ridacchiando sommessa-
mente per non farci sentire, piano piano ce ne
andavamo a casa di una di noi e ci prendevamo
il resto del liscia e busso dai genitori di turno!
Più tardi in gruppo si andava ai giardini di San
Giovanni a giocare e giocare e giocare!
Ricordo che quando introdussero l’ora legale in
Italia nel ‘66, la cosa che mi meravigliava di più
era che alle nove di sera fosse ancora giorno!
Spesso a quell’ora durante il tramonto mi incan-
tavo a guardare fuori dalla finestra, su via Sta-
tilia, le grate dei villini ricoperte di glicini, gelso-
mino e buganvillee. E poi, spostando lo sguardo
verso il cielo, il volteggiare veloce e il garrire fe-
lice delle rondini: era proprio estate!
Anche io ero felice, il rosso del tramonto mi sug-
geriva il proverbio: “Rosso di sera bel tempo si
spera!” E ciò significava che il giorno dopo era la
domenica che si andava al mare! Ci si organiz-
zava con le mamme delle amichette del palazzo
a turno e noi ragazzine eccitate: ognuna portava
il proprio pranzo (io di solito ciriola con fettina
panata e peperoni e un frutto). Ricordo che mi
alzavo alle sei e subito mi affacciavo per vedere
se il tempo fosse come previsto dal proverbio!
Lo sferragliare del tram nel silenzio del matti-
no mi emozionava perché di lì a poco anche noi
avremmo preso la circolare (si chiamava così al-
lora) che ci avrebbe portato alla Piramide per poi
prendere il trenino per Ostia!
Arrivato luglio i giardini si svuotavano un po’:
tanti partivano per mete esotiche (Nettuno,
Anzio, Scauri, Passoscuro, Ladispoli, Fregene,
etc.), altri come me partivano per la Colonia!
In Colonia credo di aver passato le più belle va-
canze di ragazzina. Ricordo che il giorno della
partenza ci si radunava davanti alla Scuola Rug-
gero Bonghi, tutti col cappellino bianco verso
mete diverse, chi in montagna e chi al mare! Al
momento di salire sui pullman in tanti avevamo i
lacrimoni per la tristezza di doverci separare dai
nostri genitori.
Ma una volta arrivati a destinazione ci abituava-
mo ai ritmi!
Ricordo l’alzabandiera al mattino e l’ammai-
na bandiera la sera, noi che cantavamo l’inno,
la colazione orribile con l’orzo, la merenda con
pane e tavoletta di cioccolato o marmellata o
formaggino e un frutto. Ma anche tanti tanti gio-
chi: rubabandiera, nascondino, quattro cantoni,
mela avvelenata, etc. E poi il teatro! Le signorine
(chiamavamo così le assistenti) ci facevano reci-
tare scenette comiche e io mi divertivo da matti
perché ero brava a far ridere e mi piaceva tanto!
Ricordo che la domenica era per me il giorno più
triste perché sapevo che i miei non potevano ve-
nire a trovarmi e con altri ragazzini, nelle mie
stesse condizioni, guardavamo con invidia gli altri
che correvano felici ad abbracciare i loro parenti.
In fondo però la colonia durava 15 giorni e fra
lettere da casa, giochi, chiacchiere, litigate e ri-
sate il tempo passava e si ritornava a casa fra le
braccia della famiglia!
Agosto era considerato il mese di vacanza per
eccellenza.
Ricordo che chiudevano quasi tutti i negozi in
via Emanuele Filiberto. Durante le ore di canico-
la, mentre tutto era sospeso, si sentiva l’acqua
della fontanella sotto casa che scrosciava e in
lontananza spesso gli zoccoli di qualche temera-
rio, in giro con quella calura, che riecheggiavano
ritmicamente!
Ogni tanto rientrava qualche amichetta dalle va-
canze di luglio qualcun’altra partiva per quelle d’a-
gosto, insomma non si era mai sole totalmente.
E poi c’erano da fare i compiti per le vacanze!
Alla fine si ritornava ai ritmi normali: le strade
si riempivano nuovamente di automobili, i nego-
zi riaprivano e il traffico riprendeva vita. E così
anche noi ragazzine un po’ per volta ci ritrova-
vamo ai nostri amati giardinetti di San Giovanni
a giocare e raccontarci le nostre vacanze e le
esperienze nuove fatte, e a trovarci più amiche
di prima perché c’eravamo mancate l’un l’altra!
Elisabetta Sanna
La chiusura della scuole, i film la mattina e la città vuota nei ricordi di una nostra lettrice
Nell’era del cibo gourmet, io tifo
per Mc Donald’s. Questo fa
di me un miserabile agli occhi di
molti, lo so.
Una proposta indecente. Torna-
vo dal mare, Lavinio per la preci-
sione, insieme alla persona che mi
rende la versione migliore di me.
Ma che mangia peggio di me. Al-
meno così credevo.
“Ho fame.” Mi dice. “Io pure.” Le
rispondo. È quasi ora di cena, la
Cristoforo Colombo è intasata e a
casa il frigorifero è vuoto.
“Potremmo cenare da Sonia, ti
va?” Le chiedo.
“Mmmm. Non senti che profumo?”
Bè qui intorno non c’è nulla, pen-
so. L’unico odore che sento è di
patatine fritte. La guardo. Gli oc-
chi le si illuminano dal fondo, bril-
lano più di prima. Sembrano due
lucciole.
“No no!” Dico. Le due lucciole
scintillano, le palpebre dalle ci-
glia lunghe sbattono morbide
come ali. Segue qualche attimo di
silenzio.“No. Mc Donald’s no e poi
no, scordatelo.” Dico deciso.
Sorride. E se per le lucciole posso
gestire il brivido, per il sorriso no.
Sterzo ed esco nel viottolo verso
l’enorme e sinuosa M. La mia fer-
mezza sbriciolata in otto secondi.
Entriamo. L’aria condizionata cede
a odori irresistibili. Fritto. Quel
fritto che scorre nelle vene e ti fa
innamorare ungendoti il cuore.
“Posso ordinare io? Che tu sei una
femminuccia?” Dice.
“Fai pure, figurati.” Sorrido. Il me-
nu-board alle spalle dei cassieri
parla chiaro. Risplendono panini
soffici e gustosi, insalata verde
fresca di rugiada, patate dorate
e brillanti, polletti custoditi in una
crosticina fritta grassa grassa e
splendente.
Poi c’è il King, il vero re: l’impo-
nente doppio Crispy Mc Bacon. Il
mio pensiero vola alla famosa sce-
na di Michael Douglas in ‘Un gior-
no di ordinaria follia’. Se le foto
non rispecchiano la realtà, faccio
una strage. Mi aumenta la saliva-
zione ma non posso ammetterlo.
“Io ho ordinato oh, sveglia che
ho fame! Tu che vuoi?” Inebetito
la guardo. È bellissima. Più di un
Crispy Mc Bacon doppio, triplo,
quadruplo. Tanto di più. “Ehm sì,
scusa. Tu che hai preso?”
“Quattro hamburger normali, una
patatina grande, 8 polletti, coca
maxi.”
“Ammazza. Senti ma i polletti li di-
vidiamo?”
“Sei scemo? No!”
“Ah!” Sublimo il momento con un
doppio Crispy Mc Bacon, un Chee-
seburger e una Coca Cola.
“Stai a dieta?” Ride.
“Volete altro, ragazzi?” Chiede
il tipo alla cassa guardandomi e
smorzandole la risata.
“No gra..”
“Sì! Salsa barbecue, ketchup e
maionese!” È la donna della mia
vita, penso.
Ma cosa ne sanno gli chef?
Prendiamo i due vassoi colmi e
ci sediamo nel giardino esterno.
Leggo su un cartello di un ham-
burger con carne chianina e for-
maggi stagionati, c’è pure la foto
di Joe Bastianich. Anche Mc Do-
nald’s si è piegato alla necessità di
dover improvvisare qualche scelta
di marketing per contrastare l’on-
da gourmet che tutto travolge. Ma
noi tutti, nel nostro cuore unto, ci
fidiamo ciecamente di Ronald Mc
Donald anche senza Bastianich.
Mentre addento il doppio Crispy
Mc Bacon, lei ha già spazzola-
to due hamburger. “Ma senti che
roba?” Dice.
Mi mancava Mc Donald’s. Erano
anni che non ci andavo. Affondo
una patatina salatissima nella sal-
sa barbecue. “Noo. La patata nella
salsa barbecue no! Quella va nel
Ketchup, la salsa barbecue è per
i miei polletti!” Grida difendendo
con le braccia i Chicken Mc Nug-
gets.
La patata mi cade. Accanto a me
è pieno di ragazzi che mangiano e
giocano con i telefoni. Mi ricordo
di quando ci venivo da piccolo, era
una trasgressione Mc Donald’s.
Mi portava mio padre dopo il ci-
nema. “Ma non dirlo a mamma!”
Diceva sempre. Ho scoperto anni
dopo che lei lo sapeva eccome. Il
sapore è sempre uguale. Identico.
Come il gelato da me al Palazzo
del Freddo, non è mai cambiato
negli ultimi decenni. Vallo a spie-
gare che siamo noi a cambiare.
La qualità di un prodotto passa
anche attraverso le emozioni che
è in grado di seminare e Mc Do-
nald mi ricorda quando ero bambi-
no. E poi è così saporito. È buono
e basta, senza bisogno di spiega-
zione alcuna.
Ora vedo lei. Gli occhi scintilla-
no, ha i denti piccoli e perfetti, i
lati della bocca impiastricciati di
ketchup e penso che in fin dei con-
ti a me di cene gourmet e raffina-
tezze varie non è mai interessato
davvero se non fosse per gli esseri
umani che ho incontrato, quello è
l’unico valore che custodisco. Ma
per il resto, è qui che mi sta bene
stare, con mezzo Crispy Mc Bacon
doppio in bocca.
