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Scontri di Charlottesville,
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I rischi della Memoria della Shoah
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Editor's Notes

  1. Il bassorilievo col Duce a cavallo, nell'atto del saluto romano, col motto fascista "Credere obbedire combattere" è coperto dalla scritta luminosa "Nessuno ha il diritto di obbedire". È così che il monumento, in piazza Tribunale a Bolzano, è stato "depotenziato" sovrapponendo al bassorilievo del sudtirolese Hans Piffrader in onore del regime fascista una scritta al neon con una frase attribuita a Hannah Arendt, che dice appunto: "Nessuno ha il diritto di obbedire". L'accensione, alle 17 sotto una pioggia battente, ha visto la piazza raccolta in un minuto di silenzio, poi l' orchestra Haydn suonare l'Adagio per archi di Samuel Barber, che fu eseguito per la prima volta da Arturo Toscanini. Una cerimonia solenne, ma senza discorsi ufficiali, come preannunciato, presenti comunque le autorità locali, a partire dal presidente della Provincia autonoma, Arno Kompatscher, e dal sindaco, Renzo Caramaschi.
  2. Si tratta a prima vista di fenomeni abbastanza diversi. Saremmo cioè tentati di collegare i fatti di Charlottesville solo ed esclusivamente alla società e alla storia degli Stati Uniti. E invece di ricondurre quanto accaduto negli altri posti, Roma compresa, alla nostra storia, alla storia d’Europa e d’Italia. Fra gli obiettivi di questa relazione rientra il desiderio di porre in evidenza alcuni tratti , alcune linee di tendenza che sono invece comuni.
  3. Vorrei fare una premessa. Che è una premessa di comunicazione. Uso del linguaggio pop. Deliberato. Il nostro discorso parte da un monumento equestre. Il gruppo equestre che qui vediamo raffigura il generale Robert Lee. Siamo nel 1917: l’opera venne compiuta nel 1924. Circa mezzo secolo prima Lee era stato a capo dell’esercito confederato durante la guerra di Secessione. La statua venne eretta in suo onore a Charlottesville in Virginia dall’artista Henry Shrady.
  4. Anche se sconfitto, Lee era rimane un eroe della causa sudista. Ricordo qui di sfuggita la serie Hazzard, dove il nome venne data all’automobile dei fratelli Duke, gli eroi di questa serie di telefilm, che in Italia è andata in onda nella prima metà degli anni Ottanta del Novecento. Ma mi risulta che continui a venire replicata.
  5. Nel 2016 un esponente della National Association for the Advancement of Colored People ha cominciato a protestare contro le statue del Generale Lee e in particolare contro la statua in questione. Attenzione qui. La NAACP non è un’associazione, un comitato dei vicini di casa. È una delle più antiche e importanti associaizoni dei diritti civili degli Stati Uniti. Il suo obiettivo è la rivendicazione dei diritti delle persone di colore Bene questa associazione, chiaramente anche sull’onda della presidenza Trump, inizia a spingere per la rimozione della statua. La statua, e più in generale la figura del generale Lee, vengono di fatto identificate come portatrici di un messaggio più o meno scoperto di razzismo e discriminazione. Ed è chiaro che una
  6. Ed è chiaro anche perché. La serie Hazzard si accontentava di una semplice operazione di naming. Questo gruppo invece affonda le radici, stabilisce un rapporto con la tradizione del monumento dell’imperatore, o del leader, a cavallo. Un tipo che vanta una lunga tradizione, di cui una tappa importante è il monumento a Marco Aurelio, nei Musei Capitolini a Roma. In questo caso una iconografia vittoriosa. Non era questa l’intenzione dell’artista di Charlottesville. Ma è stato questo, questa iconografia vittoriosa a far salire la tensione.
  7. . agosto 2017. Al grido di 'white lives matter', un gruppo di 'suprematisti’ protesta per la decisione delle autorità locali di rimuovere la statua del generale Lee. Per il giorno 17 si organizza una marcia chiamata 'Unite the right'. Molti sono in tenuta paramilitare ed armati, anche di fucili semi-automatici. Oltre a bandiere confederate del sud sventolano bandiere con la svastica. La Stampa: "Fra slogan nazisti, gridano 'Heil Hitler' e cantano gli 'ebrei non ci sostituiranno’. Ne segue una serie di violenze, note come gli scontri di Charlottesville.
