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Professione Economica e Sistema Sociale
Press
luglio - agosto 2014 / no.68 ISSN 2039-540X
Sommario/luglio-agosto
Press
EDITORIALE
3 Maria Luisa Campise
L’INTERVENTO
4
6
8
Filippo Invitti
Leonardo M. Caputo
Michela Pertile
Tripoli: “Per le pmi il futuro si gioca sull’export”
- Pag. 10
Monti: “Le pmi verso la sfida dei mercati esteri”
- Pag. 18
D’Aiuto: “Pmi, avanti tutta”
- Pag. 24
Nicastro: “Con l’internazionalizzazione,
il Paese riparte”
- Pag. 34
DIAMO I NUMERI
64 Albo iscritti, migliora nel
2013 il tasso di crescita
PROFESSIONE
E TEMPO LIBERO
69 Letti per voi
PEOPLE
10
14
18
24
30
34
38
42
Giuseppe Tripoli
Sandro Pettinato
Riccardo M. Monti
Massimo D’Aiuto
Giovanni Castellaneta
Roberto Nicastro
Sergio Vicinanza
Fabrizio Togni
WCOA 2014
47 Ifac
Q
uesto numero di Press esce, per una felice coincidenza, all'indomani
dell'insediamento del nuovo Consiglio Nazionale. Finalmente, dopo un
percorso difficile e doloroso, ora la nostra Professione può contare su un
vertice legittimato dal risultato elettorale che potrà e dovrà affrontare,
immediatamente, i tanti problemi che quotidianamente sovraccaricano la nostra
attività.
Nelle more dell'alba tanto agognata, Press ha continuato a dedicare spazi ai temi
che interessano la Categoria.
L’Internazionalizzazione è il tema che affrontiamo in questo numero. Ci ritorniamo,
avendolo già fatto lo scorso mese di febbraio, per sentire, questa volta, la voce degli
attori, istituzionali e finanziari, che affiancano l’impresa
nel processo di apertura verso nuovi mercati, avendo nel
precedente numero sentito quella dei Commercialisti
che a vario titolo si occupano della materia.
Quando si internazionalizza diventa quanto mai
necessario avere a disposizione strumenti operativi e
amministrativi per poter meglio valutare i rischi o i limiti
dell’impresa stessa.
Certo, un dato che emerge inequivocabilmente dagli
interventi di rappresentanti istituzionali e non, che
ospitiamo in queste pagine, è che le pmi, oggi, hanno
significative chance per esportare i loro prodotti
all’estero. L’aspetto dimensionale dell’impresa non
costituisce più un limite. Quello che conta sono la competitività dei prodotti, l’azione
di marketing, il know how, gli investimenti; insieme ad una corretta e approfondita
informazione e formazione. E l’export italiano, che copre circa il 30% del pil (fonte
Confindustria), potrà nei prossimi anni rappresentare un volano decisivo per la
crescita delle nostre imprese che oggi riscontrano difficoltà ad operare nel mercato
interno e con sempre minore liquidità.
Essere internazionalizzati significa per l’impresa non solo vendere prodotti all’estero,
ma anche accompagnare la vendita interna con servizi e assistenza sempre più
qualificati.
Oggi le imprese si misurano con un mercato globalizzato caratterizzato da fenomeni
complessi. In questo contesto economico risulta essenziale per la sopravvivenza del
sistema imprenditoriale italiano che questi riveda le proprie strategie, non solo per
conservare competitività, ma per realizzare un’espansione sui mercati internazionali
non più rinviabile.
È evidente come anche per i commercialisti si apra una grande opportunità di
mercato, perché il loro ruolo, la loro esperienza, le loro conoscenze e la loro
versatilità sono componenti decisive per aiutare le aziende ad affrontare il mercato
internazionale.
Se non ora, quando?
Maria Luisa Campise
Direttore Press
I
l mondo cambia. Può sembrare
un luogo comune, una semplice
retorica, eppure in molti casi con
questa sintetica locuzione può
definirsi la condizione di
continuo e progressivo mutamento di
culture, condizioni sociali ed
economiche, pensieri ed abitudini che
caratterizzano l’universo in cui
viviamo. La specie umana si è evoluta
insieme all’ambiente che l’ha
circondata e nel tempo le stesse
persone si sono adoperate per
modificare l’habitat in cui si
trovavano, rendendolo in linea con le
prospettive di vita alle quali
riferivano.
La diversità di culture, un tempo
barriera insormontabile che divideva i
popoli, è oggi uno degli ingredienti più
importanti con i quali lo sviluppo della
società moderna deve fare i propri
conti. Termini come globalizzazione,
internazionalizzazione, nuovi mercati
sono entrati a far parte del lessico
quotidiano, “implicizzando” più o
meno consapevolmente la conoscenza
delle straordinarie diversità che
distinguono territori e popolazioni.
Il nostro “ bel Paese”, non certo a
torto considerato culla della civiltà, si
scopre così essere una delle tessere
del grande mosaico definito con la
parola mondo.
In questo enorme puzzle gli
italiani hanno due sole possibilità,
rimanere rappresentanti di un
soggetto unico che, anche se
bellissimo, è destinato a restare
inesorabilmente isolato oppure
scegliere di essere attori
coprotagonisti dello sviluppo
universale. Questa metafora
rappresenta anche la scelta
alternativa a cui si trovano di fronte
gli imprenditori del nostro Paese e
con loro la platea di professionisti che
li assistono.
Ancora oggi, forse per mancanza
di conoscenza o forse peggio per
pericolosa miopia, sia i primi che i
secondi non hanno saputo prendere la
decisione coraggiosa di varcare i
confini domestici e lanciarsi nella
grande avventura del confronto con
l’estero. Il rischio che corriamo con
questo atteggiamento è di restare
indietro rispetto all’evoluzione dei
mercati, divenendo sempre più il
pesce rosso che nuota nell’ampolla di
vetro.
L’idea di produrre beni a tutti i
costi nel nostro territorio è, per fare
un esempio, un’assurda ostinazione
figlia di retaggi ormai desueti e
indifferenti al trascorrere dei tempi.
Come è possibile immaginare di
competere sui mercati internazionali
realizzando dei prodotti, riproducibili
altrove a costi significativamente più
elevati rispetto a paesi dove la mano
d’opera è offerta a minor mercato?
Allora è fondamentale trovare
alternative al classico “made in Italy”
destinato ad essere riservato solo a
produzioni di eccellenza e magari
pensare all’idea del “made by Italy”
dove, grazie al know how ed alla
tecnologia italiana, si può
delocalizzare la realizzazione di beni
in luoghi diversi. Ecco allora che lo
sfruttare le sinergie offerte dalle
peculiarità presenti nei vari Stati, può
rappresentare il modo per guardare in
maniera più globale.
Altro aspetto sul quale le nostre
imprese devono assumere maggior
Professionisti
e nuovi mercati
Filippo Invitti Odcec di Roma, Presidente Associazione VICINA
4
Varcare i confini domestici e lanciarsi nella grande avventura
del confronto con i mercati all’estero è la vera sfida che attende
il commercialista del terzo millennio
5L’intervento
consapevolezza è dato dalla logica
“individuale” con cui si operano le
scelte di strategia di sviluppo.
Pensando di dover affrontare
ambiti nei quali le dimensioni e il
numero sono collocati su un
immaginario asse cartesiano in modo
da tendere verso sviluppi orizzontali e
verticali, è difficilmente immaginabile
che il nostro imprenditore possa, da
solo e con la propria “piccola”
impresa, affrontare efficacemente il
contesto internazionale; pensare
quindi di poter unire le forze, le
risorse e le competenze di tutti i
soggetti appartenenti ad aziende,
mondo professionale, istituzioni
pubbliche e private può costituire il
corretto modo di fare “ massa critica”
e affrontare le opportunità offerte
dall’internazionalizzazione.
Un’ultima considerazione si offre
ai professionisti ai quali è rivolto il
contenuto di questo numero della
rivista: superiamo il naturale
scetticismo con il quale guardiamo al
diverso modo di svolgere il nostro
lavoro e guardiamo al futuro con
maggiore coraggio e lungimiranza;
come osserva Napoleon Hill
“Non aspettare, non ci sarà il
momento giusto, comincia dove
sei con qualsiasi strumento tu
abbia a portata di mano,
lungo la strada ne troverai di
migliori”.
D
opo quello di febbraio
questo è il secondo
numero di PRESS che
quest’anno viene
dedicato interamente al
tema dell’internazionalizzazione,
grazie all’opera degli associati di
VICINA e della Commissione
Internazionalizzazione delle imprese
dell’ODCEC di Roma. Ringrazio Press
che ne ha dato l’opportunità.
Ciò è il segno evidente
dell’importanza dell’argomento e della
necessità di diffonderne la
conoscenza all’interno della Categoria
per far cogliere le connesse
opportunità di crescita professionale.
Mentre a febbraio abbiamo
presentato il progetto del Manuale del
neo professionista
dell’internazionalizzazione,
affrontando alcuni temi di carattere
professionale, con questo numero
abbiamo raccolto le interviste ai
vertici di alcune delle istituzioni che
hanno un ruolo nella promozione
dell’internazionalizzazione.
A tutti abbiamo chiesto un parere
su cosa ritengono che sia necessario
per far sì che le PMI si sviluppino sui
mercati esteri e su come i
Commercialisti possano essere parte
attiva in questo processo.
Noi riteniamo che ciò di cui c’è
più bisogno è la collaborazione tra
tutti i soggetti, pubblici e privati, che
hanno come missione quella di
sollecitare, sostenere, assistere ed
agevolare le imprese nella
realizzazione di progetti di
penetrazione nei mercati esteri come
unica opportunità di sviluppo, se non
di sopravvivenza.
Siamo convinti che i
Commercialisti devono stimolare le
piccole e medie imprese clienti a
svilupparsi con
l’internazionalizzazione, facendo leva
sulla naturale fiducia che hanno dagli
imprenditori.
Abbiamo la professionalità necessaria
per supportare le imprese nelle varie
fasi di questo processo, ma è
necessario implementare le
competenze per poter fronteggiare le
criticità che inevitabilmente
s’incontrano.
È inoltre essenziale acquisire la
consapevolezza di dover collaborare
con altri colleghi per poter affrontare
temi complessi come questo, entrando
a far parte di reti di professionisti con
i quali condividere informazioni,
relazioni e competenze.
Per poter rendere accessibile alle
imprese piccole e medie la possibilità
d’internazionalizzarsi, con la
consapevolezza di quanto ciò
rappresenti un’opportunità di sviluppo
unica per l’economia italiana, è
fondamentale l’integrazione tra le
attività di tutti gli operatori che se ne
Il ruolo dei
commercialisti per
l’internazionalizzazione
delle imprese
Leonardo Maria Caputo Odcec di Roma - Presidente della Commissione
Internazionalizzazione delle imprese dell’ODCEC di Roma, Segretario Generale Associazione VICINA
6
Occorre acquisire la consapevolezza di collaborare con altri colleghi,
entrando a far parte di reti di professionisti con i quali condividere
informazioni, relazioni e competenze
7L’intervento
occupano.
Per questo auspichiamo la
costituzione di un apposito gruppo di
lavoro con i rappresentanti del
Ministero dello Sviluppo Economico,
del Ministero degli Affari Esteri,
dell’ICE Agenzia, della Cassa Depositi
e Prestiti, della SIMEST, della SACE,
dell’UNIONCAMERE,
dell’ASSOCAMERESTERO, della
Camera di Commercio Internazionale,
dell’ABI, dell’Associazioni delle
imprese e del Consiglio Nazionale dei
dottori commercialisti ed esperti
contabili.
Con lo scopo di stimolare la
collaborazione e l’integrazione tra i
Colleghi rinnovo l’invito a partecipare
alla realizzazione del Manuale del neo
professionista dell’internazionalizza-
zione, inviando i vostri contributi sui
seguenti argomenti: strumenti
operativi per la pianificazione del
progetto e organizzazione dello studio
professionale.
Concludo con una perla di
saggezza che ritengo adatta ai
professionisti ed agli imprenditori
che sono ancora restii a guardare
oltre il proprio orizzonte: “Può darsi
che non siate responsabili per la
situazione in cui vi trovate, ma lo
diventerete se non fate nulla per
cambiarla”.
(Martin Luther King)
I
l percorso professionale
dell’internazionalizzazione delle
imprese è un percorso molto
stimolante anche se può non
sembrarlo ‘prima facie’.
La diffidenza di molti colleghi nasce
dal fatto che, almeno per i meno
giovani, non ci sono stati in passato
percorsi formativi al riguardo,
nell’ambito dei corsi universitari o di
specializzazioni.
Solo negli ultimi tempi, a livello
universitario, si parla di nuove figure
professionali e aziendali come quella
dell’Export manager, che riguarda il
tema dell’Internazionalizzazione, e si
stanno diffondendo da poco i primi
‘master’.
In questo campo, per noi
professionisti, ci sono diversi obiettivi
da raggiungere:
diventare buoni ‘advisor’, per le
nostre imprese clienti che vogliono
internazionalizzarsi, su quali sono
le opportunità da cogliere e su
come procedere;
conoscere e saper consigliare sui
migliori strumenti finanziari offerti
dalle istituzioni pubbliche e dagli
enti privati a tale supporto;
organizzare, internamente alle
società nostre clienti, la funzione
aziendale della ‘corporate credit
management’, affinchè si
costruisca un’efficiente gestione
dei rapporti commerciali con i
clienti esteri.
Il grande passo dell’internazionalizza-
zione oggi non si improvvisa, e
prevede studi di fattibilità che
riguardano sia le prospettive
commerciali che le verifiche sulle
norme estere di commerciabilità dei
prodotti: sono necessarie conoscenze
giuridiche, societarie e fiscali ancora
più approfondite se si intende
delocalizzare.
I colleghi che già si occupano di
consulenza nel campo
dell’internazionalizzazione delle
imprese, ne parlano come di una
specializzazione professionale a tutto
tondo, che richiede che i colleghi
interessati costruiscano delle
strutture organizzative che siano
esclusivamente impegnate sul tema
della crescita internazionale.
I colleghi che intenderanno occuparsi
di consulenza all’internazionalizzazio-
ne delle imprese non avranno molto
tempo a disposizione da dedicare ai
noti adempimenti contabili,
amministrativi e fiscali, sempre più
ricorrenti, senza l’ausilio di una
struttura organizzata che li supporti.
Come è già piuttosto evidente che
le imprese che si uniscono in reti,
consorzi, Ati e altre forme di
aggregazione, all’estero, abbiano più
probabilità di successo, questo varrà
anche per i professionisti che si
dovranno aggregare, per dedicarsi a
tale attività in maniera più focalizzata
e strutturata.
Non ha più senso agire in
solitudine, in migliaia di singoli piccoli
studi, senza creare delle forme di
aggregazione professionale che ci
permettano di specializzarci,
soprattutto in qualità.
L’Associazione Vicina
(www.associazionevicina.com) è
presente sulla scena da alcuni anni
proprio per agevolare sia la
formazione dei colleghi ai temi
dell’internazionalizzazione che per
favorire le aggregazioni fra
professionisti che sono attratti da
questa tematica.
Non è possibile presentarsi sullo
scenario internazionale con
improvvisazione e superficialità a
scapito delle nostre imprese clienti
Internazionalizzarsi,
come e da dove partire
Michela Pertile Odcec di Roma, Revisore Associazione Vicina, consigliere di Accademia Roma
8
Un passo che richiede studi di fattibilità, conoscenze giuridiche,
societarie e fiscali ancora più approfondite
9L’intervento
che hanno fiducia in noi.
Internazionalizzarsi, oggi più di
prima, è diventata una necessità nella
prolungata crisi economica e finanziaria
che attraversa il nostro Paese.
Molti operatori già presenti sul
mercato se ne sono resi conto; e
invadono il nostro campo.
Alludo ai vari istituti bancari, che
alla ricerca di nuovi profitti e per dare
una ricollocazione al personale
esuberante, si stanno organizzando
con nuovi uffici dedicati alla
consulenza alle imprese che
intendono internazionalizzarsi.
Forniscono supporto per la
selezione di nuovi ‘partners’,
consigliano su dove andare, come
farsi finanziare e garantire anche dalle
istituzioni pubbliche preposte, come
Sace e Simest.
E noi, vogliamo stare a guardare?
Auspichiamo quindi che il nuovo
Consiglio Nazionale dei dottori
commercialisti ed esperti contabili si
attivi al più presto, con tutti gli
strumenti a sua disposizione per
essere di supporto alla formazione dei
colleghi su questo tema, oramai
strategico!
Tripoli: “Per le pmi
il futuro si gioca
sull’export”
Secondo il DG per le politiche di internazionalizzazione
del MISE, occorre preparare le aziende a cogliere le chance
che gli accordi di libero scambio offrono al Made in Italy
A cura della Redazione
11People
Il limite dimensionale delle aziende potenzialmente
esportatrici italiane è superabile oppure no? Il Ministero ha
attuato delle politiche specifiche in questo senso?
Il sistema italiano è fra quelli di più piccola dimensione a
livello europeo, però è anche quello che ha una capacità
esportativa tra le più alte a livello europeo. Quindi, la
dimensione di per sé non è un vincolo negativo
all’esportazione.
Questo è sicuramente vero quando si tratta di mercati vicini;
le cose cambiano quando si tratta di mercati lontani o di
meno tradizionale nostra presenza.
E proprio su queste aree di mercato che il Governo ed il
Ministero stanno investendo con una pluralità di strumenti:
dal sostegno ad una maggiore patrimonializzazione delle
imprese, a quello alle forme di aggregazione (si pensi ad
esempio ai contratti di rete); per non parlare degli strumenti
di supporto alla presenza all’estero anche di piccole imprese,
come tutta la strumentazione pubblica messa in campo
dall’Agenzia ICE.
Poiché vi sono stime di ripresa economica per l’Eurozona e
gli Stati Uniti negli prossimi anni, secondo lei, tra le nostre
aziende chi spiccherà il volo verso l’estero?
Il volo verso l’estero lo possono spiccare - e lo stanno
spiccando - le aziende di tutti i settori, perché la domanda di
beni e prodotti italiani nel mercato mondiale sta crescendo
esponenzialmente. Mano a mano che alcuni paesi passano
dalla fase di primo sviluppo alla fase di sviluppo industriale
e mano a mano che altri paesi passano da una situazione di
povertà diffusa a una situazione di quasi benessere, si aprono
spazi enormi per i beni di consumo italiani. Pertanto, le
aziende che spiccheranno il volo sono quelle che saranno in
grado di intercettare questa domanda, le aziende di tutti i
settori purché si dotino delle capacità per farlo.
Magari capacità finanziarie?
Capacità finanziarie, capacità organizzative e manageriali,
capacità di collegamento con le reti e con i mercati esteri.
Quali sono le nuove politiche di sviluppo che il Ministero
intende avviare per dare impulso all’internazionalizzazione
delle imprese?
Sul tema dell’internazionalizzazione, l’obiettivo che il
Governo si è posto è quello di far crescere il volume
dell’export italiano, già notevolmente alto, ma che ancora ha
ampi margini di incremento. Dall’export deriva per noi il 30%
circa del Pil, mentre per la Germania questa percentuale sale
a quasi il 50%. L’Italia ha certamente le potenzialità e le
capacità se non di raggiungere, quanto meno di avvicinare la
quota di export sul Pil dei tedeschi, agendo sia in termini di
volume che di numero assoluto di aziende esportatrici.
Attualmente, sono circa 200-210mila le nostre aziende
esportatrici: alcune esportano in modo stabile, molte altre in
modo casuale.
C’è poi una fascia, che abbiamo stimato in circa 70mila
piccole aziende, che hanno le capacità e le caratteristiche
per passare da saltuariamente a stabilmente esportatrici o
addirittura da non esportatrici ad esportatrici: di queste,
pensiamo che almeno 20-25mila possano essere portate,
nell’arco di due o tre anni, ad essere presenti sul mercato
mondiale. Per molte di queste aziende, la domanda dei
mercati esteri è domanda di sopravvivenza, nel senso che
sostituisce una difficoltà di domanda interna molto evidente.
Questo è il primo obiettivo: far crescere il volume del nostro
export facendo crescere anche il numero delle aziende
esportatrici.
Il secondo obiettivo è quello di cogliere le opportunità, che
si creeranno nei prossimi mesi grazie agli accordi di libero
scambio che si stanno per concludere o che si sono appena
avviati, perché essi offrono grandi opportunità per molti
settori del nostro sistema produttivo. È necessario pertanto
preparare le aziende a cogliere le opportunità derivanti dagli
accordi, perché consentiranno di aprire possibilità a molti
settori del Made in Italy.
Terza linea strategica è quella legata all’irrobustimento delle
capacità delle piccole imprese di stare sul mercato,
attraverso risorse manageriali specifiche e specializzate.
Penso a strumenti quali il temporary export manager, che
permette a una piccola azienda di dotarsi temporaneamente
di competenze professionali in grado di entrare su mercati
“Il ruolo che i commercialisti
giocheranno
sarà fondamentale
nel futuro dell’export
delle nostre imprese”
People12
che prima non sono stati percorsi.
Quarto e ultimo punto: abbiamo verificato l’efficacia di
puntare sui grandi eventi che fanno l’immagine del Made in
Italy nel mondo.
Il Made in Italy è uno dei brand più noti al mondo; tuttavia,
perché resti tale, occorre investire, concentrando le risorse
promozionali su quegli eventi, “racconti” e canali di
promozione che abbiano un forte effetto moltiplicatore
sull’opinione di quegli 800 milioni di nuovi potenziali
consumatori che – secondo alcune stime - fra qualche anno
probabilmente consumeranno italiano.
Di questi quattro punti sinteticamente richiamati, sul terzo è
fondamentale, per esempio, la collaborazione con il sistema
delle professioni.
Quali sono i paesi considerati prioritari per l’export italiano?
Puntate più a consolidare la presenza sui mercati
tradizionali o alla penetrazione di aree e mercati non
attualmente presidiati?
Di recente abbiamo realizzato una ricerca con PROMETEIA,
in cui abbiamo individuato mercati maturi vicini (Europa e
Stati Uniti continuano ad essere importanti), mercati maturi
lontani, mercati emergenti o emersi come la Cina, per finire
con quei mercati di non tradizionale presidio ma che stanno
crescendo in modo esponenziale. Per restare ai temi di
attualità, ad esempio, alcuni mercati dell’Africa sub
sahariana, quali Angola e Mozambico, dove il trend di
crescita del Pil, e quindi anche della possibilità di presenza
delle nostre aziende e relativi prodotti, è esponenziale.
Ricordo che la definizione di quali Paesi siano prioritari è tra
i compiti principali della Cabina di Regia, che di anno in anno
indica una serie di Paesi con una forte domanda potenziale
di beni italiani, magari non già adeguatamente colta dalle
nostre aziende.
Ci sono poi aree in cui la nostra presenza è sottoposta alle
variabili sia economiche sia politiche; mi riferisco, per
esempio, ad alcuni paesi dell’area del Mediterraneo, come
Libia, Egitto, Siria, ecc., dove c’è un’evoluzione costante, per
non dire quotidiana, della situazione politica: aree dove la
presenza italiana c’è già, ma in cui investire, perché sia più
alta, non pare al momento opportuno.
ICE, SACE, SIMEST, Cassa Depositi e Prestiti, Camere di
Commercio sono i principali interlocutori pubblici per le
aziende che vogliono internazionalizzarsi. A che punto è lo
sforzo per meglio coordinare la loro azione?
La situazione è in evoluzione. Sull’ICE è in atto un processo
di riorganizzazione, cominciato con la sua ricostituzione
sottoforma di Agenzia: la riorganizzazione della rete estera,
quella interna alla ricerca di maggiori livelli di efficienza, una
rivisitazione dei servizi forniti, sono i driver di tale sforzo.
Cassa Depositi e Prestiti, SACE e SIMEST costituiscono il
polo finanziario del sostegno all’internazionalizzazione.
