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A
2. 2021
Bollettino dell’OMCeOMI
INFORMAMI
2.2021 ANNO LXXIV
PROFESSIONE
Smartworking, le ricadute
sulla salute
pag. 13
SANITÀ
Associazioni di pazienti e
ricerca in medicina
pag. 25
INTERVISTA
A colloquio con la ministra
della ricerca Messa
pag. 33
Piano nazionale della prevenzione
2020-2025
360°
pag. 5
B INFORMAMI
I telefoni dell’Ordine
Ricordiamo che, ai sensi dell’art. 16 comma 7 D.P.R. 185/2008, sei tenuto a comunicarci il tuo indirizzo di
Posta Elettronica Certificata (PEC). Se non lo hai già fatto, segnalalo inviandolo a: segreteria@pec.omceomi.it
Grazie.
Direzione
Dott. Marco CAVALLO
tel. 02.86471.1
Segreteria del Presidente
Sofia CAPPELLARO
tel. 02.86471410
Segreteria consigliere medicina generale
Cinzia PARLANTI
tel. 02.86471400
Segreteria del vice presidente
Silvana BALLAN
tel. 02.86471423
Segreteria del consigliere segretario
Laura CAZZOLI
tel. 02.86471413
Segreteria commissioni
Maria FLORIS
tel. 02.86471417
Ufficio Legale/Avvocatura
Avv. Mariateresa GARBARINI
tel. 02.86471414
Avv. Daniela MORANDO
tel. 02.86471405
Ufficio giuridico amministrativo
(Procedimenti disciplinari)
Dott. Gabriele AVANZINI
tel. 02.86471426
Ufficio iscrizioni,
cancellazioni, certificati
Alessandra GUALTIERI
tel. 02.86471402
Cinzia PARLANTI
tel. 02.86471400
Maria FLORIS
tel. 02.86471417
Dott.ssa Eugenia CERMIONI
tel. 02.86471448
Front office
Cinzia PARLANTI (Stampa)
tel. 02.86471400
Maria FLORIS
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Amministrazione e contabilità
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Contabilità - visti d’equità
Gabriella BANFI
tel. 02.86471409
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Barbara CLEMENTE
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Ufficio Stampa - sito istituzionale
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tel. 02.86471449
Aggiornamento professionale ECM
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tel. 02.86471401
Dott.ssa Mariantonia FARINA
tel. 02.86471449
Dott.ssa Irene PISANI
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Segreteria commissione odontoiatri
Silvana BALLAN
tel. 02.86471423
Stefania PARROTTA
tel.02.86471428
Pubblicità sanitaria e psicoterapeuti
Dott.ssa Francesca PERSEU
tel. 02.86471420
CED
Lucrezia CANTONI
tel. 02.86471424
Loris GASLINI
tel. 02.86471412
Centralino
Fabio SORA
tel. 02.864711
Ufficio Rapporti con ENPAM
Katia COSTA
tel. 02.86471404
Caterina FERRERO
tel 02.86471404
Ricevimento telefonico:
lunedì e mercoledì h 14:00-16:00
martedì e giovedì h 10:00-12:00
Ricevimento in sede previo
appuntamento
lunedì e mercoledì h 10:00-12:00
martedì e giovedì h 14:00-16:00
Per prenotare il proprio
appuntamento, chiamare il numero
di telefono:
02.86471404
Una segreteria telefonica è sempre
attiva per lasciare eventuali
messaggi; il referente d’ufficio
provvederà a rispondere appena
possibile.
Ufficio Rapporti con ENPAM,
modalità di ricevimento
www.omceomi.it
Collegati con l’Ordine
3	 Occhi ben aperti
	 PIANO NAZIONALE DELLA PREVENZIONE 2020-2025
	 5	 La prevenzione, un’occasione per “ricucire” centro e territorio
	 8	 L’impatto di COVID-19 su stili di vita e screening
	 10	 Promozione della salute ed equità
	 12	 Salute, ambiente e co-benefici
	 13	 Lavoro e studio da casa, le conseguenze per la salute
	 16	 Tumori e guarigione, un concetto statistico
	 18	Post COVID-19: sintomi disabilitanti dopo l’infezione acuta	
	 20	 Trombosi e vaccini a vettore virale, rischio reale ma molto raro
	 22	 Dai camelidi la nuova frontiera della terapia mirata: i nanocorpi
	 23	 Informazione corretta e consenso del paziente in implantologia
	 25	 Il ruolo delle associazioni di pazienti in Italia
	 28	 L’etica medica sotto interrogatorio
	 31	 Occhi puntati sulle varianti
	 33	 Il primo obiettivo della ministra della ricerca Messa:
		 dare ai giovani nuove possibilità
	 37	 Le cure domiciliari per i pazienti COVID decise, purtroppo, in tribunale
	 39	 1975: Medico curante o medico fiscale del proprio assistito?
	 42	 Pandemia in filigrana
	 44	 Un brutto presagio
	 46	 Prognosi sempre infausta ma qualità della vita un po’ migliore
	 47	 Da leggere
	 48	 Da vedere	
SMARTFAD
	 I 	 Anafilassi: diagnosi e trattamento
	 II 	 Un peccato di gola
	 IV 	 Vaccinarsi è sempre bene
	 VI 	 Per evitare la via sistemica
SOMMARIO
EDITORIALE
360°
PROFESSIONE
L’INTERVISTA
SANITÀ
CLINICOMMEDIA IERI E OGGI
STORIA E STORIE
DIRITTO
2 INFORMAMI
Registrazione al Tribunale di Milano
n° 366 del 14 agosto 1948
Iscritta al Registro degli operatori
di comunicazione (ROC) al n. 20573
(delibera AGCOM n. 666/08/CONS del
26 novembre 2008).
Direttore Responsabile
Roberto Carlo Rossi
Comitato di Redazione
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Giovanni Tamborini, Vanna Avoledo,
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Redazione: Giulia Cauda, Nicoletta
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(coordinamento)
Grafica: Luisa Goglio
Autori degli articoli di questo numero:
Giulia Cauda, Sergio Cima, Cinzia
Colombo, Silvia Emendi, Valeria
Esposito, Ugo Garbarini, Fabrizio
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Luisa Goglio, Roberto Labianca,
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Segreteria
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Dati generali relativi all’Ordine
Consiglio Direttivo
Presidente
Roberto Carlo Rossi
Vice Presidente
Andrea Senna
Segretario
Ugo Giovanni Tamborini
Tesoriere
Martino Trapani
Presidente Onorario
Ugo Garbarini
Consiglieri
Vanna Avoledo, Giovanni
Campolongo, Geltrude Consalvo,
Giuseppe Antonio Deleo, Luca Ming
Wang Gala, Fabrizio Gervasoni, Maria
Grazia Manfredi, Cinzia Massafra,
Ezio Mastropasqua, Massimo
Parise, Maria Melinda Perri,
Roberto Carlo Rossi, Ugo Giovanni
Tamborini, Martino Trapani, Maria
Teresa Zocchi, Claudio Mario Attilio
Procopio, Jason Franco Ronald
Motta Jones, Andrea Senna, Sandro
Siervo
Commissione Albo odontoiatri
Presidente
Andrea Senna
Componenti
Gianpaolo Di Donato, Lucia Giannini,
Jason Franco Ronald Motta Jones,
Claudio Giovanni Pagliani, Giulia
Palandrani, Claudio Mario Attilio
Procopio, Vincent Rossi, Andrea
Senna, Sandro Siervo
Collegio Revisori dei conti
Effettivi
Alessandra Margherita De Scalzi,
Danilo Renato Mazzacane
Supplente
Piera Maria Tonelli
A
2. 2021 A
2. 2021
Bollettino dell’OMCeOMI
INFORMAMI
2.2021 ANNO LXXIV
PROFESSIONE
Smartworking, le ricadute
sulla salute
pag. 13
SANITÀ
Associazioni di pazienti e
ricerca in medicina
pag. 25
INTERVISTA
A colloquio con la ministra
della ricerca Messa
pag. 33
Piano nazionale della prevenzione
2020-2025
360°
pag. 5
Nota per gli autori
Gli articoli e la relativa iconografia impegnano esclusivamente la
responsabilità degli autori.
I materiali inviati non verranno restituiti. Il Comitato di Redazione si
riserva il diritto di apportare modifiche a titoli, testi e immagini degli
articoli pubblicati. I testi dovranno pervenire in redazione in formato
word, le illustrazioni su supporto elettronico dovranno essere
separate dal testo in formato TIFF, EPS o JPG, con risoluzione non
inferiore a 300 dpi.
Per questo numero viene
riproposta l'immagine
di copertina della rivista
Tempo Medico n. 168 del 1979.
Chiuso in redazione il 30 luglio 2021
3
2. 2021
EDITORIALE
IERI NOTTE ho avuto un incubo. Nel sogno, ero l’amministratore di una piantagione di cotone e
venivo malamente licenziato da un nerboruto maggiordomo e dai suoi sgherri. “Perché?”, continuavo a
chiedere. “Ho sempre lavorato bene!”. “Appunto”, rispondeva il maggiordomo, “questo alla proprietaria
non piace”, indicando, con la sua mano avvolta
da un morbido guanto bianco, una signora dai
capelli corti biondo-cenere, elegante che, ben
lontana dai campi dove gli operai faticavano e
sudavano sotto al sole cocente, stava sorbendo
un tè nel patio ombreggiato di una bella casa
coloniale, circondata di servitori e in compagnia
di alcuni signori ben vestiti, ma dall’aspetto
poco raccomandabile. “E poi”, soggiungeva il
maggiordomo, “lei è anche onesto! Si vergogni!”;
e a queste parole due energumeni mi buttavano
fuori dalla tenuta.
Dovrò consultare qualche esperto per capire
il significato di quanto ho sognato… ma forse tutto
è dovuto al fatto che faccio le ore piccole a scrivere
comunicati, lettere e proteste varie contro quella che è (per me) un’evidente manovra di dismissione
(svendita?) della sanità pubblica in generale e del territorio in particolare. Durante la giornata di ieri,
parlando con un autorevole collega, enumeravo una serie di fatti che, a mia interpretazione, vanno tutti
nello stesso senso; e forse questa è anche la ragione dell’incubo che ha scosso la mia nottata. Vi voglio
fare partecipi delle mie riflessioni. Innanzitutto, numerosi politici sono intervenuti sui media, negli ultimi
anni, al fine di denigrare i medici convenzionati. Chi dice che “sono pagati come un cardiochirurgo”
per far nulla, chi dice “ma chi ci va ancora dal medico di famiglia?”, chi dice “lavorano solo tre ore al
giorno”. Inoltre, alcune pseudo-inchieste sui maggiori quotidiani e sui maggiori settimanali del paese
hanno falsamente affermato che il medico di assistenza primaria prende un sacco di soldi e lavora
pochissimo. Tra l’altro, questi sottoprodotti simil-giornalistici non riescono a spiegare come mai posti
tanto remunerativi e appetibili vengano oramai lasciati scoperti a centinaia (in Lombardia si va verso le
900 zone carenti lasciate cronicamente vacanti) perché non c’è più nessun medico disposto a sacrificare
la propria professionalità e la propria vita (è proprio il caso di dirlo!) per un lavoro mal pagato, oberato
di obblighi burocratici e scarsamente considerato da un punto di vista sociale. Nella nostra regione, poi,
il de-finanziamento di tutto il territorio è lampante: servizi di epidemiologia e sanità pubblica lasciati con
pochi medici a coprire territori immensi, totale chiusura della medicina scolastica, una rete informatica
ROBERTO CARLO ROSSI
Occhi ben aperti
4 INFORMAMI
EDITORIALE
che fa acqua da tutte le parti, lenta, obsoleta e incapace di interconnettere tutti gli attori
della sanità. E ancora: specialisti ambulatoriali in numero sempre più ridotto e, ciliegina
sulla torta, gli accordi regionali per la Medicina generale meno remunerativi d’Italia.
In merito alla formazione dei futuri medici di famiglia, le cose non vanno meglio:
in Lombardia vengono messe a concorso, da sempre, un numero di borse di studio
largamente insufficiente per coprire i fabbisogni del territorio e il valore delle borse è
la metà di quello degli altri specializzandi (ma questo è un problema nazionale); e non
che la pandemia abbia cambiato le cose! Infatti, il numero di borse per gli specializzandi
quest’anno è enormemente aumentato (e meno male!), ma quello per la Medicina
generale, pur se maggiore di un tempo, è ancora del tutto carente. Ebbene, in questo
panorama devastato e desertificato, che l’avvento di COVID-19 ha reso ancora più aspro,
alcuni gruppi privati hanno cominciato a offrire visite di medicina generale a tariffe
abbordabili e si programma di dare le nuove case della salute (o case di comunità) anche
al privato.
D’altra parte, pur avendo un servizio sanitario regionale che può contare
ottime eccellenze in campo ospedaliero, anche nelle ASST pubbliche il tema del de-
finanziamento è sotto gli occhi di tutti e, oltre agli stipendi inadeguati, per dieci medici
che vanno in pensione se ne assumono tre o quattro al massimo.
Beh, sia chiaro, io non ho nulla contro il privato accreditato o il privato puro in
sanità, ma all’interno di regole chiare e soprattutto all’interno di un servizio sanitario
universalistico. Pavento invece, in questo panorama che ho descritto per sommi capi,
una pericolosa deriva; e, d’altra parte, fa anche riflettere il fatto che, negli ultimi tempi, gli
“aumenti” i lavoratori dell’industria e di altri comparti li hanno sempre di meno in termini
economici e sempre di più in termini di benefit sanitari. Così le mutue private stanno
acquistando sempre più vigore; e questo non mi piace. Si apre, infatti, uno scenario
in cui la regione (e l’erario) de-finanzia, e le famiglie devono compensare o con i loro
danari o attraverso assicurazioni private, se lavorano; ma nessuno di noi è stato abituato
a programmare una parte consistente del budget familiare per le spese concernenti la
salute.
Vabbè, l’incubo è finito. Magari mi sbagliavo. Domani è un altro giorno… Ma io
cercherò di tenere gli occhi sempre bene aperti!
I videomessaggi del Presidente
Chi non abbia ancora preso visione dell’ultimo videomessaggio o voglia riguardare i precedenti
può collegarsi alla playlist.
