Il piano di marketing è necessario per definire, pianificare e raggiungere gli obbiettivi di una strategia di marketing. Evidenzia la mission aziendale che spesso non è mai considerata importante per un'azienda. Nel piano di marketing si analizza tramite l'analisi SWOT i punti di forza e di debolezza dell'impresa, i punti di forza e di debolezza della concorrenza. Tutto questo è riversato nell'audit di marketing. Il marketing mix porta il prodotto/servizio sul mercato attraverso l'analisi del prezzo, del portafoglio prodotto, della comunicazione e della distribuzione. Un budget deve essere definito per il raggiungimento degli obbiettivi. Il feedback aiuta l'impresa ad analizzare gli scostamenti ed eventualmente a rimettere mano per modificare il piano.
Guida pratica al Piano di marketing. Finalmente la guida pratica che ti spiega come realizzare un piano di marketing passo dopo passo. Autore Alessandro Casagrande di caffebollenteintazzagrossa.it
Il piano di marketing è necessario per definire, pianificare e raggiungere gli obbiettivi di una strategia di marketing. Evidenzia la mission aziendale che spesso non è mai considerata importante per un'azienda. Nel piano di marketing si analizza tramite l'analisi SWOT i punti di forza e di debolezza dell'impresa, i punti di forza e di debolezza della concorrenza. Tutto questo è riversato nell'audit di marketing. Il marketing mix porta il prodotto/servizio sul mercato attraverso l'analisi del prezzo, del portafoglio prodotto, della comunicazione e della distribuzione. Un budget deve essere definito per il raggiungimento degli obbiettivi. Il feedback aiuta l'impresa ad analizzare gli scostamenti ed eventualmente a rimettere mano per modificare il piano.
Guida pratica al Piano di marketing. Finalmente la guida pratica che ti spiega come realizzare un piano di marketing passo dopo passo. Autore Alessandro Casagrande di caffebollenteintazzagrossa.it
Analisi comparativa del Marketing mix nelle imprese nautiche da diportodamiano cori
Lo studio della tesi svolta mira a configurare il mercato nautico, a individuare i
comportamenti delle varie imprese nautiche nei differenti segmenti di mercato. Qual è
l‟orientamento del mercato nautico? Qual‟è la domanda globale e il dimensionamento
dell‟offerta nautica? Domande a cui daremo risposta nelle pagine successive, rivolte
inoltre a inquadrare attraverso le azioni di marketing mix la programmazione dei
prodotti, la promozione della domanda e l‟esecuzione della vendita. Conoscere come si
articolano le strategie aziendali, se ci sono o meno analogie tra i vari competitors e/o tra
i diversi mercati. Descrivere la filiera nautica e scoprire i rapporti di sincronizzazioni
con i mercati di riferimento; misurare le quote di mercato delle imprese nautiche e i
vantaggi competitivi nei loro segmenti di riferimento. L‟obiettivo del lavoro di tesi è
stato analizzare i segmenti di mercato sotto il profilo delle 4 leve del marketing mix:
Prodotto, Prezzo, Distribuzione e Comunicazione. Le finalità saranno, dopo aver creato un profilo di ogni segmento di mercato ed aver definito ciascuna impresa nautica
all'interno del proprio micro segmento, aver prodotto un‟analisi comparativa tra le
diverse strategie di marketing mix dei diversi players operanti all'interno del mercato
nautico internazionale anche nell'ottica di “strategic product development” tesa a
pianificare, attuare e controllare il posizionamento competitivo all'interno del segmento
di mercato selezionato. L‟analisi comparativa adottata sarà caratterizzata da un
complesso di attività interne ed esterne finalizzate a misurare le capacità competitive
delle imprese attraverso la rilevazione delle prestazioni dei singoli prodotti e servizi,
nonché sull'importanza ad essi attribuita ai differenti fattori caratterizzanti il mix
d‟offerta.
Offshore wind farms in Lake Michigan have the potential to power almost 3 million homes while providing environmental and economic benefits. However, their development has faced challenges due to public opposition and a lack of political support. Educating the public about the benefits of offshore wind, including providing clean energy without harming wildlife or views, could help build support and allow the United States to tap into this sustainable energy source, as has already been done successfully in Europe.
The Strategic Plan for Tourism was prepared by the Standing Committee on Tourism Promotion in Italy. With the technical support of INVITALIA, this work was coordinated by the Directorate General of Tourism of the MiBACT. The PST is the result of the work of thousands of operators, authorities and citizens who have contributed their ideas and proposals.
To find out more: www.pst.beniculturali.it
Technological revolutions in the area of transport and communication have reduced the drawbacks of natural barriers such as distance and cost. The main objective of a supply chain is to deliver products to market with variety, responsiveness, timeliness and efficiency. Internet has opened up new facilities for creating a relationship with global customers, potential customers, suppliers and channel members.
For more such innovative content on management studies, join WeSchool PGDM-DLP Program: http://bit.ly/ZEcPAc
This chapter is an introduction to International marketing. It covers the need for International Marketing, Difference between Domestic and International Marketing, The EPRG frame work, Challenges for International Marketing.
Il marketing esperienziale vede nel cliente il primo capitale finanziario. Il consumo è visto come un'esperienza. Allora il marketing deve capire queste dinamiche e, attraverso i moduli strategici - SEM - esperienziali farli vivere nella mente del cliente. Il customer experience management - CEM - è il management che deve strategicamente elaborare e mettere in pratica l'esperienza del cliente
L'internazionalizzazione delle società organizzatrici di eventi fieristici: u...Milena Carta
Una ricerca empirica sulle strategie internazionali di tre società multinazionali operanti nel settore fieristico: Reed Exhibitions, fiera di Francoforte e fiera di Milano. La ricerca che ha lo scopo di colmare, in via preliminare, le lacune esistenti in letteratura sull’internazionalizzazione delle imprese che organizzano eventi fieristici, analizza i seguenti elementi: le modalità di ingresso/presenza sui mercati esteri, la strategia di prodotto e la configurazione organizzativa prescelta dalle tre società all’estero.
Title: "The internationalization of trade fair organizers: an empirical analysis".
ABSTRACT: A research on international strategies of three multinational corporations (MNC) which play in exhibition industry: Reed Exhibitions, Messe Frankfurt and Fiera di Milano. This study aims to fill the gaps in the literature about internationalization of trade fair organizers, analyzing the following variables of internationalization process: the entry modes, the event service strategy (standardization vs adaption) finally the event's international organization (this work has abstract in English but the presentation is available only in Italian language).
Analisi comparativa del Marketing mix nelle imprese nautiche da diportodamiano cori
Lo studio della tesi svolta mira a configurare il mercato nautico, a individuare i
comportamenti delle varie imprese nautiche nei differenti segmenti di mercato. Qual è
l‟orientamento del mercato nautico? Qual‟è la domanda globale e il dimensionamento
dell‟offerta nautica? Domande a cui daremo risposta nelle pagine successive, rivolte
inoltre a inquadrare attraverso le azioni di marketing mix la programmazione dei
prodotti, la promozione della domanda e l‟esecuzione della vendita. Conoscere come si
articolano le strategie aziendali, se ci sono o meno analogie tra i vari competitors e/o tra
i diversi mercati. Descrivere la filiera nautica e scoprire i rapporti di sincronizzazioni
con i mercati di riferimento; misurare le quote di mercato delle imprese nautiche e i
vantaggi competitivi nei loro segmenti di riferimento. L‟obiettivo del lavoro di tesi è
stato analizzare i segmenti di mercato sotto il profilo delle 4 leve del marketing mix:
Prodotto, Prezzo, Distribuzione e Comunicazione. Le finalità saranno, dopo aver creato un profilo di ogni segmento di mercato ed aver definito ciascuna impresa nautica
all'interno del proprio micro segmento, aver prodotto un‟analisi comparativa tra le
diverse strategie di marketing mix dei diversi players operanti all'interno del mercato
nautico internazionale anche nell'ottica di “strategic product development” tesa a
pianificare, attuare e controllare il posizionamento competitivo all'interno del segmento
di mercato selezionato. L‟analisi comparativa adottata sarà caratterizzata da un
complesso di attività interne ed esterne finalizzate a misurare le capacità competitive
delle imprese attraverso la rilevazione delle prestazioni dei singoli prodotti e servizi,
nonché sull'importanza ad essi attribuita ai differenti fattori caratterizzanti il mix
d‟offerta.
Offshore wind farms in Lake Michigan have the potential to power almost 3 million homes while providing environmental and economic benefits. However, their development has faced challenges due to public opposition and a lack of political support. Educating the public about the benefits of offshore wind, including providing clean energy without harming wildlife or views, could help build support and allow the United States to tap into this sustainable energy source, as has already been done successfully in Europe.
The Strategic Plan for Tourism was prepared by the Standing Committee on Tourism Promotion in Italy. With the technical support of INVITALIA, this work was coordinated by the Directorate General of Tourism of the MiBACT. The PST is the result of the work of thousands of operators, authorities and citizens who have contributed their ideas and proposals.
To find out more: www.pst.beniculturali.it
Technological revolutions in the area of transport and communication have reduced the drawbacks of natural barriers such as distance and cost. The main objective of a supply chain is to deliver products to market with variety, responsiveness, timeliness and efficiency. Internet has opened up new facilities for creating a relationship with global customers, potential customers, suppliers and channel members.
For more such innovative content on management studies, join WeSchool PGDM-DLP Program: http://bit.ly/ZEcPAc
This chapter is an introduction to International marketing. It covers the need for International Marketing, Difference between Domestic and International Marketing, The EPRG frame work, Challenges for International Marketing.
Il marketing esperienziale vede nel cliente il primo capitale finanziario. Il consumo è visto come un'esperienza. Allora il marketing deve capire queste dinamiche e, attraverso i moduli strategici - SEM - esperienziali farli vivere nella mente del cliente. Il customer experience management - CEM - è il management che deve strategicamente elaborare e mettere in pratica l'esperienza del cliente
L'internazionalizzazione delle società organizzatrici di eventi fieristici: u...Milena Carta
Una ricerca empirica sulle strategie internazionali di tre società multinazionali operanti nel settore fieristico: Reed Exhibitions, fiera di Francoforte e fiera di Milano. La ricerca che ha lo scopo di colmare, in via preliminare, le lacune esistenti in letteratura sull’internazionalizzazione delle imprese che organizzano eventi fieristici, analizza i seguenti elementi: le modalità di ingresso/presenza sui mercati esteri, la strategia di prodotto e la configurazione organizzativa prescelta dalle tre società all’estero.
Title: "The internationalization of trade fair organizers: an empirical analysis".
ABSTRACT: A research on international strategies of three multinational corporations (MNC) which play in exhibition industry: Reed Exhibitions, Messe Frankfurt and Fiera di Milano. This study aims to fill the gaps in the literature about internationalization of trade fair organizers, analyzing the following variables of internationalization process: the entry modes, the event service strategy (standardization vs adaption) finally the event's international organization (this work has abstract in English but the presentation is available only in Italian language).
Adeguare la comunicazione aziendale alle specificità dei mercati esteri: le nuove soluzioni per creare documentazioni e siti web multilingue di successo".
Localizzazione, traduzione automatica e assitita, traduzione in ottica SEO, transcreation e molto altro.
Destinazione Italia e investimenti esteri - Massimo Caputi Real Estatemichelaplatini
Caputi: per il real estate c’è ancora molto da fare. Il piano Destinazione Italia va nella giusta direzione ma al mattone servono investitori esteri, dice il vicepresidente di Prelios.
L'analisi dei mercati esteri (parte1) attrattività m_cristofaroMatteo Cristofaro
This presentation (in italian language) is about the recomended decision process that is suggested to make in order to choice the suitable countries in which concentrate the company effort for reaching the internazionalization; particularly, this class is focused on the first driver of the decision process: attractivity of foreign markets.
Questa presentazione riguarda il processo decisionale consigliato che si propone di fare per la scelta dei paesi in cui concentrare gli sforzi dell'azienda per raggiungere l'internazionalizzazione; in particolare, questa lezione è focalizzata sul primo fattore del processo decisionale: attrattività dei mercati esteri.
Internazionalizzazione - Progetto SvizzeraRighetconsult
Il concept del Progetto Svizzera, ovvero un progetto di internazionalizzazione concepito per tutte le imprese ma in particolare PMI - friendly.
Gestire l'export e l'internazionalizzazione di piu' aziende come un progetto consente non solo rischi molto minori, ma anche di gestire la sinergia tra tutte le imprese interessate alla Svizzera.
Internazionalizzazione – Africa e Medio OrienteRighetconsult
La versione online delle slides della presentazione tenuta presso la Confcommercio - Ascom di Padova, nell'ambito delle attivita' per l'anno dell'internazionalizzazione.
In questo quinto appuntamento, si e' parlato di Africa e Medio Oriente, con un accento speciale sull'Iran.
Le slides sono un riferimento per la presentazione, tuttavia sono comunque molto utili per chi si interessa di internazionalizzazione di impresa, di export, di analisi dei rischi e – naturalmente - di geopolitica.
Presentazione della tesi di laurea magistrale della dott.ssa Diana Ricciardi ...didiana
Obiettivo del lavoro è dimostrare come i Centri Commerciali Naturali (CCN) possano diventare realmente uno strumento per la valorizzazione del territorio contrastando il fenomeno della desertificazione dei centri storici. Attraverso l'analisi di Town Centre Management si cerca di coglierne le peculiarità strutturali, organizzative e i ruoli svolti dagli attori territoriali coinvolti.
Con questa metodologia è possibile individuare il vantaggio competitivo che le imprese commerciali possono godere in un contesto pianificato rispetto a quelle che operano all’interno di un’aggregazione spontanea.
Il caso preso in esame vuole approfondire il modello di Centro Commerciale Naturale e l’interazione tra i diversi stakeholder presenti sul territorio palermitano tenendo in considerazione il tessuto economico e sociale nonché la normativa vigente in Sicilia ed in particolare a Palermo relativa al commercio.
Aim of this work is to show how Town Centre Management (TCM) can really become an instrument for the area development countering the phenomenon of desertification of city centers.
The analysis of Town Centre Management searches the structural and organizational peculiarities and the roles played by local actors and different stakeholders involved.
Il ruolo del CFO per la crescita dimensionale nel middle marketFondazione CUOA
A cura di CUOA Finance (Francesco Gatto, Mirca Toniolo e Bruno Borgia) e KPMG (Manuela Grattoni e Alessandro Ragghianti)
Questa ricerca intende sviluppare una riflessione su alcune “leve” che potrebbero favorire uno sviluppo del middle market in Italia, partendo dal presupposto che il tessuto italiano è composto in assoluta prevalenza da aziende rientranti in tale segmento e che saranno obbligate ad un percorso di crescita per esser competitive sul mercato mondiale. La “leva” che nell’articolo viene esaminata è la crescita del management, con particolare riferimento al ruolo del CFO destinato ad assumere sempre più un ruolo “direzionale” a supporto dell’imprenditore.