“Madò quant’è bono.” Dice leccan-
dosi le dita.
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Paradiso e Inferno. Succhio dal-
la cannuccia mezzo bicchiere di
coca cola godendo non poco.
Vini pregiati, carni scelte, D.O.P,
gourmet, servizio eccellente. Se
dietro la qualità di un ristorante vi
è la mente sapiente di chef com-
petenti, dietro questo doppio Cri-
spy Mc Bacon dalla pancetta croc-
cante, cheddar fuso di passione,
hamburger speziato e spalmato di
salse paradisiache, c’è il demonio.
Chiacchieriamo ancora un po’, ri-
diamo. Ci alziamo sazi dopo aver
buttato i rimasugli dai vassoi; più
di tanto da Mc Donald’s non resti
seduto, non serve. E poi vogliamo
andare a casa.
La bacio, sa di barbecue, ride di
nuovo. Non mangeremo fino al
pranzo del giorno dopo ma non
importa, perché l’amore da Mc
Donald’s sazia pancia e cuore.
Andrea Fassi
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Cielo sopraesquilino numero27

  • 1. Periodico di informazione a cura dell’associazione “Il Cielo sopra Esquilino” Numero 27 anno V - Settembre/Ottobre 2019 L'orchestra che promuove piazza Vittorio nel mondoIl vicedirettore Pino Pecorelli ci racconta di questa esperienza unica, dei suoi esordi, della musica. Anche del forte rapporto con il rione, dove, però, non è stata mai individuata e concessa una sede Qual è stata la motivazione principale che vi ha spinto a creare l'Orchestra di Piazza Vittorio? L'intuizione originaria è stata di Mario Tronco, a tutt'oggi diretto- re dell'orchestra, che ebbe l'idea di trasformare in musica il suono della piazza. Io, che ho sempre nutrito grande curiosità, sia da un punto di vista musicale che socia- le, nei confronti delle contamina- zioni con persone di altri paesi, sono stato contattato da lui e ho aderito immediatamente al pro- getto. Era un periodo, quello dopo gli attentati alle Torri Gemelle del 2001, in cui il fenomeno migra- torio stava diventando più impo- nente e in cui affioravano segni di paura nei confronti dei migranti; nello stesso tempo, tuttavia, c'era anche la curiosità di confrontarsi con le culture ‘altre’. Così Tron- co, insieme con Agostino Ferrente dell'Apollo 11, misero insieme vari musicisti stranieri che abitavano ad Esquilino, provenienti dalle di- verse comunità presenti nel rione, per fare un concerto dimostrati- vo. Sembrava un'impresa folle; in realtà l'iniziativa è stata un suc- cesso. L'esperienza è continuata e dopo 18 anni siamo ancora qui a parlarne. L'idea era quindi nata all'interno del progetto dell'ex Ci- nema Apollo che purtroppo non ha mai visto la luce nell'ottica ori- ginaria. Le due anime in seguito si sono divise ma le due realtà, l'orchestra e l'Apollo 11, sono en- trambe vive. Ora che siete un’orchestra af- fermata in tutto il mondo riu- scite a mantenere ancora un legame con il rione? Il rapporto con l’Esquilino non lo abbiamo mai perso. Ma, non condividendo più lo spazio con Apollo11, non siamo più quotidia- namente presenti nel territorio; inoltre, i numerosi impegni pro- fessionali ci tengono lontani per lunghi periodi. Ma noi continuiamo ad essere legatissimi all’Esquilino, tant’è che l’Orchestra porta il nome della piazza in giro per il mondo, valorizzando la sua immagine. Maria Grazia Sentinelli segue a pagina 4 Ilpoloculturale‘coniato’nellaprimaZeccad’Italia Progetto da 35 milioni di euro per riqualificare la zona e ricucire la città. Fine lavori prevista nel 2023 La riqualificazione e il recupero dello stori- co edificio che ha ospitato la prima Zecca d’Italia diventerà a breve una realtà grazie al progetto di valorizzazione presentato dal grup- po guidato dallo Studio Atelier(S) Alfonso Fe- mia, che si è aggiudicato il primo premio del concorso internazionale bandito dal Poligrafico e Zecca dello Stato lo scorso marzo 2018. Il progetto di riqualificazione prevede la nascita di un polo culturale a vocazione museale, per custodire al meglio le risorse artistiche del pa- trimonio nazionale numismatico e la sezione di archeologia industriale. Ma sarà al contem- po un luogo di formazione e promozione per i mestieri d’arte, più accogliente per la preziosa tradizione della Scuola dell’Arte della Medaglia, attiva nell’edificio fin dall’inaugurazione nel 1911. Un ulteriore tassello del puzzle di riqua- lificazione del rione, composto dal rifacimento dei giardini di piazza Vittorio, dal recupero del cinema Apollo e dall’inaugurazione della nuova sede dei servizi segreti italiani a piazza Dante. Per gennaio 2020, è previsto il progetto defi- nitivo, nell’agosto dello stesso anno l’esecutivo con inizio lavori nel giugno 2021 e conclusio- ne stimata per il maggio 2023. L’investimento stabilito dal Ministero dell’Economia e delle Fi- nanze è pari a 35 milioni di euro di cui 27 per i lavori, 5 per gli allestimenti interni e 3 per gli oneri tecnici e amministrativi. Silvio Nobili segue a pagina 3
  • 2. 2 antonio.finelli@tiscali.it antonio.finelli@tiscali.it Il tram Sguardi sull’Esquilino di Antonio Finelli (antonio.finelli@tiscali.it) Vi presento Mobi, la mobilità del terzo millennio Come già visto nell’ultimo numero di que- sto giornale, la leggenda narra che Roma sia nata da un’idea di due fratelli gemelli i cui animi furono scossi dagli interessi connessi al primo piano regolatore urbano. Il terzo millennio ci ha portato due nuovi ge- melli: Mobi e Monne, Mobilità e Monnezza. I loro difetti li conosciamo: sciuponi con i soldi, svogliati sul lavoro, grande passione per i fuo- chi e le fiamme, specie se a prendere fuoco sono autobus, depositi di rifiuti e cassonetti. Mobi ha superato se stesso facendo prende- re fuoco addirittura a un piccolo autobus elet- trico, cosa ritenuta impossibile. Ma forse si è trattato di un esperimento in scala ridotta per poi passare a quelli più grandi, dopo aver ac- quisito esperienza nei flammebus degli auto- bus a gasolio. I due fratelli, Mobi e Monne, sono anche poveri accattoni: Monne prega e paga per farsi portar via l’immondizia verso altre regioni o addirit- tura all’estero, in Austria o Germania, alla fac- cia del ‘prima gli italiani’, Mobi cerca autobus anche se vecchi e usati in Israele e in Turchia. Cambiare i connotati. Anche Mobi, come già Monni, sta pensando di cambiare nome… e già sono pronti i paroloni! La NUOVA MOBI dovreb- be fornire “un servizio efficiente e di qualità, in grado di rispondere alle esigenze dei lavora- tori e degli utenti, universale, con attenzione alle differenze sociali e di genere e alle classi di abitanti più in difficoltà per età, condizione di reddito, di abitazione, di precarietà lavora- tiva…”. Ciò comporta modifiche nell’organiz- zazione interna e nel governo della mobilità. facendosi carico del pendolarismo, del peso del turismo, della gestione urbanistica e abitativa, nonché delle tante e tante recenti innovazioni tecnologiche. Non sarebbe male se il suicidio e la rinasci- ta avvenissero in concomitanza del 21 mar- zo 2021, ossia dei 110 anni della prima linea pubblica, la n. 3 Piazza Colonna-Santa Croce in Gerusalemme, della ATM (Azienda Tranvie Mu- nicipali) che era stata fondata nel 1909 come AATM (Azienda Autonoma Tranviaria Municipa- le) per iniziativa dell’avvocato Giovanni Monte- martini e del sindaco Ernesto Nathan. Il vestito nuovo. Mobi da poco dovrebbe avere un vestitino nuovo, un vestitino della collezione PUM (Poco Uso dei Mezzi Pubblici) ovvero della collezione MUP (Molto Uso Mezzi Privati). Si tratta di una collezione di model- li di qualche anno fa, di quando c’era Ignazio Marino (erano suoi i Punti Fermi), portato ora avanti senza un riesame e una riprogettazione. Per acquistare il nuovo vestitino bisogna tro- vare i soldi, e forse nella delibera n. 39 del 25 giugno 2011 c’è rimasto ancora qualcosa da vendere. Ma anche questo potrebbe non ba- stare, perché i cravattari vogliono lo spezzati- no delle linee di trasporto, a cominciare dalla Roma-Lido (che potrebbe essere acquisita dai francesi o dalle Ferrovie). Sul vestitino nuovo sono state cucite modeste proposte di ‘Alto gradimento’ online, fingendo una partecipazione non organizzata e prepara- ta, ma neppure vincolante, insomma da chiac- chiere al bar. È inutile cercare costi e certezze di realizzazione: sono sostituiti da false assi- curazioni di imminente realizzazione. C’è qual- che ipotesi dei fondi promessi per la mobilità dall’ex ministro Toninelli? La Mobilità di Roma Capitale oggi non tiene conto della Città Metropolitana (qualcuno sa cosa sia?) e della Regione, cioè di un forte pen- dolarismo di merci e persone. Solo la gestione dei rifiuti solidi urbani sposta una montagna di circa 1.000.000 (un milione!) di tonnellate di rifiuti che escono ogni anno dalla città, diretti a impianti di trattamento o smaltimento. Oggi come allora. Pochi giorni fa è Stato ap- provato il Piano Urbano della Mobilità Soste- nibile. Sarà sufficiente a evitare un dramma simile e peggiore di quello di 3.000 anni fa? Oggi i nuovi gemelli Monne(zza) e Mobi(lità) rischiano di rimanere soffocati, nel traffico e nella spazzatura. E con loro soffochiamo tutti noi. Carlo Di Carlo Per le stradePer le strade Continuiamo a raccontarvi di Mobilità e Monnezza, i nuovi gemelli di Roma Capitale