5
2. 2021
360°
La prevenzione, un’occasione
per “ricucire” centro e territorio
STEFANO MENNA È LA CORNICE di riferimento e lo strumento di governo indispensabile per
programmare a livello centrale gli interventi di prevenzione e promozione della salute da
declinare sul territorio, nelle diverse regioni. Approvato il 6 agosto 2020 tramite intesa in
Conferenza stato-regioni,1
il nuovo Piano nazionale della prevenzione (PNP) 2020-20252
delinea la road map per riportare al centro le politiche di prevenzione basate su prove di
efficacia, equità e sostenibilità che devono accompagnare il cittadino in tutte le fasi della
vita, nei luoghi in cui vive e negli ambienti in cui lavora. L’obiettivo generale è garantire la
salute individuale e collettiva, ma anche la tenuta del Servizio sanitario nazionale (SSN) e dei
Livelli essenziali di assistenza (LEA), messi a dura prova dalle conseguenze della pandemia.
Efficacia, equità, sostenibilità. Il Piano nazionale della prevenzione 2020-2025
rappresenta la bussola per orientare le prossime scelte di salute dei cittadini.
Si tratta di garantire l’applicazione dei Livelli essenziali di assistenza, ma
anche di ricostruire quella trama di servizi sul territorio compromessi da crisi,
tagli, risparmi. E sui quali è piombata infine l’emergenza pandemica, con le
sue conseguenze drammatiche
PIANO NAZIONALE
DELLA PREVENZIONE
2020-2025
LA SALUTE IN TUTTE LE POLITICHE
Per agire efficacemente su tutti i determinanti di
salute, il Piano punta su alleanze e sinergie tra forze
diverse, secondo il principio Health in all policies
(la salute in tutte le politiche).3
A partire dal 2006,
anno del varo della strategia elaborata dall’Unione
europea durante la presidenza finlandese, la “salute
in tutte le politiche” costituisce una nuova e più ampia
visione di sanità pubblica che coinvolge, in modo
sinergico e interdisciplinare, settori diversi della
società, istituzioni e portatori di interesse: educazione,
politiche fiscali, agricoltura, ambiente, trasporti,
comunicazione, organizzazioni di volontariato,
industria, autorità locali. Perché la salute è fortemente
influenzata da fattori esterni a quelli propri del sistema
sanitario: modificare gli stili di vita delle persone,
orientandoli al benessere, richiede non solo interventi
rivolti al singolo individuo, ma anche il cambiamento
strutturale delle condizioni sociali e dell’ambiente di
vita e di lavoro (vedi anche articolo a pagina 10).
LA PREVENZIONE DOPO LA PANDEMIA
Da questo punto di vista, SARS-CoV-2 ci ha impartito
una lezione drammatica. Ha evidenziato come gli
interventi di sanità pubblica siano fondamentali per
lo sviluppo economico e sociale di un paese e che
la salute di tutti dipende dalla salute di ciascuno.
Ma ci ha ricordato anche come uomo, animali e
ambiente siano connessi in una relazione di stretta
interdipendenza, nella quale le fasce più deboli
della popolazione (anziani e malati cronici) rischiano
di pagare il conto più salato. In barba al principio
di equità che un sistema sanitario come il nostro
dovrebbe sempre garantire.
Uno dei principali elementi di innovazione del PNP
2020-2025 è proprio l’intento di riorientare
l’intero sistema della prevenzione
verso un approccio più organico:
il documento è in linea con
la visione One Health (vedi
InFormaMi 2021;1) che vede la
salute come il risultato di uno
360° PIANO NAZIONALE DELLA PREVENZIONE 2020-2025
sviluppo armonico e sostenibile dell’essere umano e
della natura. Riconoscendo che la salute di persone,
animali ed ecosistemi sono interconnesse, punta su
un approccio multidisciplinare e intersettoriale per
affrontare i rischi potenziali o già esistenti, come le
epidemie scaturite dalla manomissione e dal degrado
degli ecosistemi, che favoriscono il salto di specie
(spillover) di nuovi patogeni dalla fauna selvatica a
quella domestica e all’uomo. Il Piano può così dare
un contributo al raggiungimento degli obiettivi
dell’Agenda 2030,4
adottata dalle Nazioni Unite per
lo sviluppo sostenibile del pianeta: una spinta verso
un approccio di promozione della salute, che tenga
conto degli aspetti economici, sociali e ambientali.
DALLA CENTRALITÀ DELLA PERSONA…
Il nuovo PNP rilancia azioni volte a incrementare
l’alfabetizzazione sanitaria (health literacy) e potenziare
la capacità degli individui di interagire con il sistema
sanitario (engagement) tramite relazioni basate su
fiducia e agire responsabile. Affermare la centralità
della persona significa riconoscere che la salute
(individuale e pubblica) è un processo determinato da
fattori sociali ed economici, oltre che biologici. Non si
tratta soltanto di un cambio di paradigma culturale:
la finalità delle politiche sanitarie di cui il nuovo PNP
si fa espressione è prevenire le malattie, ma
anche creare nella comunità e nei suoi
membri un livello di competenza,
resilienza, consapevolezza e
6 INFORMAMI
7
2. 2021
capacità di controllo (empowerment) che mantenga il
capitale di salute e migliori la qualità della vita.
… AI SERVIZI SUL TERRITORIO
Il nuovo Piano disegna i servizi essenziali attorno al
“cittadino consapevole” e mette in risalto l’importanza
di costruire una cerniera tra i grandi centri di cura
e le strutture presenti sul territorio perché i poli
ospedalieri, soprattutto se isolati e separati dal
contesto che li circonda, non possono essere l’unica
risposta ai bisogni sanitari crescenti.
Si tratta di uno degli elementi che più è mancato
nelle prime fasi dell’emergenza COVID-19: un
sistema rapido e flessibile, capace di reagire con
tempestività alle richieste della popolazione. Un
sistema che “in tempo di pace”deve tornare a garantire
il funzionamento di programmi di prevenzione
come gli screening oncologici o le vaccinazioni. È
un punto cruciale, questo, sul quale molto ci sarà da
fare: risanare le ferite che la pandemia ha in parte
provocato e in parte portato alla luce, sul “corpo” di un
SSN già fiaccato da anni di tagli, mancati investimenti
e risparmi che ne hanno messo a rischio la tenuta (vedi
articolo a pagina 28).
È allora indispensabile rafforzare le aziende
sanitarie nelle attività di prevenzione, medicina di
base e attività distrettuale, garantendo i processi
di integrazione e continuità assistenziale tra area
sociale e sociosanitaria, tra territorio e ospedale anche
facilitando lo scambio di competenze e informazioni
tra tutti gli attori del sistema, compresi i medici di
medicina generale e i pediatri di libera scelta. Per loro
il Piano prevede un coinvolgimento attivo e auspica
il superamento dell’assistenza primaria basata sullo
studio medico individuale, a favore di forme aggregate
di organizzazione: alla salute dei cittadini bisogna
rispondere in maniera organica e multidisciplinare,
24 ore su 24 e sette giorni su sette. Un modello già
attivo in alcune regioni, capace di ridurre gli accessi
impropri al Pronto soccorso, accorciare le liste di
attesa, migliorare l’appropriatezza delle prescrizioni
e l’adesione alle terapie da parte del paziente
(compliance).5
OBIETTIVI, VALUTAZIONE E CRONOPROGRAMMA
Rispetto ai sei macro obiettivi previsti (malattie
croniche non trasmissibili, dipendenze e problemi
correlati; incidenti stradali e domestici; infortuni e
Bibliografia
1
Conferenza stato-regioni 2020. Atto n. 127/CSR.
2
Piano nazionale della prevenzione 2020-2025.
3
WHO 2006.
4
Nazioni Unite. Agenda 2030.
incidenti sul lavoro; malattie professionali; ambiente,
clima e salute; malattie infettive prioritarie), il
Piano persegue l’approccio di genere come un
cambio di prospettiva trasversale, da sostenere per
evitare stereotipi e orientare all’equità le scelte di
salute. Rafforza l’approccio life course, finalizzato
al mantenimento del benessere in ciascuna fase
dell’esistenza, e per setting – cioè i luoghi o i contesti
dove è più facile raggiungere gli individui e i gruppi
prioritari su cui intervenire: scuola, lavoro, comunità,
servizi sanitari, città. Il nuovo PNP adotta infine
un sistema di valutazione basato su indicatori che
permettono di misurare nel tempo, in coerenza con
il monitoraggio dell’applicazione dei LEA, lo stato
di attuazione dei programmi. Si tratta di un sistema
flessibile e dinamico, utile per intervenire in corso
d’opera per raggiungere i risultati di salute ed equità
attesi.
Infine, il calendario delle attività: ogni regione deve
predisporre un proprio piano declinando contenuti,
obiettivi, linee di azione e indicatori del Piano
nazionale nei contesti regionali e locali. Appuntamento
poi a marzo 2022 per rendicontare quanto realizzato
nel corso dell’anno precedente. Da parte sua, il
Ministero della Salute è tenuto a mettere in campo le
linee di supporto centrale, la cosiddetta stewardship,
per contribuire al raggiungimento degli obiettivi
garantendo la coesione generale del sistema.
Assistenza territoriale: che cosa cambia
In base alla prima bozza di riforma, redatta da un Gruppo di lavoro
Agenas, a livello territoriale ci sarà un Distretto socio-sanitario ogni
100.000 abitanti per programmare, organizzare ed erogare i servizi.
Al suo interno sono previste un minimo di quattro “Case della
comunità” con équipe multidisciplinari, per favorire la capillarità dei
servizi e una maggiore equità di accesso nelle aree interne e rurali;
un’Unità speciale di continuità assistenziale (USCA, cioè un’équipe
mobile distrettuale per la gestione di situazioni clinico-assistenziali
di particolare complessità e di comprovata difficoltà operativa);
due Ospedali di comunità; un hospice dedicato a persone affette da
patologie oncologiche, croniche, neurodegenerative, irreversibili e
in stadi avanzati) e una Centrale operativa territoriale. Il documento
dedica grande spazio anche alla telemedicina e alla digitalizzazione
della pubblica amministrazione, nonché all’attivazione di un numero
verde che consentirà di gestire l’assistenza domiciliare.
8 INFORMAMI
UN’INDAGINE realizzata tra agosto e dicembre
2020 dalla sorveglianza di popolazione PASSI
d’Argento (Progressi delle aziende sanitarie per la
salute in Italia), su un campione di oltre 2.600 ultra
65enni, mostra il rallentamento di visite mediche ed
esami diagnostici cui si è andati incontro a causa della
pandemia. Il 44% degli intervistati ha dichiarato che
nei 12 mesi precedenti ha rinunciato ad almeno una
visita o a un esame di cui avrebbe avuto bisogno, il
28% si è visto cancellare la visita per la sospensione
dei servizi, mentre il 15% ha rinunciato per paura
del contagio. Disagi e ritardi che hanno riguardato
soprattutto le persone con difficoltà economiche (52%
vs 42% di chi non ha difficoltà economiche) e quelle tra
i 65 e i 74 anni (45% vs 39% tra gli ultra 85enni).1
Inoltre nel 2020 quasi un milione di donne non ha
ricevuto l’invito per lo screening mammografico
(-947.322, pari a una contrazione del 34,5% rispetto allo
stesso periodo del 2019), e quasi due milioni di persone
(1.907.789, -42%) di entrambi i sessi non sono state
chiamate per eseguire lo screening colorettale. I dati,
raccolti dall’Osservatorio nazionale screening (ONS),2
descrivono con chiarezza l’impatto della pandemia
di COVID-19 sul Sistema sanitario nazionale e sulla
sua capacità di risposta a un evento inatteso. Non
360°
L
’impatto di COVID-19
su stili di vita e screening
Screening oncologici saltati, visite ed esami rinviati,
aumento di fumatori e bevitori a rischio. I dati di
sorveglianza epidemiologica lanciano l’allarme sull’impatto
della pandemia sulla prevenzione. Le conseguenze
di salute pubblica, già oggi significative, rischiano
di trascinarsi anche nei prossimi anni
PIANO NAZIONALE DELLA PREVENZIONE 2020-2025
DEBORA SERRA
9
2. 2021
solo: a livello europeo, secondo la European Cancer
Organisation,3
la pandemia ha bloccato 100 milioni di
screening oncologici e potrebbero non essere stati
diagnosticati oltre un milione di casi di cancro (vedi
anche l’articolo “Screening oncologici, una lenta
ripartenza”, InFormaMi 2021;1).
AUMENTANO I CONSUMI DI ALCOL E FUMO
Sebbene questi dati forniscano un quadro pesante
sull’impatto della COVID-19 in Italia, la maggior parte
degli effetti della pandemia potrebbe verificarsi nei
prossimi anni, come conseguenza sia delle mancate
diagnosi precoci sia della recrudescenza di stili di
vita insalubri. I dati a disposizione indicano infatti
che la pandemia ha modificato alcune abitudini
della popolazione che hanno un impatto sui fattori
di rischio per le malattie croniche. Secondo uno
studio dell’Istituto superiore di sanità (ISS) svolto in
collaborazione con l’Istituto farmacologico Mario
Negri,4
a maggio 2021 i fumatori erano il 24% in
più rispetto a novembre 2020. Per Roberta Pacifici,
direttrice del Centro nazionale dipendenze e doping
dell’ISS “un ruolo chiave nell’aumento dei fumatori
lo hanno avuto i nuovi prodotti del tabacco e le
e-cig”. Infatti l’uso di sigarette a tabacco riscaldato
ed e-cig “contribuisce all’iniziazione e alla ricaduta
del consumo di sigarette tradizionali e ne ostacola la
cessazione, alimentando l’epidemia tabagica”.
Un destino comune è stato osservato anche per
i consumi di alcol: nell’ultimo rapporto dell’ISS,5
si stima che l’anno scorso gli acquisti di bevande
alcoliche siano aumentati di una percentuale compresa
tra il 181% e il 250% con l’invio degli acquisti a
casa (home delivery). Non è tuttavia ancora
possibile quantificare l’impatto di questi dati
e le loro ricadute sui servizi di alcologia
e i dipartimenti per le dipendenze e la
salute mentale (che hanno registrato
e continuano a registrare l’aumento
delle richieste). Una stima sui
consumi alcolici la fornisce
anche il sistema
di sorveglianza
PASSI1
secondo
cui, nel periodo
pandemico, il 17%
degli intervistati
ha fatto un consumo
Bibliografia
1

Gruppo tecnico nazionale PASSI e PASSI
d’Argento. ISS 2021.