SACE e SIMEST stanno aggiornando il loro portafoglio
prodotti: hanno di solito operato con aziende di media-
grande dimensione (questo è più vero per SACE e un po’
meno per SIMEST).
Ma, come dicevamo, oggi la loro clientela sono anche
aziende di minor dimensione, quelle che si affacciano al
mercato internazionale per la prima volta e che hanno
bisogno di supporto. SACE e SIMEST stanno facendo
notevoli sforzi per arricchire l’offerta con prodotti più
adeguati alle pmi, sia in termini di costo che di facilità d’uso.
Non è per caso che come Ministero dello Sviluppo
Economico e Ministero degli Esteri, con ICE, SACE e
SIMEST, abbiamo organizzato dei road show, presenze sul
territorio che cercano di coinvolgere le aziende che non
esportano, proprio per presentare loro le possibilità e i
servizi che offrono queste strutture. I primi risultati sono
estremamente incoraggianti: nelle prime cinque tappe (ne
sono previste altre sei entro la fine dell’anno), abbiamo
registrato la partecipazione di oltre 2.000 imprese, con un
tasso di soddisfazione rispetto ai contenuti dei seminari - che
prevedevano anche una sezione di prima consulenza
personalizzata con esperti - di oltre il 95%.
Sul tema delle Camere di Commercio, come sappiamo, è in
corso un dibattito in Parlamento su come rivederne il ruolo
e le modalità di finanziamento. Vedremo cosa sarà deciso dal
Governo e dal Parlamento sul punto per capire che ruolo
potranno svolgere in tema di internazionalizzazione.
Come già accennavo, il maggior raccordo lo stiamo attuando
a livello strategico attraverso l’azione della Cabina di Regia;
a livello funzionale con un contatto più costante e funzionale
tra il Ministero dello Sviluppo Economico, il Ministero degli
Esteri e altri settori dell’amministrazione, per esempio il
Ministero delle Politiche Agricole per tutto il settore
dell’agroalimentare, del contrasto all’italian sounding, ecc.,
operativamente, con un raccordo sui servizi promozionali
che vede nell’Agenzia ICE il soggetto attuatore.
Merita poi sottolineare come anche le Regioni abbiamo
tenuto una serie di filoni aperti, primo fra tutti quello sulla
formazione per gli export manager, su cui puntiamo anche
sulla base delle positive esperienze avviate in alcune Regioni.
Sappiamo come sia vivo il dibattito anche sul ruolo degli enti
13People
regionali, sulle competenze che in questo momento hanno e
che si ipotizza di ridisegnare.
Spero senza tagliare troppe risorse, perché a forza di
tagliare...
Noi siamo distanti dalla quota che altri Paesi europei
destinano alla formazione sui mercati esteri. Facendo
crescere la quota di promozione pubblica e organizzandola
bene sui mercati esteri, ne avremmo sicuramente un
beneficio più alto, perché abbiamo aziende più piccole, ma
capaci di competere, con tecnologie e capacità di
adattamento notevoli. Però devono essere aiutate a
conoscere e ad entrare sui mercati esteri.
Credo che l’esigenza di una virata verso i mercati esteri sia
oramai ampiamente condivisa e questo comporta che a ciò si
debbano destinare risorse promozionali adeguate.
Scendendo nei numeri, le chiederei anche se a disposizione
del Ministero c’è un aumento delle risorse promozionali per
gli anni a venire nei vostri piani...
Nel corso di quest’anno stiamo impegnando circa 22 milioni
di risorse promozionali straordinarie che ci sono state
affidate dall’art. 5 del c.d. Decreto “Destinazione Italia”
(decreto legge 23 dicembre 2013, n. 145 convertito con
modificazioni dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9, pubblicato
in G.U. 21 febbraio 2014, n. 43).
Su quel che avverrà per il 2015 e gli anni a seguire, non posso
ora risponderle con una risposta precisa. C’è un’esigenza di
aumentare le risorse a disposizione della promozione per
portarle a livello medio. Occorre una grande sensibilità, che
trovo anche da parte del Ministro Guidi e del Viceministro
Calenda. Rispetto alle dichiarazioni rese sui quotidiani nelle
ultime settimane ci sono buone prospettive che il tema sia
affrontato positivamente.
Il Desk Italia, creato nel 2011, di fatto opera per questa
strategia?
Su Desk Italia il Governo dovrà prendere delle decisioni per
capire come meglio potenziare e organizzare la politica di
attrazione degli investimenti in Italia, sapendo che
l’attenzione degli investitori esteri, sia industriali che
finanziari, nei confronti delle aziende del nostro Paese è
cresciuta notevolmente negli ultimi mesi.
Occorre riorganizzare non solo una serie di aspetti
strutturali, quelli che rendono conveniente o meno investire
in un Paese (lì si tocca il tema del fisco, della giustizia, dei
tempi dell’amministrazione, tutte questioni che il programma
‘Destinazione Italia’ aveva sollevato); ma serve anche uno
‘sportello’ che accompagni chi è interessato a investire in
Italia nel percorso che intende fare. Quindi c’è un aspetto più
strutturale e un aspetto più organizzativo.
Quindi un miglioramento delle strategie, ma anche
dell’organizzazione complessiva del sistema.…
Sì, una focalizzazione delle strategie sull’estero, non perché
l’interno non sia importante, ma perché l’estero ci offre
opportunità che dobbiamo cogliere in tutti i campi, dal
campo degli investimenti al campo delle professionalità, dal
campo delle reti al tema degli scambi culturali.
L’internazionale è un campo molto vasto, l’estero
rappresenta una fetta importantissima.
E la categoria dei Commercialisti come la vede coinvolta
nelle attività di sviluppo dei progetti di internazionalizza-
zione delle imprese?
Uno dei tramiti perché il numero delle piccole imprese
cresca in modo considerevole è rappresentato dalla funzione
di consulenza che svolgono i professionisti.
L’impresa o il piccolo imprenditore vede molto spesso che
in Italia non ha più mercato o ha un mercato che cala e
vorrebbe andare all’estero, ma ha una doppia barriera
all’ingresso: quella informativa sui mercati e – quasi sempre
– quella formativa, sapere come e cosa fare.
Essere ancor più assistito da quello che è normalmente il suo
confidente, cioè il commercialista, ma penso anche agli
avvocati, ai notai, a coloro che si occupano dei temi
lavoristici, sarebbe fondamentale.
È il commercialista che può suggerire, guidare nel fare,
avendo una conoscenza di questi problemi tale da aiutare
l’imprenditore che, quando è piccolo, non ha né informazioni
né tempo sufficienti da dedicare.
Questo passaggio delle piccole imprese verso l’estero
vorremmo farlo coinvolgendo le reti dei professionisti e in
primis quella dei commercialisti.
Il ruolo che i commercialisti giocano è fondamentale nel
futuro dell’export di tutte le nostre imprese: penso anche alla
consulenza più raffinata, quando si tratta della
partecipazione alle grandi gare internazionali, o a come ci si
rapporta con i grandi clienti esteri.
Giuseppe Tripoli, Direttore generale per le Politiche di
Internazionalizzazione e la Promozione degli Scambi del Ministero dello
Sviluppo Economico
Pettinato: “Collaborare
per supportare”
Corretta informazione, ricerca di partner e formazione
adeguata rappresentano, per il Vice Segretario di
Unioncamere, i primi fondamentali passaggi per aiutare le
imprese italiane a rivolgersi versi i mercati esteri
A cura della Redazione
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Il limite dimensionale delle aziende potenzialmente
esportatrici italiane, secondo lei, è superabile oppure no?
Ha una ricetta da proporci?
Secondo noi, il fatto che le aziende siano piccole non è un
limite; anzi, può rappresentare un’occasione di flessibilità e
di maggiore duttilità dell’impresa per affacciarsi sui mercati
internazionali. È chiaro che la struttura dimensionale
dell’azienda, piuttosto che il patrimonio o il capitale, può
essere in qualche maniera vincolante, ma di certo non è un
elemento ostativo.
Il punto focale è la voglia dell’imprenditore e le condizioni
che pongono i mercati per andare verso i mercati
internazionali. Il primo passaggio è una corretta informazione
all’imprenditore per poter accedere ai giusti mercati e non
sbagliare obiettivo; il secondo aspetto è legato a una ricerca
dei partner di quel paese, che siano utili agli obiettivi che
l’impresa vuole intraprendere (penso, ad esempio, agli
accordi di distribuzione o a joint venture piuttosto che
accordi unicamente commerciali); il terzo aspetto è una
formazione adeguata che l’impresa, piccola o grande che sia,
deve avere all’interno per poter accedere ai mercati esteri.
Poiché vi sono stime di ripresa economica sia per l’Eurozona
che per gli Stati Uniti nei prossimi anni, tra le nostre aziende
chi spiccherà il volo verso l’estero?
Distinguiamo i due aspetti: l’Eurozona è già un mercato
molto importante per i nostri imprenditori e circa i due terzi
delle nostre aziende vendono in primo luogo in Europa; forse
il ragionamento va fatto sui nuovi Paesi europei, quelli
dell’area balcanica e sui nuovi ingressi in cui la domanda
Italia è ancora bassa. Sull’aspetto dei mercati americani,
moltissimo potrà fare il TTIP, vale a dire l’accordo di libero
scambio con i mercati americani che non è ancora in
dirittura d’arrivo, ma che potrà dare novità e nuovi sbocchi
per tutelare le nostre aziende ai temi legati, per esempio, al
falso piuttosto che quello che si chiama l’italian sounding.
Se la cosa andrà in porto, tra i Paesi europei l’Italia sarà
sicuramente uno dei primi a beneficiarne.
Nonostante le aspettative, le stime di debole produttività
per il sistema paese Italia al suo interno nei prossimi anni
esistono e quindi che riflessi avranno sulle aziende
esportatrici? Come superare questi aspetti negativi?
Sicuramente la crescita non è elevatissima perché le stime
sono abbastanza modeste, però distinguerei. Se guardiamo ai
dati delle imprese che esportano, queste 210mila aziende, o
meglio, le 11.200 che in maniera costante e prevalente
esportano, salvano il Pil di questo Paese, che altrimenti
sarebbe a cifre decisamente negative. Se guardiamo a quanto
le imprese che esportano contribuiscono al Pil, il dato è
molto confortante nonostante gli ultimi mesi non siano
esaltanti. Quindi dobbiamo dire un grazie alle imprese che
vanno all’estero, grazie a chi scommette sull’estero, grazie a
chi supporta le aziende all’estero; penso ovviamente agli
organismi statali come il Ministero dello Sviluppo
Economico, all’ICE, ma penso anche alle reti sul territorio
come le Camere di Commercio, a tutto il mondo associativo
che supporta, assieme alle Regioni, lo strumento
dell’internazionalizzazione.
Quali sono i paesi esteri più attraenti per le PMI italiane, se
è possibile fare una specie di classifica oppure dipende da
altri fattori?
Non ci sono paesi più interessanti di altri se non per il tipo di
produzione. Ad esempio: se parliamo dell’agroalimentare,
dell’arredamento, delle firme legate alla moda, se parliamo
dell’auto-motive, i paesi più industrializzati in cui il consumo
del Made in Italy è più forte (e cioè dove c’è anche una
domanda di lusso) sono quelli più interessanti. Pertanto,
oltre l’Europa, direi sicuramente i mercati asiatici dove la
ricchezza è in forte aumento. Un caso tra tutti è quello
dell’India, dell’Indonesia, piuttosto che del Giappone stesso.
Se guardiamo a settori, invece, in cui il nostro Made in Italy
è forte come la meccanica piuttosto che l’edilizia, al
risparmio energetico, ai temi legati alla farmaceutica, i
mercati sono molto più ampi e diversi.
Non c’è un paese su cui puntare, ma una gamma di paesi in
“I professionisti hanno
un compito importante,
quello di essere
un complemento
al settore pubblico”
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funzione della produzione del settore. Naturalmente i paesi
a maggior crescita sono i più interessanti, ma anche aree
come i paesi arabi, in cui assieme all’Europa abbiamo più di
un miliardo di consumatori, possono rappresentare un
valore importantissimo per il nostro Paese.
Quali sono gli errori più comuni che commettono le imprese
neofite che intraprendono un progetto di internazionaliz-
zazione?
Quello di far da soli è sicuramente un errore gravissimo,
spesso dovuto alla sfiducia anche nel pubblico, ma è un
errore che si può sanare facilmente. Altro errore è quello di
non individuare il mercato corretto perché dà luogo a
investimenti sbagliati. Ed ancora, un errore è quello di volere
a tutti i costi imitare il concorrente, al quale si guarda perché
ha fatto fortuna in un certo mercato e magari quello è l’unico
obiettivo che si ha in testa. Infine, quello di non investire, con
un minimo di risorse economiche e con un programma a
medio termine e non a brevissimo sull’estero, rappresenta
un altro limite importante delle nostre aziende.
ICE, SACE, SIMEST, Cassa Depositi e Prestiti, Camere di
Commercio sono i principali interlocutori pubblici per le
aziende che vogliono internazionalizzarsi. Nel 2011 è stato
creato un Desk Italia presso il MISE per migliorare il
coordinamento di queste istituzioni.
L’obiettivo richiesto dagli operatori è quello di un unico
soggetto, con il quale l’azienda possa interfacciarsi.
Secondo lei, è possibile?
L’obiettivo di un unico soggetto richiesto dagli operatori è
corretto, perché un’impresa vuole avere un riferimento, vuole
avere la concentrazione dei dati su un portale, comunque un
elemento unitario. Quello che è sbagliato è pensare di poter
bypassare i soggetti sul territorio. Un esempio: il ruolo che
oggi svolgono le associazioni di categoria, le Camere di
Commercio presenti negli 8.000 Comuni, sui territori, sulle
filiere, sui distretti, e voler fare una politica di coordinamento
solo da Roma è un errore. Certamente la Cabina di Regia,
l’elemento che raggruppa tutte le strutture pubbliche e
associative che operano con l’estero, è un punto di
coordinamento importante. Lì devono arrivare le istanze delle
imprese, cioè quali sono i mercati, i settori e le strategie più
importanti, ma devono anche essere poi convogliate le
risorse, gli strumenti e le strategie sui territori.
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Se manca un soggetto intermedio che sappia raccogliere la
domanda dell’impresa, riportarla al centro e poi ridestinarla
al territorio, rischiamo di avere un interlocutore un po’
ballerino.
Quali sono stati nel 2013 o nell’ultimo quinquennio i numeri
o l’andamento relativi alle aziende che avete assistito?
Nel 2013 le Camere di Commercio hanno portato all’estero
più di 9mila aziende e pensiamo che il dato del 2014 sia
ugualmente interessante. Parliamo di numeri che
sembrerebbero relativi, ma se guardiamo a quante sono le
aziende che oggi esportano, vale a dire circa 11mila aziende
su un numero di aziende che generalmente va intorno ai
200mila, sono numeri significativamente importanti.
Fra i vostri prodotti e servizi, quali sono quelli più collaudati
e di successo? Quanto tempo è necessario per poterne
usufruire?
Un servizio fondamentale è rappresentato dall’informazione;
insieme all’ICE, alle categorie, alla SIMEST, al Ministero
dello Sviluppo Economico abbiamo messo a punto un
portale, worldpass.camcom.it, in cui abbiamo concentrato
tutte le informazioni per andare sui mercati internazionali.
Per esempio: cosa serve per esportare merci in un certo
paese, quali certificati occorrono, quali sono le strutture di
assistenza, le domande più ricorrenti che riguardano
l’export. In questo portale troviamo tutte le informazioni
pratiche di cui l’azienda può aver bisogno.
In secondo luogo, la formazione: le Camere di Commercio
svolgono un lavoro di formazione puntuale sulle imprese
spiegando all’imprenditore cosa fare e cosa non fare per
formare il proprio personale quando decide di andare
all’estero.
Ed ancora, le certificazioni necessarie per andare in un certo
paese: le Camere di Commercio, su richiesta dei paesi
stranieri, emettono certificati d’origine necessari per
esportare.
Infine, la regia con il territorio: le Camere di commercio sono
il luogo di sintesi con le categorie e con le Regioni per
spendere al meglio le risorse che i territori hanno, sempre di
meno, a disposizione.
Qual è la percentuale di pratiche che si fermano o che non
vanno a buon fine? Avete un indicatore, un misuratore del
successo delle vostre iniziative?
Possiamo dire che sui temi dei mercati internazionali
l’investimento è molto elevato e i numeri sono abbastanza
confortanti. Ovviamente non tutte le attività che vengono
poste in essere (pensiamo a una missione all’estero, a un
incoming, alla formazione alle imprese) portano al 100% dei
risultati. Tuttavia, le fornisco un esempio: abbiamo realizzato
con il Ministero dello Sviluppo Economico una campagna,
un road show, per promuovere la presenza di nuove imprese
all’estero; partecipano agli incontri circa 400/500 aziende,
che vengono successivamente seguite e con margini di
risultato molto alti. Questi dati sono confortanti, perché in
questo momento fare un incontro per chiamare le imprese a
conoscere le opportunità è molto difficile.
Quali sono i vostri rapporti con gli analoghi organismi
all’estero?
Direi molto buoni e principalmente con le ambasciate, le reti
diplomatiche consolari, con gli uffici dell’ICE e naturalmente
con le Camere italiane all’estero, che sono il nostro presidio
sul territorio. Questi tre soggetti, in moltissimi paesi,
collaborano fattivamente; è chiaro che sta alle persone
l’impegno di trovare le formule migliori per fare sinergie,
però in questo momento c’è una larga collaborazione.
L’obiettivo è l’impresa e l’imprenditore, l’obiettivo è fargli
conoscere al meglio i mercati e dargli concretamente
l’opportunità per lavorare sui mercati esteri. Questa
collaborazione sta funzionando grazie al buonsenso di tutti,
pubblico e privato.
In che modo la categoria dei Commercialisti può aiutarvi nel
vostro ruolo?
A nostro parere, i professionisti hanno un compito
importante, quello di essere un complemento al settore
pubblico. L’esperienza della professione, come quella dei
commercialisti o anche, per esempio, quella degli architetti,
piuttosto che degli avvocati o delle reti bancarie, è
fondamentale perché hanno una rete all’estero fatta di tanti
punti di assistenza alle imprese. Rispetto a noi, che stiamo
qui in Italia, loro conoscono meglio le caratteristiche di
quelle realtà, le regole, la fiscalità, le opportunità, gli
operatori e pertanto hanno una conoscenza importante del
mercato. Fare a meno di reti come i professionisti, quali i
commercialisti, sarebbe un errore gravissimo. Vogliamo
cercare di sfruttarle al massimo, a partire dall’Italia, ma
andando anche su quei mercati in cui sono presenti le reti
dei professionisti.
Sandro Pettinato, Vice Segretario generale UNIONCAMERE
Monti: “Le pmi
verso la sfida
dei mercati esteri”
Secondo il presidente dell’ICE saranno le piccole e medie
imprese, che hanno già fatto un’esperienza di export,
a dominare i mercati internazionali nei prossimi anni e l’ICE
sarà al loro fianco...
A cura della Redazione
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Il limite dimensionale delle aziende potenzialmente
esportatrici italiane è superabile oppure no? Ha una ricetta
da proporci?
Il limite dimensionale è superabile e di strumenti ne abbiamo
tanti, oltre all’ormai storico e consolidato consorzio
all’esportazione; i contatti di rete si stanno diffondendo
rivelandosi uno strumento potente. In questi due anni, che
ho svolto questo lavoro, ho incontrato aziende molto piccole,
addirittura aziende artigiane che esportano una quota
rilevante del proprio fatturato. Pertanto, devo dire che
mentre a livello statistico aggregato la dimensione ha
oggettivamente un limite, aneddoticamente troviamo
tantissimi operatori, anche molto piccoli, che esportano;
trovo aziende di 500, 600, 700 milioni di fatturato che
esportano il 50, il 60, il 70% del fatturato. C’è un know-how e
una specifica capacità di esportare che dipende molto dal
settore merceologico e dalla capacità dell’imprenditore e
non è ostacolata in maniera assoluta dalla dimensione.
Poiché vi sono stime di ripresa economica per l’Eurozona e
gli Stati Uniti nei prossimi anni, secondo lei tra le nostre
aziende chi spiccherà il volo verso l’estero?
Stiamo osservando un’accelerazione del commercio. L’inizio
dell’anno è cominciato lentamente, anche perché abbiamo
pagato un euro molto forte, si sono stabilizzati i cambi, l’euro
ha perso un po’ di terreno sul dollaro… Sui dati aggregati
siamo molto ottimisti.
Chi spiccherà il volo? Certamente una delle aree su cui
riusciamo a lavorare meglio, come Italia e come
organizzazione di supporto all’export, sono le piccole e
medie aziende esportatrici che hanno già fatto un’esperienza
di export. Noi le aiutiamo a passare ad esportare da due a
dieci paesi o ad esportare da cinque a dieci paesi o ad
aumentare i volumi nei paesi dove già esportano. Questa è
un’area su cui abbiamo una particolare capacità ed efficacia.
È possibile definire quali sono i paesi esteri più attraenti per
le piccole e medie imprese italiane oppure non è possibile
dare consigli di questo tipo?
I mercati attraenti lo sono in maniera diversa, a seconda se
l’export cresce. Osservando lo scenario internazionale
vediamo una buona ripresa della domanda Made in Italy in
Germania e Inghilterra; in Germania perché non soffre
dell’euro forte e l’Inghilterra perché ha avuto un ulteriore
rafforzamento della valuta. Il mercato americano tira
tantissimo e ci sono migliaia di aziende, anche molto piccole,
che ci esportano. Oggettivamente, per le piccole e medie
imprese il fattore di prossimità è importante perché servire
efficacemente, per esempio, l’Asia impone un livello di
organizzazione e di supporto finanziario significativo. È ovvio
che la prossimità nell’esportazione è un fattore decisivo.
Tanto per fare un esempio: l’Italia esporta in Slovenia il 30%
più dell’India, la Slovenia ha 2,5 milioni di abitanti e l’India
1,3 miliardi.
Nei mercati di prossimità la nuova Europa, quindi est
Europa, Polonia, Russia, Turchia e il nord Africa sono delle
aree su cui abbiamo tante piccole e medie aziende che
riescono piuttosto bene.
Quali sono gli errori più comuni che commettono le imprese
neofite che intraprendono un processo di internazionalizza-
zione?
Il primo errore è associare il concetto “se in un mercato c’è
“La figura del professionista
è molto utile perché
è in grado di fare un primo
livello di filtro, avendo
la sensibilità di capire
se c’è il prerequisito minimo
per fare impresa
all’estero...”
People20
la crescita, c’è spazio per me”: in realtà questa equazione non
funziona. Il fatto che certi mercati crescono non implica
assolutamente spazio per ogni mercato. Si sottovaluta il fatto
che dovunque si vada ci sia già qualche produttore, anche
del proprio prodotto, anche già italiano. Mi è capitato di
sentire, da parte di produttori eccellenti che “la domanda di
olio cresce”, però poi rimangono molto sorpresi, se non
addirittura sconvolti, quando vengono a sapere che ci sono
già quattro o cinquemila esportatori italiani in quel paese,
magari con un prodotto molto simile. Il primo errore, quindi,
è la sottovalutazione della difficoltà.
Il secondo, collegato al primo ma non bi-univocamente, è la
carenza di preparazione. Preparazione significa studiare la
regolamentazione, verificare i vincoli di tipo doganale,
regolatorio, etichettature, documentazione a supporto.
Il terzo errore è la scarsa attenzione/selettività nella
selezione del partner: l’esportatore, l’importatore, il partner
distributivo che si va a cercare.
Questo però è fondamentale, ...
Diciamo che uno dei nostri principali focus delle aree di
obiettivo è quello che noi chiamiamo il be-to-be e il
matching: trovare per ogni operatore italiano, che chiede il
nostro supporto, l’interlocutore giusto. Questo implica una
forte professionalità nel settore e una grande conoscenza dei
mercati, che la nostra rete è in grado di assicurare.
