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APPENDICE 1
LA VIA DELLE INTEGRAZIONI.
LE DIFFERENZE, I “BISOGNI
EDUCATIVI SPECIALI” E LE
RISORSE PERSONALI
Le differenze personali e la formazione della persona
umana Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono
eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di
razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di
condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica
rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che,
limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini,
impediscono il pieno sviluppo della persona umana e
l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori
all’organizzazione politica, economica e sociale del
Paese. (Costituzione italiana, art. 3).
Alla luce della nostra Costituzione si può dire che l’interesse più
grande per un insegnante sia quello di far sì che ogni allievo possa
esprimere il pieno sviluppo personale. Ossia che possa formar-si. La
formazione, nella prospettiva della persona umana, non significa
riferirsi solo al possesso di conoscenze (sapere, sapere qualcosa,
sapere che) e di abilità (sapere come si fa qualcosa). La formazione è il
processo che supera il semplice sapere qualcosa e sapere come si fa
qualcosa per rendere ognuno competente, grazie all’utilizzo di
conoscenze e abilità e grazie al lavorio interiore di ciascuno,
nell’affrontare i problemi che incontra nella scuola e nella vita. La
formazione, dunque, è il processo attraverso il quale ogni persona
cresce, si rende sempre più realizzata e competente nel risolvere i
problemi posti dall’esistenza ed incontrati nell’esperienza personale. Le
conoscenze e le abilità riguardano l’avere di una persona.
È abile, ad esempio, che si impadronisce di un comportamento e
di una tecnica necessari per risolvere determinati problemi;
comportamento e tecnica che però sono per così dire aggiunti
alla natura di chi li esercita e non ne sono un’espressione
originaria. Hanno un valore strumentale, tanto che possono
servire oggi e possono essere sostituiti domani. La competenza,
al contrario, su qualsiasi problema o situazione si eserciti,
esplicita l’essere di una persona. Il suo valore è finale, non
strumentale. Si è competenti in qualcosa se nel momento in cui
si affronta la situazione si manifesta al meglio e fino in fondo
quello che siamo, la nostra natura1.
La scuola è l’istituzione sociale specifica che ha lo scopo di educare e
aiutare il formar-si delle persone attraverso l’istruzione. In essa è in
gioco il trasformare i contenuti in conoscenze, l’impadronirsi di
comportamenti e di tecniche (abilità), e poi utilizzare tutto questo per
essere competenti, per formar-si appunto2. Si tratta, perciò, di cogliere
e di valorizzare l’unicità e l’irripetibilità di ciascuno senza uniformarle a
ciò che negherebbe queste irriducibili peculiarità. Con il processo
formativo non si tratta di collocare il caso singolo di ogni persona in
categorie classificatorie, ma è necessario procedere al contrario e
considerare in che cosa e perché il caso singolo - ogni persona è un
caso singolo - fuoriesce dall’omologazione in quanto “individuale”, così
da valorizzare il suo sviluppo personale3.
Non c’è vera formazione se si vuole far diventare gli altri
uguali a noi o ad una presunta norma, oppure se c’è
omologazione. Non c’è formazione se si negano e si
neutralizzano le differenze individuali, se si opera per
uniformarle all’uguale per tutti o alla “media”. Al contrario
c’è formazione quando ogni persona può diventare se
stessa ed avere gli strumenti, i tempi e gli spazi per farlo.
Ossia quando ognuno può valorizzare le proprie
differenze, quando l’unicità personale può essere
esaltata, quando ad essa non vi si deve rinunciare in
nome dell’uniformità “esterna”.
Solo valorizzando l’individualità di ciascuno non si arriverà a
negare l’originalità di tutti e si potrà dare valore al potere
inaugurante delle differenze personali. La strada educativa
personale da percorrere, dunque, non è quella che devono
vivere tutti, magari allo stesso modo nello stesso tempo. Al
contrario è necessario che ognuno, indipendentemente dalle
caratteristiche personali, anzi proprio in nome di esse, possa
esercitare la propria libertà nella responsabilità. Sono infatti le
uniformità imposte dall’esterno che impediscono alla persona
umana l’espressione delle sue unicità, e sono proprio
quest’ultime che possono costringere le uniformità scolastiche,
sociali, territoriali a strutturarsi in modo tale da valorizzare le
differenze di tutti, senza tralasciare qualcuno.