2
ONS. 2020.
3
European Cancer Organisation, Time to act.
4
ISS 2021; 31.
5
Scafato E, et al. ISS 2021.
di alcol rischioso per quantità e modalità di assunzione
superando le soglie di consumo medio giornaliero
indicate dalle linee guida internazionali, bevendo in
modalità binge (cioè l’assunzione di sei o più bicchieri
di alcolici e superalcolici in un solo momento in modo
da avere un immediato effetto di “sballo”), consumando
prevalentemente alcol fuori pasto.
LA LUCE IN FONDO AL TUNNEL
In controtendenza con la crescita della quota di
sedentari che si andava delineando negli ultimi anni,
PASSI ha evidenziato come tra marzo e dicembre 2020
sia stata registrata una riduzione del 10% di sedentari
(rispetto agli stessi mesi del 2019). In particolare,
sembra aumentare l’attività fisica nel tempo libero: la
quota di persone che ha raggiunto i livelli di attività
fisica raccomandati, con le sole attività svolte nel tempo
libero, è passata dal 42% del 2019 al 45% del 2020 e si è
ridotta la quota di chi non era attivo nel tempo libero (il
42% nel 2019 e il 39% nel 2020).
Il 28% degli ultra 65enni intervistati da PASSI d’Argento
da marzo a dicembre 2020 può considerarsi fisicamente
attivo, il 28% parzialmente attivo, mentre il 43% risulta
completamente sedentario.
Contrariamente a quanto emerge dai dati sugli
adulti, fra gli anziani si registra un aumento
della quota di sedentari nel periodo
pandemico rispetto agli stessi
mesi del 2019, che sale dal 40%
del 2019 al 43% nel 2020 su un
trend di sostanziale stabilità
osservato negli anni precedenti.

+3% attività fisica svolta
nel tempo libero nel 2020
+181%/250%
acquisti di bevande
alcoliche con invio a
domicilio nel 2020
10 INFORMAMI
360° PIANO NAZIONALE DELLA PREVENZIONE 2020-2025
salute, come i consigli preventivi
da parte dei medici di base”,
sottolineano gli autori. “Benché
questi approcci siano necessari,
si sono rivelati insufficienti e in
alcune situazioni hanno ampliato
le differenze tra classi sociali per la
maggiore adesione da parte degli
strati sociali più istruiti”.
La prevenzione delle malattie
va invece attuata con una
combinazione di interventi
strutturali e di politica economica
come la pianificazione urbana, la
promozione di consumi sostenibili
o forme di incentivazione fiscale.
Interventi non semplici, anche
alla luce delle politiche di mercato
delle multinazionali spesso molto
aggressive. Per esempio, in molti
paesi i cibi ultraprocessati hanno
visto una progressiva riduzione
dei prezzi. In Gran Bretagna si
calcola che, se le fasce sociali più
basse (10% della popolazione)
dovessero seguire le linee guida
per un’alimentazione sana,
ABBINARE alla promozione
della salute politiche strutturali, per
rendere più efficaci gli interventi di
prevenzione individuale e ridurre
le disuguaglianze. Un gruppo di
lavoro interdisciplinare, coordinato
dall’epidemiologo Paolo Vineis e
istituito dal Consiglio superiore di
sanità, ha elaborato un documento1
che si affianca al Piano nazionale
della prevenzione 2020-2025
per rafforzarne alcuni aspetti
Promozione della salute  
ed equità
Oltre alle azioni individuali,
per prevenire le malattie ci vogliono
interventi strutturali e di politica
economica. Servono visione, strategia,
programmazione e soldi.
I finanziamenti del Recovery Plan in
arrivo da Bruxelles sono un’opportunità
da cogliere
STEFANO MENNA
fondamentali. Focus sui principali
obiettivi di salute e interventi
di prevenzione – anche non
strettamente sanitari – ispirati da
alcuni concetti chiave: l’attenzione ai
primi anni di vita, le disuguaglianze,
le politiche orientate alla logica dei
co-benefici ambiente e salute (vedi
articolo a pagina 12).
OLTRE GLI INTERVENTI INDIVIDUALI
Il documento illustra le basi
scientifiche che sostengono le
attività di prevenzione, anche
rispetto alla minaccia incombente
del cambiamento climatico, e
propone gli obiettivi prioritari (vedi
tabella) da raggiungere grazie
alla collaborazione tra comparti
diversi: sanità, trasporti, scuola,
alimentazione, agricoltura. Perché
la prevenzione individuale da sola
non basta. Anzi, rischia di ampliare
ancor di più la forbice, a svantaggio
dei gruppi meno abbienti e istruiti.
“Il metodo fin qui adottato è basato
sulla promozione individuale della
11
2. 2021
Proposta di obiettivi
di promozione della salute
1 Promuovere l’attività fisica a tutte le età, in
particolare per bambini e giovani;
2 proteggere i bambini
dalla commercializzazione di cibi ricchi di
zuccheri, sale e grassi;
3 introdurre una tassa del 20% su bevande e
cibi zuccherati;
4 ridurre i consumi di sale attraverso accordi
con i produttori;
5 limitare i danni da alcol con una tassazione
adeguata;
6 limitare la pubblicità di tabacco e
aumentare il prezzo delle sigarette;
7 stabilire un limite di velocità omogeneo
nelle aree abitate, per ridurre gli incidenti;
8 alleviare la povertà con misure di sostegno
alle famiglie in condizioni disagiate;
9 riaffermare l’impegno per un SSN
universalistico, gratuito e finanziato dalla
fiscalità generale;
10 investire in trasporti pubblici e trasporto
attivo;
11 ridurre l’uso delle bottiglie di plastica;
12 limitare il consumo di biomasse, lo
spargimento del letame in agricoltura e dei
fanghi residui;
13 implementare una rete nazionale per gli
obiettivi di mitigazione del cambiamento
climatico: energie rinnovabili al 100% ed
economia carbon free entro il 2050;
14 attuare il Piano nazionale di adattamento
al cambiamento climatico.
spenderebbero quasi il 70%
del reddito in cibo.2
O ancora,
si pensi al travagliato percorso
della sugar tax, concepita per
disincentivare il consumo di
bevande gasate e zuccherate:
ferma ai box da due anni, complice
anche la crisi pandemica, grazie
a un emendamento alla Legge di
Bilancio la sua entrata in vigore è
stata rinviata al 1° gennaio 2022.
Eppure nel Regno Unito la Soft
Drinks Industry Levy,3
introdotta nel
2018 per scoraggiare le industrie
a riempire di zucchero i loro
prodotti, sta funzionando: secondo
uno studio pubblicato sul British
Medical Journal,4
la leva fiscale non
solo fa bene alla salute ma non
danneggia nemmeno le vendite,
rimaste stabili.
RECOVERY PLAN, UN’OCCASIONE DA
NON PERDERE
Serve quindi un investimento da
parte dello stato, che oggi spende
per la sanità circa 120 miliardi
all’anno.5
Ma solo il 5% di questa
somma finanzia la prevenzione,
a cui si aggiungono 200 milioni
vincolati ai programmi regionali
del PNP. “Riteniamo che questa
cifra debba essere aumentata,
dato che la prevenzione ha un
impatto positivo sulla salute dei
cittadini ma anche sull’economia.
Inoltre, incoraggiamo fortemente
l’inclusione della prevenzione
primaria in tutte le politiche. Il
PNP è un’importante occasione
per stimolare l’intersettorialità (a
partire dalla collaborazione tra i
ministeri), iniettare innovazione per
esempio tramite la digitalizzazione,
e diffondere la pratica delle
valutazioni degli esiti (non solo dei
processi), ponendo obiettivi realistici
e a breve termine”, ribadiscono gli
autori del documento.
Eppure non sembra questa
l’intenzione dei decisori. Larga
parte delle risorse stanziate dal
Recovery Plan6
(oltre 15 miliardi
sulla “missione” salute) sono
destinate a migliorare le dotazioni
infrastrutturali e tecnologiche,
promuovere la ricerca,
l’innovazione e lo sviluppo di
competenze tecnico-professionali,
digitali e manageriali del personale.
Poco o nulla su prevenzione e
sistemi di sorveglianza, nonostante
la necessità di potenziare la
resilienza del sistema Italia per
rispondere in modo congruo
ai nuovi bisogni di salute.
Emblematico il caso del piano
pandemico: più che la polemica
sull’aggiornamento formale del
testo, sarebbe stato importante
verificare l’effettiva disponibilità
delle risorse umane e materiali da
mobilitare in caso di emergenza
(personale, procedure e percorsi
ospedalieri, unità intensive e
ventilatori, dispositivi di protezione
individuali eccetera). Tutte azioni
che non si improvvisano, ma
si programmano. E che hanno
bisogno di sostegno, anche
economico.
La partita attuativa è appena
iniziata: c’è ancora margine per
aggiustare il tiro e definire la
progettazione esecutiva del piano
nei suoi dettagli, a tutti i livelli. Per
questo, i medici hanno rivolto un
appello7
al premier Mario Draghi
e al ministro Roberto Speranza
presentando le istanze, le proposte e
le riforme che ritengono necessarie
e urgenti per una rivalutazione del
loro ruolo all’interno del SSN. Tutti
concordi su un punto: il Recovery
Plan è l’occasione per rivoluzionare
la sanità e, di questa rivoluzione,
i medici vogliono essere i
protagonisti.
Bibliografia
1
Scienzainrete. 2020.
2

Affordability of the UK’s Eatwell Guide. 2018.
3
Governo Regno Unito. 2018.
4
Jones A. Br Med J 2021.
5
Camera dei Deputati. 2021.
6
Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. 2021.
7
FNOMCeO. 2021.
12 INFORMAMI
360°
naturali e promuovere misure di mitigazione con co-
benefici per la salute”.
Adottare politiche volte alla mitigazione del
cambiamento climatico e alla prevenzione delle
malattie può portare vantaggi economici e ridurre le
disuguaglianze sociali. È infatti assodato che gli stessi
fattori di rischio delle malattie croniche sono anche
agenti dei cambiamenti climatici: ne sono un esempio
i numerosi composti inquinanti che, una volta immessi
nell’atmosfera, contribuiscono a modificare il clima e
impattano negativamente sulla salute.
Anche lavorare su modalità innovative di trasporto
e pianificazione urbana comporta benefici per la
salute. Gli interventi a favore della mobilità attiva (che
predilige camminate e bici) hanno, da soli, un triplice
effetto: mitigano le emissioni di gas serra, prevengono
le malattie legate all’inquinamento atmosferico
(come tumore polmonare, patologie cardiovascolari e
neurologiche) e aumentano l’attività fisica, con ricadute
positive sull’incidenza di obesità, diabete, cardiopatia
ischemica e infarto.6
Se il trasporto attivo diventasse
la norma, i sistemi sanitari di un paese come l’Italia
potrebbero risparmiare tra i 15 e i 20 miliardi di euro in
vent'anni.
Ripensare le città può migliorare anche la capacità
di risposta a eventi climatici estremi. In particolare,
intervenire sul tessuto urbano può contrastare la
formazione delle cosiddette isole di calore, il fenomeno
per cui le zone centrali delle città possono raggiungere
diversi gradi in più rispetto alle periferie. In questo caso
l’attenzione va posta su fattori come la forma delle aree
urbane, il rapporto tra lo spazio costruito e non costruito,
la presenza e l’estensione di aree verdi, nonché i
materiali che ricoprono le superfici impermeabilizzate.
Il tema viene trattato nel libro Prevenire. Manifesto per
una tecnopolitica7
di Luca Carra, Roberto Cingolani e
Paolo Vineis: partendo dalla figura dell’attivista Greta
Thunberg, si affrontano i temi delle disuguaglianze
socio-economiche, della crisi ambientale e del debito,
definito come “cognitivo” o “mentale”. Ancora una volta
ricorre il concetto di prevenzione di pari passo con quello
dei co-benefici: oggi più che mai elementi fondamentali
per salvare il mondo e chi ci vive.
Bibliografia
1
Re S. Scienzainrete 2019.
2
Whitmee S, et al. Lancet 2015; 14.
3
The Lancet Countdown.
4
Farchi S, et al. Plos 2017.
5
Piano nazionale della prevenzione 2020-2025.
6
Haines A. Lancet 2017;1.
7
Satolli R. Scienzainrete 2020.
PIANO NAZIONALE DELLA PREVENZIONE 2020-2025
Salute, ambiente e co-benefici
I temi dell’ambiente sono così intrecciati a quelli della
salute da rientrare nel nuovo Piano nazionale della
prevenzione 2020-2025
DEBORA SERRA
ABBIAMO dovuto aspettare il 2019 perché la
relazione tra alimentazione e ambiente mainstream,
anche per merito del libro di Jonathan Safran Foer
Possiamo salvare il mondo, prima di cena. Perché il clima
siamo noi.1
Eppure, già nel 2015, una commissione
scientifica indipendente, sotto l’egida della Rockefeller
Foundation e della rivista Lancet, portava prove robuste2
che gran parte del cambiamento climatico (nonché
della perdita di biodiversità, del consumo di acqua e
dell’interferenza con il ciclo dell’azoto e del fosforo)
fosse da imputare alla produzione di cibo a causa
dell’emissione del 30% dei gas a effetto serra. Da
allora, ogni anno The Lancet Countdown3
riporta i dati
dell’interazione ambiente-salute e le risposte messe in
campo per contrastare il fenomeno.
Cambiare abitudini alimentari e ridurre la produzione
e il consumo di carne aiuterebbe a prevenire molte
patologie degenerative e infettive. Infatti, benché la
carne sia un’importante fonte di proteine e contenga
nutrienti essenziali, un elevato consumo di quella rossa
contribuisce al carico di malattie croniche, in particolare
cardiovascolari. E secondo uno studio4
del 2017 sostituire
la carne con i legumi non migliorerebbe solo la salute
ma mitigherebbe anche il cambiamento climatico.