  8. In previsione di questi scontri il gruppo equestre del Generale Lee viene coperto,
  9. Sempre in agosto inizia una campagna simile contro Cristoforo Colombo. Colombo era da tempo nel mirino di rivendicazioni dello stesso segno. La sua figura storica viene cioè discussa per via del suo comportamento verso i nativi americani e in generale le popolazioni indigene d’America. Per questo motivo diverse sue effigi vengono distrutte o danneggiate. Mostro qui quanto accade sempre nell’agosto 2017 a Columbus Park a Buffalo
  10. Tutto questo non è certo isolato. Ancor prima di Charlottesville. Ancor prima di Buffalo. Altri rischi, altre distruzioni, altre negazioni hanno coinvolto manufatti legati alla memoria della Shoah. Musei legati alla Shoah. Ve ne mostro qui solo alcuni.
  11. Fin dal 1993 il Museo dell’Olocausto di Washington è stato al centro di tentativi di danneggiamento, di distruzione o di attentati. I tentativi sono divenuti realtà il 10 giugno del 2000, quando James von Brunn, un neonazista, è entrato nel Museo e ha fatto fuoco su una guardia giurata, con un fucile calibro 22. Oggi il sacrificio di Stephen Tyrone Johns, la guardia giurata, è ricordato all’interno del Museo.
  12. Un caso che è davvero molto interessante. Anche qui: cosa succede. Succede che un congruo numero di persone nei luoghi dello sterminio e dunque della Memoria coglie l’occasione per scattare una foto. A sé stesse. Cogliere l’attimo. Fare parte di qualcosa. E poi naturalmente condividere. Guardate, nel selfie in sé non vi è nulla di male. Figuriamoci. Vi sono peraltro molti progetti artistici che mettono al centro il selfie. Il punto, naturalmente, è dove si fa. Quando si fa. Di conseguenza. Nel non sapere riconoscere nulla di ‘sacro’. In tutta l’estensione – in questo caso senza i limiti – che un aggettivo come questo comporta. Aggiungo io, senza voler fare della facile psicologia. Non saper vedere nulla senza sé stessi. al di fuori di sé stessi. Mettere sempre sé stessi al centro di ogni cosa. Di ogni esperienza. Non capire, pura e semplice, che esistono cose diverse, non voglio dire più grandi – e certo lo sono – ma comunque diverse. Vorrei aprire un inciso. Ho un figlio della vostra età. Diciassette anni. Claudio va molto bene a scuola. Aveva problemi con la filosofia. Più che altro perché si prendeva con il professore. Che vale la pena di stare a sentire. Che ha a che vedere con molti aspetti dell’agire umano, non solo con il Museo. non a caso è divenuto il punto di partenza di un progetto artistico di un giovane tedesco israeliano Shanak Shapira.
  13. Terzo caso. Una serie di danni arrecati a un importante progetto, chiamato Stolpersteine, o Pietre d’inciampo.
  14. Cosa sono le Pietre d’Inciampo. Descrivi brevemente il progetto. Dal 2017 le pietre sono anche in Ancona. Demnig è passato nelle scorse settimane per sistemare le pietre di fronte all’abitazione che fu di Ferruccio Ascoli, in corso Amedola 51, deportato ad Auschwitz, e nella zona del luogo di lavoro di Giacomo e Sergio Russi, lo stabilimento farmaceutico Russi che si trovava nella zona di via Saffi e dei vicoli sotto al Duomo.
  15. Per fare questo sembra giusto usare un punto di partenza lontano. Il concetto di memoria, inteso come la facoltà del cervello attraverso cui le informazioni sono codificate, immaganizzate e infine recuperate.
  16. In un discorso di questo genere si inserisce la questione della Memoria della Shoah. Da intendersi come un aspetto di respiro e di impatto veramente rimarchevoli. Sia sull’una che sull’altra memoria.
