SlideShare a Scribd company logo
L’internazionalizzazione delle imprese
italiane nel settore del mobile
arredamento
Facoltà di Economia
Corso di laurea in Economia Aziendale
Cattedra di Economia e Gestione delle imprese internazionali
Relatore: Chiar.mo Prof. Matteo G. Caroli Candidato: Marco Vatteroni
Correlatore: Chiar.mo Prof. Alberto Marcati
1
CAPITOLO I
1 L’INTERNAZIONALIZZAZIONE DELLE IMPRESE..................9
1.1 CENNI INTRODUTTIVI........................................................................................9
1.2 L’INTERNAZIONALIZZAZIONE DELLE IMPRESE E LA GLOBALIZZAZIONE DEI
MERCATI...................................................................................................................11
1.2.1 Il dinamismo del mercato mondiale: un problema per le imprese.......................15
1.2.2 Le determinanti della globalizzazione dei mercati..................................................21
1.2.3 La nascita di nuovi concorrenti...................................................................................26
1.3 IL PROCESSO DI INTERNAZIONALIZZAZIONE DELLE IMPRESE..................29
1.3.1 Il processo evolutivo dell’impresa internazionalizzata...........................................29
1.3.2 Le cause del processo di internazionalizzazione......................................................42
1.3.2.1 Forze interne.......................................................................................................................42
1.3.2.2 Forze esterne........................................................................................................................51
1.3.3 Le fasi del processo di internazionalizzazione .........................................................53
1.3.4 Le modalità di internazionalizzazione.......................................................................57
1.3.4.1 Gli accordi produttivi.........................................................................................................60
1.3.4.2 L'investimento diretto estero.............................................................................................64
1.3.4.3 Le joint venture....................................................................................................................68
1.3.5 I modelli organizzativi..................................................................................................69
2 L’ANDAMENTO DELL’ INTERNAZIONALIZZAZIONE
DELLE IMPRESE ITALIANE..............................................................74
2.1 CENNI STORICI...................................................................................................74
2.2 LE IMPRESE ITALIANE .......................................................................................79
2.2.1 La struttura imprenditoriale.......................................................................................79
2.2.2 La specializzazione delle imprese italiane.................................................................83
2.2.3 Nazionalità e competitività delle imprese.................................................................91
2.3 L’INTERNAZIONALIZZAZIONE DELLE IMPRESE ITALIANE................................95
3 I DISTRETTI.....................................................................................105
3.1 CONCETTI GENERALI.......................................................................................105
3.2 IMPRESA DISTRETTUALE, INTERNAZIONALIZZAZIONE E VANTAGGIO
COMPETITIVO.........................................................................................................107
3.3 LE STRATEGIE DI INTERNAZIONALIZZAZIONE DELLE IMPRESE DISTRETTUALI
................................................................................................................................114
3.3.1 Il profilo delle imprese...............................................................................................115
3.3.2 La dimensione dell’internazionalizzazione produttiva........................................116
2
3.3.3 L’ Organizzazione della supply chain......................................................................118
3.3.4 Processi di internazionalizzazione e tecnologie di rete.........................................125
3.3.5 Gli investimenti diretti all’estero...............................................................................130
4 IL SETTORE DEL MOBILE ARREDAMENTO.................132
4.1 LE CARATTERISTICHE DEL SETTORE................................................................132
4.2 COMPLESSITÀ DELL’AMBIENTE COMPETITIVO.............................................138
4.3 I SISTEMI PRODUTTIVI LOCALI DEL LIVENZA E DEL QUARTIER DEL PIAVE.144
4.3.1 Unità locali e addetti nei distretti mobilieri.............................................................151
4.3.2 La fase della crescita estensiva...................................................................................155
4.3.3 Caratteristiche generali delle imprese......................................................................164
4.3.4 Il portafoglio prodotti.................................................................................................169
4.3.5 L’apertura internazionale dei sistemi produttivi locali.........................................175
5 CONCLUSIONI................................................................................182
BIBLIOGRAFIA...........................................................................................................................................................186
3
INTRODUZIONE
È possibile affermare che l’internazionalizzazione ha influenzato e
continua a influenzare il tradizionale modello industriale
“all’italiana”.
Lo sviluppo della globalizzazione richiede alle aziende italiane uno
sforzo per crescere nelle dimensioni e per migliorare
l’organizzazione aziendale.
Negli ultimi anni gli scenari internazionali sono cambiati; a causa
della liberalizzazione di molti mercati, degli accordi nati tra paesi,
della crisi economica mondiale, l’ambiente competitivo delle imprese
si è ampliato in maniera rilevante.
Le aziende italiane si trovano a dover fronteggiare nuove minacce
derivanti da competitors stranieri, ma allo stesso tempo sono nate
nuove opportunità di ampliare il proprio business, la propria
dimensione, conquistando nuovi mercati e quindi
internazionalizzandosi.
La spina dorsale della realtà economica italiana è ancora
rappresentata dalla Piccola e Media Impresa ma i mutamenti di
mercato, tendenti verso la globalizzazione, fanno ritenere che ormai
la piccola dimensione non sia più così “conveniente” ed occorra una
crescita quantitativa e qualitativa.
4
Oggi la concorrenza globale impone determinati standard
dimensionali e organizzativi che, spesso, si rivelano proibitivi,
soprattutto per le imprese italiane solitamente medio-piccole.
La dimensione ridotta delle nostre aziende, considerata fino a pochi
anni fa una caratteristica premiante, oggi diventa una ''criticità'' nel
confronto internazionale.
In passato si riteneva che la “taglia ridotta” costituisse un notevole
punto di forza: le imprese di dimensioni ridotte, infatti, sono
maggiormente flessibili e consentono di godere di una struttura
basata soprattutto su costi ed oneri prevalentemente variabili,
facilmente conformabili alle variazioni della domanda.
Ma la limitata dimensione porta con se anche diversi svantaggi
evidenziati dal confronto internazionale: la difficoltà di seguire
efficacemente l’evoluzione dei mercati, la minore capacità di attrarre
risorse, in particolare quelle umane ed intangibili, le basi sia
tecnologiche che finanziarie insufficienti per rimanere competitive
sono soltanto alcuni esempi.
Proprio di fronte all’internazionalizzazione il tessuto produttivo
italiano appare inadeguato ad affrontare le nuove sfide che il mercato
propone. Il concetto di “piccolo”, nel contesto globale, deve essere
inteso come freno alla crescita, insomma, le piccole dimensioni sono
ormai insufficienti per penetrare efficacemente e convenientemente i
mercati esteri.
Gli imprenditori che governano le PMI, di fronte a questa situazione,
devono riorientare le loro scelte strategiche, impegnandosi a salire
5
almeno di un gradino nella scala dimensionale, per essere più
competitive in Italia e all’estero.
Diventa fondamentale acquisire “l’ambizione e la tensione alla
crescita”, realizzabile anche attraverso la costituzione di reti di piccole e
medie imprese, all’interno delle quali si mettono in comune alcune
iniziative ed attività per affrontare insieme, ed in un modo nuovo, i
mercati esteri e locali. Con le organizzazioni a rete è possibile realizzare
un adeguato “gioco di squadra”, nuovo presupposto per il
miglioramento del livello competitivo dell’impresa e per la riduzione
del rischio complessivo.
Quello che è importante rilevare a questo proposito è l’ostacolo
culturale.
L’imprenditore che oggi si trova alla guida di una PMI deve acquisire
una mentalità diversa, una cultura d’impresa diversa, sia a livello di
management, sia a livello imprenditoriale, in quanto attualmente una
PMI, da sola, difficilmente può affrontare le ingenti spese richieste
per l’internazionalizzazione, soprattutto in relazione ai notevoli
livelli di costi che si determinano con l’attività di espansione sui
mercati esteri.
La globalizzazione dei mercati comporta due ordini di problemi per
la piccola e media impresa: i costi produttivi, problema al quale
l’imprenditore può far fronte salvaguardando la propria tecnologia e
quindi la qualità, sviluppando le competenze e le abilità di riduzione
continua dei costi, ed il problema della commercializzazione,
valorizzazione e posizionamento dell’offerta aziendale. E’ forse questo il
problema cruciale giacché molti imprenditori di piccole dimensioni
6
investono maggiormente nella produzione, trascurando le attività di
marketing, commercializzazione e valorizzazione dell’offerta
aziendale che rappresentano, invece, fondamentali punti di forza nel
sempre più difficile confronto internazionale.
A tale proposito, le Associazioni di categoria stanno facendo molto,
fornendo ad esempio informazioni sui mercati esteri o nella
costituzione di consorzi all’esportazione. Si assiste tuttavia ancora
spesso, ad un ostinato individualismo, tanto che gli imprenditori
italiani si considerano più come “concorrenti”, che come
“collaboratori”. La possibilità di pervenire alla realizzazione di
dimensioni d’impresa competitive attraverso accordi, partnership,
alleanze e fusioni sembra ancora difficile (a causa, com’è stato
precisato sopra, di “resistenze” di carattere culturale) anche se il
ricorso a strutture organizzative integrate e a reti diventa sempre più
una necessità imprescindibile per imprese che, pur essendo
qualificate nell’attività di progettazione e produzione, devono ora
sviluppare competenze ed iniziative strategiche di
commercializzazione e vendita nel mercato globale, effettuando
investimenti strutturali e sistemici difficili da realizzare, soprattutto
per le PMI.
I tentativi fino ad oggi attuati nella direzione della crescita
dimensionale delle PMI italiane conducono a far ritenere che la
realizzazione di questo obiettivo possa attuarsi attraverso diverse
forme di internazionalizzazione.
7
Prendendo come settore specifico di riferimento quello del mobile-
arredamento, si può analizzare il tipico esempio di PMI italiana
manifatturiera.
La produzione in questo settore è per la maggior parte organizzata in
distretti, e i punti di forza delle imprese sono l’elevata flessibilità, il
design, apprezzato in tutto il mondo, e il fatto di essere Made in Italy.
Non bisogna però pensare solo a difendere queste forme di
vantaggio competitivo. Le imprese infatti dovrebbero cercare di
focalizzare le loro strategie anche su altri aspetti, proprio come la
crescita dimensionale e l’internazionalizzazione del proprio business.
E riguardo a ció che si riscontrano i maggiori problemi per le imprese
italiane nel confronto con quelle straniere, problemi causati da lacune
manageriali, organizzative, finanziarie, che rendono gli imprenditori
incerti sulla scelta di progetti di investimento di crescita aziendale
basati sull’ internazionalizzazione.
Anche lo Stato si è accorto da tempo delle difficoltà delle nostre
imprese nel confronto internazionale, e ha preso in esame la
situazione per cercare delle soluzioni che aiutino a colmare queste
lacune, tramite azioni di “supporto all’internazionalizzazione”.
Se saranno attuati determinati processi possiamo aspettarci una
ripresa delle nostre imprese.
8
CAPITOLO I
1 L’internazionalizzazione delle imprese
1.1 Cenni introduttivi
Il gran parlare che si fa di economia globale e di globalizzazione
lascia pochi dubbi sul fatto che tutti i comportamenti e i problemi
economici siano profondamente influenzati da questa tendenza.
Tuttavia, proprio il moltiplicarsi dei riferimenti alla globalità ha finito
per rendere confuso il significato di questa parola.
Sappiamo di vivere in un mondo che è sempre più globale; ma non
sappiamo bene quali siano le conseguenze di questo fatto. O meglio,
capita che ciascuno di noi abbia in mente conseguenze diverse e
spesso contrastanti.
C’è bisogno dunque di una chiarificazione sui diversi significati che
possono essere assegnati al termine “globale”. Prima di tutto, in
negativo, bisogna dire che “globale” non è un altro modo di dire
“internazionale”.
Tra i due termini va fissata una demarcazione che segna poi anche la
discontinuità che è intervenuta tra due epoche diverse: il fordismo e il
post fordismo.
La globalizzazione richiesta dall’economia attuale è cosa diversa
dall’internazionalizzazione: infatti, mentre quest’ultima rappresenta
9
l’espansione su scala mondiale della singola impresa, quasi fosse un
prolungamento internazionale della grande impresa fordista, la
globalizzazione significa sviluppo della divisione transnazionale del
lavoro tra più imprese, e dunque loro trasformazione in entità multi-
territoriali interconnesse in reti sovranazionali.
La globalizzazione dell’economia internazionale consiste perciò
nell’evoluzione delle microstrutture economiche verso una
composizione oligopolistica di grandi multinazionali e di aziende
con reti strutturali, che implicano significativi cambiamenti nel
concetto di competizione.
La tradizionale idea di competizione nazionale legata alla capacità
dell’economia nazionale di generare flussi correnti positivi o,
alternativamente, alla capacità di assorbire risorse esterne solo in
minima parte, è ormai superata. La dimensione sovranazionale
dell’attività economica si è accompagnata all’aumentata circolazione
dei capitali, soprattutto in Europa(UE), e alla globalizzazione dei
mercati che si è determinata a seguito degli importanti fenomeni di
cambiamento tecnologico.
Inoltre globalizzazione ed internazionalizzazione dei mercati
descrivono un contesto economico e finanziario in cui il tradizionale
legame tra l’impresa, in particolare la grande impresa, e la nazione di
appartenenza tendono a perdere importanza, mentre diventa
decisivo l’insieme dei mercati e delle localizzazioni produttive
dell’impresa.
Mercati integrati in ampie aree regionali sui quali finisce per essere
investito larga parte del risparmio che si è formato nella medesima
10
area, grandi gruppi organizzati in maniera reticolare, un sistema di
piccole-medie imprese che in larga misura finisce per far riferimento
ai grandi gruppi sia attraverso accordi che rapporti di subfornitura,
definiscono un panorama in cui la nozione di competitività-paese
viene posta in discussione o va quantomeno ridefinita.
Questo perché, anche per le piccole realtà economiche, la
globalizzazione non permette scollamenti o ripensamenti, pena il
pagamento di un prezzo altissimo in termini di emarginazione e
sudditanza rispetto ai poli più attenti e integrati con la logica delle
società più avanzate e aperte al mercato. Dalla globalizzazione non ci
si può soltanto difendere poiché essa è la strada attraverso cui sta
emergendo un nuovo modo di produrre e di competere. Proteggersi
da essa significherebbe ritardare il contatto dell’economia nazionale
con la sperimentazione delle forme post fordiste di produzione e di
concorrenza.
1.2 L’Internazionalizzazione delle imprese e la
globalizzazione dei mercati
Il processo d’integrazione tra le economie della maggior parte del
mondo che si è sviluppato soprattutto a partire dalla fine della
seconda guerra mondiale, ha determinato un notevole avvicinamento
ed una minore caratterizzazione delle aree geopolitiche del sistema
economico mondiale, col risultato del progressivo annullarsi dei
11
confini e delle distinzioni tra i singoli sistemi nazionali, oggi
strettamente interconnessi sul piano economico e sociale.
Le differenze culturali si vanno progressivamente riducendo ed i
modelli locali di consumo si diffondono, stimolando un processo di
imitazione che sfocia in una maggiore uniformità culturale e di
comportamento, e per effetto del medesimo processo, la maggiore
uniformità si accompagna peraltro alla maggiore varietà locale delle
caratteristiche della domanda (globalizzazione).
Da tutto ciò emerge un contesto di mercato complesso caratterizzato
dalla molteplicità e dalla compresenza di forme distinte, in cui i
confini geo-politici assumono un ruolo sempre meno utile ai fini
della spiegazione delle differenze.
Tra le determinanti di tale processo, un ruolo centrale può essere
assegnato allo sviluppo internazionale delle imprese e al
trasferimento oltre i confini domestici di beni e servizi, capitali,
risorse, tecnologie, informazioni e dati.
Non a caso sempre più rilevante è il numero delle imprese con una
crescente e significativa presenza nei mercati internazionali, e sempre
più variegate appaiono, peraltro, le forme da loro assunte.
L’origine del processo di globalizzazione appartiene assolutamente
alla storia economica contemporanea, trovando le proprie radici nello
sviluppo delle attività internazionali verificatosi nel secondo
decennio successivo alla fine dell’ultimo conflitto mondiale, allorché
si assistette al passaggio dalla tradizionale forma di commercio
12
internazionale del (periodo fordista1
) costituita da transazioni tra
imprese indipendenti appartenenti a paesi diversi,
all’internazionalizzazione delle attività componenti la catena del
valore delle imprese (periodo post-fordista). Il passaggio
all’investimento diretto all’estero (IDE) ha dato appunto origine al
fenomeno delle imprese multinazionali determinando, col passare
del tempo, l’accelerazione dello sviluppo di altre modalità di
internazionalizzazione quali le forme di cooperazione pubblica e
privata a livello internazionale e l’ampliamento della tipologia di
attività aziendali e dei settori coinvolti nel processo di
internazionalizzazione.
In questa ottica, si potrebbe affermare che le imprese hanno acquisito
una visione ed un orizzonte “globali” nel tentativo di integrare
mercati, risorse e attività su scala mondiale. In ciò risiede il principale
orientamento degli ultimi decenni.
Gli anni recenti sono caratterizzati da un processo di globalizzazione
e d’integrazione che tende a diffondersi in misura crescente tra tutti i
paesi, in tutte le attività economiche e tra tutte le imprese, anche
quelle di minori dimensioni.
Questa fase oggi interessa molte imprese appartenenti a diversi
settori, le quali viste le condizioni favorevoli che si sono andate
1
L’internazionalizzazione fordista riguardava un gruppo ristretto (un’Elite) di imprese e investiva una parte
specifica di attività, svolta appunto all’estero (Grandinetti e Rullani 1994). Erano internazionali le
maggiori imprese, il cui gigantismo debordava quasi ‘naturalmente’ dai confini nazionali, o le imprese collegate
al potere transnazionale esercitato dai maggiori stati (in primis gli Stati Uniti, ma anche vecchie potenze
coloniali come Gran Bretagna e Francia) (Vaccà e Rullani 1983). Le altre imprese operavano
saldamente ancorate - quanto a produzione, personale, management, capitale azionario e di credito – ai confini
nazionali, e praticavano i mercati transnazionali solo per le forniture (materie prime, tecnologie, macchine) e
per le vendite (esportazioni).
13
creando, hanno deciso di fare un passo decisivo verso l’
internazionalizzazione.
Le condizioni favorevoli si sono create anche grazie all’evoluzione
degli scenari internazionali dovuta ad una serie di eventi che negli
ultimi anni hanno portato forti cambiamenti nell’economia mondiale:
anni di grandi evoluzioni, che hanno assistito all’unificazione
europea e alla creazione del mercato unico europeo, alla nascita del
WTO (1994), al passaggio dalla lira all’ euro, e poi alla crisi del
mercato mondiale che ha portato all’emergere di nuovi attori e nuovi
mercati: dalla Cina all’India, senza dimenticare la Russia o il Sud
America. In conseguenza a questi cambiamenti le imprese si sono
trovate ad affrontare nuove situazioni, e a dover proporre nuove
strategie per cercare di conquistare posizioni nell’arena competitiva
globale.
L’internazionalizzazione è per l’impresa una strategia di crescita2
caratterizzata dal fatto di gestire in maniera permanente attività di
natura economica (commerciale e/o produttiva) in due o più paesi
(M.Caroli, Globalizzazione e localizzazione dell’impresa
internazionalizzata, 2003,Franco Angeli).
È giusto chiedersi perché le imprese sono portate ad
internazionalizzarsi.
Di solito l’avvio del processo d’internazionalizzazione di molte
imprese coincide con la saturazione del mercato domestico e
2
Le strategie di crescita a differenza delle strategie competitive puntano ad allargare l’ambito di azione
dell’impresa. Essa potrà espandersi nel mercato domestico diversificando la sua attività in altri settori o
rafforzando la propria posizione nel suo business originario tramite l’integrazione verticale a monte o a valle
della filiera produttiva, oppure può attuare una diversificazione geografica (cioè internazionalizzarsi),
sviluppando una posizione competitiva in nuovi territori. Naturalmente questi tre possibili sentieri di crescita
non sì auto-escludono (Wolf, 1977).
14
l’intensificazione della competizione tra prodotti nazionali dovuta
anche all’entrata dei prodotti esteri, oppure con la nascita di
condizioni di mercato favorevoli.
La scelta dell’internazionalizzazione, se talvolta è determinata dal
caso e vissuta come un’opportunità di breve periodo, molto più
frequentemente rappresenta una necessità per quelle imprese che, in
possesso di competenze distintive, vedono restringersi i mercati
interni e sono indotte ad ampliare il ventaglio geografico dei mercati
per garantirsi lo spazio vitale necessario per continuare a essere
competitive. L’ingresso di imprese straniere molto competitive, nei
mercati locali, ha profondamente modificato la loro situazione
concorrenziale costringendole a rivedere i propri piani strategici.
A fronte di questa ipercompetitività che si è venuta a creare, molti
imprenditori si sono trovati di fronte ad un bivio evolutivo che
poteva portare alla marginalità o alla crescita tramite
l’internazionalizzazione, ed hanno “scelto” questa ultima strada. Le
motivazioni che conducono molti imprenditori a spingersi verso
l’esterno non sono quindi ascrivibili solo ad un mero intento
speculativo di breve periodo, basato sullo sfruttamento di specifiche
situazioni locali ma, al contrario, sono sostenute da un orizzonte
temporale ampio(L/p).
1.2.1 Il dinamismo del mercato mondiale: un problema per le
imprese
I cambiamenti nella mappa politica, economica e socioculturale
15
mondiale si verificano ad una velocità sempre maggiore e quasi
incontrollabile, determinando un significativo ampliamento del
divario tra le economie più ricche e quelle più povere.
In questo momento, dal punto di vista macroeconomico il trend più
evidente è rappresentato dalla diminuzione dei tassi di crescita dei
paesi della Triade (Europa, Nord America, Giappone), ormai
stabilmente inferiori all’aumento di produttività contrapposta
all’espansione dei cosiddetti paesi emergenti, dove spicca la Cina.
In circa trenta anni, i paesi dell’Asia orientale hanno guadagnato
oltre 16 punti percentuali sul prodotto interno mondiale, a scapito
soprattutto dei paesi occidentali industrializzati e di quelli
appartenenti all’ex blocco sovietico.
16
Tabella 1.1. Incidenza sul PIL mondiale dei principali paesi (valori in miliardi di $
USA,Ocse2004)
1. USA 10.881
2.Giappone 4.326
3.Germania 2.400
4.GB 1.749
5. Francia 1.747
6. Italia 1.465
7. Cina 1.409
8. Spagna 836
9. Canada 834
10. Messico 626
11. SudKorea605
12. India 598
13. Austarlia 518
14. Olanda 511
15. Brasile 492
16. Russia 433
17. Svizzera 309
18. Belgio 302
19. Svezia 301
20. Austria 251
21. Turchia 238
22.Norvegia 222
23.Danimarca212
24. Polonia 210
25.Indonesia 208
26.Arabia S. 188
27. Grecia 173
28.Finlandia 162
29.SudAfrica 160
30.HongKong 159
31.Portogallo149
32. Irlanda 149
33.Tailandia 143
34. Iran 137
35.Argentina130
36. Israele 104
37.Malaysia103
38.Singapore91
39.Rep.Ceca 85
40.Venezuela85
41. Ungheria 83
42. Egitto 82
43. Filippine 81
44.Colombia 78
45.NuovaZelanda76
46. Cile 72
47.EmiratiArabi Uniti 71
48. Pakistan 69
49.PuertoRico 68
50. Algeria 66
51. Peru 61
52. Romania 60
53. Bangladesh 52
54. Nigeria 50
55. Ucraina 50
56. Marocco 44
57. Vietnam 39
58. Kuwait 35
59.Slovacchia32
60.Kazakhistan30
61. Croazia 28
62. Ecuador 27
63. Slovenia 26
64.Lussemburgo 26
65. Guatemala 25
66. Tunisia 24
67. Siria 22
68. Oman 20
69. Bulgaria 20
70. S&M 20
71. Libia 20
72. Libano 19
73. Sri Lanka 19
74. Lituania 18
75. Sudan 18
76. Bielorussia 17
77. Costa Rica 17
78. Qatar 17
79.RDominicana16
80. El Salvador 14
81. Kenya 14
82.Costad’Av.14
83. Angola 13
84. Panama 13
85. Camerun 12
86. Cipro 11
87. Uruguay 11
88. Yemen 11
89. Islanda 10
90.Trinidad&Tobago 10
91.Uzbekistan10
92. Tanzania 10
93.Giordania 10
94. Lettonia 10
95. Estonia 8
96.Zimbabwe 8
17
Le imprese che vendono sui mercati mondiali devono affrontare,
come hanno già fatto nel corso degli anni novanta, diversi
problemi di carattere economico e finanziario che possono essere
ricondotti principalmente ai seguenti:
1) Sviluppo economico più lento rispetto ai decenni precedenti:
Dopo la forte espansione dei paesi industrializzati tra il 1950 e il
1973, lo sviluppo negli anni ottanta, seppur più lento, è stato
costantemente in crescita nonostante una serie di difficoltà che
hanno riguardato soprattutto le economie occidentali (saturazione
di alcuni mercati, rallentamento nella crescita della produttività,
lento processo di adeguamento delle strutture industriali alle
nuove condizioni dell’economia internazionale, limiti nella
capacità di fronteggiare l’inflazione, aumento dei tassi d’interesse
e quindi del costo del capitale). Anche grazie al significativo calo
dei prezzi delle materie prime e in particolare del petrolio, nel
1990 la tendenza è bruscamente cambiata. L’alternarsi di fasi di
stagnazione e di ripresa è culminato alla fine del decennio con la
gravissima crisi economica, finanziaria e politica che ha colpito
l’Argentina nel 1999 (circostanza che suscitò concrete paure sulla
possibilità di un “effetto domino” che avrebbe esteso la crisi
anche agli altri paesi dell’America Latina, già in difficoltà). Anche
il nuovo millennio non è affatto cominciato sotto i migliori auspici
e gli incubi di recessione sono diventati realtà con il grave attacco
terroristico che ha colpito gli Stati Uniti nel settembre 2001; il
riflesso negativo di quanto accaduto negli USA si è ripercosso
sull’intera economia mondiale, col risultato di trascinare in
particolare i paesi occidentali industrializzati in una fase recessiva
-secondo alcuni economisti si tratta o si è trattato solo di una
“leggera recessione”- sottolineata anche dal crollo di autentici
colossi industriali del mercato mondiale, basti ricordare il caso
Enron e Worldcom negli Stati Uniti, o situazioni a noi più note
quali i crack Cirio e Parmalat.
Secondo le previsioni d’ordine qualitativo operate dall’Hudson
Institute, l’attuale decennio sarà caratterizzato da alcuni aspetti
come l’aumento della concorrenza tra i prodotti per effetto
dell’urbanizzazione e il cambiamento nelle priorità d’acquisto dei
consumatori, la ricerca di più elevati standard di sicurezza
sociale, il rafforzamento dell’idea che il “futuro sarà
probabilmente peggiore del passato” e di movimenti d’opinione
contrari al progresso tecnologico e allo stesso sviluppo economico
che tra le varie conseguenze potrebbero produrre il rallentamento
dello sviluppo economico.
2) Concorrenza più intensa sui mercati mondiali, con nuovi
protagonisti e nuove strategie:
Nel corso degli anni settanta sui mercati mondiali si sono
affacciati paesi di recente industrializzazione come Corea del Sud,
Taiwan, India, Singapore e Hong Kong, i quali hanno sottratto ai
vecchi protagonisti (Gran Bretagna, Francia, Germania, Stati
Uniti, Giappone e, su scala minore, Italia) quote di mercato
inizialmente nei settori a basso costo del lavoro e poi nei settori a
tecnologia medio/alta.
Contemporaneamente il pesante aumento dei prezzi delle materie
prime ha portato alla ribalta i paesi ricchi di risorse naturali tra i
quali vanno ricordati Algeria, Arabia Saudita, Brasile, Malaysia e
Indonesia.
Gli anni novanta e il periodo attuale si caratterizzano per la
nuova forte espansione dei NICS (New Industrial Countries) e
soprattutto per il nuovo ruolo assunto nell’economia mondiale
dalla Cina. Volendo approfondire ulteriormente questo rapido
esame sui protagonisti attuali e futuri del mercato mondiale, si
può ricorrere a una distinzione basata sul “fattore chiave” di un
settore industriale che può alternativamente essere o la
disponibilità di forti capitali, o un basso costo del lavoro rispetto
ai concorrenti, o la tecnologia:
A) Capitali
Nei settori a forte intensità di capitale (automobili, cantieri navali,
acciaio, chimica) i protagonisti continueranno ad essere alcuni
paesi industrializzati che dispongono di un importante mercato
interno nel quale costruire rilevanti economie di scala che
consentono loro di presentarsi sui mercati mondiali con prodotti e
prezzi competitivi. La loro posizione sarà tuttavia insidiata da
alcuni paesi in via di sviluppo che hanno settori ormai in grado di
competere senza troppi problemi con quelli dei paesi più
avanzati.
B) Lavoro
Nei settori a forte intensità di lavoro la vulnerabilità dei paesi
industrializzati e soprattutto dell’Europa è già elevata ed è
destinata ad aumentare ulteriormente.
In produzioni dove le componenti principali sono materie prime,
disponibilità di tecnologie e costo del lavoro, l’industria
occidentale ha poche possibilità di difesa,e se la quota del costo
del lavoro sul totale dei costi di produzione è molto alta, i paesi a
bassi salari, come i paesi in via di sviluppo o i NICS, hanno un
vantaggio difficilmente eguagliabile.
C) Tecnologie
Nei settori che fanno perno sul livello tecnologico
(computer,telecomunicazioni) la supremazia statunitense sarà
insidiata sempre più dal Giappone e in parte minore dall’Europa.
Nonostante una parte di queste produzioni sia già fisicamente
realizzata nei NICS, i mercati mondiali continueranno ad essere
dominati dai paesi più industrializzati sia in termini d’offerta che
di domanda.
1.2.2 Le determinanti della globalizzazione dei mercati
I maggiori contributi all’espansione e allo sviluppo dell’economia
e delle varie attività internazionali possono ricondursi ai seguenti
fattori:
1) sviluppo e diffusione della tecnologia
2) crescente interdipendenza delle economie nazionali
3) sviluppo di nuovi mezzi di comunicazione e di trasporto
4) riduzione delle barriere istituzionali alla mobilità
internazionale
Tali fattori possono essere analizzati singolarmente:
1) Lo sviluppo tecnologico:
La determinante che ha maggiormente inciso sul processo di
internazionalizzazione delle attività delle imprese e
dell’economia, può essere identificata nello sviluppo e nella
diffusione delle conoscenze tecnologiche; lo sviluppo tecnologico
è diventato un fenomeno indiscutibilmente transnazionale e
interaziendale, sottratto all’uso esclusivo di un singolo paese o
operatore.
E’ ormai evidente che il sapere scientifico e informativo è una
risorsa che si forma e si acquisisce non più all’interno della
singola impresa ma a livello d’economia globale.
Lo sviluppo della scienza prospetta un ampio ventaglio di
alternative tecnologiche tra le quali scegliere; è il pluralismo
tecnologico che consente di individuare con maggiore facilità e
certezza le soluzioni più appropriate alle esigenze e alle risorse
delle imprese ed ai vantaggi comparati dei vari paesi. L’accesso
diretto ad un ampio patrimonio tecnologico ed il suo rapido