Infatti, in molte regioni (soprattutto quelle della pianura
padana) le modalità di spargimento del letame derivante
dagli allevamenti sono all’origine dell’inquinamento da
ammoniaca e quindi della trasformazione in particolato
(PM2,5), uno dei problemi ambientali più rilevanti di
queste aree.
I co-benefici salute e ambiente sono anche uno dei
capisaldi del Piano nazionale della prevenzione 2020-
2025.5
In particolare fanno parte degli obiettivi della linea
strategica,3
che si propone di “adottare interventi per
la prevenzione e riduzione delle esposizioni ambientali
(indoor e outdoor) e antropiche dannose per la salute”.
Nel testo si ricorda la necessità di “rafforzare le capacità
adattive e la risposta della popolazione e del sistema
sanitario nei confronti dei rischi per la salute associati ai
cambiamenti climatici, agli eventi estremi e alle catastrofi
13
2. 2021
ANGELICA GIAMBELLUCA
PROFESSIONE
Lavoro e studio da casa,
le conseguenze per la salute
DIFFICOLTÀ a dormire,
a concentrarsi, indebolimento
muscolare, stanchezza persistente,
dolori lombari e cervicali.
Stress, ansia, iperstimolazione o
ipostimolazione, a seconda dei casi.
Sono tra i possibili effetti negativi
dello smart working in emergenza
sanitaria. La Didattica a distanza
(DaD), altra eredità della pandemia
e del conseguente lockdown, ha a
sua volta aumentato il rischio di
depressione e ansia negli adolescenti,
Lavorare e studiare via web per troppe
ore senza interruzione può portare
a conseguenze fisiche e mentali
preoccupanti e può diventare un
ostacolo, più che un potenziale, per il
rendimento scolastico e la produttività
lavorativa. Un uso appropriato degli
strumenti informatici è indispensabile
per poter usufruire dei vantaggi del
lavoro agile
difficoltà di concentrazione nei più
piccoli, oltre ad avere compromesso
lo sviluppo delle relazioni sociali così
fondamentale nell’età evolutiva.
Prima dell’avvento della pandemia,
lo smart working, o lavoro agile, era
un fenomeno di nicchia in Italia.
Ma nel giro di pochi giorni, gli
italiani si sono dovuti adattare. E
con un cambiamento così drastico
e repentino non si potevano evitare
conseguenze anche in termini di
salute mentale e fisica.
14 INFORMAMI
SMART WORKING… O HOME
WORKING?
All’estero lo chiamano soprattutto
home working. In Italia continuiamo
a parlare di smart working, lavoro
agile, ma al momento di agile
ha ben poco. Soprattutto perché
nel lockdown si è trattato di una
imposizione tanto rapida quanto
difficile da organizzare tra lavoro,
famiglia, bambini.
Davide Baventore, vicepresidente
del Consiglio dell’Ordine degli
psicologi della Lombardia,
sottolinea soprattutto la perdita
della parte sociale del lavoro:
“Non parlo solo della pausa caffè
che sicuramente è un momento
prezioso nella giornata lavorativa,
ma anche di tutte quelle attività
di coordinamento che si fanno in
ufficio, come fare due passi fino alla
scrivania del collega per chiedere
un’informazione. Con lo smart
working il collega a cui vorresti
chiedere velocemente una cosa è
sempre difficile da reperire. Per chi
non ha famiglia, lavorare da casa
in questo periodo pandemico ha
portato a una certa ipostimolazione
e ipomotivazione e a un crescente
senso di solitudine. Al contrario,
chi vive con coniuge e figli si è
ritrovato in un ambiente ricco
di stimoli e distrazioni che non
permettono di essere produttivi e
continuativi nel lavoro”.
Se la salute mentale è stata messa
a dura prova, non è andata meglio
a quella fisica. Donatella Bonaiuti,
medico fisiatra, membro del
Consiglio direttivo della SIMFER
(Società italiana di medicina
fisica e riabilitativa) e già medico
del lavoro, ogni giorno visita
professionisti che lamentano dolori
muscolari che non avevano prima
della pandemia: “Ho assistito
a un aumento significativo di
casi di rachialgia cervicale di
origine contratturale – spiega – a
peggioramento di dolori lombari
e in alcuni casi ho verificato anche
protrusioni discali, probabilmente
preesistenti allo smart working,
ma che di certo sono peggiorate
in questo periodo”, con posture
obbligate al computer senza avere
sedie e tavoli di lavoro adeguati. “E
sono persone giovani, con meno di
40 anni, spesso donne. Ho notato
anche un maggiore affaticamento
muscolare e una minore tolleranza
allo sforzo, e per sforzo intendo
fare un paio di rampe di scale”.
La tutela della salute del lavoratore
regolamentata dalla Legge n. 81 del
22 maggio 2017 diventa quindi un
nodo centrale dello smart working.
Il datore di lavoro è il responsabile
della tutela della sicurezza anche
nei confronti del dipendente
che lavora da casa ma vengono
dati risalto e centralità al ruolo
del lavoratore che deve cooperare
col datore di lavoro e col medico
competente a tutela della propria
sicurezza (vedi box).
LA DaD NON S’HA DA FARE?
La DaD potrebbe essere utile
come strumento complementare
alla didattica in presenza o per
quelle situazioni particolari in cui
i bambini non possono recarsi a
scuola. È certo che in condizioni
normali la DaD non può sostituire
la scuola in presenza. A ribadirlo
sono i pediatri stessi, come Rino
Agostiniani, vice presidente della
Società italiana di pediatria (SIP):
“Affermare che la DaD e le lezioni
in classe siano equivalenti significa
non conoscere la realtà dei fatti. La
scuola in presenza non serve solo
per apprendere nozioni, ma anche
per imparare a relazionarsi con gli
PROFESSIONE
Che cos’è lo smart working
Lo smart working è una modalità di esecuzione
del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato
dall’assenza di vincoli orari o spaziali e
un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita
mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro.
La definizione di lavoro agile, contenuta nella
Legge n. 81/2017, pone l’accento sulla flessibilità
organizzativa, sulla volontarietà delle parti che
sottoscrivono l’accordo individuale e sull’utilizzo
di strumentazioni che consentano di lavorare
da remoto (per esempio: pc portatili, tablet e
smartphone).
Prima del lockdown veniva praticato in poche
realtà aziendali mentre era già in uso tra i liberi
professionisti. Con la pandemia stiamo assistendo a
un vero cambiamento culturale con una progressiva
dematerializzazione del luogo di lavoro che non è
più un posto preciso ma qualsiasi luogo scelto dal
lavoratore.
15
2. 2021
altri. I giovani devono confrontarsi,
in presenza. Ad esempio, online
si perde il linguaggio non
verbale, così importante nella
comunicazione e nella relazione”.
A differenza degli adulti, bambini
e adolescenti non hanno accusato
pesanti ripercussioni sulla salute
fisica, ma nella sfera psicologica
hanno pagato il prezzo più
caro, fino ad avvertire veri
disturbi comportamentali: “Sono
aumentati i ricoveri dovuti a disagi
comportamentali – aggiunge il
vicepresidente SIP – disturbi che
si manifestano spesso in modo
organico, come mal di pancia, mal
di gambe, sintomi che in realtà
hanno cause psicologiche”.
L’eccessivo utilizzo della DaD nella
scuola dell’infanzia e nella primaria
può limitare l’apprendimento e
ostacolare lo sviluppo emotivo,
cognitivo e comportamentale,
favorendo difficoltà di
concentrazione, ma anche minore
curiosità e voglia di apprendere.
I bambini non sono abituati a
imparare da soli: quei momenti in
cui si lavora a fianco di un amico o
si chiede consiglio a un insegnante
consentono agli studenti di sentirsi
connessi agli altri e questo senso
di appartenenza influenza il
coinvolgimento degli studenti in
classe.
C’è poi tutto il mondo della
disabilità, giovani e bambini che
nella scuola fisica, con compagni
e insegnanti di sostegno, trovano
una dimensione per superare o
convivere meglio con la patologia.
La DaD ha cancellato i passi in
avanti che questi ragazzi avevano
conquistato. “Quelli più colpiti
sono stati i bambini con disturbi
dello spettro autistico – ribadisce
Agostiniani – perché per loro
è importante avere la giornata
organizzata in modo definito,
con la scuola, la piscina e altri
appuntamenti fissi e ripetitivi. In
un attimo, sono venuti meno tutti i
riferimenti e molti hanno accusato
delle ripercussioni”.
NON SOLO EFFETTI NEGATIVI
Tuttavia se usati in modo corretto,
lo smart working e la didattica a
distanza possono portare benefici.
Sono molti infatti i lavoratori che
hanno apprezzato il lavoro agile e
non lo vorrebbero abbandonare:
secondo un sondaggio pubblicato
sul Sole 24 ore a luglio 2020 quasi
un dipendente su due vuole
continuare a lavorare da casa. La
tranquillità, il risparmio di tempo e
di denaro per gli spostamenti sono
i principali vantaggi rimarcati, e
il guadagno dello smart working,
nel giudizio di questi lavoratori,
vale per tutti: per il lavoratore,
per l’impresa, per la qualità
complessiva del lavoro e per
l’ambiente visto che stando in casa
si riducono i consumi e il traffico.
Più complesso invece trovare
ricadute positive per la DaD,
tuttavia in alcuni casi sembra che
seguire le lezioni via web possa
aiutare il bambino ad autoregolarsi
e a essere più disciplinato per
raggiungere certi obiettivi, ma
deve trattarsi di un’integrazione,
non di una sostituzione della
didattica tradizionale in presenza.
Bibliografia
Oakman, J, et al.  BMC Public Health, 2020.
Xiao Y, et al. J Occup Environ Med 2021; 63:
181-90.
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
Pagine/default.aspx
Royal Society of Public Health.
Stringer H. American Psychological
Association 2020. Sole24ore 2020.
Sicurezza dello smart worker
La tutela della sicurezza del lavoratore in
regime di smart working è presa in esame
dalla Legge n. 81 del 22 maggio 2017.
Il datore di lavoro deve garantire la salute
e la sicurezza del lavoratore, ma è compito
del lavoratore cooperare con il titolare
dell’azienda nell’attuare le misure di
prevenzione dei rischi.
Il medico competente, quindi, effettua una
valutazione dei rischi generali e specifici del
lavoratore e definisce una attività formativa
dedicata alla sicurezza dell’ambiente di lavoro
e ai rischi per la salute (in particolare vista,
postura, affaticamento fisico e mentale). La
tutela della sicurezza fuori dai locali aziendali
può vedere accentuati molteplici aspetti:
dalla ridotta attenzione ai principi ergonomici
all’ambiente inadeguato dal punto di vista
climatico e illuminotecnico e alla carente
organizzazione del lavoro.
In particolare l’ergonomia dovrebbe essere
il criterio guida nella predisposizione degli
elementi dell’ambiente: consente infatti di
ridurre gli effetti stancanti del lavoro dovuti
alla fatica fisica e mentale, intervenendo
allo stesso tempo sui fattori di contesto che
provocano stress, con conseguenze negative
sul benessere dei lavoratori.
16 INFORMAMI
PROFESSIONE
SECONDO i recenti report
dell’Associazione italiana di
oncologia medica (AIOM) negli
ultimi decenni la prevalenza, cioè
il numero di persone che vive
dopo una diagnosi di tumore, è
aumentata di circa il 3% l’anno.1
Come si vede dalla figura 1, nel
periodo tra il 2006 e il 2020 si è
passati da due milioni e mezzo a
oltre 3,6 milioni, pari al 5,7% della
popolazione, con un incremento
della sopravvivenza particolarmente
marcato tra le persone che hanno
avuto la diagnosi da più di 10 anni.
Sempre secondo il report dell’AIOM
nel 2020 in Italia circa un terzo dei
sopravvissuti al tumore può essere
considerato guarito.
Ma quando si può parlare di
guarigione? Questo concetto nel
Figura 1. Numero
di persone che
vivono dopo
una diagnosi di
tumore per tempo
dalla diagnosi.
Fonte: Scienza in rete
paziente oncologico è complesso.
Tra i sopravvissuti infatti ci sono
pazienti in trattamento che sebbene
non presentino sintomi o segni
della malattia hanno però ancora
un rischio non trascurabile di
recidiva. C’è chi sostiene che questo
rischio non possa essere eliminato
del tutto e di conseguenza non si
possa mai parlare di guarigione nel
paziente oncologico. Resta il fatto
che rispetto al passato dopo una
diagnosi di tumore oggi si muoia
meno. Una revisione pubblicata
su Nature a dicembre 2020 mostra
infatti che in Italia la mortalità da
cancro standardizzata per età si è
ridotta del 28% nel periodo tra il
1990 e il 2017.2
Studiando la sopravvivenza dei
pazienti con tumore si è arrivati
alla conclusione che, a differenza
di altre patologie, in oncologia la
guarigione deve essere considerata
in senso statistico, cioè osservata
mediamente su un ampio numero
di pazienti seguiti nel tempo
e sotto certe approssimazioni
semplificative.
Capire quando si può parlare di
guarigione ha ricadute pratiche
importanti per il singolo, in quanto
consente di avere un parametro
per la definizione dei programmi
di sorveglianza oncologica a
medio e a lungo termine. Nel
momento in cui il paziente ottiene
l’etichetta di “guarito” infatti non
è più necessario che si sottoponga
a controlli medici, evitando
medicalizzazioni inutili con un
risparmio per il Servizio sanitario
nazionale.
Un gruppo di ricercatori, sulla
base dei dati dei registri tumori
italiani, ha cercato di rispondere
alle principali domande dei clinici:
quante persone guariscono dal
cancro? Dopo quanti anni un
paziente può considerarsi guarito?
Quante persone vivono dopo
una diagnosi di tumore in Italia?