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ICE, SACE, SIMEST e Cassa Depositi e Prestiti, Camere di
Commercio sono i principali interlocutori pubblici per le
aziende che vogliono internazionalizzarsi. Nel 2011 è stato
creato un Desk Italia presso il MISE per migliorare il
coordinamento di queste istituzioni. L’obiettivo richiesto
dagli operatori è però quello di un unico soggetto con il
quale l’azienda possa interfacciars. Secondo lei, è possibile?
L’ICE è nata con un riassetto complessivo, iniziato dal
Governo Monti, nel sistema di supporto all’internazionaliz-
zazione. L’elemento centrale più votale è quello che si chiama
Cabina di Regia in cui tutti i soggetti, Ministeri, associazioni
di categoria, Confindustria, ABI, con interesse e propensione
ad andare all’estero, mettevano in linea le priorità e
mettevano a fattor comune le risorse. Sono avvenuti già
grandi progressi: innanzitutto si è creato un polo di finanza
per l’export dove c’è SIMEST, SACE e CDP (oggi sono parte
di un unico gruppo), con specializzazioni diverse. Queste
specializzazioni sono comuni a tutti i paesi del mondo, cioè
tutti hanno un’ECA, hanno Finanziarie di sviluppo come la
SIMEST e hanno una Trade Promotion Agency. Pertanto,
non è una frammentazione italiana, era un errore italiano
farle andare in maniera scoordinata e centrifuga, ma il fatto
che ci sia una specializzazione è naturale e l’Italia è avanti
ad altri avendo creato questo polo dentro la Cassa Depositi
e Prestiti.
Dal punto di vista del lavoro sull’estero, il sistema camerale
usa sempre più la rete ICE come proprio veicolo di funzione
all’estero e le Camere di Commercio italiane all’estero, che
sono la community degli imprenditori e dei manager
residenti e lavora in maniera sempre più sinergica. Tanto per
dare un’idea: alla rete ICE all’estero ho dato personalmente
un obiettivo tra gli obiettivi, a cui è associato un bonus
finanziario: realizzare progetti condivisi con il sistema
camerale. Questo è un fatto assolutamente nuovo perché era
un sistema che si percepiva come concorrenza diretta.
Attualmente stiamo lavorando con il Ministero degli Esteri
per eliminare le ultime residue aree di frizione tra i vari pezzi
del sistema.
Per noi operatori, tuttavia, sarebbe ideale avere un unico
desk sul computer e non andare su dieci siti…
Sulla parte proporzionale esiste già, perché abbiamo
collegato i meccanismi di alimentazione del sito dell’ICE con
quello degli Esteri, per cui il calendario in sede proporzionale
è condiviso con il sistema camerale, con ICE e con gli Esteri.
Per la parte di promozione all’estero e per quanto riguarda i
supporti finanziari operativi abbiamo fatto un road-show
nazionale, che ha fatto già sei o sette tappe, coinvolgendo da
300 a 500 aziende con dei one-to-one tutorial in cui si spiegava
esattamente chi faceva cosa. E riguardo alla unicità degli
interlocutori possiamo dire che c’è un unico polo della finanza
per l’export e un unico ecosistema proporzionale, per cui se si
entra nel sistema ICE Camere all’estero e nel sistema Cassa
SIMEST si troveranno degli interlocutori molto coordinati e
allineati, insieme a delle informazioni puntuali e aggiornate,
anche a livello informatico.
Quali sono stati nel 2013 i numeri relativi alle aziende che
avete assistito?
Noi assistiamo un numero molto importante di aziende. Il tipo
di assistenza è diversificato: per un lavoro ad hoc fatturato;
per iniziative fieristiche; ecc.. Inoltre, abbiamo ogni giorno
centinaia di contatti di assistenza, che, in molti casi, si
riducono a un primo livello informativo telefonico o email.
Devo dire che, in questo anno, la mia stima ragionata è che
assisteremo circa 50mila aziende come supporto informativo
di base e come orientamento.
Da tenere presente che, delle 200mila che esportano, molte
sono trading companies e quindi le vere industriali che
esportano sono intorno a 100mila. Stiamo per lanciare l’anno
prossimo un progetto strategico, denominato Database degli
esportatori, per mappare in maniera puntuale chi ha
esportato, dove e per poter fare iniziative proattive.
Fra i vostri prodotti e servizi, quali sono quelli più collaudati
e di successo? Quanto tempo è necessario mediamente per
poterne usufruire?
Abbiamo capitoli di servizi molto diversi tra di loro. Quello
tradizionale è la grande fiera, in cui organizziamo uno stand
collettivo, aiutiamo gli imprenditori a partecipare a questo stand
e poi realizziamo anche un lavoro di be-to-be. Chi partecipa con
noi, quindi, a una grande fiera ci chiede successivamente di
organizzare degli incontri mirati con i buyer.
Un secondo filone di servizi sono gli incoming, che
rappresenta uno strumento molto efficace: invece di andare
noi lì, facciamo venire i buyer o gli opinion leader nei nostri
territori, nelle aziende. È uno strumento potente, che ha il
vantaggio di costare poco e di essere molto efficace se fatto
bene, altrimenti rischierebbe di essere uno spreco di denaro
pubblico se non si seleziona bene.
Molto spesso l’incoming, organizzato a livello locale
(Regione o Camera di Commercio locale), senza il supporto
dell’ICE rischia di essere la classica attività che alimenta un
ecosistema professionale locale, ma che non genera
People22
l’impatto di secondo grado che ci interessa. L’incoming
comporta un po’ di ospitalità - l’albergo, il ristorante -, ma se
è fatto bene porta ricchezza e occupazione con gli ordini che
ne seguono.
Diciamo che da oggi a tre anni riuscirete ad avere gli
indicatori se...
No, se l’incoming è fatto bene ce ne accorgiamo subito.
Abbiamo realizzato in queste settimane degli incoming dal
Tarì di Marcianise a varie filiere agroalimentari e i buyer, 50,
60, 70, 80 buyer, i più assoluti, e quindi il ritorno lo si ha
subito, non bisogna aspettare un anno. Viceversa, su iniziative
di più ampio respiro, quello che stiamo facendo in paesi
emergenti ancora lontani dallo sviluppo, è chiaro che si mette
un seme nel terreno e poi si vedrà nel tempo l’evoluzione.
Un terzo filone di attività è il lavoro con la grande
distribuzione del prodotto italiano, quindi la promozione,
cofinanziata dallo Stato italiano. Questo significa selezionare
nuovi operatori: andiamo dal grande distributore e gli
diciamo che il Governo italiano vuole investire uno/due
milioni per la promozione dell’Italia, in cambio chiediamo lo
spazio proporzionale in store, con le migliori vetrine e
location. Alla fine dell’operazione consuntiviamo quanto è
venuto in più e diamo i soldi al distributore. Questo è un
modello molto moderno e funzionale, già sperimentato con
successo in Germania...
Quindi vi assumete il rischio dell’iniziativa?
No, lo condividiamo con l’interlocutore, gli diamo un
incentivo proporzionale al delta venduto.
Un quarto filone di assistenza è il be-to-be, quindi la ricerca
del partner. Partner vuol dire o un importatore o un partner
distributivo, spesso anche un investitore, perché l’esperienza
dimostra che chi investe in aziende industriali italiane è quasi
sempre un soggetto che aveva già un’interazione con il
prodotto italiano come partner distributivo o come partner
di una joint venture o semplicemente come importatore.
Qual è la percentuale di pratiche che si fermano e/o che non
vanno a buon fine?
Non dobbiamo ragionare in termini di pratiche che vanno a
buon fine, dobbiamo ragionare in termini di un grande know-
how da mettere a disposizione di un numero enorme di
aziende italiane, facendo loro concentrare e focalizzare gli
sforzi e poi, una volta fatto questo filtro, lì dobbiamo
misurare il tasso di successo.
In questo momento abbiamo un tasso di soddisfazione, di
coloro che utilizzano i nostri servizi, superiore al 90%.
Abbiamo fatto un enorme sforzo e gli uffici sono valutati
sulla soddisfazione del cliente, non solo misurata come
schede servizio che facciamo durante le iniziative
promozionali, fiere, eccetera, ma anche con un controllo a
campione da parte di una società di ricerche di mercato
indipendente.
E in che modo la categoria dei Commercialisti può stringere
alleanze con voi o aiutarvi ed esservi di supporto?
I professionisti hanno un ruolo decisivo. Uno dei nostri
problemi è filtrare richieste velleitarie o poco mirate. Per noi
è molto utile la figura del professionista perché è in grado di
fare un primo livello di filtro, avendo il professionista la
sensibilità, conoscendo tante aziende, di capire se c’è il
prerequisito minimo per fare impresa all’estero.
Una seconda cosa su cui mi aspetto molto dall’ecosistema
professionale è la seguente: la principale debolezza oggi del
sistema italiano sull’export è la difficoltà di avere accesso al
credito all’esportazione; il sistema professionale, specialmente
i commercialisti, lavorando per definizione sulla parte
amministrativa e finanziaria delle aziende, possono essere
interlocutori fondamentali per aiutare le aziende a trovare il
migliore supporto finanziario dalla banca, dal sistema SACE e
CDP con l’Export Creating Finance, in modo tale che non si
impalli proprio sull’elemento finanziario che rappresenta
l’anello debole.
Pertanto, il commercialista, che è un professionista molto
versatile in grado di capire gli elementi finanziari e
organizzativi, rappresenta per noi un filtro prezioso.
Mi aspetto molto dal sistema professionale e stiamo facendo
accordi con associazioni di professionisti, società di
consulenza, banche di affari, avvocati e quindi mi aspetto
molto proprio dal sistema commercialisti.
Sono straconvinto che vedremo sempre più il
commercialista sensibile alle opportunità di un’azienda di
esportare per crescere e anche la sensibilità di capire che ci
sono dei professionisti di supporto all’export che si
chiamano Agenzie ICE che sono lì, pagate dal contribuente,
per aiutare le aziende italiane.
Riccardo Maria Monti, Presidente ICE
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Profilo ICE
Un nuovo brand, una nuova organizzazione, una rete estera ridisegnata, nuovi servizi.
Se dovessimo fare un’estrema sintesi dell’universo dell’Ice agenzia, potremmo dire che è un ente che aiuta le aziende
italiane ad entrare nei mercati mondiali più dinamici, favorendo i contatti con gli interlocutori giusti.
In realtà, l’attività dell’istituto è molto articolata, e mira a seguire l’intera filiera commerciale del prodotto,
veicolandolo dall’azienda madre al mercato di destinazione.
Attraverso quattro macro aree di attività (informazione, assistenza, consulenza, promozione e formazione), l’ICE
agenzia affianca le imprese italiane che vogliono internazionalizzarsi, per competere in modo efficiente nel mercato
mondiale. Al tempo stesso, incoraggia le imprese estere a considerare il nostro paese un partner affidabile.
Gli uffici aiutano le aziende non ancora o non sufficientemente proiettate all’estero ad entrare nei mercati più
dinamici indicando loro i giusti interlocutori, con l’attenzione massima alla customer satisfaction.
L’auspicio di ICE è che esse possano trovare i servizi più vicini alle loro esigenze. I segnali a riguardo sono positivi
e di rinnovata fiducia.
Il nuovo corso dell’ICE è testimoniato da un rinnovato piano d’azione, che mira a rendere il made in Italy più forte
che mai. A tal fine, il Governo per il 2014 ha raddoppiato i fondi promozionali – in circa 78 milioni complessivi- per
il raggiungimento di questo obiettivo e ha incaricato l’agenzia di gestire la rinascita commerciale delle aziende delle
Regioni del Sud d’Italia. Il piano Export Sud, infatti, vuole valorizzare le numerose eccellenze meridionali, al fine di
trasformarle in imprese export oriented.
Sono numerose, infatti, le PM imprese che non riescono a decollare: il compito di ICE è di affiancarle nel viaggio e
di ancorarle all’export.
Il raddoppio dei fondi promozionali darà ulteriore slancio alle attività di ICE: nell’anno in corso coinvolgerà 60 paesi
(+50%), presidiando 90 settori (+80%) in quasi 900 iniziative (+200%) rispetto al 2013.
Per i prossimi mesi, ICE conta di portare stabilmente all’estero più di 20.000 nuove aziende.
L’agenzia potrà contribuire a raggiungere l’obiettivo prefissato dal Paese Italia di 600 miliardi di euro di export
italiano nel 2017.
Per raggiungere obiettivi così importanti, ambiziosi ma perseguibili, si necessita di una forte cooperazione a livello
istituzionale: sinergia, infatti, è la nuova parola chiave nel modello della c.d. Cabina di Regia per l’Italia internazionale,
l’organo istituito dal Governo in cui convergono tutti gli attori pubblici e privati nazionali con proiezione estera
delle loro attività.
Le imprese esportatrici italiane proseguono infatti nel loro processo di diversificazione dei mercati di destinazione
spostandosi su quelli più dinamici, i Brics ed altri paesi di recente industrializzazione o emergenti. In questo senso
i nuovi accordi di libero scambio in negoziazione con diverse aree del mondo lasciano ben sperare per il futuro e
daranno nuovo slancio al Made in Italy.
Il contesto internazionale è sempre più complesso. Le imprese italiane subiscono in questi nuovi mercati la
concorrenza dei paesi avanzati sui prodotti di medio alto livello tecnologico (dalla Germania, in particolare, anche
essa però ancora molto concentrata sull’area Euro), e di quelli emergenti (soprattutto la Cina) per quanto riguarda
i prodotti di fascia qualitativa e di prezzo più bassa.
In quest’ottica, la nuova Agenzia per l’Internazionalizzazione ha rafforzato la sua presenza all’estero aprendo nuove
sedi in Paesi strategici dell’Asia, dell’Africa e negli Stati Uniti e spostandone altre in luoghi dove c’è maggiore
richiesta di assistenza da parte dei nostri imprenditori.
D’Aiuto: “Pmi,
avanti tutta”
Per l’AD e direttore generale di Simest le aziende italiane
sono ben qualificate in tanti settori e possiedono un know-
how da valorizzare sui mercati
A cura della Redazione
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Il fattore dimensionale delle aziende, potenzialmente
esportatrici italiane, è superabile oppure no? Ha una ricetta
da proporci?
La dimensione medio piccola delle imprese sui mercati
internazionali non giova. Le nostre pmi, prima della crisi,
esportavano su due o tre mercati massimo; ora, con la crisi
in atto, abbiamo raddoppiato. In altri termini, lo stimolo ad
essere presenti su più aree di mercato è stato molto forte. In
tal senso c’è il riscontro di un’evoluzione positiva delle
nostre pmi; sicuramente le aziende hanno necessità, per
accedere con successo ai mercati esteri, di supporto sia in
fase promozionale (il ruolo di ICE è molto importante con la
sua presenza capillare sui principali mercati esteri), sia nel
momento in cui si individuano le modalità per realizzarlo.
Generalmente, noi supportiamo le aziende in tutti gli step di
sviluppo, innanzitutto con l’individuazione di business ad
hoc, commesse commerciali o anche investimenti e con tutto
quello che rappresenta il radicamento. Sono programmi che
durano due anni, permettendo quindi all’azienda di realizzare
un investimento ed essere supportata finanziariamente con
questo strumento. Molto viene fatto dai colleghi proprio nella
fase di consulting, cioè di indirizzo sull’orientamento
dell’azienda su un determinato mercato anziché un altro.
Il passaggio successivo dell’azienda è quello di investire. Ci
sono anche tante crescenti piccole medie imprese che
investono per presidiare efficacemente una certa area di
mercato. Esistono barriere di carattere tariffario, doganale
o di altro tipo che a volte non consentono di presidiare al
meglio un mercato. Noi facciamo questo lavoro di
affiancamento, per comprendere come, dove e in che paese
è più opportuno investire, e per comprendere il target di
mercato che si pone una certa azienda, insieme agli aspetti
organizzativi.
Non dimentichiamo che un’azienda piccola presenta una
naturale debolezza nella disponibilità di risorse umane,
aspetto, questo, che va considerato perché il suo progresso
sia commisurato alle sue capacità di sviluppo. Pertanto, noi
cerchiamo di accelerare lo sviluppo di queste imprese con
un ventaglio di investimenti, cerchiamo di capire come
realizzarlo e in che misura. In particolare, lo finanziamo con
capitale di rischio SIMEST, lo affianchiamo per gran parte
dei paesi con un fondo di equità (un venture capital
pubblico), che noi gestiamo; quindi, anche con una
semplicità di rapporto che ha l’azienda, avendo un unico
interlocutore che fa sia l’assistenza, sia la partecipazione
SIMEST e venture capital. A questo si aggiunge l’attenzione
per rendere il più agevole possibile la realizzazione
dell’investimento, quindi facilitare il network sui mercati per
l’insediamento (il miglior sito), per vedere quali sono i
fornitori di cui ha bisogno quell’azienda e come poi si
sviluppa il processo di sviluppo commerciale.
Il pacchetto da noi offerto a queste aziende è considerevole:
partecipazione al capitale di rischio, agevolazione sulla quota
che le aziende sottoscrivono in termini di CAPEX fino al 51%
(con un contributo conto interessi che rappresenta un’altra
agevolazione che gestisce SIMEST); se necessario od
opportuno leverare il progetto con finanziamenti di terzi,
abbiamo rapporti con le principali banche a livello
internazionale, e siamo partner delle maggiori istituzioni
sovranazionali. Quindi ci rapportiamo con tutti a seconda
delle aree di mercato: con la EFC in quasi tutto il mondo, con
l’EBRD per i Balcani, il CAF in Sudamerica, ecc.; questo ci
permette di stabilire rapporti correnti, a volte formalizzati in
“Il nostro supporto
allo sviluppo
è a tutto tondo nell’impresa,
diamo il massimo
del supporto per rendere
questa crescita innanzitutto
più sicura,
ma anche e soprattutto
più veloce di quella
che farebbe da sola”
People26
accordo e a volte semplicemente buoni rapporti operativi,
che ci consentono di realizzare non solo qualche progetto
più impegnativo, ma di offrire una larga assistenza alle pmi.
Attualmente, il SIMEST è l’unico intermediario finanziario
riconosciuto dall’Unione Europea; per questo stiamo
attivando una serie di fondi, che mette a disposizione
l’Europa per lo sviluppo delle pmi o per progetti con un
impatto positivo (ad esempio il settore delle energie
rinnovabili). I programmi si stanno implementando e noi
contiamo che, nello spostamento degli obiettivi europei a
uno sviluppo delle pmi in generale e del manifatturiero in
particolare, nel programma 2014-2020, ci inseriremo per
capitalizzare al massimo quelle che saranno le
strumentazioni che l’Europa metterà a disposizione delle
imprese in generale e soprattutto delle pmi.
Poiché vi sono stime di ripresa economica per l’Eurozona e
gli Stati Uniti nei prossimi anni, secondo lei, tra le nostre
aziende, chi spiccherà il volo verso l’estero?
Sicuramente le imprese più dinamiche. Noi vediamo che
aumentano le imprese, soprattutto le pmi, esigenza questa
che è diventata proprio un indirizzo di necessità. L’azienda
deve svilupparsi all’estero e questo sta facendo aumentare il
numero, anche di piccole e medie imprese, che si affacciano
all’internazionalizzazione.
Ma in Italia, con una perdurante crisi, con stime di debole
produttività, nei prossimi anni che riflessi ci saranno sulle
aziende esportatrici o potenzialmente tali? Come superare
questi aspetti negativi?
Abbiamo un mercato che, in quasi tutti i settori, ha flessioni
non solo sui volumi, ma spesso anche sui prezzi. Il famoso
rischio di deflazione è questo; pertanto, significa che le
aziende, ammesso che abbiano delle quote nel nostro Paese
apparentemente significative, si vedono ridurre i margini. Il
costo dei fattori produttivi non è diminuito, anzi. Per questo
motivo, l’azienda ha la necessità di affacciarsi sui mercati
esteri; e naturalmente è più agevole o è meno difficile, a
seconda di come lo vogliamo vedere: è più agevole per le
aziende che hanno un prodotto di qualità o un certo livello
tecnologico.
Le nostre aziende sono ben qualificate in tanti settori, e lo si
comprende quando si vede un’azienda di dimensioni medie
o piccole che ha un significativo know-how da valorizzare
sui mercati. Con queste aziende abbiamo materiale su cui
lavorare.
È un lavoro non facile, ma la previsione di stima dal 2014 al
2017 prevede che le nostre esportazioni aumentino quasi del
7% l’anno (6,9%), il che significa che non ci sono solo le
famose aziende, ma ci sono tante piccole e medie imprese
che possono influenzare lo sviluppo nei mercati esteri.
Quali sono i paesi esteri più attraenti per le piccole e medie
imprese italiane?
Le nostre pmi devono fare attenzione non solo all’attrattività
dei mercati, ma alla loro possibilità di cogliere queste
opportunità. Un esempio: la Cina è un paese molto
importante, ma operare in questo paese è abbastanza difficile
per un’azienda molto piccola. Ma non impossibile. Per
arrivare a questo ci vuole una grande capacità di assistere le
aziende.
Ci sono altre aree di mercato dove abbiamo sviluppato bene;
per esempio, in passato abbiamo lavorato molto bene con
tutti i paesi del nord Africa, anche se attualmente sappiamo
che la situazione è diversa. I mercati dove le nostre aziende
possono arrivare sono anche altre aree, quali i Balcani, tra i
paesi più vicini, e poi le Americhe.
Un grande sviluppo, oltre al Brasile come noto, c’è stato
proprio in nord America e in Messico. Abbiamo avuto un
grande sviluppo di aziende medio-grandi, ma anche di pmi
che vedono in queste aree di mercato ampie possibilità di
sviluppo e lo stiamo riscontrando in molti settori. Questi
mercati, soprattutto l’economia americana, hanno reagito
molto meglio alla crisi perché possono disporre meglio della
propria moneta, ma anche grazie a delle politiche molto
attrattive per la reindustrializzazione del paese, avviate già
nel primo Governo Obama e ancor più rafforzate adesso. In
quel paese stiamo facendo non solo delle nuove aziende, ma
anche delle acquisizioni che riguardano molto spesso
aziende medie. Lo stesso dicasi per il Messico che, avendo
un’area di libero scambio molto attiva con il NAFTA, sta
crescendo molto bene. Questo paese, tra l’altro, sarebbe da
assumere a modello perché ha avuto la capacità di fare un
forte rinnovamento nell’assetto di governance del paese
stesso, sciogliendo tanti lacci e lacciuoli. L’America
meridionale vede sempre il Brasile in testa, tuttavia si aprono
spazi anche in altri paesi, quali Cile, Perù, Colombia.
Poi abbiamo nel FARIST la stessa India che, nonostante
alcune difficoltà di carattere burocratico, rappresenta un
paese dove si può realizzare molto. Ed ancora ci sono altri
paesi nel Farist; quando parlo della SEL, mi riferisco alla
Thailandia, alla Indonesia, alla Malesia che sono aree di
sviluppo, oltre naturalmente a Corea del Sud, Giappone,
Vietnam... È chiaro che questi paesi hanno diverse velocità di
27People
sviluppo, ma rappresentano realtà dove c’è un’attenzione alle
nostre tecnologie e ai nostri prodotti.
Dedichiamo particolare attenzione all’Africa sub sahariana,
perché ci sono paesi che si stanno sviluppando fortemente e
che troveremo nei prossimi cinque anni in posizioni molto
importanti, non solo per le risorse di cui sono dotati, ma per
il livello dei consumi che sta crescendo sia per un effetto
demografico sia per un migliore utilizzo delle risorse.
Quali sono gli errori più comuni che commettono le imprese
neofite che intraprendono un processo di internazionalizza-
zione?
L’errore più tipico che in genere fanno è quello
dell’imitazione. Un imprenditore italiano vede che un altro
imprenditore, anche di un settore diverso, ha realizzato
qualcosa di positivo in un paese e va un po’ d’istinto ad
approcciarlo. L’imitazione invece dovrebbe essere nel capire
come un’azienda del proprio settore, di una dimensione
analoga, si è mossa in un caso di successo, quindi
l’imitazione dovrebbe essere molto più approcciata con
metodo. I commercialisti, questo, lo sanno bene; per noi
ovviamente è il pane quotidiano e quindi cerchiamo di
indirizzare l’azienda laddove la sua dimensione e le sue
caratteristiche, anche di approccio al mercato, le consentono
di andare e non di seguire una semplice moda.
