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Non è mai un agire semplice, atomizzato,
astratto, ma è sempre un agire complesso
che, da un lato, coinvolge tutta la persona e
connette in maniera unitaria e inseparabile i
saperi (conoscenze) e il saper fare qualcosa
(abilità), i comportamenti, gli atteggiamenti
emotivi, le scelte valoriali, le motivazioni e i
fini e, dall’altro, inserisce la persona in un
insieme di relazioni sociali.
Per questo la competenza, che non esiste se
non presupponendo la padronanza di
conoscenze/abilità, è anche sempre non solo
un lavorare insieme ad altri, ma anche un tener
conto del fine e della valutazione sociale di
quanto si fa. L’asse che parte dalle capacità e
giunge alle competenze riguarda dunque
l’essere personale di ciascuno: da una parte c’è
l’essere possibile, cioè “chi” si può diventare, e
dall’altra c’è l’essere realizzato nella storia e
nella cultura, cioè “chi” si è diventati.
Per questo è detto asse della formazione. Il
secondo asse è quello dell’istruzione, della cultura,
del sapere e del saper fare qualcosa “esterni” alla
persona e che per questo devono essere
interiorizzati. Vale a dire l’insieme dei mezzi e dei
contenuti specifici che la scuola ed i docenti
adoperano e devono adoperare per il formarsi di
ciascuno in senso intenzionalmente educativo, cioè
per il pieno sviluppo della persona umana. La cultura
diventa formativa nella misura in cui ciascuno la
adopera come occasione e strumento per
migliorarsi, per essere (competenti) nel mondo.
L’istruzione ha senso solo se è formativa, se è un
modo e un’occasione per trasformare le capacità
personali di ciascuno in competenze altrettanto
personali. Mentre nell’asse dell’istruzione ci sono le
conoscenze (sapere qualcosa) e le abilità (saper
fare qualcosa), che sono intersoggettive, uguali
dappertutto, valide per tutti, quindi insegnabili a tutti
in quanto costituiscono la cultura da trasmettere,
nell’asse della formazione ci sono le
capacità/competenze che sono un sapere e un
saper fare trasformato da ciascuno nella propria
unica ed irripetibile vita: un saper fare personale.
Quindi, dipendendo dalle persone, non sono duplicabili a
volontà, né insegnabili a tutti e dappertutto allo stesso
modo. Le competenze sono qualcosa di singolare e di
concreto, sono un qui, un ora, un così. Se le conoscenze
e le abilità si possono e si debbono insegnare, le
competenze, che si mostrano in situazione, al pari di
ogni esperienza personale non sono insegnabili. Se si
vuole sviluppare al massimo la persona di ciascuno,
quindi, si delinea la necessità di una prospettiva didattica
volta allo sviluppo delle competenze, che sappia tenere
costantemente intrecciati l’asse della formazione (l’asse
dell’essere e quindi della vita) con quello dell’istruzione
(l’asse dell’avere e quindi della cultura)
La competenza in situazione Nella prospettiva personalista la
competenza è intesa come un saper fare personale, basato su
conoscenze e abilità (ossia su un background culturale), che si
manifesta di fronte a un compito unitario, in situazione. Alla luce
di questa premessa e di questa consapevolezza pedagogica si
possono fare alcune considerazioni a proposito del concetto di
competenza. In primo luogo non c’è competenza senza un saper
fare, il che significa che le competenze non sono qualcosa da
cercare all’interno del soggetto, ma nel modo in cui la persona si
destreggia in modo visibile ed in modo concreto in qualche
ambito di realtà ed in qualche situazione concreta.
In secondo luogo in quanto saper fare le competenze sono simili alle
abilità, ma a differenza di quest’ultime hanno un carattere “personale”,
ossia mentre le abilità sono un saper fare “impersonale”, omologato,
uniformato (un calcolo matematico, ad esempio, comporta un’abilità
che non ammette differenze), le competenze presentano il marchio e lo
stile della persona; proprio per questo nessuno può essere competente
allo stesso modo e nella stessa forma. In terzo luogo se le competenze
non sono abilità, non sono neppure un saper fare innato, spontaneo e
naturale; pur essendo radicate nelle parzialità della persona, le
competenze non si sviluppano nel vuoto e non potrebbero esistere
senza il faticoso lavoro di acquisizione di saperi e di saper fare: per
esistere hanno bisogno del supporto costituito da un saldo background
culturale, fatto di conoscenze e di abilità.
In quarto luogo va tenuto presente che
nessun sapere fare personale, fondato su
conoscenze e abilità, potrebbe manifestarsi
se non di fronte a un compito unitario che le
sollecita e le richiede: le competenze sono
un saper fare personale che deriva la sua
unità e il suo significato dal riferirsi a un
compito in situazione.