Sono stati così definiti i principali
indicatori di guarigione e il metodo
di calcolo da utilizzare.3,4
I risultati sono in linea con quanto
accade nel resto dell’Europa, come
Sebbene il cancro sia la seconda causa di morte dopo le patologie cardiovascolari, si sono prese
le distanze dai tempi in cui era definito “male incurabile”. I progressi medici e tecnologici sono
tali per cui oggi sempre più persone convivono con la malattia per diversi anni e in molti casi
riescono a guarire
Tumori e guarigione,
un concetto statistico
REDAZIONE
4.000.000
3.500.000
3.000.000
2.500.000
2.000.000
1.500.000
1.000.000
500.000
0
Anno
Persone
2006
2007
2019
2008
2018
2009
2017
2010
2016
2011
2015
2012
2014
2013
2020
Anni dalla
diagnosi
 10
tra 5 e ≤ 10
≤ 5
2006
2,5 milioni
2020
3,6 milioni
2010
2,6 milioni
2015
3,1 milioni
17
2. 2021
confermato da uno studio condotto
su oltre 7 milioni di pazienti in 17
paesi europei, seguiti per almeno
18 anni nell’ambito del progetto
EUROCARE.5,6
Ma quali sono quindi i principali
indicatori di guarigione dopo un
tumore?7
LA FRAZIONE DI GUARIGIONE
Questo indicatore rappresenta la
percentuale di pazienti che a partire
dalla diagnosi avrà nel tempo lo
stesso tasso di morte delle persone
che non hanno avuto un tumore, a
parità di età e di genere.
Nella figura 2 è illustrato il metodo
di calcolo della “frazione di
guarigione” attraverso un esempio
relativo a uomini con diagnosi
di tumore del colon-retto negli
anni novanta. Come indicato dalla
curva la sopravvivenza relativa,
cioè la sopravvivenza osservata
nei pazienti oncologici nei primi 5
anni dalla diagnosi, si riduce fino
a raggiungere un valore costante
circa 10 anni dopo la diagnosi.
Quando la curva si appiattisce
significa che non c’è più differenza
in termini di aspettativa di vita tra
chi ha avuto una diagnosi di tumore
e chi non si è mai ammalato. La
linea tratteggiata quindi stima che
poco meno del 50% dei pazienti
guarirà dal tumore.
Figura 2. Percentuale di pazienti (uomini con tumore del
colon-retto) con aspettativa di vita simile a quella delle
persone che non ha avuto diagnosi di tumore, a parità di
genere e di età. Fonte: AIRTUM
Figura 3. Tempo per la guarigione dei pazienti
(uomini con tumore del colon-retto) dopo una
diagnosi di tumore in Italia. Fonte: AIRTUM
Figura 4.
Percentuale
di persone già
guarite tra i
pazienti che
vivono dopo
una diagnosi di
tumore.
Fonte: AIRTUM
Bibliografia
1
AIOM.
2
Bosetti C, et al. Nature 2020; 10: 22099.
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De Angelis R, et al. Lancet Oncol 2014; 15: 23-4.
7
Dal Maso L, et al. Scienza in rete 2021.
IL TEMPO PER LA GUARIGIONE
Si parla di guarigione quando
la malattia non ha più rilevanza
clinica, cioè quando la possibilità di
sopravvivere per altri 5 anni dopo
essere sopravvissuti un qualunque
numero di anni dalla diagnosi, si
avvicina al 100%. Il rischio di morte
diventa paragonabile a quello della
popolazione generale.
Il tempo per la guarigione è
l’indicatore che consente di definire
quanti anni sono necessari dopo la
diagnosi affinché la sopravvivenza
condizionata sia superiore al 95%.
La figura 3 considera sempre
l’esempio di uomini di 60-74 anni
che hanno avuto una diagnosi del
cancro al colon-retto. In questi
pazienti occorrono 9 anni dalla
diagnosi per abbattere il rischio
di morte da tumore e poter essere
definiti guariti.
LA PERCENTUALE DEI GUARITI
Un ultimo parametro da
considerare è la percentuale di
persone che vive oltre il tempo di
guarigione. Per calcolarla basta
stimare quante sono le persone
sopravvissute per numero di anni
trascorsi dalla diagnosi e combinare
questi dati con il tempo per la
guarigione (9 anni per il tumore del
colon-retto, vedi prima).
Il numero e la proporzione dei
guariti sono stati ottenuti per oltre 50
tipi di tumore per sesso ed età. Nella
figura 4 sono riportati i risultati per i
tumori più frequenti. La somma dei
già guariti di tutte le sedi, sesso ed
età, rivela che il 27% delle persone
che ha avuto una diagnosi di tumore
è di fatto guarito.
100%
90%
80%
70%
60%
50%
40%
30%
20%
10%
0%
0 6
2 8
4 10 14 18 22
12 16 20 24
Anni dalla diagnosi
Sopravvivenza
relativa
Frazione di guarigione = 43%
100%
95%
90%
85%
80%
75%
70%
65%
60%
55%
50%
0 6
2 8
4 10 14 18 22
12 16 20 24
Anni dalla diagnosi
Sopravvivenza
relativa
CRS 5 anni  95%
tempo di cura = 9 anni
Tipi di tumore Uomini Donne
Stomaco 40% 45%
Colon-retto 30% 44%
Polmone 22% 18%
Mammella 16%
Cervice uterina 74%
Testicolo 94%
Vescica 1% 3%
Tiroide 62% 81%
Linfomi di Hodgkin 69% 75%
Linfomi Non-Hodgkin 3% 1%
PERSONE CHE VIVONO DOPO
UNA DIAGNOSI DI TUMORE
Già guariti
27%
18 INFORMAMI
Post COVID-19: sintomi disabilitanti
dopo l’infezione acuta
COM’È ORMAI NOTO e
diffusamente documentato
dalla letteratura scientifica,
COVID-19 non determina solo
conseguenze a carico del sistema
respiratorio ma ha anche ricadute
disabilitanti multisistemiche, con
interessamento di organi e apparati
talvolta non direttamente coinvolti
dalle fasi acute della malattia.
Fin dai primi mesi dell’emergenza
pandemica è stato evidente che i
quadri di polmonite interstiziale
virale avrebbero dato origine
a esiti fibrotici persistenti, con
ipotizzabili conseguenze funzionali,
in particolar modo faticabilità
e dispnea. L’evoluzione clinica
di questi casi, la loro storia
naturale e la risposta alle terapie
farmacologiche e riabilitative
sono ancora in fase di studio,1
ma
l’esperienza clinica sta mostrando
un’evoluzione favorevole dei
quadri di fibrosi polmonare,
con restitutio ad integrum del
parenchima polmonare sovvertito
nella fase acuta.
LE POSSIBILI IMPLICAZIONI
NEUROLOGICHE
Le prime pubblicazioni
sull’infezione da SARS-CoV-2
ponevano già l’attenzione
sulle possibili manifestazioni
neurologiche correlate. I primi
studi retrospettivi condotti su
pazienti ricoverati a Wuhan2
infatti
riportavano sintomi neurologici in
circa un terzo dei casi.
Nei mesi successivi sono state
descritte complicanze neurologiche
e neuromotorie potenzialmente
correlate alla fase acuta
dell’infezione da SARS-CoV-2 o
alla necessaria degenza in terapia
intensiva. In particolare, sono stati
descritti casi di ictus, sindrome di
Guillain-Barré, encefaliti, paralisi
del nervo facciale, cefalea, anosmia,
ageusia, disturbi del sonno, calo del
visus, ipostenia, disorientamento e
disturbi del comportamento.3
Per quanto riguarda, invece, la
fase post acuta sono stati descritti
astenia cronica (fatigue), apatia,
disfunzioni esecutive, deficit di
PROFESSIONE FABRIZIO GERVASONI
Componente del Consiglio direttivo OMCeOMI,
medico fisiatra e giornalista pubblicista
Si parla di long COVID-19 quando i sintomi permangono
a distanza di tempo dall’infezione acuta.
Inizialmente descritta in via non ufficiale dai pazienti, oggi
è una sindrome documentata dagli studi anche se i meccanismi
alla base non sono ancora completamente noti
19
2. 2021
forza (ipostenia), peggioramento
della performance e moderati deficit
cognitivi.3
Con il trascorrere dei mesi, sono
stati confermati quadri di sofferenza
a carico del sistema nervoso
periferico (come polineuropatie
o neuropatie periferiche da
compressione estrinseca) ed è stato
documentato il coinvolgimento
del sistema muscolo-scheletrico
(come mialgie e miopatie). È quindi
cresciuta la consapevolezza che
gli esiti di COVID-19 si possano
presentare come una complessa ed
eterogenea patologia multiorgano,
simile ad altre sindromi virali post
acute che hanno caratterizzato le
precedenti epidemie da coronavirus
(come SARS nel 2003 e MERS nel
2012).
LA PRIMA SINDROME DESCRITTA
SUI SOCIAL MEDIA
Prima ancora che la letteratura
internazionale diffondesse
esperienze dirette delle équipe
mediche, i pazienti condividevano
già sui social media storie personali
di malattia. Forse per la prima volta
nella storia, un quadro sindromico
multisistemico ha trovato una sua
definizione innanzitutto sul web,
grazie alla condivisione diretta delle
esperienze dei pazienti. Inizialmente
si definivano long haulers (ovvero
“coloro che hanno sintomi a
distanza di tempo”), poiché
presentavano sintomi persistenti
anche dopo la risoluzione della
fase acuta di malattia oppure
sintomi e complicanze a insorgenza
ritardata.4
Con il tempo, anche le
più autorevoli riviste scientifiche
internazionali sono arrivate a
descrivere COVID-19 subacuto
(subacute o ongoing symptomatic
COVID-19), la persistenza dei
sintomi o l’insorgenza di sequele tre
o quattro settimane dopo l’infezione
acuta e la sindrome post COVID la
presenza di sintomi e anomalie non
attribuibili a diagnosi alternative
dopo 12 settimane dalla malattia
acuta.4,5
UNA SINDROME SISTEMICA
MULTIORGANO
La costellazione di sintomi
che configurano la sindrome
post COVID è stata quasi
quotidianamente descritta e
arricchita con nuovi dettagli.
Le cause dell’astenia sono
ancora oggetto di studio ma,
oltre alle possibili implicazioni
pneumologiche, può concorrere
un coinvolgimento ipossico/
ischemico dei muscoli volontari, che
giustificherebbe anche l’insorgenza
e la persistenza di dolori muscolari,
miopatie (documentabili con esami
neurofisiologici) e fibrosi muscolare
(riscontrabile ecograficamente). Le
implicazioni muscolo-scheletriche
potrebbero inoltre giustificare
le frequenti artralgie (19%), il
dolore toracico (16%) e i disturbi
neuromotori (come deficit di
equilibrio o vertigini). Anosmia,
ageusia e cefalea, frequentemente
riferite durante la fase acuta,
possono persistere per mesi, così
come disturbi di tipo psicologico,
psichiatrico o dell’umore. A questi
si associano i disturbi cognitivi
attentivi (27%), mnesici (16%) e
la difficoltà a concentrarsi, che è
ormai diffusamente definita brain
fog, termine che ben descrive la
percezione di “annebbiamento”
lamentata dai pazienti. Sono
meritevoli di menzione i disturbi
gastrointestinali (diarrea, vomito,
nausea, dolori epigastrici e
addominali, costipazione),
dermatologici (come lesioni cutanee
e alopecia) e oculari.6,7,8
Un corredo sintomatico così
eterogeneo e complesso richiede
un accurato inquadramento clinico
e strumentale, al fine di descrivere
segni e sintomi non attribuibili a
diagnosi alternative e di impostare
un appropriato trattamento
farmacologico e riabilitativo
personalizzato per ciascun
paziente.5
Una commissione OMCeOMI
per la sindrome post COVID
L’Ordine provinciale dei medici chirurghi e degli
odontoiatri di Milano ha istituito un’apposita
commissione per lo studio e il monitoraggio
della sindrome post COVID. La commissione
è stata proposta ed è coordinata da Massimo
Parise, consigliere OMCeOMI, che ha coinvolto
colleghi specialisti in molte delle discipline
impegnate nella cura degli esiti di COVID-19.
Sono state raccolte da subito anche l’esperienza
e l’opinione dei pazienti, con il coinvolgimento
diretto dei responsabili del gruppo Facebook
“Noi che il COVID lo abbiamo sconfitto. Sindrome
post COVID. #LongCovid”, che oggi conta più di
18.000 iscritti. Grazie al diretto coinvolgimento
di clinici e pazienti, sarà possibile descrivere in
modo più approfondito la sindrome post COVID,
individuando percorsi diagnostici e terapeutici
appropriati, realizzabili ed efficaci.
Bibliografia
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2
	 Pagani R. Medici Oggi 2020; published online March 24.
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8
	 Lopez-Leon S, et al. Prepr Serv Heal Sci 2021; DOI:10.1101/2021.01.27.21250617.
20 INFORMAMI
Trombosievaccini
avettorevirale,rischioreale
mamolto raro
Sembra ormai accertato il nesso di causalità tra vaccini
anti COVID-19 a vettore virale e trombosi trombocitopenica
in sedi atipiche. Non è ancora completamente chiaro il
meccanismo di questo effetto avverso, ma si ipotizza
un processo analogo a quello descritto nella
trombocitopenia indotta da eparina
PROFESSIONE SIMONETTA PAGLIANI
APPENA la vaccinazione di massa ha preso
l’avvio sono emersi con i vaccini a vettore virale eventi
trombotici in sedi atipiche (seni venosi cerebrali o
distretto splancnico) associati a piastrinopenia, con
comparsa tra quattro e 28 giorni dopo la vaccinazione.
Gli studi clinici registrativi, per quanto condotti su
coorti ampie, non avevano potuto rilevarli data la
bassa incidenza. L’Organizzazione mondiale della
sanità (OMS) ha scelto la definizione di trombosi
con sindrome trombocitopenica (TTS), preferendola
a quella precedente di trombosi trombocitopenica
vaccino indotta (VITT) che suggeriva una relazione
di causa-effetto con tutti i vaccini. In realtà, come
rileva Marco Cattaneo, docente di medicina interna
all’Università degli studi di Milano, non solo questa
relazione causa-effetto non è dimostrata in modo
inequivocabile ma riguarda solo i vaccini a vettore
adenovirale.
POSSIBILE MA MOLTO RARO
In linea generale gli eventi tromboembolici occorsi
in soggetti vaccinati con il vaccino Vaxzevria
(AstraZeneca) o con Janssen (JohnsonJohnson)
si collocano nell’ambito degli eventi molto rari. Per
inquadrare la dimensione del problema è utile avere
presente che per convenzione gli Eventi avversi
post immunizzazione (AEFIs) sono definiti rari se si
verificano in uno-dieci
individui ogni 10.000
vaccinati, molto rari quando
riguardano meno di un individuo su
10.000 vaccinati.