Noi invitiamo a utilizzare l’ICE per la sua competenza sulla
prima conoscenza dei mercati o la promozione attraverso le
fiere o l’analisi con i trade analist che hanno distribuiti in
diversi paesi. Si tratta di un up to date su tutte le opportunità
e le difficoltà.
Infine, c’è da tener conto di un altro importante elemento,
l’assicurazione del credito, soprattutto per le commesse;
quando si va su queste bisogna fare attenzione alla qualità
delle stesse, chi compra e tutti i rischi annessi e connessi.
People28
ICE, SACE, SIMEST, Cassa Depositi e Prestiti, Camere di
Commercio sono i principali interlocutori pubblici per le
aziende che vogliono internazionalizzarsi. Nel 2011 è stato
creato un Desk Italia presso il MISE per migliorare il
coordinamento di queste istituzioni.
Tuttavia, l’obiettivo richiesto dagli operatori del mercato è
quello di un unico soggetto, con il quale l’azienda possa
interfacciarsi. Secondo lei, è possibile?
Sicuramente sì. Ci può essere un salto di qualità. Innanzitutto
c’è una diffusa ed errata comprensione di chi fa che cosa,
soprattutto sulla parte promozionale.
La confusione aumenta quando, una volta realizzato il
progetto di investimento commerciale, certe entità pensano
di poter fare il lavoro che facciamo noi. La SIMEST è l’unica
che dà i finanziamenti per l’internazionalizzazione di un certo
tipo e così sostanziati. Molto spesso l’imprenditore, o chi si
occupa in azienda di sviluppo, pensa che l’interlocutore
possa dargli un supporto allo sviluppo del progetto, sia di
natura commerciale o, peggio ancora, di natura produttiva. Lì
c’è una grande disinformazione, perché ognuno vuole far
vedere anche quello che non sa fare, che è un doppio danno,
nel senso che ce ne sono troppi e per la maggior parte sono
a costo del contribuente. Ad esempio, la quantità enorme di
interventi di carattere regionale, che a volte possono essere
utili, ma si tratta di interventi a pioggia; sarebbe meglio
fossero più finalizzati. Poi ci sono operatori specializzati che
dovrebbero coordinarsi meglio. Abbiamo già fatto un buon
coordinamento con SACE e con CDP in virtù dell’accordo
firmato nel 2010, insieme anche ad ABI per l’export banca.
C’è da fare molto sull’aspetto informativo; ritengo questo
Desk, istituito presso il Ministero dello Sviluppo Economico,
molto utile e lo sarà sempre di più, così come molto utile è
l’attività che stiamo svolgendo sul territorio, sempre
promossa dallo stesso Ministero, dei road show indirizzati a
piccole e piccolissime imprese.
Quali sono stati nel 2013 - il trend nell’ultimo quinquennio
- i numeri relativi alle aziende che avete assistito?
Sì tratta di un trend crescente. Noi supportiamo circa
settemila aziende e solo nel 2013 se ne sono aggiunte 450.
Complessivamente sono circa settemila le aziende che
supportiamo per gli investimenti, che per propria natura sono
di meno, sono oltre mille, e quelle con i finanziamenti che sono
circa seimila. In termini di numeri abbiamo gestito
finanziamenti agevolati, sotto le varie forme, per circa cinque
miliardi divisi nelle diverse linee di attività. Ad esempio,
l’Export Edit è quello più importante come dimensione perché
riguarda l’esportazione di beni strumentali, dove troviamo
aziende medio-grandi; viceversa, nei finanziamenti diretti
abbiamo la stragrande maggioranza, perché l’80% sono pmi.
Tengo a sottolineare che quando noi supportiamo
l’esportazione, dal piccolo macchinario alle linee complete,
c’è di tutto, c’è un indotto di pmi formidabile e quindi bisogna
anche un po’ guardare l’Italia nel suo complesso, altrimenti si
perde di vista il vero obiettivo di crescita.
Per quanto riguarda gli investimenti noi abbiamo attivato,
attraverso le nostre partecipazioni, 2,3 miliardi di investimenti.
Non è il nostro capitale, noi abbiamo investito poco meno di
140 milioni, quindi +34% rispetto al 2012. Da ultimo, tengo a
sottolineare che una parte di questi investimenti sono in Italia
(900 milioni circa). Da poco più di due anni, per le aziende che
hanno una dinamica per esportazioni o per investimenti o per
entrambi, supportiamo le aziende anche nella crescita che
fanno in Italia, aumentando la capacità produttiva,
l’innovazione e l’occupazione, quest’ultima con evidenti riflessi
diretti sull’occupazione.
Abbiamo riscontrato che queste aziende, assistite nello
sviluppo all’estero, potevano essere supportate anche nella
crescita in Italia. Questa attività presenta un segnale positivo;
infatti, si investe ancora nel Paese e in due anni l’Italia è
arrivata al secondo posto nel nostro portafoglio; poi ci sono gli
Stati Uniti, il Brasile, la Russia, il Messico, l’India, la Cina...
Il nostro supporto allo sviluppo è a tutto tondo nell’impresa,
quindi diamo il massimo del supporto per rendere questa
crescita innanzitutto più sicura, ma anche e soprattutto più
veloce di quella che farebbe da sola.
Tra i vostri prodotti e servizi, quali ritenete siano quelli più
collaudati e di successo e quanto tempo mediamente è
necessario per poterne usufruire?
Penso che tutti i prodotti oramai siano messi bene a punto.
Con le partecipazioni, l’attività dalla quale siamo partiti,
siamo arrivati a un buonissimo livello.
Questi processi si fanno in tempi molto veloci, anche se a
volte l’assistenza può richiedere tempi maggiori; tuttavia,
quando un progetto è definito, in 45 giorni va al board e
quindi al Consiglio e nei tempi tecnici successivi si procede
alle fasi tecniche di sottoscrizione. Anche gli altri prodotti
SIMEST sono stati migliorati, come ad esempio l’export
credito prima citato e SACE per l’assicurazione del credito.
Poi c’è la patrimonializzazione, cioè la modalità per
aumentare il patrimonio di un’azienda che esporta, molto
indicata per le pmi, che notoriamente sono quasi sempre
sottocapitalizzate.
29People
Qual è la percentuale di progetti che si fermano e/o non
vanno a buon fine?
Innanzitutto si fa una selezione tra i progetti realizzabili. Se
un progetto non è realizzabile, ma l’azienda ha delle capacità
da poter valorizzare, si valuta un altro tipo di progetto o di
assistenza. Dei progetti che arrivano alla valutazione finale,
un terzo non arriva al board, perché presenta delle criticità,
legate al rischio paese, al rischio di mercato, ecc..
Tuttavia, per queste aziende, messe fuori dal perimetro dei
nostri rapporti, si cerca di costruire qualche altra cosa.
Comunque, l’indice degli insuccessi è molto basso.
Ovviamente qualche caso di insuccesso può esserci.
In che modo la categoria dei Commercialisti può stringere
alleanze con voi?
Abbiamo già sperimentato una parte informativa, che
facciamo direttamente a chi nell’ambito dei commercialisti,
che sono poi la maggior parte, si occupa di internazio-
nalizzazione, e anche una parte formativa. Forse dovremmo
aumentare questo tipo di azioni sul territorio, nelle quali
offrire, insieme ai nostri esperti e con i commercialisti, una
specie di primo check gratuito di quello che stiamo facendo
e avviato con le associazioni industriali e con le banche con
cui ci rapportiamo.
Abbiamo un azionista molto importante che è la Cassa Depositi
e Prestiti, che ci consente grandi sinergie all’interno del gruppo,
ma abbiamo anche questa minoranza delle principali banche
italiane con cui le interazioni sono molto forti.
Massimo D’Aiuto, Amministratore Delegato e Direttore Generale
SIMEST
Chi è SIMEST
SIMEST è una società per azioni controllata da Cassa Depositi e Prestiti, azionista di maggioranza da novembre 2012 a
seguito dell’acquisizione del 76% del capitale sociale precedentemente detenuto dal Ministero dello Sviluppo Economico.
È rimasta invariata la compagine azionaria privata, composta da banche e sistema imprenditoriale.
SIMEST è nata nel 1991 con lo scopo di promuovere investimenti di imprese italiane all’estero e di sostenerli sotto il profilo
tecnico e finanziario. Dal 1999 gestisce gli strumenti finanziari pubblici a sostegno delle attività di internazionalizzazione
delle imprese italiane.
SIMEST costituisce un interlocutore cui le imprese italiane possono fare riferimento per tutte le tipologie di interventi
all’estero e dal 2011 anche per lo sviluppo in Italia.
SIMEST può acquisire partecipazioni nelle imprese italiane all’estero fino al 49% del capitale sociale in paesi extra Ue. La
partecipazione SIMEST consente all’impresa italiana l’accesso alle agevolazioni, sotto forma di contributi agli interessi, per
il finanziamento della sua quota di partecipazione. Inoltre SIMEST può acquisire, a condizioni di mercato e senza
agevolazioni, partecipazioni fino al 49% del capitale sociale di imprese italiane o loro controllate nell’Unione Europea che
sviluppino investimenti produttivi e di innovazione e ricerca; da tali acquisizioni sono esclusi i salvataggi.
Nel corso del 2013, SIMEST ha approvato 68 progetti di imprese italiane all’estero e in Italia, con un impegno di 139 milioni
di euro; ciò consentirà di realizzare investimenti complessivi per oltre 2,3 miliardi. Di questi progetti, 7 sono in Italia, per
investimenti per oltre 900 milioni di euro. Per quanto riguarda invece i finanziamenti agevolati, i progetti approvati nel 2013
sono 388 per quasi 5 miliardi di euro di finanziamenti.
Le attività di SIMEST, infatti, oltre alla partecipazione al capitale, sia direttamente che attraverso il Fondo pubblico di
Venture Capital, comprendono anche gli incentivi alle imprese, ovvero le agevolazioni per i crediti all’esportazione (d.lgs.
143/98), i finanziamenti per programmi d’inserimento sui mercati esteri in paesi extra UE (legge 133/08, art. 6, c. 2 lett. a),
i finanziamenti per gli studi di prefattibilità, fattibilità e assistenza tecnica (legge 133/08 art. 6, c. 2 lett. b), i finanziamenti
agevolati per la patrimonializzazione delle pmi esportatrici (legge 133/08 art. 6 c.2 lett. c) e i finanziamenti agevolati per la
prima partecipazione a fiere/mostre in paesi extra UE (legge 133/08, art. 6, c. 2, lett. c).
Sono offerti inoltre servizi di ‘financial advisor’ e ‘business scouting’.
Castellaneta:
“Internazionalizzazione,
la sfida del futuro”
Le imprese che sono riuscite a fronteggiare e vincere questi
anni difficili sono quelle che hanno saputo anticipare i tempi
rivolgendosi verso mercati sempre più lontani
A cura della Redazione
31People
Come è cambiato l’approccio ai mercati esteri negli ultimi
anni?
L'export è ormai diventato la via da percorrere per tornare a
crescere. L’onda lunga della crisi ha spinto molte imprese
verso nuove destinazioni ad alto potenziale: mercati spesso
lontani e complessi, che offrono notevoli opportunità per i
settori di eccellenza del Made in Italy, ma anche,
inevitabilmente, rischi.
Contrariamente alla percezione comune, i nuovi mercati non
sono appannaggio solo delle imprese di grandi dimensioni.
Anche le pmi ormai intraprendono percorsi di
internazionalizzazione complessi, spingendosi lontano,
spesso al seguito di grandi gruppi industriali (di cui sono
fornitrici e di cui sfruttano le economie di scala), ma spesso
anche in autonomia, provando a fare un salto di qualità
importante che richiede notevoli investimenti, know how e
capacità di valutare e gestire rischi. La scelta di giuste
alleanze e il rafforzamento della presenza in loco sono una
base fondamentale per crescere in sicurezza.
Poiché vi sono stime di ripresa economica per l’Eurozona e
per gli Usa, nei prossimi anni, tra le nostre aziende, chi
spiccherà il volo verso l’estero?
L’ultimo anno è stato caratterizzato da una crescita debole a
livello globale, una graduale ripresa dei mercati avanzati e
dal rallentamento dei principali Paesi emergenti. Per l’Italia,
accanto ai segnali positivi provenienti dall’export e dal
pagamento dei debiti arretrati della Pubblica
Amministrazione, restano ancora in sospeso importanti
interrogativi connessi al rilancio occupazionale, ai rischi di
insolvenza e all’accesso al credito. E queste saranno le sfide
per le nostre imprese anche nei prossimi anni. Il persistere di
una congiuntura particolarmente complessa è ben
rappresentato dai 402 milioni di euro di indennizzi che SACE
ha liquidato nel 2013. Un dato che ha consentito a molte
aziende di mitigare gli impatti della crisi.
Ma le imprese che sono riuscite davvero a fronteggiare e
vincere questi anni difficili sono quelle che hanno saputo
anticipare i tempi rivolgendosi verso mercati sempre più
lontani. Lo dimostrano le rilevazioni dell’ultimo Rapporto
Export di SACE che ci dice che le vendite del Made in Italy
all’estero negli ultimi cinque anni hanno intrapreso un
cammino di crescita moderata ma progressiva, che ha
consentito di recuperare i livelli pre-crisi già nel 2011 (375
miliardi di euro di export in valore) e che è destinato a
continuare nel medio/lungo termine.
Sono cambiati i mercati di riferimento, ma non la struttura
settoriale dell’export italiano. La nostra vocazione
esportativa è rimasta intatta e si è anzi sviluppata con la crisi,
rafforzando un modello già delineato agli inizi degli anni
Duemila. In questo processo, trainato dalla ricerca di mercati
sempre nuovi, spiccano le performance dei beni
d’investimento a medio-alta tecnologia al fianco dei prodotti
del nostro manifatturiero e dei beni agroalimentari. I beni
intermedi risentiranno invece dell’incertezza della ripresa in
Europa, destinazione di ben oltre la metà delle vendite
all’estero per queste produzioni. Il lento recupero della
domanda europea potrà tuttavia favorire ulteriormente il
processo di riposizionamento in altri mercati, a conferma di
come le difficoltà del Vecchio Continente continuino a essere
un importante motore di cambiamento.
Quali sono i Paesi esteri più attraenti?
Il quadro delle opportunità per l’export italiano risulterà
piuttosto eterogeneo. La classifica “top market”, stilata da
“Nelle strategie
di internazionalizzazione,
la dimensione d’impresa
conta: grazie a essa si
ottiene più facilmente
l’accesso ai mezzi finanziari
necessari, si attirano
capacità manageriali di
livello internazionale, si
possono elaborare strategie
industriali di ampio respiro
e lungo termine”
People32
SACE per segnalare i mercati a maggior potenziale di export
nei prossimi quattro anni, include un mix di destinazioni
difficilmente etichettabili: da un lato, riflette a pieno la
prevalenza dei maggiori mercati emergenti (Cina, Russia,
Brasile e Turchia) e l’affermazione di nuove mete meno
battute (Indonesia, Messico, Arabia Saudita ed Emirati);
dall’altro lato, conferma la rilevanza di mercati avanzati
ormai consolidati quali Stati Uniti e Regno Unito.
A fronte di nodi strutturali da risolvere in economie come
quella cinese, indiana e brasiliana, i maggiori incrementi
della domanda si avranno soprattutto in economie per certi
aspetti “nuove”, i cui nomi ricorrono meno frequentemente
sui media, ma che offrono interessanti margini di crescita:
come Filippine e Indonesia, Perù e Colombia, Mozambico e
Kenya… solo per citare alcuni esempi nei diversi continenti.
L’area dove l’export italiano crescerà a ritmi superiori alla
media sarà il Medio Oriente, grazie a mercati come Arabia
Saudita ed Emirati Arabi, caratterizzati da profili favorevoli
di rischio politico ed economico. Prospettive positive per
l’export emergono anche nell’Africa sub-sahariana, grazie
allo sviluppo e alla crescita della classe media in quei Paesi
e all’impegno di alcune nazioni a diversificare l’economia,
sviluppando il settore manifatturiero.
Il limite dimensionale delle aziende esportatrici italiane è
superabile?
Naturalmente, nelle strategie di internazionalizzazione, la
dimensione d’impresa conta: grazie a essa normalmente si
ottiene più facilmente l’accesso ai mezzi finanziari necessari,
si attirano capacità manageriali di livello internazionale, si
possono elaborare strategie industriali di ampio respiro e
lungo termine, in cui gioca un ruolo importante l’utilizzo di
strumenti assicurativi e finanziari.
Non esistono ricette, ma chiaramente c’è una forte esigenza
di maggior sostegno per le imprese di dimensioni più piccole.
Avvalersi di un partner può essere la scelta giusta.
Pensando proprio a loro, SACE ha attivato il nuovo servizio
di Advisory, per accompagnarle, passo dopo passo, nelle
diverse fasi dei loro piani di internazionalizzazione. Questo
servizio di consulenza è stato ideato - facendo tesoro
dell’esperienza che SACE ha accumulato negli anni - proprio
per fare emergere tutti gli aspetti strategici connessi alla
33People
crescita sui mercati esteri, mettendo a disposizione delle
aziende un team di specialisti in grado di fornire supporto
manageriale per la preparazione, valutazione, e realizzazione
delle singole opportunità. Advisory offre un’assistenza a 360°
per valutare a pieno la coerenza dell’approccio ai singoli
mercati e i diversi profili di rischio possibili (di credito,
politici, normativi, ambientali) e per proporre strutture
finanziarie e assicurative efficaci a supporto delle singole
transazioni commerciali e di investimento. Con un unico
obiettivo: rendere SACE un vero e proprio one stop shop per
l’internazionalizzazione.
Di pari passo, è proseguito lo sviluppo della nostra rete
domestica, sempre più vicina ai clienti sul territorio, e la
positiva collaborazione con Cassa depositi e prestiti, Banca
Europea per gli Investimenti e gli intermediari creditizi.
Resta l’esigenza comune di un mercato dei capitali più ampio
ed efficiente, che possa svolgere una funzione
complementare al canale bancario. SACE ha dato prova di
poter sostenere lo sviluppo di fonti alternative di
finanziamento come i project bond, oltre alle emissioni
obbligazionarie per progetti esteri che vedono coinvolte
aziende italiane in qualità di esportatori o investitori. Un
impegno che intendiamo rafforzare, dando il nostro
contributo alla creazione di un mercato italiano dei capitali
in grado di soddisfare l’elevata domanda di credito del
sistema.
In che modo il commercialista può aiutarvi nel vostro ruolo?
Il commercialista è un punto di riferimento fondamentale per
le aziende, è il professionista a cui affidano lo studio e
l’implementazione di tutti gli aspetti normativi, fiscali,
finanziari e assicurativi relativi alla propria attività. Per
questo motivo è estremamente importante l’attività che
l’Ordine fa a supporto dei propri associati, per informarli e
formarli riguardo gli strumenti messi a disposizione delle
aziende da parte di realtà come SACE. Un commercialista,
adeguatamente formato, può aiutare a colmare il gap
conoscitivo tra SACE e aziende da lui assistite,
rappresentando i rischi a cui le aziende sono esposte
nell’operare con l’estero, sensibilizzandole sulle ricadute
positive sulla gestione del business, nei rapporti con le
banche e le controparti, che derivano dalla copertura dei
rischi fornita dagli strumenti di SACE, e infine supportandole
nella gestione delle polizze e garanzie.
Giovanni Castellaneta, Presidente SACE
Profilo di SACE
SACE sostiene la crescita dell’economia italiana attraverso il suo asse portante: le imprese. Lo fa con un’ampia
gamma di prodotti e servizi, non solo assicurativi ma anche finanziari, che coprono tutte le esigenze delle aziende
che competono fuori dall’Italia: accesso a finanziamenti per l’internazionalizzazione, assicurazione delle vendite dal
rischio di mancato pagamento, protezione degli investimenti esteri dai rischi politici, garanzie fideiussorie per gare
e commesse, smobilizzo dei crediti vantati con le controparti.
Dal 2004, anno in cui è stata trasformata in società per azioni, ha avviato una fase di crescita costante, grazie a una
gestione di forte impronta privatistica. Il suo portafoglio di operazioni, quintuplicato in dieci anni, è oggi pari a 72
miliardi di euro, con una forte focalizzazione sui mercati emergenti (80% degli importi complessivi), dove, in assenza
di SACE, molte imprese troverebbero grandi barriere all’entrata.
Proprio per facilitare una migliore comprensione dei mercati di destinazione e dei rischi connessi, SACE ha
sviluppato e messo a disposizione gratuitamente sul proprio sito la Country Risk Map: un mappamondo interattivo
da cui è possibile ottenere, in pochi clic e per i 189 Paesi coperti, valutazioni adeguate delle varie tipologie di rischio
a cui si espongono le imprese operando all’estero.
Tra il 2004 e il 2013 ha registrato un utile netto medio annuo di 400 milioni di euro e distribuito all’Azionista (prima
il Ministero dell’Economia e Finanze, poi Cassa depositi e prestiti) oltre 7 miliardi di euro tra dividendi ordinari e
straordinari. Nello stesso periodo la sua redditività è stata sistematicamente superiore ai valori medi di settore.
SACE ha un rating (A-, Fitch) superiore a quello della Repubblica italiana.
Nicastro: “Con
l’internazionalizzazione,
il Paese riparte”
Per il direttore generale di Unicredit l’impresa che
internazionalizza rappresenta il settore che può essere
da traino per il rinnovamento del nostro sistema economico
e del sistema Paese
A cura della Redazione
35People
Oggi esistono molte limitazioni all’accesso al credito
bancario, soprattutto per le piccole e medie imprese; quali
sono i vantaggi finanziari specifici che la vostra banca offre
alle aziende che esportano e che vi vengono a presentare
un progetto dedicato alla loro internazionalizzazione?
Anzitutto una premessa sul tema delle limitazioni oggettive
di accesso al credito: quello che noi vediamo esserci oggi è
più ‘equity crunch’ che un ‘credit crunch’, nel senso che le
imprese che hanno maggiore difficoltà ad avere accesso al
credito tendono a essere quelle che già hanno livelli di
indebitamento elevato. E quando c’è indebitamento elevato,
e magari in condizioni di mercato non semplici, non è sano,
anzitutto per l’impresa stessa, aggiungere debito a debito.
Peraltro questa casistica è meno frequente nel caso delle
imprese che internazionalizzano, che tendono ad avere in
media un merito creditizio superiore rispetto alle imprese
che stanno solo sul mercato nazionale.
Anche per quello che è il dna del Gruppo, per la nostra forte
presenza all’estero e per il ruolo di traino che queste imprese
hanno sull’intera economia Italiana, esse rappresentano per
UniCredit una priorità assoluta.
In questa prospettiva stiamo da tempo realizzando parecchie
iniziative miranti ad aiutare le nostre imprese, anche piccole,
che internazionalizzano; non solo per supportarle
finanziariamente, ma anche per aiutarle a trovare le
controparti commerciali, in diversi mercati, e in diversi
settori e rispetto a parecchi grandi progetti infrastrutturali.
Un tema molto importante è poi quello di garantire
l’affidabilità delle nostre imprese nei confronti delle
controparti estere, come pure, in senso opposto, di aiutarle
a comprendere se gli attori con cui si confrontano, gli
importatori per esempio di un certo paese, sono interlocutori
affidabili.
Peraltro l’impresa che internazionalizza spesso può essere il
traino per il rinnovamento del nostro sistema economico e
del sistema Paese. È quindi un aspetto che vale doppio, da
certi punti di vista. Germania docet: la ripartenza di tutta
l’economia tedesca è stata tirata dall’export.