apprendimento, tramite il trasferimento e lo scambio
internazionale delle conoscenze, permette anche alle imprese più
piccole di modernizzarsi e internazionalizzarsi senza dover
sottostare agli standard organizzativi e tecnologici della grande
scala. Pluralismo e pervasività della cultura scientifica e
tecnologica sono quindi alla base della grande capacità di
penetrazione dei processi di internazionalizzazione a tutti i livelli
dell’economia.
2) La crescente interdipendenza delle economie nazionali:
Lo sviluppo economico degli ultimi decenni ha determinato una
maggiore convergenza nella sfera dei bisogni tra i paesi
industrializzati, riscontrabile nella domanda e nell’offerta di
prodotti, tecnologie e processi produttivi globali. Nelle diverse
regioni del mondo sono spesso ricercati gli stessi beni e servizi e
la condizione di maggiore omogeneità della domanda rendono i
mercati nazionali più attraenti ed accessibili alla concorrenza
internazionale.
Il risultato è stato l’eliminazione dei tradizionali rapporti centro-
periferia, secondo cui i paesi in via di sviluppo rifornivano i paesi
industrializzati di beni primari in cambio di prodotti finiti.
Da un punto di vista politico, inoltre, si deve segnalare una
progressiva riduzione del potere di rappresentanza e dei margini
di discrezionalità per l’intervento nell’economia degli stati
nazionali; il progressivo trasferimento dei poteri a livello
sovranazionale tende a spostare il baricentro politico verso
organizzazioni di tipo continentale. La capacità dello Stato di
rappresentare gli interessi nazionali si specializza in campi di
competenza regionale, mentre a livello generale i vari governi
possono solo agire come “gruppi di interesse” all’interno del
livello istituzionale superiore.
3) Lo sviluppo di nuovi mezzi di comunicazione e di trasporto:
Le innovazioni tecnologiche nel campo dei trasporti e delle
telecomunicazioni hanno definitivamente ridotto la distanza tra i
diversi paesi. Il miglioramento dei sistemi di trasporto non ha
soltanto determinato un aumento della velocità di trasferimento
delle merci, ma ne ha anche notevolmente ridotto il costo,
rendendo più accessibile lo sbocco o l’approvvigionamento di
risorse e prodotti finiti a livello internazionale. Tuttavia,
l’elemento che negli ultimi anni appare trainante ai fini
dell’internazionalizzazione non è tanto la riduzione dei costi di
trasporto, quanto la forte riduzione dei costi di comunicazione
resa possibile dallo sviluppo dell’information technology. Dal
1990 ad oggi, la rete globale di computer, televisori e telefoni ha
aumentato la sua capacità di trasporto di informazioni di oltre un
milione di volte. In questo quadro è inevitabile non ricordare il
fenomeno della diffusione di internet, che ha letteralmente messo
a disposizione e alla portata di tutti un sistema di comunicazione
globale di enorme efficacia e potenzialità.
4) La riduzione delle barriere istituzionali alla mobilità
internazionale:
Sono stati numerosi gli accordi internazionali sottoscritti dai vari
paesi a partire dalla fine del dell’ultimo conflitto mondiale, intesi
a ridurre le barriere istituzionali sorte per proteggere le economie
nazionali a limitazione del libero scambio delle merci.
Nella riduzione delle tariffe e nella regolamentazione del
commercio internazionale un ruolo fondamentale è stato svolto in
passato dal GATT(General Agreement on Tariffs and Trade) e
oggi dal WTO (World Trade Organization). Gli accordi
riguardanti, la riduzione delle barriere artificiali e la creazione di
mercati sovranazionali possono assumere molteplici forme, e in
proposito si possono distinguere:
● le organizzazioni regionali per lo sviluppo: accordo tra più
governi per partecipare alla realizzazione di progetti di natura
anche infrastrutturale ( come la costruzione di impianti) che
favoriscano settori e attività di base, impegnandosi sia a
partecipare al finanziamento sia a ad acquistare parte dell’output
proveniente dalle opere realizzate;
● le aree di libero scambio: accordo tra i paesi per l’eliminazione o
la riduzione delle barriere (tariffarie e non) che ostacolano il
libero scambio di merci.
A differenza di quanto accade nei mercati comuni, i paesi che
formano le aree di libero scambio non sono caratterizzati da
barriere esterne agli scambi e da dazi doganali identici e non
consentono la libera circolazione di lavoro e capitali;
● le unioni doganali: la caratteristica saliente è sia la riduzione o
l’eliminazione delle barriere interne (tratto tipico del libero
scambio), sia la presenza di tariffe esterne comuni sui prodotti
importati dai paesi terzi. Tuttavia non è consentita la libera
circolazione di lavoro e capitali (peculiarità dei mercati comuni);
● i mercati comuni: sono costituiti da paesi che, oltre agli accordi
tariffari tipici di un’unione doganale, beneficiano anche della
libera circolazione interna di servizi (lavoro compreso) e capitali.
Gli accordi possono ulteriormente prevedere un percorso che
porti ad un’effettiva integrazione politica: è infatti possibile
l’adozione di piani comuni di natura fiscale, monetaria, di politica
sociale o di difesa militare;
● le unioni politiche: lo scopo è quello di assicurare il miglior
raggiungimento possibile degli obiettivi economici inizialmente
determinati sulla base dei vari accordi multinazionali.
Le unioni politiche costituiscono a tutti gli effetti una comunità
sovranazionale di stati indipendenti.
1.2.3 La nascita di nuovi concorrenti
I mercati hanno subito, e stanno subendo, dei cambiamenti nei
loro scenari dal punto di vista delle dimensioni e degli attori che
ne fanno parte proprio a causa delle determinanti viste prima. Le
imprese locali, abituate a competere e a confrontarsi nel proprio
settore con prodotti nazionali, hanno assistito all’entrata di
aziende straniere nel loro mercato.
Il contesto competitivo in cui si muovono le imprese sta
rapidamente cambiando, e il nuovo emerge da tanti
inequivocabili segnali: è sempre più difficile tenere le quote di
mercato, anche accettando margini di profitto decrescenti, per
non perdere clienti. Entrano in campo nuovi concorrenti, che
hanno caratteristiche e potenzialità diverse da quelle dei
concorrenti tradizionali, a cui le imprese locali sono abituate. Allo
stesso tempo, si affacciano sui mercati nuovi potenziali clienti e
nuovi potenziali fornitori, che sono però raggiungibili solo
facendo investimenti impegnativi e mettendo in conto tempi non
brevi per stabilire un efficace contatto. In conseguenza c’è stato
un aumento della competitività dei settori, e l’evoluzione degli
scenari ha portato delle modifiche nella struttura degli stessi, e
conseguentemente delle difficoltà nell’inquadramento dei nuovi
raggruppamenti strategici che si sono venuti a creare all’interno
degli stessi.
Le famose 5 forze competitive di Porter 3
descrivono un settore
nelle sue generalità, ma l’ambiente competitivo rilevante per
l’impresa è costituito dagli attori che fanno parte del suo stesso
“raggruppamento strategico”4
(M.Caroli, Economia e estione delle
imprese,2003,McGraw-Hill). Con l’entrata di nuovi competitors
all’interno dei vari settori, sapere veramente quali imprese fanno
parte di un raggruppamento strategico è diventato più
complesso, perché è aumentato il numero di prodotti presenti sul
mercato.
Il contesto competitivo è cambiato per diverse ragioni; prima di
tutto, le grandi imprese, grazie alla globalizzazione, sono in grado
di utilizzare, direttamente o indirettamente, le grandi riserve di
fattori a basso costo che sono disponibili nei paesi emergenti. La
3
Le 5 forze di Porter sono: l’intensità della concorrenza nel settore, la minaccia di nuovi entranti nel
settore, la competizione indiretta esercitata da beni o servizi aventi la stessa funzione d’uso, il potere
contrattuale dei fornitori, il poter contrattuale degli acquirenti. Per completare la descrizione dell’ambiente
competitivo bisogna aggiungerne 2: l’intensità e il segno di alcuni stakeholders esterni, il grado di
integrazione con le imprese complementari rispetto alla domanda finale.
4
Cioè gruppi di imprese che all’interno dello stesso settore adottano strategie simili, disponendo di un
simile patrimonio di risorse.
domanda internazionale di subfornitura di componenti, e
materiali a basso costo, si rivolge sempre più altrove.
D’altra parte, l’offerta di flessibilità e varietà non è più
“monopolio” di un limitato gruppo di incursori, nel quadro di
una ben regolata produzione di massa. Oggi, diventano sempre
più rari i mercati, anche di nicchia, che sono al riparo dalla
concorrenza: anche i grandi produttori, infatti, puntano alle
piccole serie, ai prodotti di qualità, alla moltiplicazione dei
modelli, alla personalizzazione del servizio reso al cliente. E,
soprattutto, nascono ogni giorno nuovi agguerriti competitors,
capaci di copiare, imitare, innovare e soprattutto di mettere “al
lavoro” il proprio specifico retroterra nazionale, facendo leva
sulle risorse materiali, sociali e politiche della società di
appartenenza.
La loro presenza cambia la natura del gioco competitivo.
Ci sono nuovi paesi, che irrompono sulla scena usando un costo
del lavoro, livelli di tolleranza ambientale, fattori di apertura o
chiusura agli investimenti internazionali che sono propri del
contesto di appartenenza. Questi nuovi aspetti stanno
sicuramente incidendo sulle scelte strategiche di molte imprese
locali, le quali visto il nascere di nuove minacce provenienti
dall’estero, devono attuare strategie competitive nuove.
E’ con queste variabili che dobbiamo imparare a fare i conti.
All’orizzonte, si profila una nuova geopolitica su scala mondiale:
una presenza minacciosa e incombente, che deve essere capita nei
suoi diversi aspetti e protagonisti, se si vuole essere capaci di
coglierne anche gli aspetti favorevoli, le opportunità che,
nonostante tutto, contiene.
1.3 Il processo di internazionalizzazione delle
imprese
Lo studio del processo d’ internazionalizzazione attraverso cui
l’impresa sviluppa la sua posizione nel mercato estero prevede un
iter logico, che parte dall’analisi delle cause che la spingono a
internazionalizzarsi, per arrivare allo studio delle fasi di tale
processo, ed alle modalità di entrata nel nuovo mercato.
Con questa analisi vengono alla luce tutte le strade perseguite
dalle imprese, e le differenze che le caratterizzano, anche
all’interno dello stesso settore.
Le cause, e le diverse modalità di entrata nel mercato estero
analizzate, aiutano ad avere un quadro generale più chiaro sullo
stato delle imprese italiane ed estere che hanno deciso di
intraprendere questa modalità di crescita.
1.3.1 Il processo evolutivo dell’impresa
internazionalizzata
Essendo l’impresa un’entità in continuo divenire, la sua natura
internazionale non può che essere interpretata in chiave
evoluzionistica, come il risultato di un processo. Di conseguenza,
l’internazionalizzazione rappresenta l’esito di un progressivo
sviluppo oltre-confine della presenza operativa dell’impresa,
capace di stimolare cambiamenti nell’impianto strategico-
organizzativo aziendale, nonché nella sua posizione competitiva.
In conclusione, l’espansione estera si articola in una sequenza di
orientamenti, cui corrispondono diverse configurazioni
strategico-organizzative.
Un approccio metodologico di chiaro stampo dinamico è
rintracciabile nel product life cycle di Vernon (1966, 1979), un
modello che stabilisce una peculiare corrispondenza tra fase del
ciclo di vita del prodotto e modalità di presenza estera
dell’impresa.
In sostanza, operando in aree geografiche caratterizzate da
differenti tassi di sviluppo della domanda, l’impresa può sfruttare
il diverso valore attribuito a un prodotto, a una tecnologia o a un
impianto nei vari Paesi, allungandone il ciclo di vita.
Quando un operatore entra per primo in un mercato, beneficia,
per un certo periodo, di una posizione monopolistica, destinata a
venire meno solo con il progressivo ingresso di nuovi produttori
(followers) in tale mercato.
Naturalmente il leader originario, potrà reagire in tre modi:
1) provocando una guerra dei prezzi;
2) esportando la propria produzione in eccesso;
3) ricorrendo a innovazioni di prodotto e/o di processo;
Nella fase introduttiva del ciclo di vita (del prodotto, della
tecnologia o dell’impianto), l’attività produttiva è localizzata dove
si trova il mercato da servire e dove contemporaneamente è
disponibile la tecnologia necessaria ai processi produttivi. In una
situazione simile, l’impresa è sostanzialmente domestica, e le
eventuali esportazioni in altre aree, rispondono esclusivamente
ad una logica di sfruttamento delle economie di produzione e di
massimizzazione della capacità produttiva.
Naturalmente, una volta conquistato il mercato interno, l’impresa
comincia a produrre per quei mercati esteri la cui domanda si
dimostri simile a quella domestica; il prodotto, oltre ad essere
esportato, comincia anche a essere realizzato direttamente nei
mercati di destinazione, ma solo qualora essi garantiscano
appropriate tecniche produttive. Quindi, nella fase espansiva del
ciclo, la strategia di esportazione diviene centrale per l’impresa, e
quest’ultima guarderà a Paesi via via più lontani e meno
sviluppati, quali vaste sacche di domanda insoddisfatta.
Talvolta però, alcune imperfezioni di mercato, aggravano i costi
della attività di esportazione (dazi, contingentamenti, sussidi dei
paesi esteri alle proprie imprese), spingendo il produttore-
esportatore a ricorrere ad un investimento produttivo, onde
realizzare parte della propria produzione direttamente all’estero,
e sfruttare eventualmente i differenziali nei costi dei fattori.
Tipicamente ciò accade nella fase di maturità del ciclo di vita del
prodotto, quando cioè i mercati originari sono saturi, la domanda
diviene maggiormente sensibile al prezzo e l’offerta è
standardizzata.
Al verificarsi di tali condizioni, altri operatori riusciranno ad
entrare nel mercato, instaurando nello stesso una forte
competizione di prezzo. Per risultare vincenti, le imprese
dovranno necessariamente intervenire sui costi, andando a
realizzare i propri processi produttivi laddove sia possibile
beneficiare di notevoli risparmi.
L’impresa procede allora a ricreare nelle nuove aree di attività le
condizioni precedentemente verificatesi nel mercato domestico
(vale a dire una situazione di monopolio e lo sfruttamento delle
economie di produzione)5
.
Nella fase di declino, la produzione di un certo output (così come
l’utilizzo di un impianto o di una tecnologia) si localizza
definitivamente nei paesi di più recente ingresso, dove la
domanda aggregata è in fasi di sviluppo meno avanzate. Le
vecchie produzioni continueranno ad essere realizzate nei nuovi
mercati, a partire dai quali lentamente si riproporrà, verso
ulteriori nuove aree, la transizione esportazione-investimenti
produttivi, precedentemente illustrata. Al contrario, nel mercato
domestico, l’impresa produrrà esclusivamente prodotti nuovi e
maggiormente competitivi.
Infatti, i cash flow generati dalle unità produttive presenti in tali
aree geografiche, saranno parzialmente reinvestiti nel mercato
domestico onde realizzare innovazioni di prodotto, di processo,
di materiali, con cui acquisire nuovi vantaggi competitivi.
5
Secondo Vernon, le imprese sono disposte a creare una sussidiaria in una nuova area geografica,
sopportandone costi e incertezze, soltanto qualora percepiscano di possedere un vantaggio monopolistico.
L’Autore ritiene che nella maggior parte dei casi tale vantaggio risieda nella capacità innovativa
dell’impresa e che la principale spinta all’innovazione provenga dalle minacce e dalle promesse del
mercato (Vernon, 1979). In particolare, nel suo secondo intervento, egli accusava i managers di miopia,
poiché spesso essi si limitano a considerare le opportunità e i bisogni dei soli mercati più vicini a quello
domestico, concentrando in quest’ultimo le fasi di sviluppo delle innovazioni, fino alla produzione pilota e
alla prima commercializzazione. In questo modo, la domanda proveniente da altre aree deve essere
soddisfatta dall’unità produttiva esistente, attraverso esportazioni o accordi di licensing; la creazione di
una sussidiaria estera richiede invece un preventivo paragone tra costi marginali della produzione
domestica per l’estero (comprensivi delle spese di trasporto e delle eventuali tariffe doganali) e costo
complessivo della produzione oltre confine, tenuto conto anche di eventuali minacce esterne alla rendita
monopolistica dell’impresa.
Vernon concludeva che le attività estere dell’impresa evolvono
coerentemente con il ciclo di vita del prodotto, e subiscono in tale
processo una ricollocazione geografica: il prodotto divenuto
obsoleto nel mercato domestico, non cessa di esistere, ma
continua ad essere utilmente prodotto per altri mercati esteri e in
altri mercati esteri, caratterizzati da un minore tasso di sviluppo
della domanda; eventualmente tale prodotto potrà essere
reimportato nel mercato di origine, per soddisfare6
residue sacche
di domanda locale.
La storia e la realtà economica ci insegnano che nel corso del loro
sviluppo, i paesi abbandonano le produzioni più semplici e a più
alto contenuto di manodopera, lasciandole ai Paesi emergenti la
cui forza lavoro è si meno costosa, ma spesso anche meno
preparata.
Ciò avviene perché lo sviluppo spinge al rialzo i salari,
incrementa il know-how, le competenze e la dotazione di capitale,
spingendo i Paesi a concentrarsi su produzioni più sofisticate e
differenziate (processo di rilocalizzazione delle produzioni).
L’intensità e al velocità di questo processo dipendono da:
1) l’andamento dei costi del lavoro comparati
2) l’evoluzione relativa della produttività
6
Nel 1979 Vernon riconsiderò la sua teoria, alla luce di due fenomeni: la diffusione delle strutture reticolari
e i cambiamenti nell’ambiente esteso (nascita di forti comunità economiche sovranazionali e attenuarsi dei
differenziali di reddito a livello internazionale). Secondo l’Autore, infatti, il ciclo di vita internazionale del
prodotto non spiegare a pieno la situazione in cui erano venuti a trovarsi diversi PVS. Questi ultimi erano
tagliati fuori del processo di convergenza internazionale nei livelli di reddito, nelle dimensioni dei mercati e
nei costi dei fattori produttivi, che aveva coinvolto i Paesi industrializzati; inoltre, nonostante le
multinazionali avessero creato delle reti produttive globali, le sussidiarie localizzate nelle economie in via
di sviluppo, continuavano a dover acquisire prodotti, semilavorati e innovazioni da altre unità operanti in
mercati più ampi, ricchi e sofisticati. Tuttavia, alcuni PVS (Brasile, Messico, India, Corea) crescevano
chiaramente a tassi superiori e mostravano un’autonoma capacità innovativa, con cui rispondere alle
specifiche condizioni economiche interne. Una volta realizzato questo adattamento locale dei
prodotti/processi, queste sussidiarie generalmente intraprendevano un proprio ciclo di esportazione e
eventualmente di investimento diretto estero (internazionalizzazione di secondo grado).
3) le variazioni nelle barriere al movimento di beni, servizi e
capitali fra i Paesi.
Se tale ricollocazione avviene in maniera graduale, sollecita al
contempo aggiustamenti, riconversioni e nuovi sviluppi, ma non
crea problemi gravi. Quando invece vengono superate certe
soglie di rapidità, nascono tensioni sociali, disoccupazione e
impoverimento del tessuto produttivo domestico.
Un’interpretazione dinamica dell’internazionalizzazione è anche
quella proposta da Perlmutter (1969), il quale parla di una
“tortuosa evoluzione delle multinazionali”, il cui andamento può
essere letto attraverso i differenti orientamenti al mercato estero7
.
In sostanza, la presenza oltre confine risulta organizzata in
funzione dell’importanza che tali mercati acquisiscono nella
strategia complessiva dell’impresa.
In siffatto processo evoluzionistico, Perlmutter rintracciava
quattro momenti e dunque quattro atteggiamenti principali:
Approccio etnocentrico (tipico delle fasi iniziali): l’impresa è ancora
fortemente legata al Paese di origine, i mercati esteri sono
percepiti e gestiti come una estensione fisica di quello domestico.
Il risultato è una forma di internazionalizzazione debole, spinta
da esigenze congiunturali, e in quanto tali, transuenti. Le
interdipendenze sono organizzate in maniera sequenziale, la
conoscenza e il potere di iniziativa risultano accentrati presso la
7
Perlmutter ritiene che i parametri tradizionali (nazionalità della proprietà o del management, percentuale
di investimenti realizzati all’estero, presenza strutturale in un certo numero di aree geografiche) non
riescano da soli a misurare correttamente il grado di multinazionalità di un’impresa. Ciò che conta
realmente è “...the way executives think about doing business around the world; the orientation toward
foreign people, resources and ideas, in headquarters and subsidiaries, and in host and home
environments, becomes crucial in estimating the multinationality of a firm... ”;
Perlmutter H. V. (1969), The Tortuous Evolution of the Multinational Corporation, Columbia Journal of
World Business, january-febrauary, pp.8-18.
casa madre, mentre i compiti più operativi sono demandati alle
unità periferiche.
Approccio policentrico: l’enfasi si sposta dal mercato domestico a
quelli di destinazione attraverso un vero e proprio decentramento
decisionale, all’interno del quale la casa madre si limita a
controllare e gestire il portafoglio di aree-mercato. I mercati esteri
diventano entità distinte, dotate di proprie unità organizzative,
collegate all’headquarter prevalentemente tramite flussi di risorse
finanziarie. Mano a mano che la proprietà del capitale si diffonde
all’estero e che l’origine geografica del management si differenzia,
queste imprese non si identificano più con un solo Paese.
Approccio regiocentrico: sfruttando fenomeni di
internazionalizzazione dei comportamenti di consumo, l’impresa
individua delle macroregioni sopranazionali, ove sviluppare una
offerta sostanzialmente standardizzata, idonea a massimizzare
tanto la soddisfazione del consumatore quanto le esigenze di
efficienza dell’impresa. Ovviamente, per sfruttare eventuali
sinergie, si rendono necessari dei momenti di contatto e di
scambio tra le sussidiarie operanti nei territori della macroarea:
ciò spinge a creare, in ogni macroregione, una sub-headquarter,
quale entità di raccordo tra le sussidiarie locali e gli orientamenti
strategici della casa madre.
Approccio geocentrico: l’espansione delle macroregioni di cui sopra,
trasforma le singole aree geografiche in semplici componenti di
un unico sistema globale. L’impresa acquisisce una vocazione
mondiale, l’offerta risulterà standardizzata a livello mondiale, e
l’intenso coordinamento tra casa madre e sussidiarie, priverà
queste ultime di autonomia gestionale e decisionale. I loro
compiti diventano instabili e complicati, poiché strumentali,
subordinati o comunque interconnessi con le funzioni di altre
unità. Le interdipendenze tra il centro e le singole sussidiarie, così
come quelle tra le sussidiarie stesse sono individuate e sfruttate in
condizioni di reciprocità.
Naturalmente questi quattro approcci devono essere intesi quali
possibili tappe dell’evoluzione internazionale dell’impresa, non
legate da nessi eziologici e suscettibili di presentarsi
contemporaneamente nelle diverse aree geografiche e di business.
Di conseguenza, ogni impresa caratterizzata da una articolazione
internazionale della catena del valore dovrà individuare il
proprio mix8
tra profilo etnocentrico, policentrico e geocentrico9
.
Sicuramente quest’ultimo tende a prevalere, favorito
dall’ampliarsi dei mercati mondiali, dalla nascita di comunità
economico-politiche sovranazionali, dalla possibilità di acquisire
conoscenze manageriali e tecnologiche in diversi Paesi, dalla
globalizzazione dei modelli di consumo e dalle innovazioni nei
sistemi di trasporto e telecomunicazione; tuttavia tale tendenza è
frenata dalla scarsa conoscenza, talvolta dalla diffidenza dei
managers nei confronti di alcuni mercati esteri, da insormontabili
differenze linguistiche e culturali, da tendenze nazionalistiche
rilevate nella potenziale controllata estera, e così via.
8
Tale mix dipenderà dai vantaggi e dagli svantaggi relativi dei diversi approcci: quello etnocentrico
garantisce il massimo controllo, forti flussi di informazioni e conoscenza dal centro alla periferia, semplicità
organizzativa, tuttavia è affetto da una scarsa flessibilità di risposta agli stimoli ambientali e da minori
opportunità di innovazione; l’approccio policentrico si caratterizza negativamente per duplicazioni, rischio
di eccessivo localismo e di mancata valorizzazione dell’esperienza maturata nel Paese di origine, ma al
contempo consente di sfruttare al massimo le opportunità esistenti nei mercati locali, massimizzando la
soddisfazione dei consumatori e l’adattamento dei prodotti, beneficiando anche di incentivi governativi;
infine i costi del profilo geocentrico sono essenzialmente legati alle spese di comunicazione e trasporto, e
alla crescente burocrazia interna all’impresa, mentre i benefici risiedono essenzialmente nella possibilità di
utilizzare le risorse migliori disponibili a livello mondiale, di fissare comuni obiettivi condivisi su scala
globale e di massimizzare gli standards qualitativi dei propri prodotti e servizi.
9
Consideriamo l’approccio regiocentrico come un approccio geocentrico in fieri.
Un altro contributo teorico di matrice dinamica è quello
dell’internationalization process model, legato alla scuola svedese di
Uppsala e alla figura di Aharoni.
Questi definiva l’internazionalizzazione “un processo emergente,
avente natura incrementale”10
.
La scuola di Uppsala ipotizza un ciclo di acquisizione di
esperienza e di impegno, nel corso della crescita internazionale
dell’impresa, e la sua internazionalizzazione deriverà in definitiva
da un processo lento e continuo di formazione di conoscenza11
,
attraverso cui gli investitori esteri riescono a superare la
considerevole incertezza da cui sono affette le loro decisioni di
espansione estera. Tale incertezza è direttamente proporzionle
all’inesperienza degli attori, o meglio a dei veri e propri gap di
conoscenza (Johanson, Widersheim-Paul, 1975). La gradualità del
processo dipende dal fatto che i problemi e le opportunità offerte
dall’espansione oltre i confini del proprio Paese di origine si
presentano man mano che l’impresa pone in essere le operazioni
estere, sviluppando le competenze necessarie e attribuendo a tali
operazioni importanza strategica crescente (Caroli, 2000).
Introducendo i concetti di psychic distance e di establishment chain,
il modello del processo di internazionalizzazione ordina in
sequenza temporale le fasi seguite dagli operatori nella scelta dei
Paesi esteri in cui insediarsi e della particolare modalità di
internazionalizzazione delle attività.
10
Aharoni Y. (1966), The Foreign Investment Decision Process, Harvard Unversity, Graduate School of
Business Administration, Boston.
11
Una volta entrata in un mercato, l’impresa acquisisce continuamente nuove conoscenze circa le
caratteristiche dello stesso; tale maggior conoscenza e esperienza si traduce in un crescente impegno
imprenditoriale nell’area in questione (più la si conosce più può essere stimolante e /o profittevole
continuare a investirvi o entrare in aree ulteriori).
A monte del processo si pone la decisione riguardo l’area
geografica in cui entrare, tenendo conto della cosiddetta psychic
distance.
Quest’ultima non si esaurisce nella mera valutazione della
distanza geo-fisica tra due punti, regioni o territori, al contrario
indica la similarità in termini di contesto ambientale e
competitivo tra due Paesi.12
Una volta scelta l’area-obiettivo e
superata la fase di ingresso nel nuovo mercato, la posizione
dell’impresa evolverà attraverso i diversi livelli della establishment
chain, maturando in ciascuno di essi un superiore grado di
conoscenza e di impegno verso il mercato e la strategia estera.
Come anticipato poco prima, nella teoria della crescita
internazionale dell’impresa le decisioni di espansione degli
investitori esteri sono fortemente incerte, poiché affette da un
duplice gap di conoscenza: tale incertezza riguarda il
funzionamento e il contesto istituzionale dei singoli mercati
nazionali, nonché il modus operandi in ambienti non familiari. La
conoscenza maturerà da processi di learning-by-doing, e il sentiero
di espansione dell’impresa disegnerà un processo cumulativo,
caratterizzato da informazione crescente e esperienza (Mariotti e
Piscitello, 1994).
In sostanza l’establishment chain delinea le principali attività poste
in essere dalle imprese parallelamente al grado di sviluppo delle
12
La psychic distance dipende dalle differenze linguistiche e culturali, dai diversi modelli e livelli di sviluppo
industriale e di educazione, dal particolare sistema politico adottato. Sicuramente essa si modifica nel
tempo ed è, salvo eccezioni, positivamente correlata alla distanza geografica tra le aree considerate ( es.
l’Australia è “percepita” vicina all’Inghilterra nonostante la lontananza fisica).
Di solito, le imprese prive di una consolidata esperienza estera, guardano in primo luogo ai mercati vicini,
ritenuti controllabili in maniera agevole e diretta, e sicuramente più simili a quello domestico in termini di
preferenze, modelli di consumo e di business. La crescente apertura internazionale consentirà loro di
espandere i propri orizzonti di attività, aumentando la distanza tra mercati di approvvigionamento e di
sbocco, sedi produttive e centri strategico-decisionali. In sostanza, al crescere delle conoscenze, le routine
di selezione includono una più ampia gamma di alternative relative ad aree culturalmente più distanti, per
le quali il rischio soggettivo di asimmetrie informative è venuto decrescendo.
Luostarinen R. (1980), Internationalization of the Firm, Helsinky, The Helsinky School of Economics.
loro conoscenze sul mercato estero e Johanson e Widersheim-Paul
distinguono al suo interno:
1) attività di esportazione svolta in maniera irregolare;
2) attività di esportazione svolta attraverso intermediari
indipendenti;
3) creazione di sales subsidiaries all’estero13
;
4) creazione di subsidiaries di produzione e/o di assemblaggio
all’estero.14
Il coinvolgimento graduale dell’impresa nel mercato estero
avverrà grazie ad un processo di apprendimento e
sedimentazione, conseguente all’acquisizione e alla ritenzione di
informazioni circa il nuovo ambiente competitivo. Più tale
conoscenza aumenterà più l’impresa sarà spinta investire in quel
mercato o a entrare in ulteriori nuove aree.
Il sistema organizzativo aziendale, passando attraverso le fasi
della establishment chain, matura conoscenza e commitment nei
confronti del mercato estero, e attraverso questo processo di
accumulazione effettua la transizione alla fase successiva del suo
processo di apertura internazionale. Ovviamente tali passaggi
saranno tanto più rapidi quanto più il contesto ambientale
(lingua, tipo di cultura, livello di istruzione, sistemi politici) e
quello competitivo (sviluppo industriale) del Paese di
destinazione saranno “vicini” o simili, a quelli del Paese di
origine.
13
Sono delle filiali commerciali prive di rilievo strategico, cui sono demandate le attività di marketing e
vendite, e quelle di assistenza tecnica. L’impresa complessivamente considerata si limita a sfruttare firm-
specific asset controllati dalla casa madre.
14
Le sussidiarie assumono in primis decisioni strategiche circa la definizione dei volumi di
produzione o le caratteristiche dei prodotti (eventuali adattamenti locali).
In conclusione, il processo di internazionalizzazione coinvolge in
primo luogo paesi culturalmente vicini, e successivamente con
l’accumularsi di conoscenze e competenze, si estende anche a
quelli più lontani, secondo un approccio step-by-step, finalizzato a
ridurre il rischio e i sunk costs dell’espansione in contesti non
familiari, attraverso l’impiego crescente di risorse cui
corrispondono le varie fasi della estalishment chain.
Passando attraverso i diversi momenti del processo di
internazionalizzazione, alcune dimensioni aziendali subiscono
delle modifiche più o meno incisive:
La strategia competitiva dovrà perseguire l’ottenimento di un
vantaggio competitivo, attraverso una presenza commerciale e/o
produttiva all’estero.
I processi di business saranno organizzati su scala sovralocale, la
catena del valore sarà localizzata su scala internazionale
(naturalmente le varie attività saranno poi reintegrate soprattutto