La European Medicines Agency (EMA) stima infatti
un caso di TTS ogni 100.000 vaccinati. In Italia, al 26
giugno erano riportate 55 segnalazioni di sospetta
trombosi venosa cerebrale e/o in sede atipica con o
senza piastrinopenia, dopo la prima dose di vaccino, in
persone con meno di 65 anni.
A marzo il Comitato di valutazione dei rischi per la
farmacovigilanza dell’EMA (PRAC) aveva stimato che
queste trombosi non fossero più frequenti di quanto
21
2. 2021
atteso nella popolazione generale, pur riconoscendo
un eccesso di forme atipiche in donne giovani.
Tuttavia Bernard Bégaud, farmacologo dell’Università
di Bordeaux, in una conferenza organizzata dall’AIFA
ha illustrato alcuni limiti metodologici che possono
inficiare le stime. Innanzitutto il fenomeno della
sottosegnalazione (under reporting) degli AEFI è così
marcato che i numeri riportati andrebbero moltiplicati
per cinque-dieci. Inoltre non è corretto confrontare
gli eventi atipici riscontrati in un gruppo ristretto
(donne giovani-adulte) con eventi “attesi” in tutta la
popolazione, dove pesano le tromboembolie tipiche
dell’età senile. Ancora, il tromboembolismo post
vaccinale viene rilevato nell’arco di due settimane,
mentre la stima degli eventi attesi nella popolazione
generale è sull’arco di un anno.
Uno studio condotto in Danimarca e Norvegia
che ha quantificato per fasce di età gli AEFI dopo
AstraZeneca conferma sia l’aumento del rischio di
tromboembolismo venoso nei 28 giorni successivi
alla prima dose sia il rapporto rischi-benefici ancora a
favore del vaccino, soprattutto per l’età più avanzata,
cui infatti AIFA ha risolto di destinare Vaxzevria.
I MECCANISMI
L’ipotesi più accreditata parte dall’osservazione che la
TTS abbia un’analogia stretta con la trombocitopenia
indotta da eparina (HIT), sia dal punto di vista clinico
sia per la presenza di anticorpi contro il complesso
fattore piastrinico 4 (PF4). Il DNA adenovirale
agirebbe in modo simile all’eparina, come polianione,
mediando l’attivazione di PF4 e la conseguente
trombocitopenia.
Inoltre, solo con i vaccini a vettore virale la sequenza
genica codificante la proteina spike di SARS-CoV-2
sarebbe veicolata nel nucleo delle cellule dell’ospite
dove, per meccanismi di splicing alternativo,
verrebbero generate varianti solubili della proteina
spike in grado di concentrarsi sulle cellule endoteliali
che esprimono ACE2 e di attivare la reazione
infiammatoria e il processo trombotico.
La percentuale di TTS più bassa con le seconde dosi
avvalora l’ipotesi della “deplezione dei suscettibili”
cioè una selezione dei soggetti che sono più esposti
all’azione di questi meccanismi protrombotici.
Un meccanismo autoimmune, simil HIT,
comporterebbe invece la possibilità di eventi
trombotici anche nei soggetti che con la prima
dose avevano attivato una risposta immunitaria
clinicamente non evidente.
LA PREVENZIONE
Non è possibile prevenire la manifestazione di
queste reazioni data l’incertezza sul meccanismo
fisiopatologico. Né è appropriato applicare in misura
estrema il principio di precauzione, per esempio con
uno screening delle trombofilie ereditarie più comuni
che sono presenti in almeno 5-6.000 soggetti ogni
100.000 vaccinati (una frequenza assai superiore a
quella dell’AEFI indagato). Infine sarebbe inopportuno
generalizzare una profilassi con eparine a basso peso
molecolare (EBPM), che comporterebbe circa 3.000
emorragie maggiori per milione di vaccinati, senza la
garanzia di prevenire la reazione trombotica.
Non resta, dunque, che fare attenzione ai sintomi.
In nove casi su dieci, le trombosi dei seni venosi
cerebrali danno cefalea intensa ingravescente, talvolta
con nausea e vomito, diplopia, riduzione del visus
e sincope o dispnea; oppure convulsioni e deficit
neurologici focali. Le trombosi delle vene addominali,
sebbene spesso asintomatiche, possono causare in
circa sei persone su dieci dolore addominale diffuso
eventualmente associato a nausea, inappetenza o a
proctorragia.
“La terapia di una sospetta TTS – sottolinea Cattaneo
– deve essere tempestiva e si basa, oltre che sulla
terapia anticoagulante, sull’infusione di alte dosi di
immunoglobuline endovena (2 grammi/kg di peso
corporeo distribuiti in 2-5 infusioni giornaliere), che
non solo aumentano la conta piastrinica, ma anche
prevengono l’attivazione piastrinica da parte degli
anticorpi anti-PF4. È sconsigliabile l’uso di eparine
non frazionate e di eparine a basso peso molecolare.
Può essere utile somministrare anticoagulanti orali
diretti, purché le piastrine siano almeno 50.000/l.
Nel caso la piastrinopenia non fosse corretta
dall’infusione di immunoglobuline, si può ricorrere
alla plasmaferesi”.
Bibliografia
AIFA.
Anton Pottegård A, et al. Br Med J 2021; 373: n1114.
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Kupferschmidt K, et al.  Science 2021.
22 INFORMAMI
PROFESSIONE SILVIA EMENDI
È IL 1989 quando, nel corso di studi volti a sviluppare un test diagnostico per
l’infezione da tripanosoma nei cammelli, la visione canonica degli anticorpi come molecole
composte da due catene pesanti e due catene leggere cambia per sempre. Due studenti della
Vrije Universiteit di Bruxelles, analizzando campioni di siero di cammello, osservano accanto
agli anticorpi convenzionali anche un set secondario unico di anticorpi a sola catena pesante
precursori dei nanocorpi.1
A partire da questa scoperta serendipica prende spazio una classe di frammenti leganti
l’antigene a singolo dominio derivati da anticorpi a catena pesante presenti solo nel siero dei
membri della famiglia dei Camelidi (cammello, dromedario, lama, alpaca): i nanocorpi.1,2
Prima di questa scoperta, in campo diagnostico e terapeutico venivano usati gli anticorpi
per la loro ineguagliabile capacità di riconoscere e interferire con l’attività di determinati
bersagli coinvolti nella patogenesi di diverse malattie. In particolare per il trattamento di
patologie come l’artrite reumatoide e l’artrite psoriasica, la prevenzione del rigetto d’organo,
la terapia antitumorale. Nonostante il rivoluzionario approccio terapeutico, sono emersi
alcuni limiti legati alle caratteristiche chimico-fisiche degli anticorpi: grandi dimensioni
molecolari (circa 150-160 kDa), ridotta stabilità, immunogenicità, proprietà farmacocinetiche
sfavorevoli che ne consentono la sola somministrazione parenterale.2
I nanocorpi hanno da subito attirato notevole interesse sia in campo diagnostico sia
terapeutico per la loro eccellente affinità di legame con l’antigene, l’elevata stabilità e
solubilità in acqua, ma soprattutto il ridotto peso molecolare (pari a circa 15 kDa). Le piccole
dimensioni li rendono da un lato accessibili a epitopi antigenici difficilmente raggiungibili da
grandi molecole come gli anticorpi convenzionali, dall’altro potenzialmente somministrabili
per vie diverse da quella endovenosa.2-4
Si è dovuto attendere il 2018 perché questa tecnologia raggiungesse il mercato con il
primo nanocorpo anti fattore di Von Willebrand per il trattamento negli adulti con porpora
trombotica trombocitopenica acquisita.3
Oggi con oltre 15 candidati attualmente in studio per il trattamento di un ampio spettro di
malattie i nanocorpi sono la nuova frontiera della terapia mirata.3
Dai camelidi la nuova frontiera
della terapia mirata: i nanocorpi
Recentemente posti sotto i riflettori come potenziale trattamento per COVID-19, i nanocorpi in
realtà sono oggetto di sperimentazione da oltre trent’anni in campo diagnostico e terapeutico
Nanocorpi e COVID-19
I nanocorpi sono stati
messi sotto i riflettori come
potenziale trattamento anche
per COVID-19. Immunizzando
i lama con la proteina spike
di SARS-CoV-2, sono stati
isolati nanocorpi in grado di
legare il dominio di legame del
recettore del virus rendendolo
incapace di innescare la
fusione con la membrana
della cellula ospite. Anche
se lontani dall’applicazione
clinica, sono potenzialmente
un’alternativa agli anticorpi
monoclonali convenzionali per
l’immunizzazione passiva contro
SARS-CoV-2.5-7
Un approccio analogo oggetto
di sperimentazione è quello dei
“nanodecoys”, ovvero nanoesche
progettate per legare SARS-
CoV-2, in quanto costellate di
recettori ACE2, impedendogli
di infettare le cellule bersaglio.
Questa strategia si è
dimostrata efficace
contro SARS-CoV-2 sia
in vitro sia in modelli
animali.8-10
Bibliografia
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10
	Li Z, et al. Nat Nanotechnol 2021; DOI:10.1038/s41565-021-00923-2.
23
2. 2021
Ricorrere a un intervento di
implantologia dentale può
accadere di frequente nella
vita e a partire da quando si
è ancora giovani: un paziente
su sei ha un’età media di
52 anni. Tra i fattori che
contribuiscono al successo
dell’operazione, il Ministero
della Salute1
riconosce la
completezza e la correttezza
dell’informazione che il
paziente riceve come base
fondante del consenso
consapevole e considera
la relazione di fiducia tra
paziente e odontoiatra
propedeutica al trattamento
PATRIZIA SALVATERRA
NONOSTANTE l’implantologia
registri un indice elevato di
successo, talvolta l’intervento
può fallire o avere esiti avversi. Il
rischio di insuccesso di un impianto
dentale si attesta infatti mediamente
attorno al 6-7% dei casi.2
Tra le cause ci sono: la comparsa
di complicanze come un afflusso
sanguigno insufficiente alla
sede dell’impianto, l’esposizione
prolungata del paziente a
radioterapia, la presenza di
patologie metaboliche come
il diabete che, in taluni casi,
può impedire l’integrazione
dell’impianto nell’osso.
Ci sono poi gli errori umani: da
parte del chirurgo, il mancato
rispetto dei protocolli e delle linee
guida – per esempio in materia
di disinfezione e sterilizzazione
– oppure una programmazione o
un’esecuzione errata dell’intervento.
Da parte del paziente, il non rispetto
dei controlli dentistici periodici e
uno stile di vita inadeguato – come
la dipendenza da fumo e il consumo
di quantità eccessive di zuccheri –
spesso correlati a una scarsa igiene
orale.
È importante che il paziente
conosca i benefici e i rischi
dell’intervento. La “Scheda di
informazione e di espressione del
consenso al trattamento implanto-
protesico”3
assolve proprio questa
funzione: fornisce al paziente
tutti i chiarimenti necessari per
Informazione corretta
e consenso del paziente
in implantologia
comprendere a fondo l’intervento
a cui sarà sottoposto e soprattutto
mira a renderlo consapevole circa
il rischio operatorio, spiegando
diritti e doveri di entrambe le parti
e dando semplici istruzioni sui
comportamenti corretti da seguire
dopo l’intervento chirurgico. Non
sempre però viene dedicato tempo
sufficiente a informare il paziente e
I dati dell’implantologia
in Europa e negli Stati Uniti
Europa Stati Uniti
pazienti
sottoposti a
trattamenti di
implantologia/
anno
1,8 milioni 800.000
spesa
complessiva/
anno
2 miliardi
di euro
3,8 miliardi
di dollari
	
Fonte: Dental Implants Markets to 2027 – Global Analysis
and Forecast by Product
24 INFORMAMI
PROFESSIONE
Bibliografia
1
	
Ministero della Salute. Raccomandazioni
cliniche in odontostomatologia, edizione
2017.
2
	
Moy PK, et al. 2005. Int J Oral Maxillofac
Implants; 2005; 20: 569-77.
3
	
Scheda di informazione sul trattamento
implanto-protesico.
a compilare la scheda di consenso
informato. Ha fatto clamore la
recente sentenza emanata dalla
Corte d’Appello de L’Aquila4
che
ha condannato l’odontoiatra a
pagare 9.000 euro perché non
poteva provare con un documento
sottoscritto dal paziente di averlo
correttamente informato in merito
all’importanza dell’igiene orale.
Per Marco Scarpelli, odontoiatra
forense di Milano, docente
universitario e membro del comitato
scientifico di ANDI (Associazione
nazionale dentisti italiani) e della
direzione scientifica “Denti e
Salute” dell’Ospedale Humanitas, la
scheda è un’occasione preziosa per
consolidare la qualità della relazione
con il paziente, determinante
per l’esito dell’intervento:
dei medici chirurghi e degli
odontoiatri (FNOMCeO), con la
collaborazione delle maggiori
associazioni di implantologia,
è il risultato di diverse edizioni.
“La prima in Italia risale al 1995,
tre anni dopo la presentammo
a Londra in occasione di un
convegno. La novità era aver
capovolto la centralità del medico
a favore del paziente. Oggi
questa relazione vede entrambi
al centro, con un equilibrio al
50% nelle responsabilità e nelle
tutele. Un mutamento culturale di
prospettiva, che in questo delicato
rapporto oltre alla medicina vede
in gioco la comunicazione e l’etica”
– conclude Scarpelli.
Implantologia dentale, un po’ di storia
L’implantologia dentale, come la conosciamo oggi, è una tecnica relativamente
recente che conta nella sua evoluzione alcuni passaggi significativi. Uno fra questi
risale al 1964, quando un medico italiano – Stefano Tramonte – per primo utilizza
le viti al titanio, un materiale biocompatibile che inserito nell’osso mascellare non
viene riconosciuto come corpo estraneo, e dunque non provoca il rigetto.
Una seconda innovazione arriva un decennio dopo per opera di un accademico
svedese dell’Università di Göteborg, Per-Ingvar Brånemark, che negli anni settanta
osserva e studia l’osteointegrazione, ovvero la tendenza dell’osso a fondersi con
l’impianto dentale in titanio. Questa scoperta determina la raccomandazione di
attendere alcuni mesi prima di caricare l’impianto con l’applicazione di una protesi,
in modo che il processo di integrazione e saldatura della vite nell’osso si compia
perfettamente, così da garantire la stabilità e la resistenza del nuovo impianto.