Ci può fornire qualche numero, anche rispetto al totale dei
vostri finanziamenti concessi, …
Abbiamo lanciato nel 2012 un progetto, che si chiama
Unicredit International, articolato su diversi filoni. Uno di
questi era quello di avviare l’accompagnamento all’estero
delle imprese che ancora non l’avessero seriamente battuto;
da quando abbiamo avviato il progetto (sono passati circa
due anni), abbiamo accompagnato all’estero quasi 14mila
imprese, e quasi mille di queste attraverso eventi che
chiamiamo B2B, dove le mettiamo a contatto con i buyer di
settori specifici. Tipicamente di settori importanti per il Made
in Italy, penso, ad esempio, al settore del vino, dell’agro-
industriale, del tessile, della meccanica strumentale,
dell’arredo-design; noi li mettiamo in contatto con buyer
operanti nei paesi in cui abbiamo in genere una forte
presenza (come Europa, Germania, Turchia), ma anche con
buyer provenienti dall’Estremo Oriente. Cambia anche il
ruolo della banca. Stimiamo in circa il 16% la nostra quota di
mercato con l’estero. Si tratta della nostra attività bancaria
che sta crescendo maggiormente, ormai da tre o quattro anni
a questa parte in Italia. Per esempio, attualmente è in corso
tra Italia e Turchia un focus specifico sui settori tessile e
abbigliamento, sull’agri-food che coinvolge tre regioni; in
giro per il mondo abbiamo creato dei ‘desk’ per la clientela
italiana: quando un nostro cliente va in Polonia, in Russia o
in Turchia, in Germania, eccetera, trova nostri colleghi che
parlano italiano e che possono aiutarlo a 360 gradi. Parlando
più in generale, ci siamo impegnati a varare 120 miliardi di
nuovi finanziamenti nei prossimi tre anni. Una quota
estremamente elevata rispetto ai nostri stock creditizi.
Peraltro ci siamo anche impegnati a ribaltare sul cliente i
benefici della TLTRO della BCE.
“Le aziende italiane
hanno prodotti di qualità
molto ambiti
e ricercati all’estero.
La loro debolezza sta
nella distribuzione
e nel marketing...”
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Internazionalizzazione la sfida del futuro

  • 1. Professione Economica e Sistema Sociale Press luglio - agosto 2014 / no.68 ISSN 2039-540X
  • 2. Sommario/luglio-agosto Press EDITORIALE 3 Maria Luisa Campise L’INTERVENTO 4 6 8 Filippo Invitti Leonardo M. Caputo Michela Pertile Tripoli: “Per le pmi il futuro si gioca sull’export” - Pag. 10 Monti: “Le pmi verso la sfida dei mercati esteri” - Pag. 18 D’Aiuto: “Pmi, avanti tutta” - Pag. 24 Nicastro: “Con l’internazionalizzazione, il Paese riparte” - Pag. 34 DIAMO I NUMERI 64 Albo iscritti, migliora nel 2013 il tasso di crescita PROFESSIONE E TEMPO LIBERO 69 Letti per voi PEOPLE 10 14 18 24 30 34 38 42 Giuseppe Tripoli Sandro Pettinato Riccardo M. Monti Massimo D’Aiuto Giovanni Castellaneta Roberto Nicastro Sergio Vicinanza Fabrizio Togni WCOA 2014 47 Ifac
  • 3. Q uesto numero di Press esce, per una felice coincidenza, all'indomani dell'insediamento del nuovo Consiglio Nazionale. Finalmente, dopo un percorso difficile e doloroso, ora la nostra Professione può contare su un vertice legittimato dal risultato elettorale che potrà e dovrà affrontare, immediatamente, i tanti problemi che quotidianamente sovraccaricano la nostra attività. Nelle more dell'alba tanto agognata, Press ha continuato a dedicare spazi ai temi che interessano la Categoria. L’Internazionalizzazione è il tema che affrontiamo in questo numero. Ci ritorniamo, avendolo già fatto lo scorso mese di febbraio, per sentire, questa volta, la voce degli attori, istituzionali e finanziari, che affiancano l’impresa nel processo di apertura verso nuovi mercati, avendo nel precedente numero sentito quella dei Commercialisti che a vario titolo si occupano della materia. Quando si internazionalizza diventa quanto mai necessario avere a disposizione strumenti operativi e amministrativi per poter meglio valutare i rischi o i limiti dell’impresa stessa. Certo, un dato che emerge inequivocabilmente dagli interventi di rappresentanti istituzionali e non, che ospitiamo in queste pagine, è che le pmi, oggi, hanno significative chance per esportare i loro prodotti all’estero. L’aspetto dimensionale dell’impresa non costituisce più un limite. Quello che conta sono la competitività dei prodotti, l’azione di marketing, il know how, gli investimenti; insieme ad una corretta e approfondita informazione e formazione. E l’export italiano, che copre circa il 30% del pil (fonte Confindustria), potrà nei prossimi anni rappresentare un volano decisivo per la crescita delle nostre imprese che oggi riscontrano difficoltà ad operare nel mercato interno e con sempre minore liquidità. Essere internazionalizzati significa per l’impresa non solo vendere prodotti all’estero, ma anche accompagnare la vendita interna con servizi e assistenza sempre più qualificati. Oggi le imprese si misurano con un mercato globalizzato caratterizzato da fenomeni complessi. In questo contesto economico risulta essenziale per la sopravvivenza del sistema imprenditoriale italiano che questi riveda le proprie strategie, non solo per conservare competitività, ma per realizzare un’espansione sui mercati internazionali non più rinviabile. È evidente come anche per i commercialisti si apra una grande opportunità di mercato, perché il loro ruolo, la loro esperienza, le loro conoscenze e la loro versatilità sono componenti decisive per aiutare le aziende ad affrontare il mercato internazionale. Se non ora, quando? Maria Luisa Campise Direttore Press
  • 4. I l mondo cambia. Può sembrare un luogo comune, una semplice retorica, eppure in molti casi con questa sintetica locuzione può definirsi la condizione di continuo e progressivo mutamento di culture, condizioni sociali ed economiche, pensieri ed abitudini che caratterizzano l’universo in cui viviamo. La specie umana si è evoluta insieme all’ambiente che l’ha circondata e nel tempo le stesse persone si sono adoperate per modificare l’habitat in cui si trovavano, rendendolo in linea con le prospettive di vita alle quali riferivano. La diversità di culture, un tempo barriera insormontabile che divideva i popoli, è oggi uno degli ingredienti più importanti con i quali lo sviluppo della società moderna deve fare i propri conti. Termini come globalizzazione, internazionalizzazione, nuovi mercati sono entrati a far parte del lessico quotidiano, “implicizzando” più o meno consapevolmente la conoscenza delle straordinarie diversità che distinguono territori e popolazioni. Il nostro “ bel Paese”, non certo a torto considerato culla della civiltà, si scopre così essere una delle tessere del grande mosaico definito con la parola mondo. In questo enorme puzzle gli italiani hanno due sole possibilità, rimanere rappresentanti di un soggetto unico che, anche se bellissimo, è destinato a restare inesorabilmente isolato oppure scegliere di essere attori coprotagonisti dello sviluppo universale. Questa metafora rappresenta anche la scelta alternativa a cui si trovano di fronte gli imprenditori del nostro Paese e con loro la platea di professionisti che li assistono. Ancora oggi, forse per mancanza di conoscenza o forse peggio per pericolosa miopia, sia i primi che i secondi non hanno saputo prendere la decisione coraggiosa di varcare i confini domestici e lanciarsi nella grande avventura del confronto con l’estero. Il rischio che corriamo con questo atteggiamento è di restare indietro rispetto all’evoluzione dei mercati, divenendo sempre più il pesce rosso che nuota nell’ampolla di vetro. L’idea di produrre beni a tutti i costi nel nostro territorio è, per fare un esempio, un’assurda ostinazione figlia di retaggi ormai desueti e indifferenti al trascorrere dei tempi. Come è possibile immaginare di competere sui mercati internazionali realizzando dei prodotti, riproducibili altrove a costi significativamente più elevati rispetto a paesi dove la mano d’opera è offerta a minor mercato? Allora è fondamentale trovare alternative al classico “made in Italy” destinato ad essere riservato solo a produzioni di eccellenza e magari pensare all’idea del “made by Italy” dove, grazie al know how ed alla tecnologia italiana, si può delocalizzare la realizzazione di beni in luoghi diversi. Ecco allora che lo sfruttare le sinergie offerte dalle peculiarità presenti nei vari Stati, può rappresentare il modo per guardare in maniera più globale. Altro aspetto sul quale le nostre imprese devono assumere maggior Professionisti e nuovi mercati Filippo Invitti Odcec di Roma, Presidente Associazione VICINA 4 Varcare i confini domestici e lanciarsi nella grande avventura del confronto con i mercati all’estero è la vera sfida che attende il commercialista del terzo millennio
  • 5. 5L’intervento consapevolezza è dato dalla logica “individuale” con cui si operano le scelte di strategia di sviluppo. Pensando di dover affrontare ambiti nei quali le dimensioni e il numero sono collocati su un immaginario asse cartesiano in modo da tendere verso sviluppi orizzontali e verticali, è difficilmente immaginabile che il nostro imprenditore possa, da solo e con la propria “piccola” impresa, affrontare efficacemente il contesto internazionale; pensare quindi di poter unire le forze, le risorse e le competenze di tutti i soggetti appartenenti ad aziende, mondo professionale, istituzioni pubbliche e private può costituire il corretto modo di fare “ massa critica” e affrontare le opportunità offerte dall’internazionalizzazione. Un’ultima considerazione si offre ai professionisti ai quali è rivolto il contenuto di questo numero della rivista: superiamo il naturale scetticismo con il quale guardiamo al diverso modo di svolgere il nostro lavoro e guardiamo al futuro con maggiore coraggio e lungimiranza; come osserva Napoleon Hill “Non aspettare, non ci sarà il momento giusto, comincia dove sei con qualsiasi strumento tu abbia a portata di mano, lungo la strada ne troverai di migliori”.
  • 6. D opo quello di febbraio questo è il secondo numero di PRESS che quest’anno viene dedicato interamente al tema dell’internazionalizzazione, grazie all’opera degli associati di VICINA e della Commissione Internazionalizzazione delle imprese dell’ODCEC di Roma. Ringrazio Press che ne ha dato l’opportunità. Ciò è il segno evidente dell’importanza dell’argomento e della necessità di diffonderne la conoscenza all’interno della Categoria per far cogliere le connesse opportunità di crescita professionale. Mentre a febbraio abbiamo presentato il progetto del Manuale del neo professionista dell’internazionalizzazione, affrontando alcuni temi di carattere professionale, con questo numero abbiamo raccolto le interviste ai vertici di alcune delle istituzioni che hanno un ruolo nella promozione dell’internazionalizzazione. A tutti abbiamo chiesto un parere su cosa ritengono che sia necessario per far sì che le PMI si sviluppino sui mercati esteri e su come i Commercialisti possano essere parte attiva in questo processo. Noi riteniamo che ciò di cui c’è più bisogno è la collaborazione tra tutti i soggetti, pubblici e privati, che hanno come missione quella di sollecitare, sostenere, assistere ed agevolare le imprese nella realizzazione di progetti di penetrazione nei mercati esteri come unica opportunità di sviluppo, se non di sopravvivenza. Siamo convinti che i Commercialisti devono stimolare le piccole e medie imprese clienti a svilupparsi con l’internazionalizzazione, facendo leva sulla naturale fiducia che hanno dagli imprenditori. Abbiamo la professionalità necessaria per supportare le imprese nelle varie fasi di questo processo, ma è necessario implementare le competenze per poter fronteggiare le criticità che inevitabilmente s’incontrano. È inoltre essenziale acquisire la consapevolezza di dover collaborare con altri colleghi per poter affrontare temi complessi come questo, entrando a far parte di reti di professionisti con i quali condividere informazioni, relazioni e competenze. Per poter rendere accessibile alle imprese piccole e medie la possibilità d’internazionalizzarsi, con la consapevolezza di quanto ciò rappresenti un’opportunità di sviluppo unica per l’economia italiana, è fondamentale l’integrazione tra le attività di tutti gli operatori che se ne Il ruolo dei commercialisti per l’internazionalizzazione delle imprese Leonardo Maria Caputo Odcec di Roma - Presidente della Commissione Internazionalizzazione delle imprese dell’ODCEC di Roma, Segretario Generale Associazione VICINA 6 Occorre acquisire la consapevolezza di collaborare con altri colleghi, entrando a far parte di reti di professionisti con i quali condividere informazioni, relazioni e competenze
  • 7. 7L’intervento occupano. Per questo auspichiamo la costituzione di un apposito gruppo di lavoro con i rappresentanti del Ministero dello Sviluppo Economico, del Ministero degli Affari Esteri, dell’ICE Agenzia, della Cassa Depositi e Prestiti, della SIMEST, della SACE, dell’UNIONCAMERE, dell’ASSOCAMERESTERO, della Camera di Commercio Internazionale, dell’ABI, dell’Associazioni delle imprese e del Consiglio Nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili. Con lo scopo di stimolare la collaborazione e l’integrazione tra i Colleghi rinnovo l’invito a partecipare alla realizzazione del Manuale del neo professionista dell’internazionalizza- zione, inviando i vostri contributi sui seguenti argomenti: strumenti operativi per la pianificazione del progetto e organizzazione dello studio professionale. Concludo con una perla di saggezza che ritengo adatta ai professionisti ed agli imprenditori che sono ancora restii a guardare oltre il proprio orizzonte: “Può darsi che non siate responsabili per la situazione in cui vi trovate, ma lo diventerete se non fate nulla per cambiarla”. (Martin Luther King)
  • 8. I l percorso professionale dell’internazionalizzazione delle imprese è un percorso molto stimolante anche se può non sembrarlo ‘prima facie’. La diffidenza di molti colleghi nasce dal fatto che, almeno per i meno giovani, non ci sono stati in passato percorsi formativi al riguardo, nell’ambito dei corsi universitari o di specializzazioni. Solo negli ultimi tempi, a livello universitario, si parla di nuove figure professionali e aziendali come quella dell’Export manager, che riguarda il tema dell’Internazionalizzazione, e si stanno diffondendo da poco i primi ‘master’. In questo campo, per noi professionisti, ci sono diversi obiettivi da raggiungere: diventare buoni ‘advisor’, per le nostre imprese clienti che vogliono internazionalizzarsi, su quali sono le opportunità da cogliere e su come procedere; conoscere e saper consigliare sui migliori strumenti finanziari offerti dalle istituzioni pubbliche e dagli enti privati a tale supporto; organizzare, internamente alle società nostre clienti, la funzione aziendale della ‘corporate credit management’, affinchè si costruisca un’efficiente gestione dei rapporti commerciali con i clienti esteri. Il grande passo dell’internazionalizza- zione oggi non si improvvisa, e prevede studi di fattibilità che riguardano sia le prospettive commerciali che le verifiche sulle norme estere di commerciabilità dei prodotti: sono necessarie conoscenze giuridiche, societarie e fiscali ancora più approfondite se si intende delocalizzare. I colleghi che già si occupano di consulenza nel campo dell’internazionalizzazione delle imprese, ne parlano come di una specializzazione professionale a tutto tondo, che richiede che i colleghi interessati costruiscano delle strutture organizzative che siano esclusivamente impegnate sul tema della crescita internazionale. I colleghi che intenderanno occuparsi di consulenza all’internazionalizzazio- ne delle imprese non avranno molto tempo a disposizione da dedicare ai noti adempimenti contabili, amministrativi e fiscali, sempre più ricorrenti, senza l’ausilio di una struttura organizzata che li supporti. Come è già piuttosto evidente che le imprese che si uniscono in reti, consorzi, Ati e altre forme di aggregazione, all’estero, abbiano più probabilità di successo, questo varrà anche per i professionisti che si dovranno aggregare, per dedicarsi a tale attività in maniera più focalizzata e strutturata. Non ha più senso agire in solitudine, in migliaia di singoli piccoli studi, senza creare delle forme di aggregazione professionale che ci permettano di specializzarci, soprattutto in qualità. L’Associazione Vicina (www.associazionevicina.com) è presente sulla scena da alcuni anni proprio per agevolare sia la formazione dei colleghi ai temi dell’internazionalizzazione che per favorire le aggregazioni fra professionisti che sono attratti da questa tematica. Non è possibile presentarsi sullo scenario internazionale con improvvisazione e superficialità a scapito delle nostre imprese clienti Internazionalizzarsi, come e da dove partire Michela Pertile Odcec di Roma, Revisore Associazione Vicina, consigliere di Accademia Roma 8 Un passo che richiede studi di fattibilità, conoscenze giuridiche, societarie e fiscali ancora più approfondite
  • 9. 9L’intervento che hanno fiducia in noi. Internazionalizzarsi, oggi più di prima, è diventata una necessità nella prolungata crisi economica e finanziaria che attraversa il nostro Paese. Molti operatori già presenti sul mercato se ne sono resi conto; e invadono il nostro campo. Alludo ai vari istituti bancari, che alla ricerca di nuovi profitti e per dare una ricollocazione al personale esuberante, si stanno organizzando con nuovi uffici dedicati alla consulenza alle imprese che intendono internazionalizzarsi. Forniscono supporto per la selezione di nuovi ‘partners’, consigliano su dove andare, come farsi finanziare e garantire anche dalle istituzioni pubbliche preposte, come Sace e Simest. E noi, vogliamo stare a guardare? Auspichiamo quindi che il nuovo Consiglio Nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili si attivi al più presto, con tutti gli strumenti a sua disposizione per essere di supporto alla formazione dei colleghi su questo tema, oramai strategico!