tramite la ICT).
La conoscenza maturata all’estero, consentirà all’impresa di
sfruttare le opportunità e le specificità di più Paesi, e tutte le
sussidiarie beneficeranno del trasferimento di conoscenze nella
rete interna.
L’organizzazione delle relazioni interne dovrà essere tale da
massimizzare i trasferimenti di informazioni e conoscenza,
garantendo al contempo la corretta implementazione
dell’orientamento strategico della corporate, mentre.
le relazioni esterne tra le sussidiarie e gli attori locali (soprattutto i
governi) dovranno essere gestite e sviluppate in modo da
ottimizzare i vincoli e le opportunità, derivanti dalla presenza
nell’area.
I mercati esteri sono intesi come contenitori di risorse, e l’impresa
sceglie di entrarvi in funzione dell’apprendimento che può trarre
da essi. D’altra parte il commitment, inteso quale impegno,
radicamento, ammontare degli investimenti effettuati
dall’impresa nell’area, sarà funzione crescente delle conoscenze
che l’impresa percepisce di poter trarre da tale contesto e dalle
relazioni con gli attori locali.
A questo punto il circolo si chiude e si autoalimenta: col
progredire della presenza internazionale crescono il commitment,
la conoscenza e le relazioni dell’impresa con il mercato estero e
con i suoi attori di riferimento; allo stesso tempo quanto più
l’impresa conosce il mercato tanto più si radica nello stesso,
sviluppando fitte relazioni con gli attori locali.
Tuttavia, il limite dell’internationalization process model risiede
nella sua natura essenzialmente deterministica e sequenziale che,
pur consentendogli di individuare tutti i possibili stadi
dell’espansione estera di un’impresa, stabilisce una precisa
relazione tra stadio del processo di internazionalizzazione e
configurazione dell’impresa15
, escludendo che essa possa
differenziare la propria internazionalizzazione in relazione alle
caratteristiche interne, all’orientamento strategico o alle specifiche
interazioni che stabilisce con l’ambiente di riferimento.
Ricercare le cause dell’internazionalizzazione significa
individuare una serie di spinte, interne e esterne, legate alle
15
Il modello individua in maniera univoca il modello strategico-organizzativo appropriato per ciascun
gruppo di relazioni e conoscenze che l’impresa gestisce nelle differenti fasi del suo sviluppo internazionale.
risorse e competenze di cui l’impresa dispone. Ecco perché a
seconda delle caratteristiche del mercato o del business di
riferimento, delle conoscenze detenute dall’impresa o in base alle
sue precedenti esperienze internazionali, alcune fasi della
establishment chain potranno essere saltate o richiedere tempi
diversi16
.
1.3.2 Le cause del processo di internazionalizzazione
Forze interne
Le cause che spingono l’impresa a ricercare l’espansione della
propria attività produttiva e commerciale in aree geografiche
estere possono essere ordinati in due categorie: fattori «interni»,
connessi allo sviluppo delle risorse interne e della posizione
competitiva; fattori «esterni», connessi all’adeguamento o allo
sfruttamento degli stimoli provenienti dall’ambiente rilevante.
L’effetto generato da questi due ordini di fattori dipende dalle
condizioni del sistema aziendale in cui esse agiscono; in
particolare dalle risorse e competenze che esso ha a disposizione e
della sua configurazione organizzativa.
I fattori connessi allo sviluppo della posizione competitiva
enfatizzano, l’origine interna all’impresa del processo di
internazionalizzazione che viene attivato da specifiche scelte
prese dai dirigenti aziendali.
16
Da parte sua, l’establishment chain è suscettibile di modificazioni e/o di salti nell’articolazione e nel
susseguirsi dei suoi stadi; in generale ciò avviene in presenza di modalità di entrata di tipo acquisitivo,
consolidata esperienza internazionale, ridotte dimensioni del Paese di destinazione, tali da impedire
l’implementazione di tutti gli step.
Il secondo gruppo di fattori riguarda invece le spinte che hanno
origine esterna, e che derivano quindi dai vincoli o dalle
opportunità che le condizioni ambientali pongono all’impresa.
Peraltro l’evoluzione dello scenario competitivo in molti settori è
tale che, la scelta per l’internazionalizzazione diventa una
condizione quasi necessaria per la sopravvivenza.
Il processo di internazionalizzazione è, quindi, il risultato di una
combinazione di cause che investe entrambe le categorie viste.
Le condizioni interne dell’impresa, espresse dall’assetto
organizzativo, dall’orientamento strategico e dalle conoscenze
accumulate, spingono l’impresa a un certo tipo di espansione
estera.
Una volta che l’impresa si stanzia in una nuova area geografica,
acquisisce risorse e conoscenze che determinano un cambiamento
interno, con il rafforzamento della posizione competitiva e la
nascita di nuove spinte per la crescita a aziendale.
Quindi, nel processo di internazionalizzazione delle imprese le
spinte interne ed esterne non possono che coesistere.
L’impatto dei fattori dipende dalle condizioni interne
dell’impresa, cioè dalle risorse e competenze disponibili,
dall’esperienza maturata e dagli equilibri organizzativi che
caratterizzano l’azienda.
Quindi l’impresa deve disporre di risorse tangibili e intangibili, e
competenze adatte a gestire la presenza nel mercato estero,
soprattutto per quanto riguarda lo sviluppo, e lo sfruttamento del
vantaggio competitivo di cui dispone, anche in aree estere (fattori
interni).
Oppure può andare alla ricerca di competenze di cui non
dispone, e ricercarle in nuove aree geografiche (fattori esterni).
Non si ritiene corretto stabilire alcuna relazione deterministica tra
dimensione delle attività dell’impresa e orientamento strategico
della stessa verso l’internazionalizzazione; tuttavia, l’impresa che
raggiunge una buona posizione competitiva ed ha una forte
crescita dimensionale, e quindi di fatturato, raggiunge dei livelli
di risorse e competenze che le permettono di affrontare nuove
alternative di crescita; tra queste l’internazionalizzazione è una
delle principali.
I fattori interni di spinta verso i mercato esteri sono quelli su cui è
posta una maggiore enfasi, anche perché il processo di espansione
all’estero è la manifestazione delle caratteristiche dell’impresa dal
punto di vista organizzativo, strategico, e di creazione delle
conoscenze.
Inoltre le risorse disponibili e la configurazione organizzativa
dell’azienda hanno anche rilievo sul peso delle spinte esterne
all’internazionalizzazione, influenzando il modo con cui
l’impresa percepisce e interpreta i segnali provenienti
dall’esterno.
Infatti le competenze, le risorse disponibili, e la configurazione
organizzativa dell’impresa condizionano il tipo di risposta che
essa è in grado di dare agli stimoli ambientali; risposta che può
andare verso l’avvio del processo d’internazionalizzazione, verso
il ripiegamento nel mercato locale, o addirittura può portare
all’abbandono del settore.
Le forze interne alla base del processo d’internazionalizzazione
sono di tre tipi:
1) L’acquisizione di vantaggi competitivi intrinseci nella presenza
internazionale
2) Lo sfruttamento in nuove aree geografiche di vantaggi
competitivi detenuti nel mercato originario
3) La ricerca nelle aree estere di condizioni che possono tradursi
in elementi di vantaggio competitivo.
1) L’espansione estera come fonte intrinseca di vantaggio
competitivo:
Questa strategia fa riferimento al paradigma «eclettico», secondo
cui l’internazionalizzazione permette all’impresa di ridurre,
attraverso la gestione di attività internazionali, i costi
transazionali e migliorare la propria posizione competitiva
rispetto ai concorrenti locali.
L’approccio eclettico individua tre categorie di vantaggi:
Gli atout derivanti dalla sola natura dell’impresa; la quale può
disporre di risorse e vantaggi competitivi rilevanti sui mercati
internazionali, come la riduzione dei costi di transazione, grazie
ad una struttura organizzativa internazionale più efficiente dello
scambio sul mercato.
I vantaggi nel trasferire i propri fattori di forza, come la
tecnologia, alle unità operative del gruppo invece che ad imprese
etere.
La localizzazione dell’impresa a livello globale, che permette di
ridurre alcune categorie di costo, come quelli tansazionali e
produttivi. L’impresa infatti ha convenienza nel sostituire il
mercato per determinate transazioni, con l’integrazione a livello
internazionale che risulta più efficiente.
Dalla teoria espressa nel paradigma eclettico possiamo derivare le
tre spinte fondamentali alla realizzazione dell’ IDE( investimento
diretto estero):
- Investimenti market seeking, effettuati per raggiungere nuovi
mercati.
- Investimenti low cost seeekig, effettuati per ottenere una
riduzione dei costi di produzione.
- Investimenti natural resource seeking, effettuati per acquisire i
fattori produttivi ad un costo più basso.
Oltre ai benefici di natura transazionale, l’espansione dell’impresa
risulta fonte di vantaggio competitivo, perché:
- Determina alcune condizioni di arbitraggio, come
l’abbattimento dell’ onere fiscale attraverso il meccanismo dei
prezzi di «trasferimento», tramite il quale vengono spostate
porzioni di reddito nell’area geografica dove la tassazione sulle
imprese è minore.
Altra condizione è l’ottimizzazione del reperimento delle risorse
finanziarie, attraverso la presenza diretta in diversi mercati
finanziari. Altra forma di arbitraggio deriva dalla teoria del ciclo di
vita del prodotto di Vernon, infatti l’impresa operando in diverse
aree geografiche,con un diverso tasso di sviluppo della domanda,
può sfruttare il diverso valore che la domanda nei vari paesi
attribuisce al prodotto, allungandone il ciclo di vita. Questa
opportunità non riguarda solo i prodotti ma anche la tecnologia, e
gli impianti utilizzati nei processi produttivi.
- Fornisce all’impresa alcune leve competitive, come la
diversificazione del portafoglio di business aree geografiche
dell’impresa, che riduce il rischio complessivo.
Ma ci sono anche altre leve strategicamente importanti, come il
fatto che l’azienda, operando in diversi contesti geografici
dispone di una base da cui maturare nuove conoscenze (asset
intangibile) sicuramente più ampia di quella dei semplici
concorrenti nazionali.
Un’altra leva molto sfruttata è quella della strategia di
comunicazione, semplicemente per il fatto che l’immagine
dell’impresa internazionale gode di un vantaggio rispetto a quella
nazionale.
Il fatto di essere presente in più mercati garantisce dei vantaggi si
marketing consistenti: una maggiore riconoscibilità del prodotto e
della marca da parte del consumatore, l’aumento delle occasioni
in cui il consumatore è spinto a provare il prodotto, ed il
rafforzamento della possibilità di fidelizzare il cliente, perché il
prodotto è rese disponibile ovunque si trovi.
L’accrescimento del potere economico ed extra economico costituisce
un’altra leva, che deriva dalla presenza internazionale
dell’impresa e influenza il confronto competitivo sui mercati
nazionali.
Infatti le imprese che operano a livello internazionale possono
formare degli accordi collusivi con gli altri leader del settore, che
limitano il corretto svolgimento dell’attività economica.
Questa politica collusiva penalizza direttamente le aziende a
dimensione locale.
Un altro vantaggio che l’impresa può trarre dalla presenza
internazionale è dato dall’effetto made-in, cioè nel fatto che l’area
geografica in cui viene costruito il prodotto influenza in modo
consistente le sue caratteristiche, e la percezione che ne ha il
consumatore.
Il fatto che le attività di produzione siano svolte in un’ area
geografica che gode di una buona reputazione e tradizione,
aumenta la percezione positiva che il consumatore ha di quel
prodotto.
L’impresa quindi può sfruttare l’effetto made-in, collocando la
propria attività di ricerca o produzione nell’area geografica che
gode della migliore immagine per quanto riguarda le componenti
critiche del prodotto; nel caso in cui tale effetto è principalmente
connesso a fattori d’immagine, occorre anche enfatizzare l’origine
nazionale della produzione. Facendo leva sull’effetto made-in
positivo l’impresa gode di un vantaggio competitivo, inimitabile
dagli operatori di dimensione locale.
2) L’espansione estera come strategia per sfruttare i vantaggi
disponibili:
Lo sfruttamento in nuove aree geografiche dei vantaggi
competitivi detenuti nel proprio territorio d’origine, costituisce la
seconda spinte all’internazionalizzazione.
Si tratta di sfruttare i propri vantaggi in termini di competenze,
imprenditorialità, accesso ai capitali e via dicendo.
Lo sviluppo della presenza internazionale può essere dovuto
anche alla volontà di rafforzare il proprio vantaggio competitivo
detenuto nel territorio d’origine, per esempio attraverso la
minimizzazione dei costi, tramite le economie di produzione.
L’impresa mantiene la concentrazione della struttura produttiva,
ricerca una presenza di mercato in diverse aree geografiche, cosi
da aumentare il livello delle vendite e, quindi, della propria
dimensione produttiva.
Le risorse e gli elementi di vantaggio competitivo trasferiti sono
prevalentemente di carattere intangibile, e all’interno di un
gruppo si configurano come un «bene pubblico», risultando
trasferibili ad un costo contenuto.
La possibilità di sfruttare i vantaggi detenuti nel mercato
originario in nuove aree geografiche è caratterizzata da un’
elevata incertezza, poiché dipende da come si manifesta «l’effetto
prisma».
Questo effetto è causa di una deformazione del giudizio e delle
percezioni da parte dei consumatori, causato dalle diverse
caratteristiche ambientali, che influiscono sulla posizione
competitiva dell’impresa.
L’effetto prisma risulta potenzialmente maggiore per vantaggi
legati alla differenziazione dell’offerta, piuttosto cha alla
riduzione dei costi.
La possibilità di estendere un vantaggio detenuto nel mercato
locale in altre aree geografiche è una spinta
all’internazionalizzazione, che va comunque presa con le dovute
precauzioni, analizzando il contesto in cui si è deciso di operare, e
valutando gli elementi di forza su cui è basata questa strategia in
relazione alle caratteristiche del mercato, della concorrenza e
degli attori presenti nelle nuove aree geografiche.
3) L’espansione estera come modalità di ricerca di nuovi
vantaggi disponibili:
La terza specie di spinta interna è costituita dalla ricerca di nuove
fonti di vantaggio competitivo efficaci per rafforzare la posizione
dell’impresa sia nel suo mercato di origine, sia nel contesto
internazionale in cui eventualmente si trova ad operare.
Di solito questa motivazione nasce nelle fasi più avanzate del
processo di internazionalizzazione, perché questa spinta implica
infatti che l’impresa concepisca la propria strategia competitiva
nella prospettiva internazionale, e disponga quindi di una
sofisticata capacità di analisi e valutazione dello scenario
internazionale.
Inoltre la ricerca di nuovi vantaggi competitivi spinge l’impresa a
collocare prevalentemente all’estero le attività di ricerca e di
produzione, o a stabilire relazioni commerciali con fornitori esteri.
Il vantaggio competitivo che l’impresa può raggiungere in
un’area geografica estera, è dato dalla possibilità di svolgere in
modo più efficace ed efficiente una determinata attività in
quell’area rispetto a quanto sarebbe possibile fare nel proprio
paese d’origine.
La possibilità dipende dal rilievo dei fattori di attrattività
dell’area considerata e dalla concreta capacità dell’impresa di
appropriarsi del vantaggio competitivo che deriva da tali fattori.
Forze esterne
L’adeguamento o lo sfruttamento delle condizioni ambientali
costituisce il secondo gruppo di forze che possono dar vita al
processo di internazionalizzazione dell’impresa.
Si distinguono tre fattori in particolare:
1) L’internazionalizzazione del mercato, della concorrenza e
dell’ambiente rilevante;
2) Il miglioramento delle condizioni e la diminuzione dei costi
relativi alle comunicazione ed ai trasporti tra diverse aree
geografiche;
3) La saturazione del mercato locale.
Il primo di questi fattori consiste nel superamento dei tradizionali
confini geografici.
Da un lato un mercato geografico è sempre meno protetto
dall’entrata di operatori originariamente localizzati in altri
contesti; dall’altro, è sempre meno complicato per il consumatore
esprimere la propria domanda in mercati collocati in aree diverse
da quella di appartenenza.
In una situazione del genere, la capacità di saper operare in
contesti geografici diversi diventa una condizione indispensabile.
E questa condizione vale anche nel caso in cui il mercato locale è
diventato saturo, infatti il saper operare in altre aree geografiche
sostituisce altre strategie attuate nel mercato locale (acquisizione
di una posizione di leadership nel settore, diversificazione).
La spinta verso l’internazionalizzazione in questo caso dipende
da tre situazioni:
1) L’intensità della concorrenza nel mercato locale e la capacità
dell’impresa di raggiungere la posizione di leader.
2) La «trasferibilità» delle risorse e competenze disponibili in
un’altra area di business.
3) La «trasferibilità» delle risorse e competenze disponibili in
un’altra area geografica.
Lo sviluppo della presenza estera può essere considerata come
una spinta esterna data dai concorrenti, che possono diventare
delle minacce, nel caso in cui compiano il primo passo verso
l’internazionalizzazione.
Si attua così una reazione competitiva nei confronti di un
concorrente che ha già attuato una strategia di espansione estera,
o che sta per attuarla alterando così gli equilibri di mercato.
Il band-wagon effect 17
(effetto trascinamento) è un’ipotesi
imitativa, dove troviamo un first mover che ha attuato per primo
la strategia di espansione estera e quindi può acquisire i vantaggi
competitivi; e dei follower che seguono questa strategia decidendo
di operare all’estero per non lasciare al primo tutti i vantaggi.
Un altro tipo di strategia di internazionalizzazione dovuta ad una
reazione è quella del cosiddetto «exchange of threat18
», dove un
‘impresa che vede l’entrata, nel suo mercato locale, di un nuovo
concorrente straniero decide di entrare nel mercato dello stesso
per rispondere alla minaccia che gli è stata portata. Per quanto
riguarda la seconda spinta esterna, assistiamo ad un sempre più
17
Aharoni 1996
18
Graham (1978)
intenso sviluppo dei sistemi di comunicazione e di trasporto, ed a
una costante diminuzione dei loro costi, tanto da ridurre gli
investimenti necessari per l’espansione in aree estere. Questo
determina un aumento della competitività in ciascun mercato
locale e funge da spinta per le imprese verso il superamento delle
barriere di natura geografica.
1.3.3 Le fasi del processo di internazionalizzazione
Nell'analisi degli elementi che caratterizzano la natura
dell'impresa internazionalizzata sono stati discussi i modelli che
interpretano il fenomeno dell'internazionalizzazione come un
processo che avviene in diversi stadi, ad ognuno dei quali
l'impresa assume uno specifico tipo di configurazione.
Tali approcci, pur risultando criticabili a causa della loro
impostazione sostanzialmente deterministica, contengono alcuni
elementi d'interesse concettuale.
In particolare, essi sottolineano il carattere dinamico dell'
espansione estera, determinata da cause e decisioni che mutano
con la stessa evoluzione dell'impresa.
Già Saraceno osservava come l'impresa internazionale non deve
essere intesa come un «archetipo», ma piuttosto come il risultato
in continuo divenire di un percorso evolutivo. Su questa linea si
esprime anche Rispoli (1994) quando afferma che «per
internazionalizzazione delle imprese, può intendersi infatti un
processo che, a partire da un rapporto relativamente semplice ma
sistematico delle imprese con i mercati esteri (come quello
generato da flussi esportativi non occasionali), porta via via verso
forme di investimento all' estero e comunque verso lo sviluppo di
relazioni competitive, transattive e collaborative con altre aziende
di produzione e di servizi, pubbliche e private, in diversi paesi».
Questo paragrafo ha l'obiettivo di focalizzare i passaggi logici che
l'impresa attraversa nel corso della sua evoluzione internazionale
e nei quali assume, in funzione delle specifiche condizioni del
processo, una certa configurazione strategica ed organizzativa.
Dal modo in cui l'azienda gestisce le proprie operazioni estere, si
può identificare lo stadio del processo di internazionalizzazione
coinvolto.
Le fasi in cui, in condizioni normali, è possibile dividere il
processo d'internazionalizzazione delle imprese sono:
1) Fase di entrata nel mercato estero: l’impresa individua l’area che le
interessa, gli obiettivi che vuole raggiungere attraverso la
presenza in tale area e i mezzi per realizzare i suddetti obiettivi;
analizza le risorse che possiede e individua come e dove dotarsi
di quelle mancanti.
2) Fase di assestamento della presenza sul mercato estero: l’impresa
matura nuove routine e competenze attraverso le quali
stabilizzare gli effetti della nuova dimensione geografica, e
eventualmente modifica la propria struttura organizzativa e la
strategia competitiva.
3)Fase di sviluppo della posizione competitiva nei mercati esteri: l’area
estera cresce di importanza nell’economia e nell’orientamento
strategico dell’impresa, per cui nascono e si arricchiscono le
relazioni con gli stakeholders locali (rete esterna), ma
contemporaneamente si inizia a guardare a altre aree di possibile
espansione commerciale e/o produttiva.
4) Fase di razionalizzazione della posizione internazionale:
l’insediamento simultaneo in diverse aree geografiche e di
mercato porta a organizzare la catena del valore a livello globale,
ottimizzando la struttura dei costi, sfruttando al massimo sia i
vantaggi competitivi acquisiti nelle varie aree che le
interdipendenze tra le catene del valore di business differenti.
Ovviamente sarà necessario definire l’architettura dei rapporti tra
la corporate e le varie sussidiarie (rete interna).
In ciascuna di queste fasi, l'impresa matura un livello più
avanzato di competenze utili per gestire le operazioni estere.
Si ripropone sul piano internazionale la centralità dell’ «azione
imprenditoriale» che alterna la stabilizzazione della struttura per
far fronte ad un determinato contesto, all’azione di cambiamento
della stessa per migliorare il rapporto con l’ambiente esterno.
In ogni instante della sua storia l’impresa internazionalizzata si
trova in una delle quattro fasi indicate; è però anche probabile che
essa si collochi contemporaneamente in diversi stadi, a causa del
verificarsi di due circostanze piuttosto frequenti.
In primo luogo, se l’impresa è impegnata in settori differenti, è
probabile che l'evoluzione internazionale che essa segue in
ciascuno di questi stadi abbia ritmi temporali diversi.
Ad esempio, l'azienda può essere impegnata nella
razionalizzazione della propria posizione internazionale per
quanto riguarda un certo business e in un'altra area di affari
operare per assestare la posizione competitiva in un nuovo
mercato geografico.
In secondo luogo, poiché l'espansione internazionale procede
naturalmente in maniera il incrementale, è probabile che mentre
l'impresa è già impegnata nella razionalizzazione della
complessiva posizione internazionale, si possa
contemporaneamente trovare impegnata a gestire l' espansione in
una nuova area geografica.
È implicito che la natura e l'intensità dell'internazionalizzazione
dell' azienda sono delineate dalle caratteristiche dello stadio più
avanzato in cui questa si trova; tuttavia, il fatto di essere coinvolta
in uno stesso momento in diversi stadi del processo, comporta
che l’impresa debba affrontare in maniera simultanea
problematiche differenti, valorizzando le competenze maturate
da quelle unità del gruppo che sono più avanzate nel processo di
evoluzione internazionale.
Le quattro fasi in cui si articola il processo di
internazionalizzazione mettono in evidenza come, contrariamente
a quanto si tende comunemente a ritenere, la sua dinamica non
consiste solo nella progressiva espansione della presenza
operativa dell’impresa in nuove aree geografiche. L’espansione
nel mercato estero in senso stretto descrive, infatti, semplicemente
il primo stadio del processo d’ internazionalizzazione; questo
prosegue però con attività che non necessariamente comportano
l’ampliamento dell’ estensione geografica delle attività
dell’azienda.
Inoltre quale che sia la modalità operativa scelta per entrare nella
nuova area (esportazione, JV, accordi e partnership, investimenti
commerciali, IDE…), sicuramente l’internazionalizzazione
conosce delle fasi specifiche (le 4 fasi), attraverso cui ogni impresa
passa, onde accumulare le dovute conoscenze e competenze.
1.3.4 Le modalità di internazionalizzazione
L’internazionalizzazione può essere suddivisa in attiva e passiva,
ed è studiata sia a livello aggregato sia a livello di impresa.
L’internazionalizzazione attiva a livello aggregato, riguarda le
imprese di un determinato paese che decidono di entrare in aree
geografiche estere, mentre l’internazionalizzazione passiva
avviene ogni volta che uno stato diventa meta di investimenti
esteri.
Per quanto riguarda la singola impresa invece si parla di
internazionalizzazione passiva quando sono operatori economici
stranieri (tipicamente buyers, importatori, distributori...) che
vengono a ricercare il suo prodotto che presenta condizioni a loro
convenienti.
Esiste anche la figura dell’esportatore, del paese di origine ma
esterno all'azienda, che si assume il rischio di collocazione della
merce sui mercati esteri.
Questa forma dunque sarà utile per l'impresa qualora si
verifichino dei surplus produttivi temporanei o nel caso in cui
non abbia le risorse sufficienti per il processo attivo. Questa è
infatti la tipica forma di internazionalizzazione delle PMI, che fino
ad ora hanno guardato poco allo sbocco estero sia per la carenza
di risorse che per la mancanza di un informazione adeguata e che
solo negli ultimi anni si sono spinte oltre confine più per necessità
che per altro.
Si parlerà invece di internazionalizzazione attiva, quando
l’impresa è in grado di stanziarsi all’estero almeno per quanto
riguarda la fase distributiva della propria attività economica ed è
promotrice dei propri prodotti.
L’impresa può decidere di entrare nei mercati esteri secondo
modalità differenti, scegliendo tra IDE, accordi o trasferimenti
contrattuali di risorse (licensing, franchising, contratti di
produzione e contratti di gestione, joint ventures19
), esportazioni
dirette o indirette.
Le Nuove Forme di Internazionalizzazione (NFI) vengono
definite, per la prima volta, da Oman C. come Nuove Forme di
Investimento all'estero.
Il termine "nuove" è in contrapposizione alla forma classica di
esportazione e di investimento diretto estero (IDE).
A partire dagli anni '80, si sono evoluti nuovi generi di
collaborazione tra imprese che rappresentano sempre più il modo
di "crescere" di un'impresa, attraverso la collaborazione esterna,
piuttosto che la crescita interna. Le nuove forme organizzative
sostituiscono la tradizionale dicotomia williamsoniana tra
make(IDE) or buy(export). Il make together è oggi la nuova forma
organizzativa industriale al tempo stesso più efficiente ed efficace
per affrontare la crescente dinamica dei mercati.
19
Sono le cosiddette nuove forme di internazionalizzazione, fondate sul principio del partenariato, degli
accordi commerciali e della collaborazione.
Le modalità di internazionalizzazione possono essere classificate
da un punto di vista giuridico a seconda che siano basate su
equity agreement, che implica una partecipazione azionaria al
capitale(pertecipazioni di minoranza, consorzi, joint venture), o
accordi non equity, cioè che non comportano investimenti in quote
azionarie di imprese ma comportano un accordo contrattuale tra
imprese per lo svolgimento di attività in comune o per particolari
forme di assistenza tecnico-produttiva (accordi commerciali e
produttivi, acquisto/cessione di licenze, ecc.).
La teoria economica classica statunitense degli anni ‘50-‘70,
annoverava tra le forme di internazionalizzazione i processi di
delocalizzazione della produzione, recentemente definiti di
“rilocalizzazione o frammentazione internazionale della
produzione” (Baldone, 2002; Jones e Kierskowski, 1997).
In realtà la delocalizzazione internazionale può avvenire tramite
processi di integrazione orizzontale e verticale. Nel primo caso, si
tende a replicare in diversi contesti geografici la struttura
produttiva della casa madre, attraverso investimenti diretti esteri
(IDE), spesso avendo come principale finalità quella di
guadagnare un migliore accesso ai mercati locali. Nel secondo
caso, invece, il processo produttivo originariamente realizzato
dalla casa madre viene frammentato e dislocato, mediante
rapporti di subcontratto o di subfornitura (international
subcontracting), in ambiti geografici separati, spesso perché essi
offrono le migliori condizioni di costo per la loro realizzazione
(Schiattarella, 1999; Viesti, 2002).
Nella scelta della modalità di internazionalizzazione è necessario
considerare vari fattori:
a) i benefici attesi nel breve e nel lungo periodo
b) i costi di attuazione e di gestione
c) la tipologia delle attività svolte all'estero e il livello di controllo
che si intende esercitare su di esse
d) il livello desiderato di reversibilità delle scelte
e) il livello di rischio prospettato dal paese ospite
f) la capacità dell'impresa di sfruttare le proprie leve competitive
(valorizzare i punti di forza e sopperire ai punti di debolezza)
Figura 1.2. Modalità di internazionalizzazione e grado di controllo
Gli accordi produttivi
Sono molto utilizzati per delocalizzare produzioni ad elevata
intensità di lavoro e tecnicamente semplici in paesi con costo del
lavoro e/o delle materie prime significativamente inferiori:
Si sviluppano secondo le seguenti tipologie:
1) Subfornitura e accordi in conto terzi
Definizione UE: si ha quando un'impresa commissiona a un'altra
impresa (subfornitore) la fornitura di merci o servizi che la prima
utilizzerà per propri scopi commerciali, spesso, ma non sempre,
incorporando questi prodotti o servizi in un bene complesso.
Vi sono varie tipologie di accordi di subfornitura:
Si possono delegare al partner estero solo le attività a maggiore
intensità di lavoro (eventualmente anche semplicemente
specifiche lavorazioni), con modesti trasferimenti di tecnologia)
Si può trasferire al subfornitore la tecnologia, il know-how e tutto
ciò che è necessario per la produzione (progetti, stampi,
macchine, manuali, ecc.).
Oppure la produzione può essere interamente delegata al
subfornitore
Il committente inoltre può appaltare la fornitura di beni o servizi
che non intende o non è in grado di produrre in proprio e che
devono essere incorporati in un bene complesso(spesso si tratta di
componenti o sub-sistemi progettati in collaborazione).
I vantaggi sono:
a) Limitato impegno di risorse da parte del commitente
b) Possibilità di ridurre i costi diretti di produzione
c) Ideale per componenti o semilavorati standard quando non vi
sono stringenti vincoli di tempo
Gli svantaggi sono:
a) Esposizione a possibili comportamenti opportunistici sui prezzi
e sulle consegne da parte dei fornitori
b) Non agevole controllo della qualità della produzione estera
2) Il Traffico di Perfezionamento Passivo (TPP)
È uno speciale regime doganale di cui possono usufruire i paesi
UE per decentrare fasi di lavorazione di un bene all'estero e
reimportare il prodotto ottenuto senza pagare dazi (Reg. UE n.
2913/92), e prevede che il terzista lavori secondo standard
produttivi determinati dal committente e su semilavorati e
materie prime di proprietà del committente (il che fornisce al
committente una garanzia di qualità sul prodotto), i dazi si
pagano solo sul valore aggiunto prodotto all'estero (incluse spese
di carico, trasporto e assicurazione) e non sull'intero valore del
prodotto reimportato.
Inoltre sono semplificate le procedure doganali (possibilità di
viaggiare a carico sigillato) ma comunque richiede un’
autorizzazione preventiva.
I settori maggiormente interessati sono: tessile-abbigliamento,
calzature, meccanica, elettronica.
I vantaggi sono:
a) Possibilità di delocalizzare specifiche fasi produttive ad elevata
intensità di lavoro
b) Pagamento di dazi solo sul valore aggiunto all'estero
c) Garanzia di qualità per l'utilizzo di materie prime del
committente
d) Semplificazione delle procedure doganali
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC
L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC

More Related Content

What's hot

Introduzione ai fondamenti del marketing
Introduzione ai fondamenti del marketingIntroduzione ai fondamenti del marketing
Introduzione ai fondamenti del marketing
Stefano Principato
 
Analisi comparativa del Marketing mix nelle imprese nautiche da diporto
Analisi comparativa del Marketing mix nelle imprese nautiche da diportoAnalisi comparativa del Marketing mix nelle imprese nautiche da diporto
Analisi comparativa del Marketing mix nelle imprese nautiche da diporto
damiano cori
 
Franco Denari - Corso Marketing Lezione I e II
Franco Denari - Corso Marketing Lezione I e IIFranco Denari - Corso Marketing Lezione I e II
Franco Denari - Corso Marketing Lezione I e II
Franco Denari
 
Progettare il prodotto turistico
Progettare il prodotto turisticoProgettare il prodotto turistico
Progettare il prodotto turistico
Alessandro Bazzanella
 
Il sistema turistico nazionale e internazionale
Il sistema turistico nazionale e internazionaleIl sistema turistico nazionale e internazionale
Il sistema turistico nazionale e internazionale
flfrisi
 
Creare e sviluppare una startup
Creare e sviluppare una startupCreare e sviluppare una startup
Creare e sviluppare una startup
T3basilicata
 
Storia del Marketing
Storia del MarketingStoria del Marketing
Storia del MarketingAmedeo Lepore
 
Appunti di Diritto Commerciale
Appunti di Diritto CommercialeAppunti di Diritto Commerciale
Appunti di Diritto Commerciale
profman
 
Offshore Wind Turbines Policy Brief
Offshore Wind Turbines Policy BriefOffshore Wind Turbines Policy Brief
Offshore Wind Turbines Policy Brief
Jeremiah Morrissey
 
Come è fatto un giornale
Come è fatto un giornaleCome è fatto un giornale
Come è fatto un giornalealex92
 
Piano Strategico del Turismo 2017-2022 (Executive Summary) (ENG)
Piano Strategico del Turismo 2017-2022 (Executive Summary) (ENG)Piano Strategico del Turismo 2017-2022 (Executive Summary) (ENG)
Piano Strategico del Turismo 2017-2022 (Executive Summary) (ENG)
Direzione Generale Turismo
 
3. Concetti introduttivi di_economia_aziendale
3. Concetti introduttivi di_economia_aziendale3. Concetti introduttivi di_economia_aziendale
3. Concetti introduttivi di_economia_aziendale
RG Economia Aziendale
 
Technological Development's and International Marketing
Technological Development's and International MarketingTechnological Development's and International Marketing
Technological Development's and International Marketing
We Learn - A Continuous Learning Forum from Welingkar's Distance Learning Program.
 
International Marketing - An Introduction
International Marketing - An IntroductionInternational Marketing - An Introduction
International Marketing - An Introduction
Bindumadhavi Nandakishore
 
Weblezione2: la prima pagina del quotidiano
Weblezione2: la prima pagina del quotidianoWeblezione2: la prima pagina del quotidiano
Weblezione2: la prima pagina del quotidianolaprofkira
 
7 Il Marketing Mix
7 Il Marketing Mix7 Il Marketing Mix
7 Il Marketing Mix
Manager.it
 
Futurismo
FuturismoFuturismo
Futurismo
chiaracirone
 
L'itinerario turistico: analisi e fasi di progetto
L'itinerario turistico: analisi e fasi di progettoL'itinerario turistico: analisi e fasi di progetto
L'itinerario turistico: analisi e fasi di progetto
Dino De Angelis
 
Marketing esperenziale
Marketing esperenzialeMarketing esperenziale
Marketing esperenziale
remo luzi
 
Bilancia dei pagamenti
Bilancia dei pagamenti Bilancia dei pagamenti
Bilancia dei pagamenti
dirittoeconomiacreativi
 

What's hot (20)

Introduzione ai fondamenti del marketing
Introduzione ai fondamenti del marketingIntroduzione ai fondamenti del marketing
Introduzione ai fondamenti del marketing
 
Analisi comparativa del Marketing mix nelle imprese nautiche da diporto
Analisi comparativa del Marketing mix nelle imprese nautiche da diportoAnalisi comparativa del Marketing mix nelle imprese nautiche da diporto
Analisi comparativa del Marketing mix nelle imprese nautiche da diporto
 
Franco Denari - Corso Marketing Lezione I e II
Franco Denari - Corso Marketing Lezione I e IIFranco Denari - Corso Marketing Lezione I e II
Franco Denari - Corso Marketing Lezione I e II
 
Progettare il prodotto turistico
Progettare il prodotto turisticoProgettare il prodotto turistico
Progettare il prodotto turistico
 
Il sistema turistico nazionale e internazionale
Il sistema turistico nazionale e internazionaleIl sistema turistico nazionale e internazionale
Il sistema turistico nazionale e internazionale
 
Creare e sviluppare una startup
Creare e sviluppare una startupCreare e sviluppare una startup
Creare e sviluppare una startup
 
Storia del Marketing
Storia del MarketingStoria del Marketing
Storia del Marketing
 
Appunti di Diritto Commerciale
Appunti di Diritto CommercialeAppunti di Diritto Commerciale
Appunti di Diritto Commerciale
 
Offshore Wind Turbines Policy Brief
Offshore Wind Turbines Policy BriefOffshore Wind Turbines Policy Brief
Offshore Wind Turbines Policy Brief
 
Come è fatto un giornale
Come è fatto un giornaleCome è fatto un giornale
Come è fatto un giornale
 
Piano Strategico del Turismo 2017-2022 (Executive Summary) (ENG)
Piano Strategico del Turismo 2017-2022 (Executive Summary) (ENG)Piano Strategico del Turismo 2017-2022 (Executive Summary) (ENG)
Piano Strategico del Turismo 2017-2022 (Executive Summary) (ENG)
 
3. Concetti introduttivi di_economia_aziendale
3. Concetti introduttivi di_economia_aziendale3. Concetti introduttivi di_economia_aziendale
3. Concetti introduttivi di_economia_aziendale
 
Technological Development's and International Marketing
Technological Development's and International MarketingTechnological Development's and International Marketing
Technological Development's and International Marketing
 
International Marketing - An Introduction
International Marketing - An IntroductionInternational Marketing - An Introduction
International Marketing - An Introduction
 
Weblezione2: la prima pagina del quotidiano
Weblezione2: la prima pagina del quotidianoWeblezione2: la prima pagina del quotidiano
Weblezione2: la prima pagina del quotidiano
 
7 Il Marketing Mix
7 Il Marketing Mix7 Il Marketing Mix
7 Il Marketing Mix
 
Futurismo
FuturismoFuturismo
Futurismo
 
L'itinerario turistico: analisi e fasi di progetto
L'itinerario turistico: analisi e fasi di progettoL'itinerario turistico: analisi e fasi di progetto
L'itinerario turistico: analisi e fasi di progetto
 
Marketing esperenziale
Marketing esperenzialeMarketing esperenziale
Marketing esperenziale
 
Bilancia dei pagamenti
Bilancia dei pagamenti Bilancia dei pagamenti
Bilancia dei pagamenti
 

Viewers also liked

L'analisi di mercato e l'internazionalizzazione delle PMI
L'analisi di mercato e l'internazionalizzazione delle PMIL'analisi di mercato e l'internazionalizzazione delle PMI
L'analisi di mercato e l'internazionalizzazione delle PMI
Imprenditori 2.0
 
L'internazionalizzazione delle società organizzatrici di eventi fieristici: u...
L'internazionalizzazione delle società organizzatrici di eventi fieristici: u...L'internazionalizzazione delle società organizzatrici di eventi fieristici: u...
L'internazionalizzazione delle società organizzatrici di eventi fieristici: u...
Milena Carta
 
Tesi Finanza - Finanza Islamica
Tesi Finanza - Finanza IslamicaTesi Finanza - Finanza Islamica
Tesi Finanza - Finanza IslamicaHajar Charkaoui
 
C. Vicarelli - L’internazionalizzazione delle imprese italiane nei dati del c...
C. Vicarelli - L’internazionalizzazione delle imprese italiane nei dati del c...C. Vicarelli - L’internazionalizzazione delle imprese italiane nei dati del c...
C. Vicarelli - L’internazionalizzazione delle imprese italiane nei dati del c...
Istituto nazionale di statistica
 
Innovazione in India
Innovazione in IndiaInnovazione in India
Innovazione in India
Mariano Peluso
 
Comunicare per il web: scegli come e cosa comunicare, per farti trovare!
Comunicare per il web: scegli come e cosa comunicare, per farti trovare!Comunicare per il web: scegli come e cosa comunicare, per farti trovare!
Comunicare per il web: scegli come e cosa comunicare, per farti trovare!
Ego International Group
 
Progetto " VIAGGIOVIRTUALE NEL MONDO"
Progetto " VIAGGIOVIRTUALE NEL MONDO"Progetto " VIAGGIOVIRTUALE NEL MONDO"
Progetto " VIAGGIOVIRTUALE NEL MONDO"vittoria66
 
Slide per piano di internazzionalizzazione moak
Slide per piano di internazzionalizzazione moak Slide per piano di internazzionalizzazione moak
Slide per piano di internazzionalizzazione moak Fabio Frosciano
 
03 schede regioni_italia
03 schede regioni_italia03 schede regioni_italia
03 schede regioni_italiagiovanni facco
 
Nuove soluzioni per creare documentazioni e siti web multilingue di successo
Nuove soluzioni per creare documentazioni e siti web multilingue di successoNuove soluzioni per creare documentazioni e siti web multilingue di successo
Nuove soluzioni per creare documentazioni e siti web multilingue di successo
SOGET, Multilanguage service provider
 
Destinazione Italia e investimenti esteri - Massimo Caputi Real Estate
Destinazione Italia e investimenti esteri - Massimo Caputi Real EstateDestinazione Italia e investimenti esteri - Massimo Caputi Real Estate
Destinazione Italia e investimenti esteri - Massimo Caputi Real Estate
michelaplatini
 
REPORT ANALISI ESIGENZE DI INTERNAZIONALIZZAZIONE
REPORT ANALISI ESIGENZE DI INTERNAZIONALIZZAZIONE REPORT ANALISI ESIGENZE DI INTERNAZIONALIZZAZIONE
REPORT ANALISI ESIGENZE DI INTERNAZIONALIZZAZIONE
Gabriele Micozzi
 
L'analisi dei mercati esteri (parte1) attrattività m_cristofaro
L'analisi dei mercati esteri (parte1) attrattività m_cristofaroL'analisi dei mercati esteri (parte1) attrattività m_cristofaro
L'analisi dei mercati esteri (parte1) attrattività m_cristofaro
Matteo Cristofaro
 
Internazionalizzazione ed approccio strategico ai mercati esteri. Caso Russia
Internazionalizzazione ed approccio strategico ai mercati esteri. Caso RussiaInternazionalizzazione ed approccio strategico ai mercati esteri. Caso Russia
Internazionalizzazione ed approccio strategico ai mercati esteri. Caso Russia
Mariano Peluso
 
Investimenti esteri diretti - Fatti e cifre
Investimenti esteri diretti - Fatti e cifreInvestimenti esteri diretti - Fatti e cifre
Investimenti esteri diretti - Fatti e cifre
Massimo Mucchetti
 
Internazionalizzazione - Progetto Svizzera
Internazionalizzazione  - Progetto SvizzeraInternazionalizzazione  - Progetto Svizzera
Internazionalizzazione - Progetto Svizzera
Righetconsult
 
Internazionalizzazione – Africa e Medio Oriente
Internazionalizzazione – Africa e Medio OrienteInternazionalizzazione – Africa e Medio Oriente
Internazionalizzazione – Africa e Medio Oriente
Righetconsult
 
COME IMPOSTARE L’UFFICIO ESTERO NELLE PMI
COME IMPOSTARE L’UFFICIO ESTERO NELLE PMICOME IMPOSTARE L’UFFICIO ESTERO NELLE PMI
COME IMPOSTARE L’UFFICIO ESTERO NELLE PMIRita Bonucchi
 
Presentazione della tesi di laurea magistrale della dott.ssa Diana Ricciardi ...
Presentazione della tesi di laurea magistrale della dott.ssa Diana Ricciardi ...Presentazione della tesi di laurea magistrale della dott.ssa Diana Ricciardi ...
Presentazione della tesi di laurea magistrale della dott.ssa Diana Ricciardi ...
didiana
 

Viewers also liked (20)

L'analisi di mercato e l'internazionalizzazione delle PMI
L'analisi di mercato e l'internazionalizzazione delle PMIL'analisi di mercato e l'internazionalizzazione delle PMI
L'analisi di mercato e l'internazionalizzazione delle PMI
 
L'internazionalizzazione delle società organizzatrici di eventi fieristici: u...
L'internazionalizzazione delle società organizzatrici di eventi fieristici: u...L'internazionalizzazione delle società organizzatrici di eventi fieristici: u...
L'internazionalizzazione delle società organizzatrici di eventi fieristici: u...
 