Si è competenti, ad esempio, quando si esprime e
motiva una propria opinione, si discute una tesi, si
risolve un problema, si partecipa a una gara
sportiva, ecc. Infine non bisogna trascurare che il
compito unitario può essere sempre uguale e,
tuttavia, non è mai lo stesso: cambiano le situazioni,
ossia le condizioni soggettive ed oggettive in cui, di
volta in volta, la persona affronta il compito, la
situazione, e di conseguenza anche il modo di
manifestare le sue competenze.
Il carattere situazionale, l’essere in situazione, fa di
ogni gesto competente qualcosa di unico e
irripetibile. Quando si parla di competenza personale
ci si riferisce a ciò che ciascuno è effettivamente in
grado di fare, pensare e agire, in situazione, dinanzi
alla complessità di un problema, di una situazione
che si è chiamati ad affrontare in un determinato
contesto. Le competenze riguardano il modo in cui la
persona si destreggia rispetto ai compiti ed ai
problemi che gli sono posti.
Per questo è detto asse della formazione. Il
secondo asse è quello dell’istruzione, della cultura,
del sapere e del saper fare qualcosa “esterni” alla
persona e che per questo devono essere
interiorizzati. Vale a dire l’insieme dei mezzi e dei
contenuti specifici che la scuola ed i docenti
adoperano e devono adoperare per il formarsi di
ciascuno in senso intenzionalmente educativo, cioè
per il pieno sviluppo della persona umana. La cultura
diventa formativa nella misura in cui ciascuno la
adopera come occasione e strumento per
migliorarsi, per essere (competenti) nel mondo.
E’ solo durante una situazione concreta che
l’allievo è chiamato a mobilitare l’intero della
sua persona. Per la verità questo discorso
travalica anche i confini scolastici in quanto
le competenze, se ci sono e sono davvero
mature, si vedono in azione non solo a
scuola, ma anche a casa, per strada,
nell’agire quotidiano, nel modo di stare con
gli amici, nel lavoro.
Si riconoscono dinnanzi alla soluzione più o meno
nitida e pertinente che una persona dà ai problemi
reali che incontra nella sua vita; a situazioni e
compiti concreti, ogni giorno diversi, da affrontare; a
progetti personali e sociali da realizzare. Visto che le
competenze sono l’insieme delle buone capacità
potenziali di ciascuno portate effettivamente al
miglior compimento nelle particolari situazioni date,
ben si capisce perché ogni formulazioni a priori delle
competenze sia intrinsecamente un’operazione
contraddittoria.
Le competenze in effetti non sono degli obiettivi,
non sono “qualcosa” di diverso e separato dalla
persona che quest’ultima sarebbe chiamata ad
acquisire o cogliere “fuori di sé” per poterlo “portare
in sé”. Data la manifestazione a posteriori delle
competenze, inoltre, non è possibile certificare il
raggiungimento di competenze uguali per tutti a
livello di classe o di scuola o di nazione, perché in
questo caso le competenze finirebbero con l’essere
delle conoscenze o delle abilità.
Quindi se le competenze hanno a che fare con la
persona, e non con “qualcosa” che non è persona, non
ha senso parlare di “competenze raggiunte”, semmai
bisognerebbe dire “sviluppo, manifestazione,
mobilitazione di competenze personali”, “competenze
personali mostrate” nell’affrontare problemi, compiti e
progetti di diverso tipo in situazione. Una competenza in
effetti non può essere valutata con le modalità oggettive
e docimologiche; può essere, al contrario, osservata,
documentata, narrata, certificata.
Le competenze si possono solo descrivere
sfuggendo alle logiche di misurazione
quantitativa. Le competenze si riferiscono
all’essere di una persona di fronte alle
situazioni che deve affrontare in modo
personale, pertanto a scuola per capire se un
allievo sia o non sia competente occorrono
strumenti qualitativi, non occorrono i test o le
prove oggettive. Servono problemi da risolvere
e precise situazioni di compito in cui osservare,
analizzare, discutere, colloquiare, intervistare.
In una parola: occorre risolvere un compito con
perizia in un contesto dato, attraverso un’effettiva
prestazione. Il processo formativo a scuola Nella
logica pedagogica della Legge n.53/2003 le capacità
(il poter essere) costituiscono il punto di partenza ed
il presupposto del processo educativo. Le capacità
sono dei talenti naturali, la “materia prima” che
opportunamente “lavorata” può trasformarsi in un
“prodotto” finito: le competenze. Le competenze altro
non sono se non le capacità portate a maturazione.
Questo è il fine formativo del processo educativo. Se
nel sistema educativo scolastico le capacità di
ciascuno possono trasformarsi ed essere promosse
a competenze attuali e personali grazie all’impiego
formativo delle conoscenze e delle abilità, questo
comporta che a scuola il fine dell’educazione, cioè la
crescita e la maturazione della persona (asse della
formazione), si “incroci” con gli scopi dell’istruzione,
con l’acquisizione di conoscenze e di abilità (asse
dell’istruzione).