Questa è una prospettiva pienamente rispettosa del
pieno sviluppo della persona umana ed è una
prospettiva di speranza non solo per le persone
disabili, ma per tutti. Del resto sono proprie
differenze personali che rendono sia le scuole che la
società migliori. Lo sforzo formativo della scuola
dovrebbe essere proprio quello di fare in modo che
l’originalità e l’unicità di ciascuno - di tutti, persone
disabili e non - possano vincere ogni
condizionamento istituzionale.
Questa prospettiva è ben sottolineata dalla personalizzazione,
che sottrae le persone dalle logiche standardizzanti e che
preferisce gli interventi centrati sui soggetti anziché
l’omologazione, così che possa essere garantito il loro attivo
coinvolgimento nel processo educativo. In effetti la persona
verso cui si rivolge il servizio scolastico o un’azione educativa è
innanzitutto una risorsa, non solo un utentedestinatario
dell’intervento. E’ un soggetto-persona di cui occorre attivare e
mobilitare le capacità, non un oggetto-utente-cliente da prendere
semplicemente in cura e da assistere.
L’obiettivo principale potrebbe essere identificato nell’aiutare le
persone ad aiutare se stesse, ad esprimere il loro specifico volto
umano, a manifestare chi sono e ad esplicitare le loro differenze
nell’autonomia. Si tratta di poter scegliere, perché scegliere
significa esercitare un “potere”, come ben espresso
dall’approccio anche delle capacità di Amartya Sen. Per questo
bisogna fare il possibile per introdurre nella scuola e nei servizi
in genere forme di diversificazione dell’offerta e puntare ad un
sistema in grado di erogare prestazioni sempre più
personalizzate e meno standardizzate. Le scuole e le attività
educative possono essere una leva fondamentale per disegnare
una società più consapevole e responsabile, in una parola più
umana4.
Questo scenario mette prepotentemente in gioco la
capacità degli insegnanti di passare da una visione
pedagogica in cui è prevalente un approccio segnato
dall’uniformità a uno connotato dalla personalizzazione,
dove ciò che conta è il pieno sviluppo della persona
umana5. Pieno sviluppo della persona umana che
equivale alla piena valorizzazione di tutti e di ciascuno,
che significa riconoscere l’importanza di potersi
esprimersi in modo differente dagli altri, di vivere in modo
unico le relazioni interpersonali. In una parola garantire il
pieno sviluppo della persona umana vuol dire affermare
le integrazioni di tutti.
Alla luce della nostra Costituzione si può dire che l’interesse più
grande per un insegnante sia quello di far sì che ogni allievo possa
esprimere il pieno sviluppo personale. Ossia che possa formar-si. La
formazione, nella prospettiva della persona umana, non significa
riferirsi solo al possesso di conoscenze (sapere, sapere qualcosa,
sapere che) e di abilità (sapere come si fa qualcosa). La formazione è il
processo che supera il semplice sapere qualcosa e sapere come si fa
qualcosa per rendere ognuno competente, grazie all’utilizzo di
conoscenze e abilità e grazie al lavorio interiore di ciascuno,
nell’affrontare i problemi che incontra nella scuola e nella vita. La
formazione, dunque, è il processo attraverso il quale ogni persona
cresce, si rende sempre più realizzata e competente nel risolvere i
problemi posti dall’esistenza ed incontrati nell’esperienza personale. Le
conoscenze e le abilità riguardano l’avere di una persona.