  • 3. 3 Ilpoloculturale‘coniato’nellaprimaZeccad’Italia> segue dalla prima pagina Rispettare il passato in chiave green. Il primo obiettivo è quello di riqualificare e ristrutturare l’e- dificio esistente di 4.600 mq, nel pieno rispetto dei criteri di soste- nibilità ambientale ed efficienza energetica, tutelandone i caratteri originari risalenti alla prima metà del ‘900. Con uno sguardo però rivolto al futuro, grazie all’utilizzo di innovativi materiali capaci di ri- vitalizzare spazi ricchi di storia e valore, un contributo alla crescita della qualità del contesto cittadi- no e sociale del rione Esquilino. Il progetto illustrato alle porte dell’e- state, infatti, combina tradizione e innovazione attraverso il restauro in chiave contemporanea dell’edi- ficio, in accordo con una riutiliz- zazione funzionale degli spazi in- terni, rispettando la salvaguardia degli elementi identitari che carat- terizzavano l’impianto volumetrico esistente e il carattere industriale degli ambienti, per dare adeguata dimora alle grandi macchine per la lavorazione delle monete e al si- stema impiantistico a vista, che il progetto mantiene intatto. Museo, biblioteca e aggre- gazione. Le funzioni del nuovo complesso edilizio prevedono uno spazio museale per mostre tem- poranee, un centro convegni, un centro di artigianato di qualità, un centro servizi culturali, una biblio- teca con archivio storico, i nuovi laboratori per i giovani talenti del- la Scuola dell’Arte della Medaglia, un bookshop con caffetteria e una foresteria, sul modello di quello parigino che dà il nome alla fer- mata metro Arts et Métiers. Le due corti laterali tornano a es- sere il fulcro pulsante della fabbri- ca, luoghi di aggregazione e in- contro dei flussi interni, ma anche punti di sfogo e di primo contatto con l’edificio da parte del pubbli- co. La corte su via Cairoli viene riportata al suo sedime originario, mentre quella su via La Marmora viene parzialmente liberata, sce- gliendo di conservare la grande sala con copertura a pancia di nave, prestandosi a diventare un ‘meltingpot’ per le funzioni. I due piani ammezzati, che con mol- te appendici si elevano a ferro di cavallo attorno alla corte centra- le dell’edificio, sono frutto di una sopraelevazione degli anni ’50 e il progetto vuole preservarle. Il piano primo ammezzato viene in- fatti conservato nelle sue forme, il piano secondo ricostruito con una sottile intelaiatura metallica, ricalcando il sedime a ‘U’ del corpo sottostante. La nuova intelaiatu- ra si estende parzialmente verso via Principe Amedeo, creando un nuovo fronte dalle forme contem- poranee, come contrappunto alla facciata storica di via Principe Um- berto. “Con questo progetto diventa im- portante riaffermare l’identità ori- ginaria o quanto più una dimen- sione vicina a essa, superando quelle stratificazioni e modifiche apportate nel tempo, che non sono state in grado di far evolvere l’opera in un’altra dimensione di valore e contenuti”, ha dichiarato il vincitore Alfonso Femia. Silvio Nobili La prima Zecca dell’Italia Unita Nel 1904 la legge, n. 417 del 2 giugno promulgò la costruzione della ‘Zecca d’Italia’ e il 27 giugno del 1908, alla presenza del Re Vittorio Emanuele III e del Ministro del Tesoro Paolo Carcano, si svolse la cerimonia della posa della prima pietra. L’edificio fu inaugurato il 27 dicembre 1911 e da allora sono state realizzate e coniate le monete del Regno d’Italia e della Repubblica, dalla lira all’euro. Con l’entrata in vigore dell’euro, considerate le accresciute esigenze produttive, è stato reso operativo anche lo sta- bilimento situato nel quartiere dell’Appio, di via Gino Capponi, dove la produzione è stata definitivamente trasferita nel 2006. L’occhio del cieloL’occhio del cielo
  • 4. 4 > segue dalla prima pagina Ora abbiamo realizzato anche un film che ha per titolo proprio il nome della piazza, a conferma del grande amore che portiamo per il rione. Il punto è che non siamo mai riusciti ad ottenere qui all’E- squilino una sede dove situare la nostra attività, né tramite il sup- porto pubblico, né tramite quello privato, e nonostante le mille di- sponibilità dimostrate dalle varie amministrazioni. Se pensiamo che c'è tutta l'area abbandonata dei depositi ATAC sotto i giardini! Eppure avere un posto, anche pic- colo, in piazza o nelle strade adia- centi, avrebbe potuto stimolare moltissimo il rione da un punto di vista artistico e sociale e rap- presentare un volano per la vita dell’Esquilino, una fonte di attra- zione per nuovi cittadini romani in cerca di vivacità culturale. Come si è trasformato il rione in questi anni? Di fatto non è successo niente e quando non succede niente pur- troppo le cose peggiorano. Le associazioni dei cittadini e degli esercenti italiani negli ultimi tem- pi stanno realizzando iniziative e aprendo nuovi locali per ridare alla piazza un po’ di vitalità, per riap- propriarsi di questo luogo che era diventato un grande magazzino cinese. Oggi la piazza è spenta. Anche con riferimento all’orche- stra, oggi sarebbe impensabile riproporre un’impresa come quel- la del 2011. Questo anche per la situazione più generale dell’Italia, dove le nuove politiche migrato- rie ostacolano il ripetersi di que- ste esperienze. Oggi, i musicisti extracomunitari sono più attrat- ti dalla Germania o dai paesi del Nord Europa, dove ci sono politi- che di accoglienza migliori e dove nascono, non a caso, molte orche- stre etniche, anche sovvenzionate dalle amministrazioni nazionali e locali. Anche noi, oggi, cerchiamo i musicisti nuovi fuori dall’Italia. Qual è, secondo lei, la ricchez- za di un'orchestra multietnica? La ricchezza sta nel fatto che ognuno dei componenti dell’Or- chestra ha cambiato il suo modo di pensare la musica e ha allarga- to il proprio punto di vista. Ciò è stato merito sia della genialità del direttore Mario Tronco che della forza dei musicisti che hanno per- messo a Mario di alzare lo sguardo sempre più in alto. Da un punto di vista sociale, poi, quando si mi- schiano le culture rispettandole tutte, si producono risultati di cui gode tutta la comunità. La mu- sica, come tutte le forme d’arte, anticipa i tempi e permette inno- vazioni permanenti. Per esempio, la musica da ballo nell’ottocento è stato il frutto dell’incontro tra culture diverse, tra bianchi e neri, schiavi e padroni e via dicendo, e ha completamente modificato il modo di concepire la danza. Accanto alle vostre produzioni autoriali che conservano una caratteristica di musica etnica e mediterranea, vi siete rivolti alla musica classica rivisitan- do varie opere, come Il flau- to magico, il Don Giovanni, la Carmen. Cosa vi ha portato a questa scelta? Tutto è partito dalla proposta di un operatore culturale, Daniele Abba- do, che nel 2009 aveva realizzato un Flauto Magico di strada e che propose a Mario Tronco di realiz- zare l’Ouverture con l’Orchestra. Poi il Festival di Lione, in collabo- razione con Roma Europa Festi- val, ci commissionarono l’opera che, rivisitata dal direttore e da Leandro Piccioni, ebbe un gran- dissimo successo e diede il via a nuovi arrangiamenti di altre opere liriche. È un percorso interessante perché, diversamente dai concer- ti dove creiamo la nostra musica, questo ci permette di utilizzare partiture musicali di grandi musi- cisti rivisitandole con gli strumen- ti e i linguaggi dell’Orchestra, e ti fa capire che tutte le musiche possono essere suonate in diversi modi. Non va inoltre sottovaluta- to il fatto che l’esperienza teatrale ci ha permesso di dare maggiore continuità professionale ai musici- sti. Sono due percorsi diversi che viaggiano in parallelo e permetto- no la crescita dell’Orchestra, l’uno arricchendo l’altro. Maria Grazia Sentinelli L'orchestra che promuove piazza Vittorio nel mondo Il rione mormoraIl rione mormora
  • 5. 5 Esquilino: i suoi primi quarant’anniCarmelo G. Severino, redattore del nostro giornale, è autore del volume ‘Roma. Esquilino (1870-1911)’, nel quale delinea la storia dei primi quattro decenni del rione. Gli abbiamo chiesto di parlarcene in anteprima Architetto e storico della città, Carmelo G. Severino, in questa sua ultima opera, in corso di stampa con Gangemi editore, delinea il percorso che, a partire dall’Unità d’Italia, ha portato all’impianto attuale dell’Esquilino. Con il supporto di diverse fonti documentali, per lo più di tipo archivistico – tra cui l’Archivio cen- trale dello Stato, il Capitolino, quello storico della Banca d’Italia – e con un ampio appara- to iconografico, il volume prende avvio con la descrizione della città e del territorio esquili- no alla vigilia del 20 settembre 1870, per poi esporre nel dettaglio la formazione del nuovo ‘quartiere’, dedicando molto spazio a piazza Vittorio Emanuele II, che l’Esquilino “evoca, rappresenta e rimanda” e che ne costituisce a tutti gli effetti la polarità di riferimento pri- vilegiato. L’Esquilino, è dunque un quartiere che può considerarsi ad impianto ‘moderno’? È un ‘quartiere’ geometricamente definito, a maglia regolare, realizzato ex novo dopo il 1870 sui colli orientali, in un territorio però di ben più antica frequentazione umana: risalgo- no infatti all’ottavo secolo a.C. le prime tracce di insediamenti legati alla Roma arcaica, for- nendo un eccezionale esempio di stratificazio- ne storica plurisecolare. A partire dal 1871, con la proclamazione di Roma Capitale, inizia, sul piano edilizio, un nuovo corso per il territorio esquilino e per tut- ta la città. Dopo gli avvenimenti di Porta Pia, Roma non è più la città dei papi, capitale di un piccolo Sta- to teocratico, ma di un grande Stato europeo. Da qui il difficile compito di provvedere alla propria modernizzazione, di ristrutturarsi per diventare una capitale moderna all’altezza del suo glorioso passato. Nel giro di pochi decenni, la città rinnova, ampliandolo enormemente, il proprio tessuto urbano; ma, nello stesso tem- po, mette in moto una vera e propria distru- zione del patrimonio storico-monumentale. La realizzazione dell’Esquilino, infatti, così come per gli altri insediamenti della nuova Roma, comportò distruzioni indicibili