Con i due Decreti Sviluppo del 2012, sono stati rimossi i principali ostacoli di natura civilistica e fiscale che di fatto precludevano alle PMI la possibilità di emettere obbligazioni per raccogliere risorse finanziarie, privandole di qualsiasi reale alternativa alla strada tradizionale dell’indebitamento bancario. In virtù di questi
interventi le PMI non quotate possono oggi emettere titoli sul mercato obbligazionario, i cosiddetti “mini-bond”, alle medesime condizioni delle società quotate in Borsa.
Quando si decide di operare su mercati stranieri diventa quanto mai necessario avere a disposizione strumenti operativi e amministrativi per poter meglio valutare i rischi o i limiti dell’impresa. Nelle numerose interviste che Press ospita in questo numero emerge un dato chiaro: le pmi, tema tanto caro ai commercialisti, oggi hanno significative chance per esportare i loro prodotti all’estero. L’aspetto dimensionale dell’impresa non costituisce più un limite. Quello che conta sono la competitività dei prodotti, l’azione di marketing, il know how, gli investimenti. E, naturalmente, una corretta e approfondita informazione e formazione.
Marina puricelli piccola impresa e internazionalizzazioneErik Paul Kooijmans
Un articolo interessante ed istruttivo sull'internazionalizzazione delle PMI italiane.
Da Marina Puricelli, Docente Master Internazionalizzazione d'Impresa
A cura di Daniele Pilchard e del Tavolo di Lavoro M&A di AIFI. I primi destinatari di questa Guida sono gli imprenditori e i manager delle piccole e medie imprese. L’impostazione editoriale è quindi di taglio divulgativo, una Guida scritta per i non esperti da esperti del settore che si sono cimentati nel tradurre in considerazioni metodologiche le esperienze maturate “sul campo” nelle varie fasi dell’attività di M&A.
LE ACQUISIZIONI INTERNAZIONALI NEL SETTORE DEL "MADE IN ITALIY" - Saggio fina...Melania Vasta
l sistema imprenditoriale italiano è rappresentato da un rilevante numero di piccole e medie imprese. In passato la loro ridotta dimensione coniugata alla capacità di adattamento alle esigenze del mercato costituivano una fonte di vantaggio competitivo per le aziende italiane.
Nell'attuale sistema di mercato per competere a livello internazionale è necessario puntare sul trinomio crescita - diversificazione - investimento in risorse umane.
Ma sono poche le imprese che dispongono di una sufficiente riserva di risorse finanziarie da investire in una crescita per linee interne.
Quindi l’alternativa più valida e praticabile per la creazione di nuovo valore è rappresentata dalla crescita per linee esterne, ossia tramite le operazioni di M&A.
Il presente elaborato si sofferma sul fenomeno delle “acquisizioni internazionali nel settore del Made in Italy”, ovvero all’interno del mercato delle M&A in Italia abbiamo assistito al passaggio di proprietà di numerose aziende di successo e famose in tutto il mondo per le caratteristiche distintive della manifattura italiana, agli investitori industriali in maggioranza stranieri tramite le strategie di crescita per via esterna.
Un mio intervento sulla realtà imprenditoriale italiana e le eccellenze del sistema economico toscano, in relazione agli scenari internazionali e ai trend del commercio mondiale. Ci attendiamo grandi opportunità, per le nostre imprese, soprattutto dai trattati internazionali di libero scambio...
Minibond: un'intervista di Andrea Silvello sul nuovo numero di Uomo&ManagerMiniBondItaly.it
COSA SONO I MINIBOND? COSA POSSONO
APPORTARE AD UN’AZIENDA?
IL FONDATORE DEL SITO WEB
MINIBONDITALY.IT, SPECIALIZZATO SULL’ARGOMENTO,
CI RACCONTA COME QUESTA
REALTÀ STIA (LENTAMENTE)
PRENDENDO PIEDE.
L'innovazione sostenibile - La Ricerca & Sviluppo permanente di idee e proget...Roberto Gallerani
Parlare di innovazione, nel mondo delle PMI, è assai fin troppo facile e di “moda”; quando poi si prova a discuterne sul campo, con un cliente o un partner, quasi sempre si scopre la difficoltà di comprendersi, di parlare il medesimo linguaggio, di fare riferimento agli stessi concetti. Chi opera a vario titolo, come consulente, professionista, società commerciale, ha una sua visione maturata nel quotidiano attraverso la propria attività ed il rapporto con il mercato. In particolare, in queste pagine, si vogliono analizzare brevemente i principali aspetti pratici, di metodo e d’uso di strumenti atti a facilitare un diverso modo di operare nelle imprese, nel quale venga dato il massimo rilievo a quei processi che favoriscono lo sviluppo delle idee e, da esse, la creazione di nuove opportunità di valore e di business. Non a caso chi scrive ritiene che la chiave di volta di un diverso (e forse nuovo) modo di operare sia quello di creare un metodo, un’infrastruttua organizzativa ed ICT, una cultura della “Ricerca & Sviluppo permanente di idee e progetti di nuove opportunità e valore”, che sia alla base, in ogni settore, di un vantaggio competitivo che nasce dall’ “amplificazione esplosiva” delle capacità e dalle potenzialità umane anziché dal solo loro “sfruttamento”.
Tuttavia, come si è detto, prima di affrontare questo tema con proposte costruttive è necessario comunicare, capirsi, discutere e condividere ampiamente, laddove è possibile, un’impostazione e dei valori comuni. Lo scopo di queste pagine è quindi in questa direzione, quello di riassumere alcuni elementi ed una visione nati da riflessioni e discussioni sul campo, cercando al contempo di mettere in fila argomenti, domande e possibili risposte per fare un primo passo verso un confronto costruttivo. E’ possibile che la “prima edizione” non riesca al meglio in questo fine, ma per fortuna è sempre possibile, ed auspicabile, redarre versioni successive che traggano impulso da critiche e osservazioni.
Accento sull'Italia. I nuovi paradigmi del cambiamento e gli impatti sulla CE...ideaTRE60
ll mondo cambia e le aziende non possono più stare a guardare. I vecchi modelli di business cominciano a scricchiolare, alcuni sono già crollati, e il rischio, per chi non comprende e non si adegua ai nuovi paradigmi, è di perdere competitività. Ridisegnare le strategie aziendali è necessario per la sopravvivenza sul mercato, niente di più e niente di meno. Ma quali sono i nuovi modelli? E come trasformeranno le economie? A queste domande cerca di rispondere Accento sull'Italia, un percorso realizzato da Accenture per interpretare i profondi cambiamenti sociali, economici e culturali già in atto, analizzandoli per preparare i CEO ad anticiparne gli effetti nei vari settori.
Leggi tutto su www.ideaTRE60.it
Intervista a Stefano Sansavini sul tema InternazionalizzazioneChange_Project
Nel percorso di internazionalizzazione è fondamentale
poter contare su un sostegno per affrontare ostacoli burocratici e commerciali. Quest'anno tramite Camera di commercio di Treviso in collaborazione con Veneto Promozione sono stati svolti diversi interventi formativo-consulenziali rivolti alle pmi del territorio su temi diversi fra loro, ma legati al processo di internazionalizzazione, ne parliamo con Stefano Sansavini, partner e consulente di Change Project.
Intervista su Realtà Industriale - Giuseppe Visentini
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
1. L’internazionalizzazione delle imprese
italiane nel settore del mobile
arredamento
Facoltà di Economia
Corso di laurea in Economia Aziendale
Cattedra di Economia e Gestione delle imprese internazionali
Relatore: Chiar.mo Prof. Matteo G. Caroli Candidato: Marco Vatteroni
Correlatore: Chiar.mo Prof. Alberto Marcati
1
2. CAPITOLO I
1 L’INTERNAZIONALIZZAZIONE DELLE IMPRESE..................9
1.1 CENNI INTRODUTTIVI........................................................................................9
1.2 L’INTERNAZIONALIZZAZIONE DELLE IMPRESE E LA GLOBALIZZAZIONE DEI
MERCATI...................................................................................................................11
1.2.1 Il dinamismo del mercato mondiale: un problema per le imprese.......................15
1.2.2 Le determinanti della globalizzazione dei mercati..................................................21
1.2.3 La nascita di nuovi concorrenti...................................................................................26
1.3 IL PROCESSO DI INTERNAZIONALIZZAZIONE DELLE IMPRESE..................29
1.3.1 Il processo evolutivo dell’impresa internazionalizzata...........................................29
1.3.2 Le cause del processo di internazionalizzazione......................................................42
1.3.2.1 Forze interne.......................................................................................................................42
1.3.2.2 Forze esterne........................................................................................................................51
1.3.3 Le fasi del processo di internazionalizzazione .........................................................53
1.3.4 Le modalità di internazionalizzazione.......................................................................57
1.3.4.1 Gli accordi produttivi.........................................................................................................60
1.3.4.2 L'investimento diretto estero.............................................................................................64
1.3.4.3 Le joint venture....................................................................................................................68
1.3.5 I modelli organizzativi..................................................................................................69
2 L’ANDAMENTO DELL’ INTERNAZIONALIZZAZIONE
DELLE IMPRESE ITALIANE..............................................................74
2.1 CENNI STORICI...................................................................................................74
2.2 LE IMPRESE ITALIANE .......................................................................................79
2.2.1 La struttura imprenditoriale.......................................................................................79
2.2.2 La specializzazione delle imprese italiane.................................................................83
2.2.3 Nazionalità e competitività delle imprese.................................................................91
2.3 L’INTERNAZIONALIZZAZIONE DELLE IMPRESE ITALIANE................................95
3 I DISTRETTI.....................................................................................105
3.1 CONCETTI GENERALI.......................................................................................105
3.2 IMPRESA DISTRETTUALE, INTERNAZIONALIZZAZIONE E VANTAGGIO
COMPETITIVO.........................................................................................................107
3.3 LE STRATEGIE DI INTERNAZIONALIZZAZIONE DELLE IMPRESE DISTRETTUALI
................................................................................................................................114
3.3.1 Il profilo delle imprese...............................................................................................115
3.3.2 La dimensione dell’internazionalizzazione produttiva........................................116
2
3. 3.3.3 L’ Organizzazione della supply chain......................................................................118
3.3.4 Processi di internazionalizzazione e tecnologie di rete.........................................125
3.3.5 Gli investimenti diretti all’estero...............................................................................130
4 IL SETTORE DEL MOBILE ARREDAMENTO.................132
4.1 LE CARATTERISTICHE DEL SETTORE................................................................132
4.2 COMPLESSITÀ DELL’AMBIENTE COMPETITIVO.............................................138
4.3 I SISTEMI PRODUTTIVI LOCALI DEL LIVENZA E DEL QUARTIER DEL PIAVE.144
4.3.1 Unità locali e addetti nei distretti mobilieri.............................................................151
4.3.2 La fase della crescita estensiva...................................................................................155
4.3.3 Caratteristiche generali delle imprese......................................................................164
4.3.4 Il portafoglio prodotti.................................................................................................169
4.3.5 L’apertura internazionale dei sistemi produttivi locali.........................................175
5 CONCLUSIONI................................................................................182
BIBLIOGRAFIA...........................................................................................................................................................186
3
4. INTRODUZIONE
È possibile affermare che l’internazionalizzazione ha influenzato e
continua a influenzare il tradizionale modello industriale
“all’italiana”.
Lo sviluppo della globalizzazione richiede alle aziende italiane uno
sforzo per crescere nelle dimensioni e per migliorare
l’organizzazione aziendale.
Negli ultimi anni gli scenari internazionali sono cambiati; a causa
della liberalizzazione di molti mercati, degli accordi nati tra paesi,
della crisi economica mondiale, l’ambiente competitivo delle imprese
si è ampliato in maniera rilevante.
Le aziende italiane si trovano a dover fronteggiare nuove minacce
derivanti da competitors stranieri, ma allo stesso tempo sono nate
nuove opportunità di ampliare il proprio business, la propria
dimensione, conquistando nuovi mercati e quindi
internazionalizzandosi.
La spina dorsale della realtà economica italiana è ancora
rappresentata dalla Piccola e Media Impresa ma i mutamenti di
mercato, tendenti verso la globalizzazione, fanno ritenere che ormai
la piccola dimensione non sia più così “conveniente” ed occorra una
crescita quantitativa e qualitativa.
4
5. Oggi la concorrenza globale impone determinati standard
dimensionali e organizzativi che, spesso, si rivelano proibitivi,
soprattutto per le imprese italiane solitamente medio-piccole.
La dimensione ridotta delle nostre aziende, considerata fino a pochi
anni fa una caratteristica premiante, oggi diventa una ''criticità'' nel
confronto internazionale.
In passato si riteneva che la “taglia ridotta” costituisse un notevole
punto di forza: le imprese di dimensioni ridotte, infatti, sono
maggiormente flessibili e consentono di godere di una struttura
basata soprattutto su costi ed oneri prevalentemente variabili,
facilmente conformabili alle variazioni della domanda.
Ma la limitata dimensione porta con se anche diversi svantaggi
evidenziati dal confronto internazionale: la difficoltà di seguire
efficacemente l’evoluzione dei mercati, la minore capacità di attrarre
risorse, in particolare quelle umane ed intangibili, le basi sia
tecnologiche che finanziarie insufficienti per rimanere competitive
sono soltanto alcuni esempi.
Proprio di fronte all’internazionalizzazione il tessuto produttivo
italiano appare inadeguato ad affrontare le nuove sfide che il mercato
propone. Il concetto di “piccolo”, nel contesto globale, deve essere
inteso come freno alla crescita, insomma, le piccole dimensioni sono
ormai insufficienti per penetrare efficacemente e convenientemente i
mercati esteri.
Gli imprenditori che governano le PMI, di fronte a questa situazione,
devono riorientare le loro scelte strategiche, impegnandosi a salire
5
6. almeno di un gradino nella scala dimensionale, per essere più
competitive in Italia e all’estero.
Diventa fondamentale acquisire “l’ambizione e la tensione alla
crescita”, realizzabile anche attraverso la costituzione di reti di piccole e
medie imprese, all’interno delle quali si mettono in comune alcune
iniziative ed attività per affrontare insieme, ed in un modo nuovo, i
mercati esteri e locali. Con le organizzazioni a rete è possibile realizzare
un adeguato “gioco di squadra”, nuovo presupposto per il
miglioramento del livello competitivo dell’impresa e per la riduzione
del rischio complessivo.
Quello che è importante rilevare a questo proposito è l’ostacolo
culturale.