E’ in questo continuum che ogni persona può differenziare se
stessa in modo singolare. Si tratta perciò di affrontare e di vivere
le differenze di ciascuno, di guardare alla differenza personale in
quanto singolarità positiva e di vedere i “bisogni” individuali nel
quadro più ampio della pluralità delle differenze. La classe, in
questo prospettiva, non è un insieme di alunni “normali” in cui è
presente qualche alunno “speciale” più o meno certificato; al
contrario gli alunni “particolari” (disabili, stranieri in condizioni
socioeconomiche svantaggiate, dislessici, con problemi di
attenzione, con un disagio emotivo, socialmente isolati, fragili da
un punto di vista psichico, ecc.) sono la larga maggioranza6.
Se non si pensa “per casi” ma “per differenze”
si è in grado di osservare e comprendere
pienamente la complessità degli alunni e dei
loro “bisogni”. Si riesce anche a vederli come
portatori di risorse e la stessa nozione di
“sostegno” viene profondamente trasformata.
Frequentemente il sostegno si è incarnato in un
docente di supporto, magari affiancato da un
educatore, assegnato ad un alunno di cui
veniva certificata la disabilità.
La situazione molto spesso ha visto una sostanziale separazione
tra la gestione dell’alunno “speciale” - affidata al docente di
sostegno- e quella della classe “normale”. Il risultato è stato che
spesso l’esclusione non era più dalla scuola ma dentro la scuola.
Se invece si entra nella logica della valorizzazione delle
differenze personali, ogni attività dovrebbe accrescere la
capacità della scuola di rispondere alla diversità degli alunni.
Pertanto, in questa prospettiva, l’aiuto dato all’alunno certificato
da un insegnante di sostegno diviene un caso particolare di un
più ampio lavoro di supporto che coinvolge tutta la classe.
Per alcuni alunni il supporto può richiedere l’intervento di
personale aggiuntivo, di sostegno appunto, ma ciò non deve far
dimenticare che tutti gli alunni hanno bisogno di forme
differenziate di “sostegno” nel loro percorso educativo. Il
sostegno dunque non riguarda solo l’alunno disabile e ogni
allievo va seguito e supportato nel suo percorso di
apprendimento tenendo conto delle differenze che lo
caratterizzano. Ogni alunno è un “caso” - in senso positivo - che
richiede di essere compreso, seguito, aiutato nella costruzione di
un profilo personale che non è assimilabile a quello di nessun
altro. Con precisione così Fabio Dovigo delinea lo scenario di
riferimento della valorizzazione delle differenze nel contesto
scolastico:
Se il fine della scuola è non solo informare ma anche costruire
autonomia, non solo istruire ma anche personalizzare, diviene
necessario confrontarsi pienamente con ciò che autonomia e
personalizzazione significano. Affrontare questa sfida significa
oltrepassare il modello del docente che, chiuso nella sua aula, fornisce
i contenuti dell’apprendimento, perché tale modello risulta sempre più
inadeguato a far fronte alla complessità delle richieste provenienti dagli
alunni. Occorre imparare in questo senso a riconoscere che gli alunni
sono una risorsa fondamentale per sviluppare autonomia e
personalizzazione, nel momento in cui li mettiamo in condizione di fare
comunità, di aiutarsi a vicenda in un’ottica non solo di competizione ma
anche di cooperazione. Si tratta, dunque, di capire che esistono le
differenze tra le persone e che bisogna saperle comprendere, vivere,
accettare e valorizzare.
E’ necessario puntare l’attenzione alla valorizzazione delle
differenze personali senza che nessuno si senta forzato ad
adeguarsi a una norma esterna omologante, ad un’etichetta
rigida. Proprio il saper dare una risposta ai modi personali di
porsi di tutti gli allievi, ossia l’essere in grado di rispondere alle
differenze, significa attuare di un’educazione per tutti e non
equivale solo alla volontà di garantire ad ognuno la possibilità di
partecipare alle esperienze scolastiche. Bisogna quindi saper
affermare le differenze, saper “pensare al plurale”, fare
differenze, per costruire le integrazioni che sono sfondo valoriale
delle differenze di tutti e di ciascuno.