Tesi Finanza - Finanza Islamica
Tesi Finanza - Finanza IslamicaTesi Finanza - Finanza Islamica
Tesi Finanza - Finanza Islamica
 
C. Vicarelli - L’internazionalizzazione delle imprese italiane nei dati del c...
C. Vicarelli - L’internazionalizzazione delle imprese italiane nei dati del c...C. Vicarelli - L’internazionalizzazione delle imprese italiane nei dati del c...
C. Vicarelli - L’internazionalizzazione delle imprese italiane nei dati del c...
 
Innovazione in India
Innovazione in IndiaInnovazione in India
Innovazione in India
 
Comunicare per il web: scegli come e cosa comunicare, per farti trovare!
Comunicare per il web: scegli come e cosa comunicare, per farti trovare!Comunicare per il web: scegli come e cosa comunicare, per farti trovare!
Comunicare per il web: scegli come e cosa comunicare, per farti trovare!
 
Progetto " VIAGGIOVIRTUALE NEL MONDO"
Progetto " VIAGGIOVIRTUALE NEL MONDO"Progetto " VIAGGIOVIRTUALE NEL MONDO"
Progetto " VIAGGIOVIRTUALE NEL MONDO"
 
Slide per piano di internazzionalizzazione moak
Slide per piano di internazzionalizzazione moak Slide per piano di internazzionalizzazione moak
Slide per piano di internazzionalizzazione moak
 
03 schede regioni_italia
03 schede regioni_italia03 schede regioni_italia
03 schede regioni_italia
 
Nuove soluzioni per creare documentazioni e siti web multilingue di successo
Nuove soluzioni per creare documentazioni e siti web multilingue di successoNuove soluzioni per creare documentazioni e siti web multilingue di successo
Nuove soluzioni per creare documentazioni e siti web multilingue di successo
 
Destinazione Italia e investimenti esteri - Massimo Caputi Real Estate
Destinazione Italia e investimenti esteri - Massimo Caputi Real EstateDestinazione Italia e investimenti esteri - Massimo Caputi Real Estate
Destinazione Italia e investimenti esteri - Massimo Caputi Real Estate
 
REPORT ANALISI ESIGENZE DI INTERNAZIONALIZZAZIONE
REPORT ANALISI ESIGENZE DI INTERNAZIONALIZZAZIONE REPORT ANALISI ESIGENZE DI INTERNAZIONALIZZAZIONE
REPORT ANALISI ESIGENZE DI INTERNAZIONALIZZAZIONE
 
L'analisi dei mercati esteri (parte1) attrattività m_cristofaro
L'analisi dei mercati esteri (parte1) attrattività m_cristofaroL'analisi dei mercati esteri (parte1) attrattività m_cristofaro
L'analisi dei mercati esteri (parte1) attrattività m_cristofaro
 
Internazionalizzazione ed approccio strategico ai mercati esteri. Caso Russia
Internazionalizzazione ed approccio strategico ai mercati esteri. Caso RussiaInternazionalizzazione ed approccio strategico ai mercati esteri. Caso Russia
Internazionalizzazione ed approccio strategico ai mercati esteri. Caso Russia
 
Investimenti esteri diretti - Fatti e cifre
Investimenti esteri diretti - Fatti e cifreInvestimenti esteri diretti - Fatti e cifre
Investimenti esteri diretti - Fatti e cifre
 
Internazionalizzazione - Progetto Svizzera
Internazionalizzazione  - Progetto SvizzeraInternazionalizzazione  - Progetto Svizzera
Internazionalizzazione - Progetto Svizzera
 
Internazionalizzazione – Africa e Medio Oriente
Internazionalizzazione – Africa e Medio OrienteInternazionalizzazione – Africa e Medio Oriente
Internazionalizzazione – Africa e Medio Oriente
 
COME IMPOSTARE L’UFFICIO ESTERO NELLE PMI
COME IMPOSTARE L’UFFICIO ESTERO NELLE PMICOME IMPOSTARE L’UFFICIO ESTERO NELLE PMI
COME IMPOSTARE L’UFFICIO ESTERO NELLE PMI
 
Internazionalizzazione di un'azienda
Internazionalizzazione di un'aziendaInternazionalizzazione di un'azienda
Internazionalizzazione di un'azienda
 
Presentazione della tesi di laurea magistrale della dott.ssa Diana Ricciardi ...
Presentazione della tesi di laurea magistrale della dott.ssa Diana Ricciardi ...Presentazione della tesi di laurea magistrale della dott.ssa Diana Ricciardi ...
Presentazione della tesi di laurea magistrale della dott.ssa Diana Ricciardi ...
 

Similar to L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC

GESTIRE LA CRISI: NON SOLO ALGORITMI | UNIONEGIOVANI
GESTIRE LA CRISI: NON SOLO ALGORITMI | UNIONEGIOVANIGESTIRE LA CRISI: NON SOLO ALGORITMI | UNIONEGIOVANI
GESTIRE LA CRISI: NON SOLO ALGORITMI | UNIONEGIOVANI
Andrea Arrigo Panato
 
Il ruolo del CFO per la crescita dimensionale nel middle market
Il ruolo del CFO per la crescita dimensionale nel middle marketIl ruolo del CFO per la crescita dimensionale nel middle market
Il ruolo del CFO per la crescita dimensionale nel middle market
Fondazione CUOA
 
Guida minibond 2014
Guida minibond 2014Guida minibond 2014
Guida minibond 2014
Mauro Bassotti
 
Internazionalizzazione la sfida del futuro
Internazionalizzazione la sfida del futuroInternazionalizzazione la sfida del futuro
Internazionalizzazione la sfida del futuro
Veda Formazione
 
Marina puricelli piccola impresa e internazionalizzazione
Marina puricelli piccola impresa e internazionalizzazioneMarina puricelli piccola impresa e internazionalizzazione
Marina puricelli piccola impresa e internazionalizzazione
Erik Paul Kooijmans
 
Competitività, Imprese, Internazionalizzazione AISMdef
Competitività, Imprese, Internazionalizzazione AISMdefCompetitività, Imprese, Internazionalizzazione AISMdef
Competitività, Imprese, Internazionalizzazione AISMdefIvano Canteri
 
Guida M&A 2012
Guida M&A 2012Guida M&A 2012
Guida M&A 2012
Daniele Leopardo
 
LE ACQUISIZIONI INTERNAZIONALI NEL SETTORE DEL "MADE IN ITALIY" - Saggio fina...
LE ACQUISIZIONI INTERNAZIONALI NEL SETTORE DEL "MADE IN ITALIY" - Saggio fina...LE ACQUISIZIONI INTERNAZIONALI NEL SETTORE DEL "MADE IN ITALIY" - Saggio fina...
LE ACQUISIZIONI INTERNAZIONALI NEL SETTORE DEL "MADE IN ITALIY" - Saggio fina...
Melania Vasta
 
Relazione Garante Micro Piccole e Medie Imprese
Relazione Garante Micro Piccole e Medie ImpreseRelazione Garante Micro Piccole e Medie Imprese
Relazione Garante Micro Piccole e Medie ImpreseEnricoPanini
 
Mercati emergenti e imprese toscane
Mercati emergenti e imprese toscaneMercati emergenti e imprese toscane
Mercati emergenti e imprese toscane
GiulioTerzi
 
Minibond: un'intervista di Andrea Silvello sul nuovo numero di Uomo&Manager
Minibond: un'intervista di Andrea Silvello sul nuovo numero di Uomo&ManagerMinibond: un'intervista di Andrea Silvello sul nuovo numero di Uomo&Manager
Minibond: un'intervista di Andrea Silvello sul nuovo numero di Uomo&Manager
MiniBondItaly.it
 
L'intervista alla Dott.ssa Pouplier: "PMI troppo etnocentriche"
L'intervista alla Dott.ssa Pouplier: "PMI troppo etnocentriche"L'intervista alla Dott.ssa Pouplier: "PMI troppo etnocentriche"
L'intervista alla Dott.ssa Pouplier: "PMI troppo etnocentriche"mariachiara2011
 
L'innovazione sostenibile - La Ricerca & Sviluppo permanente di idee e proget...
L'innovazione sostenibile - La Ricerca & Sviluppo permanente di idee e proget...L'innovazione sostenibile - La Ricerca & Sviluppo permanente di idee e proget...
L'innovazione sostenibile - La Ricerca & Sviluppo permanente di idee e proget...
Roberto Gallerani
 
F. Butera: Italian way of doing industry e il lavoro della conoscenza
F. Butera: Italian way of doing industry e  il lavoro della conoscenza F. Butera: Italian way of doing industry e  il lavoro della conoscenza
F. Butera: Italian way of doing industry e il lavoro della conoscenza Istituto nazionale di statistica
 
Accento sull'Italia. I nuovi paradigmi del cambiamento e gli impatti sulla CE...
Accento sull'Italia. I nuovi paradigmi del cambiamento e gli impatti sulla CE...Accento sull'Italia. I nuovi paradigmi del cambiamento e gli impatti sulla CE...
Accento sull'Italia. I nuovi paradigmi del cambiamento e gli impatti sulla CE...
ideaTRE60
 
Uno sguardo al futuro dell'Italia
Uno sguardo al futuro dell'ItaliaUno sguardo al futuro dell'Italia
Uno sguardo al futuro dell'Italia
ideaTRE60
 
Intervista a Stefano Sansavini sul tema Internazionalizzazione
Intervista a Stefano Sansavini sul tema InternazionalizzazioneIntervista a Stefano Sansavini sul tema Internazionalizzazione
Intervista a Stefano Sansavini sul tema Internazionalizzazione
Change_Project
 
Tesi Export Credit Agencies, strumenti e forme di supporto alla finanza d'imp...
Tesi Export Credit Agencies, strumenti e forme di supporto alla finanza d'imp...Tesi Export Credit Agencies, strumenti e forme di supporto alla finanza d'imp...
Tesi Export Credit Agencies, strumenti e forme di supporto alla finanza d'imp...Flavio Quattrucci
 
Intervista su Realtà Industriale - Giuseppe Visentini
Intervista su Realtà Industriale - Giuseppe VisentiniIntervista su Realtà Industriale - Giuseppe Visentini
Intervista su Realtà Industriale - Giuseppe VisentiniGiuseppe Visentini
 

Similar to L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC (20)

GESTIRE LA CRISI: NON SOLO ALGORITMI | UNIONEGIOVANI
GESTIRE LA CRISI: NON SOLO ALGORITMI | UNIONEGIOVANIGESTIRE LA CRISI: NON SOLO ALGORITMI | UNIONEGIOVANI
GESTIRE LA CRISI: NON SOLO ALGORITMI | UNIONEGIOVANI
 
Il ruolo del CFO per la crescita dimensionale nel middle market
Il ruolo del CFO per la crescita dimensionale nel middle marketIl ruolo del CFO per la crescita dimensionale nel middle market
Il ruolo del CFO per la crescita dimensionale nel middle market
 
Guida minibond 2014
Guida minibond 2014Guida minibond 2014
Guida minibond 2014
 
Internazionalizzazione la sfida del futuro
Internazionalizzazione la sfida del futuroInternazionalizzazione la sfida del futuro
Internazionalizzazione la sfida del futuro
 
Marina puricelli piccola impresa e internazionalizzazione
Marina puricelli piccola impresa e internazionalizzazioneMarina puricelli piccola impresa e internazionalizzazione
Marina puricelli piccola impresa e internazionalizzazione
 
Competitività, Imprese, Internazionalizzazione AISMdef
Competitività, Imprese, Internazionalizzazione AISMdefCompetitività, Imprese, Internazionalizzazione AISMdef
Competitività, Imprese, Internazionalizzazione AISMdef
 
Guida M&A 2012
Guida M&A 2012Guida M&A 2012
Guida M&A 2012
 
LE ACQUISIZIONI INTERNAZIONALI NEL SETTORE DEL "MADE IN ITALIY" - Saggio fina...
LE ACQUISIZIONI INTERNAZIONALI NEL SETTORE DEL "MADE IN ITALIY" - Saggio fina...LE ACQUISIZIONI INTERNAZIONALI NEL SETTORE DEL "MADE IN ITALIY" - Saggio fina...
LE ACQUISIZIONI INTERNAZIONALI NEL SETTORE DEL "MADE IN ITALIY" - Saggio fina...
 
Relazione Garante Micro Piccole e Medie Imprese
Relazione Garante Micro Piccole e Medie ImpreseRelazione Garante Micro Piccole e Medie Imprese
Relazione Garante Micro Piccole e Medie Imprese
 
Mercati emergenti e imprese toscane
Mercati emergenti e imprese toscaneMercati emergenti e imprese toscane
Mercati emergenti e imprese toscane
 
Guida al Trade Finance
Guida al Trade FinanceGuida al Trade Finance
Guida al Trade Finance
 
Minibond: un'intervista di Andrea Silvello sul nuovo numero di Uomo&Manager
Minibond: un'intervista di Andrea Silvello sul nuovo numero di Uomo&ManagerMinibond: un'intervista di Andrea Silvello sul nuovo numero di Uomo&Manager
Minibond: un'intervista di Andrea Silvello sul nuovo numero di Uomo&Manager
 
L'intervista alla Dott.ssa Pouplier: "PMI troppo etnocentriche"
L'intervista alla Dott.ssa Pouplier: "PMI troppo etnocentriche"L'intervista alla Dott.ssa Pouplier: "PMI troppo etnocentriche"
L'intervista alla Dott.ssa Pouplier: "PMI troppo etnocentriche"
 
L'innovazione sostenibile - La Ricerca & Sviluppo permanente di idee e proget...
L'innovazione sostenibile - La Ricerca & Sviluppo permanente di idee e proget...L'innovazione sostenibile - La Ricerca & Sviluppo permanente di idee e proget...
L'innovazione sostenibile - La Ricerca & Sviluppo permanente di idee e proget...
 
F. Butera: Italian way of doing industry e il lavoro della conoscenza
F. Butera: Italian way of doing industry e  il lavoro della conoscenza F. Butera: Italian way of doing industry e  il lavoro della conoscenza
F. Butera: Italian way of doing industry e il lavoro della conoscenza
 
Accento sull'Italia. I nuovi paradigmi del cambiamento e gli impatti sulla CE...
Accento sull'Italia. I nuovi paradigmi del cambiamento e gli impatti sulla CE...Accento sull'Italia. I nuovi paradigmi del cambiamento e gli impatti sulla CE...
Accento sull'Italia. I nuovi paradigmi del cambiamento e gli impatti sulla CE...
 
Uno sguardo al futuro dell'Italia
Uno sguardo al futuro dell'ItaliaUno sguardo al futuro dell'Italia
Uno sguardo al futuro dell'Italia
 
Intervista a Stefano Sansavini sul tema Internazionalizzazione
Intervista a Stefano Sansavini sul tema InternazionalizzazioneIntervista a Stefano Sansavini sul tema Internazionalizzazione
Intervista a Stefano Sansavini sul tema Internazionalizzazione
 
Tesi Export Credit Agencies, strumenti e forme di supporto alla finanza d'imp...
Tesi Export Credit Agencies, strumenti e forme di supporto alla finanza d'imp...Tesi Export Credit Agencies, strumenti e forme di supporto alla finanza d'imp...
Tesi Export Credit Agencies, strumenti e forme di supporto alla finanza d'imp...
 
Intervista su Realtà Industriale - Giuseppe Visentini
Intervista su Realtà Industriale - Giuseppe VisentiniIntervista su Realtà Industriale - Giuseppe Visentini
Intervista su Realtà Industriale - Giuseppe Visentini
 