ed interi quar- tieri residenziali e monumenti anche grandiosi andarono perduti per sempre. La cultura eu- ropea criticherà aspramente i nuovi vandali di Roma perché molto di quello che venne sco- perto durante i lavori di sterro fu “sistematica- mente distrutto”. Quali sono le dinamiche sociali ed eco- nomiche rintracciabili nella storia dell’E- squilino? In generale, agli aspetti urbanistici ed architet- tonici si sommano sempre aspetti economici e socio-culturali, legati a chi in definitiva vive le trasformazioni del territorio e a coloro che si propongono come promotori di tali trasforma- zioni, cioè i proprietari terrieri, le imprese di costruzione, le banche e le società di capitali, particolarmente attivi in città nei primi decenni di Roma Capitale. Nella storia dell’Esquilino, dal 1870 ad oggi, è possibile individuare più fasi di formazione: una iniziale, durante la quale il nuovo ‘quartiere’ viene progettato e realizza- to sui colli orientali della città, rielaborando di fatto quanto già avviato durante il pontificato di Pio IX, fase che travalica nel nuovo secolo XX sino agli anni che vedono al governo della città, in Campidoglio, Ernesto Nathan, il pri- mo sindaco veramente laico della città dopo Luigi Pianciani, ed è questo il periodo trattato dal mio saggio; una seconda fase che arriva fino agli anni Sessanta del secolo scorso, con- trassegnati dal boom economico nazionale, in cui l’Esquilino, ridimensionato nei suoi confini amministrativi, definisce e completa la maglia del suo tessuto socio-economico ed urbanisti- co; una terza fase, infine, ancora in atto, in cui l’Esquilino, multietnico e multiculturale, viene vissuto come zona di confine tra una Roma or- mai città-metropoli europea e le periferie po- vere del mondo, come una ‘grande porta urba- na’ verso le aree centrali della città. Roma viene proclamata capitale al termi- ne di un complesso processo di unificazio- ne del Paese, con non poche contraddizio- ni e contrasti. Una capitale alla quale con difficoltà viene riconosciuto il ruolo che le compete, che non tutti ‘amano’. Viene da dire: allora come ora… Con la conclusione della lotta risorgimentale, iniziò la fase nuova della costruzione dello Sta- to unitario. Allo stesso tempo, si pose il proble- ma del ruolo che Roma doveva occupare nella geografia urbana nazionale, con una classe politica che, nella stragrande maggioranza, aveva subìto più che voluto Roma capitale d’I- talia. E se Cavour, alla Camera dei deputati, nel 1861, aveva ben evidenziato come la scel- ta di Roma scaturisse da grandi ragioni mora- li, essendo “la sola città d’Italia” a non avere “memorie esclusivamente municipali”, dieci anni dopo, ormai scomparso il grande statista, il governo si dimostra del tutto impreparato ad accompagnare Roma nel suo nuovo difficile compito. E disponendo di scarsi mezzi finan- ziari, per realizzare le opere necessarie alla nuova funzione di capitale del regno si limita ad autorizzare solo operazioni di anticipo da parte della Banca d’Italia a favore del Comu- ne di Roma. Soltanto nel 1881 e 1883, con le leggi speciali, il governo si impegnerà a fornire finanziamenti per l’attuazione del Piano rego- latore e la realizzazione delle più importanti opere pubbliche: questi furono i primi decenni di Roma capitale d’Italia e… non si può certo dire che oggi molto sia cambiato. Paola Mauti Il rione mormoraIl rione mormora In attesa dell’uscita in libreria, prevista entro novembre 2019, è possibile prenotare il volume al prezzo riservato ai lettori del Cielo sopra Esquilino di euro 24,90 anziché euro 30,00 al seguente link internet: https://bit.ly/2kRq9ph
  • 6. 6 C’è chi faC’è chi fa EsquilinoChiamaRoma,unforumperilrioneNasce da un gruppo di residenti, architetti e professionisti della tutela dei beni culturali, una pro- posta di intervento che parte dalla conoscenza condivisa del valore culturale del nostro territorio “Non si può abitare e governare un luogo che non si comprenda insieme”: è questo il motto che guida le attività del forum Esquili- no Chiama Roma, attivo dal 2018. (www.esquilinochiamaroma.it) Per saperne di più, abbiamo incon- trato alcuni componenti del Comi- tato scientifico: il presidente Pie- tro Petraroia (già Soprintendente) e i componenti Andrea Grimaldi (Sapienza Università di Roma) e Gennaro Berger (vice Presidente di Esquilino Vivo). Quale spirito ha portato alla nascita del forum? Lo spunto venne dalla mostra del Bernini alla Galleria Borghese, nel 2017. La statua di Santa Bibiana fu trasferita per il restauro e poi ricollocata nell’omonima basilica di via Giolitti. Il divario tra la bel- lezza dell’opera e la trascuratezza dell’ambiente circostante portò ad una riflessione: è possibile, par- tendo dal riconoscimento di valore del patrimonio culturale, arrivare ad una risoluzione integrata delle problematiche che affliggono l’E- squilino? Oggi le competenze sono estremamente frammentate. Divi- se tra Stato, Comune e Municipio ma anche, al loro interno, tra i vari assessorati. Ciò porta a situa- zioni paradossali. Per i giardini di piazza Vittorio, mentre il restauro è seguito da un assessorato, l’at- tivazione del bar dovrebbe essere gestita da un altro. Inoltre, spes- so manca una base di conoscenze condivisa a partire dalla quale co- struire soluzioni. Ci siamo così resi conto che la strada da percorrere era quella di un approccio integra- to e partecipato. Non è una posi- zione di tipo politico, ma esclusi- vamente di metodo. In altre città è così che si opera. Roma fa ecce- zione. L’Esquilino sembra il luogo più adatto per ridisegnare le mo- dalità di lavoro e potrebbe essere di esempio per l’intera città. Di qui il nome ‘Esquilino Chiama Roma’. Lo scorso 24 giugno è stata presentata a Palazzo Merulana la convenzione siglata con enti e istituzioni. Faciliterà il lavoro del forum? È una convenzione proposta dal Gruppo di Lavoro Via Giolitti e pro- mossa da Piazza Vittorio Aps, l’as- sociazione fondata dalla Fondazio- ne Enpam. La convenzione vede la partecipazione di numerosi sog- getti: il Primo Municipio, il Museo Nazionale Romano, l’Ordine degli Architetti di Roma, alcuni diparti- menti universitari de La Sapienza e Roma Tre, il Centro Studi sulle politiche urbane Urban@it. Anche altri soggetti hanno intenzione di aderire, tra questi la Sovrinten- denza Capitolina ai Beni Culturali. Nella convenzione ognuno accetta di impegnarsi in base alle proprie competenze, favorendo una cono- scenza integrata, base necessaria per rendere gli interventi meno episodici ed effimeri o addirittura in contrasto con l’interesse gene- rale. Proponiamo che, a partire da ciò, l’Esquilino diventi subito il la- boratorio urbano per una revisio- ne efficace del piano di gestione del sito Unesco Centro storico di Roma: d’altra parte con la situa- zione attuale, Roma rischia l’e- spulsione dalla lista Unesco. Tra i sottoscrittori colpisce l'assenza del Comune di Roma. Non dovrebbe essere uno degli attori principali? La Sovrintendenza Capitolina è un organo del comune di Roma. È referente nei confronti degli uffici Unesco di Parigi e può essere pro- motrice di interventi sul territorio con azioni che coinvolgano diversi assessorati. Naturalmente Sta- to, Regione Lazio, Roma Capitale e Municipio, così come la cittadi- nanza attiva, debbono tutti rac- cordarsi in un progetto unitario di rigenerazione sociale ed urbana; il patrimonio culturale e paesag- gistico può essere secondo noi il volano di tutto questo. Il contributo di Piazza Vittorio Aps, che si è resa disponibile a ricoprire il ruolo di ’braccio operativo’ del forum, sembra fondamentale. Piazza Vittorio Aps ha un ruolo es- senziale di pivot organizzativo per noi tutti. Con l’Associazione ed il Museo Nazionale Romano si lavo- ra ad un’app per residenti, turisti, scuole che aiuti a capire e, qua- si, a rivivere il rapporto fra luoghi dell’Esquilino e capolavori nei mu- sei che vengono da qui, come il Laocoonte o il Discobolo Lancellot- ti. Attendiamo gli esiti di un ban- do regionale cui si è concorso. Gli strumenti di edutainment possono essere utili anche per sviluppare nelle nuove generazioni respon- sabilità verso i beni comuni, e il patrimonio culturale è tra questi. Il piano di lavoro dovrebbe poi portare ad un progetto esecu- tivo. Giusto? L’obiettivo è quello di intervenire in tre zone specifiche del rione. Agendo su queste, la ricaduta ge- nerale potrebbe essere molto più ampia, sempre che l’intervento sia multidisciplinare. Siamo partiti dal caso di piazza Vittorio, su cui An- drea Grimaldi ha presentato uno studio prodotto con i suoi allievi in Sapienza. A seguire, trattere- mo l’area del mercato e di piazza Pepe e poi, nella primavera 2020, l’area di via Giolitti. Non produrre- mo una progettazione dettagliata, ma scenari da condividere ancor prima che siano definiti gli inve- stimenti necessari: infatti, se ci si confronta dopo le decisioni, la partecipazione diventa una finzio- ne. Inoltre, occorre far passare il concetto che cooperare è per tutti un’opportunità e ci si guadagna. Per portare un esempio concre- to, le leggi attuali consentono ai singoli proprietari di accedere a strumenti come eco bonus e si- sma bonus, ma le famiglie che vogliono ricevere fondi pubblici a fronte di lavori di adeguamento, devono coalizzarsi almeno a livello di condominio e far gestire unita- riamente i loro crediti d’imposta. Risparmierebbero così fino a più dell’ottanta per cento della spesa. Con le istituzioni si potrebbe poi accedere anche ad altri tipi di fi- nanziamenti, regionali, nazionali ed europei: strumenti e opportu- nità da conoscere meglio. Riccardo Iacobucci
  • 7.