La progettazione didattico-educativa degli
insegnanti si colloca pertanto al crocevia tra l’asse
della formazione e quello dell’istruzione. Suo
compito è quello di rendere possibile l’incontro tra il
fine dell’educazione (manifestazione di competenze
come espressione di “maturità” della persona) con
gli scopi dell’istruzione (trasmissione di sapere e di
saper fare qualcosa). A scuola è tramite l’esperienza
di apprendimento che l’alunno può acquisire le
conoscenze e le abilità e può trasformare le capacità
in competenze.
L’istruzione ha senso solo se è formativa, se è un
modo e un’occasione per trasformare le capacità
personali di ciascuno in competenze altrettanto
personali. Mentre nell’asse dell’istruzione ci sono le
conoscenze (sapere qualcosa) e le abilità (saper
fare qualcosa), che sono intersoggettive, uguali
dappertutto, valide per tutti, quindi insegnabili a tutti
in quanto costituiscono la cultura da trasmettere,
nell’asse della formazione ci sono le
capacità/competenze che sono un sapere e un
saper fare trasformato da ciascuno nella propria
unica ed irripetibile vita: un saper fare personale.
Nell’elaborazione delle unità di apprendimento la progettualità
formativa dei docenti si pone al centro dell’asse della formazione
e di quello dell’istruzione, rappresentando il punto di incontro di
due forme convergenti di intenzionalità: la prima che mira alla
formazione della persona e la seconda, di tipo strumentale, che
è rivolta all’acquisizione di elementi culturali. Ecco perché aspetti
basilari delle unità di apprendimento sono l’apprendimento
unitario, collegato all’asse della formazione, e gli obiettivi
formativi, collegati all’asse dell’istruzione. Il primo descrive in
forma sintetica le competenze su cui si intende lavorare e che si
chiede all’alunno di mostrare, i secondi precisano le conoscenze
e le abilità che è necessario presupporre e/o acquisire per
esercitare le competenze dell’apprendimento unitario.
E’ l’apprendimento unitario che unifica e che dà senso agli
obiettivi formativi, conferendo un senso all’esperienza didattica
che si intende realizzare: è il nucleo centrale dell’unità di
apprendimento. I docenti, utilizzando le conoscenze e le abilità
che lo Stato reputa valore trasmettere alle nuove generazioni,
devono formulare gli obiettivi formativi in riferimento
all’apprendimento unitario, il quale ovviamente deve essere
adatto e significativo per gli alunni. Per questo è importante
l’analisi della situazione della classe (o del gruppo) in cui si
possono individuare le caratteristiche degli allievi e si possono
cogliere le loro capacità, nonché i loro interessi, le loro
motivazioni ed i loro “bisogni”.
Dato che le competenze possono manifestarsi solo in situazioni reali e
che il “luogo” in cui possono manifestarsi ed essere osservate e
valutate è lo spazio reale di una situazione di compito intenzionalmente
progettato (o imprevisto e inatteso che viene utilizzato
intenzionalmente), gli insegnanti devono, nella prospettiva della
personalizzazione, prevedere situazioni di compito in cui offrire la
possibilità agli allievi di mobilitarsi rispetto alla competenza da
esprimere. La situazione di compito deve rappresentare uno spazio di
autonomia e di responsabilizzazione dell’allievo nel quale ciascuno può
affrontare e portare a termine il compito affidatogli “a modo suo”,
mostrando o meno le competenze utili a realizzarlo. La situazione di
compito, non assimilabile ad una prova di verifica, è un compito reale e
complesso che, per essere portato a termine, necessita di conoscenze,
di abilità e di risorse personali (motivazione, attitudine…).
Ben si capisce, quindi, perché sia in gioco il
concetto di competenza e non solo quello di
conoscenze. Due piani, questi, diversi e
distinti, ma profondamente intrecciati ed uniti
tra loro, in modo tale da contraddistinguere
in forma unica ed irripetibile la persona
umana
Certamente si apre il problema di come far
convivere le esigenze dell’unità
rappresentata dall’apprendimento unitario
con la molteplicità delle esigenze di
apprendimento dei singoli alunni. A questo
proposito si può osservare che le unità di
apprendimento si fondano su di un intero di
apprendimento che è certamente unitario
ma che è anche articolato al suo interno.