Una scuola per tutti è una scuola attenta alle
differenze ed in essa tutti devono familiarizzare con
le differenze in quanto si è sensibili alle sfumature
personali di ciascuno. Fare differenze a scuola non
deve essere un tabù per i docenti, magari con la
giustificazione che in classe non si devono fare
preferenze e che gli alunni sono tutti uguali. In realtà
gli allievi non sono tutti uguali e questa diversità non
va nascosta, ma va ascoltata e interpretata nel suo
porre domande, che non sempre hanno facili
risposte o risposte “standard”.
Spetta ai docenti offrire risposte e strumenti diversi ed adeguati
alle singolarità. La formazione deve portare a capire che
esistono differenze tra le persone e non ha più senso
promuovere una pratica pedagogica che favorisce un
“determinato” allievo o, ancora peggio, che classifica ed
etichetta. La scuola non deve favorire un fisso e prestabilito
profilo di alunno omologato, in quanto determinando un simile
profilo di alunno desiderabile, determinerebbe anche ciò che è la
normalità e, di conseguenza, ciò che è “normale” e ciò che è
“anormale” o non accettabile. Così facendo, però, la differenza
assumerebbe una valenza negativa: tutto ciò che non è
all’interno del prevedibile diventerebbe un’anormalità e dovrebbe
essere “smistato”.
È abile, ad esempio, che si impadronisce di un comportamento e
di una tecnica necessari per risolvere determinati problemi;
comportamento e tecnica che però sono per così dire aggiunti
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quello che siamo, la nostra natura1.
Ognuno nella scuola, proprio in quanto persona unica, differente
ed irripetibile, dovrebbe poter beneficiare di un’attenzione
personalizzata senza appartenere ad una “speciale” categoria.
Nessuno dovrebbe mai arrivare a considerare le sue
caratteristiche specifiche (fisiche, intellettive, sociali, ecc.) come
una “maledizione” o come una “tragedia personale”. Perché se
ciò si verificasse a causa di qualcuno, alla luce della persona
umana non sarebbe fuori luogo che si avanzi persino una
richiesta di perdono. In conclusione: si tratta di personalizzare al
fine di promuovere la piena manifestazione di ognuno in base
alle sue caratteristiche ed alle sue differenze, e non solo di
individualizzare

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MIILIV_M4C5 Appendice 1

  • 1. APPENDICE 1 LA VIA DELLE INTEGRAZIONI. LE DIFFERENZE, I “BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI” E LE RISORSE PERSONALI
  • 2. Le differenze personali e la formazione della persona umana Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. (Costituzione italiana, art. 3).
  • 3. Alla luce della nostra Costituzione si può dire che l’interesse più grande per un insegnante sia quello di far sì che ogni allievo possa esprimere il pieno sviluppo personale. Ossia che possa formar-si. La formazione, nella prospettiva della persona umana, non significa riferirsi solo al possesso di conoscenze (sapere, sapere qualcosa, sapere che) e di abilità (sapere come si fa qualcosa). La formazione è il processo che supera il semplice sapere qualcosa e sapere come si fa qualcosa per rendere ognuno competente, grazie all’utilizzo di conoscenze e abilità e grazie al lavorio interiore di ciascuno, nell’affrontare i problemi che incontra nella scuola e nella vita. La formazione, dunque, è il processo attraverso il quale ogni persona cresce, si rende sempre più realizzata e competente nel risolvere i problemi posti dall’esistenza ed incontrati nell’esperienza personale. Le conoscenze e le abilità riguardano l’avere di una persona.
  • 4. È abile, ad esempio, che si impadronisce di un comportamento e di una tecnica necessari per risolvere determinati problemi; comportamento e tecnica che però sono per così dire aggiunti alla natura di chi li esercita e non ne sono un’espressione originaria. Hanno un valore strumentale, tanto che possono servire oggi e possono essere sostituiti domani. La competenza, al contrario, su qualsiasi problema o situazione si eserciti, esplicita l’essere di una persona. Il suo valore è finale, non strumentale. Si è competenti in qualcosa se nel momento in cui si affronta la situazione si manifesta al meglio e fino in fondo quello che siamo, la nostra natura1.