  • 10. Tripoli: “Per le pmi il futuro si gioca sull’export” Secondo il DG per le politiche di internazionalizzazione del MISE, occorre preparare le aziende a cogliere le chance che gli accordi di libero scambio offrono al Made in Italy A cura della Redazione
  • 11. 11People Il limite dimensionale delle aziende potenzialmente esportatrici italiane è superabile oppure no? Il Ministero ha attuato delle politiche specifiche in questo senso? Il sistema italiano è fra quelli di più piccola dimensione a livello europeo, però è anche quello che ha una capacità esportativa tra le più alte a livello europeo. Quindi, la dimensione di per sé non è un vincolo negativo all’esportazione. Questo è sicuramente vero quando si tratta di mercati vicini; le cose cambiano quando si tratta di mercati lontani o di meno tradizionale nostra presenza. E proprio su queste aree di mercato che il Governo ed il Ministero stanno investendo con una pluralità di strumenti: dal sostegno ad una maggiore patrimonializzazione delle imprese, a quello alle forme di aggregazione (si pensi ad esempio ai contratti di rete); per non parlare degli strumenti di supporto alla presenza all’estero anche di piccole imprese, come tutta la strumentazione pubblica messa in campo dall’Agenzia ICE. Poiché vi sono stime di ripresa economica per l’Eurozona e gli Stati Uniti negli prossimi anni, secondo lei, tra le nostre aziende chi spiccherà il volo verso l’estero? Il volo verso l’estero lo possono spiccare - e lo stanno spiccando - le aziende di tutti i settori, perché la domanda di beni e prodotti italiani nel mercato mondiale sta crescendo esponenzialmente. Mano a mano che alcuni paesi passano dalla fase di primo sviluppo alla fase di sviluppo industriale e mano a mano che altri paesi passano da una situazione di povertà diffusa a una situazione di quasi benessere, si aprono spazi enormi per i beni di consumo italiani. Pertanto, le aziende che spiccheranno il volo sono quelle che saranno in grado di intercettare questa domanda, le aziende di tutti i settori purché si dotino delle capacità per farlo. Magari capacità finanziarie? Capacità finanziarie, capacità organizzative e manageriali, capacità di collegamento con le reti e con i mercati esteri. Quali sono le nuove politiche di sviluppo che il Ministero intende avviare per dare impulso all’internazionalizzazione delle imprese? Sul tema dell’internazionalizzazione, l’obiettivo che il Governo si è posto è quello di far crescere il volume dell’export italiano, già notevolmente alto, ma che ancora ha ampi margini di incremento. Dall’export deriva per noi il 30% circa del Pil, mentre per la Germania questa percentuale sale a quasi il 50%. L’Italia ha certamente le potenzialità e le capacità se non di raggiungere, quanto meno di avvicinare la quota di export sul Pil dei tedeschi, agendo sia in termini di volume che di numero assoluto di aziende esportatrici. Attualmente, sono circa 200-210mila le nostre aziende esportatrici: alcune esportano in modo stabile, molte altre in modo casuale. C’è poi una fascia, che abbiamo stimato in circa 70mila piccole aziende, che hanno le capacità e le caratteristiche per passare da saltuariamente a stabilmente esportatrici o addirittura da non esportatrici ad esportatrici: di queste, pensiamo che almeno 20-25mila possano essere portate, nell’arco di due o tre anni, ad essere presenti sul mercato mondiale. Per molte di queste aziende, la domanda dei mercati esteri è domanda di sopravvivenza, nel senso che sostituisce una difficoltà di domanda interna molto evidente. Questo è il primo obiettivo: far crescere il volume del nostro export facendo crescere anche il numero delle aziende esportatrici. Il secondo obiettivo è quello di cogliere le opportunità, che si creeranno nei prossimi mesi grazie agli accordi di libero scambio che si stanno per concludere o che si sono appena avviati, perché essi offrono grandi opportunità per molti settori del nostro sistema produttivo. È necessario pertanto preparare le aziende a cogliere le opportunità derivanti dagli accordi, perché consentiranno di aprire possibilità a molti settori del Made in Italy. Terza linea strategica è quella legata all’irrobustimento delle capacità delle piccole imprese di stare sul mercato, attraverso risorse manageriali specifiche e specializzate. Penso a strumenti quali il temporary export manager, che permette a una piccola azienda di dotarsi temporaneamente di competenze professionali in grado di entrare su mercati “Il ruolo che i commercialisti giocheranno sarà fondamentale nel futuro dell’export delle nostre imprese”
  • 12. People12 che prima non sono stati percorsi. Quarto e ultimo punto: abbiamo verificato l’efficacia di puntare sui grandi eventi che fanno l’immagine del Made in Italy nel mondo. Il Made in Italy è uno dei brand più noti al mondo; tuttavia, perché resti tale, occorre investire, concentrando le risorse promozionali su quegli eventi, “racconti” e canali di promozione che abbiano un forte effetto moltiplicatore sull’opinione di quegli 800 milioni di nuovi potenziali consumatori che – secondo alcune stime - fra qualche anno probabilmente consumeranno italiano. Di questi quattro punti sinteticamente richiamati, sul terzo è fondamentale, per esempio, la collaborazione con il sistema delle professioni. Quali sono i paesi considerati prioritari per l’export italiano? Puntate più a consolidare la presenza sui mercati tradizionali o alla penetrazione di aree e mercati non attualmente presidiati? Di recente abbiamo realizzato una ricerca con PROMETEIA, in cui abbiamo individuato mercati maturi vicini (Europa e Stati Uniti continuano ad essere importanti), mercati maturi lontani, mercati emergenti o emersi come la Cina, per finire con quei mercati di non tradizionale presidio ma che stanno crescendo in modo esponenziale. Per restare ai temi di attualità, ad esempio, alcuni mercati dell’Africa sub sahariana, quali Angola e Mozambico, dove il trend di crescita del Pil, e quindi anche della possibilità di presenza delle nostre aziende e relativi prodotti, è esponenziale. Ricordo che la definizione di quali Paesi siano prioritari è tra i compiti principali della Cabina di Regia, che di anno in anno indica una serie di Paesi con una forte domanda potenziale di beni italiani, magari non già adeguatamente colta dalle nostre aziende. Ci sono poi aree in cui la nostra presenza è sottoposta alle variabili sia economiche sia politiche; mi riferisco, per esempio, ad alcuni paesi dell’area del Mediterraneo, come Libia, Egitto, Siria, ecc., dove c’è un’evoluzione costante, per non dire quotidiana, della situazione politica: aree dove la presenza italiana c’è già, ma in cui investire, perché sia più alta, non pare al momento opportuno. ICE, SACE, SIMEST, Cassa Depositi e Prestiti, Camere di Commercio sono i principali interlocutori pubblici per le aziende che vogliono internazionalizzarsi. A che punto è lo sforzo per meglio coordinare la loro azione? La situazione è in evoluzione. Sull’ICE è in atto un processo di riorganizzazione, cominciato con la sua ricostituzione sottoforma di Agenzia: la riorganizzazione della rete estera, quella interna alla ricerca di maggiori livelli di efficienza, una rivisitazione dei servizi forniti, sono i driver di tale sforzo. Cassa Depositi e Prestiti, SACE e SIMEST costituiscono il polo finanziario del sostegno all’internazionalizzazione. SACE e SIMEST stanno aggiornando il loro portafoglio prodotti: hanno di solito operato con aziende di media- grande dimensione (questo è più vero per SACE e un po’ meno per SIMEST). Ma, come dicevamo, oggi la loro clientela sono anche aziende di minor dimensione, quelle che si affacciano al mercato internazionale per la prima volta e che hanno bisogno di supporto. SACE e SIMEST stanno facendo notevoli sforzi per arricchire l’offerta con prodotti più adeguati alle pmi, sia in termini di costo che di facilità d’uso. Non è per caso che come Ministero dello Sviluppo Economico e Ministero degli Esteri, con ICE, SACE e SIMEST, abbiamo organizzato dei road show, presenze sul territorio che cercano di coinvolgere le aziende che non esportano, proprio per presentare loro le possibilità e i servizi che offrono queste strutture. I primi risultati sono estremamente incoraggianti: nelle prime cinque tappe (ne sono previste altre sei entro la fine dell’anno), abbiamo registrato la partecipazione di oltre 2.000 imprese, con un tasso di soddisfazione rispetto ai contenuti dei seminari - che prevedevano anche una sezione di prima consulenza personalizzata con esperti - di oltre il 95%. Sul tema delle Camere di Commercio, come sappiamo, è in corso un dibattito in Parlamento su come rivederne il ruolo e le modalità di finanziamento. Vedremo cosa sarà deciso dal Governo e dal Parlamento sul punto per capire che ruolo potranno svolgere in tema di internazionalizzazione. Come già accennavo, il maggior raccordo lo stiamo attuando a livello strategico attraverso l’azione della Cabina di Regia; a livello funzionale con un contatto più costante e funzionale tra il Ministero dello Sviluppo Economico, il Ministero degli Esteri e altri settori dell’amministrazione, per esempio il Ministero delle Politiche Agricole per tutto il settore dell’agroalimentare, del contrasto all’italian sounding, ecc., operativamente, con un raccordo sui servizi promozionali che vede nell’Agenzia ICE il soggetto attuatore. Merita poi sottolineare come anche le Regioni abbiamo tenuto una serie di filoni aperti, primo fra tutti quello sulla formazione per gli export manager, su cui puntiamo anche sulla base delle positive esperienze avviate in alcune Regioni. Sappiamo come sia vivo il dibattito anche sul ruolo degli enti
  • 13. 13People regionali, sulle competenze che in questo momento hanno e che si ipotizza di ridisegnare. Spero senza tagliare troppe risorse, perché a forza di tagliare... Noi siamo distanti dalla quota che altri Paesi europei destinano alla formazione sui mercati esteri. Facendo crescere la quota di promozione pubblica e organizzandola bene sui mercati esteri, ne avremmo sicuramente un beneficio più alto, perché abbiamo aziende più piccole, ma capaci di competere, con tecnologie e capacità di adattamento notevoli. Però devono essere aiutate a conoscere e ad entrare sui mercati esteri. Credo che l’esigenza di una virata verso i mercati esteri sia oramai ampiamente condivisa e questo comporta che a ciò si debbano destinare risorse promozionali adeguate. Scendendo nei numeri, le chiederei anche se a disposizione del Ministero c’è un aumento delle risorse promozionali per gli anni a venire nei vostri piani... Nel corso di quest’anno stiamo impegnando circa 22 milioni di risorse promozionali straordinarie che ci sono state affidate dall’art. 5 del c.d. Decreto “Destinazione Italia” (decreto legge 23 dicembre 2013, n. 145 convertito con modificazioni dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9, pubblicato in G.U. 21 febbraio 2014, n. 43). Su quel che avverrà per il 2015 e gli anni a seguire, non posso ora risponderle con una risposta precisa. C’è un’esigenza di aumentare le risorse a disposizione della promozione per portarle a livello medio. Occorre una grande sensibilità, che trovo anche da parte del Ministro Guidi e del Viceministro Calenda. Rispetto alle dichiarazioni rese sui quotidiani nelle ultime settimane ci sono buone prospettive che il tema sia affrontato positivamente. Il Desk Italia, creato nel 2011, di fatto opera per questa strategia? Su Desk Italia il Governo dovrà prendere delle decisioni per capire come meglio potenziare e organizzare la politica di attrazione degli investimenti in Italia, sapendo che l’attenzione degli investitori esteri, sia industriali che finanziari, nei confronti delle aziende del nostro Paese è cresciuta notevolmente negli ultimi mesi. Occorre riorganizzare non solo una serie di aspetti strutturali, quelli che rendono conveniente o meno investire in un Paese (lì si tocca il tema del fisco, della giustizia, dei tempi dell’amministrazione, tutte questioni che il programma ‘Destinazione Italia’ aveva sollevato); ma serve anche uno ‘sportello’ che accompagni chi è interessato a investire in Italia nel percorso che intende fare. Quindi c’è un aspetto più strutturale e un aspetto più organizzativo. Quindi un miglioramento delle strategie, ma anche dell’organizzazione complessiva del sistema.… Sì, una focalizzazione delle strategie sull’estero, non perché l’interno non sia importante, ma perché l’estero ci offre opportunità che dobbiamo cogliere in tutti i campi, dal campo degli investimenti al campo delle professionalità, dal campo delle reti al tema degli scambi culturali. L’internazionale è un campo molto vasto, l’estero rappresenta una fetta importantissima. E la categoria dei Commercialisti come la vede coinvolta nelle attività di sviluppo dei progetti di internazionalizza- zione delle imprese? Uno dei tramiti perché il numero delle piccole imprese cresca in modo considerevole è rappresentato dalla funzione di consulenza che svolgono i professionisti. L’impresa o il piccolo imprenditore vede molto spesso che in Italia non ha più mercato o ha un mercato che cala e vorrebbe andare all’estero, ma ha una doppia barriera all’ingresso: quella informativa sui mercati e – quasi sempre – quella formativa, sapere come e cosa fare. Essere ancor più assistito da quello che è normalmente il suo confidente, cioè il commercialista, ma penso anche agli avvocati, ai notai, a coloro che si occupano dei temi lavoristici, sarebbe fondamentale. È il commercialista che può suggerire, guidare nel fare, avendo una conoscenza di questi problemi tale da aiutare l’imprenditore che, quando è piccolo, non ha né informazioni né tempo sufficienti da dedicare. Questo passaggio delle piccole imprese verso l’estero vorremmo farlo coinvolgendo le reti dei professionisti e in primis quella dei commercialisti. Il ruolo che i commercialisti giocano è fondamentale nel futuro dell’export di tutte le nostre imprese: penso anche alla consulenza più raffinata, quando si tratta della partecipazione alle grandi gare internazionali, o a come ci si rapporta con i grandi clienti esteri. Giuseppe Tripoli, Direttore generale per le Politiche di Internazionalizzazione e la Promozione degli Scambi del Ministero dello Sviluppo Economico
  • 14. Pettinato: “Collaborare per supportare” Corretta informazione, ricerca di partner e formazione adeguata rappresentano, per il Vice Segretario di Unioncamere, i primi fondamentali passaggi per aiutare le imprese italiane a rivolgersi versi i mercati esteri A cura della Redazione
  • 15. 15People Il limite dimensionale delle aziende potenzialmente esportatrici italiane, secondo lei, è superabile oppure no? Ha una ricetta da proporci? Secondo noi, il fatto che le aziende siano piccole non è un limite; anzi, può rappresentare un’occasione di flessibilità e di maggiore duttilità dell’impresa per affacciarsi sui mercati internazionali. È chiaro che la struttura dimensionale dell’azienda, piuttosto che il patrimonio o il capitale, può essere in qualche maniera vincolante, ma di certo non è un elemento ostativo. Il punto focale è la voglia dell’imprenditore e le condizioni che pongono i mercati per andare verso i mercati internazionali. Il primo passaggio è una corretta informazione all’imprenditore per poter accedere ai giusti mercati e non sbagliare obiettivo; il secondo aspetto è legato a una ricerca dei partner di quel paese, che siano utili agli obiettivi che l’impresa vuole intraprendere (penso, ad esempio, agli accordi di distribuzione o a joint venture piuttosto che accordi unicamente commerciali); il terzo aspetto è una formazione adeguata che l’impresa, piccola o grande che sia, deve avere all’interno per poter accedere ai mercati esteri. Poiché vi sono stime di ripresa economica sia per l’Eurozona che per gli Stati Uniti nei prossimi anni, tra le nostre aziende chi spiccherà il volo verso l’estero? Distinguiamo i due aspetti: l’Eurozona è già un mercato molto importante per i nostri imprenditori e circa i due terzi delle nostre aziende vendono in primo luogo in Europa; forse il ragionamento va fatto sui nuovi Paesi europei, quelli dell’area balcanica e sui nuovi ingressi in cui la domanda Italia è ancora bassa. Sull’aspetto dei mercati americani, moltissimo potrà fare il TTIP, vale a dire l’accordo di libero scambio con i mercati americani che non è ancora in dirittura d’arrivo, ma che potrà dare novità e nuovi sbocchi per tutelare le nostre aziende ai temi legati, per esempio, al falso piuttosto che quello che si chiama l’italian sounding. Se la cosa andrà in porto, tra i Paesi europei l’Italia sarà sicuramente uno dei primi a beneficiarne. Nonostante le aspettative, le stime di debole produttività per il sistema paese Italia al suo interno nei prossimi anni esistono e quindi che riflessi avranno sulle aziende esportatrici? Come superare questi aspetti negativi? Sicuramente la crescita non è elevatissima perché le stime sono abbastanza modeste, però distinguerei. Se guardiamo ai dati delle imprese che esportano, queste 210mila aziende, o meglio, le 11.200 che in maniera costante e prevalente esportano, salvano il Pil di questo Paese, che altrimenti sarebbe a cifre decisamente negative. Se guardiamo a quanto le imprese che esportano contribuiscono al Pil, il dato è molto confortante nonostante gli ultimi mesi non siano esaltanti. Quindi dobbiamo dire un grazie alle imprese che vanno all’estero, grazie a chi scommette sull’estero, grazie a chi supporta le aziende all’estero; penso ovviamente agli organismi statali come il Ministero dello Sviluppo Economico, all’ICE, ma penso anche alle reti sul territorio come le Camere di Commercio, a tutto il mondo associativo che supporta, assieme alle Regioni, lo strumento dell’internazionalizzazione. Quali sono i paesi esteri più attraenti per le PMI italiane, se è possibile fare una specie di classifica oppure dipende da altri fattori? Non ci sono paesi più interessanti di altri se non per il tipo di produzione. Ad esempio: se parliamo dell’agroalimentare, dell’arredamento, delle firme legate alla moda, se parliamo dell’auto-motive, i paesi più industrializzati in cui il consumo del Made in Italy è più forte (e cioè dove c’è anche una domanda di lusso) sono quelli più interessanti. Pertanto, oltre l’Europa, direi sicuramente i mercati asiatici dove la ricchezza è in forte aumento. Un caso tra tutti è quello dell’India, dell’Indonesia, piuttosto che del Giappone stesso. Se guardiamo a settori, invece, in cui il nostro Made in Italy è forte come la meccanica piuttosto che l’edilizia, al risparmio energetico, ai temi legati alla farmaceutica, i mercati sono molto più ampi e diversi. Non c’è un paese su cui puntare, ma una gamma di paesi in “I professionisti hanno un compito importante, quello di essere un complemento al settore pubblico”
  • 16. People16 funzione della produzione del settore. Naturalmente i paesi a maggior crescita sono i più interessanti, ma anche aree come i paesi arabi, in cui assieme all’Europa abbiamo più di un miliardo di consumatori, possono rappresentare un valore importantissimo per il nostro Paese. Quali sono gli errori più comuni che commettono le imprese neofite che intraprendono un progetto di internazionaliz- zazione? Quello di far da soli è sicuramente un errore gravissimo, spesso dovuto alla sfiducia anche nel pubblico, ma è un errore che si può sanare facilmente. Altro errore è quello di non individuare il mercato corretto perché dà luogo a investimenti sbagliati. Ed ancora, un errore è quello di volere a tutti i costi imitare il concorrente, al quale si guarda perché ha fatto fortuna in un certo mercato e magari quello è l’unico obiettivo che si ha in testa. Infine, quello di non investire, con un minimo di risorse economiche e con un programma a medio termine e non a brevissimo sull’estero, rappresenta un altro limite importante delle nostre aziende. ICE, SACE, SIMEST, Cassa Depositi e Prestiti, Camere di Commercio sono i principali interlocutori pubblici per le aziende che vogliono internazionalizzarsi. Nel 2011 è stato creato un Desk Italia presso il MISE per migliorare il coordinamento di queste istituzioni. L’obiettivo richiesto dagli operatori è quello di un unico soggetto, con il quale l’azienda possa interfacciarsi. Secondo lei, è possibile? L’obiettivo di un unico soggetto richiesto dagli operatori è corretto, perché un’impresa vuole avere un riferimento, vuole avere la concentrazione dei dati su un portale, comunque un elemento unitario. Quello che è sbagliato è pensare di poter bypassare i soggetti sul territorio. Un esempio: il ruolo che oggi svolgono le associazioni di categoria, le Camere di Commercio presenti negli 8.000 Comuni, sui territori, sulle filiere, sui distretti, e voler fare una politica di coordinamento solo da Roma è un errore. Certamente la Cabina di Regia, l’elemento che raggruppa tutte le strutture pubbliche e associative che operano con l’estero, è un punto di coordinamento importante. Lì devono arrivare le istanze delle imprese, cioè quali sono i mercati, i settori e le strategie più importanti, ma devono anche essere poi convogliate le risorse, gli strumenti e le strategie sui territori.
  • 17. 17People Se manca un soggetto intermedio che sappia raccogliere la domanda dell’impresa, riportarla al centro e poi ridestinarla al territorio, rischiamo di avere un interlocutore un po’ ballerino. Quali sono stati nel 2013 o nell’ultimo quinquennio i numeri o l’andamento relativi alle aziende che avete assistito? Nel 2013 le Camere di Commercio hanno portato all’estero più di 9mila aziende e pensiamo che il dato del 2014 sia ugualmente interessante. Parliamo di numeri che sembrerebbero relativi, ma se guardiamo a quante sono le aziende che oggi esportano, vale a dire circa 11mila aziende su un numero di aziende che generalmente va intorno ai 200mila, sono numeri significativamente importanti. Fra i vostri prodotti e servizi, quali sono quelli più collaudati e di successo? Quanto tempo è necessario per poterne usufruire? Un servizio fondamentale è rappresentato dall’informazione; insieme all’ICE, alle categorie, alla SIMEST, al Ministero dello Sviluppo Economico abbiamo messo a punto un portale, worldpass.camcom.it, in cui abbiamo concentrato tutte le informazioni per andare sui mercati internazionali. Per esempio: cosa serve per esportare merci in un certo paese, quali certificati occorrono, quali sono le strutture di assistenza, le domande più ricorrenti che riguardano l’export. In questo portale troviamo tutte le informazioni pratiche di cui l’azienda può aver bisogno. In secondo luogo, la formazione: le Camere di Commercio svolgono un lavoro di formazione puntuale sulle imprese spiegando all’imprenditore cosa fare e cosa non fare per formare il proprio personale quando decide di andare all’estero. Ed ancora, le certificazioni necessarie per andare in un certo paese: le Camere di Commercio, su richiesta dei paesi stranieri, emettono certificati d’origine necessari per esportare. Infine, la regia con il territorio: le Camere di commercio sono il luogo di sintesi con le categorie e con le Regioni per spendere al meglio le risorse che i territori hanno, sempre di meno, a disposizione. Qual è la percentuale di pratiche che si fermano o che non vanno a buon fine? Avete un indicatore, un misuratore del successo delle vostre iniziative? Possiamo dire che sui temi dei mercati internazionali l’investimento è molto elevato e i numeri sono abbastanza confortanti. Ovviamente non tutte le attività che vengono poste in essere (pensiamo a una missione all’estero, a un incoming, alla formazione alle imprese) portano al 100% dei risultati. Tuttavia, le fornisco un esempio: abbiamo realizzato con il Ministero dello Sviluppo Economico una campagna, un road show, per promuovere la presenza di nuove imprese all’estero; partecipano agli incontri circa 400/500 aziende, che vengono successivamente seguite e con margini di risultato molto alti. Questi dati sono confortanti, perché in questo momento fare un incontro per chiamare le imprese a conoscere le opportunità è molto difficile. Quali sono i vostri rapporti con gli analoghi organismi all’estero? Direi molto buoni e principalmente con le ambasciate, le reti diplomatiche consolari, con gli uffici dell’ICE e naturalmente con le Camere italiane all’estero, che sono il nostro presidio sul territorio. Questi tre soggetti, in moltissimi paesi, collaborano fattivamente; è chiaro che sta alle persone l’impegno di trovare le formule migliori per fare sinergie, però in questo momento c’è una larga collaborazione. L’obiettivo è l’impresa e l’imprenditore, l’obiettivo è fargli conoscere al meglio i mercati e dargli concretamente l’opportunità per lavorare sui mercati esteri. Questa collaborazione sta funzionando grazie al buonsenso di tutti, pubblico e privato. In che modo la categoria dei Commercialisti può aiutarvi nel vostro ruolo? A nostro parere, i professionisti hanno un compito importante, quello di essere un complemento al settore pubblico. L’esperienza della professione, come quella dei commercialisti o anche, per esempio, quella degli architetti, piuttosto che degli avvocati o delle reti bancarie, è fondamentale perché hanno una rete all’estero fatta di tanti punti di assistenza alle imprese. Rispetto a noi, che stiamo qui in Italia, loro conoscono meglio le caratteristiche di quelle realtà, le regole, la fiscalità, le opportunità, gli operatori e pertanto hanno una conoscenza importante del mercato. Fare a meno di reti come i professionisti, quali i commercialisti, sarebbe un errore gravissimo. Vogliamo cercare di sfruttarle al massimo, a partire dall’Italia, ma andando anche su quei mercati in cui sono presenti le reti dei professionisti. Sandro Pettinato, Vice Segretario generale UNIONCAMERE
  • 18. Monti: “Le pmi verso la sfida dei mercati esteri” Secondo il presidente dell’ICE saranno le piccole e medie imprese, che hanno già fatto un’esperienza di export, a dominare i mercati internazionali nei prossimi anni e l’ICE sarà al loro fianco... A cura della Redazione
  • 19. 19People Il limite dimensionale delle aziende potenzialmente esportatrici italiane è superabile oppure no? Ha una ricetta da proporci? Il limite dimensionale è superabile e di strumenti ne abbiamo tanti, oltre all’ormai storico e consolidato consorzio all’esportazione; i contatti di rete si stanno diffondendo rivelandosi uno strumento potente. In questi due anni, che ho svolto questo lavoro, ho incontrato aziende molto piccole, addirittura aziende artigiane che esportano una quota rilevante del proprio fatturato. Pertanto, devo dire che mentre a livello statistico aggregato la dimensione ha oggettivamente un limite, aneddoticamente troviamo tantissimi operatori, anche molto piccoli, che esportano; trovo aziende di 500, 600, 700 milioni di fatturato che esportano il 50, il 60, il 70% del fatturato. C’è un know-how e una specifica capacità di esportare che dipende molto dal settore merceologico e dalla capacità dell’imprenditore e non è ostacolata in maniera assoluta dalla dimensione. Poiché vi sono stime di ripresa economica per l’Eurozona e gli Stati Uniti nei prossimi anni, secondo lei tra le nostre aziende chi spiccherà il volo verso l’estero? Stiamo osservando un’accelerazione del commercio. L’inizio dell’anno è cominciato lentamente, anche perché abbiamo pagato un euro molto forte, si sono stabilizzati i cambi, l’euro ha perso un po’ di terreno sul dollaro… Sui dati aggregati siamo molto ottimisti. Chi spiccherà il volo? Certamente una delle aree su cui riusciamo a lavorare meglio, come Italia e come organizzazione di supporto all’export, sono le piccole e medie aziende esportatrici che hanno già fatto un’esperienza di export. Noi le aiutiamo a passare ad esportare da due a dieci paesi o ad esportare da cinque a dieci paesi o ad aumentare i volumi nei paesi dove già esportano. Questa è un’area su cui abbiamo una particolare capacità ed efficacia. È possibile definire quali sono i paesi esteri più attraenti per le piccole e medie imprese italiane oppure non è possibile dare consigli di questo tipo? I mercati attraenti lo sono in maniera diversa, a seconda se l’export cresce. Osservando lo scenario internazionale vediamo una buona ripresa della domanda Made in Italy in Germania e Inghilterra; in Germania perché non soffre dell’euro forte e l’Inghilterra perché ha avuto un ulteriore rafforzamento della valuta. Il mercato americano tira tantissimo e ci sono migliaia di aziende, anche molto piccole, che ci esportano. Oggettivamente, per le piccole e medie imprese il fattore di prossimità è importante perché servire efficacemente, per esempio, l’Asia impone un livello di organizzazione e di supporto finanziario significativo. È ovvio che la prossimità nell’esportazione è un fattore decisivo. Tanto per fare un esempio: l’Italia esporta in Slovenia il 30% più dell’India, la Slovenia ha 2,5 milioni di abitanti e l’India 1,3 miliardi. Nei mercati di prossimità la nuova Europa, quindi est Europa, Polonia, Russia, Turchia e il nord Africa sono delle aree su cui abbiamo tante piccole e medie aziende che riescono piuttosto bene. Quali sono gli errori più comuni che commettono le imprese neofite che intraprendono un processo di internazionalizza- zione? Il primo errore è associare il concetto “se in un mercato c’è “La figura del professionista è molto utile perché è in grado di fare un primo livello di filtro, avendo la sensibilità di capire se c’è il prerequisito minimo per fare impresa all’estero...”
  • 20. People20 la crescita, c’è spazio per me”: in realtà questa equazione non funziona. Il fatto che certi mercati crescono non implica assolutamente spazio per ogni mercato. Si sottovaluta il fatto che dovunque si vada ci sia già qualche produttore, anche del proprio prodotto, anche già italiano. Mi è capitato di sentire, da parte di produttori eccellenti che “la domanda di olio cresce”, però poi rimangono molto sorpresi, se non addirittura sconvolti, quando vengono a sapere che ci sono già quattro o cinquemila esportatori italiani in quel paese, magari con un prodotto molto simile. Il primo errore, quindi, è la sottovalutazione della difficoltà. Il secondo, collegato al primo ma non bi-univocamente, è la carenza di preparazione. Preparazione significa studiare la regolamentazione, verificare i vincoli di tipo doganale, regolatorio, etichettature, documentazione a supporto. Il terzo errore è la scarsa attenzione/selettività nella selezione del partner: l’esportatore, l’importatore, il partner distributivo che si va a cercare. Questo però è fondamentale, ... Diciamo che uno dei nostri principali focus delle aree di obiettivo è quello che noi chiamiamo il be-to-be e il matching: trovare per ogni operatore italiano, che chiede il nostro supporto, l’interlocutore giusto. Questo implica una forte professionalità nel settore e una grande conoscenza dei mercati, che la nostra rete è in grado di assicurare.