Quindi, pur essendo vero che l’apprendimento unitario
può e deve essere prospettato come compito di
apprendimento identico per tutti, è altrettanto vero che
nel processo educativo può essere personalizzata
l’acquisizione delle conoscenze e delle abilità strumentali
alla realizzazione del compito in situazione richiesto, nel
quale manifestare le competenze dell’apprendimento
unitario. L’apprendimento unitario può dunque orientare
nel decidere su ciò che occorre esigere dagli alunni e su
ciò che si può lasciar perdere; in base ad esso, poi, si
potranno prendere le decisioni più opportune relative alle
“curvature” personalizzate degli alunni.
Tenendo quindi conto delle capacità di un certo
alunno, delle sue motivazioni, dei suoi bisogni e dei
suoi interessi, si può pensare di “curvare” la scelta
delle conoscenze e delle abilità, mantenendo però
ferma l’unità del compito di apprendimento. Mentre
l’apprendimento unitario rimarrà uguale per tutti, per
alcuni si dovrà ridurre il carico di conoscenze e di
abilità, per altri invece si dovrà aumentarle. In
un’unità di apprendimento l’unico punto fermo è solo
l’apprendimento unitario
L’unità di apprendimento parte dunque da un
apprendimento unitario da promuovere, vuoto,
ipotetico e presunto, per concludersi con una
manifestazione concreta e reale di
competenze. Alla fine del processo formativo
scolastico non si situa solamente l’acquisizione
di conoscenze, ma si colloca il compito in
situazione che è il momento concreto in cui si
esprime l’apprendimento unitario, cioè il
momento in cui l’alunno manifesta la
competenza personale.
Quindi, dipendendo dalle persone, non sono duplicabili a
volontà, né insegnabili a tutti e dappertutto allo stesso
modo. Le competenze sono qualcosa di singolare e di
concreto, sono un qui, un ora, un così. Se le conoscenze
e le abilità si possono e si debbono insegnare, le
competenze, che si mostrano in situazione, al pari di
ogni esperienza personale non sono insegnabili. Se si
vuole sviluppare al massimo la persona di ciascuno,
quindi, si delinea la necessità di una prospettiva didattica
volta allo sviluppo delle competenze, che sappia tenere
costantemente intrecciati l’asse della formazione (l’asse
dell’essere e quindi della vita) con quello dell’istruzione
(l’asse dell’avere e quindi della cultura)
E’ il momento dell’alunno in azione, ma è
anche il momento del docente per osservare
e descrivere “questa situazione”, per
descrivere cioè le competenze manifestate
Conoscenze vs competenze? Porre al
centro dell’azione educativo-didattica
dell’insegnante il tema delle competenze
potrebbe anche spingere a pensare di
svalutare in questo modo le conoscenze.
Non dimenticando che il paradigma delle
conoscenze è stato per tanto tempo, e
probabilmente lo è ancora, basilare nella
scuola italiana, va osservato che nella
prospettiva della personalizzazione le
conoscenze (sapere qualcosa) e le abilità
(saper fare qualcosa/sapere come si fa
qualcosa) sono gli “ingredienti” essenziali
per la manifestazione delle competenze.
Non può esserci competenza se non ci sono conoscenze ed
abilità ad essa sottese, non esistono competenze senza
conoscenze e abilità. In altre parole non c’è paidéia possibile
priva di tanti e determinati sapere che cosa e sapere come si fa,
anche se essi non fanno la paidéia visto che essa li supera e ne
costituisce l’orizzonte di senso. Di conseguenza l’idea che le
competenze possano essere vuote di determinate e specifiche
conoscenze e abilità è risibile e quindi ogni tentativo di voler
mettere in contrapposizione una “didattica fondata sulle
competenze” con una “didattica fondata sul sapere” è di per sé
un’operazione insensata106.
Semmai è vero che le due predette didattiche si
differenziano per la loro centratura, per i loro focus e
per le conseguenti modalità di verifica e valutazione.
Mentre infatti in una didattica fondata sul sapere il
fine è la trasmissione del sapere che cosa e del
sapere come si fa, in una didattica fondata sulle
competenze il fine è la manifestazione di un chi in
grado di esprimere un saper fare personale basato
su conoscenze e abilità, quest’ultime quindi che
diventano il “mezzo” e non il “fine”.
Inoltre, data la diversa natura delle
conoscenze/abilità e delle competenze, differenti
sono anche i piani per la loro verifica e valutazione.
Bastano, ad esempio, questionari e test ben tarati
per le conoscenze e le abilità, mentre occorrono altri
strumenti per la verifica e la valutazione delle
competenze. Ottimi strumenti quantitativi per la
verifica e la valutazione delle prime
(conoscenze/abilità) finiscono con l’essere
largamente insufficienti per le seconde
(competenze): occorrono strumenti diversi.
L’importante è non voler ricavare dai risultati
della verifica e valutazione delle
conoscenze/abilità conclusioni che si
possano estendere, magari in modo
meccani e semplicistico, alla verifica e alla
valutazione delle competenze.