L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento.DOC

  • 1. L’internazionalizzazione delle imprese italiane nel settore del mobile arredamento Facoltà di Economia Corso di laurea in Economia Aziendale Cattedra di Economia e Gestione delle imprese internazionali Relatore: Chiar.mo Prof. Matteo G. Caroli Candidato: Marco Vatteroni Correlatore: Chiar.mo Prof. Alberto Marcati 1
  • 2. CAPITOLO I 1 L’INTERNAZIONALIZZAZIONE DELLE IMPRESE..................9 1.1 CENNI INTRODUTTIVI........................................................................................9 1.2 L’INTERNAZIONALIZZAZIONE DELLE IMPRESE E LA GLOBALIZZAZIONE DEI MERCATI...................................................................................................................11 1.2.1 Il dinamismo del mercato mondiale: un problema per le imprese.......................15 1.2.2 Le determinanti della globalizzazione dei mercati..................................................21 1.2.3 La nascita di nuovi concorrenti...................................................................................26 1.3 IL PROCESSO DI INTERNAZIONALIZZAZIONE DELLE IMPRESE..................29 1.3.1 Il processo evolutivo dell’impresa internazionalizzata...........................................29 1.3.2 Le cause del processo di internazionalizzazione......................................................42 1.3.2.1 Forze interne.......................................................................................................................42 1.3.2.2 Forze esterne........................................................................................................................51 1.3.3 Le fasi del processo di internazionalizzazione .........................................................53 1.3.4 Le modalità di internazionalizzazione.......................................................................57 1.3.4.1 Gli accordi produttivi.........................................................................................................60 1.3.4.2 L'investimento diretto estero.............................................................................................64 1.3.4.3 Le joint venture....................................................................................................................68 1.3.5 I modelli organizzativi..................................................................................................69 2 L’ANDAMENTO DELL’ INTERNAZIONALIZZAZIONE DELLE IMPRESE ITALIANE..............................................................74 2.1 CENNI STORICI...................................................................................................74 2.2 LE IMPRESE ITALIANE .......................................................................................79 2.2.1 La struttura imprenditoriale.......................................................................................79 2.2.2 La specializzazione delle imprese italiane.................................................................83 2.2.3 Nazionalità e competitività delle imprese.................................................................91 2.3 L’INTERNAZIONALIZZAZIONE DELLE IMPRESE ITALIANE................................95 3 I DISTRETTI.....................................................................................105 3.1 CONCETTI GENERALI.......................................................................................105 3.2 IMPRESA DISTRETTUALE, INTERNAZIONALIZZAZIONE E VANTAGGIO COMPETITIVO.........................................................................................................107 3.3 LE STRATEGIE DI INTERNAZIONALIZZAZIONE DELLE IMPRESE DISTRETTUALI ................................................................................................................................114 3.3.1 Il profilo delle imprese...............................................................................................115 3.3.2 La dimensione dell’internazionalizzazione produttiva........................................116 2
  • 3. 3.3.3 L’ Organizzazione della supply chain......................................................................118 3.3.4 Processi di internazionalizzazione e tecnologie di rete.........................................125 3.3.5 Gli investimenti diretti all’estero...............................................................................130 4 IL SETTORE DEL MOBILE ARREDAMENTO.................132 4.1 LE CARATTERISTICHE DEL SETTORE................................................................132 4.2 COMPLESSITÀ DELL’AMBIENTE COMPETITIVO.............................................138 4.3 I SISTEMI PRODUTTIVI LOCALI DEL LIVENZA E DEL QUARTIER DEL PIAVE.144 4.3.1 Unità locali e addetti nei distretti mobilieri.............................................................151 4.3.2 La fase della crescita estensiva...................................................................................155 4.3.3 Caratteristiche generali delle imprese......................................................................164 4.3.4 Il portafoglio prodotti.................................................................................................169 4.3.5 L’apertura internazionale dei sistemi produttivi locali.........................................175 5 CONCLUSIONI................................................................................182 BIBLIOGRAFIA...........................................................................................................................................................186 3
  • 4. INTRODUZIONE È possibile affermare che l’internazionalizzazione ha influenzato e continua a influenzare il tradizionale modello industriale “all’italiana”. Lo sviluppo della globalizzazione richiede alle aziende italiane uno sforzo per crescere nelle dimensioni e per migliorare l’organizzazione aziendale. Negli ultimi anni gli scenari internazionali sono cambiati; a causa della liberalizzazione di molti mercati, degli accordi nati tra paesi, della crisi economica mondiale, l’ambiente competitivo delle imprese si è ampliato in maniera rilevante. Le aziende italiane si trovano a dover fronteggiare nuove minacce derivanti da competitors stranieri, ma allo stesso tempo sono nate nuove opportunità di ampliare il proprio business, la propria dimensione, conquistando nuovi mercati e quindi internazionalizzandosi. La spina dorsale della realtà economica italiana è ancora rappresentata dalla Piccola e Media Impresa ma i mutamenti di mercato, tendenti verso la globalizzazione, fanno ritenere che ormai la piccola dimensione non sia più così “conveniente” ed occorra una crescita quantitativa e qualitativa. 4
  • 5. Oggi la concorrenza globale impone determinati standard dimensionali e organizzativi che, spesso, si rivelano proibitivi, soprattutto per le imprese italiane solitamente medio-piccole. La dimensione ridotta delle nostre aziende, considerata fino a pochi anni fa una caratteristica premiante, oggi diventa una ''criticità'' nel confronto internazionale. In passato si riteneva che la “taglia ridotta” costituisse un notevole punto di forza: le imprese di dimensioni ridotte, infatti, sono maggiormente flessibili e consentono di godere di una struttura basata soprattutto su costi ed oneri prevalentemente variabili, facilmente conformabili alle variazioni della domanda. Ma la limitata dimensione porta con se anche diversi svantaggi evidenziati dal confronto internazionale: la difficoltà di seguire efficacemente l’evoluzione dei mercati, la minore capacità di attrarre risorse, in particolare quelle umane ed intangibili, le basi sia tecnologiche che finanziarie insufficienti per rimanere competitive sono soltanto alcuni esempi. Proprio di fronte all’internazionalizzazione il tessuto produttivo italiano appare inadeguato ad affrontare le nuove sfide che il mercato propone. Il concetto di “piccolo”, nel contesto globale, deve essere inteso come freno alla crescita, insomma, le piccole dimensioni sono ormai insufficienti per penetrare efficacemente e convenientemente i mercati esteri. Gli imprenditori che governano le PMI, di fronte a questa situazione, devono riorientare le loro scelte strategiche, impegnandosi a salire 5
  • 6. almeno di un gradino nella scala dimensionale, per essere più competitive in Italia e all’estero. Diventa fondamentale acquisire “l’ambizione e la tensione alla crescita”, realizzabile anche attraverso la costituzione di reti di piccole e medie imprese, all’interno delle quali si mettono in comune alcune iniziative ed attività per affrontare insieme, ed in un modo nuovo, i mercati esteri e locali. Con le organizzazioni a rete è possibile realizzare un adeguato “gioco di squadra”, nuovo presupposto per il miglioramento del livello competitivo dell’impresa e per la riduzione del rischio complessivo. Quello che è importante rilevare a questo proposito è l’ostacolo culturale. L’imprenditore che oggi si trova alla guida di una PMI deve acquisire una mentalità diversa, una cultura d’impresa diversa, sia a livello di management, sia a livello imprenditoriale, in quanto attualmente una PMI, da sola, difficilmente può affrontare le ingenti spese richieste per l’internazionalizzazione, soprattutto in relazione ai notevoli livelli di costi che si determinano con l’attività di espansione sui mercati esteri. La globalizzazione dei mercati comporta due ordini di problemi per la piccola e media impresa: i costi produttivi, problema al quale l’imprenditore può far fronte salvaguardando la propria tecnologia e quindi la qualità, sviluppando le competenze e le abilità di riduzione continua dei costi, ed il problema della commercializzazione, valorizzazione e posizionamento dell’offerta aziendale. E’ forse questo il problema cruciale giacché molti imprenditori di piccole dimensioni 6
  • 7. investono maggiormente nella produzione, trascurando le attività di marketing, commercializzazione e valorizzazione dell’offerta aziendale che rappresentano, invece, fondamentali punti di forza nel sempre più difficile confronto internazionale. A tale proposito, le Associazioni di categoria stanno facendo molto, fornendo ad esempio informazioni sui mercati esteri o nella costituzione di consorzi all’esportazione. Si assiste tuttavia ancora spesso, ad un ostinato individualismo, tanto che gli imprenditori italiani si considerano più come “concorrenti”, che come “collaboratori”. La possibilità di pervenire alla realizzazione di dimensioni d’impresa competitive attraverso accordi, partnership, alleanze e fusioni sembra ancora difficile (a causa, com’è stato precisato sopra, di “resistenze” di carattere culturale) anche se il ricorso a strutture organizzative integrate e a reti diventa sempre più una necessità imprescindibile per imprese che, pur essendo qualificate nell’attività di progettazione e produzione, devono ora sviluppare competenze ed iniziative strategiche di commercializzazione e vendita nel mercato globale, effettuando investimenti strutturali e sistemici difficili da realizzare, soprattutto per le PMI. I tentativi fino ad oggi attuati nella direzione della crescita dimensionale delle PMI italiane conducono a far ritenere che la realizzazione di questo obiettivo possa attuarsi attraverso diverse forme di internazionalizzazione. 7
  • 8. Prendendo come settore specifico di riferimento quello del mobile- arredamento, si può analizzare il tipico esempio di PMI italiana manifatturiera. La produzione in questo settore è per la maggior parte organizzata in distretti, e i punti di forza delle imprese sono l’elevata flessibilità, il design, apprezzato in tutto il mondo, e il fatto di essere Made in Italy. Non bisogna però pensare solo a difendere queste forme di vantaggio competitivo. Le imprese infatti dovrebbero cercare di focalizzare le loro strategie anche su altri aspetti, proprio come la crescita dimensionale e l’internazionalizzazione del proprio business. E riguardo a ció che si riscontrano i maggiori problemi per le imprese italiane nel confronto con quelle straniere, problemi causati da lacune manageriali, organizzative, finanziarie, che rendono gli imprenditori incerti sulla scelta di progetti di investimento di crescita aziendale basati sull’ internazionalizzazione. Anche lo Stato si è accorto da tempo delle difficoltà delle nostre imprese nel confronto internazionale, e ha preso in esame la situazione per cercare delle soluzioni che aiutino a colmare queste lacune, tramite azioni di “supporto all’internazionalizzazione”. Se saranno attuati determinati processi possiamo aspettarci una ripresa delle nostre imprese. 8
  • 9. CAPITOLO I 1 L’internazionalizzazione delle imprese 1.1 Cenni introduttivi Il gran parlare che si fa di economia globale e di globalizzazione lascia pochi dubbi sul fatto che tutti i comportamenti e i problemi economici siano profondamente influenzati da questa tendenza. Tuttavia, proprio il moltiplicarsi dei riferimenti alla globalità ha finito per rendere confuso il significato di questa parola. Sappiamo di vivere in un mondo che è sempre più globale; ma non sappiamo bene quali siano le conseguenze di questo fatto. O meglio, capita che ciascuno di noi abbia in mente conseguenze diverse e spesso contrastanti. C’è bisogno dunque di una chiarificazione sui diversi significati che possono essere assegnati al termine “globale”. Prima di tutto, in negativo, bisogna dire che “globale” non è un altro modo di dire “internazionale”. Tra i due termini va fissata una demarcazione che segna poi anche la discontinuità che è intervenuta tra due epoche diverse: il fordismo e il post fordismo. La globalizzazione richiesta dall’economia attuale è cosa diversa dall’internazionalizzazione: infatti, mentre quest’ultima rappresenta 9
  • 10. l’espansione su scala mondiale della singola impresa, quasi fosse un prolungamento internazionale della grande impresa fordista, la globalizzazione significa sviluppo della divisione transnazionale del lavoro tra più imprese, e dunque loro trasformazione in entità multi- territoriali interconnesse in reti sovranazionali. La globalizzazione dell’economia internazionale consiste perciò nell’evoluzione delle microstrutture economiche verso una composizione oligopolistica di grandi multinazionali e di aziende con reti strutturali, che implicano significativi cambiamenti nel concetto di competizione. La tradizionale idea di competizione nazionale legata alla capacità dell’economia nazionale di generare flussi correnti positivi o, alternativamente, alla capacità di assorbire risorse esterne solo in minima parte, è ormai superata. La dimensione sovranazionale dell’attività economica si è accompagnata all’aumentata circolazione dei capitali, soprattutto in Europa(UE), e alla globalizzazione dei mercati che si è determinata a seguito degli importanti fenomeni di cambiamento tecnologico. Inoltre globalizzazione ed internazionalizzazione dei mercati descrivono un contesto economico e finanziario in cui il tradizionale legame tra l’impresa, in particolare la grande impresa, e la nazione di appartenenza tendono a perdere importanza, mentre diventa decisivo l’insieme dei mercati e delle localizzazioni produttive dell’impresa. Mercati integrati in ampie aree regionali sui quali finisce per essere investito larga parte del risparmio che si è formato nella medesima 10
  • 11. area, grandi gruppi organizzati in maniera reticolare, un sistema di piccole-medie imprese che in larga misura finisce per far riferimento ai grandi gruppi sia attraverso accordi che rapporti di subfornitura, definiscono un panorama in cui la nozione di competitività-paese viene posta in discussione o va quantomeno ridefinita. Questo perché, anche per le piccole realtà economiche, la globalizzazione non permette scollamenti o ripensamenti, pena il pagamento di un prezzo altissimo in termini di emarginazione e sudditanza rispetto ai poli più attenti e integrati con la logica delle società più avanzate e aperte al mercato. Dalla globalizzazione non ci si può soltanto difendere poiché essa è la strada attraverso cui sta emergendo un nuovo modo di produrre e di competere. Proteggersi da essa significherebbe ritardare il contatto dell’economia nazionale con la sperimentazione delle forme post fordiste di produzione e di concorrenza. 1.2 L’Internazionalizzazione delle imprese e la globalizzazione dei mercati Il processo d’integrazione tra le economie della maggior parte del mondo che si è sviluppato soprattutto a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, ha determinato un notevole avvicinamento ed una minore caratterizzazione delle aree geopolitiche del sistema economico mondiale, col risultato del progressivo annullarsi dei 11
  • 12. confini e delle distinzioni tra i singoli sistemi nazionali, oggi strettamente interconnessi sul piano economico e sociale. Le differenze culturali si vanno progressivamente riducendo ed i modelli locali di consumo si diffondono, stimolando un processo di imitazione che sfocia in una maggiore uniformità culturale e di comportamento, e per effetto del medesimo processo, la maggiore uniformità si accompagna peraltro alla maggiore varietà locale delle caratteristiche della domanda (globalizzazione). Da tutto ciò emerge un contesto di mercato complesso caratterizzato dalla molteplicità e dalla compresenza di forme distinte, in cui i confini geo-politici assumono un ruolo sempre meno utile ai fini della spiegazione delle differenze. Tra le determinanti di tale processo, un ruolo centrale può essere assegnato allo sviluppo internazionale delle imprese e al trasferimento oltre i confini domestici di beni e servizi, capitali, risorse, tecnologie, informazioni e dati. Non a caso sempre più rilevante è il numero delle imprese con una crescente e significativa presenza nei mercati internazionali, e sempre più variegate appaiono, peraltro, le forme da loro assunte. L’origine del processo di globalizzazione appartiene assolutamente alla storia economica contemporanea, trovando le proprie radici nello sviluppo delle attività internazionali verificatosi nel secondo decennio successivo alla fine dell’ultimo conflitto mondiale, allorché si assistette al passaggio dalla tradizionale forma di commercio 12
  • 13. internazionale del (periodo fordista1 ) costituita da transazioni tra imprese indipendenti appartenenti a paesi diversi, all’internazionalizzazione delle attività componenti la catena del valore delle imprese (periodo post-fordista). Il passaggio all’investimento diretto all’estero (IDE) ha dato appunto origine al fenomeno delle imprese multinazionali determinando, col passare del tempo, l’accelerazione dello sviluppo di altre modalità di internazionalizzazione quali le forme di cooperazione pubblica e privata a livello internazionale e l’ampliamento della tipologia di attività aziendali e dei settori coinvolti nel processo di internazionalizzazione. In questa ottica, si potrebbe affermare che le imprese hanno acquisito una visione ed un orizzonte “globali” nel tentativo di integrare mercati, risorse e attività su scala mondiale. In ciò risiede il principale orientamento degli ultimi decenni. Gli anni recenti sono caratterizzati da un processo di globalizzazione e d’integrazione che tende a diffondersi in misura crescente tra tutti i paesi, in tutte le attività economiche e tra tutte le imprese, anche quelle di minori dimensioni. Questa fase oggi interessa molte imprese appartenenti a diversi settori, le quali viste le condizioni favorevoli che si sono andate 1 L’internazionalizzazione fordista riguardava un gruppo ristretto (un’Elite) di imprese e investiva una parte specifica di attività, svolta appunto all’estero (Grandinetti e Rullani 1994). Erano internazionali le maggiori imprese, il cui gigantismo debordava quasi ‘naturalmente’ dai confini nazionali, o le imprese collegate al potere transnazionale esercitato dai maggiori stati (in primis gli Stati Uniti, ma anche vecchie potenze coloniali come Gran Bretagna e Francia) (Vaccà e Rullani 1983). Le altre imprese operavano saldamente ancorate - quanto a produzione, personale, management, capitale azionario e di credito – ai confini nazionali, e praticavano i mercati transnazionali solo per le forniture (materie prime, tecnologie, macchine) e per le vendite (esportazioni). 13
  • 14. creando, hanno deciso di fare un passo decisivo verso l’ internazionalizzazione. Le condizioni favorevoli si sono create anche grazie all’evoluzione degli scenari internazionali dovuta ad una serie di eventi che negli ultimi anni hanno portato forti cambiamenti nell’economia mondiale: anni di grandi evoluzioni, che hanno assistito all’unificazione europea e alla creazione del mercato unico europeo, alla nascita del WTO (1994), al passaggio dalla lira all’ euro, e poi alla crisi del mercato mondiale che ha portato all’emergere di nuovi attori e nuovi mercati: dalla Cina all’India, senza dimenticare la Russia o il Sud America. In conseguenza a questi cambiamenti le imprese si sono trovate ad affrontare nuove situazioni, e a dover proporre nuove strategie per cercare di conquistare posizioni nell’arena competitiva globale. L’internazionalizzazione è per l’impresa una strategia di crescita2 caratterizzata dal fatto di gestire in maniera permanente attività di natura economica (commerciale e/o produttiva) in due o più paesi (M.Caroli, Globalizzazione e localizzazione dell’impresa internazionalizzata, 2003,Franco Angeli). È giusto chiedersi perché le imprese sono portate ad internazionalizzarsi. Di solito l’avvio del processo d’internazionalizzazione di molte imprese coincide con la saturazione del mercato domestico e 2 Le strategie di crescita a differenza delle strategie competitive puntano ad allargare l’ambito di azione dell’impresa. Essa potrà espandersi nel mercato domestico diversificando la sua attività in altri settori o rafforzando la propria posizione nel suo business originario tramite l’integrazione verticale a monte o a valle della filiera produttiva, oppure può attuare una diversificazione geografica (cioè internazionalizzarsi), sviluppando una posizione competitiva in nuovi territori. Naturalmente questi tre possibili sentieri di crescita non sì auto-escludono (Wolf, 1977). 14
  • 15. l’intensificazione della competizione tra prodotti nazionali dovuta anche all’entrata dei prodotti esteri, oppure con la nascita di condizioni di mercato favorevoli. La scelta dell’internazionalizzazione, se talvolta è determinata dal caso e vissuta come un’opportunità di breve periodo, molto più frequentemente rappresenta una necessità per quelle imprese che, in possesso di competenze distintive, vedono restringersi i mercati interni e sono indotte ad ampliare il ventaglio geografico dei mercati per garantirsi lo spazio vitale necessario per continuare a essere competitive. L’ingresso di imprese straniere molto competitive, nei mercati locali, ha profondamente modificato la loro situazione concorrenziale costringendole a rivedere i propri piani strategici. A fronte di questa ipercompetitività che si è venuta a creare, molti imprenditori si sono trovati di fronte ad un bivio evolutivo che poteva portare alla marginalità o alla crescita tramite l’internazionalizzazione, ed hanno “scelto” questa ultima strada. Le motivazioni che conducono molti imprenditori a spingersi verso l’esterno non sono quindi ascrivibili solo ad un mero intento speculativo di breve periodo, basato sullo sfruttamento di specifiche situazioni locali ma, al contrario, sono sostenute da un orizzonte temporale ampio(L/p). 1.2.1 Il dinamismo del mercato mondiale: un problema per le imprese I cambiamenti nella mappa politica, economica e socioculturale 15
  • 16. mondiale si verificano ad una velocità sempre maggiore e quasi incontrollabile, determinando un significativo ampliamento del divario tra le economie più ricche e quelle più povere. In questo momento, dal punto di vista macroeconomico il trend più evidente è rappresentato dalla diminuzione dei tassi di crescita dei paesi della Triade (Europa, Nord America, Giappone), ormai stabilmente inferiori all’aumento di produttività contrapposta all’espansione dei cosiddetti paesi emergenti, dove spicca la Cina. In circa trenta anni, i paesi dell’Asia orientale hanno guadagnato oltre 16 punti percentuali sul prodotto interno mondiale, a scapito soprattutto dei paesi occidentali industrializzati e di quelli appartenenti all’ex blocco sovietico. 16
  • 17. Tabella 1.1. Incidenza sul PIL mondiale dei principali paesi (valori in miliardi di $ USA,Ocse2004) 1. USA 10.881 2.Giappone 4.326 3.Germania 2.400 4.GB 1.749 5. Francia 1.747 6. Italia 1.465 7. Cina 1.409 8. Spagna 836 9. Canada 834 10. Messico 626 11. SudKorea605 12. India 598 13. Austarlia 518 14. Olanda 511 15. Brasile 492 16. Russia 433 17. Svizzera 309 18. Belgio 302 19. Svezia 301 20. Austria 251 21. Turchia 238 22.Norvegia 222 23.Danimarca212 24. Polonia 210 25.Indonesia 208 26.Arabia S. 188 27. Grecia 173 28.Finlandia 162 29.SudAfrica 160 30.HongKong 159 31.Portogallo149 32. Irlanda 149 33.Tailandia 143 34. Iran 137 35.Argentina130 36. Israele 104 37.Malaysia103 38.Singapore91 39.Rep.Ceca 85 40.Venezuela85 41. Ungheria 83 42. Egitto 82 43. Filippine 81 44.Colombia 78 45.NuovaZelanda76 46. Cile 72 47.EmiratiArabi Uniti 71 48. Pakistan 69 49.PuertoRico 68 50. Algeria 66 51. Peru 61 52. Romania 60 53. Bangladesh 52 54. Nigeria 50 55. Ucraina 50 56. Marocco 44 57. Vietnam 39 58. Kuwait 35 59.Slovacchia32 60.Kazakhistan30 61. Croazia 28 62. Ecuador 27 63. Slovenia 26 64.Lussemburgo 26 65. Guatemala 25 66. Tunisia 24 67. Siria 22 68. Oman 20 69. Bulgaria 20 70. S&M 20 71. Libia 20 72. Libano 19 73. Sri Lanka 19 74. Lituania 18 75. Sudan 18 76. Bielorussia 17 77. Costa Rica 17 78. Qatar 17 79.RDominicana16 80. El Salvador 14 81. Kenya 14 82.Costad’Av.14 83. Angola 13 84. Panama 13 85. Camerun 12 86. Cipro 11 87. Uruguay 11 88. Yemen 11 89. Islanda 10 90.Trinidad&Tobago 10 91.Uzbekistan10 92. Tanzania 10 93.Giordania 10 94. Lettonia 10 95. Estonia 8 96.Zimbabwe 8 17
  • 18. Le imprese che vendono sui mercati mondiali devono affrontare, come hanno già fatto nel corso degli anni novanta, diversi problemi di carattere economico e finanziario che possono essere ricondotti principalmente ai seguenti: 1) Sviluppo economico più lento rispetto ai decenni precedenti: Dopo la forte espansione dei paesi industrializzati tra il 1950 e il 1973, lo sviluppo negli anni ottanta, seppur più lento, è stato costantemente in crescita nonostante una serie di difficoltà che hanno riguardato soprattutto le economie occidentali (saturazione di alcuni mercati, rallentamento nella crescita della produttività, lento processo di adeguamento delle strutture industriali alle nuove condizioni dell’economia internazionale, limiti nella capacità di fronteggiare l’inflazione, aumento dei tassi d’interesse e quindi del costo del capitale). Anche grazie al significativo calo dei prezzi delle materie prime e in particolare del petrolio, nel 1990 la tendenza è bruscamente cambiata. L’alternarsi di fasi di stagnazione e di ripresa è culminato alla fine del decennio con la gravissima crisi economica, finanziaria e politica che ha colpito l’Argentina nel 1999 (circostanza che suscitò concrete paure sulla possibilità di un “effetto domino” che avrebbe esteso la crisi anche agli altri paesi dell’America Latina, già in difficoltà). Anche il nuovo millennio non è affatto cominciato sotto i migliori auspici e gli incubi di recessione sono diventati realtà con il grave attacco terroristico che ha colpito gli Stati Uniti nel settembre 2001; il
  • 19. riflesso negativo di quanto accaduto negli USA si è ripercosso sull’intera economia mondiale, col risultato di trascinare in particolare i paesi occidentali industrializzati in una fase recessiva -secondo alcuni economisti si tratta o si è trattato solo di una “leggera recessione”- sottolineata anche dal crollo di autentici colossi industriali del mercato mondiale, basti ricordare il caso Enron e Worldcom negli Stati Uniti, o situazioni a noi più note quali i crack Cirio e Parmalat. Secondo le previsioni d’ordine qualitativo operate dall’Hudson Institute, l’attuale decennio sarà caratterizzato da alcuni aspetti come l’aumento della concorrenza tra i prodotti per effetto dell’urbanizzazione e il cambiamento nelle priorità d’acquisto dei consumatori, la ricerca di più elevati standard di sicurezza sociale, il rafforzamento dell’idea che il “futuro sarà probabilmente peggiore del passato” e di movimenti d’opinione contrari al progresso tecnologico e allo stesso sviluppo economico che tra le varie conseguenze potrebbero produrre il rallentamento dello sviluppo economico. 2) Concorrenza più intensa sui mercati mondiali, con nuovi protagonisti e nuove strategie: Nel corso degli anni settanta sui mercati mondiali si sono affacciati paesi di recente industrializzazione come Corea del Sud, Taiwan, India, Singapore e Hong Kong, i quali hanno sottratto ai vecchi protagonisti (Gran Bretagna, Francia, Germania, Stati
  • 20. Uniti, Giappone e, su scala minore, Italia) quote di mercato inizialmente nei settori a basso costo del lavoro e poi nei settori a tecnologia medio/alta. Contemporaneamente il pesante aumento dei prezzi delle materie prime ha portato alla ribalta i paesi ricchi di risorse naturali tra i quali vanno ricordati Algeria, Arabia Saudita, Brasile, Malaysia e Indonesia. Gli anni novanta e il periodo attuale si caratterizzano per la nuova forte espansione dei NICS (New Industrial Countries) e soprattutto per il nuovo ruolo assunto nell’economia mondiale dalla Cina. Volendo approfondire ulteriormente questo rapido esame sui protagonisti attuali e futuri del mercato mondiale, si può ricorrere a una distinzione basata sul “fattore chiave” di un settore industriale che può alternativamente essere o la disponibilità di forti capitali, o un basso costo del lavoro rispetto ai concorrenti, o la tecnologia: A) Capitali Nei settori a forte intensità di capitale (automobili, cantieri navali, acciaio, chimica) i protagonisti continueranno ad essere alcuni paesi industrializzati che dispongono di un importante mercato interno nel quale costruire rilevanti economie di scala che consentono loro di presentarsi sui mercati mondiali con prodotti e prezzi competitivi. La loro posizione sarà tuttavia insidiata da alcuni paesi in via di sviluppo che hanno settori ormai in grado di competere senza troppi problemi con quelli dei paesi più avanzati.
  • 21. B) Lavoro Nei settori a forte intensità di lavoro la vulnerabilità dei paesi industrializzati e soprattutto dell’Europa è già elevata ed è destinata ad aumentare ulteriormente. In produzioni dove le componenti principali sono materie prime, disponibilità di tecnologie e costo del lavoro, l’industria occidentale ha poche possibilità di difesa,e se la quota del costo del lavoro sul totale dei costi di produzione è molto alta, i paesi a bassi salari, come i paesi in via di sviluppo o i NICS, hanno un vantaggio difficilmente eguagliabile. C) Tecnologie Nei settori che fanno perno sul livello tecnologico (computer,telecomunicazioni) la supremazia statunitense sarà insidiata sempre più dal Giappone e in parte minore dall’Europa. Nonostante una parte di queste produzioni sia già fisicamente realizzata nei NICS, i mercati mondiali continueranno ad essere dominati dai paesi più industrializzati sia in termini d’offerta che di domanda. 1.2.2 Le determinanti della globalizzazione dei mercati I maggiori contributi all’espansione e allo sviluppo dell’economia e delle varie attività internazionali possono ricondursi ai seguenti fattori: 1) sviluppo e diffusione della tecnologia
  • 22. 2) crescente interdipendenza delle economie nazionali 3) sviluppo di nuovi mezzi di comunicazione e di trasporto 4) riduzione delle barriere istituzionali alla mobilità internazionale Tali fattori possono essere analizzati singolarmente: 1) Lo sviluppo tecnologico: La determinante che ha maggiormente inciso sul processo di internazionalizzazione delle attività delle imprese e dell’economia, può essere identificata nello sviluppo e nella diffusione delle conoscenze tecnologiche; lo sviluppo tecnologico è diventato un fenomeno indiscutibilmente transnazionale e interaziendale, sottratto all’uso esclusivo di un singolo paese o operatore. E’ ormai evidente che il sapere scientifico e informativo è una risorsa che si forma e si acquisisce non più all’interno della singola impresa ma a livello d’economia globale. Lo sviluppo della scienza prospetta un ampio ventaglio di alternative tecnologiche tra le quali scegliere; è il pluralismo tecnologico che consente di individuare con maggiore facilità e certezza le soluzioni più appropriate alle esigenze e alle risorse delle imprese ed ai vantaggi comparati dei vari paesi. L’accesso diretto ad un ampio patrimonio tecnologico ed il suo rapido apprendimento, tramite il trasferimento e lo scambio internazionale delle conoscenze, permette anche alle imprese più