L’imprenditore che oggi si trova alla guida di una PMI deve acquisire
una mentalità diversa, una cultura d’impresa diversa, sia a livello di
management, sia a livello imprenditoriale, in quanto attualmente una
PMI, da sola, difficilmente può affrontare le ingenti spese richieste
per l’internazionalizzazione, soprattutto in relazione ai notevoli
livelli di costi che si determinano con l’attività di espansione sui
mercati esteri.
La globalizzazione dei mercati comporta due ordini di problemi per
la piccola e media impresa: i costi produttivi, problema al quale
l’imprenditore può far fronte salvaguardando la propria tecnologia e
quindi la qualità, sviluppando le competenze e le abilità di riduzione
continua dei costi, ed il problema della commercializzazione,
valorizzazione e posizionamento dell’offerta aziendale. E’ forse questo il
problema cruciale giacché molti imprenditori di piccole dimensioni
6
7. investono maggiormente nella produzione, trascurando le attività di
marketing, commercializzazione e valorizzazione dell’offerta
aziendale che rappresentano, invece, fondamentali punti di forza nel
sempre più difficile confronto internazionale.
A tale proposito, le Associazioni di categoria stanno facendo molto,
fornendo ad esempio informazioni sui mercati esteri o nella
costituzione di consorzi all’esportazione. Si assiste tuttavia ancora
spesso, ad un ostinato individualismo, tanto che gli imprenditori
italiani si considerano più come “concorrenti”, che come
“collaboratori”. La possibilità di pervenire alla realizzazione di
dimensioni d’impresa competitive attraverso accordi, partnership,
alleanze e fusioni sembra ancora difficile (a causa, com’è stato
precisato sopra, di “resistenze” di carattere culturale) anche se il
ricorso a strutture organizzative integrate e a reti diventa sempre più
una necessità imprescindibile per imprese che, pur essendo
qualificate nell’attività di progettazione e produzione, devono ora
sviluppare competenze ed iniziative strategiche di
commercializzazione e vendita nel mercato globale, effettuando
investimenti strutturali e sistemici difficili da realizzare, soprattutto
per le PMI.
I tentativi fino ad oggi attuati nella direzione della crescita
dimensionale delle PMI italiane conducono a far ritenere che la
realizzazione di questo obiettivo possa attuarsi attraverso diverse
forme di internazionalizzazione.
7
8. Prendendo come settore specifico di riferimento quello del mobile-
arredamento, si può analizzare il tipico esempio di PMI italiana
manifatturiera.
La produzione in questo settore è per la maggior parte organizzata in
distretti, e i punti di forza delle imprese sono l’elevata flessibilità, il
design, apprezzato in tutto il mondo, e il fatto di essere Made in Italy.
Non bisogna però pensare solo a difendere queste forme di
vantaggio competitivo. Le imprese infatti dovrebbero cercare di
focalizzare le loro strategie anche su altri aspetti, proprio come la
crescita dimensionale e l’internazionalizzazione del proprio business.
E riguardo a ció che si riscontrano i maggiori problemi per le imprese
italiane nel confronto con quelle straniere, problemi causati da lacune
manageriali, organizzative, finanziarie, che rendono gli imprenditori
incerti sulla scelta di progetti di investimento di crescita aziendale
basati sull’ internazionalizzazione.
Anche lo Stato si è accorto da tempo delle difficoltà delle nostre
imprese nel confronto internazionale, e ha preso in esame la
situazione per cercare delle soluzioni che aiutino a colmare queste
lacune, tramite azioni di “supporto all’internazionalizzazione”.
Se saranno attuati determinati processi possiamo aspettarci una
ripresa delle nostre imprese.
8
9. CAPITOLO I
1 L’internazionalizzazione delle imprese
1.1 Cenni introduttivi
Il gran parlare che si fa di economia globale e di globalizzazione
lascia pochi dubbi sul fatto che tutti i comportamenti e i problemi
economici siano profondamente influenzati da questa tendenza.
Tuttavia, proprio il moltiplicarsi dei riferimenti alla globalità ha finito
per rendere confuso il significato di questa parola.
Sappiamo di vivere in un mondo che è sempre più globale; ma non
sappiamo bene quali siano le conseguenze di questo fatto. O meglio,
capita che ciascuno di noi abbia in mente conseguenze diverse e
spesso contrastanti.
C’è bisogno dunque di una chiarificazione sui diversi significati che
possono essere assegnati al termine “globale”. Prima di tutto, in
negativo, bisogna dire che “globale” non è un altro modo di dire
“internazionale”.
Tra i due termini va fissata una demarcazione che segna poi anche la
discontinuità che è intervenuta tra due epoche diverse: il fordismo e il
post fordismo.
La globalizzazione richiesta dall’economia attuale è cosa diversa
dall’internazionalizzazione: infatti, mentre quest’ultima rappresenta
9
10. l’espansione su scala mondiale della singola impresa, quasi fosse un
prolungamento internazionale della grande impresa fordista, la
globalizzazione significa sviluppo della divisione transnazionale del
lavoro tra più imprese, e dunque loro trasformazione in entità multi-
territoriali interconnesse in reti sovranazionali.
La globalizzazione dell’economia internazionale consiste perciò
nell’evoluzione delle microstrutture economiche verso una
composizione oligopolistica di grandi multinazionali e di aziende
con reti strutturali, che implicano significativi cambiamenti nel
concetto di competizione.
La tradizionale idea di competizione nazionale legata alla capacità
dell’economia nazionale di generare flussi correnti positivi o,
alternativamente, alla capacità di assorbire risorse esterne solo in
minima parte, è ormai superata. La dimensione sovranazionale
dell’attività economica si è accompagnata all’aumentata circolazione
dei capitali, soprattutto in Europa(UE), e alla globalizzazione dei
mercati che si è determinata a seguito degli importanti fenomeni di
cambiamento tecnologico.
Inoltre globalizzazione ed internazionalizzazione dei mercati
descrivono un contesto economico e finanziario in cui il tradizionale
legame tra l’impresa, in particolare la grande impresa, e la nazione di
appartenenza tendono a perdere importanza, mentre diventa
decisivo l’insieme dei mercati e delle localizzazioni produttive
dell’impresa.
Mercati integrati in ampie aree regionali sui quali finisce per essere
investito larga parte del risparmio che si è formato nella medesima
10
11. area, grandi gruppi organizzati in maniera reticolare, un sistema di
piccole-medie imprese che in larga misura finisce per far riferimento
ai grandi gruppi sia attraverso accordi che rapporti di subfornitura,
definiscono un panorama in cui la nozione di competitività-paese
viene posta in discussione o va quantomeno ridefinita.
Questo perché, anche per le piccole realtà economiche, la
globalizzazione non permette scollamenti o ripensamenti, pena il
pagamento di un prezzo altissimo in termini di emarginazione e
sudditanza rispetto ai poli più attenti e integrati con la logica delle
società più avanzate e aperte al mercato. Dalla globalizzazione non ci
si può soltanto difendere poiché essa è la strada attraverso cui sta
emergendo un nuovo modo di produrre e di competere. Proteggersi
da essa significherebbe ritardare il contatto dell’economia nazionale
con la sperimentazione delle forme post fordiste di produzione e di
concorrenza.
1.2 L’Internazionalizzazione delle imprese e la
globalizzazione dei mercati
Il processo d’integrazione tra le economie della maggior parte del
mondo che si è sviluppato soprattutto a partire dalla fine della
seconda guerra mondiale, ha determinato un notevole avvicinamento
ed una minore caratterizzazione delle aree geopolitiche del sistema
economico mondiale, col risultato del progressivo annullarsi dei
11
12. confini e delle distinzioni tra i singoli sistemi nazionali, oggi
strettamente interconnessi sul piano economico e sociale.
Le differenze culturali si vanno progressivamente riducendo ed i
modelli locali di consumo si diffondono, stimolando un processo di
imitazione che sfocia in una maggiore uniformità culturale e di
comportamento, e per effetto del medesimo processo, la maggiore
uniformità si accompagna peraltro alla maggiore varietà locale delle
caratteristiche della domanda (globalizzazione).
Da tutto ciò emerge un contesto di mercato complesso caratterizzato
dalla molteplicità e dalla compresenza di forme distinte, in cui i
confini geo-politici assumono un ruolo sempre meno utile ai fini
della spiegazione delle differenze.
Tra le determinanti di tale processo, un ruolo centrale può essere
assegnato allo sviluppo internazionale delle imprese e al
trasferimento oltre i confini domestici di beni e servizi, capitali,
risorse, tecnologie, informazioni e dati.
Non a caso sempre più rilevante è il numero delle imprese con una
crescente e significativa presenza nei mercati internazionali, e sempre
più variegate appaiono, peraltro, le forme da loro assunte.
L’origine del processo di globalizzazione appartiene assolutamente
alla storia economica contemporanea, trovando le proprie radici nello
sviluppo delle attività internazionali verificatosi nel secondo
decennio successivo alla fine dell’ultimo conflitto mondiale, allorché
si assistette al passaggio dalla tradizionale forma di commercio
12
13. internazionale del (periodo fordista1
) costituita da transazioni tra
imprese indipendenti appartenenti a paesi diversi,
all’internazionalizzazione delle attività componenti la catena del
valore delle imprese (periodo post-fordista). Il passaggio
all’investimento diretto all’estero (IDE) ha dato appunto origine al
fenomeno delle imprese multinazionali determinando, col passare
del tempo, l’accelerazione dello sviluppo di altre modalità di
internazionalizzazione quali le forme di cooperazione pubblica e
privata a livello internazionale e l’ampliamento della tipologia di
attività aziendali e dei settori coinvolti nel processo di
internazionalizzazione.
In questa ottica, si potrebbe affermare che le imprese hanno acquisito
una visione ed un orizzonte “globali” nel tentativo di integrare
mercati, risorse e attività su scala mondiale. In ciò risiede il principale
orientamento degli ultimi decenni.
Gli anni recenti sono caratterizzati da un processo di globalizzazione
e d’integrazione che tende a diffondersi in misura crescente tra tutti i
paesi, in tutte le attività economiche e tra tutte le imprese, anche
quelle di minori dimensioni.
Questa fase oggi interessa molte imprese appartenenti a diversi
settori, le quali viste le condizioni favorevoli che si sono andate
1
L’internazionalizzazione fordista riguardava un gruppo ristretto (un’Elite) di imprese e investiva una parte
specifica di attività, svolta appunto all’estero (Grandinetti e Rullani 1994). Erano internazionali le
maggiori imprese, il cui gigantismo debordava quasi ‘naturalmente’ dai confini nazionali, o le imprese collegate
al potere transnazionale esercitato dai maggiori stati (in primis gli Stati Uniti, ma anche vecchie potenze
coloniali come Gran Bretagna e Francia) (Vaccà e Rullani 1983). Le altre imprese operavano
saldamente ancorate - quanto a produzione, personale, management, capitale azionario e di credito – ai confini
nazionali, e praticavano i mercati transnazionali solo per le forniture (materie prime, tecnologie, macchine) e
per le vendite (esportazioni).
13
14. creando, hanno deciso di fare un passo decisivo verso l’
internazionalizzazione.
Le condizioni favorevoli si sono create anche grazie all’evoluzione
degli scenari internazionali dovuta ad una serie di eventi che negli
ultimi anni hanno portato forti cambiamenti nell’economia mondiale:
anni di grandi evoluzioni, che hanno assistito all’unificazione
europea e alla creazione del mercato unico europeo, alla nascita del
WTO (1994), al passaggio dalla lira all’ euro, e poi alla crisi del
mercato mondiale che ha portato all’emergere di nuovi attori e nuovi
mercati: dalla Cina all’India, senza dimenticare la Russia o il Sud
America. In conseguenza a questi cambiamenti le imprese si sono
trovate ad affrontare nuove situazioni, e a dover proporre nuove
strategie per cercare di conquistare posizioni nell’arena competitiva
globale.
L’internazionalizzazione è per l’impresa una strategia di crescita2
caratterizzata dal fatto di gestire in maniera permanente attività di
natura economica (commerciale e/o produttiva) in due o più paesi
(M.Caroli, Globalizzazione e localizzazione dell’impresa
internazionalizzata, 2003,Franco Angeli).
È giusto chiedersi perché le imprese sono portate ad
internazionalizzarsi.
Di solito l’avvio del processo d’internazionalizzazione di molte
imprese coincide con la saturazione del mercato domestico e
2
Le strategie di crescita a differenza delle strategie competitive puntano ad allargare l’ambito di azione
dell’impresa. Essa potrà espandersi nel mercato domestico diversificando la sua attività in altri settori o
rafforzando la propria posizione nel suo business originario tramite l’integrazione verticale a monte o a valle
della filiera produttiva, oppure può attuare una diversificazione geografica (cioè internazionalizzarsi),
sviluppando una posizione competitiva in nuovi territori. Naturalmente questi tre possibili sentieri di crescita
non sì auto-escludono (Wolf, 1977).
14
15. l’intensificazione della competizione tra prodotti nazionali dovuta
anche all’entrata dei prodotti esteri, oppure con la nascita di
condizioni di mercato favorevoli.
La scelta dell’internazionalizzazione, se talvolta è determinata dal
caso e vissuta come un’opportunità di breve periodo, molto più
frequentemente rappresenta una necessità per quelle imprese che, in
possesso di competenze distintive, vedono restringersi i mercati
interni e sono indotte ad ampliare il ventaglio geografico dei mercati
per garantirsi lo spazio vitale necessario per continuare a essere
competitive. L’ingresso di imprese straniere molto competitive, nei
mercati locali, ha profondamente modificato la loro situazione
concorrenziale costringendole a rivedere i propri piani strategici.
A fronte di questa ipercompetitività che si è venuta a creare, molti
imprenditori si sono trovati di fronte ad un bivio evolutivo che
poteva portare alla marginalità o alla crescita tramite
l’internazionalizzazione, ed hanno “scelto” questa ultima strada. Le
motivazioni che conducono molti imprenditori a spingersi verso
l’esterno non sono quindi ascrivibili solo ad un mero intento
speculativo di breve periodo, basato sullo sfruttamento di specifiche
situazioni locali ma, al contrario, sono sostenute da un orizzonte
temporale ampio(L/p).
1.2.1 Il dinamismo del mercato mondiale: un problema per le
imprese
I cambiamenti nella mappa politica, economica e socioculturale
15
16. mondiale si verificano ad una velocità sempre maggiore e quasi
incontrollabile, determinando un significativo ampliamento del
divario tra le economie più ricche e quelle più povere.
In questo momento, dal punto di vista macroeconomico il trend più
evidente è rappresentato dalla diminuzione dei tassi di crescita dei
paesi della Triade (Europa, Nord America, Giappone), ormai
stabilmente inferiori all’aumento di produttività contrapposta
all’espansione dei cosiddetti paesi emergenti, dove spicca la Cina.