  17. La Memoria della Shoah è dunque certamente parte di memorie individuali. Attraverso la memoria dei sopravvissuti. Con tutte le sue pecche, i suoi difetti, le sue manchevolezze. Ma anche naturalmente il pregio, il peso della sua unicità. Della sua insostituibilità.
  18. Pensiamo ad esempio a quanto ci ha trasmesso a *** Venezia. O anche a Piero Terracina.
  19. Pensiamo ad esempio a quanto ci ha trasmesso a *** Venezia. O anche a Piero Terracina.
  20. Una variazione sul tema - ma sempre da intendersi sullo stesso piano, cioè della ricezione, elaborazione e infine parziale trasmissione di una memoria individuale può cogliersi attraverso i libri di memorie, i diari. Il più celebre è ovviamente quello di Anne Frank.
  21. Anche le testimonianze che sono registrate appartengono a questa sfera. Alla sfera della memoria individuale. La persona, il testimone, racconta quanto ha vissuto personalmente, individualmente. .
  22. Uno dei progetti più famosi si lega a Steven Spielberg. In principio Spielberg lo pensò in funzione di Schindler’s List.
  23. Successivamente prese quota e autonomia. Da tempo il progetto di registrare in video è passato alla University of Southern California
  24. In Italia, i video dei testimoni italiani possono fruirsi all’Archivio Centrale dello Stato di Roma o alla Discoteca di Stato, sempre a Roma.
  25. Fin qui abbiamo visto come la Memoria della Shoah sia effettivamente parte di una memoria individuale, o meglio, di molte memorie individuali. Adesso vediamo anche la seconda parte. Ovvero vediamo se e come la Memoria della Shoah possa essere parte, di una Memoria collettiva. Anche qui i metodi di trasmissione sono molteplici. Fra i più noti, specie in tempi recenti, vi è appunto la cinematografia.
  26. I grandi mezzi di comunicazione, quel che spesso vengono detti media. Libri di storia, talora di carattere divulgativo. Parti di libri di storia. Come per esempio quelli dedicati alle scuole. Documentari e servizi della televisione. Una parte di grande importanza è giocata dalla fiction.
  27. Un pilastro in tal senso fu la serie sceneggiata dal titolo Olocausto, prodotta dalla tv americana, messa in onda nel 1978 e poi giunta anche da noi.
  28. Anche il cinema ha avuto e tuttora ha una parte importante. Abbiamo prima citato Schindlers’ List. Mi limito anche qui a un solo esempio, fra i molti possibili: ecco dunque La vita è bella di Roberto Benigni, che a suo tempo si è meritato 3 premi oscar.
  29. Onomastica. Ruolo tradizionale, ma non meno importante. Nelle sue varie forme. Per esempio intitolare vie, srtrade o piazze. Per inciso. Anche per questo motivo la campagna di onomastica portata avanti dall’UNESCO è un’entrata a gamba tesa.
  30. anche importanti edifici pubblici; in particolare le scuole. L’Istituto di Istruzione Superiore “Primo Levi” di Vignola, individuato "Scuola Polo per la Formazione’’
  31. Un altro strumento importante per la costruzione di una memoria collettiva della Shoah ha puntato invece sulle ricorrenze. Verso la fine degli anni novanta del Novecento si è dunque scelta una data, un giorno precisi. In quel giorno si è deciso di di organizzare ogni anno delle iniziative, appunto, per ricordare.
  32. Furio Colombo, allora alla Camera dei deputati, fu un grande pontiere e artefice. Nella sua visione, doveva essere il 16 ottobre Lo stesso Colombo – una volta sentita Tullia Zevi – invece spinsero per il 27 gennaio. Avrebbero avuto ragione.
  33. L’ho già detto qualche diapositiva or sono. Insieme ai grandi mezzi di comunicazione, e dunque ai libri di storia, ai film, ai documentari, agli sceneggiati, ai servizi televisivi; come pure insieme al Giorno della Memoria. Un ruolo importante nella costruzione della Memoria collettiva legata alla Shoah è occupato dai Memoriali e dai Musei a tema.