Nel corso del ventennio successivo altri ricercatori, tra i quali il docente universitario
portoghese Paulo Malo, proveranno invece che in determinate circostanze non è
necessario attendere mesi per completare l’intervento: nel caso in cui l’impianto venga
sottoposto a un carico immediato, il chirurgo deve poter disporre di un osso di ottima
qualità, di materiali tecnologicamente adeguati e soprattutto deve possedere una
buona esperienza così da saper valutare con precisione ogni singolo caso per operare in
sicurezza.
Negli ultimi anni l’innovazione tecnologica è andata oltre la tecnica operatoria, puntando
la direzione della ricerca anche verso nuovi materiali e strumenti – basti pensare alle
stampanti 3D che, con software sempre più sofisticati, sono in grado di supportare
il chirurgo sia nella diagnosi sia nella pianificazione dell’intervento – dalla fase pre
protesica a quella post operatoria.
“L’espressione del consenso da
parte del paziente è il risultato del
dialogo e dell’ascolto. Il medico
deve ascoltare i timori del paziente
ed essere in grado di rispondere
ai suoi dubbi. E se è vero che la
firma sul documento è funzionale
a definire le responsabilità e a
prevenire i contenziosi legali,
l’informazione corretta è il senso
di tutto il documento. Un paziente
informato sa ciò che può accadere,
dà il giusto peso a un eventuale
dolore o gonfiore post operatorio,
si fida del medico che ha condiviso
con lui procedimento, tempi, rischi
dell’intervento e profilassi”.
La scheda, oggi rivista e
aggiornata dall’Italian Academy
of Osseointegration (IAO) e da
Federazione nazionale degli ordini
L’impianto Tramonte (al centro) confrontato
con le più note viti del tempo.
I
2 . 2021 I
COME ISCRIVERSI
AL CORSO
Partecipare al corso FAD è semplice.
Una volta letto questo dossier, tutti
gli iscritti all’OMCeO Milano, medici
e odontoiatri, possono rispondere al
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1. se non si è già registrati, registrarsi
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scegliendo un ID e PIN per l’accesso
2. entro 48 ore ricollegarsi alla
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3. cliccare al piede della pagina sul
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4. cliccare il titolo del corso
5. cliccare sul questionario e
rispondere alle domande ECM;
si ricorda che le domande sono
randomizzate, quindi variano nei
tentativi successivi (non c’è un limite
massimo)
6. rispondere al questionario di
customer satisfaction
7. scaricare l’attestazione dei crediti
cliccando in alto a sinistra su “Crediti”
e quindi sul pdf
Per qualunque dubbio o difficoltà
scrivere a:
gestione@saepe.it
ANAFILASSI: DIAGNOSI E TRATTAMENTO
2.2021
Autore: Gian Galeazzo Riario Sforza,
direttore dell’Unità operativa complessa di
Medicina interna Ospedale “Città di Sesto
S. Giovanni” ASST Nord Milano
Revisore: Maria Grazia Manfredi,
Consigliere OMCeOMI, Medico di Medicina
Generale ATS Città Metropolitana di Milano
Destinatari: medici e odontoiatri
Durata prevista: 2 ore (compresa la lettura
di questo dossier)
Durata: dal 31 luglio 2021 al 30 luglio 2022
Evento ECM n. 329339 Provider Zadig (n. 103)
L’anafilassi è una emergenza clinica potenzialmente pericolosa per la vita e tutti gli operatori sanitari
devono essere in grado di riconoscerla e gestirla. La campagna vaccinale in atto comporta una probabilità
bassa ma misurabile che gli operatori sanitari si trovino ad affrontare questa condizione.
In particolare occorre effettuare un’anamnesi accurata per individuare i fattori predisponenti e stimare
il livello di rischio individuale, individuare segni e sintomi utili alla diagnosi e alla diagnosi differenziale
con altre emergenze cliniche, mettere in atto gli interventi di primo soccorso (manovre rianimatorie e
trattamento farmacologico).
II SmartFAD
Sono quasi le sette di sera, è primavera inoltrata di una giornata calda e soleggiata. Arianna, avvo-
cato di 34 anni, alza gli occhi dalla scrivania piena di carte su cui sta lavorando e improvvisamente
ricorda che alle nove deve trovarsi a cena fuori con il fidanzato e con due amici che non vede da un
po’. Dopo una lunga giornata passata in tribunale ha voglia di uscire, rilassarsi, chiacchierare perché
si sente stanca e con un lieve mal di testa. Al locale tanta gente, i tavoli tutti pieni, persone in piedi
che parlano tra loro. Vede gli amici e il fidanzato e il mal di testa passa come per incanto. Chiacchiera
leggera e divertita, gustando il ritorno alla normalità. Si sente bene: “Finalmente liberi, io e il mio
vestitino color vinaccia stasera non abbiamo pensieri” pensa la donna guardando il menù, attirata da
un antipasto di pesce, che ordina assieme a un calice di vino bianco fresco.
Tutto procede bene, bella serata, buon cibo, compagnia ottima. Ma d’improvviso Arianna sente un
senso di nausea sempre più intenso. E poi dolori addominali, crampi che le stringono lo stomaco.
Impallidisce, e senza avere il tempo di parlare né di alzarsi ha un episodio di vomito alimentare che
lascia gli amici sorpresi e allarmati.
“Arianna, che succede?” esclama Paolo, fidanzato con lei da quasi nove anni, sedutole accanto.
Arianna lo guarda spaventata, con gli occhi spalancati, ma non riesce a parlare: dopo aver vomitato
sente un senso di nodo in gola, le manca il fiato e le ronzano le orecchie. Soccorsa dagli amici, da
un cameriere e dal proprietario del locale viene fatta delicatamente sdraiare su un paio di tovaglie
stese a terra. Un medico seduto con la sua borsa due tavoli più in là, si accorge di quanto sta acca-
dendo e corre ad assistere la donna.
I parametri vitali sono: PA 90/60 mmHg, FC 120 bpm regolare, SatO2 92% in aria ambiente,
frequenza respiratoria 25 atti/minuto. All’esame obiettivo si sente un respiro ridotto e gemiti
sparsi da broncospasmo. I toni cardiaci sono tachicardici, niente soffi. L’addome è trattabile,
dolente alla palpazione profonda in epigastrio. In cerca di indizi per capire l’accaduto il me-
dico interroga il fidanzato: “Arianna soffre talvolta di cefalea e ha un raffreddore da fieno in
primavera”. E quasi a sottolineare le parole di Paolo la fidanzata starnutisce più volte tirando su
col naso. Riportando lo sguardo sulla donna sdraiata il medico si accorge che si sta grattando con
insistenza il braccio dove ha ancora lo sfigmomanometro. E le sue labbra si gonfiano rapidamente.
Nel frattempo il proprietario del locale chiama l’ambulanza: “Venite, presto, una cliente si è sentita
male”. In lontananza si sente già la sirena.
Il medico chiede ad Arianna se sa di essere allergica a qualche alimento e se episodi analoghi le erano
capitati anche in passato. Lei, con voce flebile e un visibile sforzo nell’eloquio, risponde che le era già
capitato mangiando un melone che le labbra pizzicassero e si gonfiassero un po’ ma era tutto passato
in pochi minuti. Poi chiude gli occhi. “Mi gira la testa, mi sento svenire” dice con un filo di voce.
In quel momento arriva l’ambulanza e ne escono due paramedici che portano correndo la borsa di
pronto intervento. “È una reazione allergica, uno shock anafilattico” dice il medico.
Un peccato di gola
LA STORIA
parte I
LA STORIA
parte II
COMMENTO
Lo shock anafilattico o anafilassi è una reazione allergica gra-
ve e pericolosa per la vita che richiede un intervento medico in
emergenza perché inizia all’improvviso (anche pochi minuti dopo
l’esposizione all’allergene, in genere dopo 15-30 minuti) e peggiora
molto rapidamente. La risposta fisiopatologica caratteristica è la
liberazione massiva di istamina con effetto vasodilatatore.
Il quadro clinico dell’anafilassi è caratterizzato da polso rapido,
debole e irregolare, ipotensione con possibile evoluzione in sincope
o ancora in collasso cardiocircolatorio, malessere generalizzato con
capogiri, rinorrea, tosse, dispnea, sibilo o stridore toracico, prurito
diffuso, orticaria o angioedema, nausea, vomito, dolore addominale
o diarrea.
La diagnosi differenziale si pone con diverse condizioni, in particola-
re con una reazione vasovagale o una sindrome da iperventilazione.
Cardona V, et al. World Allergy Organ J 2020; 13: 100472.
Muraro A, et al. Eur An Allergy Clin Immunol 2014; 69: 1026-45.
III
2 . 2021
ANAFILASSI: DIAGNOSI E TRATTAMENTO
Le linee guida sull’anafilassi della World Allergy Organization
(WAO)1
e dell’European Academy of Allergy and Clinical Immunology
(EAACI)2
hanno stabilito tre serie di criteri clinici per la diagnosi di
anafilassi, confermando la proposta del Secondo simposio sulla
definizione e gestione della relazione di sintesi sull’anafilassi.3
In breve, l’anafilassi è altamente probabile in caso di insorgenza
acuta (da pochi minuti a diverse ore) di una patologia che colpisce
almeno due organi diversi (pelle-mucosa, vie aeree, apparato
gastrointestinale, sistema cardiovascolare) o in caso di riduzione
della pressione arteriosa dopo esposizione all’allergene. Poiché
l’anafilassi imita sindromi comuni come l’asma e l’orticaria, e può
presentarsi senza ipotensione, la sua diagnosi viene spesso man-
cata o ritardata.
Recentemente il Comitato Anafilassi della WAO ha proposto di
rivedere la definizione e i criteri clinici dell’anafilassi, al fine di sem-
plificarne la diagnosi e migliorarne la gestione.4
Una minoranza di
pazienti mostra reazioni allergiche bifasiche indotte da una varietà
di cause, in cui segni e sintomi di anafilassi si ripresentano alcune
ore dopo la risoluzione iniziale dell’anafilassi senza riesposizione
al trigger.5
Oltre alle reazioni bifasiche, i pazienti che hanno IgE
reattive all’oligosaccaride galattosio-alfa-1,3-galattosio, presente
nella carne di mammifero e in alcuni anticorpi terapeutici, possono
manifestare anafilassi dopo un ritardo di diverse ore in cui non si
manifestano segni o sintomi.6
1	
Cardona V, et al. World Allergy Organ J 2020; 13: 100472.
2	
Muraro A, et al. Eur An Allergy Clin Immunol 2014; 69: 1026-45.
3	
Sampson H, et al. J Allergy Clin Immunol 2006; 117: 391-7.
4	
Turner P, et al. World Allergy Organ J 2019; 12: 100066.
5	
Lee S, et al. Curr Opin Allergy Clin Immunol 2016; 16: 346-51.
6	
Commins S, et al. Allergol Int 2016; 65: 16-20.
“La pressione è in discesa. Ora è 80/50 mmHg e la frequenza cardiaca 130 bat-
titi al minuto” dice il medico. A queste parole uno dei due apre la borsa e ne
estrae quella che sembra una penna con una vistosa etichetta gialla. “Ah meno
male, l'avete!” esclama il medico mentre l’infermiere svita il tappo di sicurez-
za premendo la penna sulla coscia di Arianna. L’effetto dell’autoiniettore, che
contiene adrenalina ed è dotato di un ago che fuoriesce al contatto con la pelle,
è quasi immediato: Arianna riprende colore e le labbra si sgonfiano.
LA STORIA
parte III
COMMENTO
La gestione acuta dell’anafilassi dipende dal riconoscimento pre-
coce dei sintomi e dall’uso tempestivo di adrenalina, trattamento di
prima linea dell’anafilassi e salvavita.
I pazienti con storia di anafilassi hanno un aumentato rischio di re-
azioni gravi, cosa che rende fondamentali le misure di prevenzione
secondaria. Le più importanti includono l’identificazione di fattori
scatenanti, il riconoscimento dei primi sintomi di anafilassi da parte
del paziente cui va consigliato di portare con sé un autoiniettore di
adrenalina, la gestione delle comorbilità rilevanti, l’immunoterapia
specifica, l’immunoterapia orale alimentare e la desensibilizzazione
da farmaci se indicato.
A tutti i pazienti con anamnesi di reazione anafilattica devono esse-
re forniti autoiniettori di adrenalina da iniettare nel muscolo vasto
laterale.
Sono sei le indicazioni assolute alla prescrizione di un autoiniettore
di adrenalina:
• 
precedente anafilassi con cibo, lattice, aeroallergeni come animali
o altri fattori scatenanti non evitabili;
• anafilassi da esercizio;
• pregressa anafilassi idiopatica;
• coesistente asma instabile, con allergia alimentare;
• 
allergia al veleno di imenotteri di adulti con precedenti reazioni
sistemiche (a meno che non abbiano ricevuto immunoterapia
specifica con veleno di imenotteri, di mantenimento) e bambini con
reazioni cutanee estese;
• presenza di mastocitosi nota.
Muraro A, et al. Eur An Allergy Clin Immunol 2014; 69: 1026-45.
COMMENTO
Arianna riapre gli occhi: “Che guaio. Ho rovinato la serata a tutti…”. Paolo
le prende la mano con le lacrime agli occhi mentre i paramedici la caricano
in barella e chiudono le porte dopo averlo fatto salire assieme al medico che
aveva prestato il primo aiuto e che si offre di accompagnarli, raccomandando
per maggiore sicurezza un periodo di osservazione in Pronto soccorso.
LA STORIA
conclusione
IV SmartFAD
Piove. Gocce fitte picchiettano sul tetto del grosso hub vaccinale. Ombrelli aperti, la gente in coda si
muove rapida. Sui cartelli appesi si legge che sono ammesse al vaccino anti COVID le persone nella
fascia di età dai 50 ai 59 anni. L’accettazione procede veloce, efficiente. Le ragazze al desk prendono
i dati e assegnano numeri che scorrono su grandi cartelloni luminosi. In un ordinato viavai i pa-
zienti si siedono e aspettano di essere chiamati per poi avviarsi, eventualmente aiutati da uomini e
donne della protezione civile, ai box dove il vaccino sarà somministrato.