In circa trenta anni, i paesi dell’Asia orientale hanno guadagnato
oltre 16 punti percentuali sul prodotto interno mondiale, a scapito
soprattutto dei paesi occidentali industrializzati e di quelli
appartenenti all’ex blocco sovietico.
16
17. Tabella 1.1. Incidenza sul PIL mondiale dei principali paesi (valori in miliardi di $
USA,Ocse2004)
1. USA 10.881
2.Giappone 4.326
3.Germania 2.400
4.GB 1.749
5. Francia 1.747
6. Italia 1.465
7. Cina 1.409
8. Spagna 836
9. Canada 834
10. Messico 626
11. SudKorea605
12. India 598
13. Austarlia 518
14. Olanda 511
15. Brasile 492
16. Russia 433
17. Svizzera 309
18. Belgio 302
19. Svezia 301
20. Austria 251
21. Turchia 238
22.Norvegia 222
23.Danimarca212
24. Polonia 210
25.Indonesia 208
26.Arabia S. 188
27. Grecia 173
28.Finlandia 162
29.SudAfrica 160
30.HongKong 159
31.Portogallo149
32. Irlanda 149
33.Tailandia 143
34. Iran 137
35.Argentina130
36. Israele 104
37.Malaysia103
38.Singapore91
39.Rep.Ceca 85
40.Venezuela85
41. Ungheria 83
42. Egitto 82
43. Filippine 81
44.Colombia 78
45.NuovaZelanda76
46. Cile 72
47.EmiratiArabi Uniti 71
48. Pakistan 69
49.PuertoRico 68
50. Algeria 66
51. Peru 61
52. Romania 60
53. Bangladesh 52
54. Nigeria 50
55. Ucraina 50
56. Marocco 44
57. Vietnam 39
58. Kuwait 35
59.Slovacchia32
60.Kazakhistan30
61. Croazia 28
62. Ecuador 27
63. Slovenia 26
64.Lussemburgo 26
65. Guatemala 25
66. Tunisia 24
67. Siria 22
68. Oman 20
69. Bulgaria 20
70. S&M 20
71. Libia 20
72. Libano 19
73. Sri Lanka 19
74. Lituania 18
75. Sudan 18
76. Bielorussia 17
77. Costa Rica 17
78. Qatar 17
79.RDominicana16
80. El Salvador 14
81. Kenya 14
82.Costad’Av.14
83. Angola 13
84. Panama 13
85. Camerun 12
86. Cipro 11
87. Uruguay 11
88. Yemen 11
89. Islanda 10
90.Trinidad&Tobago 10
91.Uzbekistan10
92. Tanzania 10
93.Giordania 10
94. Lettonia 10
95. Estonia 8
96.Zimbabwe 8
17
18. Le imprese che vendono sui mercati mondiali devono affrontare,
come hanno già fatto nel corso degli anni novanta, diversi
problemi di carattere economico e finanziario che possono essere
ricondotti principalmente ai seguenti:
1) Sviluppo economico più lento rispetto ai decenni precedenti:
Dopo la forte espansione dei paesi industrializzati tra il 1950 e il
1973, lo sviluppo negli anni ottanta, seppur più lento, è stato
costantemente in crescita nonostante una serie di difficoltà che
hanno riguardato soprattutto le economie occidentali (saturazione
di alcuni mercati, rallentamento nella crescita della produttività,
lento processo di adeguamento delle strutture industriali alle
nuove condizioni dell’economia internazionale, limiti nella
capacità di fronteggiare l’inflazione, aumento dei tassi d’interesse
e quindi del costo del capitale). Anche grazie al significativo calo
dei prezzi delle materie prime e in particolare del petrolio, nel
1990 la tendenza è bruscamente cambiata. L’alternarsi di fasi di
stagnazione e di ripresa è culminato alla fine del decennio con la
gravissima crisi economica, finanziaria e politica che ha colpito
l’Argentina nel 1999 (circostanza che suscitò concrete paure sulla
possibilità di un “effetto domino” che avrebbe esteso la crisi
anche agli altri paesi dell’America Latina, già in difficoltà). Anche
il nuovo millennio non è affatto cominciato sotto i migliori auspici
e gli incubi di recessione sono diventati realtà con il grave attacco
terroristico che ha colpito gli Stati Uniti nel settembre 2001; il
19. riflesso negativo di quanto accaduto negli USA si è ripercosso
sull’intera economia mondiale, col risultato di trascinare in
particolare i paesi occidentali industrializzati in una fase recessiva
-secondo alcuni economisti si tratta o si è trattato solo di una
“leggera recessione”- sottolineata anche dal crollo di autentici
colossi industriali del mercato mondiale, basti ricordare il caso
Enron e Worldcom negli Stati Uniti, o situazioni a noi più note
quali i crack Cirio e Parmalat.
Secondo le previsioni d’ordine qualitativo operate dall’Hudson
Institute, l’attuale decennio sarà caratterizzato da alcuni aspetti
come l’aumento della concorrenza tra i prodotti per effetto
dell’urbanizzazione e il cambiamento nelle priorità d’acquisto dei
consumatori, la ricerca di più elevati standard di sicurezza
sociale, il rafforzamento dell’idea che il “futuro sarà
probabilmente peggiore del passato” e di movimenti d’opinione
contrari al progresso tecnologico e allo stesso sviluppo economico
che tra le varie conseguenze potrebbero produrre il rallentamento
dello sviluppo economico.
2) Concorrenza più intensa sui mercati mondiali, con nuovi
protagonisti e nuove strategie:
Nel corso degli anni settanta sui mercati mondiali si sono
affacciati paesi di recente industrializzazione come Corea del Sud,
Taiwan, India, Singapore e Hong Kong, i quali hanno sottratto ai
vecchi protagonisti (Gran Bretagna, Francia, Germania, Stati
20. Uniti, Giappone e, su scala minore, Italia) quote di mercato
inizialmente nei settori a basso costo del lavoro e poi nei settori a
tecnologia medio/alta.
Contemporaneamente il pesante aumento dei prezzi delle materie
prime ha portato alla ribalta i paesi ricchi di risorse naturali tra i
quali vanno ricordati Algeria, Arabia Saudita, Brasile, Malaysia e
Indonesia.
Gli anni novanta e il periodo attuale si caratterizzano per la
nuova forte espansione dei NICS (New Industrial Countries) e
soprattutto per il nuovo ruolo assunto nell’economia mondiale
dalla Cina. Volendo approfondire ulteriormente questo rapido
esame sui protagonisti attuali e futuri del mercato mondiale, si
può ricorrere a una distinzione basata sul “fattore chiave” di un
settore industriale che può alternativamente essere o la
disponibilità di forti capitali, o un basso costo del lavoro rispetto
ai concorrenti, o la tecnologia:
A) Capitali
Nei settori a forte intensità di capitale (automobili, cantieri navali,
acciaio, chimica) i protagonisti continueranno ad essere alcuni
paesi industrializzati che dispongono di un importante mercato
interno nel quale costruire rilevanti economie di scala che
consentono loro di presentarsi sui mercati mondiali con prodotti e
prezzi competitivi. La loro posizione sarà tuttavia insidiata da
alcuni paesi in via di sviluppo che hanno settori ormai in grado di
competere senza troppi problemi con quelli dei paesi più
avanzati.
21. B) Lavoro
Nei settori a forte intensità di lavoro la vulnerabilità dei paesi
industrializzati e soprattutto dell’Europa è già elevata ed è
destinata ad aumentare ulteriormente.
In produzioni dove le componenti principali sono materie prime,
disponibilità di tecnologie e costo del lavoro, l’industria
occidentale ha poche possibilità di difesa,e se la quota del costo
del lavoro sul totale dei costi di produzione è molto alta, i paesi a
bassi salari, come i paesi in via di sviluppo o i NICS, hanno un
vantaggio difficilmente eguagliabile.
C) Tecnologie
Nei settori che fanno perno sul livello tecnologico
(computer,telecomunicazioni) la supremazia statunitense sarà
insidiata sempre più dal Giappone e in parte minore dall’Europa.
Nonostante una parte di queste produzioni sia già fisicamente
realizzata nei NICS, i mercati mondiali continueranno ad essere
dominati dai paesi più industrializzati sia in termini d’offerta che
di domanda.
1.2.2 Le determinanti della globalizzazione dei mercati
I maggiori contributi all’espansione e allo sviluppo dell’economia
e delle varie attività internazionali possono ricondursi ai seguenti
fattori:
1) sviluppo e diffusione della tecnologia
22. 2) crescente interdipendenza delle economie nazionali
3) sviluppo di nuovi mezzi di comunicazione e di trasporto
4) riduzione delle barriere istituzionali alla mobilità
internazionale
Tali fattori possono essere analizzati singolarmente:
1) Lo sviluppo tecnologico:
La determinante che ha maggiormente inciso sul processo di
internazionalizzazione delle attività delle imprese e
dell’economia, può essere identificata nello sviluppo e nella
diffusione delle conoscenze tecnologiche; lo sviluppo tecnologico
è diventato un fenomeno indiscutibilmente transnazionale e
interaziendale, sottratto all’uso esclusivo di un singolo paese o
operatore.
E’ ormai evidente che il sapere scientifico e informativo è una
risorsa che si forma e si acquisisce non più all’interno della
singola impresa ma a livello d’economia globale.
Lo sviluppo della scienza prospetta un ampio ventaglio di
alternative tecnologiche tra le quali scegliere; è il pluralismo
tecnologico che consente di individuare con maggiore facilità e
certezza le soluzioni più appropriate alle esigenze e alle risorse
delle imprese ed ai vantaggi comparati dei vari paesi. L’accesso
diretto ad un ampio patrimonio tecnologico ed il suo rapido
apprendimento, tramite il trasferimento e lo scambio
internazionale delle conoscenze, permette anche alle imprese più
23. piccole di modernizzarsi e internazionalizzarsi senza dover
sottostare agli standard organizzativi e tecnologici della grande
scala. Pluralismo e pervasività della cultura scientifica e
tecnologica sono quindi alla base della grande capacità di
penetrazione dei processi di internazionalizzazione a tutti i livelli
dell’economia.
2) La crescente interdipendenza delle economie nazionali:
Lo sviluppo economico degli ultimi decenni ha determinato una
maggiore convergenza nella sfera dei bisogni tra i paesi
industrializzati, riscontrabile nella domanda e nell’offerta di
prodotti, tecnologie e processi produttivi globali. Nelle diverse
regioni del mondo sono spesso ricercati gli stessi beni e servizi e
la condizione di maggiore omogeneità della domanda rendono i
mercati nazionali più attraenti ed accessibili alla concorrenza
internazionale.
Il risultato è stato l’eliminazione dei tradizionali rapporti centro-
periferia, secondo cui i paesi in via di sviluppo rifornivano i paesi
industrializzati di beni primari in cambio di prodotti finiti.
Da un punto di vista politico, inoltre, si deve segnalare una
progressiva riduzione del potere di rappresentanza e dei margini
di discrezionalità per l’intervento nell’economia degli stati
nazionali; il progressivo trasferimento dei poteri a livello
sovranazionale tende a spostare il baricentro politico verso
organizzazioni di tipo continentale. La capacità dello Stato di
24. rappresentare gli interessi nazionali si specializza in campi di
competenza regionale, mentre a livello generale i vari governi
possono solo agire come “gruppi di interesse” all’interno del
livello istituzionale superiore.
3) Lo sviluppo di nuovi mezzi di comunicazione e di trasporto:
Le innovazioni tecnologiche nel campo dei trasporti e delle
telecomunicazioni hanno definitivamente ridotto la distanza tra i
diversi paesi. Il miglioramento dei sistemi di trasporto non ha
soltanto determinato un aumento della velocità di trasferimento
delle merci, ma ne ha anche notevolmente ridotto il costo,
rendendo più accessibile lo sbocco o l’approvvigionamento di
risorse e prodotti finiti a livello internazionale. Tuttavia,
l’elemento che negli ultimi anni appare trainante ai fini
dell’internazionalizzazione non è tanto la riduzione dei costi di
trasporto, quanto la forte riduzione dei costi di comunicazione
resa possibile dallo sviluppo dell’information technology. Dal
1990 ad oggi, la rete globale di computer, televisori e telefoni ha
aumentato la sua capacità di trasporto di informazioni di oltre un
milione di volte. In questo quadro è inevitabile non ricordare il
fenomeno della diffusione di internet, che ha letteralmente messo
a disposizione e alla portata di tutti un sistema di comunicazione
globale di enorme efficacia e potenzialità.
4) La riduzione delle barriere istituzionali alla mobilità
internazionale:
25. Sono stati numerosi gli accordi internazionali sottoscritti dai vari
paesi a partire dalla fine del dell’ultimo conflitto mondiale, intesi
a ridurre le barriere istituzionali sorte per proteggere le economie
nazionali a limitazione del libero scambio delle merci.
Nella riduzione delle tariffe e nella regolamentazione del
commercio internazionale un ruolo fondamentale è stato svolto in
passato dal GATT(General Agreement on Tariffs and Trade) e
oggi dal WTO (World Trade Organization). Gli accordi
riguardanti, la riduzione delle barriere artificiali e la creazione di
mercati sovranazionali possono assumere molteplici forme, e in
proposito si possono distinguere:
● le organizzazioni regionali per lo sviluppo: accordo tra più
governi per partecipare alla realizzazione di progetti di natura
anche infrastrutturale ( come la costruzione di impianti) che
favoriscano settori e attività di base, impegnandosi sia a
partecipare al finanziamento sia a ad acquistare parte dell’output
proveniente dalle opere realizzate;
● le aree di libero scambio: accordo tra i paesi per l’eliminazione o
la riduzione delle barriere (tariffarie e non) che ostacolano il
libero scambio di merci.
A differenza di quanto accade nei mercati comuni, i paesi che
formano le aree di libero scambio non sono caratterizzati da
barriere esterne agli scambi e da dazi doganali identici e non
consentono la libera circolazione di lavoro e capitali;
● le unioni doganali: la caratteristica saliente è sia la riduzione o
l’eliminazione delle barriere interne (tratto tipico del libero
scambio), sia la presenza di tariffe esterne comuni sui prodotti
26. importati dai paesi terzi. Tuttavia non è consentita la libera
circolazione di lavoro e capitali (peculiarità dei mercati comuni);
● i mercati comuni: sono costituiti da paesi che, oltre agli accordi
tariffari tipici di un’unione doganale, beneficiano anche della
libera circolazione interna di servizi (lavoro compreso) e capitali.
Gli accordi possono ulteriormente prevedere un percorso che
porti ad un’effettiva integrazione politica: è infatti possibile
l’adozione di piani comuni di natura fiscale, monetaria, di politica
sociale o di difesa militare;
● le unioni politiche: lo scopo è quello di assicurare il miglior
raggiungimento possibile degli obiettivi economici inizialmente
determinati sulla base dei vari accordi multinazionali.