  • 8. 8 La memoriaLa memoria 1880-1881. Il Concorso per il monumento al gran reNel progetto originario era collocato a piazza Vittorio Emanuele II, luogo cardine tra vecchio e nuovo assetto cittadino. Fu installato a piazza Venezia: una posizione strategica rispetto alla Roma governativa Il 14 settembre 1871, in Campidoglio, il Con- siglio comunale aveva approvato il proget- to del nuovo ‘quartiere’ dell’Esquilino sull’asse della Strada Felice – lo stradone di Santa Croce in Gerusalemme – come raccordo tra la cit- tà vecchia e la città nuova, con al suo centro una vastissima piazza da dedicare a re Vittorio Emanuele II. Nella piazza avrebbe dovuto in- nalzarsi il monumento al re sabaudo, espres- sione dell’Indipendenza e dell’Unità d’Italia. Anni dopo, pur restando sempre attuale il pro- gramma di realizzare una grandiosa piazza in- titolata al primo re dell’Italia unita, l’idea del monumento aveva cominciato a vacillare. Il Concorso internazionale. La morte del re, il 9 gennaio 1878, e la partecipazione straor- dinaria dei romani ai solenni funerali, aveva convinto il Governo a prendere una decisione nel merito. Accantonata definitivamente l’idea di realizzare qualsiasi tipo di Pantheon, il 23 settembre 1880, finalmente - presidente del consiglio Benedetto Cairoli - viene pubblicato un bando di concorso per realizzare il monu- mento celebrativo, aperto alla partecipazio- ne di tutti ma che, per la sua vaghezza, la- scia campo libero sul luogo dove realizzare il monumento. La partecipazione è consistente e assai variegata. Sono stati presentati infatti 292 progetti (di cui 236 italiani) da architet- ti, ingegneri, pittori, scultori, impiegati tecni- ci, decoratori, ingegneri del genio civile, pro- fessori di ornato e di statuaria ma anche da “generali in pensione, segretari dei ministeri e incaricati ai telegrafi”. Alcuni sono professio- nisti affermati, “artisti egregi e uomini di stu- dio”, altri sono “giovani in cerca di gloria” e spesso privi “delle armonie del disegno”. Tutti i progetti nel dicembre 1881 vengono esposti al pubblico in una mostra allestita presso il mu- seo agrario-geologico di via XX Settembre, da poco inaugurato. Pochi i progetti meritevoli di premio. Nel loro complesso i progetti sono estremamente eterogenei. Molte proposte fanno riferimento a tipologie tradizionali – colonne e archi di trion- fo – utilizzando ornati policromi, fregi aurei o marmi preziosi spesso combinati a strutture metalliche. Altre si rifanno al battistero o al tempio, con tipologie desunte dall’antico, ri- proposte con sovrapposizioni e iterazioni. La Commissione giudicatrice, scartato oltre l’80% dei progetti, il 1 aprile 1882 premia l’unico pro- getto che ha raggiunto la quasi unanimità dei voti, redatto da un giovane allievo dell’Accade- mia di Francia, Henri-Paul Nénot, scatenando di conseguenza “sublimi sentimenti patriotti- ci”. Un secondo premio viene comunque asse- gnato ex-aequo a due professionisti romani, lo scultore Ettore Ferrari (1845-1929) e l’archi- tetto Pio Piacentini (1846-1928) ed un terzo allo scultore ferrarese Stefano Galletti (1832- 1905). Il concorso, “colpa della arcipessima legge votata dal Parlamento”, viene comunque ufficialmente dichiarato fallito perché “nessuna proposta poteva soddisfare le esigenze della nazione”. Alla ricerca di un sito. Le localizzazioni pro- poste vanno dal Pincio al Campidoglio, dal Quirinale al Gianicolo. Soltanto un architetto toscano, Corinto Corinti, ripropone l’originaria piazza Vittorio Emanuele II, delineando però una diversa zonizzazione urbanistica per im- pegnare completamente le aree ancora libere del nuovo ‘quartiere’ Esquilino e farne il cen- tro politico della Roma italiana. Rifacendosi al mausoleo di Teodorico a Ravenna, la celebre costruzione funeraria degli Ostrogoti, l’archi- tetto Corinti propone sull’asse di Santa Croce in Gerusalemme, a metà strada tra la piazza e la basilica, in corrispondenza di via Statilia, un monumento di dimensioni eccezionali. Il mo- numento al re viene quindi previsto al centro di un vasto invaso spaziale, circondato da otto edifici imponenti, sede dei ministeri – Interni, Esteri, Istruzione pubblica, Commercio, Lavo- ri Pubblici, Guerra, Marina, Grazia e Giustizia – fortemente rappresentativi per le valenze autocelebrative ed in sintonia con le strate- gie di assetto della nuova capitale. Si tratta di una maestosa torre celebrativa - “la mole sabauda”, la “più alta del mondo che grandeg- gi sopra tutti i monumenti dell’antica Roma”, composta dalla “giustapposizione di tre par- ti diverse”: alla base, un corpo ottagonale di eccezionale altezza “traforato con un doppio ordine di arcate”, al centro la statua del so- vrano ed in alto la copertura rastremata. E, a coronamento, “una sorta di minareto di gusto orientaleggiante” riproposto in stile nazionale. La scelta definitiva. Messa da parte l’idea di realizzare il monumento a piazza Vittorio Ema- nuele II, nel dicembre 1882 viene indetto un secondo concorso e dopo diverse vicissitudini, nel luglio 1884, viene approvato il progetto del conte Giuseppe Sacconi, un giovane architetto marchigiano, che localizza il monumento – il Vittoriano – a piazza Venezia, “proponendo un complesso sulle pendici del Colosseo a fonda- le del Corso ben visibile da piazza Colonna, centro della Roma governativa”, interpretando “in forma di pastiche neoantico le indicazioni del bando”. Il cantiere per la sua realizzazione avrà tempi lunghissimi sicché l’intera procedu- ra potrà dirsi conclusa con l’inaugurazione uffi- ciale del monumento soltanto il 4 giugno 1911. Carmelo G. Severino
  • 9. 9 Qualcosa di più che un cortile I lavori di ristrutturazione nella scuola Di Donato hanno visto protagonisti anche gli alunni dell’istituto Cortile: “porzione di area scoperta compresa tra i corpi di fabbrica di un edificio e desti- nata a dare aria e luce agli ambienti interni, al passaggio delle persone o ad altre funzioni”. La definizione della Treccani poco si addice a definire il cortile della Di Donato, se non nel senso prettamente tecnico. Il nostro cortile va ben oltre “lo spazio compreso”, “che dà luce”, “al passaggio di…”. Mi piace di più paragonar- lo al Cortile dei gentili dove genti di ogni cul- tura e credo si incontravano e dialogavano in quel di Gerusalemme; o ancora al cortile che si apre ogni sabato pomeriggio negli spazi della Galleria di Arte Moderna e Contemporanea di Roma: spazio di giochi all’aperto, di incontro, di scambio tra bambine e bambini. Un luogo del cuore. Ma la voce dei nostri alunni ci dà maggiormente il polso della sua importanza: nel numero 5 del Cielo sopra Esquilino, descrivono tutto ciò che vi si svolge e la partecipazione attiva di adulti e bambini; nel numero 11 rivelano i sentimenti di un ex alunno che ama ritornarvi ogni pomeriggio. La ristrutturazione. Grazie ai fondi stanzia- ti dal primo Municipio, si è ristrutturato anche il nostro cortile, ma la cosa più entusiasman- te è stata che hanno collaborato attivamente alla sua sistemazione anche gli alunni. Sotto la supervisione dell’architetto Biagio Perreca e grazie al paziente lavoro svolto nel suo labo- ratorio d’arte dall’insegnante Daniela Scaccia, i nostri ragazzi hanno raccolto i desiderata di ogni classe, effettuato una ricerca sui giochi da cortile, intervistato i nonni su come giocavano da piccoli. Diamo la parola all’insegnante stessa: “La scorsa primavera abbiamo iniziato un labora- torio di progettazione partecipata, che ha visto coinvolto il nostro Parlamentino scolastico del- le bambine e dei bambini e che, per l’occa- sione, ha esteso il gruppo di lavoro anche ai più piccoli, formando una squadra composta da rappresentanti eletti nelle III, IV e V.” Ci racconta quindi come è andata: “L’architetto ha incontrato i bambini più volte, coinvolgen- doli attivamente nell’ideazione dei giochi per la pavimentazione del cortile: dopo ogni riunio- ne i rappresentanti si dovevano far portavoce nelle rispettive classi, in modo da estendere la partecipazione al maggior numero di bambini”. Il passo successivo è stato quello di votare, in ogni classe, i giochi che si desiderava riprodur- re sulla superficie del cortile di sinistra (quello