  34. Pensiamo ai Memoriali della Shoah. Sono manufatti molto vari. Per tempi, linguaggi, generi, materie o tecniche.
  35. Un memoriale può essere un edificio. . Questo è per esempio il Memoriale Binario 21 a Milano.
  36. Può essere un’opera d’arte. Come per esempio questa struttura metallica concepita da Corrado Cagli.
  37. O Anche il Memoriale di Nathan Rapoport come scultore e Marek Suzin.
  38. Rapoport dal punto di vista artistico non può certo qualificarsi tra i grandi e innovativi. D’altro canto gli setta un ruolo chiave nella costituzione della memoria collettiva, come ha mostrato fra l’altro James Young nel suo bel libro, The Texture of Memory.
  39. I Memoriali della Shoah sono perciò manufatti molto vari. Non soltanto nei tempi e nei linguaggi. Ma anche nei generi, nelle materie e nelle tecniche. Possiamo semplicemente affermare che il tratto comune ai Memoriali della Shoah è che direttamente o indirettamente si ispirano – e perciò rievocano – episodi, vite o azioni legati a quella Memoria. Non ad un’altra memoria. E possiamo aggiungere che di norma questi memoriale sono realizzati sui luoghi o vicino ai luoghi di quella Memoria, di quegli episodi, vite o azioni. Perché vogliono rievocare quei luoghi, quei gesti, quelle azioni, quegli uomini. Detto in una parolaccia moderna: sono geolocalizzati.
  40. Vediamo adesso la Shoah nel Museo, attraverso il Museo L’ho già trattata ampiamente in altra sede. Mi limito qui a riassumere e a semplificare. - Edifici dove si sono svolti i fatti ‘santuari della Memoria’ - Musei della memoria ebraica - Musei della Shoah propriamente detti
  41. Luoghi dove si sono svolti i fatti ‘santuari della Memoria’. L’esempio per tutti è Auschwitz. In Italia la Risiera di San Sabba
  42. Cos’è la Risiera. È un museo che è stato realizzato all’interno dei luoghi dove si sono svolti i fatti. In questo caso adattando vecchi edifici, gli edifici storici. Ed eventualmente costruendo delle nuove strutture. Il discorso cambia poco rispetto a quanto già visto nel Binario 21. Il senso principale della cosa è che siamo lì, dove tutto quanto accadde. Dunque, l’aspetto memoriale, vivo e diretto perché geolocalizzato, prevale su tutto il resto. Non a caso si può affermare della Risiera, come del resto di Auschwitz, che sono Museo di sé stessi. Che sono self explanatory proprio in quanto sono lì, esistono.
  43. È la seconda categoria dove la Shoah è musealizzata. Di norma è inserita in un percorso molto più vasto, più lungo. La Shoah è la parte più oscura in un racconto che parte in genere dal 1000 a.C. Diversi musei sono costruiti in questo modo. Per esempio uno degli ultimi arrivati, Polin a Varsavia.
  44. Polin, a Varsavia, è lo stesso. È il museo della storia degli Ebrei polacchi. Non è tanto importante quanto sia grande o piccolo lo spazio dedicato alla Shoah e dunque alla sua trasmissione per via museale. Il punto è che la natura di questi musei è peculiare e molto precisa. Questi musei ricostruiscono dunque la storia di quella particolare comunità ebraica. L’anima di questi musei è dunque prevalentemente antropologica.
  45. Vediamo adesso la terza ed ultima classe di Musei che accolgono la Shoah. È una classe che ha una natura molto diversa da quella delle due precedenti. Le differenze principali sono due: Trattano la Shoah in siti diversi e alle volte molto distanti dai luoghi della Memoria, ovvero dai luoghi dove si sono svolti i fatti. Dunque negano o comunque non assecondano la natura memoriale. La Shoah e solo la Shoah è il tema principale. Questo tema è trattato in via principale o anche esclusiva. Vi sono degli accenni storico antropologico. Per esempio la formazione del popolo ebraico e la sua distribuzione e radicamento sul territorio europeo. Ma è questi accenni risultano sempre funzionali al racconto principale. Servono per esempio a spiegare cosa accadde fra il 1939 e il 1945 in Polonia piuttosto che in Ucraina Questi musei. Non hanno ambizione, natura memoriale. E in fondo neppure antropologica. Servono perciò a inquadrare e a mettere a fuoco uno specifico momento della Storia d’Europa. Sono a tutti gli effetti dei musei storici.