Le unioni politiche costituiscono a tutti gli effetti una comunità
sovranazionale di stati indipendenti.
1.2.3 La nascita di nuovi concorrenti
I mercati hanno subito, e stanno subendo, dei cambiamenti nei
loro scenari dal punto di vista delle dimensioni e degli attori che
ne fanno parte proprio a causa delle determinanti viste prima. Le
imprese locali, abituate a competere e a confrontarsi nel proprio
settore con prodotti nazionali, hanno assistito all’entrata di
aziende straniere nel loro mercato.
Il contesto competitivo in cui si muovono le imprese sta
rapidamente cambiando, e il nuovo emerge da tanti
inequivocabili segnali: è sempre più difficile tenere le quote di
mercato, anche accettando margini di profitto decrescenti, per
non perdere clienti. Entrano in campo nuovi concorrenti, che
hanno caratteristiche e potenzialità diverse da quelle dei
27. concorrenti tradizionali, a cui le imprese locali sono abituate. Allo
stesso tempo, si affacciano sui mercati nuovi potenziali clienti e
nuovi potenziali fornitori, che sono però raggiungibili solo
facendo investimenti impegnativi e mettendo in conto tempi non
brevi per stabilire un efficace contatto. In conseguenza c’è stato
un aumento della competitività dei settori, e l’evoluzione degli
scenari ha portato delle modifiche nella struttura degli stessi, e
conseguentemente delle difficoltà nell’inquadramento dei nuovi
raggruppamenti strategici che si sono venuti a creare all’interno
degli stessi.
Le famose 5 forze competitive di Porter 3
descrivono un settore
nelle sue generalità, ma l’ambiente competitivo rilevante per
l’impresa è costituito dagli attori che fanno parte del suo stesso
“raggruppamento strategico”4
(M.Caroli, Economia e estione delle
imprese,2003,McGraw-Hill). Con l’entrata di nuovi competitors
all’interno dei vari settori, sapere veramente quali imprese fanno
parte di un raggruppamento strategico è diventato più
complesso, perché è aumentato il numero di prodotti presenti sul
mercato.
Il contesto competitivo è cambiato per diverse ragioni; prima di
tutto, le grandi imprese, grazie alla globalizzazione, sono in grado
di utilizzare, direttamente o indirettamente, le grandi riserve di
fattori a basso costo che sono disponibili nei paesi emergenti. La
3
Le 5 forze di Porter sono: l’intensità della concorrenza nel settore, la minaccia di nuovi entranti nel
settore, la competizione indiretta esercitata da beni o servizi aventi la stessa funzione d’uso, il potere
contrattuale dei fornitori, il poter contrattuale degli acquirenti. Per completare la descrizione dell’ambiente
competitivo bisogna aggiungerne 2: l’intensità e il segno di alcuni stakeholders esterni, il grado di
integrazione con le imprese complementari rispetto alla domanda finale.
4
Cioè gruppi di imprese che all’interno dello stesso settore adottano strategie simili, disponendo di un
simile patrimonio di risorse.
28. domanda internazionale di subfornitura di componenti, e
materiali a basso costo, si rivolge sempre più altrove.
D’altra parte, l’offerta di flessibilità e varietà non è più
“monopolio” di un limitato gruppo di incursori, nel quadro di
una ben regolata produzione di massa. Oggi, diventano sempre
più rari i mercati, anche di nicchia, che sono al riparo dalla
concorrenza: anche i grandi produttori, infatti, puntano alle
piccole serie, ai prodotti di qualità, alla moltiplicazione dei
modelli, alla personalizzazione del servizio reso al cliente. E,
soprattutto, nascono ogni giorno nuovi agguerriti competitors,
capaci di copiare, imitare, innovare e soprattutto di mettere “al
lavoro” il proprio specifico retroterra nazionale, facendo leva
sulle risorse materiali, sociali e politiche della società di
appartenenza.
La loro presenza cambia la natura del gioco competitivo.
Ci sono nuovi paesi, che irrompono sulla scena usando un costo
del lavoro, livelli di tolleranza ambientale, fattori di apertura o
chiusura agli investimenti internazionali che sono propri del
contesto di appartenenza. Questi nuovi aspetti stanno
sicuramente incidendo sulle scelte strategiche di molte imprese
locali, le quali visto il nascere di nuove minacce provenienti
dall’estero, devono attuare strategie competitive nuove.
E’ con queste variabili che dobbiamo imparare a fare i conti.
All’orizzonte, si profila una nuova geopolitica su scala mondiale:
una presenza minacciosa e incombente, che deve essere capita nei
suoi diversi aspetti e protagonisti, se si vuole essere capaci di
29. coglierne anche gli aspetti favorevoli, le opportunità che,
nonostante tutto, contiene.
1.3 Il processo di internazionalizzazione delle
imprese
Lo studio del processo d’ internazionalizzazione attraverso cui
l’impresa sviluppa la sua posizione nel mercato estero prevede un
iter logico, che parte dall’analisi delle cause che la spingono a
internazionalizzarsi, per arrivare allo studio delle fasi di tale
processo, ed alle modalità di entrata nel nuovo mercato.
Con questa analisi vengono alla luce tutte le strade perseguite
dalle imprese, e le differenze che le caratterizzano, anche
all’interno dello stesso settore.
Le cause, e le diverse modalità di entrata nel mercato estero
analizzate, aiutano ad avere un quadro generale più chiaro sullo
stato delle imprese italiane ed estere che hanno deciso di
intraprendere questa modalità di crescita.
1.3.1 Il processo evolutivo dell’impresa
internazionalizzata
Essendo l’impresa un’entità in continuo divenire, la sua natura
internazionale non può che essere interpretata in chiave
evoluzionistica, come il risultato di un processo. Di conseguenza,
30. l’internazionalizzazione rappresenta l’esito di un progressivo
sviluppo oltre-confine della presenza operativa dell’impresa,
capace di stimolare cambiamenti nell’impianto strategico-
organizzativo aziendale, nonché nella sua posizione competitiva.
In conclusione, l’espansione estera si articola in una sequenza di
orientamenti, cui corrispondono diverse configurazioni
strategico-organizzative.
Un approccio metodologico di chiaro stampo dinamico è
rintracciabile nel product life cycle di Vernon (1966, 1979), un
modello che stabilisce una peculiare corrispondenza tra fase del
ciclo di vita del prodotto e modalità di presenza estera
dell’impresa.
In sostanza, operando in aree geografiche caratterizzate da
differenti tassi di sviluppo della domanda, l’impresa può sfruttare
il diverso valore attribuito a un prodotto, a una tecnologia o a un
impianto nei vari Paesi, allungandone il ciclo di vita.
Quando un operatore entra per primo in un mercato, beneficia,
per un certo periodo, di una posizione monopolistica, destinata a
venire meno solo con il progressivo ingresso di nuovi produttori
(followers) in tale mercato.
Naturalmente il leader originario, potrà reagire in tre modi:
1) provocando una guerra dei prezzi;
2) esportando la propria produzione in eccesso;
3) ricorrendo a innovazioni di prodotto e/o di processo;
Nella fase introduttiva del ciclo di vita (del prodotto, della
tecnologia o dell’impianto), l’attività produttiva è localizzata dove
si trova il mercato da servire e dove contemporaneamente è
31. disponibile la tecnologia necessaria ai processi produttivi. In una
situazione simile, l’impresa è sostanzialmente domestica, e le
eventuali esportazioni in altre aree, rispondono esclusivamente
ad una logica di sfruttamento delle economie di produzione e di
massimizzazione della capacità produttiva.
Naturalmente, una volta conquistato il mercato interno, l’impresa
comincia a produrre per quei mercati esteri la cui domanda si
dimostri simile a quella domestica; il prodotto, oltre ad essere
esportato, comincia anche a essere realizzato direttamente nei
mercati di destinazione, ma solo qualora essi garantiscano
appropriate tecniche produttive. Quindi, nella fase espansiva del
ciclo, la strategia di esportazione diviene centrale per l’impresa, e
quest’ultima guarderà a Paesi via via più lontani e meno
sviluppati, quali vaste sacche di domanda insoddisfatta.
Talvolta però, alcune imperfezioni di mercato, aggravano i costi
della attività di esportazione (dazi, contingentamenti, sussidi dei
paesi esteri alle proprie imprese), spingendo il produttore-
esportatore a ricorrere ad un investimento produttivo, onde
realizzare parte della propria produzione direttamente all’estero,
e sfruttare eventualmente i differenziali nei costi dei fattori.
Tipicamente ciò accade nella fase di maturità del ciclo di vita del
prodotto, quando cioè i mercati originari sono saturi, la domanda
diviene maggiormente sensibile al prezzo e l’offerta è
standardizzata.
Al verificarsi di tali condizioni, altri operatori riusciranno ad
entrare nel mercato, instaurando nello stesso una forte
competizione di prezzo. Per risultare vincenti, le imprese
32. dovranno necessariamente intervenire sui costi, andando a
realizzare i propri processi produttivi laddove sia possibile
beneficiare di notevoli risparmi.
L’impresa procede allora a ricreare nelle nuove aree di attività le
condizioni precedentemente verificatesi nel mercato domestico
(vale a dire una situazione di monopolio e lo sfruttamento delle
economie di produzione)5
.
Nella fase di declino, la produzione di un certo output (così come
l’utilizzo di un impianto o di una tecnologia) si localizza
definitivamente nei paesi di più recente ingresso, dove la
domanda aggregata è in fasi di sviluppo meno avanzate. Le
vecchie produzioni continueranno ad essere realizzate nei nuovi
mercati, a partire dai quali lentamente si riproporrà, verso
ulteriori nuove aree, la transizione esportazione-investimenti
produttivi, precedentemente illustrata. Al contrario, nel mercato
domestico, l’impresa produrrà esclusivamente prodotti nuovi e
maggiormente competitivi.
Infatti, i cash flow generati dalle unità produttive presenti in tali
aree geografiche, saranno parzialmente reinvestiti nel mercato
domestico onde realizzare innovazioni di prodotto, di processo,
di materiali, con cui acquisire nuovi vantaggi competitivi.
5
Secondo Vernon, le imprese sono disposte a creare una sussidiaria in una nuova area geografica,
sopportandone costi e incertezze, soltanto qualora percepiscano di possedere un vantaggio monopolistico.
L’Autore ritiene che nella maggior parte dei casi tale vantaggio risieda nella capacità innovativa
dell’impresa e che la principale spinta all’innovazione provenga dalle minacce e dalle promesse del
mercato (Vernon, 1979). In particolare, nel suo secondo intervento, egli accusava i managers di miopia,
poiché spesso essi si limitano a considerare le opportunità e i bisogni dei soli mercati più vicini a quello
domestico, concentrando in quest’ultimo le fasi di sviluppo delle innovazioni, fino alla produzione pilota e
alla prima commercializzazione. In questo modo, la domanda proveniente da altre aree deve essere
soddisfatta dall’unità produttiva esistente, attraverso esportazioni o accordi di licensing; la creazione di
una sussidiaria estera richiede invece un preventivo paragone tra costi marginali della produzione
domestica per l’estero (comprensivi delle spese di trasporto e delle eventuali tariffe doganali) e costo
complessivo della produzione oltre confine, tenuto conto anche di eventuali minacce esterne alla rendita
monopolistica dell’impresa.
33. Vernon concludeva che le attività estere dell’impresa evolvono
coerentemente con il ciclo di vita del prodotto, e subiscono in tale
processo una ricollocazione geografica: il prodotto divenuto
obsoleto nel mercato domestico, non cessa di esistere, ma
continua ad essere utilmente prodotto per altri mercati esteri e in
altri mercati esteri, caratterizzati da un minore tasso di sviluppo
della domanda; eventualmente tale prodotto potrà essere
reimportato nel mercato di origine, per soddisfare6
residue sacche
di domanda locale.
La storia e la realtà economica ci insegnano che nel corso del loro
sviluppo, i paesi abbandonano le produzioni più semplici e a più
alto contenuto di manodopera, lasciandole ai Paesi emergenti la
cui forza lavoro è si meno costosa, ma spesso anche meno
preparata.
Ciò avviene perché lo sviluppo spinge al rialzo i salari,
incrementa il know-how, le competenze e la dotazione di capitale,
spingendo i Paesi a concentrarsi su produzioni più sofisticate e
differenziate (processo di rilocalizzazione delle produzioni).
L’intensità e al velocità di questo processo dipendono da:
1) l’andamento dei costi del lavoro comparati
2) l’evoluzione relativa della produttività
6
Nel 1979 Vernon riconsiderò la sua teoria, alla luce di due fenomeni: la diffusione delle strutture reticolari
e i cambiamenti nell’ambiente esteso (nascita di forti comunità economiche sovranazionali e attenuarsi dei
differenziali di reddito a livello internazionale). Secondo l’Autore, infatti, il ciclo di vita internazionale del
prodotto non spiegare a pieno la situazione in cui erano venuti a trovarsi diversi PVS. Questi ultimi erano
tagliati fuori del processo di convergenza internazionale nei livelli di reddito, nelle dimensioni dei mercati e
nei costi dei fattori produttivi, che aveva coinvolto i Paesi industrializzati; inoltre, nonostante le
multinazionali avessero creato delle reti produttive globali, le sussidiarie localizzate nelle economie in via
di sviluppo, continuavano a dover acquisire prodotti, semilavorati e innovazioni da altre unità operanti in
mercati più ampi, ricchi e sofisticati. Tuttavia, alcuni PVS (Brasile, Messico, India, Corea) crescevano
chiaramente a tassi superiori e mostravano un’autonoma capacità innovativa, con cui rispondere alle
specifiche condizioni economiche interne. Una volta realizzato questo adattamento locale dei
prodotti/processi, queste sussidiarie generalmente intraprendevano un proprio ciclo di esportazione e
eventualmente di investimento diretto estero (internazionalizzazione di secondo grado).
34. 3) le variazioni nelle barriere al movimento di beni, servizi e
capitali fra i Paesi.
Se tale ricollocazione avviene in maniera graduale, sollecita al
contempo aggiustamenti, riconversioni e nuovi sviluppi, ma non
crea problemi gravi. Quando invece vengono superate certe
soglie di rapidità, nascono tensioni sociali, disoccupazione e
impoverimento del tessuto produttivo domestico.
Un’interpretazione dinamica dell’internazionalizzazione è anche
quella proposta da Perlmutter (1969), il quale parla di una
“tortuosa evoluzione delle multinazionali”, il cui andamento può
essere letto attraverso i differenti orientamenti al mercato estero7
.
In sostanza, la presenza oltre confine risulta organizzata in
funzione dell’importanza che tali mercati acquisiscono nella
strategia complessiva dell’impresa.