  • 23. piccole di modernizzarsi e internazionalizzarsi senza dover sottostare agli standard organizzativi e tecnologici della grande scala. Pluralismo e pervasività della cultura scientifica e tecnologica sono quindi alla base della grande capacità di penetrazione dei processi di internazionalizzazione a tutti i livelli dell’economia. 2) La crescente interdipendenza delle economie nazionali: Lo sviluppo economico degli ultimi decenni ha determinato una maggiore convergenza nella sfera dei bisogni tra i paesi industrializzati, riscontrabile nella domanda e nell’offerta di prodotti, tecnologie e processi produttivi globali. Nelle diverse regioni del mondo sono spesso ricercati gli stessi beni e servizi e la condizione di maggiore omogeneità della domanda rendono i mercati nazionali più attraenti ed accessibili alla concorrenza internazionale. Il risultato è stato l’eliminazione dei tradizionali rapporti centro- periferia, secondo cui i paesi in via di sviluppo rifornivano i paesi industrializzati di beni primari in cambio di prodotti finiti. Da un punto di vista politico, inoltre, si deve segnalare una progressiva riduzione del potere di rappresentanza e dei margini di discrezionalità per l’intervento nell’economia degli stati nazionali; il progressivo trasferimento dei poteri a livello sovranazionale tende a spostare il baricentro politico verso organizzazioni di tipo continentale. La capacità dello Stato di
  • 24. rappresentare gli interessi nazionali si specializza in campi di competenza regionale, mentre a livello generale i vari governi possono solo agire come “gruppi di interesse” all’interno del livello istituzionale superiore. 3) Lo sviluppo di nuovi mezzi di comunicazione e di trasporto: Le innovazioni tecnologiche nel campo dei trasporti e delle telecomunicazioni hanno definitivamente ridotto la distanza tra i diversi paesi. Il miglioramento dei sistemi di trasporto non ha soltanto determinato un aumento della velocità di trasferimento delle merci, ma ne ha anche notevolmente ridotto il costo, rendendo più accessibile lo sbocco o l’approvvigionamento di risorse e prodotti finiti a livello internazionale. Tuttavia, l’elemento che negli ultimi anni appare trainante ai fini dell’internazionalizzazione non è tanto la riduzione dei costi di trasporto, quanto la forte riduzione dei costi di comunicazione resa possibile dallo sviluppo dell’information technology. Dal 1990 ad oggi, la rete globale di computer, televisori e telefoni ha aumentato la sua capacità di trasporto di informazioni di oltre un milione di volte. In questo quadro è inevitabile non ricordare il fenomeno della diffusione di internet, che ha letteralmente messo a disposizione e alla portata di tutti un sistema di comunicazione globale di enorme efficacia e potenzialità. 4) La riduzione delle barriere istituzionali alla mobilità internazionale:
  • 25. Sono stati numerosi gli accordi internazionali sottoscritti dai vari paesi a partire dalla fine del dell’ultimo conflitto mondiale, intesi a ridurre le barriere istituzionali sorte per proteggere le economie nazionali a limitazione del libero scambio delle merci. Nella riduzione delle tariffe e nella regolamentazione del commercio internazionale un ruolo fondamentale è stato svolto in passato dal GATT(General Agreement on Tariffs and Trade) e oggi dal WTO (World Trade Organization). Gli accordi riguardanti, la riduzione delle barriere artificiali e la creazione di mercati sovranazionali possono assumere molteplici forme, e in proposito si possono distinguere: ● le organizzazioni regionali per lo sviluppo: accordo tra più governi per partecipare alla realizzazione di progetti di natura anche infrastrutturale ( come la costruzione di impianti) che favoriscano settori e attività di base, impegnandosi sia a partecipare al finanziamento sia a ad acquistare parte dell’output proveniente dalle opere realizzate; ● le aree di libero scambio: accordo tra i paesi per l’eliminazione o la riduzione delle barriere (tariffarie e non) che ostacolano il libero scambio di merci. A differenza di quanto accade nei mercati comuni, i paesi che formano le aree di libero scambio non sono caratterizzati da barriere esterne agli scambi e da dazi doganali identici e non consentono la libera circolazione di lavoro e capitali; ● le unioni doganali: la caratteristica saliente è sia la riduzione o l’eliminazione delle barriere interne (tratto tipico del libero scambio), sia la presenza di tariffe esterne comuni sui prodotti
  • 26. importati dai paesi terzi. Tuttavia non è consentita la libera circolazione di lavoro e capitali (peculiarità dei mercati comuni); ● i mercati comuni: sono costituiti da paesi che, oltre agli accordi tariffari tipici di un’unione doganale, beneficiano anche della libera circolazione interna di servizi (lavoro compreso) e capitali. Gli accordi possono ulteriormente prevedere un percorso che porti ad un’effettiva integrazione politica: è infatti possibile l’adozione di piani comuni di natura fiscale, monetaria, di politica sociale o di difesa militare; ● le unioni politiche: lo scopo è quello di assicurare il miglior raggiungimento possibile degli obiettivi economici inizialmente determinati sulla base dei vari accordi multinazionali. Le unioni politiche costituiscono a tutti gli effetti una comunità sovranazionale di stati indipendenti. 1.2.3 La nascita di nuovi concorrenti I mercati hanno subito, e stanno subendo, dei cambiamenti nei loro scenari dal punto di vista delle dimensioni e degli attori che ne fanno parte proprio a causa delle determinanti viste prima. Le imprese locali, abituate a competere e a confrontarsi nel proprio settore con prodotti nazionali, hanno assistito all’entrata di aziende straniere nel loro mercato. Il contesto competitivo in cui si muovono le imprese sta rapidamente cambiando, e il nuovo emerge da tanti inequivocabili segnali: è sempre più difficile tenere le quote di mercato, anche accettando margini di profitto decrescenti, per non perdere clienti. Entrano in campo nuovi concorrenti, che hanno caratteristiche e potenzialità diverse da quelle dei
  • 27. concorrenti tradizionali, a cui le imprese locali sono abituate. Allo stesso tempo, si affacciano sui mercati nuovi potenziali clienti e nuovi potenziali fornitori, che sono però raggiungibili solo facendo investimenti impegnativi e mettendo in conto tempi non brevi per stabilire un efficace contatto. In conseguenza c’è stato un aumento della competitività dei settori, e l’evoluzione degli scenari ha portato delle modifiche nella struttura degli stessi, e conseguentemente delle difficoltà nell’inquadramento dei nuovi raggruppamenti strategici che si sono venuti a creare all’interno degli stessi. Le famose 5 forze competitive di Porter 3 descrivono un settore nelle sue generalità, ma l’ambiente competitivo rilevante per l’impresa è costituito dagli attori che fanno parte del suo stesso “raggruppamento strategico”4 (M.Caroli, Economia e estione delle imprese,2003,McGraw-Hill). Con l’entrata di nuovi competitors all’interno dei vari settori, sapere veramente quali imprese fanno parte di un raggruppamento strategico è diventato più complesso, perché è aumentato il numero di prodotti presenti sul mercato. Il contesto competitivo è cambiato per diverse ragioni; prima di tutto, le grandi imprese, grazie alla globalizzazione, sono in grado di utilizzare, direttamente o indirettamente, le grandi riserve di fattori a basso costo che sono disponibili nei paesi emergenti. La 3 Le 5 forze di Porter sono: l’intensità della concorrenza nel settore, la minaccia di nuovi entranti nel settore, la competizione indiretta esercitata da beni o servizi aventi la stessa funzione d’uso, il potere contrattuale dei fornitori, il poter contrattuale degli acquirenti. Per completare la descrizione dell’ambiente competitivo bisogna aggiungerne 2: l’intensità e il segno di alcuni stakeholders esterni, il grado di integrazione con le imprese complementari rispetto alla domanda finale. 4 Cioè gruppi di imprese che all’interno dello stesso settore adottano strategie simili, disponendo di un simile patrimonio di risorse.
  • 28. domanda internazionale di subfornitura di componenti, e materiali a basso costo, si rivolge sempre più altrove. D’altra parte, l’offerta di flessibilità e varietà non è più “monopolio” di un limitato gruppo di incursori, nel quadro di una ben regolata produzione di massa. Oggi, diventano sempre più rari i mercati, anche di nicchia, che sono al riparo dalla concorrenza: anche i grandi produttori, infatti, puntano alle piccole serie, ai prodotti di qualità, alla moltiplicazione dei modelli, alla personalizzazione del servizio reso al cliente. E, soprattutto, nascono ogni giorno nuovi agguerriti competitors, capaci di copiare, imitare, innovare e soprattutto di mettere “al lavoro” il proprio specifico retroterra nazionale, facendo leva sulle risorse materiali, sociali e politiche della società di appartenenza. La loro presenza cambia la natura del gioco competitivo. Ci sono nuovi paesi, che irrompono sulla scena usando un costo del lavoro, livelli di tolleranza ambientale, fattori di apertura o chiusura agli investimenti internazionali che sono propri del contesto di appartenenza. Questi nuovi aspetti stanno sicuramente incidendo sulle scelte strategiche di molte imprese locali, le quali visto il nascere di nuove minacce provenienti dall’estero, devono attuare strategie competitive nuove. E’ con queste variabili che dobbiamo imparare a fare i conti. All’orizzonte, si profila una nuova geopolitica su scala mondiale: una presenza minacciosa e incombente, che deve essere capita nei suoi diversi aspetti e protagonisti, se si vuole essere capaci di
  • 29. coglierne anche gli aspetti favorevoli, le opportunità che, nonostante tutto, contiene. 1.3 Il processo di internazionalizzazione delle imprese Lo studio del processo d’ internazionalizzazione attraverso cui l’impresa sviluppa la sua posizione nel mercato estero prevede un iter logico, che parte dall’analisi delle cause che la spingono a internazionalizzarsi, per arrivare allo studio delle fasi di tale processo, ed alle modalità di entrata nel nuovo mercato. Con questa analisi vengono alla luce tutte le strade perseguite dalle imprese, e le differenze che le caratterizzano, anche all’interno dello stesso settore. Le cause, e le diverse modalità di entrata nel mercato estero analizzate, aiutano ad avere un quadro generale più chiaro sullo stato delle imprese italiane ed estere che hanno deciso di intraprendere questa modalità di crescita. 1.3.1 Il processo evolutivo dell’impresa internazionalizzata Essendo l’impresa un’entità in continuo divenire, la sua natura internazionale non può che essere interpretata in chiave evoluzionistica, come il risultato di un processo. Di conseguenza,
  • 30. l’internazionalizzazione rappresenta l’esito di un progressivo sviluppo oltre-confine della presenza operativa dell’impresa, capace di stimolare cambiamenti nell’impianto strategico- organizzativo aziendale, nonché nella sua posizione competitiva. In conclusione, l’espansione estera si articola in una sequenza di orientamenti, cui corrispondono diverse configurazioni strategico-organizzative. Un approccio metodologico di chiaro stampo dinamico è rintracciabile nel product life cycle di Vernon (1966, 1979), un modello che stabilisce una peculiare corrispondenza tra fase del ciclo di vita del prodotto e modalità di presenza estera dell’impresa. In sostanza, operando in aree geografiche caratterizzate da differenti tassi di sviluppo della domanda, l’impresa può sfruttare il diverso valore attribuito a un prodotto, a una tecnologia o a un impianto nei vari Paesi, allungandone il ciclo di vita. Quando un operatore entra per primo in un mercato, beneficia, per un certo periodo, di una posizione monopolistica, destinata a venire meno solo con il progressivo ingresso di nuovi produttori (followers) in tale mercato. Naturalmente il leader originario, potrà reagire in tre modi: 1) provocando una guerra dei prezzi; 2) esportando la propria produzione in eccesso; 3) ricorrendo a innovazioni di prodotto e/o di processo; Nella fase introduttiva del ciclo di vita (del prodotto, della tecnologia o dell’impianto), l’attività produttiva è localizzata dove si trova il mercato da servire e dove contemporaneamente è
  • 31. disponibile la tecnologia necessaria ai processi produttivi. In una situazione simile, l’impresa è sostanzialmente domestica, e le eventuali esportazioni in altre aree, rispondono esclusivamente ad una logica di sfruttamento delle economie di produzione e di massimizzazione della capacità produttiva. Naturalmente, una volta conquistato il mercato interno, l’impresa comincia a produrre per quei mercati esteri la cui domanda si dimostri simile a quella domestica; il prodotto, oltre ad essere esportato, comincia anche a essere realizzato direttamente nei mercati di destinazione, ma solo qualora essi garantiscano appropriate tecniche produttive. Quindi, nella fase espansiva del ciclo, la strategia di esportazione diviene centrale per l’impresa, e quest’ultima guarderà a Paesi via via più lontani e meno sviluppati, quali vaste sacche di domanda insoddisfatta. Talvolta però, alcune imperfezioni di mercato, aggravano i costi della attività di esportazione (dazi, contingentamenti, sussidi dei paesi esteri alle proprie imprese), spingendo il produttore- esportatore a ricorrere ad un investimento produttivo, onde realizzare parte della propria produzione direttamente all’estero, e sfruttare eventualmente i differenziali nei costi dei fattori. Tipicamente ciò accade nella fase di maturità del ciclo di vita del prodotto, quando cioè i mercati originari sono saturi, la domanda diviene maggiormente sensibile al prezzo e l’offerta è standardizzata. Al verificarsi di tali condizioni, altri operatori riusciranno ad entrare nel mercato, instaurando nello stesso una forte competizione di prezzo. Per risultare vincenti, le imprese
  • 32. dovranno necessariamente intervenire sui costi, andando a realizzare i propri processi produttivi laddove sia possibile beneficiare di notevoli risparmi. L’impresa procede allora a ricreare nelle nuove aree di attività le condizioni precedentemente verificatesi nel mercato domestico (vale a dire una situazione di monopolio e lo sfruttamento delle economie di produzione)5 . Nella fase di declino, la produzione di un certo output (così come l’utilizzo di un impianto o di una tecnologia) si localizza definitivamente nei paesi di più recente ingresso, dove la domanda aggregata è in fasi di sviluppo meno avanzate. Le vecchie produzioni continueranno ad essere realizzate nei nuovi mercati, a partire dai quali lentamente si riproporrà, verso ulteriori nuove aree, la transizione esportazione-investimenti produttivi, precedentemente illustrata. Al contrario, nel mercato domestico, l’impresa produrrà esclusivamente prodotti nuovi e maggiormente competitivi. Infatti, i cash flow generati dalle unità produttive presenti in tali aree geografiche, saranno parzialmente reinvestiti nel mercato domestico onde realizzare innovazioni di prodotto, di processo, di materiali, con cui acquisire nuovi vantaggi competitivi. 5 Secondo Vernon, le imprese sono disposte a creare una sussidiaria in una nuova area geografica, sopportandone costi e incertezze, soltanto qualora percepiscano di possedere un vantaggio monopolistico. L’Autore ritiene che nella maggior parte dei casi tale vantaggio risieda nella capacità innovativa dell’impresa e che la principale spinta all’innovazione provenga dalle minacce e dalle promesse del mercato (Vernon, 1979). In particolare, nel suo secondo intervento, egli accusava i managers di miopia, poiché spesso essi si limitano a considerare le opportunità e i bisogni dei soli mercati più vicini a quello domestico, concentrando in quest’ultimo le fasi di sviluppo delle innovazioni, fino alla produzione pilota e alla prima commercializzazione. In questo modo, la domanda proveniente da altre aree deve essere soddisfatta dall’unità produttiva esistente, attraverso esportazioni o accordi di licensing; la creazione di una sussidiaria estera richiede invece un preventivo paragone tra costi marginali della produzione domestica per l’estero (comprensivi delle spese di trasporto e delle eventuali tariffe doganali) e costo complessivo della produzione oltre confine, tenuto conto anche di eventuali minacce esterne alla rendita monopolistica dell’impresa.
  • 33. Vernon concludeva che le attività estere dell’impresa evolvono coerentemente con il ciclo di vita del prodotto, e subiscono in tale processo una ricollocazione geografica: il prodotto divenuto obsoleto nel mercato domestico, non cessa di esistere, ma continua ad essere utilmente prodotto per altri mercati esteri e in altri mercati esteri, caratterizzati da un minore tasso di sviluppo della domanda; eventualmente tale prodotto potrà essere reimportato nel mercato di origine, per soddisfare6 residue sacche di domanda locale. La storia e la realtà economica ci insegnano che nel corso del loro sviluppo, i paesi abbandonano le produzioni più semplici e a più alto contenuto di manodopera, lasciandole ai Paesi emergenti la cui forza lavoro è si meno costosa, ma spesso anche meno preparata. Ciò avviene perché lo sviluppo spinge al rialzo i salari, incrementa il know-how, le competenze e la dotazione di capitale, spingendo i Paesi a concentrarsi su produzioni più sofisticate e differenziate (processo di rilocalizzazione delle produzioni). L’intensità e al velocità di questo processo dipendono da: 1) l’andamento dei costi del lavoro comparati 2) l’evoluzione relativa della produttività 6 Nel 1979 Vernon riconsiderò la sua teoria, alla luce di due fenomeni: la diffusione delle strutture reticolari e i cambiamenti nell’ambiente esteso (nascita di forti comunità economiche sovranazionali e attenuarsi dei differenziali di reddito a livello internazionale). Secondo l’Autore, infatti, il ciclo di vita internazionale del prodotto non spiegare a pieno la situazione in cui erano venuti a trovarsi diversi PVS. Questi ultimi erano tagliati fuori del processo di convergenza internazionale nei livelli di reddito, nelle dimensioni dei mercati e nei costi dei fattori produttivi, che aveva coinvolto i Paesi industrializzati; inoltre, nonostante le multinazionali avessero creato delle reti produttive globali, le sussidiarie localizzate nelle economie in via di sviluppo, continuavano a dover acquisire prodotti, semilavorati e innovazioni da altre unità operanti in mercati più ampi, ricchi e sofisticati. Tuttavia, alcuni PVS (Brasile, Messico, India, Corea) crescevano chiaramente a tassi superiori e mostravano un’autonoma capacità innovativa, con cui rispondere alle specifiche condizioni economiche interne. Una volta realizzato questo adattamento locale dei prodotti/processi, queste sussidiarie generalmente intraprendevano un proprio ciclo di esportazione e eventualmente di investimento diretto estero (internazionalizzazione di secondo grado).
  • 34. 3) le variazioni nelle barriere al movimento di beni, servizi e capitali fra i Paesi. Se tale ricollocazione avviene in maniera graduale, sollecita al contempo aggiustamenti, riconversioni e nuovi sviluppi, ma non crea problemi gravi. Quando invece vengono superate certe soglie di rapidità, nascono tensioni sociali, disoccupazione e impoverimento del tessuto produttivo domestico. Un’interpretazione dinamica dell’internazionalizzazione è anche quella proposta da Perlmutter (1969), il quale parla di una “tortuosa evoluzione delle multinazionali”, il cui andamento può essere letto attraverso i differenti orientamenti al mercato estero7 . In sostanza, la presenza oltre confine risulta organizzata in funzione dell’importanza che tali mercati acquisiscono nella strategia complessiva dell’impresa. In siffatto processo evoluzionistico, Perlmutter rintracciava quattro momenti e dunque quattro atteggiamenti principali: Approccio etnocentrico (tipico delle fasi iniziali): l’impresa è ancora fortemente legata al Paese di origine, i mercati esteri sono percepiti e gestiti come una estensione fisica di quello domestico. Il risultato è una forma di internazionalizzazione debole, spinta da esigenze congiunturali, e in quanto tali, transuenti. Le interdipendenze sono organizzate in maniera sequenziale, la conoscenza e il potere di iniziativa risultano accentrati presso la 7 Perlmutter ritiene che i parametri tradizionali (nazionalità della proprietà o del management, percentuale di investimenti realizzati all’estero, presenza strutturale in un certo numero di aree geografiche) non riescano da soli a misurare correttamente il grado di multinazionalità di un’impresa. Ciò che conta realmente è “...the way executives think about doing business around the world; the orientation toward foreign people, resources and ideas, in headquarters and subsidiaries, and in host and home environments, becomes crucial in estimating the multinationality of a firm... ”; Perlmutter H. V. (1969), The Tortuous Evolution of the Multinational Corporation, Columbia Journal of World Business, january-febrauary, pp.8-18.
  • 35. casa madre, mentre i compiti più operativi sono demandati alle unità periferiche. Approccio policentrico: l’enfasi si sposta dal mercato domestico a quelli di destinazione attraverso un vero e proprio decentramento decisionale, all’interno del quale la casa madre si limita a controllare e gestire il portafoglio di aree-mercato. I mercati esteri diventano entità distinte, dotate di proprie unità organizzative, collegate all’headquarter prevalentemente tramite flussi di risorse finanziarie. Mano a mano che la proprietà del capitale si diffonde all’estero e che l’origine geografica del management si differenzia, queste imprese non si identificano più con un solo Paese. Approccio regiocentrico: sfruttando fenomeni di internazionalizzazione dei comportamenti di consumo, l’impresa individua delle macroregioni sopranazionali, ove sviluppare una offerta sostanzialmente standardizzata, idonea a massimizzare tanto la soddisfazione del consumatore quanto le esigenze di efficienza dell’impresa. Ovviamente, per sfruttare eventuali sinergie, si rendono necessari dei momenti di contatto e di scambio tra le sussidiarie operanti nei territori della macroarea: ciò spinge a creare, in ogni macroregione, una sub-headquarter, quale entità di raccordo tra le sussidiarie locali e gli orientamenti strategici della casa madre. Approccio geocentrico: l’espansione delle macroregioni di cui sopra, trasforma le singole aree geografiche in semplici componenti di un unico sistema globale. L’impresa acquisisce una vocazione mondiale, l’offerta risulterà standardizzata a livello mondiale, e l’intenso coordinamento tra casa madre e sussidiarie, priverà
  • 36. queste ultime di autonomia gestionale e decisionale. I loro compiti diventano instabili e complicati, poiché strumentali, subordinati o comunque interconnessi con le funzioni di altre unità. Le interdipendenze tra il centro e le singole sussidiarie, così come quelle tra le sussidiarie stesse sono individuate e sfruttate in condizioni di reciprocità. Naturalmente questi quattro approcci devono essere intesi quali possibili tappe dell’evoluzione internazionale dell’impresa, non legate da nessi eziologici e suscettibili di presentarsi contemporaneamente nelle diverse aree geografiche e di business. Di conseguenza, ogni impresa caratterizzata da una articolazione internazionale della catena del valore dovrà individuare il proprio mix8 tra profilo etnocentrico, policentrico e geocentrico9 . Sicuramente quest’ultimo tende a prevalere, favorito dall’ampliarsi dei mercati mondiali, dalla nascita di comunità economico-politiche sovranazionali, dalla possibilità di acquisire conoscenze manageriali e tecnologiche in diversi Paesi, dalla globalizzazione dei modelli di consumo e dalle innovazioni nei sistemi di trasporto e telecomunicazione; tuttavia tale tendenza è frenata dalla scarsa conoscenza, talvolta dalla diffidenza dei managers nei confronti di alcuni mercati esteri, da insormontabili differenze linguistiche e culturali, da tendenze nazionalistiche rilevate nella potenziale controllata estera, e così via. 8 Tale mix dipenderà dai vantaggi e dagli svantaggi relativi dei diversi approcci: quello etnocentrico garantisce il massimo controllo, forti flussi di informazioni e conoscenza dal centro alla periferia, semplicità organizzativa, tuttavia è affetto da una scarsa flessibilità di risposta agli stimoli ambientali e da minori opportunità di innovazione; l’approccio policentrico si caratterizza negativamente per duplicazioni, rischio di eccessivo localismo e di mancata valorizzazione dell’esperienza maturata nel Paese di origine, ma al contempo consente di sfruttare al massimo le opportunità esistenti nei mercati locali, massimizzando la soddisfazione dei consumatori e l’adattamento dei prodotti, beneficiando anche di incentivi governativi; infine i costi del profilo geocentrico sono essenzialmente legati alle spese di comunicazione e trasporto, e alla crescente burocrazia interna all’impresa, mentre i benefici risiedono essenzialmente nella possibilità di utilizzare le risorse migliori disponibili a livello mondiale, di fissare comuni obiettivi condivisi su scala globale e di massimizzare gli standards qualitativi dei propri prodotti e servizi. 9 Consideriamo l’approccio regiocentrico come un approccio geocentrico in fieri.
  • 37. Un altro contributo teorico di matrice dinamica è quello dell’internationalization process model, legato alla scuola svedese di Uppsala e alla figura di Aharoni. Questi definiva l’internazionalizzazione “un processo emergente, avente natura incrementale”10 . La scuola di Uppsala ipotizza un ciclo di acquisizione di esperienza e di impegno, nel corso della crescita internazionale dell’impresa, e la sua internazionalizzazione deriverà in definitiva da un processo lento e continuo di formazione di conoscenza11 , attraverso cui gli investitori esteri riescono a superare la considerevole incertezza da cui sono affette le loro decisioni di espansione estera. Tale incertezza è direttamente proporzionle all’inesperienza degli attori, o meglio a dei veri e propri gap di conoscenza (Johanson, Widersheim-Paul, 1975). La gradualità del processo dipende dal fatto che i problemi e le opportunità offerte dall’espansione oltre i confini del proprio Paese di origine si presentano man mano che l’impresa pone in essere le operazioni estere, sviluppando le competenze necessarie e attribuendo a tali operazioni importanza strategica crescente (Caroli, 2000). Introducendo i concetti di psychic distance e di establishment chain, il modello del processo di internazionalizzazione ordina in sequenza temporale le fasi seguite dagli operatori nella scelta dei Paesi esteri in cui insediarsi e della particolare modalità di internazionalizzazione delle attività. 10 Aharoni Y. (1966), The Foreign Investment Decision Process, Harvard Unversity, Graduate School of Business Administration, Boston. 11 Una volta entrata in un mercato, l’impresa acquisisce continuamente nuove conoscenze circa le caratteristiche dello stesso; tale maggior conoscenza e esperienza si traduce in un crescente impegno imprenditoriale nell’area in questione (più la si conosce più può essere stimolante e /o profittevole continuare a investirvi o entrare in aree ulteriori).
  • 38. A monte del processo si pone la decisione riguardo l’area geografica in cui entrare, tenendo conto della cosiddetta psychic distance. Quest’ultima non si esaurisce nella mera valutazione della distanza geo-fisica tra due punti, regioni o territori, al contrario indica la similarità in termini di contesto ambientale e competitivo tra due Paesi.12 Una volta scelta l’area-obiettivo e superata la fase di ingresso nel nuovo mercato, la posizione dell’impresa evolverà attraverso i diversi livelli della establishment chain, maturando in ciascuno di essi un superiore grado di conoscenza e di impegno verso il mercato e la strategia estera. Come anticipato poco prima, nella teoria della crescita internazionale dell’impresa le decisioni di espansione degli investitori esteri sono fortemente incerte, poiché affette da un duplice gap di conoscenza: tale incertezza riguarda il funzionamento e il contesto istituzionale dei singoli mercati nazionali, nonché il modus operandi in ambienti non familiari. La conoscenza maturerà da processi di learning-by-doing, e il sentiero di espansione dell’impresa disegnerà un processo cumulativo, caratterizzato da informazione crescente e esperienza (Mariotti e Piscitello, 1994). In sostanza l’establishment chain delinea le principali attività poste in essere dalle imprese parallelamente al grado di sviluppo delle 12 La psychic distance dipende dalle differenze linguistiche e culturali, dai diversi modelli e livelli di sviluppo industriale e di educazione, dal particolare sistema politico adottato. Sicuramente essa si modifica nel tempo ed è, salvo eccezioni, positivamente correlata alla distanza geografica tra le aree considerate ( es. l’Australia è “percepita” vicina all’Inghilterra nonostante la lontananza fisica). Di solito, le imprese prive di una consolidata esperienza estera, guardano in primo luogo ai mercati vicini, ritenuti controllabili in maniera agevole e diretta, e sicuramente più simili a quello domestico in termini di preferenze, modelli di consumo e di business. La crescente apertura internazionale consentirà loro di espandere i propri orizzonti di attività, aumentando la distanza tra mercati di approvvigionamento e di sbocco, sedi produttive e centri strategico-decisionali. In sostanza, al crescere delle conoscenze, le routine di selezione includono una più ampia gamma di alternative relative ad aree culturalmente più distanti, per le quali il rischio soggettivo di asimmetrie informative è venuto decrescendo. Luostarinen R. (1980), Internationalization of the Firm, Helsinky, The Helsinky School of Economics.
  • 39. loro conoscenze sul mercato estero e Johanson e Widersheim-Paul distinguono al suo interno: 1) attività di esportazione svolta in maniera irregolare; 2) attività di esportazione svolta attraverso intermediari indipendenti; 3) creazione di sales subsidiaries all’estero13 ; 4) creazione di subsidiaries di produzione e/o di assemblaggio all’estero.14 Il coinvolgimento graduale dell’impresa nel mercato estero avverrà grazie ad un processo di apprendimento e sedimentazione, conseguente all’acquisizione e alla ritenzione di informazioni circa il nuovo ambiente competitivo. Più tale conoscenza aumenterà più l’impresa sarà spinta investire in quel mercato o a entrare in ulteriori nuove aree. Il sistema organizzativo aziendale, passando attraverso le fasi della establishment chain, matura conoscenza e commitment nei confronti del mercato estero, e attraverso questo processo di accumulazione effettua la transizione alla fase successiva del suo processo di apertura internazionale. Ovviamente tali passaggi saranno tanto più rapidi quanto più il contesto ambientale (lingua, tipo di cultura, livello di istruzione, sistemi politici) e quello competitivo (sviluppo industriale) del Paese di destinazione saranno “vicini” o simili, a quelli del Paese di origine. 13 Sono delle filiali commerciali prive di rilievo strategico, cui sono demandate le attività di marketing e vendite, e quelle di assistenza tecnica. L’impresa complessivamente considerata si limita a sfruttare firm- specific asset controllati dalla casa madre. 14 Le sussidiarie assumono in primis decisioni strategiche circa la definizione dei volumi di produzione o le caratteristiche dei prodotti (eventuali adattamenti locali).
  • 40. In conclusione, il processo di internazionalizzazione coinvolge in primo luogo paesi culturalmente vicini, e successivamente con l’accumularsi di conoscenze e competenze, si estende anche a quelli più lontani, secondo un approccio step-by-step, finalizzato a ridurre il rischio e i sunk costs dell’espansione in contesti non familiari, attraverso l’impiego crescente di risorse cui corrispondono le varie fasi della estalishment chain. Passando attraverso i diversi momenti del processo di internazionalizzazione, alcune dimensioni aziendali subiscono delle modifiche più o meno incisive: La strategia competitiva dovrà perseguire l’ottenimento di un vantaggio competitivo, attraverso una presenza commerciale e/o produttiva all’estero. I processi di business saranno organizzati su scala sovralocale, la catena del valore sarà localizzata su scala internazionale (naturalmente le varie attività saranno poi reintegrate soprattutto tramite la ICT). La conoscenza maturata all’estero, consentirà all’impresa di sfruttare le opportunità e le specificità di più Paesi, e tutte le sussidiarie beneficeranno del trasferimento di conoscenze nella rete interna. L’organizzazione delle relazioni interne dovrà essere tale da massimizzare i trasferimenti di informazioni e conoscenza, garantendo al contempo la corretta implementazione dell’orientamento strategico della corporate, mentre. le relazioni esterne tra le sussidiarie e gli attori locali (soprattutto i governi) dovranno essere gestite e sviluppate in modo da