di destra è riservato al basket). Si è passati dunque ai disegni che sono poi stati dipinti sul terreno dagli stessi bambini. A lavoro ultimato si passerà al fissativo. La voce dei protagonisti. Ma come hanno vissuto questa esperienza gli alunni? Un nostro ‘piccolo corrispondente’, Pietro (IV-D), ha rac- colto alcune loro emozioni. Fernando (V-C) ha raccontato dall’inizio questa avventura: “Noi del Parlamentino ci incontravamo maggior- mente in biblioteca, un luogo fantastico in cui proponevamo idee per migliorare la scuola e il rione. Verso febbraio dovemmo iniziare un la- voro per il cortile, cambiando i giochi e il pavi- mento; per aiutarci c’era l’architetto Biagio. In quel periodo la maestra Daniela fu ‘assillante’, ma per una buona causa. Adesso ci troviamo un cortile quasi finito e per me è stata una bella esperienza”. Anche Leonardo (IV-D) ha espresso tutta la sua soddisfazione con que- ste parole: “È stato molto bello rappresentare i miei compagni e partecipare ai progetti e alle decisioni della scuola, in particolare a quello del rinnovamento del cortile con i nuovi giochi.” Contento anche Thomas (IV-C) che dichiara: “Ho fatto incontri molto interessanti, mi sono piaciuti soprattutto quelli con l’architetto Bia- gio perché abbiamo deciso insieme i giochi da mettere in cortile e li abbiamo anche provati (non vedo l’ora che si possano utilizzare). Mi è piaciuto partecipare alle idee per migliorare la scuola.” Monica (V-C) ricorda soprattutto quando fu- rono informati della ‘responsabilità’ che veni- va loro affidata: “Un giovedì ci chiamarono in aula d’arte… iniziammo a parlare del cortile e che doveva essere rinnovato. Si cominciarono a proporre tanti giochi e intanto conoscemmo Biagio; Biagio è un architetto e sarà lui a rinno- vare il nostro cortile… Per avere molte più idee decidemmo di far partecipare anche le terze all’esperienza del Parlamentino; ogni classe terza ha aiutato molto anche nei disegni”. Lavori in corso. Per ora i giochi, provenienti da diversi paesi del mondo, sono tre. Ma, a scuole aperte, si prevede di continuare e ter- minare l’opera. Patrizia Pellegrini Il rione mormoraIl rione mormora
  • 10. 10 In ItinereIn Itinere Nel mezzo del cammin di piazza Dante La similitudine appare immedia- ta, fulminea, quasi scontata. Nondimeno, serpeggia evocativa e carica di suggestione. Tommaso Hobbes, guardandolo stupefatto, avrebbe forse ripensato alla ma- gnitudine del suo Leviatano, altra allegoria feroce ed efficacissima del potere dello Stato che si fa so- stanza innanzi al cittadino, escla- mando: “Non est potestas super terram quae comparetur ei”. Il nostro Sommo Poeta, che dell’al- legoria è stato funambolo finan- che a dettarne le regole, avrebbe sorriso osservandolo, ammantato nel suo chiarore tutto nuovo, il Pa- lazzo di Cassa Depositi e Prestiti. Ed anche se questo gli è postu- mo di centinaia di anni, immagi- no avrebbe avuto più di un valido motivo per reputarlo familiare. Un’arcana presenza. Il gigante addormentato, infatti, sta proprio nel cuore del nostro rione e si af- faccia su di una piazza Dante che, da qualche anno a questa parte, è stata più cantiere che altro. Un cantiere blindatissimo, oggi sap- piamo tutti il perché, intorno al quale sono sorte curiosità e con- getture di ogni genere. Comin- ciando dalle fantasticherie rispetto agli svariati piani scavati sotto ter- ra e dai ritrovamenti che possano esserne conseguiti, passando per le speculazioni circa l’ipotesi che voleva l’avveniristica struttura in vetro e acciaio sovrastante come sede di un inedito eliporto. L’inaugurazione di qualche setti- mana fa un po’ di dubbi ce li ha tolti ma, inevitabilmente, la quasi totalità degli arcani sono destina- ti a rimanere confinati in quella gabbia metafisica che è la nostra curiosità. Per il momento, allora, provo a farmi strada nella selva selvaggia di quel che rimane del cantiere e a penetrarla, almeno con l’immaginazione, facendomi aiutare proprio dal Sommo. Allora, comincio ad illudermi: e se a scavare tutti quei piani sot- terranei non fossero state quelle truppe di operai che per anni han- no invaso le nostre strade? Inizio quasi a credere che, magari nel cuore di una notte tempestosa, la terra si sia ritratta inorridita ve- dendosi cadere addosso Lucifero, scaraventato dal cielo dopo la ri- bellione! Forse proprio la presenza di questo nuovo ‘inquilino’ ci aiu- terebbe a capire meglio alcuni dei vizi e malcostumi che serpeggiano tra le nostre strade! L’inatteso soccorritore. Mentre me ne sto assorto in queste fan- tasticherie nel mio ufficietto che affaccia su Via Petrarca, intravedo due occhi sorridenti che fanno ca- polino dalla porta vetrata. Ricono- sco immediatamente la folta chio- ma nera che viene a strapparmi via dal turbine dei miei pensieri. Avrà pensato che mi fossi smarrito, ed allora il Maestro Andrea Fassi mi è giunto in soccorso. Lo osservo, mi colpisce un pacchetto color vi- naccia che tiene sotto il braccio destro, quasi nascosto. Finalmen- te mi è tutto chiaro: “Si vorrà far perdonare le settimane di latitan- za con qualche sanpietrino al caf- fè”, penso tra me e me. Non faccio in tempo a rimproverargli la lunga assenza che lui fulmina con uno sguardo quel mio ‘filo’ di pancetta, testimonianza di qualche peccato di gola di troppo: abbiamo tutti e due qualcosa da farci perdona- re! L’estate è quasi alle spalle e con Andrea rispolveriamo quel- le piccole abitudini che riempio- no le nostre giornate nel rione. Un volo pindarico. Dopo il con- sueto Giandujotto pomeridiano, momento filosofeggiante e condi- zione essenziale e categorica per gli uomini di pensiero, decidiamo di fare due passi verso via Merula- na. Ed ecco che sfiorando quel che rimane del cantiere di piazza Dan- te decido di trascinare Andrea in quella ridda di speculazioni nelle quali ero inciampato poco prima. Dapprima mi ascolta quasi rapito. Prendo il discorso molto alla lon- tana, usando quella sana dose di nozionismo che da una parte se- duce e dall’altra confonde l’inter- locutore. Il mio lungo prodromo sorge su fondamenta rigorose. Poi compio il grande salto, quello ver- so l’aleatorietà della speculazione. Arrivo a credere, ingenuamente, di essere piuttosto convincente quando provo a suggestionarlo svelandogli che la porta dell’In- ferno dantesco, invero, non è tra le viscere di Gerusalemme, ma si trova all’Esquilino, a pochi passi da noi! A quel punto vedo una nota di disapprovazione nel suo sguardo. Capisco di aver dipinto un quadro dalle tinte troppo fosche, ed allo- ra mi affretto a rettificare. Appro- dando ad una fantasiosa e preten- ziosa superfetazione di simboli e parallelismi, arrivo a giustificarmi spiegandogli quanto io sia convin- to che, a ben vedere, tra questi viali martoriati dall’umidità estiva – che già basterebbe a richiamare alcuni gironi e bolge dantesche – si possano percorrere anche lun- ghi tratti di Purgatorio e finanche intravedere sprazzi di Paradiso. In quel momento mi accorgo che Andrea mi fissa con un misto di be- nevolenza e tenerezza, ed incalza: “Sei sempre troppo vago te, non penserai mica di uscire da questo vicolo cieco con qualche parolina detta bene!? Se vuoi convincermi, fammi almeno un esempio con- creto!” In quel momento vacillo; poi mi tornano in mente alcuni versi appresi a memoria, figli delle tante parafrasi della Divina Com- media e degli studi classici, ed esclamo: “Tu se' lo mio maestro e 'l mio autore…tu se' solo colui da cu' io tolsi…lo bello stiloche m'ha fatto onore.” Lui mi guarda interdetto e conclude sarcastico: “E questo sarebbe l’esempio con- creto? Sei stato evasivo anche più del solito!” Ormai siamo all’altezza di via Buo- narroti e mi scappa un sorriso. Guardo Andrea e me ne convinco: all’Esquilino non avrò ancora tro- vato il Paradiso ma, smarrendomi, oltre che un Amico, ho trovato un Maestro. Francesco Ciamei È forse all’Esquilino che si nasconde la porta d’accesso all’Inferno dantesco?
  • 11. gadgets personalizzati calendari - penne - agende - notes - braccialetti in silicone shopper - abbigliamento e tanto altro ancora 2020 25 dicembre Piazza Dante, 6 - 00185 Roma - Tel. 0670453481 - 0677207554 info@rocografica.it - www.rocografica.it
  • 12.