In siffatto processo evoluzionistico, Perlmutter rintracciava
quattro momenti e dunque quattro atteggiamenti principali:
Approccio etnocentrico (tipico delle fasi iniziali): l’impresa è ancora
fortemente legata al Paese di origine, i mercati esteri sono
percepiti e gestiti come una estensione fisica di quello domestico.
Il risultato è una forma di internazionalizzazione debole, spinta
da esigenze congiunturali, e in quanto tali, transuenti. Le
interdipendenze sono organizzate in maniera sequenziale, la
conoscenza e il potere di iniziativa risultano accentrati presso la
7
Perlmutter ritiene che i parametri tradizionali (nazionalità della proprietà o del management, percentuale
di investimenti realizzati all’estero, presenza strutturale in un certo numero di aree geografiche) non
riescano da soli a misurare correttamente il grado di multinazionalità di un’impresa. Ciò che conta
realmente è “...the way executives think about doing business around the world; the orientation toward
foreign people, resources and ideas, in headquarters and subsidiaries, and in host and home
environments, becomes crucial in estimating the multinationality of a firm... ”;
Perlmutter H. V. (1969), The Tortuous Evolution of the Multinational Corporation, Columbia Journal of
World Business, january-febrauary, pp.8-18.
35. casa madre, mentre i compiti più operativi sono demandati alle
unità periferiche.
Approccio policentrico: l’enfasi si sposta dal mercato domestico a
quelli di destinazione attraverso un vero e proprio decentramento
decisionale, all’interno del quale la casa madre si limita a
controllare e gestire il portafoglio di aree-mercato. I mercati esteri
diventano entità distinte, dotate di proprie unità organizzative,
collegate all’headquarter prevalentemente tramite flussi di risorse
finanziarie. Mano a mano che la proprietà del capitale si diffonde
all’estero e che l’origine geografica del management si differenzia,
queste imprese non si identificano più con un solo Paese.
Approccio regiocentrico: sfruttando fenomeni di
internazionalizzazione dei comportamenti di consumo, l’impresa
individua delle macroregioni sopranazionali, ove sviluppare una
offerta sostanzialmente standardizzata, idonea a massimizzare
tanto la soddisfazione del consumatore quanto le esigenze di
efficienza dell’impresa. Ovviamente, per sfruttare eventuali
sinergie, si rendono necessari dei momenti di contatto e di
scambio tra le sussidiarie operanti nei territori della macroarea:
ciò spinge a creare, in ogni macroregione, una sub-headquarter,
quale entità di raccordo tra le sussidiarie locali e gli orientamenti
strategici della casa madre.
Approccio geocentrico: l’espansione delle macroregioni di cui sopra,
trasforma le singole aree geografiche in semplici componenti di
un unico sistema globale. L’impresa acquisisce una vocazione
mondiale, l’offerta risulterà standardizzata a livello mondiale, e
l’intenso coordinamento tra casa madre e sussidiarie, priverà
36. queste ultime di autonomia gestionale e decisionale. I loro
compiti diventano instabili e complicati, poiché strumentali,
subordinati o comunque interconnessi con le funzioni di altre
unità. Le interdipendenze tra il centro e le singole sussidiarie, così
come quelle tra le sussidiarie stesse sono individuate e sfruttate in
condizioni di reciprocità.
Naturalmente questi quattro approcci devono essere intesi quali
possibili tappe dell’evoluzione internazionale dell’impresa, non
legate da nessi eziologici e suscettibili di presentarsi
contemporaneamente nelle diverse aree geografiche e di business.
Di conseguenza, ogni impresa caratterizzata da una articolazione
internazionale della catena del valore dovrà individuare il
proprio mix8
tra profilo etnocentrico, policentrico e geocentrico9
.
Sicuramente quest’ultimo tende a prevalere, favorito
dall’ampliarsi dei mercati mondiali, dalla nascita di comunità
economico-politiche sovranazionali, dalla possibilità di acquisire
conoscenze manageriali e tecnologiche in diversi Paesi, dalla
globalizzazione dei modelli di consumo e dalle innovazioni nei
sistemi di trasporto e telecomunicazione; tuttavia tale tendenza è
frenata dalla scarsa conoscenza, talvolta dalla diffidenza dei
managers nei confronti di alcuni mercati esteri, da insormontabili
differenze linguistiche e culturali, da tendenze nazionalistiche
rilevate nella potenziale controllata estera, e così via.
8
Tale mix dipenderà dai vantaggi e dagli svantaggi relativi dei diversi approcci: quello etnocentrico
garantisce il massimo controllo, forti flussi di informazioni e conoscenza dal centro alla periferia, semplicità
organizzativa, tuttavia è affetto da una scarsa flessibilità di risposta agli stimoli ambientali e da minori
opportunità di innovazione; l’approccio policentrico si caratterizza negativamente per duplicazioni, rischio
di eccessivo localismo e di mancata valorizzazione dell’esperienza maturata nel Paese di origine, ma al
contempo consente di sfruttare al massimo le opportunità esistenti nei mercati locali, massimizzando la
soddisfazione dei consumatori e l’adattamento dei prodotti, beneficiando anche di incentivi governativi;
infine i costi del profilo geocentrico sono essenzialmente legati alle spese di comunicazione e trasporto, e
alla crescente burocrazia interna all’impresa, mentre i benefici risiedono essenzialmente nella possibilità di
utilizzare le risorse migliori disponibili a livello mondiale, di fissare comuni obiettivi condivisi su scala
globale e di massimizzare gli standards qualitativi dei propri prodotti e servizi.
9
Consideriamo l’approccio regiocentrico come un approccio geocentrico in fieri.
37. Un altro contributo teorico di matrice dinamica è quello
dell’internationalization process model, legato alla scuola svedese di
Uppsala e alla figura di Aharoni.
Questi definiva l’internazionalizzazione “un processo emergente,
avente natura incrementale”10
.
La scuola di Uppsala ipotizza un ciclo di acquisizione di
esperienza e di impegno, nel corso della crescita internazionale
dell’impresa, e la sua internazionalizzazione deriverà in definitiva
da un processo lento e continuo di formazione di conoscenza11
,
attraverso cui gli investitori esteri riescono a superare la
considerevole incertezza da cui sono affette le loro decisioni di
espansione estera. Tale incertezza è direttamente proporzionle
all’inesperienza degli attori, o meglio a dei veri e propri gap di
conoscenza (Johanson, Widersheim-Paul, 1975). La gradualità del
processo dipende dal fatto che i problemi e le opportunità offerte
dall’espansione oltre i confini del proprio Paese di origine si
presentano man mano che l’impresa pone in essere le operazioni
estere, sviluppando le competenze necessarie e attribuendo a tali
operazioni importanza strategica crescente (Caroli, 2000).
Introducendo i concetti di psychic distance e di establishment chain,
il modello del processo di internazionalizzazione ordina in
sequenza temporale le fasi seguite dagli operatori nella scelta dei
Paesi esteri in cui insediarsi e della particolare modalità di
internazionalizzazione delle attività.
10
Aharoni Y. (1966), The Foreign Investment Decision Process, Harvard Unversity, Graduate School of
Business Administration, Boston.
11
Una volta entrata in un mercato, l’impresa acquisisce continuamente nuove conoscenze circa le
caratteristiche dello stesso; tale maggior conoscenza e esperienza si traduce in un crescente impegno
imprenditoriale nell’area in questione (più la si conosce più può essere stimolante e /o profittevole
continuare a investirvi o entrare in aree ulteriori).
38. A monte del processo si pone la decisione riguardo l’area
geografica in cui entrare, tenendo conto della cosiddetta psychic
distance.
Quest’ultima non si esaurisce nella mera valutazione della
distanza geo-fisica tra due punti, regioni o territori, al contrario
indica la similarità in termini di contesto ambientale e
competitivo tra due Paesi.12
Una volta scelta l’area-obiettivo e
superata la fase di ingresso nel nuovo mercato, la posizione
dell’impresa evolverà attraverso i diversi livelli della establishment
chain, maturando in ciascuno di essi un superiore grado di
conoscenza e di impegno verso il mercato e la strategia estera.
Come anticipato poco prima, nella teoria della crescita
internazionale dell’impresa le decisioni di espansione degli
investitori esteri sono fortemente incerte, poiché affette da un
duplice gap di conoscenza: tale incertezza riguarda il
funzionamento e il contesto istituzionale dei singoli mercati
nazionali, nonché il modus operandi in ambienti non familiari. La
conoscenza maturerà da processi di learning-by-doing, e il sentiero
di espansione dell’impresa disegnerà un processo cumulativo,
caratterizzato da informazione crescente e esperienza (Mariotti e
Piscitello, 1994).
In sostanza l’establishment chain delinea le principali attività poste
in essere dalle imprese parallelamente al grado di sviluppo delle
12
La psychic distance dipende dalle differenze linguistiche e culturali, dai diversi modelli e livelli di sviluppo
industriale e di educazione, dal particolare sistema politico adottato. Sicuramente essa si modifica nel
tempo ed è, salvo eccezioni, positivamente correlata alla distanza geografica tra le aree considerate ( es.
l’Australia è “percepita” vicina all’Inghilterra nonostante la lontananza fisica).
Di solito, le imprese prive di una consolidata esperienza estera, guardano in primo luogo ai mercati vicini,
ritenuti controllabili in maniera agevole e diretta, e sicuramente più simili a quello domestico in termini di
preferenze, modelli di consumo e di business. La crescente apertura internazionale consentirà loro di
espandere i propri orizzonti di attività, aumentando la distanza tra mercati di approvvigionamento e di
sbocco, sedi produttive e centri strategico-decisionali. In sostanza, al crescere delle conoscenze, le routine
di selezione includono una più ampia gamma di alternative relative ad aree culturalmente più distanti, per
le quali il rischio soggettivo di asimmetrie informative è venuto decrescendo.
Luostarinen R. (1980), Internationalization of the Firm, Helsinky, The Helsinky School of Economics.
39. loro conoscenze sul mercato estero e Johanson e Widersheim-Paul
distinguono al suo interno:
1) attività di esportazione svolta in maniera irregolare;
2) attività di esportazione svolta attraverso intermediari
indipendenti;
3) creazione di sales subsidiaries all’estero13
;
4) creazione di subsidiaries di produzione e/o di assemblaggio
all’estero.14
Il coinvolgimento graduale dell’impresa nel mercato estero
avverrà grazie ad un processo di apprendimento e
sedimentazione, conseguente all’acquisizione e alla ritenzione di
informazioni circa il nuovo ambiente competitivo. Più tale
conoscenza aumenterà più l’impresa sarà spinta investire in quel
mercato o a entrare in ulteriori nuove aree.
Il sistema organizzativo aziendale, passando attraverso le fasi
della establishment chain, matura conoscenza e commitment nei
confronti del mercato estero, e attraverso questo processo di
accumulazione effettua la transizione alla fase successiva del suo
processo di apertura internazionale. Ovviamente tali passaggi
saranno tanto più rapidi quanto più il contesto ambientale
(lingua, tipo di cultura, livello di istruzione, sistemi politici) e
quello competitivo (sviluppo industriale) del Paese di
destinazione saranno “vicini” o simili, a quelli del Paese di
origine.
13
Sono delle filiali commerciali prive di rilievo strategico, cui sono demandate le attività di marketing e
vendite, e quelle di assistenza tecnica. L’impresa complessivamente considerata si limita a sfruttare firm-
specific asset controllati dalla casa madre.
14
Le sussidiarie assumono in primis decisioni strategiche circa la definizione dei volumi di
produzione o le caratteristiche dei prodotti (eventuali adattamenti locali).
40. In conclusione, il processo di internazionalizzazione coinvolge in
primo luogo paesi culturalmente vicini, e successivamente con
l’accumularsi di conoscenze e competenze, si estende anche a
quelli più lontani, secondo un approccio step-by-step, finalizzato a
ridurre il rischio e i sunk costs dell’espansione in contesti non
familiari, attraverso l’impiego crescente di risorse cui
corrispondono le varie fasi della estalishment chain.
Passando attraverso i diversi momenti del processo di
internazionalizzazione, alcune dimensioni aziendali subiscono
delle modifiche più o meno incisive:
La strategia competitiva dovrà perseguire l’ottenimento di un
vantaggio competitivo, attraverso una presenza commerciale e/o
produttiva all’estero.
I processi di business saranno organizzati su scala sovralocale, la
catena del valore sarà localizzata su scala internazionale
(naturalmente le varie attività saranno poi reintegrate soprattutto
tramite la ICT).
La conoscenza maturata all’estero, consentirà all’impresa di
sfruttare le opportunità e le specificità di più Paesi, e tutte le
sussidiarie beneficeranno del trasferimento di conoscenze nella
rete interna.
L’organizzazione delle relazioni interne dovrà essere tale da
massimizzare i trasferimenti di informazioni e conoscenza,
garantendo al contempo la corretta implementazione
dell’orientamento strategico della corporate, mentre.
le relazioni esterne tra le sussidiarie e gli attori locali (soprattutto i
governi) dovranno essere gestite e sviluppate in modo da
41. ottimizzare i vincoli e le opportunità, derivanti dalla presenza
nell’area.
I mercati esteri sono intesi come contenitori di risorse, e l’impresa
sceglie di entrarvi in funzione dell’apprendimento che può trarre
da essi. D’altra parte il commitment, inteso quale impegno,
radicamento, ammontare degli investimenti effettuati
dall’impresa nell’area, sarà funzione crescente delle conoscenze
che l’impresa percepisce di poter trarre da tale contesto e dalle
relazioni con gli attori locali.
A questo punto il circolo si chiude e si autoalimenta: col
progredire della presenza internazionale crescono il commitment,
la conoscenza e le relazioni dell’impresa con il mercato estero e
con i suoi attori di riferimento; allo stesso tempo quanto più
l’impresa conosce il mercato tanto più si radica nello stesso,
sviluppando fitte relazioni con gli attori locali.
Tuttavia, il limite dell’internationalization process model risiede
nella sua natura essenzialmente deterministica e sequenziale che,
pur consentendogli di individuare tutti i possibili stadi
dell’espansione estera di un’impresa, stabilisce una precisa
relazione tra stadio del processo di internazionalizzazione e
configurazione dell’impresa15
, escludendo che essa possa
differenziare la propria internazionalizzazione in relazione alle
caratteristiche interne, all’orientamento strategico o alle specifiche
interazioni che stabilisce con l’ambiente di riferimento.
Ricercare le cause dell’internazionalizzazione significa
individuare una serie di spinte, interne e esterne, legate alle
15
Il modello individua in maniera univoca il modello strategico-organizzativo appropriato per ciascun
gruppo di relazioni e conoscenze che l’impresa gestisce nelle differenti fasi del suo sviluppo internazionale.