  • 21. 21People ICE, SACE, SIMEST e Cassa Depositi e Prestiti, Camere di Commercio sono i principali interlocutori pubblici per le aziende che vogliono internazionalizzarsi. Nel 2011 è stato creato un Desk Italia presso il MISE per migliorare il coordinamento di queste istituzioni. L’obiettivo richiesto dagli operatori è però quello di un unico soggetto con il quale l’azienda possa interfacciars. Secondo lei, è possibile? L’ICE è nata con un riassetto complessivo, iniziato dal Governo Monti, nel sistema di supporto all’internazionaliz- zazione. L’elemento centrale più votale è quello che si chiama Cabina di Regia in cui tutti i soggetti, Ministeri, associazioni di categoria, Confindustria, ABI, con interesse e propensione ad andare all’estero, mettevano in linea le priorità e mettevano a fattor comune le risorse. Sono avvenuti già grandi progressi: innanzitutto si è creato un polo di finanza per l’export dove c’è SIMEST, SACE e CDP (oggi sono parte di un unico gruppo), con specializzazioni diverse. Queste specializzazioni sono comuni a tutti i paesi del mondo, cioè tutti hanno un’ECA, hanno Finanziarie di sviluppo come la SIMEST e hanno una Trade Promotion Agency. Pertanto, non è una frammentazione italiana, era un errore italiano farle andare in maniera scoordinata e centrifuga, ma il fatto che ci sia una specializzazione è naturale e l’Italia è avanti ad altri avendo creato questo polo dentro la Cassa Depositi e Prestiti. Dal punto di vista del lavoro sull’estero, il sistema camerale usa sempre più la rete ICE come proprio veicolo di funzione all’estero e le Camere di Commercio italiane all’estero, che sono la community degli imprenditori e dei manager residenti e lavora in maniera sempre più sinergica. Tanto per dare un’idea: alla rete ICE all’estero ho dato personalmente un obiettivo tra gli obiettivi, a cui è associato un bonus finanziario: realizzare progetti condivisi con il sistema camerale. Questo è un fatto assolutamente nuovo perché era un sistema che si percepiva come concorrenza diretta. Attualmente stiamo lavorando con il Ministero degli Esteri per eliminare le ultime residue aree di frizione tra i vari pezzi del sistema. Per noi operatori, tuttavia, sarebbe ideale avere un unico desk sul computer e non andare su dieci siti… Sulla parte proporzionale esiste già, perché abbiamo collegato i meccanismi di alimentazione del sito dell’ICE con quello degli Esteri, per cui il calendario in sede proporzionale è condiviso con il sistema camerale, con ICE e con gli Esteri. Per la parte di promozione all’estero e per quanto riguarda i supporti finanziari operativi abbiamo fatto un road-show nazionale, che ha fatto già sei o sette tappe, coinvolgendo da 300 a 500 aziende con dei one-to-one tutorial in cui si spiegava esattamente chi faceva cosa. E riguardo alla unicità degli interlocutori possiamo dire che c’è un unico polo della finanza per l’export e un unico ecosistema proporzionale, per cui se si entra nel sistema ICE Camere all’estero e nel sistema Cassa SIMEST si troveranno degli interlocutori molto coordinati e allineati, insieme a delle informazioni puntuali e aggiornate, anche a livello informatico. Quali sono stati nel 2013 i numeri relativi alle aziende che avete assistito? Noi assistiamo un numero molto importante di aziende. Il tipo di assistenza è diversificato: per un lavoro ad hoc fatturato; per iniziative fieristiche; ecc.. Inoltre, abbiamo ogni giorno centinaia di contatti di assistenza, che, in molti casi, si riducono a un primo livello informativo telefonico o email. Devo dire che, in questo anno, la mia stima ragionata è che assisteremo circa 50mila aziende come supporto informativo di base e come orientamento. Da tenere presente che, delle 200mila che esportano, molte sono trading companies e quindi le vere industriali che esportano sono intorno a 100mila. Stiamo per lanciare l’anno prossimo un progetto strategico, denominato Database degli esportatori, per mappare in maniera puntuale chi ha esportato, dove e per poter fare iniziative proattive. Fra i vostri prodotti e servizi, quali sono quelli più collaudati e di successo? Quanto tempo è necessario mediamente per poterne usufruire? Abbiamo capitoli di servizi molto diversi tra di loro. Quello tradizionale è la grande fiera, in cui organizziamo uno stand collettivo, aiutiamo gli imprenditori a partecipare a questo stand e poi realizziamo anche un lavoro di be-to-be. Chi partecipa con noi, quindi, a una grande fiera ci chiede successivamente di organizzare degli incontri mirati con i buyer. Un secondo filone di servizi sono gli incoming, che rappresenta uno strumento molto efficace: invece di andare noi lì, facciamo venire i buyer o gli opinion leader nei nostri territori, nelle aziende. È uno strumento potente, che ha il vantaggio di costare poco e di essere molto efficace se fatto bene, altrimenti rischierebbe di essere uno spreco di denaro pubblico se non si seleziona bene. Molto spesso l’incoming, organizzato a livello locale (Regione o Camera di Commercio locale), senza il supporto dell’ICE rischia di essere la classica attività che alimenta un ecosistema professionale locale, ma che non genera
  • 22. People22 l’impatto di secondo grado che ci interessa. L’incoming comporta un po’ di ospitalità - l’albergo, il ristorante -, ma se è fatto bene porta ricchezza e occupazione con gli ordini che ne seguono. Diciamo che da oggi a tre anni riuscirete ad avere gli indicatori se... No, se l’incoming è fatto bene ce ne accorgiamo subito. Abbiamo realizzato in queste settimane degli incoming dal Tarì di Marcianise a varie filiere agroalimentari e i buyer, 50, 60, 70, 80 buyer, i più assoluti, e quindi il ritorno lo si ha subito, non bisogna aspettare un anno. Viceversa, su iniziative di più ampio respiro, quello che stiamo facendo in paesi emergenti ancora lontani dallo sviluppo, è chiaro che si mette un seme nel terreno e poi si vedrà nel tempo l’evoluzione. Un terzo filone di attività è il lavoro con la grande distribuzione del prodotto italiano, quindi la promozione, cofinanziata dallo Stato italiano. Questo significa selezionare nuovi operatori: andiamo dal grande distributore e gli diciamo che il Governo italiano vuole investire uno/due milioni per la promozione dell’Italia, in cambio chiediamo lo spazio proporzionale in store, con le migliori vetrine e location. Alla fine dell’operazione consuntiviamo quanto è venuto in più e diamo i soldi al distributore. Questo è un modello molto moderno e funzionale, già sperimentato con successo in Germania... Quindi vi assumete il rischio dell’iniziativa? No, lo condividiamo con l’interlocutore, gli diamo un incentivo proporzionale al delta venduto. Un quarto filone di assistenza è il be-to-be, quindi la ricerca del partner. Partner vuol dire o un importatore o un partner distributivo, spesso anche un investitore, perché l’esperienza dimostra che chi investe in aziende industriali italiane è quasi sempre un soggetto che aveva già un’interazione con il prodotto italiano come partner distributivo o come partner di una joint venture o semplicemente come importatore. Qual è la percentuale di pratiche che si fermano e/o che non vanno a buon fine? Non dobbiamo ragionare in termini di pratiche che vanno a buon fine, dobbiamo ragionare in termini di un grande know- how da mettere a disposizione di un numero enorme di aziende italiane, facendo loro concentrare e focalizzare gli sforzi e poi, una volta fatto questo filtro, lì dobbiamo misurare il tasso di successo. In questo momento abbiamo un tasso di soddisfazione, di coloro che utilizzano i nostri servizi, superiore al 90%. Abbiamo fatto un enorme sforzo e gli uffici sono valutati sulla soddisfazione del cliente, non solo misurata come schede servizio che facciamo durante le iniziative promozionali, fiere, eccetera, ma anche con un controllo a campione da parte di una società di ricerche di mercato indipendente. E in che modo la categoria dei Commercialisti può stringere alleanze con voi o aiutarvi ed esservi di supporto? I professionisti hanno un ruolo decisivo. Uno dei nostri problemi è filtrare richieste velleitarie o poco mirate. Per noi è molto utile la figura del professionista perché è in grado di fare un primo livello di filtro, avendo il professionista la sensibilità, conoscendo tante aziende, di capire se c’è il prerequisito minimo per fare impresa all’estero. Una seconda cosa su cui mi aspetto molto dall’ecosistema professionale è la seguente: la principale debolezza oggi del sistema italiano sull’export è la difficoltà di avere accesso al credito all’esportazione; il sistema professionale, specialmente i commercialisti, lavorando per definizione sulla parte amministrativa e finanziaria delle aziende, possono essere interlocutori fondamentali per aiutare le aziende a trovare il migliore supporto finanziario dalla banca, dal sistema SACE e CDP con l’Export Creating Finance, in modo tale che non si impalli proprio sull’elemento finanziario che rappresenta l’anello debole. Pertanto, il commercialista, che è un professionista molto versatile in grado di capire gli elementi finanziari e organizzativi, rappresenta per noi un filtro prezioso. Mi aspetto molto dal sistema professionale e stiamo facendo accordi con associazioni di professionisti, società di consulenza, banche di affari, avvocati e quindi mi aspetto molto proprio dal sistema commercialisti. Sono straconvinto che vedremo sempre più il commercialista sensibile alle opportunità di un’azienda di esportare per crescere e anche la sensibilità di capire che ci sono dei professionisti di supporto all’export che si chiamano Agenzie ICE che sono lì, pagate dal contribuente, per aiutare le aziende italiane. Riccardo Maria Monti, Presidente ICE
  • 23. 23People Profilo ICE Un nuovo brand, una nuova organizzazione, una rete estera ridisegnata, nuovi servizi. Se dovessimo fare un’estrema sintesi dell’universo dell’Ice agenzia, potremmo dire che è un ente che aiuta le aziende italiane ad entrare nei mercati mondiali più dinamici, favorendo i contatti con gli interlocutori giusti. In realtà, l’attività dell’istituto è molto articolata, e mira a seguire l’intera filiera commerciale del prodotto, veicolandolo dall’azienda madre al mercato di destinazione. Attraverso quattro macro aree di attività (informazione, assistenza, consulenza, promozione e formazione), l’ICE agenzia affianca le imprese italiane che vogliono internazionalizzarsi, per competere in modo efficiente nel mercato mondiale. Al tempo stesso, incoraggia le imprese estere a considerare il nostro paese un partner affidabile. Gli uffici aiutano le aziende non ancora o non sufficientemente proiettate all’estero ad entrare nei mercati più dinamici indicando loro i giusti interlocutori, con l’attenzione massima alla customer satisfaction. L’auspicio di ICE è che esse possano trovare i servizi più vicini alle loro esigenze. I segnali a riguardo sono positivi e di rinnovata fiducia. Il nuovo corso dell’ICE è testimoniato da un rinnovato piano d’azione, che mira a rendere il made in Italy più forte che mai. A tal fine, il Governo per il 2014 ha raddoppiato i fondi promozionali – in circa 78 milioni complessivi- per il raggiungimento di questo obiettivo e ha incaricato l’agenzia di gestire la rinascita commerciale delle aziende delle Regioni del Sud d’Italia. Il piano Export Sud, infatti, vuole valorizzare le numerose eccellenze meridionali, al fine di trasformarle in imprese export oriented. Sono numerose, infatti, le PM imprese che non riescono a decollare: il compito di ICE è di affiancarle nel viaggio e di ancorarle all’export. Il raddoppio dei fondi promozionali darà ulteriore slancio alle attività di ICE: nell’anno in corso coinvolgerà 60 paesi (+50%), presidiando 90 settori (+80%) in quasi 900 iniziative (+200%) rispetto al 2013. Per i prossimi mesi, ICE conta di portare stabilmente all’estero più di 20.000 nuove aziende. L’agenzia potrà contribuire a raggiungere l’obiettivo prefissato dal Paese Italia di 600 miliardi di euro di export italiano nel 2017. Per raggiungere obiettivi così importanti, ambiziosi ma perseguibili, si necessita di una forte cooperazione a livello istituzionale: sinergia, infatti, è la nuova parola chiave nel modello della c.d. Cabina di Regia per l’Italia internazionale, l’organo istituito dal Governo in cui convergono tutti gli attori pubblici e privati nazionali con proiezione estera delle loro attività. Le imprese esportatrici italiane proseguono infatti nel loro processo di diversificazione dei mercati di destinazione spostandosi su quelli più dinamici, i Brics ed altri paesi di recente industrializzazione o emergenti. In questo senso i nuovi accordi di libero scambio in negoziazione con diverse aree del mondo lasciano ben sperare per il futuro e daranno nuovo slancio al Made in Italy. Il contesto internazionale è sempre più complesso. Le imprese italiane subiscono in questi nuovi mercati la concorrenza dei paesi avanzati sui prodotti di medio alto livello tecnologico (dalla Germania, in particolare, anche essa però ancora molto concentrata sull’area Euro), e di quelli emergenti (soprattutto la Cina) per quanto riguarda i prodotti di fascia qualitativa e di prezzo più bassa. In quest’ottica, la nuova Agenzia per l’Internazionalizzazione ha rafforzato la sua presenza all’estero aprendo nuove sedi in Paesi strategici dell’Asia, dell’Africa e negli Stati Uniti e spostandone altre in luoghi dove c’è maggiore richiesta di assistenza da parte dei nostri imprenditori.
  • 24. D’Aiuto: “Pmi, avanti tutta” Per l’AD e direttore generale di Simest le aziende italiane sono ben qualificate in tanti settori e possiedono un know- how da valorizzare sui mercati A cura della Redazione
  • 25. 25People Il fattore dimensionale delle aziende, potenzialmente esportatrici italiane, è superabile oppure no? Ha una ricetta da proporci? La dimensione medio piccola delle imprese sui mercati internazionali non giova. Le nostre pmi, prima della crisi, esportavano su due o tre mercati massimo; ora, con la crisi in atto, abbiamo raddoppiato. In altri termini, lo stimolo ad essere presenti su più aree di mercato è stato molto forte. In tal senso c’è il riscontro di un’evoluzione positiva delle nostre pmi; sicuramente le aziende hanno necessità, per accedere con successo ai mercati esteri, di supporto sia in fase promozionale (il ruolo di ICE è molto importante con la sua presenza capillare sui principali mercati esteri), sia nel momento in cui si individuano le modalità per realizzarlo. Generalmente, noi supportiamo le aziende in tutti gli step di sviluppo, innanzitutto con l’individuazione di business ad hoc, commesse commerciali o anche investimenti e con tutto quello che rappresenta il radicamento. Sono programmi che durano due anni, permettendo quindi all’azienda di realizzare un investimento ed essere supportata finanziariamente con questo strumento. Molto viene fatto dai colleghi proprio nella fase di consulting, cioè di indirizzo sull’orientamento dell’azienda su un determinato mercato anziché un altro. Il passaggio successivo dell’azienda è quello di investire. Ci sono anche tante crescenti piccole medie imprese che investono per presidiare efficacemente una certa area di mercato. Esistono barriere di carattere tariffario, doganale o di altro tipo che a volte non consentono di presidiare al meglio un mercato. Noi facciamo questo lavoro di affiancamento, per comprendere come, dove e in che paese è più opportuno investire, e per comprendere il target di mercato che si pone una certa azienda, insieme agli aspetti organizzativi. Non dimentichiamo che un’azienda piccola presenta una naturale debolezza nella disponibilità di risorse umane, aspetto, questo, che va considerato perché il suo progresso sia commisurato alle sue capacità di sviluppo. Pertanto, noi cerchiamo di accelerare lo sviluppo di queste imprese con un ventaglio di investimenti, cerchiamo di capire come realizzarlo e in che misura. In particolare, lo finanziamo con capitale di rischio SIMEST, lo affianchiamo per gran parte dei paesi con un fondo di equità (un venture capital pubblico), che noi gestiamo; quindi, anche con una semplicità di rapporto che ha l’azienda, avendo un unico interlocutore che fa sia l’assistenza, sia la partecipazione SIMEST e venture capital. A questo si aggiunge l’attenzione per rendere il più agevole possibile la realizzazione dell’investimento, quindi facilitare il network sui mercati per l’insediamento (il miglior sito), per vedere quali sono i fornitori di cui ha bisogno quell’azienda e come poi si sviluppa il processo di sviluppo commerciale. Il pacchetto da noi offerto a queste aziende è considerevole: partecipazione al capitale di rischio, agevolazione sulla quota che le aziende sottoscrivono in termini di CAPEX fino al 51% (con un contributo conto interessi che rappresenta un’altra agevolazione che gestisce SIMEST); se necessario od opportuno leverare il progetto con finanziamenti di terzi, abbiamo rapporti con le principali banche a livello internazionale, e siamo partner delle maggiori istituzioni sovranazionali. Quindi ci rapportiamo con tutti a seconda delle aree di mercato: con la EFC in quasi tutto il mondo, con l’EBRD per i Balcani, il CAF in Sudamerica, ecc.; questo ci permette di stabilire rapporti correnti, a volte formalizzati in “Il nostro supporto allo sviluppo è a tutto tondo nell’impresa, diamo il massimo del supporto per rendere questa crescita innanzitutto più sicura, ma anche e soprattutto più veloce di quella che farebbe da sola”
  • 26. People26 accordo e a volte semplicemente buoni rapporti operativi, che ci consentono di realizzare non solo qualche progetto più impegnativo, ma di offrire una larga assistenza alle pmi. Attualmente, il SIMEST è l’unico intermediario finanziario riconosciuto dall’Unione Europea; per questo stiamo attivando una serie di fondi, che mette a disposizione l’Europa per lo sviluppo delle pmi o per progetti con un impatto positivo (ad esempio il settore delle energie rinnovabili). I programmi si stanno implementando e noi contiamo che, nello spostamento degli obiettivi europei a uno sviluppo delle pmi in generale e del manifatturiero in particolare, nel programma 2014-2020, ci inseriremo per capitalizzare al massimo quelle che saranno le strumentazioni che l’Europa metterà a disposizione delle imprese in generale e soprattutto delle pmi. Poiché vi sono stime di ripresa economica per l’Eurozona e gli Stati Uniti nei prossimi anni, secondo lei, tra le nostre aziende, chi spiccherà il volo verso l’estero? Sicuramente le imprese più dinamiche. Noi vediamo che aumentano le imprese, soprattutto le pmi, esigenza questa che è diventata proprio un indirizzo di necessità. L’azienda deve svilupparsi all’estero e questo sta facendo aumentare il numero, anche di piccole e medie imprese, che si affacciano all’internazionalizzazione. Ma in Italia, con una perdurante crisi, con stime di debole produttività, nei prossimi anni che riflessi ci saranno sulle aziende esportatrici o potenzialmente tali? Come superare questi aspetti negativi? Abbiamo un mercato che, in quasi tutti i settori, ha flessioni non solo sui volumi, ma spesso anche sui prezzi. Il famoso rischio di deflazione è questo; pertanto, significa che le aziende, ammesso che abbiano delle quote nel nostro Paese apparentemente significative, si vedono ridurre i margini. Il costo dei fattori produttivi non è diminuito, anzi. Per questo motivo, l’azienda ha la necessità di affacciarsi sui mercati esteri; e naturalmente è più agevole o è meno difficile, a seconda di come lo vogliamo vedere: è più agevole per le aziende che hanno un prodotto di qualità o un certo livello tecnologico. Le nostre aziende sono ben qualificate in tanti settori, e lo si comprende quando si vede un’azienda di dimensioni medie o piccole che ha un significativo know-how da valorizzare sui mercati. Con queste aziende abbiamo materiale su cui lavorare. È un lavoro non facile, ma la previsione di stima dal 2014 al 2017 prevede che le nostre esportazioni aumentino quasi del 7% l’anno (6,9%), il che significa che non ci sono solo le famose aziende, ma ci sono tante piccole e medie imprese che possono influenzare lo sviluppo nei mercati esteri. Quali sono i paesi esteri più attraenti per le piccole e medie imprese italiane? Le nostre pmi devono fare attenzione non solo all’attrattività dei mercati, ma alla loro possibilità di cogliere queste opportunità. Un esempio: la Cina è un paese molto importante, ma operare in questo paese è abbastanza difficile per un’azienda molto piccola. Ma non impossibile. Per arrivare a questo ci vuole una grande capacità di assistere le aziende. Ci sono altre aree di mercato dove abbiamo sviluppato bene; per esempio, in passato abbiamo lavorato molto bene con tutti i paesi del nord Africa, anche se attualmente sappiamo che la situazione è diversa. I mercati dove le nostre aziende possono arrivare sono anche altre aree, quali i Balcani, tra i paesi più vicini, e poi le Americhe. Un grande sviluppo, oltre al Brasile come noto, c’è stato proprio in nord America e in Messico. Abbiamo avuto un grande sviluppo di aziende medio-grandi, ma anche di pmi che vedono in queste aree di mercato ampie possibilità di sviluppo e lo stiamo riscontrando in molti settori. Questi mercati, soprattutto l’economia americana, hanno reagito molto meglio alla crisi perché possono disporre meglio della propria moneta, ma anche grazie a delle politiche molto attrattive per la reindustrializzazione del paese, avviate già nel primo Governo Obama e ancor più rafforzate adesso. In quel paese stiamo facendo non solo delle nuove aziende, ma anche delle acquisizioni che riguardano molto spesso aziende medie. Lo stesso dicasi per il Messico che, avendo un’area di libero scambio molto attiva con il NAFTA, sta crescendo molto bene. Questo paese, tra l’altro, sarebbe da assumere a modello perché ha avuto la capacità di fare un forte rinnovamento nell’assetto di governance del paese stesso, sciogliendo tanti lacci e lacciuoli. L’America meridionale vede sempre il Brasile in testa, tuttavia si aprono spazi anche in altri paesi, quali Cile, Perù, Colombia. Poi abbiamo nel FARIST la stessa India che, nonostante alcune difficoltà di carattere burocratico, rappresenta un paese dove si può realizzare molto. Ed ancora ci sono altri paesi nel Farist; quando parlo della SEL, mi riferisco alla Thailandia, alla Indonesia, alla Malesia che sono aree di sviluppo, oltre naturalmente a Corea del Sud, Giappone, Vietnam... È chiaro che questi paesi hanno diverse velocità di
  • 27. 27People sviluppo, ma rappresentano realtà dove c’è un’attenzione alle nostre tecnologie e ai nostri prodotti. Dedichiamo particolare attenzione all’Africa sub sahariana, perché ci sono paesi che si stanno sviluppando fortemente e che troveremo nei prossimi cinque anni in posizioni molto importanti, non solo per le risorse di cui sono dotati, ma per il livello dei consumi che sta crescendo sia per un effetto demografico sia per un migliore utilizzo delle risorse. Quali sono gli errori più comuni che commettono le imprese neofite che intraprendono un processo di internazionalizza- zione? L’errore più tipico che in genere fanno è quello dell’imitazione. Un imprenditore italiano vede che un altro imprenditore, anche di un settore diverso, ha realizzato qualcosa di positivo in un paese e va un po’ d’istinto ad approcciarlo. L’imitazione invece dovrebbe essere nel capire come un’azienda del proprio settore, di una dimensione analoga, si è mossa in un caso di successo, quindi l’imitazione dovrebbe essere molto più approcciata con metodo. I commercialisti, questo, lo sanno bene; per noi ovviamente è il pane quotidiano e quindi cerchiamo di indirizzare l’azienda laddove la sua dimensione e le sue caratteristiche, anche di approccio al mercato, le consentono di andare e non di seguire una semplice moda. Noi invitiamo a utilizzare l’ICE per la sua competenza sulla prima conoscenza dei mercati o la promozione attraverso le fiere o l’analisi con i trade analist che hanno distribuiti in diversi paesi. Si tratta di un up to date su tutte le opportunità e le difficoltà. Infine, c’è da tener conto di un altro importante elemento, l’assicurazione del credito, soprattutto per le commesse; quando si va su queste bisogna fare attenzione alla qualità delle stesse, chi compra e tutti i rischi annessi e connessi.