  • 5. La scuola è l’istituzione sociale specifica che ha lo scopo di educare e aiutare il formar-si delle persone attraverso l’istruzione. In essa è in gioco il trasformare i contenuti in conoscenze, l’impadronirsi di comportamenti e di tecniche (abilità), e poi utilizzare tutto questo per essere competenti, per formar-si appunto2. Si tratta, perciò, di cogliere e di valorizzare l’unicità e l’irripetibilità di ciascuno senza uniformarle a ciò che negherebbe queste irriducibili peculiarità. Con il processo formativo non si tratta di collocare il caso singolo di ogni persona in categorie classificatorie, ma è necessario procedere al contrario e considerare in che cosa e perché il caso singolo - ogni persona è un caso singolo - fuoriesce dall’omologazione in quanto “individuale”, così da valorizzare il suo sviluppo personale3.
  • 6. Non c’è vera formazione se si vuole far diventare gli altri uguali a noi o ad una presunta norma, oppure se c’è omologazione. Non c’è formazione se si negano e si neutralizzano le differenze individuali, se si opera per uniformarle all’uguale per tutti o alla “media”. Al contrario c’è formazione quando ogni persona può diventare se stessa ed avere gli strumenti, i tempi e gli spazi per farlo. Ossia quando ognuno può valorizzare le proprie differenze, quando l’unicità personale può essere esaltata, quando ad essa non vi si deve rinunciare in nome dell’uniformità “esterna”.
  • 7. Solo valorizzando l’individualità di ciascuno non si arriverà a negare l’originalità di tutti e si potrà dare valore al potere inaugurante delle differenze personali. La strada educativa personale da percorrere, dunque, non è quella che devono vivere tutti, magari allo stesso modo nello stesso tempo. Al contrario è necessario che ognuno, indipendentemente dalle caratteristiche personali, anzi proprio in nome di esse, possa esercitare la propria libertà nella responsabilità. Sono infatti le uniformità imposte dall’esterno che impediscono alla persona umana l’espressione delle sue unicità, e sono proprio quest’ultime che possono costringere le uniformità scolastiche, sociali, territoriali a strutturarsi in modo tale da valorizzare le differenze di tutti, senza tralasciare qualcuno.
  • 8. Questa è una prospettiva pienamente rispettosa del pieno sviluppo della persona umana ed è una prospettiva di speranza non solo per le persone disabili, ma per tutti. Del resto sono proprie differenze personali che rendono sia le scuole che la società migliori. Lo sforzo formativo della scuola dovrebbe essere proprio quello di fare in modo che l’originalità e l’unicità di ciascuno - di tutti, persone disabili e non - possano vincere ogni condizionamento istituzionale.
  • 9. Questa prospettiva è ben sottolineata dalla personalizzazione, che sottrae le persone dalle logiche standardizzanti e che preferisce gli interventi centrati sui soggetti anziché l’omologazione, così che possa essere garantito il loro attivo coinvolgimento nel processo educativo. In effetti la persona verso cui si rivolge il servizio scolastico o un’azione educativa è innanzitutto una risorsa, non solo un utentedestinatario dell’intervento. E’ un soggetto-persona di cui occorre attivare e mobilitare le capacità, non un oggetto-utente-cliente da prendere semplicemente in cura e da assistere.
  • 10. L’obiettivo principale potrebbe essere identificato nell’aiutare le persone ad aiutare se stesse, ad esprimere il loro specifico volto umano, a manifestare chi sono e ad esplicitare le loro differenze nell’autonomia. Si tratta di poter scegliere, perché scegliere significa esercitare un “potere”, come ben espresso dall’approccio anche delle capacità di Amartya Sen. Per questo bisogna fare il possibile per introdurre nella scuola e nei servizi in genere forme di diversificazione dell’offerta e puntare ad un sistema in grado di erogare prestazioni sempre più personalizzate e meno standardizzate. Le scuole e le attività educative possono essere una leva fondamentale per disegnare una società più consapevole e responsabile, in una parola più umana4.