Si tratta, come detto, di piani diversi, anche
se poi in ogni caso sono da considerare
insieme, proprio perché le une sono
strettamente unite alle altre e la persona è
un’unità che integra tutte le differenti
dimensioni e qualità che la costituiscono

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  • 1. Non è mai un agire semplice, atomizzato, astratto, ma è sempre un agire complesso che, da un lato, coinvolge tutta la persona e connette in maniera unitaria e inseparabile i saperi (conoscenze) e il saper fare qualcosa (abilità), i comportamenti, gli atteggiamenti emotivi, le scelte valoriali, le motivazioni e i fini e, dall’altro, inserisce la persona in un insieme di relazioni sociali.
  • 2. Per questo la competenza, che non esiste se non presupponendo la padronanza di conoscenze/abilità, è anche sempre non solo un lavorare insieme ad altri, ma anche un tener conto del fine e della valutazione sociale di quanto si fa. L’asse che parte dalle capacità e giunge alle competenze riguarda dunque l’essere personale di ciascuno: da una parte c’è l’essere possibile, cioè “chi” si può diventare, e dall’altra c’è l’essere realizzato nella storia e nella cultura, cioè “chi” si è diventati.
  • 3. Per questo è detto asse della formazione. Il secondo asse è quello dell’istruzione, della cultura, del sapere e del saper fare qualcosa “esterni” alla persona e che per questo devono essere interiorizzati. Vale a dire l’insieme dei mezzi e dei contenuti specifici che la scuola ed i docenti adoperano e devono adoperare per il formarsi di ciascuno in senso intenzionalmente educativo, cioè per il pieno sviluppo della persona umana. La cultura diventa formativa nella misura in cui ciascuno la adopera come occasione e strumento per migliorarsi, per essere (competenti) nel mondo.
  • 4. L’istruzione ha senso solo se è formativa, se è un modo e un’occasione per trasformare le capacità personali di ciascuno in competenze altrettanto personali. Mentre nell’asse dell’istruzione ci sono le conoscenze (sapere qualcosa) e le abilità (saper fare qualcosa), che sono intersoggettive, uguali dappertutto, valide per tutti, quindi insegnabili a tutti in quanto costituiscono la cultura da trasmettere, nell’asse della formazione ci sono le capacità/competenze che sono un sapere e un saper fare trasformato da ciascuno nella propria unica ed irripetibile vita: un saper fare personale.
  • 5. Quindi, dipendendo dalle persone, non sono duplicabili a volontà, né insegnabili a tutti e dappertutto allo stesso modo. Le competenze sono qualcosa di singolare e di concreto, sono un qui, un ora, un così. Se le conoscenze e le abilità si possono e si debbono insegnare, le competenze, che si mostrano in situazione, al pari di ogni esperienza personale non sono insegnabili. Se si vuole sviluppare al massimo la persona di ciascuno, quindi, si delinea la necessità di una prospettiva didattica volta allo sviluppo delle competenze, che sappia tenere costantemente intrecciati l’asse della formazione (l’asse dell’essere e quindi della vita) con quello dell’istruzione (l’asse dell’avere e quindi della cultura)
  • 6. La competenza in situazione Nella prospettiva personalista la competenza è intesa come un saper fare personale, basato su conoscenze e abilità (ossia su un background culturale), che si manifesta di fronte a un compito unitario, in situazione. Alla luce di questa premessa e di questa consapevolezza pedagogica si possono fare alcune considerazioni a proposito del concetto di competenza. In primo luogo non c’è competenza senza un saper fare, il che significa che le competenze non sono qualcosa da cercare all’interno del soggetto, ma nel modo in cui la persona si destreggia in modo visibile ed in modo concreto in qualche ambito di realtà ed in qualche situazione concreta.
  • 7. In secondo luogo in quanto saper fare le competenze sono simili alle abilità, ma a differenza di quest’ultime hanno un carattere “personale”, ossia mentre le abilità sono un saper fare “impersonale”, omologato, uniformato (un calcolo matematico, ad esempio, comporta un’abilità che non ammette differenze), le competenze presentano il marchio e lo stile della persona; proprio per questo nessuno può essere competente allo stesso modo e nella stessa forma. In terzo luogo se le competenze non sono abilità, non sono neppure un saper fare innato, spontaneo e naturale; pur essendo radicate nelle parzialità della persona, le competenze non si sviluppano nel vuoto e non potrebbero esistere senza il faticoso lavoro di acquisizione di saperi e di saper fare: per esistere hanno bisogno del supporto costituito da un saldo background culturale, fatto di conoscenze e di abilità.
  • 8. In quarto luogo va tenuto presente che nessun sapere fare personale, fondato su conoscenze e abilità, potrebbe manifestarsi se non di fronte a un compito unitario che le sollecita e le richiede: le competenze sono un saper fare personale che deriva la sua unità e il suo significato dal riferirsi a un compito in situazione.