  • 13. Ditelo al cieloDitelo al cielo Cercasi Mafalda disperatamente Èun anno che vivo in via Cairoli, dalla parte di Ciamei. Abito un’ex portineria, s’affaccia su un cortile interno trasformato in giardino da Luciano, classe 1930, una voltacontadinodiUrbino. Laparticolaritàdelgiardino è che è curato e sistemato come un orto. M’affaccio su quest’orto interno, al posto di pomodori, ortensie. Sono fortunata con tanti ma. Dubbi che aiutano ad andare avanti. Giorni fa ho incontrato per la prima volta da que- ste parti una creatura buona: Mafalda. Classe 1929, cercava la posta a piazza Dante: “Sto andando anch’io là, lasci che l’accompagni.” Mafalda, cuore puro, a detta sua scevro dal ma- ligno, dacché l’Arcangelo Michele ci pose l’anima, s’è affidata al mio braccio e dolce mi raccontava che adora Dio, gli dice: “Fammi salire, sono pronta, portami via da questo mondo, è diventato brutto.” Mafalda, manco finiva la frase che un guizzo le fa- ceva cambiare direzione al bastone, per rivolgersi in ‘motherese’, la lingua primordiale delle madri, a un vecchio cencioso, un clochard: “Come stai? È da tanto che non esco! Come vivi?” Il vecchio rideva sotto la barba incolta. Rassicurò a cenni Mafalda che, mentre lui proseguiva strascicando i piedi, mi disse: “Povera anima, viveva nel giardino di piazza Dante, ci ha dormito per quarant’anni, adesso chis- sà dove sta…” Già, e adesso? Che fine hanno fatto, fanno o fa- ranno, i dannati della terra intorno a piazza Dante? Speranzosa, ho partecipato all’assemblea cittadina del 10 giugno: all’ordine del giorno il destino della piazza. Un’assemblea gremita, eppure monotema- tica: i cittadini chiedono parcheggi. Un’assemblea gremita, ripeto, eppure non uno, alla rassicurazione del preposto del Consiglio dei Ministri che in quanto a clochard sentenziava – spariranno -, non uno si è alzato a chiedere: che ha detto? Lo ripeta. Non uno si è alzato (almeno finché sono stata pre- sente) e invece del parcheggio abbia chiesto conto della vita di chi è meno fortunato. Quanto a me, tanto più colpevole ché m’ha attraversato questa domanda, ma la timidezza, anche se non è una scu- sa, appunto. Ecco, sono sicura che se Mafalda fosse stata in quell’assise, si sarebbe alzata e avrebbe chiesto: “I miei poveri, che fine faranno? Perché non sguinza- gliate assistenti sociali a ricostruire vite interrotte, a farle ricominciare? Pietà l’è morta davvero?” Per farla breve, vorrei rincontrare Mafalda, e chiedo a chiunque la conosca o sappia dove abita, di far- melo sapere, avrei piacere ad andarla a trovare, lei che non esce quasi più, forse perché come dice, il mondo s’è fatto brutto. Le porterei un gelato, e una parola buona, a onor di un mondo che forse così brutto non è. eddagaber@gmail.com 13 Zahid ce l’ha fatta Aperture straordinarie per il Tempio di Minerva Medica Nelle giornate di sabato 21 settembre e domenica 22 settembre, in occasio- ne delle Giornate Europee del Patrimonio 2019, la Soprintendenza Speciale Arche- ologia Belle Arti e Paesaggio di Roma ha aperto eccezionalmente ai visitatori il co- siddetto Tempio di Minerva Medica, il ma- estoso monumento situato in via Giolitti, sospeso tra i binari delle Ferrovie dello Stato e quelli delle ‘Laziali’. L’imponente struttura – a pianta centra- le decagonale polilobata, con cupola di 25 metri di diametro – apparteneva a un grande complesso architettonico residen- ziale sorto sul luogo degli Horti Pallantia- ni nel settore orientale dell’Esquilino, ed è oggi uno dei tanti gioielli nascosti del nostro splendido rione. Per la sua tute- la e valorizzazione si batte da anni l’As- sociazione Abitanti via Giolitti, che ha espresso soddisfazione per quello che si spera possa essere un primo pas- so verso una maggiore fruibilità del sito. La prossima occasione per visitare il Tem- pio di Minerva Medica sarà venerdì 18 ot- tobre. Per ulteriori informazioni e aggiornamenti potete fare riferimento alla pagina inter- net dell’Associazione Abitanti di via Giolitti https://blog-esquilino.com Zahid è rientrato in Pakistan con un volo da Milano il 23 agosto. Zahid era uno dei tanti senzatetto dell’Esquilino. Lo scorso maggio il drammatico peggio- ramento delle sue condizioni ha genera- to profonda preoccupazione nelle asso- ciazioni del rione, che hanno lanciato un appello alle istituzioni e deciso di prova- re ad aprire una breccia nella corazza di incomunicabilità e di rifiuto del mondo che il ragazzo aveva creato intorno a sé. “Noi cittadini abbiamo solo fatto il nostro, segnalando, collaborando e insistendo, quando è stato necessario. Per noi Zahid non è mai stato un senza dimora, ma un abitante del rione, tragicamente collocato per strada nella spazzatura. Per noi Zahid ha sempre rappresentato un caso di gran- de sofferenza umana, non un esempio di degrado urbano da spostare o ignorare condannandolo”, ha raccontato Gennaro Berger di Esquilino Vivo. “La lezione che noi cittadini abbiamo appreso è che si può, senza ombra di dubbio. Se si vuole, se si investe tempo e passione. Se si ha a cuore la dignità delle persone.” Fondamentale nella vicenda è stato il ruolo delle istituzioni, “Esistono le competenze e la professionalità della Sala Operativa So- ciale del Comune di Roma che ha saputo individuare il giusto luogo di accoglienza presso le Suore missionarie della Carità, che non si sono risparmiate nel vedere in Zahid un essere umano. Abbiamo scoperto una Ambasciata, quella del Pakistan, che non ha voltato le spalle a Zahid, e che ha riannodato i fili con la famiglia nel paese d’origine permettendone il ricongiungi- mento.” Ma l’importanza di questo risultato dimo- stra anche i limiti delle risorse impiegate a tutti i livelli per il contrasto al disagio sociale, “Noi cittadini abbiamo appreso anche un’altra lezione. Ossia che le forze in campo non sono proporzionate al pro- blema dei senza dimora, dei migranti finiti per strada, delle persone con sofferenze acute. Quello che c’è da parte dell’Ammi- nistrazione pubblica non basta.”
  • 14. Numero 27 anno V Settembre/Ottobre 2019 Bimestrale gratuito a cura dell’associazione “Il Cielo sopra Esquilino” Registrato presso il Tribunale di Roma N° 62/2015 28-04-2015 da Associazione “Il Cielo sopra Esquilino” Codice fiscale 97141220588 Direttrice Responsabile Paola Mauti Redazione Chiara Armezzani, Carlo Di Carlo, Francesco Ciamei, Andrea Fassi, Luca Ferrante, M. Elisabetta Gramolini, Riccardo Iacobucci, Salvatore Mortelliti, Antonia Niro, Silvio Nobili, Patrizia Pellegrini, Maria Grazia Sentinelli, Carmelo G. Severino Hanno collaborato a questo numero Antonio Finelli, Elisabetta Sanna Per informazioni, lettere, sostegno, proposte e collaborazioni redazione@cielosopraesquilino.it Potete trovare Il cielo sopra Esquilino anche online: www.cielosopraesquilino.it www.facebook.com/IlcielosopraEsquilino Chiuso in redazione il 28/09/2019 Tiratura copie 7.000 La redazione e la distribuzione del giornale sono curate da volontari. La stampa è finan- ziata esclusivamente grazie al contributo di al- cuni commercianti di zona e non riceve nessun finanziamento né pubblico né per l’editoria. Stampato presso Tipografia Rocografica S.r.l. Piazza Dante 6, 00185 Roma Stampa, inchiostro e carta a basso impatto ambientale, certificati FSC®, di pura cellulosa ecologica E.C.F. Avete qualche argomento, tema o problema che desiderate mettere in evidenza? DITELO AL CIELO! Scrivete a: redazione@cielosopraesquilino.it Ditelo al cieloDitelo al cielo14 Estati esquiline anni ’60 Iprimi di giugno negli anni ’60 finivano le lezioni e chiudevano le scuole e ciò significava una cosa sola per noi ragazzini: finalmente vacanze! Ricordo che in quel periodo si apriva la Fiera di Roma e la TV, eccezionalmente, trasmetteva alle 10 della mattina un film al giorno! Gioia infini- ta perché all’epoca le trasmissioni TV credo ini- ziassero nel pomeriggio, quindi vedere un film a quell’ora era un evento! Si andava a casa di Barbara un’amichetta che abitava nel mio palazzo, al primo piano. C’era anche Bruna, un’altra amichetta del secondo piano. Ancora ricordo un film che ci impressionò particolarmente: ‘Ultimatum alla terra’, in cui i marziani sbarcavano sul nostro pianeta (all’epo- ca le cronache sugli avvistamenti di UFO erano abbastanza frequenti!). Poi all’ora di pranzo ognuna a casa sua. Ma nel pomeriggio via a correre per le scale: fare le gare a saltarle a due a due e poi a tre o a quattro. E quante cadute e quanti rimproveri da parte del Sor Augusto. Col suo grembiule grigio, il portiere del palazzo attraversava il cortile e dall’ingresso della scala A attraverso la tromba delle scale, con la sua voce roboante ci strillava: “A regaz- zi’ fatela finita co ‘sta caciara, annate a gioca’ a casa vostra, qui pe le scale nun se gioca, capito?” Ovviamente noi zitte e ridacchiando sommessa- mente per non farci sentire, piano piano ce ne andavamo a casa di una di noi e ci prendevamo il resto del liscia e busso dai genitori di turno! Più tardi in gruppo si andava ai giardini di San Giovanni a giocare e giocare e giocare! Ricordo che quando