  • 28. People28 ICE, SACE, SIMEST, Cassa Depositi e Prestiti, Camere di Commercio sono i principali interlocutori pubblici per le aziende che vogliono internazionalizzarsi. Nel 2011 è stato creato un Desk Italia presso il MISE per migliorare il coordinamento di queste istituzioni. Tuttavia, l’obiettivo richiesto dagli operatori del mercato è quello di un unico soggetto, con il quale l’azienda possa interfacciarsi. Secondo lei, è possibile? Sicuramente sì. Ci può essere un salto di qualità. Innanzitutto c’è una diffusa ed errata comprensione di chi fa che cosa, soprattutto sulla parte promozionale. La confusione aumenta quando, una volta realizzato il progetto di investimento commerciale, certe entità pensano di poter fare il lavoro che facciamo noi. La SIMEST è l’unica che dà i finanziamenti per l’internazionalizzazione di un certo tipo e così sostanziati. Molto spesso l’imprenditore, o chi si occupa in azienda di sviluppo, pensa che l’interlocutore possa dargli un supporto allo sviluppo del progetto, sia di natura commerciale o, peggio ancora, di natura produttiva. Lì c’è una grande disinformazione, perché ognuno vuole far vedere anche quello che non sa fare, che è un doppio danno, nel senso che ce ne sono troppi e per la maggior parte sono a costo del contribuente. Ad esempio, la quantità enorme di interventi di carattere regionale, che a volte possono essere utili, ma si tratta di interventi a pioggia; sarebbe meglio fossero più finalizzati. Poi ci sono operatori specializzati che dovrebbero coordinarsi meglio. Abbiamo già fatto un buon coordinamento con SACE e con CDP in virtù dell’accordo firmato nel 2010, insieme anche ad ABI per l’export banca. C’è da fare molto sull’aspetto informativo; ritengo questo Desk, istituito presso il Ministero dello Sviluppo Economico, molto utile e lo sarà sempre di più, così come molto utile è l’attività che stiamo svolgendo sul territorio, sempre promossa dallo stesso Ministero, dei road show indirizzati a piccole e piccolissime imprese. Quali sono stati nel 2013 - il trend nell’ultimo quinquennio - i numeri relativi alle aziende che avete assistito? Sì tratta di un trend crescente. Noi supportiamo circa settemila aziende e solo nel 2013 se ne sono aggiunte 450. Complessivamente sono circa settemila le aziende che supportiamo per gli investimenti, che per propria natura sono di meno, sono oltre mille, e quelle con i finanziamenti che sono circa seimila. In termini di numeri abbiamo gestito finanziamenti agevolati, sotto le varie forme, per circa cinque miliardi divisi nelle diverse linee di attività. Ad esempio, l’Export Edit è quello più importante come dimensione perché riguarda l’esportazione di beni strumentali, dove troviamo aziende medio-grandi; viceversa, nei finanziamenti diretti abbiamo la stragrande maggioranza, perché l’80% sono pmi. Tengo a sottolineare che quando noi supportiamo l’esportazione, dal piccolo macchinario alle linee complete, c’è di tutto, c’è un indotto di pmi formidabile e quindi bisogna anche un po’ guardare l’Italia nel suo complesso, altrimenti si perde di vista il vero obiettivo di crescita. Per quanto riguarda gli investimenti noi abbiamo attivato, attraverso le nostre partecipazioni, 2,3 miliardi di investimenti. Non è il nostro capitale, noi abbiamo investito poco meno di 140 milioni, quindi +34% rispetto al 2012. Da ultimo, tengo a sottolineare che una parte di questi investimenti sono in Italia (900 milioni circa). Da poco più di due anni, per le aziende che hanno una dinamica per esportazioni o per investimenti o per entrambi, supportiamo le aziende anche nella crescita che fanno in Italia, aumentando la capacità produttiva, l’innovazione e l’occupazione, quest’ultima con evidenti riflessi diretti sull’occupazione. Abbiamo riscontrato che queste aziende, assistite nello sviluppo all’estero, potevano essere supportate anche nella crescita in Italia. Questa attività presenta un segnale positivo; infatti, si investe ancora nel Paese e in due anni l’Italia è arrivata al secondo posto nel nostro portafoglio; poi ci sono gli Stati Uniti, il Brasile, la Russia, il Messico, l’India, la Cina... Il nostro supporto allo sviluppo è a tutto tondo nell’impresa, quindi diamo il massimo del supporto per rendere questa crescita innanzitutto più sicura, ma anche e soprattutto più veloce di quella che farebbe da sola. Tra i vostri prodotti e servizi, quali ritenete siano quelli più collaudati e di successo e quanto tempo mediamente è necessario per poterne usufruire? Penso che tutti i prodotti oramai siano messi bene a punto. Con le partecipazioni, l’attività dalla quale siamo partiti, siamo arrivati a un buonissimo livello. Questi processi si fanno in tempi molto veloci, anche se a volte l’assistenza può richiedere tempi maggiori; tuttavia, quando un progetto è definito, in 45 giorni va al board e quindi al Consiglio e nei tempi tecnici successivi si procede alle fasi tecniche di sottoscrizione. Anche gli altri prodotti SIMEST sono stati migliorati, come ad esempio l’export credito prima citato e SACE per l’assicurazione del credito. Poi c’è la patrimonializzazione, cioè la modalità per aumentare il patrimonio di un’azienda che esporta, molto indicata per le pmi, che notoriamente sono quasi sempre sottocapitalizzate.
  • 29. 29People Qual è la percentuale di progetti che si fermano e/o non vanno a buon fine? Innanzitutto si fa una selezione tra i progetti realizzabili. Se un progetto non è realizzabile, ma l’azienda ha delle capacità da poter valorizzare, si valuta un altro tipo di progetto o di assistenza. Dei progetti che arrivano alla valutazione finale, un terzo non arriva al board, perché presenta delle criticità, legate al rischio paese, al rischio di mercato, ecc.. Tuttavia, per queste aziende, messe fuori dal perimetro dei nostri rapporti, si cerca di costruire qualche altra cosa. Comunque, l’indice degli insuccessi è molto basso. Ovviamente qualche caso di insuccesso può esserci. In che modo la categoria dei Commercialisti può stringere alleanze con voi? Abbiamo già sperimentato una parte informativa, che facciamo direttamente a chi nell’ambito dei commercialisti, che sono poi la maggior parte, si occupa di internazio- nalizzazione, e anche una parte formativa. Forse dovremmo aumentare questo tipo di azioni sul territorio, nelle quali offrire, insieme ai nostri esperti e con i commercialisti, una specie di primo check gratuito di quello che stiamo facendo e avviato con le associazioni industriali e con le banche con cui ci rapportiamo. Abbiamo un azionista molto importante che è la Cassa Depositi e Prestiti, che ci consente grandi sinergie all’interno del gruppo, ma abbiamo anche questa minoranza delle principali banche italiane con cui le interazioni sono molto forti. Massimo D’Aiuto, Amministratore Delegato e Direttore Generale SIMEST Chi è SIMEST SIMEST è una società per azioni controllata da Cassa Depositi e Prestiti, azionista di maggioranza da novembre 2012 a seguito dell’acquisizione del 76% del capitale sociale precedentemente detenuto dal Ministero dello Sviluppo Economico. È rimasta invariata la compagine azionaria privata, composta da banche e sistema imprenditoriale. SIMEST è nata nel 1991 con lo scopo di promuovere investimenti di imprese italiane all’estero e di sostenerli sotto il profilo tecnico e finanziario. Dal 1999 gestisce gli strumenti finanziari pubblici a sostegno delle attività di internazionalizzazione delle imprese italiane. SIMEST costituisce un interlocutore cui le imprese italiane possono fare riferimento per tutte le tipologie di interventi all’estero e dal 2011 anche per lo sviluppo in Italia. SIMEST può acquisire partecipazioni nelle imprese italiane all’estero fino al 49% del capitale sociale in paesi extra Ue. La partecipazione SIMEST consente all’impresa italiana l’accesso alle agevolazioni, sotto forma di contributi agli interessi, per il finanziamento della sua quota di partecipazione. Inoltre SIMEST può acquisire, a condizioni di mercato e senza agevolazioni, partecipazioni fino al 49% del capitale sociale di imprese italiane o loro controllate nell’Unione Europea che sviluppino investimenti produttivi e di innovazione e ricerca; da tali acquisizioni sono esclusi i salvataggi. Nel corso del 2013, SIMEST ha approvato 68 progetti di imprese italiane all’estero e in Italia, con un impegno di 139 milioni di euro; ciò consentirà di realizzare investimenti complessivi per oltre 2,3 miliardi. Di questi progetti, 7 sono in Italia, per investimenti per oltre 900 milioni di euro. Per quanto riguarda invece i finanziamenti agevolati, i progetti approvati nel 2013 sono 388 per quasi 5 miliardi di euro di finanziamenti. Le attività di SIMEST, infatti, oltre alla partecipazione al capitale, sia direttamente che attraverso il Fondo pubblico di Venture Capital, comprendono anche gli incentivi alle imprese, ovvero le agevolazioni per i crediti all’esportazione (d.lgs. 143/98), i finanziamenti per programmi d’inserimento sui mercati esteri in paesi extra UE (legge 133/08, art. 6, c. 2 lett. a), i finanziamenti per gli studi di prefattibilità, fattibilità e assistenza tecnica (legge 133/08 art. 6, c. 2 lett. b), i finanziamenti agevolati per la patrimonializzazione delle pmi esportatrici (legge 133/08 art. 6 c.2 lett. c) e i finanziamenti agevolati per la prima partecipazione a fiere/mostre in paesi extra UE (legge 133/08, art. 6, c. 2, lett. c). Sono offerti inoltre servizi di ‘financial advisor’ e ‘business scouting’.
  • 30. Castellaneta: “Internazionalizzazione, la sfida del futuro” Le imprese che sono riuscite a fronteggiare e vincere questi anni difficili sono quelle che hanno saputo anticipare i tempi rivolgendosi verso mercati sempre più lontani A cura della Redazione
  • 31. 31People Come è cambiato l’approccio ai mercati esteri negli ultimi anni? L'export è ormai diventato la via da percorrere per tornare a crescere. L’onda lunga della crisi ha spinto molte imprese verso nuove destinazioni ad alto potenziale: mercati spesso lontani e complessi, che offrono notevoli opportunità per i settori di eccellenza del Made in Italy, ma anche, inevitabilmente, rischi. Contrariamente alla percezione comune, i nuovi mercati non sono appannaggio solo delle imprese di grandi dimensioni. Anche le pmi ormai intraprendono percorsi di internazionalizzazione complessi, spingendosi lontano, spesso al seguito di grandi gruppi industriali (di cui sono fornitrici e di cui sfruttano le economie di scala), ma spesso anche in autonomia, provando a fare un salto di qualità importante che richiede notevoli investimenti, know how e capacità di valutare e gestire rischi. La scelta di giuste alleanze e il rafforzamento della presenza in loco sono una base fondamentale per crescere in sicurezza. Poiché vi sono stime di ripresa economica per l’Eurozona e per gli Usa, nei prossimi anni, tra le nostre aziende, chi spiccherà il volo verso l’estero? L’ultimo anno è stato caratterizzato da una crescita debole a livello globale, una graduale ripresa dei mercati avanzati e dal rallentamento dei principali Paesi emergenti. Per l’Italia, accanto ai segnali positivi provenienti dall’export e dal pagamento dei debiti arretrati della Pubblica Amministrazione, restano ancora in sospeso importanti interrogativi connessi al rilancio occupazionale, ai rischi di insolvenza e all’accesso al credito. E queste saranno le sfide per le nostre imprese anche nei prossimi anni. Il persistere di una congiuntura particolarmente complessa è ben rappresentato dai 402 milioni di euro di indennizzi che SACE ha liquidato nel 2013. Un dato che ha consentito a molte aziende di mitigare gli impatti della crisi. Ma le imprese che sono riuscite davvero a fronteggiare e vincere questi anni difficili sono quelle che hanno saputo anticipare i tempi rivolgendosi verso mercati sempre più lontani. Lo dimostrano le rilevazioni dell’ultimo Rapporto Export di SACE che ci dice che le vendite del Made in Italy all’estero negli ultimi cinque anni hanno intrapreso un cammino di crescita moderata ma progressiva, che ha consentito di recuperare i livelli pre-crisi già nel 2011 (375 miliardi di euro di export in valore) e che è destinato a continuare nel medio/lungo termine. Sono cambiati i mercati di riferimento, ma non la struttura settoriale dell’export italiano. La nostra vocazione esportativa è rimasta intatta e si è anzi sviluppata con la crisi, rafforzando un modello già delineato agli inizi degli anni Duemila. In questo processo, trainato dalla ricerca di mercati sempre nuovi, spiccano le performance dei beni d’investimento a medio-alta tecnologia al fianco dei prodotti del nostro manifatturiero e dei beni agroalimentari. I beni intermedi risentiranno invece dell’incertezza della ripresa in Europa, destinazione di ben oltre la metà delle vendite all’estero per queste produzioni. Il lento recupero della domanda europea potrà tuttavia favorire ulteriormente il processo di riposizionamento in altri mercati, a conferma di come le difficoltà del Vecchio Continente continuino a essere un importante motore di cambiamento. Quali sono i Paesi esteri più attraenti? Il quadro delle opportunità per l’export italiano risulterà piuttosto eterogeneo. La classifica “top market”, stilata da “Nelle strategie di internazionalizzazione, la dimensione d’impresa conta: grazie a essa si ottiene più facilmente l’accesso ai mezzi finanziari necessari, si attirano capacità manageriali di livello internazionale, si possono elaborare strategie industriali di ampio respiro e lungo termine”
  • 32. People32 SACE per segnalare i mercati a maggior potenziale di export nei prossimi quattro anni, include un mix di destinazioni difficilmente etichettabili: da un lato, riflette a pieno la prevalenza dei maggiori mercati emergenti (Cina, Russia, Brasile e Turchia) e l’affermazione di nuove mete meno battute (Indonesia, Messico, Arabia Saudita ed Emirati); dall’altro lato, conferma la rilevanza di mercati avanzati ormai consolidati quali Stati Uniti e Regno Unito. A fronte di nodi strutturali da risolvere in economie come quella cinese, indiana e brasiliana, i maggiori incrementi della domanda si avranno soprattutto in economie per certi aspetti “nuove”, i cui nomi ricorrono meno frequentemente sui media, ma che offrono interessanti margini di crescita: come Filippine e Indonesia, Perù e Colombia, Mozambico e Kenya… solo per citare alcuni esempi nei diversi continenti. L’area dove l’export italiano crescerà a ritmi superiori alla media sarà il Medio Oriente, grazie a mercati come Arabia Saudita ed Emirati Arabi, caratterizzati da profili favorevoli di rischio politico ed economico. Prospettive positive per l’export emergono anche nell’Africa sub-sahariana, grazie allo sviluppo e alla crescita della classe media in quei Paesi e all’impegno di alcune nazioni a diversificare l’economia, sviluppando il settore manifatturiero. Il limite dimensionale delle aziende esportatrici italiane è superabile? Naturalmente, nelle strategie di internazionalizzazione, la dimensione d’impresa conta: grazie a essa normalmente si ottiene più facilmente l’accesso ai mezzi finanziari necessari, si attirano capacità manageriali di livello internazionale, si possono elaborare strategie industriali di ampio respiro e lungo termine, in cui gioca un ruolo importante l’utilizzo di strumenti assicurativi e finanziari. Non esistono ricette, ma chiaramente c’è una forte esigenza di maggior sostegno per le imprese di dimensioni più piccole. Avvalersi di un partner può essere la scelta giusta. Pensando proprio a loro, SACE ha attivato il nuovo servizio di Advisory, per accompagnarle, passo dopo passo, nelle diverse fasi dei loro piani di internazionalizzazione. Questo servizio di consulenza è stato ideato - facendo tesoro dell’esperienza che SACE ha accumulato negli anni - proprio per fare emergere tutti gli aspetti strategici connessi alla
  • 33. 33People crescita sui mercati esteri, mettendo a disposizione delle aziende un team di specialisti in grado di fornire supporto manageriale per la preparazione, valutazione, e realizzazione delle singole opportunità. Advisory offre un’assistenza a 360° per valutare a pieno la coerenza dell’approccio ai singoli mercati e i diversi profili di rischio possibili (di credito, politici, normativi, ambientali) e per proporre strutture finanziarie e assicurative efficaci a supporto delle singole transazioni commerciali e di investimento. Con un unico obiettivo: rendere SACE un vero e proprio one stop shop per l’internazionalizzazione. Di pari passo, è proseguito lo sviluppo della nostra rete domestica, sempre più vicina ai clienti sul territorio, e la positiva collaborazione con Cassa depositi e prestiti, Banca Europea per gli Investimenti e gli intermediari creditizi. Resta l’esigenza comune di un mercato dei capitali più ampio ed efficiente, che possa svolgere una funzione complementare al canale bancario. SACE ha dato prova di poter sostenere lo sviluppo di fonti alternative di finanziamento come i project bond, oltre alle emissioni obbligazionarie per progetti esteri che vedono coinvolte aziende italiane in qualità di esportatori o investitori. Un impegno che intendiamo rafforzare, dando il nostro contributo alla creazione di un mercato italiano dei capitali in grado di soddisfare l’elevata domanda di credito del sistema. In che modo il commercialista può aiutarvi nel vostro ruolo? Il commercialista è un punto di riferimento fondamentale per le aziende, è il professionista a cui affidano lo studio e l’implementazione di tutti gli aspetti normativi, fiscali, finanziari e assicurativi relativi alla propria attività. Per questo motivo è estremamente importante l’attività che l’Ordine fa a supporto dei propri associati, per informarli e formarli riguardo gli strumenti messi a disposizione delle aziende da parte di realtà come SACE. Un commercialista, adeguatamente formato, può aiutare a colmare il gap conoscitivo tra SACE e aziende da lui assistite, rappresentando i rischi a cui le aziende sono esposte nell’operare con l’estero, sensibilizzandole sulle ricadute positive sulla gestione del business, nei rapporti con le banche e le controparti, che derivano dalla copertura dei rischi fornita dagli strumenti di SACE, e infine supportandole nella gestione delle polizze e garanzie. Giovanni Castellaneta, Presidente SACE Profilo di SACE SACE sostiene la crescita dell’economia italiana attraverso il suo asse portante: le imprese. Lo fa con un’ampia gamma di prodotti e servizi, non solo assicurativi ma anche finanziari, che coprono tutte le esigenze delle aziende che competono fuori dall’Italia: accesso a finanziamenti per l’internazionalizzazione, assicurazione delle vendite dal rischio di mancato pagamento, protezione degli investimenti esteri dai rischi politici, garanzie fideiussorie per gare e commesse, smobilizzo dei crediti vantati con le controparti. Dal 2004, anno in cui è stata trasformata in società per azioni, ha avviato una fase di crescita costante, grazie a una gestione di forte impronta privatistica. Il suo portafoglio di operazioni, quintuplicato in dieci anni, è oggi pari a 72 miliardi di euro, con una forte focalizzazione sui mercati emergenti (80% degli importi complessivi), dove, in assenza di SACE, molte imprese troverebbero grandi barriere all’entrata. Proprio per facilitare una migliore comprensione dei mercati di destinazione e dei rischi connessi, SACE ha sviluppato e messo a disposizione gratuitamente sul proprio sito la Country Risk Map: un mappamondo interattivo da cui è possibile ottenere, in pochi clic e per i 189 Paesi coperti, valutazioni adeguate delle varie tipologie di rischio a cui si espongono le imprese operando all’estero. Tra il 2004 e il 2013 ha registrato un utile netto medio annuo di 400 milioni di euro e distribuito all’Azionista (prima il Ministero dell’Economia e Finanze, poi Cassa depositi e prestiti) oltre 7 miliardi di euro tra dividendi ordinari e straordinari. Nello stesso periodo la sua redditività è stata sistematicamente superiore ai valori medi di settore. SACE ha un rating (A-, Fitch) superiore a quello della Repubblica italiana.
  • 34. Nicastro: “Con l’internazionalizzazione, il Paese riparte” Per il direttore generale di Unicredit l’impresa che internazionalizza rappresenta il settore che può essere da traino per il rinnovamento del nostro sistema economico e del sistema Paese A cura della Redazione
  • 35. 35People Oggi esistono molte limitazioni all’accesso al credito bancario, soprattutto per le piccole e medie imprese; quali sono i vantaggi finanziari specifici che la vostra banca offre alle aziende che esportano e che vi vengono a presentare un progetto dedicato alla loro internazionalizzazione? Anzitutto una premessa sul tema delle limitazioni oggettive di accesso al credito: quello che noi vediamo esserci oggi è più ‘equity crunch’ che un ‘credit crunch’, nel senso che le imprese che hanno maggiore difficoltà ad avere accesso al credito tendono a essere quelle che già hanno livelli di indebitamento elevato. E quando c’è indebitamento elevato, e magari in condizioni di mercato non semplici, non è sano, anzitutto per l’impresa stessa, aggiungere debito a debito. Peraltro questa casistica è meno frequente nel caso delle imprese che internazionalizzano, che tendono ad avere in media un merito creditizio superiore rispetto alle imprese che stanno solo sul mercato nazionale. Anche per quello che è il dna del Gruppo, per la nostra forte presenza all’estero e per il ruolo di traino che queste imprese hanno sull’intera economia Italiana, esse rappresentano per UniCredit una priorità assoluta. In questa prospettiva stiamo da tempo realizzando parecchie iniziative miranti ad aiutare le nostre imprese, anche piccole, che internazionalizzano; non solo per supportarle finanziariamente, ma anche per aiutarle a trovare le controparti commerciali, in diversi mercati, e in diversi settori e rispetto a parecchi grandi progetti infrastrutturali. Un tema molto importante è poi quello di garantire l’affidabilità delle nostre imprese nei confronti delle controparti estere, come pure, in senso opposto, di aiutarle a comprendere se gli attori con cui si confrontano, gli importatori per esempio di un certo paese, sono interlocutori affidabili. Peraltro l’impresa che internazionalizza spesso può essere il traino per il rinnovamento del nostro sistema economico e del sistema Paese. È quindi un aspetto che vale doppio, da certi punti di vista. Germania docet: la ripartenza di tutta l’economia tedesca è stata tirata dall’export. Ci può fornire qualche numero, anche rispetto al totale dei vostri finanziamenti concessi, … Abbiamo lanciato nel 2012 un progetto, che si chiama Unicredit International, articolato su diversi filoni. Uno di questi era quello di avviare l’accompagnamento all’estero delle imprese che ancora non l’avessero seriamente battuto; da quando abbiamo avviato il progetto (sono passati circa due anni), abbiamo accompagnato all’estero quasi 14mila imprese, e quasi mille di queste attraverso eventi che chiamiamo B2B, dove le mettiamo a contatto con i buyer di settori specifici. Tipicamente di settori importanti per il Made in Italy, penso, ad esempio, al settore del vino, dell’agro- industriale, del tessile, della meccanica strumentale, dell’arredo-design; noi li mettiamo in contatto con buyer operanti nei paesi in cui abbiamo in genere una forte presenza (come Europa, Germania, Turchia), ma anche con buyer provenienti dall’Estremo Oriente. Cambia anche il ruolo della banca. Stimiamo in circa il 16% la nostra quota di mercato con l’estero. Si tratta della nostra attività bancaria che sta crescendo maggiormente, ormai da tre o quattro anni a questa parte in Italia. Per esempio, attualmente è in corso tra Italia e Turchia un focus specifico sui settori tessile e abbigliamento, sull’agri-food che coinvolge tre regioni; in giro per il mondo abbiamo creato dei ‘desk’ per la clientela italiana: quando un nostro cliente va in Polonia, in Russia o in Turchia, in Germania, eccetera, trova nostri colleghi che parlano italiano e che possono aiutarlo a 360 gradi. Parlando più in generale, ci siamo impegnati a varare 120 miliardi di nuovi finanziamenti nei prossimi tre anni. Una quota estremamente elevata rispetto ai nostri stock creditizi. Peraltro ci siamo anche impegnati a ribaltare sul cliente i benefici della TLTRO della BCE. “Le aziende italiane hanno prodotti di qualità molto ambiti e ricercati all’estero. La loro debolezza sta nella distribuzione e nel marketing...”