  • 9. Si è competenti, ad esempio, quando si esprime e motiva una propria opinione, si discute una tesi, si risolve un problema, si partecipa a una gara sportiva, ecc. Infine non bisogna trascurare che il compito unitario può essere sempre uguale e, tuttavia, non è mai lo stesso: cambiano le situazioni, ossia le condizioni soggettive ed oggettive in cui, di volta in volta, la persona affronta il compito, la situazione, e di conseguenza anche il modo di manifestare le sue competenze.
  • 10. Il carattere situazionale, l’essere in situazione, fa di ogni gesto competente qualcosa di unico e irripetibile. Quando si parla di competenza personale ci si riferisce a ciò che ciascuno è effettivamente in grado di fare, pensare e agire, in situazione, dinanzi alla complessità di un problema, di una situazione che si è chiamati ad affrontare in un determinato contesto. Le competenze riguardano il modo in cui la persona si destreggia rispetto ai compiti ed ai problemi che gli sono posti.
  • 11. Per questo è detto asse della formazione. Il secondo asse è quello dell’istruzione, della cultura, del sapere e del saper fare qualcosa “esterni” alla persona e che per questo devono essere interiorizzati. Vale a dire l’insieme dei mezzi e dei contenuti specifici che la scuola ed i docenti adoperano e devono adoperare per il formarsi di ciascuno in senso intenzionalmente educativo, cioè per il pieno sviluppo della persona umana. La cultura diventa formativa nella misura in cui ciascuno la adopera come occasione e strumento per migliorarsi, per essere (competenti) nel mondo.
  • 12. E’ solo durante una situazione concreta che l’allievo è chiamato a mobilitare l’intero della sua persona. Per la verità questo discorso travalica anche i confini scolastici in quanto le competenze, se ci sono e sono davvero mature, si vedono in azione non solo a scuola, ma anche a casa, per strada, nell’agire quotidiano, nel modo di stare con gli amici, nel lavoro.
  • 13. Si riconoscono dinnanzi alla soluzione più o meno nitida e pertinente che una persona dà ai problemi reali che incontra nella sua vita; a situazioni e compiti concreti, ogni giorno diversi, da affrontare; a progetti personali e sociali da realizzare. Visto che le competenze sono l’insieme delle buone capacità potenziali di ciascuno portate effettivamente al miglior compimento nelle particolari situazioni date, ben si capisce perché ogni formulazioni a priori delle competenze sia intrinsecamente un’operazione contraddittoria.
  • 14. Le competenze in effetti non sono degli obiettivi, non sono “qualcosa” di diverso e separato dalla persona che quest’ultima sarebbe chiamata ad acquisire o cogliere “fuori di sé” per poterlo “portare in sé”. Data la manifestazione a posteriori delle competenze, inoltre, non è possibile certificare il raggiungimento di competenze uguali per tutti a livello di classe o di scuola o di nazione, perché in questo caso le competenze finirebbero con l’essere delle conoscenze o delle abilità.
  • 15. Quindi se le competenze hanno a che fare con la persona, e non con “qualcosa” che non è persona, non ha senso parlare di “competenze raggiunte”, semmai bisognerebbe dire “sviluppo, manifestazione, mobilitazione di competenze personali”, “competenze personali mostrate” nell’affrontare problemi, compiti e progetti di diverso tipo in situazione. Una competenza in effetti non può essere valutata con le modalità oggettive e docimologiche; può essere, al contrario, osservata, documentata, narrata, certificata.
  • 16. Le competenze si possono solo descrivere sfuggendo alle logiche di misurazione quantitativa. Le competenze si riferiscono all’essere di una persona di fronte alle situazioni che deve affrontare in modo personale, pertanto a scuola per capire se un allievo sia o non sia competente occorrono strumenti qualitativi, non occorrono i test o le prove oggettive. Servono problemi da risolvere e precise situazioni di compito in cui osservare, analizzare, discutere, colloquiare, intervistare.
  • 17. In una parola: occorre risolvere un compito con perizia in un contesto dato, attraverso un’effettiva prestazione. Il processo formativo a scuola Nella logica pedagogica della Legge n.53/2003 le capacità (il poter essere) costituiscono il punto di partenza ed il presupposto del processo educativo. Le capacità sono dei talenti naturali, la “materia prima” che opportunamente “lavorata” può trasformarsi in un “prodotto” finito: le competenze. Le competenze altro non sono se non le capacità portate a maturazione.
  • 18. Questo è il fine formativo del processo educativo. Se nel sistema educativo scolastico le capacità di ciascuno possono trasformarsi ed essere promosse a competenze attuali e personali grazie all’impiego formativo delle conoscenze e delle abilità, questo comporta che a scuola il fine dell’educazione, cioè la crescita e la maturazione della persona (asse della formazione), si “incroci” con gli scopi dell’istruzione, con l’acquisizione di conoscenze e di abilità (asse dell’istruzione).