  • 41. ottimizzare i vincoli e le opportunità, derivanti dalla presenza nell’area. I mercati esteri sono intesi come contenitori di risorse, e l’impresa sceglie di entrarvi in funzione dell’apprendimento che può trarre da essi. D’altra parte il commitment, inteso quale impegno, radicamento, ammontare degli investimenti effettuati dall’impresa nell’area, sarà funzione crescente delle conoscenze che l’impresa percepisce di poter trarre da tale contesto e dalle relazioni con gli attori locali. A questo punto il circolo si chiude e si autoalimenta: col progredire della presenza internazionale crescono il commitment, la conoscenza e le relazioni dell’impresa con il mercato estero e con i suoi attori di riferimento; allo stesso tempo quanto più l’impresa conosce il mercato tanto più si radica nello stesso, sviluppando fitte relazioni con gli attori locali. Tuttavia, il limite dell’internationalization process model risiede nella sua natura essenzialmente deterministica e sequenziale che, pur consentendogli di individuare tutti i possibili stadi dell’espansione estera di un’impresa, stabilisce una precisa relazione tra stadio del processo di internazionalizzazione e configurazione dell’impresa15 , escludendo che essa possa differenziare la propria internazionalizzazione in relazione alle caratteristiche interne, all’orientamento strategico o alle specifiche interazioni che stabilisce con l’ambiente di riferimento. Ricercare le cause dell’internazionalizzazione significa individuare una serie di spinte, interne e esterne, legate alle 15 Il modello individua in maniera univoca il modello strategico-organizzativo appropriato per ciascun gruppo di relazioni e conoscenze che l’impresa gestisce nelle differenti fasi del suo sviluppo internazionale.
  • 42. risorse e competenze di cui l’impresa dispone. Ecco perché a seconda delle caratteristiche del mercato o del business di riferimento, delle conoscenze detenute dall’impresa o in base alle sue precedenti esperienze internazionali, alcune fasi della establishment chain potranno essere saltate o richiedere tempi diversi16 . 1.3.2 Le cause del processo di internazionalizzazione Forze interne Le cause che spingono l’impresa a ricercare l’espansione della propria attività produttiva e commerciale in aree geografiche estere possono essere ordinati in due categorie: fattori «interni», connessi allo sviluppo delle risorse interne e della posizione competitiva; fattori «esterni», connessi all’adeguamento o allo sfruttamento degli stimoli provenienti dall’ambiente rilevante. L’effetto generato da questi due ordini di fattori dipende dalle condizioni del sistema aziendale in cui esse agiscono; in particolare dalle risorse e competenze che esso ha a disposizione e della sua configurazione organizzativa. I fattori connessi allo sviluppo della posizione competitiva enfatizzano, l’origine interna all’impresa del processo di internazionalizzazione che viene attivato da specifiche scelte prese dai dirigenti aziendali. 16 Da parte sua, l’establishment chain è suscettibile di modificazioni e/o di salti nell’articolazione e nel susseguirsi dei suoi stadi; in generale ciò avviene in presenza di modalità di entrata di tipo acquisitivo, consolidata esperienza internazionale, ridotte dimensioni del Paese di destinazione, tali da impedire l’implementazione di tutti gli step.
  • 43. Il secondo gruppo di fattori riguarda invece le spinte che hanno origine esterna, e che derivano quindi dai vincoli o dalle opportunità che le condizioni ambientali pongono all’impresa. Peraltro l’evoluzione dello scenario competitivo in molti settori è tale che, la scelta per l’internazionalizzazione diventa una condizione quasi necessaria per la sopravvivenza. Il processo di internazionalizzazione è, quindi, il risultato di una combinazione di cause che investe entrambe le categorie viste. Le condizioni interne dell’impresa, espresse dall’assetto organizzativo, dall’orientamento strategico e dalle conoscenze accumulate, spingono l’impresa a un certo tipo di espansione estera. Una volta che l’impresa si stanzia in una nuova area geografica, acquisisce risorse e conoscenze che determinano un cambiamento interno, con il rafforzamento della posizione competitiva e la nascita di nuove spinte per la crescita a aziendale. Quindi, nel processo di internazionalizzazione delle imprese le spinte interne ed esterne non possono che coesistere. L’impatto dei fattori dipende dalle condizioni interne dell’impresa, cioè dalle risorse e competenze disponibili, dall’esperienza maturata e dagli equilibri organizzativi che caratterizzano l’azienda. Quindi l’impresa deve disporre di risorse tangibili e intangibili, e competenze adatte a gestire la presenza nel mercato estero, soprattutto per quanto riguarda lo sviluppo, e lo sfruttamento del vantaggio competitivo di cui dispone, anche in aree estere (fattori interni).
  • 44. Oppure può andare alla ricerca di competenze di cui non dispone, e ricercarle in nuove aree geografiche (fattori esterni). Non si ritiene corretto stabilire alcuna relazione deterministica tra dimensione delle attività dell’impresa e orientamento strategico della stessa verso l’internazionalizzazione; tuttavia, l’impresa che raggiunge una buona posizione competitiva ed ha una forte crescita dimensionale, e quindi di fatturato, raggiunge dei livelli di risorse e competenze che le permettono di affrontare nuove alternative di crescita; tra queste l’internazionalizzazione è una delle principali. I fattori interni di spinta verso i mercato esteri sono quelli su cui è posta una maggiore enfasi, anche perché il processo di espansione all’estero è la manifestazione delle caratteristiche dell’impresa dal punto di vista organizzativo, strategico, e di creazione delle conoscenze. Inoltre le risorse disponibili e la configurazione organizzativa dell’azienda hanno anche rilievo sul peso delle spinte esterne all’internazionalizzazione, influenzando il modo con cui l’impresa percepisce e interpreta i segnali provenienti dall’esterno. Infatti le competenze, le risorse disponibili, e la configurazione organizzativa dell’impresa condizionano il tipo di risposta che essa è in grado di dare agli stimoli ambientali; risposta che può andare verso l’avvio del processo d’internazionalizzazione, verso il ripiegamento nel mercato locale, o addirittura può portare all’abbandono del settore.
  • 45. Le forze interne alla base del processo d’internazionalizzazione sono di tre tipi: 1) L’acquisizione di vantaggi competitivi intrinseci nella presenza internazionale 2) Lo sfruttamento in nuove aree geografiche di vantaggi competitivi detenuti nel mercato originario 3) La ricerca nelle aree estere di condizioni che possono tradursi in elementi di vantaggio competitivo. 1) L’espansione estera come fonte intrinseca di vantaggio competitivo: Questa strategia fa riferimento al paradigma «eclettico», secondo cui l’internazionalizzazione permette all’impresa di ridurre, attraverso la gestione di attività internazionali, i costi transazionali e migliorare la propria posizione competitiva rispetto ai concorrenti locali. L’approccio eclettico individua tre categorie di vantaggi: Gli atout derivanti dalla sola natura dell’impresa; la quale può disporre di risorse e vantaggi competitivi rilevanti sui mercati internazionali, come la riduzione dei costi di transazione, grazie ad una struttura organizzativa internazionale più efficiente dello scambio sul mercato. I vantaggi nel trasferire i propri fattori di forza, come la tecnologia, alle unità operative del gruppo invece che ad imprese etere. La localizzazione dell’impresa a livello globale, che permette di ridurre alcune categorie di costo, come quelli tansazionali e
  • 46. produttivi. L’impresa infatti ha convenienza nel sostituire il mercato per determinate transazioni, con l’integrazione a livello internazionale che risulta più efficiente. Dalla teoria espressa nel paradigma eclettico possiamo derivare le tre spinte fondamentali alla realizzazione dell’ IDE( investimento diretto estero): - Investimenti market seeking, effettuati per raggiungere nuovi mercati. - Investimenti low cost seeekig, effettuati per ottenere una riduzione dei costi di produzione. - Investimenti natural resource seeking, effettuati per acquisire i fattori produttivi ad un costo più basso. Oltre ai benefici di natura transazionale, l’espansione dell’impresa risulta fonte di vantaggio competitivo, perché: - Determina alcune condizioni di arbitraggio, come l’abbattimento dell’ onere fiscale attraverso il meccanismo dei prezzi di «trasferimento», tramite il quale vengono spostate porzioni di reddito nell’area geografica dove la tassazione sulle imprese è minore. Altra condizione è l’ottimizzazione del reperimento delle risorse finanziarie, attraverso la presenza diretta in diversi mercati finanziari. Altra forma di arbitraggio deriva dalla teoria del ciclo di vita del prodotto di Vernon, infatti l’impresa operando in diverse aree geografiche,con un diverso tasso di sviluppo della domanda, può sfruttare il diverso valore che la domanda nei vari paesi attribuisce al prodotto, allungandone il ciclo di vita. Questa
  • 47. opportunità non riguarda solo i prodotti ma anche la tecnologia, e gli impianti utilizzati nei processi produttivi. - Fornisce all’impresa alcune leve competitive, come la diversificazione del portafoglio di business aree geografiche dell’impresa, che riduce il rischio complessivo. Ma ci sono anche altre leve strategicamente importanti, come il fatto che l’azienda, operando in diversi contesti geografici dispone di una base da cui maturare nuove conoscenze (asset intangibile) sicuramente più ampia di quella dei semplici concorrenti nazionali. Un’altra leva molto sfruttata è quella della strategia di comunicazione, semplicemente per il fatto che l’immagine dell’impresa internazionale gode di un vantaggio rispetto a quella nazionale. Il fatto di essere presente in più mercati garantisce dei vantaggi si marketing consistenti: una maggiore riconoscibilità del prodotto e della marca da parte del consumatore, l’aumento delle occasioni in cui il consumatore è spinto a provare il prodotto, ed il rafforzamento della possibilità di fidelizzare il cliente, perché il prodotto è rese disponibile ovunque si trovi. L’accrescimento del potere economico ed extra economico costituisce un’altra leva, che deriva dalla presenza internazionale dell’impresa e influenza il confronto competitivo sui mercati nazionali. Infatti le imprese che operano a livello internazionale possono formare degli accordi collusivi con gli altri leader del settore, che limitano il corretto svolgimento dell’attività economica.
  • 48. Questa politica collusiva penalizza direttamente le aziende a dimensione locale. Un altro vantaggio che l’impresa può trarre dalla presenza internazionale è dato dall’effetto made-in, cioè nel fatto che l’area geografica in cui viene costruito il prodotto influenza in modo consistente le sue caratteristiche, e la percezione che ne ha il consumatore. Il fatto che le attività di produzione siano svolte in un’ area geografica che gode di una buona reputazione e tradizione, aumenta la percezione positiva che il consumatore ha di quel prodotto. L’impresa quindi può sfruttare l’effetto made-in, collocando la propria attività di ricerca o produzione nell’area geografica che gode della migliore immagine per quanto riguarda le componenti critiche del prodotto; nel caso in cui tale effetto è principalmente connesso a fattori d’immagine, occorre anche enfatizzare l’origine nazionale della produzione. Facendo leva sull’effetto made-in positivo l’impresa gode di un vantaggio competitivo, inimitabile dagli operatori di dimensione locale. 2) L’espansione estera come strategia per sfruttare i vantaggi disponibili: Lo sfruttamento in nuove aree geografiche dei vantaggi competitivi detenuti nel proprio territorio d’origine, costituisce la seconda spinte all’internazionalizzazione. Si tratta di sfruttare i propri vantaggi in termini di competenze, imprenditorialità, accesso ai capitali e via dicendo.
  • 49. Lo sviluppo della presenza internazionale può essere dovuto anche alla volontà di rafforzare il proprio vantaggio competitivo detenuto nel territorio d’origine, per esempio attraverso la minimizzazione dei costi, tramite le economie di produzione. L’impresa mantiene la concentrazione della struttura produttiva, ricerca una presenza di mercato in diverse aree geografiche, cosi da aumentare il livello delle vendite e, quindi, della propria dimensione produttiva. Le risorse e gli elementi di vantaggio competitivo trasferiti sono prevalentemente di carattere intangibile, e all’interno di un gruppo si configurano come un «bene pubblico», risultando trasferibili ad un costo contenuto. La possibilità di sfruttare i vantaggi detenuti nel mercato originario in nuove aree geografiche è caratterizzata da un’ elevata incertezza, poiché dipende da come si manifesta «l’effetto prisma». Questo effetto è causa di una deformazione del giudizio e delle percezioni da parte dei consumatori, causato dalle diverse caratteristiche ambientali, che influiscono sulla posizione competitiva dell’impresa. L’effetto prisma risulta potenzialmente maggiore per vantaggi legati alla differenziazione dell’offerta, piuttosto cha alla riduzione dei costi. La possibilità di estendere un vantaggio detenuto nel mercato locale in altre aree geografiche è una spinta all’internazionalizzazione, che va comunque presa con le dovute precauzioni, analizzando il contesto in cui si è deciso di operare, e
  • 50. valutando gli elementi di forza su cui è basata questa strategia in relazione alle caratteristiche del mercato, della concorrenza e degli attori presenti nelle nuove aree geografiche. 3) L’espansione estera come modalità di ricerca di nuovi vantaggi disponibili: La terza specie di spinta interna è costituita dalla ricerca di nuove fonti di vantaggio competitivo efficaci per rafforzare la posizione dell’impresa sia nel suo mercato di origine, sia nel contesto internazionale in cui eventualmente si trova ad operare. Di solito questa motivazione nasce nelle fasi più avanzate del processo di internazionalizzazione, perché questa spinta implica infatti che l’impresa concepisca la propria strategia competitiva nella prospettiva internazionale, e disponga quindi di una sofisticata capacità di analisi e valutazione dello scenario internazionale. Inoltre la ricerca di nuovi vantaggi competitivi spinge l’impresa a collocare prevalentemente all’estero le attività di ricerca e di produzione, o a stabilire relazioni commerciali con fornitori esteri. Il vantaggio competitivo che l’impresa può raggiungere in un’area geografica estera, è dato dalla possibilità di svolgere in modo più efficace ed efficiente una determinata attività in quell’area rispetto a quanto sarebbe possibile fare nel proprio paese d’origine. La possibilità dipende dal rilievo dei fattori di attrattività dell’area considerata e dalla concreta capacità dell’impresa di appropriarsi del vantaggio competitivo che deriva da tali fattori.
  • 51. Forze esterne L’adeguamento o lo sfruttamento delle condizioni ambientali costituisce il secondo gruppo di forze che possono dar vita al processo di internazionalizzazione dell’impresa. Si distinguono tre fattori in particolare: 1) L’internazionalizzazione del mercato, della concorrenza e dell’ambiente rilevante; 2) Il miglioramento delle condizioni e la diminuzione dei costi relativi alle comunicazione ed ai trasporti tra diverse aree geografiche; 3) La saturazione del mercato locale. Il primo di questi fattori consiste nel superamento dei tradizionali confini geografici. Da un lato un mercato geografico è sempre meno protetto dall’entrata di operatori originariamente localizzati in altri contesti; dall’altro, è sempre meno complicato per il consumatore esprimere la propria domanda in mercati collocati in aree diverse da quella di appartenenza. In una situazione del genere, la capacità di saper operare in contesti geografici diversi diventa una condizione indispensabile. E questa condizione vale anche nel caso in cui il mercato locale è diventato saturo, infatti il saper operare in altre aree geografiche sostituisce altre strategie attuate nel mercato locale (acquisizione di una posizione di leadership nel settore, diversificazione).
  • 52. La spinta verso l’internazionalizzazione in questo caso dipende da tre situazioni: 1) L’intensità della concorrenza nel mercato locale e la capacità dell’impresa di raggiungere la posizione di leader. 2) La «trasferibilità» delle risorse e competenze disponibili in un’altra area di business. 3) La «trasferibilità» delle risorse e competenze disponibili in un’altra area geografica. Lo sviluppo della presenza estera può essere considerata come una spinta esterna data dai concorrenti, che possono diventare delle minacce, nel caso in cui compiano il primo passo verso l’internazionalizzazione. Si attua così una reazione competitiva nei confronti di un concorrente che ha già attuato una strategia di espansione estera, o che sta per attuarla alterando così gli equilibri di mercato. Il band-wagon effect 17 (effetto trascinamento) è un’ipotesi imitativa, dove troviamo un first mover che ha attuato per primo la strategia di espansione estera e quindi può acquisire i vantaggi competitivi; e dei follower che seguono questa strategia decidendo di operare all’estero per non lasciare al primo tutti i vantaggi. Un altro tipo di strategia di internazionalizzazione dovuta ad una reazione è quella del cosiddetto «exchange of threat18 », dove un ‘impresa che vede l’entrata, nel suo mercato locale, di un nuovo concorrente straniero decide di entrare nel mercato dello stesso per rispondere alla minaccia che gli è stata portata. Per quanto riguarda la seconda spinta esterna, assistiamo ad un sempre più 17 Aharoni 1996 18 Graham (1978)
  • 53. intenso sviluppo dei sistemi di comunicazione e di trasporto, ed a una costante diminuzione dei loro costi, tanto da ridurre gli investimenti necessari per l’espansione in aree estere. Questo determina un aumento della competitività in ciascun mercato locale e funge da spinta per le imprese verso il superamento delle barriere di natura geografica. 1.3.3 Le fasi del processo di internazionalizzazione Nell'analisi degli elementi che caratterizzano la natura dell'impresa internazionalizzata sono stati discussi i modelli che interpretano il fenomeno dell'internazionalizzazione come un processo che avviene in diversi stadi, ad ognuno dei quali l'impresa assume uno specifico tipo di configurazione. Tali approcci, pur risultando criticabili a causa della loro impostazione sostanzialmente deterministica, contengono alcuni elementi d'interesse concettuale. In particolare, essi sottolineano il carattere dinamico dell' espansione estera, determinata da cause e decisioni che mutano con la stessa evoluzione dell'impresa. Già Saraceno osservava come l'impresa internazionale non deve essere intesa come un «archetipo», ma piuttosto come il risultato in continuo divenire di un percorso evolutivo. Su questa linea si esprime anche Rispoli (1994) quando afferma che «per internazionalizzazione delle imprese, può intendersi infatti un processo che, a partire da un rapporto relativamente semplice ma sistematico delle imprese con i mercati esteri (come quello generato da flussi esportativi non occasionali), porta via via verso
  • 54. forme di investimento all' estero e comunque verso lo sviluppo di relazioni competitive, transattive e collaborative con altre aziende di produzione e di servizi, pubbliche e private, in diversi paesi». Questo paragrafo ha l'obiettivo di focalizzare i passaggi logici che l'impresa attraversa nel corso della sua evoluzione internazionale e nei quali assume, in funzione delle specifiche condizioni del processo, una certa configurazione strategica ed organizzativa. Dal modo in cui l'azienda gestisce le proprie operazioni estere, si può identificare lo stadio del processo di internazionalizzazione coinvolto. Le fasi in cui, in condizioni normali, è possibile dividere il processo d'internazionalizzazione delle imprese sono: 1) Fase di entrata nel mercato estero: l’impresa individua l’area che le interessa, gli obiettivi che vuole raggiungere attraverso la presenza in tale area e i mezzi per realizzare i suddetti obiettivi; analizza le risorse che possiede e individua come e dove dotarsi di quelle mancanti. 2) Fase di assestamento della presenza sul mercato estero: l’impresa matura nuove routine e competenze attraverso le quali stabilizzare gli effetti della nuova dimensione geografica, e eventualmente modifica la propria struttura organizzativa e la strategia competitiva. 3)Fase di sviluppo della posizione competitiva nei mercati esteri: l’area estera cresce di importanza nell’economia e nell’orientamento strategico dell’impresa, per cui nascono e si arricchiscono le relazioni con gli stakeholders locali (rete esterna), ma
  • 55. contemporaneamente si inizia a guardare a altre aree di possibile espansione commerciale e/o produttiva. 4) Fase di razionalizzazione della posizione internazionale: l’insediamento simultaneo in diverse aree geografiche e di mercato porta a organizzare la catena del valore a livello globale, ottimizzando la struttura dei costi, sfruttando al massimo sia i vantaggi competitivi acquisiti nelle varie aree che le interdipendenze tra le catene del valore di business differenti. Ovviamente sarà necessario definire l’architettura dei rapporti tra la corporate e le varie sussidiarie (rete interna). In ciascuna di queste fasi, l'impresa matura un livello più avanzato di competenze utili per gestire le operazioni estere. Si ripropone sul piano internazionale la centralità dell’ «azione imprenditoriale» che alterna la stabilizzazione della struttura per far fronte ad un determinato contesto, all’azione di cambiamento della stessa per migliorare il rapporto con l’ambiente esterno. In ogni instante della sua storia l’impresa internazionalizzata si trova in una delle quattro fasi indicate; è però anche probabile che essa si collochi contemporaneamente in diversi stadi, a causa del verificarsi di due circostanze piuttosto frequenti. In primo luogo, se l’impresa è impegnata in settori differenti, è probabile che l'evoluzione internazionale che essa segue in ciascuno di questi stadi abbia ritmi temporali diversi. Ad esempio, l'azienda può essere impegnata nella razionalizzazione della propria posizione internazionale per quanto riguarda un certo business e in un'altra area di affari
  • 56. operare per assestare la posizione competitiva in un nuovo mercato geografico. In secondo luogo, poiché l'espansione internazionale procede naturalmente in maniera il incrementale, è probabile che mentre l'impresa è già impegnata nella razionalizzazione della complessiva posizione internazionale, si possa contemporaneamente trovare impegnata a gestire l' espansione in una nuova area geografica. È implicito che la natura e l'intensità dell'internazionalizzazione dell' azienda sono delineate dalle caratteristiche dello stadio più avanzato in cui questa si trova; tuttavia, il fatto di essere coinvolta in uno stesso momento in diversi stadi del processo, comporta che l’impresa debba affrontare in maniera simultanea problematiche differenti, valorizzando le competenze maturate da quelle unità del gruppo che sono più avanzate nel processo di evoluzione internazionale. Le quattro fasi in cui si articola il processo di internazionalizzazione mettono in evidenza come, contrariamente a quanto si tende comunemente a ritenere, la sua dinamica non consiste solo nella progressiva espansione della presenza operativa dell’impresa in nuove aree geografiche. L’espansione nel mercato estero in senso stretto descrive, infatti, semplicemente il primo stadio del processo d’ internazionalizzazione; questo prosegue però con attività che non necessariamente comportano l’ampliamento dell’ estensione geografica delle attività dell’azienda.
  • 57. Inoltre quale che sia la modalità operativa scelta per entrare nella nuova area (esportazione, JV, accordi e partnership, investimenti commerciali, IDE…), sicuramente l’internazionalizzazione conosce delle fasi specifiche (le 4 fasi), attraverso cui ogni impresa passa, onde accumulare le dovute conoscenze e competenze. 1.3.4 Le modalità di internazionalizzazione L’internazionalizzazione può essere suddivisa in attiva e passiva, ed è studiata sia a livello aggregato sia a livello di impresa. L’internazionalizzazione attiva a livello aggregato, riguarda le imprese di un determinato paese che decidono di entrare in aree geografiche estere, mentre l’internazionalizzazione passiva avviene ogni volta che uno stato diventa meta di investimenti esteri. Per quanto riguarda la singola impresa invece si parla di internazionalizzazione passiva quando sono operatori economici stranieri (tipicamente buyers, importatori, distributori...) che vengono a ricercare il suo prodotto che presenta condizioni a loro convenienti. Esiste anche la figura dell’esportatore, del paese di origine ma esterno all'azienda, che si assume il rischio di collocazione della merce sui mercati esteri. Questa forma dunque sarà utile per l'impresa qualora si verifichino dei surplus produttivi temporanei o nel caso in cui non abbia le risorse sufficienti per il processo attivo. Questa è infatti la tipica forma di internazionalizzazione delle PMI, che fino
  • 58. ad ora hanno guardato poco allo sbocco estero sia per la carenza di risorse che per la mancanza di un informazione adeguata e che solo negli ultimi anni si sono spinte oltre confine più per necessità che per altro. Si parlerà invece di internazionalizzazione attiva, quando l’impresa è in grado di stanziarsi all’estero almeno per quanto riguarda la fase distributiva della propria attività economica ed è promotrice dei propri prodotti. L’impresa può decidere di entrare nei mercati esteri secondo modalità differenti, scegliendo tra IDE, accordi o trasferimenti contrattuali di risorse (licensing, franchising, contratti di produzione e contratti di gestione, joint ventures19 ), esportazioni dirette o indirette. Le Nuove Forme di Internazionalizzazione (NFI) vengono definite, per la prima volta, da Oman C. come Nuove Forme di Investimento all'estero. Il termine "nuove" è in contrapposizione alla forma classica di esportazione e di investimento diretto estero (IDE). A partire dagli anni '80, si sono evoluti nuovi generi di collaborazione tra imprese che rappresentano sempre più il modo di "crescere" di un'impresa, attraverso la collaborazione esterna, piuttosto che la crescita interna. Le nuove forme organizzative sostituiscono la tradizionale dicotomia williamsoniana tra make(IDE) or buy(export). Il make together è oggi la nuova forma organizzativa industriale al tempo stesso più efficiente ed efficace per affrontare la crescente dinamica dei mercati. 19 Sono le cosiddette nuove forme di internazionalizzazione, fondate sul principio del partenariato, degli accordi commerciali e della collaborazione.
  • 59. Le modalità di internazionalizzazione possono essere classificate da un punto di vista giuridico a seconda che siano basate su equity agreement, che implica una partecipazione azionaria al capitale(pertecipazioni di minoranza, consorzi, joint venture), o accordi non equity, cioè che non comportano investimenti in quote azionarie di imprese ma comportano un accordo contrattuale tra imprese per lo svolgimento di attività in comune o per particolari forme di assistenza tecnico-produttiva (accordi commerciali e produttivi, acquisto/cessione di licenze, ecc.). La teoria economica classica statunitense degli anni ‘50-‘70, annoverava tra le forme di internazionalizzazione i processi di delocalizzazione della produzione, recentemente definiti di “rilocalizzazione o frammentazione internazionale della produzione” (Baldone, 2002; Jones e Kierskowski, 1997). In realtà la delocalizzazione internazionale può avvenire tramite processi di integrazione orizzontale e verticale. Nel primo caso, si tende a replicare in diversi contesti geografici la struttura produttiva della casa madre, attraverso investimenti diretti esteri (IDE), spesso avendo come principale finalità quella di guadagnare un migliore accesso ai mercati locali. Nel secondo caso, invece, il processo produttivo originariamente realizzato dalla casa madre viene frammentato e dislocato, mediante rapporti di subcontratto o di subfornitura (international subcontracting), in ambiti geografici separati, spesso perché essi offrono le migliori condizioni di costo per la loro realizzazione (Schiattarella, 1999; Viesti, 2002).
  • 60. Nella scelta della modalità di internazionalizzazione è necessario considerare vari fattori: a) i benefici attesi nel breve e nel lungo periodo b) i costi di attuazione e di gestione c) la tipologia delle attività svolte all'estero e il livello di controllo che si intende esercitare su di esse d) il livello desiderato di reversibilità delle scelte e) il livello di rischio prospettato dal paese ospite f) la capacità dell'impresa di sfruttare le proprie leve competitive (valorizzare i punti di forza e sopperire ai punti di debolezza) Figura 1.2. Modalità di internazionalizzazione e grado di controllo Gli accordi produttivi Sono molto utilizzati per delocalizzare produzioni ad elevata intensità di lavoro e tecnicamente semplici in paesi con costo del lavoro e/o delle materie prime significativamente inferiori: Si sviluppano secondo le seguenti tipologie: 1) Subfornitura e accordi in conto terzi
  • 61. Definizione UE: si ha quando un'impresa commissiona a un'altra impresa (subfornitore) la fornitura di merci o servizi che la prima utilizzerà per propri scopi commerciali, spesso, ma non sempre, incorporando questi prodotti o servizi in un bene complesso. Vi sono varie tipologie di accordi di subfornitura: Si possono delegare al partner estero solo le attività a maggiore intensità di lavoro (eventualmente anche semplicemente specifiche lavorazioni), con modesti trasferimenti di tecnologia) Si può trasferire al subfornitore la tecnologia, il know-how e tutto ciò che è necessario per la produzione (progetti, stampi, macchine, manuali, ecc.). Oppure la produzione può essere interamente delegata al subfornitore Il committente inoltre può appaltare la fornitura di beni o servizi che non intende o non è in grado di produrre in proprio e che devono essere incorporati in un bene complesso(spesso si tratta di componenti o sub-sistemi progettati in collaborazione). I vantaggi sono: a) Limitato impegno di risorse da parte del commitente b) Possibilità di ridurre i costi diretti di produzione c) Ideale per componenti o semilavorati standard quando non vi sono stringenti vincoli di tempo Gli svantaggi sono: a) Esposizione a possibili comportamenti opportunistici sui prezzi e sulle consegne da parte dei fornitori b) Non agevole controllo della qualità della produzione estera
  • 62. 2) Il Traffico di Perfezionamento Passivo (TPP) È uno speciale regime doganale di cui possono usufruire i paesi UE per decentrare fasi di lavorazione di un bene all'estero e reimportare il prodotto ottenuto senza pagare dazi (Reg. UE n. 2913/92), e prevede che il terzista lavori secondo standard produttivi determinati dal committente e su semilavorati e materie prime di proprietà del committente (il che fornisce al committente una garanzia di qualità sul prodotto), i dazi si pagano solo sul valore aggiunto prodotto all'estero (incluse spese di carico, trasporto e assicurazione) e non sull'intero valore del prodotto reimportato. Inoltre sono semplificate le procedure doganali (possibilità di viaggiare a carico sigillato) ma comunque richiede un’ autorizzazione preventiva. I settori maggiormente interessati sono: tessile-abbigliamento, calzature, meccanica, elettronica. I vantaggi sono: a) Possibilità di delocalizzare specifiche fasi produttive ad elevata intensità di lavoro b) Pagamento di dazi solo sul valore aggiunto all'estero c) Garanzia di qualità per l'utilizzo di materie prime del committente d) Semplificazione delle procedure doganali