42. risorse e competenze di cui l’impresa dispone. Ecco perché a
seconda delle caratteristiche del mercato o del business di
riferimento, delle conoscenze detenute dall’impresa o in base alle
sue precedenti esperienze internazionali, alcune fasi della
establishment chain potranno essere saltate o richiedere tempi
diversi16
.
1.3.2 Le cause del processo di internazionalizzazione
Forze interne
Le cause che spingono l’impresa a ricercare l’espansione della
propria attività produttiva e commerciale in aree geografiche
estere possono essere ordinati in due categorie: fattori «interni»,
connessi allo sviluppo delle risorse interne e della posizione
competitiva; fattori «esterni», connessi all’adeguamento o allo
sfruttamento degli stimoli provenienti dall’ambiente rilevante.
L’effetto generato da questi due ordini di fattori dipende dalle
condizioni del sistema aziendale in cui esse agiscono; in
particolare dalle risorse e competenze che esso ha a disposizione e
della sua configurazione organizzativa.
I fattori connessi allo sviluppo della posizione competitiva
enfatizzano, l’origine interna all’impresa del processo di
internazionalizzazione che viene attivato da specifiche scelte
prese dai dirigenti aziendali.
16
Da parte sua, l’establishment chain è suscettibile di modificazioni e/o di salti nell’articolazione e nel
susseguirsi dei suoi stadi; in generale ciò avviene in presenza di modalità di entrata di tipo acquisitivo,
consolidata esperienza internazionale, ridotte dimensioni del Paese di destinazione, tali da impedire
l’implementazione di tutti gli step.
43. Il secondo gruppo di fattori riguarda invece le spinte che hanno
origine esterna, e che derivano quindi dai vincoli o dalle
opportunità che le condizioni ambientali pongono all’impresa.
Peraltro l’evoluzione dello scenario competitivo in molti settori è
tale che, la scelta per l’internazionalizzazione diventa una
condizione quasi necessaria per la sopravvivenza.
Il processo di internazionalizzazione è, quindi, il risultato di una
combinazione di cause che investe entrambe le categorie viste.
Le condizioni interne dell’impresa, espresse dall’assetto
organizzativo, dall’orientamento strategico e dalle conoscenze
accumulate, spingono l’impresa a un certo tipo di espansione
estera.
Una volta che l’impresa si stanzia in una nuova area geografica,
acquisisce risorse e conoscenze che determinano un cambiamento
interno, con il rafforzamento della posizione competitiva e la
nascita di nuove spinte per la crescita a aziendale.
Quindi, nel processo di internazionalizzazione delle imprese le
spinte interne ed esterne non possono che coesistere.
L’impatto dei fattori dipende dalle condizioni interne
dell’impresa, cioè dalle risorse e competenze disponibili,
dall’esperienza maturata e dagli equilibri organizzativi che
caratterizzano l’azienda.
Quindi l’impresa deve disporre di risorse tangibili e intangibili, e
competenze adatte a gestire la presenza nel mercato estero,
soprattutto per quanto riguarda lo sviluppo, e lo sfruttamento del
vantaggio competitivo di cui dispone, anche in aree estere (fattori
interni).
44. Oppure può andare alla ricerca di competenze di cui non
dispone, e ricercarle in nuove aree geografiche (fattori esterni).
Non si ritiene corretto stabilire alcuna relazione deterministica tra
dimensione delle attività dell’impresa e orientamento strategico
della stessa verso l’internazionalizzazione; tuttavia, l’impresa che
raggiunge una buona posizione competitiva ed ha una forte
crescita dimensionale, e quindi di fatturato, raggiunge dei livelli
di risorse e competenze che le permettono di affrontare nuove
alternative di crescita; tra queste l’internazionalizzazione è una
delle principali.
I fattori interni di spinta verso i mercato esteri sono quelli su cui è
posta una maggiore enfasi, anche perché il processo di espansione
all’estero è la manifestazione delle caratteristiche dell’impresa dal
punto di vista organizzativo, strategico, e di creazione delle
conoscenze.
Inoltre le risorse disponibili e la configurazione organizzativa
dell’azienda hanno anche rilievo sul peso delle spinte esterne
all’internazionalizzazione, influenzando il modo con cui
l’impresa percepisce e interpreta i segnali provenienti
dall’esterno.
Infatti le competenze, le risorse disponibili, e la configurazione
organizzativa dell’impresa condizionano il tipo di risposta che
essa è in grado di dare agli stimoli ambientali; risposta che può
andare verso l’avvio del processo d’internazionalizzazione, verso
il ripiegamento nel mercato locale, o addirittura può portare
all’abbandono del settore.
45. Le forze interne alla base del processo d’internazionalizzazione
sono di tre tipi:
1) L’acquisizione di vantaggi competitivi intrinseci nella presenza
internazionale
2) Lo sfruttamento in nuove aree geografiche di vantaggi
competitivi detenuti nel mercato originario
3) La ricerca nelle aree estere di condizioni che possono tradursi
in elementi di vantaggio competitivo.
1) L’espansione estera come fonte intrinseca di vantaggio
competitivo:
Questa strategia fa riferimento al paradigma «eclettico», secondo
cui l’internazionalizzazione permette all’impresa di ridurre,
attraverso la gestione di attività internazionali, i costi
transazionali e migliorare la propria posizione competitiva
rispetto ai concorrenti locali.
L’approccio eclettico individua tre categorie di vantaggi:
Gli atout derivanti dalla sola natura dell’impresa; la quale può
disporre di risorse e vantaggi competitivi rilevanti sui mercati
internazionali, come la riduzione dei costi di transazione, grazie
ad una struttura organizzativa internazionale più efficiente dello
scambio sul mercato.
I vantaggi nel trasferire i propri fattori di forza, come la
tecnologia, alle unità operative del gruppo invece che ad imprese
etere.
La localizzazione dell’impresa a livello globale, che permette di
ridurre alcune categorie di costo, come quelli tansazionali e
46. produttivi. L’impresa infatti ha convenienza nel sostituire il
mercato per determinate transazioni, con l’integrazione a livello
internazionale che risulta più efficiente.
Dalla teoria espressa nel paradigma eclettico possiamo derivare le
tre spinte fondamentali alla realizzazione dell’ IDE( investimento
diretto estero):
- Investimenti market seeking, effettuati per raggiungere nuovi
mercati.
- Investimenti low cost seeekig, effettuati per ottenere una
riduzione dei costi di produzione.
- Investimenti natural resource seeking, effettuati per acquisire i
fattori produttivi ad un costo più basso.
Oltre ai benefici di natura transazionale, l’espansione dell’impresa
risulta fonte di vantaggio competitivo, perché:
- Determina alcune condizioni di arbitraggio, come
l’abbattimento dell’ onere fiscale attraverso il meccanismo dei
prezzi di «trasferimento», tramite il quale vengono spostate
porzioni di reddito nell’area geografica dove la tassazione sulle
imprese è minore.
Altra condizione è l’ottimizzazione del reperimento delle risorse
finanziarie, attraverso la presenza diretta in diversi mercati
finanziari. Altra forma di arbitraggio deriva dalla teoria del ciclo di
vita del prodotto di Vernon, infatti l’impresa operando in diverse
aree geografiche,con un diverso tasso di sviluppo della domanda,
può sfruttare il diverso valore che la domanda nei vari paesi
attribuisce al prodotto, allungandone il ciclo di vita. Questa
47. opportunità non riguarda solo i prodotti ma anche la tecnologia, e
gli impianti utilizzati nei processi produttivi.
- Fornisce all’impresa alcune leve competitive, come la
diversificazione del portafoglio di business aree geografiche
dell’impresa, che riduce il rischio complessivo.
Ma ci sono anche altre leve strategicamente importanti, come il
fatto che l’azienda, operando in diversi contesti geografici
dispone di una base da cui maturare nuove conoscenze (asset
intangibile) sicuramente più ampia di quella dei semplici
concorrenti nazionali.
Un’altra leva molto sfruttata è quella della strategia di
comunicazione, semplicemente per il fatto che l’immagine
dell’impresa internazionale gode di un vantaggio rispetto a quella
nazionale.
Il fatto di essere presente in più mercati garantisce dei vantaggi si
marketing consistenti: una maggiore riconoscibilità del prodotto e
della marca da parte del consumatore, l’aumento delle occasioni
in cui il consumatore è spinto a provare il prodotto, ed il
rafforzamento della possibilità di fidelizzare il cliente, perché il
prodotto è rese disponibile ovunque si trovi.
L’accrescimento del potere economico ed extra economico costituisce
un’altra leva, che deriva dalla presenza internazionale
dell’impresa e influenza il confronto competitivo sui mercati
nazionali.
Infatti le imprese che operano a livello internazionale possono
formare degli accordi collusivi con gli altri leader del settore, che
limitano il corretto svolgimento dell’attività economica.
48. Questa politica collusiva penalizza direttamente le aziende a
dimensione locale.
Un altro vantaggio che l’impresa può trarre dalla presenza
internazionale è dato dall’effetto made-in, cioè nel fatto che l’area
geografica in cui viene costruito il prodotto influenza in modo
consistente le sue caratteristiche, e la percezione che ne ha il
consumatore.
Il fatto che le attività di produzione siano svolte in un’ area
geografica che gode di una buona reputazione e tradizione,
aumenta la percezione positiva che il consumatore ha di quel
prodotto.
L’impresa quindi può sfruttare l’effetto made-in, collocando la
propria attività di ricerca o produzione nell’area geografica che
gode della migliore immagine per quanto riguarda le componenti
critiche del prodotto; nel caso in cui tale effetto è principalmente
connesso a fattori d’immagine, occorre anche enfatizzare l’origine
nazionale della produzione. Facendo leva sull’effetto made-in
positivo l’impresa gode di un vantaggio competitivo, inimitabile
dagli operatori di dimensione locale.
2) L’espansione estera come strategia per sfruttare i vantaggi
disponibili:
Lo sfruttamento in nuove aree geografiche dei vantaggi
competitivi detenuti nel proprio territorio d’origine, costituisce la
seconda spinte all’internazionalizzazione.
Si tratta di sfruttare i propri vantaggi in termini di competenze,
imprenditorialità, accesso ai capitali e via dicendo.
49. Lo sviluppo della presenza internazionale può essere dovuto
anche alla volontà di rafforzare il proprio vantaggio competitivo
detenuto nel territorio d’origine, per esempio attraverso la
minimizzazione dei costi, tramite le economie di produzione.
L’impresa mantiene la concentrazione della struttura produttiva,
ricerca una presenza di mercato in diverse aree geografiche, cosi
da aumentare il livello delle vendite e, quindi, della propria
dimensione produttiva.
Le risorse e gli elementi di vantaggio competitivo trasferiti sono
prevalentemente di carattere intangibile, e all’interno di un
gruppo si configurano come un «bene pubblico», risultando
trasferibili ad un costo contenuto.
La possibilità di sfruttare i vantaggi detenuti nel mercato
originario in nuove aree geografiche è caratterizzata da un’
elevata incertezza, poiché dipende da come si manifesta «l’effetto
prisma».
Questo effetto è causa di una deformazione del giudizio e delle
percezioni da parte dei consumatori, causato dalle diverse
caratteristiche ambientali, che influiscono sulla posizione
competitiva dell’impresa.
L’effetto prisma risulta potenzialmente maggiore per vantaggi
legati alla differenziazione dell’offerta, piuttosto cha alla
riduzione dei costi.
La possibilità di estendere un vantaggio detenuto nel mercato
locale in altre aree geografiche è una spinta
all’internazionalizzazione, che va comunque presa con le dovute
precauzioni, analizzando il contesto in cui si è deciso di operare, e
50. valutando gli elementi di forza su cui è basata questa strategia in
relazione alle caratteristiche del mercato, della concorrenza e
degli attori presenti nelle nuove aree geografiche.
3) L’espansione estera come modalità di ricerca di nuovi
vantaggi disponibili:
La terza specie di spinta interna è costituita dalla ricerca di nuove
fonti di vantaggio competitivo efficaci per rafforzare la posizione
dell’impresa sia nel suo mercato di origine, sia nel contesto
internazionale in cui eventualmente si trova ad operare.
Di solito questa motivazione nasce nelle fasi più avanzate del
processo di internazionalizzazione, perché questa spinta implica
infatti che l’impresa concepisca la propria strategia competitiva
nella prospettiva internazionale, e disponga quindi di una
sofisticata capacità di analisi e valutazione dello scenario
internazionale.
Inoltre la ricerca di nuovi vantaggi competitivi spinge l’impresa a
collocare prevalentemente all’estero le attività di ricerca e di
produzione, o a stabilire relazioni commerciali con fornitori esteri.
Il vantaggio competitivo che l’impresa può raggiungere in
un’area geografica estera, è dato dalla possibilità di svolgere in
modo più efficace ed efficiente una determinata attività in
quell’area rispetto a quanto sarebbe possibile fare nel proprio
paese d’origine.
La possibilità dipende dal rilievo dei fattori di attrattività
dell’area considerata e dalla concreta capacità dell’impresa di
appropriarsi del vantaggio competitivo che deriva da tali fattori.
51. Forze esterne
L’adeguamento o lo sfruttamento delle condizioni ambientali
costituisce il secondo gruppo di forze che possono dar vita al
processo di internazionalizzazione dell’impresa.
Si distinguono tre fattori in particolare:
1) L’internazionalizzazione del mercato, della concorrenza e
dell’ambiente rilevante;
2) Il miglioramento delle condizioni e la diminuzione dei costi
relativi alle comunicazione ed ai trasporti tra diverse aree
geografiche;
3) La saturazione del mercato locale.
Il primo di questi fattori consiste nel superamento dei tradizionali
confini geografici.
Da un lato un mercato geografico è sempre meno protetto
dall’entrata di operatori originariamente localizzati in altri
contesti; dall’altro, è sempre meno complicato per il consumatore
esprimere la propria domanda in mercati collocati in aree diverse
da quella di appartenenza.
In una situazione del genere, la capacità di saper operare in
contesti geografici diversi diventa una condizione indispensabile.
E questa condizione vale anche nel caso in cui il mercato locale è
diventato saturo, infatti il saper operare in altre aree geografiche
sostituisce altre strategie attuate nel mercato locale (acquisizione
di una posizione di leadership nel settore, diversificazione).
52. La spinta verso l’internazionalizzazione in questo caso dipende
da tre situazioni:
1) L’intensità della concorrenza nel mercato locale e la capacità
dell’impresa di raggiungere la posizione di leader.
2) La «trasferibilità» delle risorse e competenze disponibili in
un’altra area di business.
3) La «trasferibilità» delle risorse e competenze disponibili in
un’altra area geografica.
Lo sviluppo della presenza estera può essere considerata come
una spinta esterna data dai concorrenti, che possono diventare
delle minacce, nel caso in cui compiano il primo passo verso
l’internazionalizzazione.