  • 19. La progettazione didattico-educativa degli insegnanti si colloca pertanto al crocevia tra l’asse della formazione e quello dell’istruzione. Suo compito è quello di rendere possibile l’incontro tra il fine dell’educazione (manifestazione di competenze come espressione di “maturità” della persona) con gli scopi dell’istruzione (trasmissione di sapere e di saper fare qualcosa). A scuola è tramite l’esperienza di apprendimento che l’alunno può acquisire le conoscenze e le abilità e può trasformare le capacità in competenze.
  • 20. L’istruzione ha senso solo se è formativa, se è un modo e un’occasione per trasformare le capacità personali di ciascuno in competenze altrettanto personali. Mentre nell’asse dell’istruzione ci sono le conoscenze (sapere qualcosa) e le abilità (saper fare qualcosa), che sono intersoggettive, uguali dappertutto, valide per tutti, quindi insegnabili a tutti in quanto costituiscono la cultura da trasmettere, nell’asse della formazione ci sono le capacità/competenze che sono un sapere e un saper fare trasformato da ciascuno nella propria unica ed irripetibile vita: un saper fare personale.
  • 21. Nell’elaborazione delle unità di apprendimento la progettualità formativa dei docenti si pone al centro dell’asse della formazione e di quello dell’istruzione, rappresentando il punto di incontro di due forme convergenti di intenzionalità: la prima che mira alla formazione della persona e la seconda, di tipo strumentale, che è rivolta all’acquisizione di elementi culturali. Ecco perché aspetti basilari delle unità di apprendimento sono l’apprendimento unitario, collegato all’asse della formazione, e gli obiettivi formativi, collegati all’asse dell’istruzione. Il primo descrive in forma sintetica le competenze su cui si intende lavorare e che si chiede all’alunno di mostrare, i secondi precisano le conoscenze e le abilità che è necessario presupporre e/o acquisire per esercitare le competenze dell’apprendimento unitario.
  • 22. E’ l’apprendimento unitario che unifica e che dà senso agli obiettivi formativi, conferendo un senso all’esperienza didattica che si intende realizzare: è il nucleo centrale dell’unità di apprendimento. I docenti, utilizzando le conoscenze e le abilità che lo Stato reputa valore trasmettere alle nuove generazioni, devono formulare gli obiettivi formativi in riferimento all’apprendimento unitario, il quale ovviamente deve essere adatto e significativo per gli alunni. Per questo è importante l’analisi della situazione della classe (o del gruppo) in cui si possono individuare le caratteristiche degli allievi e si possono cogliere le loro capacità, nonché i loro interessi, le loro motivazioni ed i loro “bisogni”.
  • 23. Dato che le competenze possono manifestarsi solo in situazioni reali e che il “luogo” in cui possono manifestarsi ed essere osservate e valutate è lo spazio reale di una situazione di compito intenzionalmente progettato (o imprevisto e inatteso che viene utilizzato intenzionalmente), gli insegnanti devono, nella prospettiva della personalizzazione, prevedere situazioni di compito in cui offrire la possibilità agli allievi di mobilitarsi rispetto alla competenza da esprimere. La situazione di compito deve rappresentare uno spazio di autonomia e di responsabilizzazione dell’allievo nel quale ciascuno può affrontare e portare a termine il compito affidatogli “a modo suo”, mostrando o meno le competenze utili a realizzarlo. La situazione di compito, non assimilabile ad una prova di verifica, è un compito reale e complesso che, per essere portato a termine, necessita di conoscenze, di abilità e di risorse personali (motivazione, attitudine…).
  • 24. Ben si capisce, quindi, perché sia in gioco il concetto di competenza e non solo quello di conoscenze. Due piani, questi, diversi e distinti, ma profondamente intrecciati ed uniti tra loro, in modo tale da contraddistinguere in forma unica ed irripetibile la persona umana
  • 25. Certamente si apre il problema di come far convivere le esigenze dell’unità rappresentata dall’apprendimento unitario con la molteplicità delle esigenze di apprendimento dei singoli alunni. A questo proposito si può osservare che le unità di apprendimento si fondano su di un intero di apprendimento che è certamente unitario ma che è anche articolato al suo interno.
  • 26. Quindi, pur essendo vero che l’apprendimento unitario può e deve essere prospettato come compito di apprendimento identico per tutti, è altrettanto vero che nel processo educativo può essere personalizzata l’acquisizione delle conoscenze e delle abilità strumentali alla realizzazione del compito in situazione richiesto, nel quale manifestare le competenze dell’apprendimento unitario. L’apprendimento unitario può dunque orientare nel decidere su ciò che occorre esigere dagli alunni e su ciò che si può lasciar perdere; in base ad esso, poi, si potranno prendere le decisioni più opportune relative alle “curvature” personalizzate degli alunni.