  46. Ripercorro anche qui rapidamente la storia e la diffusione di questi musei nel mondo occidentale.
  47. Ripercorro anche qui rapidamente la storia e la diffusione di questi musei nel mondo occidentale.
  48. Il musei della Shoah dipendono dalla politica. La memoria collettiva che essi contribuiscono a produrre risponde e da studioso, può essere facilmente ricondotta, 1) agli equilibri politici dei singoli paesi dove vengono fondati 2) al quadro geopolitico complessivo Ripeto, per la dimostrazione valga quanto ho già esposto in altra sede per i tre musei israeliani, come pure per i musei della Shoah di New York, i due di Los Angeles, Chicago e Londra. Sono a vostra disposizione nella fase del dibattito
  49. Nel 1989 Francis Fukuyama un politologo di origine giapponese scrisse un libro che sembrava molto importante. La fine della storia. Fukuyama era animato da un sincero ottimismo. Vedeva la democrazia come un bene destinato a diffondersi inesorabilmente. Ineluttabilmente. Una sorta di di ottimismo della democrazia. Il diffondersi, per qualcuno il dilagare dei musei della Shoah risponde a questo momento, a questa stagione. È un periodo, ripeto, sono gli anni novanta, dove la Shoah divenne parte veramente stretta e coerente della Memoria collettiva di Israele, degli Stati Uniti e dell’Europa. Possiamo certo chiamarla un tessuto di valori comuni. Tessuto dei quali musei e memoriali sono parte integrante.
  50. Questo discorso, com’è noto, termina o è comunque intaccato molto seriamente, da un giorno preciso questo giorno è l’11 settembre 2001. E a seguire, da fatti che si pongono in via diretta o indiretta su questa medesima falsariga.
  51. La stagione del terrorismo internazionale, da Osama Bin Laden fino all’IS
  52. Terzo fattore. Crisi economica di lunga gittata e di rara profondità.
  53. La crisi dell’unità e la crisi della democrazia. Luciano Violante con un suo libro recente ha sottolineato come l’ipotesi di Fukuyama, quella che aveva visto nel 1989 l’alba di una nuova e uniforme era democratica; bene esattamente quella ipotesi non era altro che una visione ottimista. La realtà di oggi, a circa una generazione da Fukuyama, è di una progressiva erosione della democrazia. Erosione nel numero: oggi vi sono meno paesi a regime democratico di vent’anni fa. Erosione nella qualità democratica: oggi i diritti basilari e costitutivi garantiti dalla democrazia – basti pensare alla stampa – sono garantiti sempre meno. Basti qui un accenno, da Ilaria Alpi a Giulio Regeni, fino alla giornalista maltese.
  54. Sono alla fine della curva. Stiamo per allungarci verso il rettilineo d’arrivo. Nel 2001 i talebani distrussero i Buddha di Bahemian. Unanime lo sdegno e il cordoglio. Qualche tempo dopo l’IS prese il controllo di Palmira. Anche qui vandalismo, distruzione. Culmine l’assassinio di una persona fisica, il direttore, il celebre archeologo Khaled al-Asaad. Correttamente Salvatore Settis gli ha dedicato uno dei suoi ultimi libri.
  55. Queste ed altre devastazioni sembrano riportarci a quanto abbiamo visto in principio. Ovvero al clima che possiamo dire di violenza diffusa che esiste intorno ai memoriali. Alla distruzione, danneggiamento, negazione di oggetti, di manufatti, che abbiamo visto e spiegato, sono i portavoce di una parte importante della nostra memoria collettiva. Saremmo dunque noi stessi dei talebani? Beh, ammettiamolo francamente. Sì, in parte è vero. Voglio dire: in noi, nella nostra società occidentale – e persino in ciascuno di noi - esiste una quantità residuale di talebano. O a livello individuale, quel che potremmo chiamare un piccolo talebano. È quella vocina che ci dice, a volte urla, che basta così. Che ogni tanto varrebbe la pena di tirare dritto, di tirare un rigo, di farla finita.