  • 11. Questo scenario mette prepotentemente in gioco la capacità degli insegnanti di passare da una visione pedagogica in cui è prevalente un approccio segnato dall’uniformità a uno connotato dalla personalizzazione, dove ciò che conta è il pieno sviluppo della persona umana5. Pieno sviluppo della persona umana che equivale alla piena valorizzazione di tutti e di ciascuno, che significa riconoscere l’importanza di potersi esprimersi in modo differente dagli altri, di vivere in modo unico le relazioni interpersonali. In una parola garantire il pieno sviluppo della persona umana vuol dire affermare le integrazioni di tutti.
  • 12. Alla luce della nostra Costituzione si può dire che l’interesse più grande per un insegnante sia quello di far sì che ogni allievo possa esprimere il pieno sviluppo personale. Ossia che possa formar-si. La formazione, nella prospettiva della persona umana, non significa riferirsi solo al possesso di conoscenze (sapere, sapere qualcosa, sapere che) e di abilità (sapere come si fa qualcosa). La formazione è il processo che supera il semplice sapere qualcosa e sapere come si fa qualcosa per rendere ognuno competente, grazie all’utilizzo di conoscenze e abilità e grazie al lavorio interiore di ciascuno, nell’affrontare i problemi che incontra nella scuola e nella vita. La formazione, dunque, è il processo attraverso il quale ogni persona cresce, si rende sempre più realizzata e competente nel risolvere i problemi posti dall’esistenza ed incontrati nell’esperienza personale. Le conoscenze e le abilità riguardano l’avere di una persona.
  • 13. E’ in questo continuum che ogni persona può differenziare se stessa in modo singolare. Si tratta perciò di affrontare e di vivere le differenze di ciascuno, di guardare alla differenza personale in quanto singolarità positiva e di vedere i “bisogni” individuali nel quadro più ampio della pluralità delle differenze. La classe, in questo prospettiva, non è un insieme di alunni “normali” in cui è presente qualche alunno “speciale” più o meno certificato; al contrario gli alunni “particolari” (disabili, stranieri in condizioni socioeconomiche svantaggiate, dislessici, con problemi di attenzione, con un disagio emotivo, socialmente isolati, fragili da un punto di vista psichico, ecc.) sono la larga maggioranza6.
  • 14. Se non si pensa “per casi” ma “per differenze” si è in grado di osservare e comprendere pienamente la complessità degli alunni e dei loro “bisogni”. Si riesce anche a vederli come portatori di risorse e la stessa nozione di “sostegno” viene profondamente trasformata. Frequentemente il sostegno si è incarnato in un docente di supporto, magari affiancato da un educatore, assegnato ad un alunno di cui veniva certificata la disabilità.
  • 15. La situazione molto spesso ha visto una sostanziale separazione tra la gestione dell’alunno “speciale” - affidata al docente di sostegno- e quella della classe “normale”. Il risultato è stato che spesso l’esclusione non era più dalla scuola ma dentro la scuola. Se invece si entra nella logica della valorizzazione delle differenze personali, ogni attività dovrebbe accrescere la capacità della scuola di rispondere alla diversità degli alunni. Pertanto, in questa prospettiva, l’aiuto dato all’alunno certificato da un insegnante di sostegno diviene un caso particolare di un più ampio lavoro di supporto che coinvolge tutta la classe.
  • 16. Per alcuni alunni il supporto può richiedere l’intervento di personale aggiuntivo, di sostegno appunto, ma ciò non deve far dimenticare che tutti gli alunni hanno bisogno di forme differenziate di “sostegno” nel loro percorso educativo. Il sostegno dunque non riguarda solo l’alunno disabile e ogni allievo va seguito e supportato nel suo percorso di apprendimento tenendo conto delle differenze che lo caratterizzano. Ogni alunno è un “caso” - in senso positivo - che richiede di essere compreso, seguito, aiutato nella costruzione di un profilo personale che non è assimilabile a quello di nessun altro. Con precisione così Fabio Dovigo delinea lo scenario di riferimento della valorizzazione delle differenze nel contesto scolastico:
  • 17. Se il fine della scuola è non solo informare ma anche costruire autonomia, non solo istruire ma anche personalizzare, diviene necessario confrontarsi pienamente con ciò che autonomia e personalizzazione significano. Affrontare questa sfida significa oltrepassare il modello del docente che, chiuso nella sua aula, fornisce i contenuti dell’apprendimento, perché tale modello risulta sempre più inadeguato a far fronte alla complessità delle richieste provenienti dagli alunni. Occorre imparare in questo senso a riconoscere che gli alunni sono una risorsa fondamentale per sviluppare autonomia e personalizzazione, nel momento in cui li mettiamo in condizione di fare comunità, di aiutarsi a vicenda in un’ottica non solo di competizione ma anche di cooperazione. Si tratta, dunque, di capire che esistono le differenze tra le persone e che bisogna saperle comprendere, vivere, accettare e valorizzare.