Si attua così una reazione competitiva nei confronti di un
concorrente che ha già attuato una strategia di espansione estera,
o che sta per attuarla alterando così gli equilibri di mercato.
Il band-wagon effect 17
(effetto trascinamento) è un’ipotesi
imitativa, dove troviamo un first mover che ha attuato per primo
la strategia di espansione estera e quindi può acquisire i vantaggi
competitivi; e dei follower che seguono questa strategia decidendo
di operare all’estero per non lasciare al primo tutti i vantaggi.
Un altro tipo di strategia di internazionalizzazione dovuta ad una
reazione è quella del cosiddetto «exchange of threat18
», dove un
‘impresa che vede l’entrata, nel suo mercato locale, di un nuovo
concorrente straniero decide di entrare nel mercato dello stesso
per rispondere alla minaccia che gli è stata portata. Per quanto
riguarda la seconda spinta esterna, assistiamo ad un sempre più
17
Aharoni 1996
18
Graham (1978)
53. intenso sviluppo dei sistemi di comunicazione e di trasporto, ed a
una costante diminuzione dei loro costi, tanto da ridurre gli
investimenti necessari per l’espansione in aree estere. Questo
determina un aumento della competitività in ciascun mercato
locale e funge da spinta per le imprese verso il superamento delle
barriere di natura geografica.
1.3.3 Le fasi del processo di internazionalizzazione
Nell'analisi degli elementi che caratterizzano la natura
dell'impresa internazionalizzata sono stati discussi i modelli che
interpretano il fenomeno dell'internazionalizzazione come un
processo che avviene in diversi stadi, ad ognuno dei quali
l'impresa assume uno specifico tipo di configurazione.
Tali approcci, pur risultando criticabili a causa della loro
impostazione sostanzialmente deterministica, contengono alcuni
elementi d'interesse concettuale.
In particolare, essi sottolineano il carattere dinamico dell'
espansione estera, determinata da cause e decisioni che mutano
con la stessa evoluzione dell'impresa.
Già Saraceno osservava come l'impresa internazionale non deve
essere intesa come un «archetipo», ma piuttosto come il risultato
in continuo divenire di un percorso evolutivo. Su questa linea si
esprime anche Rispoli (1994) quando afferma che «per
internazionalizzazione delle imprese, può intendersi infatti un
processo che, a partire da un rapporto relativamente semplice ma
sistematico delle imprese con i mercati esteri (come quello
generato da flussi esportativi non occasionali), porta via via verso
54. forme di investimento all' estero e comunque verso lo sviluppo di
relazioni competitive, transattive e collaborative con altre aziende
di produzione e di servizi, pubbliche e private, in diversi paesi».
Questo paragrafo ha l'obiettivo di focalizzare i passaggi logici che
l'impresa attraversa nel corso della sua evoluzione internazionale
e nei quali assume, in funzione delle specifiche condizioni del
processo, una certa configurazione strategica ed organizzativa.
Dal modo in cui l'azienda gestisce le proprie operazioni estere, si
può identificare lo stadio del processo di internazionalizzazione
coinvolto.
Le fasi in cui, in condizioni normali, è possibile dividere il
processo d'internazionalizzazione delle imprese sono:
1) Fase di entrata nel mercato estero: l’impresa individua l’area che le
interessa, gli obiettivi che vuole raggiungere attraverso la
presenza in tale area e i mezzi per realizzare i suddetti obiettivi;
analizza le risorse che possiede e individua come e dove dotarsi
di quelle mancanti.
2) Fase di assestamento della presenza sul mercato estero: l’impresa
matura nuove routine e competenze attraverso le quali
stabilizzare gli effetti della nuova dimensione geografica, e
eventualmente modifica la propria struttura organizzativa e la
strategia competitiva.
3)Fase di sviluppo della posizione competitiva nei mercati esteri: l’area
estera cresce di importanza nell’economia e nell’orientamento
strategico dell’impresa, per cui nascono e si arricchiscono le
relazioni con gli stakeholders locali (rete esterna), ma
55. contemporaneamente si inizia a guardare a altre aree di possibile
espansione commerciale e/o produttiva.
4) Fase di razionalizzazione della posizione internazionale:
l’insediamento simultaneo in diverse aree geografiche e di
mercato porta a organizzare la catena del valore a livello globale,
ottimizzando la struttura dei costi, sfruttando al massimo sia i
vantaggi competitivi acquisiti nelle varie aree che le
interdipendenze tra le catene del valore di business differenti.
Ovviamente sarà necessario definire l’architettura dei rapporti tra
la corporate e le varie sussidiarie (rete interna).
In ciascuna di queste fasi, l'impresa matura un livello più
avanzato di competenze utili per gestire le operazioni estere.
Si ripropone sul piano internazionale la centralità dell’ «azione
imprenditoriale» che alterna la stabilizzazione della struttura per
far fronte ad un determinato contesto, all’azione di cambiamento
della stessa per migliorare il rapporto con l’ambiente esterno.
In ogni instante della sua storia l’impresa internazionalizzata si
trova in una delle quattro fasi indicate; è però anche probabile che
essa si collochi contemporaneamente in diversi stadi, a causa del
verificarsi di due circostanze piuttosto frequenti.
In primo luogo, se l’impresa è impegnata in settori differenti, è
probabile che l'evoluzione internazionale che essa segue in
ciascuno di questi stadi abbia ritmi temporali diversi.
Ad esempio, l'azienda può essere impegnata nella
razionalizzazione della propria posizione internazionale per
quanto riguarda un certo business e in un'altra area di affari
56. operare per assestare la posizione competitiva in un nuovo
mercato geografico.
In secondo luogo, poiché l'espansione internazionale procede
naturalmente in maniera il incrementale, è probabile che mentre
l'impresa è già impegnata nella razionalizzazione della
complessiva posizione internazionale, si possa
contemporaneamente trovare impegnata a gestire l' espansione in
una nuova area geografica.
È implicito che la natura e l'intensità dell'internazionalizzazione
dell' azienda sono delineate dalle caratteristiche dello stadio più
avanzato in cui questa si trova; tuttavia, il fatto di essere coinvolta
in uno stesso momento in diversi stadi del processo, comporta
che l’impresa debba affrontare in maniera simultanea
problematiche differenti, valorizzando le competenze maturate
da quelle unità del gruppo che sono più avanzate nel processo di
evoluzione internazionale.
Le quattro fasi in cui si articola il processo di
internazionalizzazione mettono in evidenza come, contrariamente
a quanto si tende comunemente a ritenere, la sua dinamica non
consiste solo nella progressiva espansione della presenza
operativa dell’impresa in nuove aree geografiche. L’espansione
nel mercato estero in senso stretto descrive, infatti, semplicemente
il primo stadio del processo d’ internazionalizzazione; questo
prosegue però con attività che non necessariamente comportano
l’ampliamento dell’ estensione geografica delle attività
dell’azienda.
57. Inoltre quale che sia la modalità operativa scelta per entrare nella
nuova area (esportazione, JV, accordi e partnership, investimenti
commerciali, IDE…), sicuramente l’internazionalizzazione
conosce delle fasi specifiche (le 4 fasi), attraverso cui ogni impresa
passa, onde accumulare le dovute conoscenze e competenze.
1.3.4 Le modalità di internazionalizzazione
L’internazionalizzazione può essere suddivisa in attiva e passiva,
ed è studiata sia a livello aggregato sia a livello di impresa.
L’internazionalizzazione attiva a livello aggregato, riguarda le
imprese di un determinato paese che decidono di entrare in aree
geografiche estere, mentre l’internazionalizzazione passiva
avviene ogni volta che uno stato diventa meta di investimenti
esteri.
Per quanto riguarda la singola impresa invece si parla di
internazionalizzazione passiva quando sono operatori economici
stranieri (tipicamente buyers, importatori, distributori...) che
vengono a ricercare il suo prodotto che presenta condizioni a loro
convenienti.
Esiste anche la figura dell’esportatore, del paese di origine ma
esterno all'azienda, che si assume il rischio di collocazione della
merce sui mercati esteri.
Questa forma dunque sarà utile per l'impresa qualora si
verifichino dei surplus produttivi temporanei o nel caso in cui
non abbia le risorse sufficienti per il processo attivo. Questa è
infatti la tipica forma di internazionalizzazione delle PMI, che fino
58. ad ora hanno guardato poco allo sbocco estero sia per la carenza
di risorse che per la mancanza di un informazione adeguata e che
solo negli ultimi anni si sono spinte oltre confine più per necessità
che per altro.
Si parlerà invece di internazionalizzazione attiva, quando
l’impresa è in grado di stanziarsi all’estero almeno per quanto
riguarda la fase distributiva della propria attività economica ed è
promotrice dei propri prodotti.
L’impresa può decidere di entrare nei mercati esteri secondo
modalità differenti, scegliendo tra IDE, accordi o trasferimenti
contrattuali di risorse (licensing, franchising, contratti di
produzione e contratti di gestione, joint ventures19
), esportazioni
dirette o indirette.
Le Nuove Forme di Internazionalizzazione (NFI) vengono
definite, per la prima volta, da Oman C. come Nuove Forme di
Investimento all'estero.
Il termine "nuove" è in contrapposizione alla forma classica di
esportazione e di investimento diretto estero (IDE).
A partire dagli anni '80, si sono evoluti nuovi generi di
collaborazione tra imprese che rappresentano sempre più il modo
di "crescere" di un'impresa, attraverso la collaborazione esterna,
piuttosto che la crescita interna. Le nuove forme organizzative
sostituiscono la tradizionale dicotomia williamsoniana tra
make(IDE) or buy(export). Il make together è oggi la nuova forma
organizzativa industriale al tempo stesso più efficiente ed efficace
per affrontare la crescente dinamica dei mercati.
19
Sono le cosiddette nuove forme di internazionalizzazione, fondate sul principio del partenariato, degli
accordi commerciali e della collaborazione.
59. Le modalità di internazionalizzazione possono essere classificate
da un punto di vista giuridico a seconda che siano basate su
equity agreement, che implica una partecipazione azionaria al
capitale(pertecipazioni di minoranza, consorzi, joint venture), o
accordi non equity, cioè che non comportano investimenti in quote
azionarie di imprese ma comportano un accordo contrattuale tra
imprese per lo svolgimento di attività in comune o per particolari
forme di assistenza tecnico-produttiva (accordi commerciali e
produttivi, acquisto/cessione di licenze, ecc.).
La teoria economica classica statunitense degli anni ‘50-‘70,
annoverava tra le forme di internazionalizzazione i processi di
delocalizzazione della produzione, recentemente definiti di
“rilocalizzazione o frammentazione internazionale della
produzione” (Baldone, 2002; Jones e Kierskowski, 1997).
In realtà la delocalizzazione internazionale può avvenire tramite
processi di integrazione orizzontale e verticale. Nel primo caso, si
tende a replicare in diversi contesti geografici la struttura
produttiva della casa madre, attraverso investimenti diretti esteri
(IDE), spesso avendo come principale finalità quella di
guadagnare un migliore accesso ai mercati locali. Nel secondo
caso, invece, il processo produttivo originariamente realizzato
dalla casa madre viene frammentato e dislocato, mediante
rapporti di subcontratto o di subfornitura (international
subcontracting), in ambiti geografici separati, spesso perché essi
offrono le migliori condizioni di costo per la loro realizzazione
(Schiattarella, 1999; Viesti, 2002).
60. Nella scelta della modalità di internazionalizzazione è necessario
considerare vari fattori:
a) i benefici attesi nel breve e nel lungo periodo
b) i costi di attuazione e di gestione
c) la tipologia delle attività svolte all'estero e il livello di controllo
che si intende esercitare su di esse
d) il livello desiderato di reversibilità delle scelte
e) il livello di rischio prospettato dal paese ospite
f) la capacità dell'impresa di sfruttare le proprie leve competitive
(valorizzare i punti di forza e sopperire ai punti di debolezza)
Figura 1.2. Modalità di internazionalizzazione e grado di controllo
Gli accordi produttivi
Sono molto utilizzati per delocalizzare produzioni ad elevata
intensità di lavoro e tecnicamente semplici in paesi con costo del
lavoro e/o delle materie prime significativamente inferiori:
Si sviluppano secondo le seguenti tipologie:
1) Subfornitura e accordi in conto terzi
61. Definizione UE: si ha quando un'impresa commissiona a un'altra
impresa (subfornitore) la fornitura di merci o servizi che la prima
utilizzerà per propri scopi commerciali, spesso, ma non sempre,
incorporando questi prodotti o servizi in un bene complesso.
Vi sono varie tipologie di accordi di subfornitura:
Si possono delegare al partner estero solo le attività a maggiore
intensità di lavoro (eventualmente anche semplicemente
specifiche lavorazioni), con modesti trasferimenti di tecnologia)
Si può trasferire al subfornitore la tecnologia, il know-how e tutto
ciò che è necessario per la produzione (progetti, stampi,
macchine, manuali, ecc.).
Oppure la produzione può essere interamente delegata al
subfornitore
Il committente inoltre può appaltare la fornitura di beni o servizi
che non intende o non è in grado di produrre in proprio e che
devono essere incorporati in un bene complesso(spesso si tratta di
componenti o sub-sistemi progettati in collaborazione).
I vantaggi sono:
a) Limitato impegno di risorse da parte del commitente
b) Possibilità di ridurre i costi diretti di produzione
c) Ideale per componenti o semilavorati standard quando non vi
sono stringenti vincoli di tempo
Gli svantaggi sono:
a) Esposizione a possibili comportamenti opportunistici sui prezzi
e sulle consegne da parte dei fornitori
b) Non agevole controllo della qualità della produzione estera
62. 2) Il Traffico di Perfezionamento Passivo (TPP)
È uno speciale regime doganale di cui possono usufruire i paesi
UE per decentrare fasi di lavorazione di un bene all'estero e
reimportare il prodotto ottenuto senza pagare dazi (Reg. UE n.
2913/92), e prevede che il terzista lavori secondo standard
produttivi determinati dal committente e su semilavorati e
materie prime di proprietà del committente (il che fornisce al
committente una garanzia di qualità sul prodotto), i dazi si
pagano solo sul valore aggiunto prodotto all'estero (incluse spese
di carico, trasporto e assicurazione) e non sull'intero valore del
prodotto reimportato.
Inoltre sono semplificate le procedure doganali (possibilità di
viaggiare a carico sigillato) ma comunque richiede un’
autorizzazione preventiva.
I settori maggiormente interessati sono: tessile-abbigliamento,
calzature, meccanica, elettronica.
I vantaggi sono:
a) Possibilità di delocalizzare specifiche fasi produttive ad elevata
intensità di lavoro
b) Pagamento di dazi solo sul valore aggiunto all'estero
c) Garanzia di qualità per l'utilizzo di materie prime del
committente
d) Semplificazione delle procedure doganali