  56. Beh, ammettiamolo francamente. Sì, in parte è vero. Voglio dire: in noi, nella nostra società occidentale – e persino in ciascuno di noi - esiste una quantità residuale di talebano. O a livello individuale, quel che potremmo chiamare un piccolo talebano. È quella vocina che ci dice, a volte urla, che basta così. Che ogni tanto varrebbe la pena di tirare dritto, di tirare un rigo, di farla finita.
  57. Bene, quella voce, laddove esista o tenti di farsi largo, va sostituita con una voce diversa, mi piacerebbe dire più forte, profonda e soprattutto credibile. Che è la voce della ragione e a livello collettivo della democrazia. Dei diritti di tutti. E in particolare del sostegno dei diritti dei più deboli.
  58. Alcune di queste soluzioni ricadono nel mondo dell’arte. Vi avevo promesso qualcosa di più a proposito del mondo del selfie e in particolare dai selfie ad Auschwitz o nel Memoriale di Berlino. E vi avevo anche già detto prima che il selfie è qualcosa di rispettabile, in linea generale. Tanto che ha suscitato molto interesse nel mondo dell’arte. Non a caso è divenuto il punto di partenza di un progetto artistico di un giovane tedesco israeliano Shahak Shapira.
  59. Ecco qui l’artista. Come vedete, è un bel ragazzo. A sua volta gioca con sé stesso.
  60. Con la propria immagine. Con la sua doppia nazionalità. Tedesca e israeliana.
  61. Bene. Shahak Shapira ha creato un progetto artistico on line sulla questione dei selfie ad Auschwitz. questo progetto è tuttora on line si chiama Youlocaust. In cosa consiste, in due parole. 12 selfies fatti in campi di concentramento. Presi recuperati attraverso i social media.
  62. Con un fotomontaggio, con Fotoshop Shapira traspone i protagonisti, le persone di oggi, dei selfie sullo sfondo di morti. Morti d’epoca, ma morti veri. Vi è un momento etico che a mio avviso cambia le cose. La trasformazione, il passaggio, non sono automatici. Per avviare la trasformazione basta un gesto. Basta passare il cursore con il mouse. Un semplice gesto. O il pollice sullo schermo dello smartphone.
  63. Un gesto semplice. Ma basta questo per prendere una responsabilità. Per assumersi un peso.
  64. Il progetto Yolocaust è durato una settimana. Ha fatto il giro del mondo. ha reso l’artista famoso. Io per esempio ne sono venuto a conoscenza attraverso Haaretz, uno dei più importanti quotidiani israeliani. Più o meno come taglio come Repubblica. Dopo una settimana chiude. Ogni cosa deve finire. È importante perché finisce. p
  65. Nel 1734 a Roma e poi nel 1743 a Londra il mondo occidentale realizzò una struttura, una istituzione volta appunto alla conservazione, alla ricerca e alla divulgazione della Memoria. In quel caso era naturalmente una memoria artistica. A Roma come a Londra il desiderio di mostrare al pubblico alcune importanti collezioni d’arte portò alla costituzione dei Musei Capitolini e al British Museum.
  66. Da allora naturalmente il Museo è cambiato molto. Ha saputo, ha dimostrato con i fatti di saper cambiare. Di sapere rispondere, venire incontro alle esigenze del pubblico, anzi dei rispettivi pubblici. I musei erano e rimangono dunque tra le più efficaci macchine della memoria collettiva. Naturalmente quando parlo di Museo non mi limito agli edifici, alle istituzioni fisiche. Parlo di museo con la M maiuscola, ovvero di quel complesso di teoria e buone pratiche che si è solito porre sotto l’ombrello della Museologia. Una disciplina ove, sia detto per inciso, noi italiani abbiamo ancora molto da insegnare. La risposta ragionevole e perciò democratica agli strappi, ai danni inferti alla Memoria è dunque sempre la stessa. Negli Stati Uniti come in Italia. E non importa se il danno, la crisi alla Memoria colpiscano la statua di Cristoforo Colombo, quella del generale Lee, oppure le pietre d’inciampo. La risposta risiede nella museologia, ovvero nella capacità di saper preservare, ricercare e divulgare.