  • 27. Tenendo quindi conto delle capacità di un certo alunno, delle sue motivazioni, dei suoi bisogni e dei suoi interessi, si può pensare di “curvare” la scelta delle conoscenze e delle abilità, mantenendo però ferma l’unità del compito di apprendimento. Mentre l’apprendimento unitario rimarrà uguale per tutti, per alcuni si dovrà ridurre il carico di conoscenze e di abilità, per altri invece si dovrà aumentarle. In un’unità di apprendimento l’unico punto fermo è solo l’apprendimento unitario
  • 28. L’unità di apprendimento parte dunque da un apprendimento unitario da promuovere, vuoto, ipotetico e presunto, per concludersi con una manifestazione concreta e reale di competenze. Alla fine del processo formativo scolastico non si situa solamente l’acquisizione di conoscenze, ma si colloca il compito in situazione che è il momento concreto in cui si esprime l’apprendimento unitario, cioè il momento in cui l’alunno manifesta la competenza personale.
  • 29. Quindi, dipendendo dalle persone, non sono duplicabili a volontà, né insegnabili a tutti e dappertutto allo stesso modo. Le competenze sono qualcosa di singolare e di concreto, sono un qui, un ora, un così. Se le conoscenze e le abilità si possono e si debbono insegnare, le competenze, che si mostrano in situazione, al pari di ogni esperienza personale non sono insegnabili. Se si vuole sviluppare al massimo la persona di ciascuno, quindi, si delinea la necessità di una prospettiva didattica volta allo sviluppo delle competenze, che sappia tenere costantemente intrecciati l’asse della formazione (l’asse dell’essere e quindi della vita) con quello dell’istruzione (l’asse dell’avere e quindi della cultura)
  • 30. E’ il momento dell’alunno in azione, ma è anche il momento del docente per osservare e descrivere “questa situazione”, per descrivere cioè le competenze manifestate Conoscenze vs competenze? Porre al centro dell’azione educativo-didattica dell’insegnante il tema delle competenze potrebbe anche spingere a pensare di svalutare in questo modo le conoscenze.
  • 31. Non dimenticando che il paradigma delle conoscenze è stato per tanto tempo, e probabilmente lo è ancora, basilare nella scuola italiana, va osservato che nella prospettiva della personalizzazione le conoscenze (sapere qualcosa) e le abilità (saper fare qualcosa/sapere come si fa qualcosa) sono gli “ingredienti” essenziali per la manifestazione delle competenze.
  • 32. Non può esserci competenza se non ci sono conoscenze ed abilità ad essa sottese, non esistono competenze senza conoscenze e abilità. In altre parole non c’è paidéia possibile priva di tanti e determinati sapere che cosa e sapere come si fa, anche se essi non fanno la paidéia visto che essa li supera e ne costituisce l’orizzonte di senso. Di conseguenza l’idea che le competenze possano essere vuote di determinate e specifiche conoscenze e abilità è risibile e quindi ogni tentativo di voler mettere in contrapposizione una “didattica fondata sulle competenze” con una “didattica fondata sul sapere” è di per sé un’operazione insensata106.
  • 33. Semmai è vero che le due predette didattiche si differenziano per la loro centratura, per i loro focus e per le conseguenti modalità di verifica e valutazione. Mentre infatti in una didattica fondata sul sapere il fine è la trasmissione del sapere che cosa e del sapere come si fa, in una didattica fondata sulle competenze il fine è la manifestazione di un chi in grado di esprimere un saper fare personale basato su conoscenze e abilità, quest’ultime quindi che diventano il “mezzo” e non il “fine”.
  • 34. Inoltre, data la diversa natura delle conoscenze/abilità e delle competenze, differenti sono anche i piani per la loro verifica e valutazione. Bastano, ad esempio, questionari e test ben tarati per le conoscenze e le abilità, mentre occorrono altri strumenti per la verifica e la valutazione delle competenze. Ottimi strumenti quantitativi per la verifica e la valutazione delle prime (conoscenze/abilità) finiscono con l’essere largamente insufficienti per le seconde (competenze): occorrono strumenti diversi.
  • 35. L’importante è non voler ricavare dai risultati della verifica e valutazione delle conoscenze/abilità conclusioni che si possano estendere, magari in modo meccani e semplicistico, alla verifica e alla valutazione delle competenze.
  • 36. Si tratta, come detto, di piani diversi, anche se poi in ogni caso sono da considerare insieme, proprio perché le une sono strettamente unite alle altre e la persona è un’unità che integra tutte le differenti dimensioni e qualità che la costituiscono