  • 18. E’ necessario puntare l’attenzione alla valorizzazione delle differenze personali senza che nessuno si senta forzato ad adeguarsi a una norma esterna omologante, ad un’etichetta rigida. Proprio il saper dare una risposta ai modi personali di porsi di tutti gli allievi, ossia l’essere in grado di rispondere alle differenze, significa attuare di un’educazione per tutti e non equivale solo alla volontà di garantire ad ognuno la possibilità di partecipare alle esperienze scolastiche. Bisogna quindi saper affermare le differenze, saper “pensare al plurale”, fare differenze, per costruire le integrazioni che sono sfondo valoriale delle differenze di tutti e di ciascuno.
  • 19. Una scuola per tutti è una scuola attenta alle differenze ed in essa tutti devono familiarizzare con le differenze in quanto si è sensibili alle sfumature personali di ciascuno. Fare differenze a scuola non deve essere un tabù per i docenti, magari con la giustificazione che in classe non si devono fare preferenze e che gli alunni sono tutti uguali. In realtà gli allievi non sono tutti uguali e questa diversità non va nascosta, ma va ascoltata e interpretata nel suo porre domande, che non sempre hanno facili risposte o risposte “standard”.
  • 20. Spetta ai docenti offrire risposte e strumenti diversi ed adeguati alle singolarità. La formazione deve portare a capire che esistono differenze tra le persone e non ha più senso promuovere una pratica pedagogica che favorisce un “determinato” allievo o, ancora peggio, che classifica ed etichetta. La scuola non deve favorire un fisso e prestabilito profilo di alunno omologato, in quanto determinando un simile profilo di alunno desiderabile, determinerebbe anche ciò che è la normalità e, di conseguenza, ciò che è “normale” e ciò che è “anormale” o non accettabile. Così facendo, però, la differenza assumerebbe una valenza negativa: tutto ciò che non è all’interno del prevedibile diventerebbe un’anormalità e dovrebbe essere “smistato”.
  • 21. È abile, ad esempio, che si impadronisce di un comportamento e di una tecnica necessari per risolvere determinati problemi; comportamento e tecnica che però sono per così dire aggiunti alla natura di chi li esercita e non ne sono un’espressione originaria. Hanno un valore strumentale, tanto che possono servire oggi e possono essere sostituiti domani. La competenza, al contrario, su qualsiasi problema o situazione si eserciti, esplicita l’essere di una persona. Il suo valore è finale, non strumentale. Si è competenti in qualcosa se nel momento in cui si affronta la situazione si manifesta al meglio e fino in fondo quello che siamo, la nostra natura1.
  • 22. Ognuno nella scuola, proprio in quanto persona unica, differente ed irripetibile, dovrebbe poter beneficiare di un’attenzione personalizzata senza appartenere ad una “speciale” categoria. Nessuno dovrebbe mai arrivare a considerare le sue caratteristiche specifiche (fisiche, intellettive, sociali, ecc.) come una “maledizione” o come una “tragedia personale”. Perché se ciò si verificasse a causa di qualcuno, alla luce della persona umana non sarebbe fuori luogo che si avanzi persino una richiesta di perdono. In conclusione: si tratta di personalizzare al fine di promuovere la piena manifestazione di ognuno in base alle sue caratteristiche ed alle sue differenze, e non solo di individualizzare