introdussero l’ora legale in Italia nel ‘66, la cosa che mi meravigliava di più era che alle nove di sera fosse ancora giorno! Spesso a quell’ora durante il tramonto mi incan- tavo a guardare fuori dalla finestra, su via Sta- tilia, le grate dei villini ricoperte di glicini, gelso- mino e buganvillee. E poi, spostando lo sguardo verso il cielo, il volteggiare veloce e il garrire fe- lice delle rondini: era proprio estate! Anche io ero felice, il rosso del tramonto mi sug- geriva il proverbio: “Rosso di sera bel tempo si spera!” E ciò significava che il giorno dopo era la domenica che si andava al mare! Ci si organiz- zava con le mamme delle amichette del palazzo a turno e noi ragazzine eccitate: ognuna portava il proprio pranzo (io di solito ciriola con fettina panata e peperoni e un frutto). Ricordo che mi alzavo alle sei e subito mi affacciavo per vedere se il tempo fosse come previsto dal proverbio! Lo sferragliare del tram nel silenzio del matti- no mi emozionava perché di lì a poco anche noi avremmo preso la circolare (si chiamava così al- lora) che ci avrebbe portato alla Piramide per poi prendere il trenino per Ostia! Arrivato luglio i giardini si svuotavano un po’: tanti partivano per mete esotiche (Nettuno, Anzio, Scauri, Passoscuro, Ladispoli, Fregene, etc.), altri come me partivano per la Colonia! In Colonia credo di aver passato le più belle va- canze di ragazzina. Ricordo che il giorno della partenza ci si radunava davanti alla Scuola Rug- gero Bonghi, tutti col cappellino bianco verso mete diverse, chi in montagna e chi al mare! Al momento di salire sui pullman in tanti avevamo i lacrimoni per la tristezza di doverci separare dai nostri genitori. Ma una volta arrivati a destinazione ci abituava- mo ai ritmi! Ricordo l’alzabandiera al mattino e l’ammai- na bandiera la sera, noi che cantavamo l’inno, la colazione orribile con l’orzo, la merenda con pane e tavoletta di cioccolato o marmellata o formaggino e un frutto. Ma anche tanti tanti gio- chi: rubabandiera, nascondino, quattro cantoni, mela avvelenata, etc. E poi il teatro! Le signorine (chiamavamo così le assistenti) ci facevano reci- tare scenette comiche e io mi divertivo da matti perché ero brava a far ridere e mi piaceva tanto! Ricordo che la domenica era per me il giorno più triste perché sapevo che i miei non potevano ve- nire a trovarmi e con altri ragazzini, nelle mie stesse condizioni, guardavamo con invidia gli altri che correvano felici ad abbracciare i loro parenti. In fondo però la colonia durava 15 giorni e fra lettere da casa, giochi, chiacchiere, litigate e ri- sate il tempo passava e si ritornava a casa fra le braccia della famiglia! Agosto era considerato il mese di vacanza per eccellenza. Ricordo che chiudevano quasi tutti i negozi in via Emanuele Filiberto. Durante le ore di canico- la, mentre tutto era sospeso, si sentiva l’acqua della fontanella sotto casa che scrosciava e in lontananza spesso gli zoccoli di qualche temera- rio, in giro con quella calura, che riecheggiavano ritmicamente! Ogni tanto rientrava qualche amichetta dalle va- canze di luglio qualcun’altra partiva per quelle d’a- gosto, insomma non si era mai sole totalmente. E poi c’erano da fare i compiti per le vacanze! Alla fine si ritornava ai ritmi normali: le strade si riempivano nuovamente di automobili, i nego- zi riaprivano e il traffico riprendeva vita. E così anche noi ragazzine un po’ per volta ci ritrova- vamo ai nostri amati giardinetti di San Giovanni a giocare e raccontarci le nostre vacanze e le esperienze nuove fatte, e a trovarci più amiche di prima perché c’eravamo mancate l’un l’altra! Elisabetta Sanna La chiusura della scuole, i film la mattina e la città vuota nei ricordi di una nostra lettrice
  • 15. Nell’era del cibo gourmet, io tifo per Mc Donald’s. Questo fa di me un miserabile agli occhi di molti, lo so. Una proposta indecente. Torna- vo dal mare, Lavinio per la preci- sione, insieme alla persona che mi rende la versione migliore di me. Ma che mangia peggio di me. Al- meno così credevo. “Ho fame.” Mi dice. “Io pure.” Le rispondo. È quasi ora di cena, la Cristoforo Colombo è intasata e a casa il frigorifero è vuoto. “Potremmo cenare da Sonia, ti va?” Le chiedo. “Mmmm. Non senti che profumo?” Bè qui intorno non c’è nulla, pen- so. L’unico odore che sento è di patatine fritte. La guardo. Gli oc- chi le si illuminano dal fondo, bril- lano più di prima. Sembrano due lucciole. “No no!” Dico. Le due lucciole scintillano, le palpebre dalle ci- glia lunghe sbattono morbide come ali. Segue qualche attimo di silenzio.“No. Mc Donald’s no e poi no, scordatelo.” Dico deciso. Sorride. E se per le lucciole posso gestire il brivido, per il sorriso no. Sterzo ed esco nel viottolo verso l’enorme e sinuosa M. La mia fer- mezza sbriciolata in otto secondi. Entriamo. L’aria condizionata cede a odori irresistibili. Fritto. Quel fritto che scorre nelle vene e ti fa innamorare ungendoti il cuore. “Posso ordinare io? Che tu sei una femminuccia?” Dice. “Fai pure, figurati.” Sorrido. Il me- nu-board alle spalle dei cassieri parla chiaro. Risplendono panini soffici e gustosi, insalata verde fresca di rugiada, patate dorate e brillanti, polletti custoditi in una crosticina fritta grassa grassa e splendente. Poi c’è il King, il vero re: l’impo- nente doppio Crispy Mc Bacon. Il mio pensiero vola alla famosa sce- na di Michael Douglas in ‘Un gior- no di ordinaria follia’. Se le foto non rispecchiano la realtà, faccio una strage. Mi aumenta la saliva- zione ma non posso ammetterlo. “Io ho ordinato oh, sveglia che ho fame! Tu che vuoi?” Inebetito la guardo. È bellissima. Più di un Crispy Mc Bacon doppio, triplo, quadruplo. Tanto di più. “Ehm sì, scusa. Tu che hai preso?” “Quattro hamburger normali, una patatina grande, 8 polletti, coca maxi.” “Ammazza. Senti ma i polletti li di- vidiamo?” “Sei scemo? No!” “Ah!” Sublimo il momento con un doppio Crispy Mc Bacon, un Chee- seburger e una Coca Cola. “Stai a dieta?” Ride. “Volete altro, ragazzi?” Chiede il tipo alla cassa guardandomi e smorzandole la risata. “No gra..” “Sì! Salsa barbecue, ketchup e maionese!” È la donna della mia vita, penso. Ma cosa ne sanno gli chef? Prendiamo i due vassoi colmi e ci sediamo nel giardino esterno. Leggo su un cartello di un ham- burger con carne chianina e for- maggi stagionati, c’è pure la foto di Joe Bastianich. Anche Mc Do- nald’s si è piegato alla necessità di dover improvvisare qualche scelta di marketing per contrastare l’on- da gourmet che tutto travolge. Ma noi tutti, nel nostro cuore unto, ci fidiamo ciecamente di Ronald Mc Donald anche senza Bastianich. Mentre addento il doppio Crispy Mc Bacon, lei ha già spazzola- to due hamburger. “Ma senti che roba?” Dice. Mi mancava Mc Donald’s. Erano anni che non ci andavo. Affondo una patatina salatissima nella sal- sa barbecue. “Noo. La patata nella salsa barbecue no! Quella va nel Ketchup, la salsa barbecue è per i miei polletti!” Grida difendendo con le braccia i Chicken Mc Nug- gets. La patata mi cade. Accanto a me è pieno di ragazzi che mangiano e giocano con i telefoni. Mi ricordo di quando ci venivo da piccolo, era una trasgressione Mc Donald’s. Mi portava mio padre dopo il ci- nema. “Ma non dirlo a mamma!” Diceva sempre. Ho scoperto anni dopo che lei lo sapeva eccome. Il sapore è sempre uguale. Identico. Come il gelato da me al Palazzo del Freddo, non è mai cambiato negli ultimi decenni. Vallo a spie- gare che siamo noi a cambiare. La qualità di un prodotto passa anche attraverso le emozioni che è in grado di seminare e Mc Do- nald mi ricorda quando ero bambi- no. E poi è così saporito. È buono e basta, senza bisogno di spiega- zione alcuna. Ora vedo lei. Gli occhi scintilla- no, ha i denti piccoli e perfetti, i lati della bocca impiastricciati di ketchup e penso che in fin dei con- ti a me di cene gourmet e raffina- tezze varie non è mai interessato davvero se non fosse per gli esseri umani che ho incontrato, quello è l’unico valore che custodisco. Ma per il resto, è qui che mi sta bene stare, con mezzo Crispy Mc Bacon doppio in bocca. “Madò quant’è bono.” Dice leccan- dosi le dita. “Sì è pazzesco.” Confesso e cedo: “È na bomba.” Paradiso e Inferno. Succhio dal- la cannuccia mezzo bicchiere di coca cola godendo non poco. Vini pregiati, carni scelte, D.O.P, gourmet, servizio eccellente. Se dietro la qualità di un ristorante vi è la mente sapiente di chef com- petenti, dietro questo doppio Cri- spy Mc Bacon dalla pancetta croc- cante, cheddar fuso di passione, hamburger speziato e spalmato di salse paradisiache, c’è il demonio. Chiacchieriamo ancora un po’, ri- diamo. Ci alziamo sazi dopo aver buttato i rimasugli dai vassoi; più di tanto da Mc Donald’s non resti seduto, non serve. E poi vogliamo andare a casa. La bacio, sa di barbecue, ride di nuovo. Non mangeremo fino al pranzo del giorno dopo ma non importa, perché l’amore da Mc Donald’s sazia pancia e cuore. Andrea Fassi 15EsquisitoEsquisito L’amore ai tempi di Mc Donald’s Sosta al fast food più amato e odiato del mondo Illustrazione di Chiara Armezzani