Ennio, muratore di 53 anni, numero 64, viene chiamato nel box 14, dove lo accolgono il medi-
co e l’infermiere che gli inietterà la prima dose. Seguendo un modulo di domande precom-
pilate il medico guarda lo schermo del computer chiedendo all’uomo se abbia malattie in
atto o pregresse. “No, niente. Sono uno sportivo e non prendo farmaci” risponde l’uomo.
Poi aggiunge: “Ho un po’ di raffreddore da fieno in primavera, ma niente di grave: passa con
una pastiglia di antistaminico ogni tanto. Poi, pensandoci bene, una reazione allergica grave
l’ho avuta: uno sciame di vespe mi ha aggredito 10 anni fa. Almeno 4 o 5 punture. Dopo poco
mi sono sentito soffocare e mi prudeva la gola. Fortunatamente lavoravo in un cantiere edile e il
capomastro incaricato del primo soccorso mi ha fatto un’iniezione e sono stato meglio”.
Il medico, con espressione attenta, chiede se a parte il raffreddore e l’anafilassi al veleno di imenotteri
abbia null’altro da riferire. “Beh, dato che lavoro spesso all’aperto, ho fatto per tre anni il vaccino per
le vespe. Ho finito 4 anni fa. Da allora mi hanno punto ancora, ma non ho più avuto reazioni” spiega
il muratore. “Devo preoccuparmi? Il vaccino potrebbe farmi venire un’allergia?” domanda il paziente.
“Un evento come l’anafilassi che lei ha già avuto è molto raro, si parla di pochi casi per milione di
persone vaccinate” risponde il medico.
“Che vaccino mi fate?” domanda l’uomo.
“Pfizer” risponde il medico, indicando all’infermiere di somministrare la dose.
Avuta via libera, l’infermiere pratica l’iniezione nel deltoide sinistro del mura-
tore dopo averlo fatto sedere. “Date le sue passate reazioni dopo brutti incontri
con i pungiglioni delle vespe dovrà aspettare di là 60 minuti dopo l’iniezione”
dice il medico con aria rassicurante, aggiungendo che la maggior parte delle
reazioni anafilattiche si sono verificate entro 30 minuti dalla somministrazione della
prima dose in persone con storia di allergie o precedenti anafilassi.
LA STORIA
parte I
LA STORIA
parte II
Vaccinarsi è sempre bene
COMMENTO
COMMENTO
Nel quinto Rapporto dell’AIFA sugli effetti avversi ai vaccini in Ita-
lia, è descritto un tasso di anafilassi in seguito a vaccinazione anti
SARS-CoV-2 pari a 3,9 per milione di dosi (4,7 per milione di prime
dosi e 2,3 per milione di seconde dosi). In particolare i tassi sono di
4,4 per milione di dosi con il vaccino Comirnaty-Pfizer (5,7 e 2,3 per
milione, rispettivamente), di 2,8 per milione (3,3 e 2,5 per milione,
rispettivamente) con il vaccino Moderna, di 2,8 per milione (3 e 1,4
per milione, rispettivamente) con il vaccino Vaxzevria-Astra Zeneca.
Il sesto Rapporto dell’AIFA conferma in generale la dimensione del
fenomeno senza un’analisi per vaccino e per dose.
In base ai dati dei CDC statunitensi, il tasso di anafilassi per i vaccini
a mRNA è uguale a 4,7 casi per milione di somministrazioni per il
vaccino Pfizer e a 2,5 casi per milione per il Moderna. La maggior
parte si sono verificati entro 30 minuti dalla prima dose quasi total-
mente in persone con storia di allergie o reazioni allergiche ad altre
sostanze o precedenti di anafilassi.
(AIFA). Rapporto sulla Sorveglianza dei vaccini COVID-19 n. 5 (27-12-
2020/26-5-2021)
(AIFA). Rapporto sulla Sorveglianza dei vaccini COVID-19 n. 6 (27-12-
2020/26-6-2021)
Shimabukuro T, et al. JAMA 2021; 325: 1101-2.
Blumenthal K, et al. JAMA 2021; 325: 1562-5.
I pazienti con storia di anafilassi grave con coinvolgimento cardio-
vascolare e respiratorio da qualsiasi causa o da causa non nota, con
asma non controllato, con mastocitosi, con storia di allergia a glicole
polietilenico (PEG) o polisorbato devono preventivamente sottoporsi
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Informami 2-2021- Omceomi - nuovo Piano Nazionale della Prevenzione 2020-2025

  • 1. A 2. 2021 Bollettino dell’OMCeOMI INFORMAMI 2.2021 ANNO LXXIV PROFESSIONE Smartworking, le ricadute sulla salute pag. 13 SANITÀ Associazioni di pazienti e ricerca in medicina pag. 25 INTERVISTA A colloquio con la ministra della ricerca Messa pag. 33 Piano nazionale della prevenzione 2020-2025 360° pag. 5
  • 2. B INFORMAMI I telefoni dell’Ordine Ricordiamo che, ai sensi dell’art. 16 comma 7 D.P.R. 185/2008, sei tenuto a comunicarci il tuo indirizzo di Posta Elettronica Certificata (PEC). Se non lo hai già fatto, segnalalo inviandolo a: segreteria@pec.omceomi.it Grazie. Direzione Dott. Marco CAVALLO tel. 02.86471.1 Segreteria del Presidente Sofia CAPPELLARO tel. 02.86471410 Segreteria consigliere medicina generale Cinzia PARLANTI tel. 02.86471400 Segreteria del vice presidente Silvana BALLAN tel. 02.86471423 Segreteria del consigliere segretario Laura CAZZOLI tel. 02.86471413 Segreteria commissioni Maria FLORIS tel. 02.86471417 Ufficio Legale/Avvocatura Avv. Mariateresa GARBARINI tel. 02.86471414 Avv. Daniela MORANDO tel. 02.86471405 Ufficio giuridico amministrativo (Procedimenti disciplinari) Dott. Gabriele AVANZINI tel. 02.86471426 Ufficio iscrizioni, cancellazioni, certificati Alessandra GUALTIERI tel. 02.86471402 Cinzia PARLANTI tel. 02.86471400 Maria FLORIS tel. 02.86471417 Dott.ssa Eugenia CERMIONI tel. 02.86471448 Front office Cinzia PARLANTI (Stampa) tel. 02.86471400 Maria FLORIS tel. 02.86471417 Amministrazione e contabilità Dott.ssa Paola LANINI tel. 02.86471407 Contabilità - visti d’equità Gabriella BANFI tel. 02.86471409 Rossana RAVASIO tel. 02.86471419 Barbara CLEMENTE tel. 02.86471411 Ufficio Stampa - sito istituzionale Dott.ssa Mariantonia FARINA tel. 02.86471449 Aggiornamento professionale ECM Dott.ssa Sarah BALLARÈ tel. 02.86471401 Dott.ssa Mariantonia FARINA tel. 02.86471449 Dott.ssa Irene PISANI tel. 02.86471427 Segreteria commissione odontoiatri Silvana BALLAN tel. 02.86471423 Stefania PARROTTA tel.02.86471428 Pubblicità sanitaria e psicoterapeuti Dott.ssa Francesca PERSEU tel. 02.86471420 CED Lucrezia CANTONI tel. 02.86471424 Loris GASLINI tel. 02.86471412 Centralino Fabio SORA tel. 02.864711 Ufficio Rapporti con ENPAM Katia COSTA tel. 02.86471404 Caterina FERRERO tel 02.86471404 Ricevimento telefonico: lunedì e mercoledì h 14:00-16:00 martedì e giovedì h 10:00-12:00 Ricevimento in sede previo appuntamento lunedì e mercoledì h 10:00-12:00 martedì e giovedì h 14:00-16:00 Per prenotare il proprio appuntamento, chiamare il numero di telefono: 02.86471404 Una segreteria telefonica è sempre attiva per lasciare eventuali messaggi; il referente d’ufficio provvederà a rispondere appena possibile. Ufficio Rapporti con ENPAM, modalità di ricevimento www.omceomi.it Collegati con l’Ordine
  • 3. 3 Occhi ben aperti PIANO NAZIONALE DELLA PREVENZIONE 2020-2025 5 La prevenzione, un’occasione per “ricucire” centro e territorio 8 L’impatto di COVID-19 su stili di vita e screening 10 Promozione della salute ed equità 12 Salute, ambiente e co-benefici 13 Lavoro e studio da casa, le conseguenze per la salute 16 Tumori e guarigione, un concetto statistico 18 Post COVID-19: sintomi disabilitanti dopo l’infezione acuta 20 Trombosi e vaccini a vettore virale, rischio reale ma molto raro 22 Dai camelidi la nuova frontiera della terapia mirata: i nanocorpi 23 Informazione corretta e consenso del paziente in implantologia 25 Il ruolo delle associazioni di pazienti in Italia 28 L’etica medica sotto interrogatorio 31 Occhi puntati sulle varianti 33 Il primo obiettivo della ministra della ricerca Messa: dare ai giovani nuove possibilità 37 Le cure domiciliari per i pazienti COVID decise, purtroppo, in tribunale 39 1975: Medico curante o medico fiscale del proprio assistito? 42 Pandemia in filigrana 44 Un brutto presagio 46 Prognosi sempre infausta ma qualità della vita un po’ migliore 47 Da leggere 48 Da vedere SMARTFAD I Anafilassi: diagnosi e trattamento II Un peccato di gola IV Vaccinarsi è sempre bene VI Per evitare la via sistemica SOMMARIO EDITORIALE 360° PROFESSIONE L’INTERVISTA SANITÀ CLINICOMMEDIA IERI E OGGI STORIA E STORIE DIRITTO
  • 4. 2 INFORMAMI Registrazione al Tribunale di Milano n° 366 del 14 agosto 1948 Iscritta al Registro degli operatori di comunicazione (ROC) al n. 20573 (delibera AGCOM n. 666/08/CONS del 26 novembre 2008). Direttore Responsabile Roberto Carlo Rossi Comitato di Redazione Andrea Senna, Martino Trapani, Ugo Giovanni Tamborini, Vanna Avoledo, Luciana Bovone, Costanzo Gala, Ugo Garbarini, Fabrizio Gervasoni, Maria Grazia Manfredi, Cinzia Massafra, Danilo Mazzacane, Giulia Palandrani, Maria Melinda Perri, Claudio Procopio, Sandro Siervo, Vincent Rossi Redazione e realizzazione Zadig Srl via Ampère 59, 20131 Milano tel. 02 7526131 - fax 02 76113040 segreteria@zadig.it – www.zadig.it Direttore: Pietro Dri Redazione: Giulia Cauda, Nicoletta Scarpa, Maria Rosa Valetto (coordinamento) Grafica: Luisa Goglio Autori degli articoli di questo numero: Giulia Cauda, Sergio Cima, Cinzia Colombo, Silvia Emendi, Valeria Esposito, Ugo Garbarini, Fabrizio Gervasoni, Angelica Giambelluca, Luisa Goglio, Roberto Labianca, Stefano Menna, Antonino Michienzi, Simonetta Pagliani, Cristiana Pulcinelli, Giangaleazzo Riario Sforza, Patrizia Salvaterra, Nicoletta Scarpa, Debora Serra, Sandro Spinsanti Segreteria Mariantonia Farina Via Lanzone 31, 20123 Milano tel. 02 86471449 stampa@omceomi.it Stampa Cartostampa Chiandetti Srl, Stamperia a Reana del Rojale, Italia Trimestrale Spedizione a cura di Nexive SpA Via Fantoli 6/3, 20138 Milano Dati generali relativi all’Ordine Consiglio Direttivo Presidente Roberto Carlo Rossi Vice Presidente Andrea Senna Segretario Ugo Giovanni Tamborini Tesoriere Martino Trapani Presidente Onorario Ugo Garbarini Consiglieri Vanna Avoledo, Giovanni Campolongo, Geltrude Consalvo, Giuseppe Antonio Deleo, Luca Ming Wang Gala, Fabrizio Gervasoni, Maria Grazia Manfredi, Cinzia Massafra, Ezio Mastropasqua, Massimo Parise, Maria Melinda Perri, Roberto Carlo Rossi, Ugo Giovanni Tamborini, Martino Trapani, Maria Teresa Zocchi, Claudio Mario Attilio Procopio, Jason Franco Ronald Motta Jones, Andrea Senna, Sandro Siervo Commissione Albo odontoiatri Presidente Andrea Senna Componenti Gianpaolo Di Donato, Lucia Giannini, Jason Franco Ronald Motta Jones, Claudio Giovanni Pagliani, Giulia Palandrani, Claudio Mario Attilio Procopio, Vincent Rossi, Andrea Senna, Sandro Siervo Collegio Revisori dei conti Effettivi Alessandra Margherita De Scalzi, Danilo Renato Mazzacane Supplente Piera Maria Tonelli A 2. 2021 A 2. 2021 Bollettino dell’OMCeOMI INFORMAMI 2.2021 ANNO LXXIV PROFESSIONE Smartworking, le ricadute sulla salute pag. 13 SANITÀ Associazioni di pazienti e ricerca in medicina pag. 25 INTERVISTA A colloquio con la ministra della ricerca Messa pag. 33 Piano nazionale della prevenzione 2020-2025 360° pag. 5 Nota per gli autori Gli articoli e la relativa iconografia impegnano esclusivamente la responsabilità degli autori. I materiali inviati non verranno restituiti. Il Comitato di Redazione si riserva il diritto di apportare modifiche a titoli, testi e immagini degli articoli pubblicati. I testi dovranno pervenire in redazione in formato word, le illustrazioni su supporto elettronico dovranno essere separate dal testo in formato TIFF, EPS o JPG, con risoluzione non inferiore a 300 dpi. Per questo numero viene riproposta l'immagine di copertina della rivista Tempo Medico n. 168 del 1979. Chiuso in redazione il 30 luglio 2021
  • 5. 3 2. 2021 EDITORIALE IERI NOTTE ho avuto un incubo. Nel sogno, ero l’amministratore di una piantagione di cotone e venivo malamente licenziato da un nerboruto maggiordomo e dai suoi sgherri. “Perché?”, continuavo a chiedere. “Ho sempre lavorato bene!”. “Appunto”, rispondeva il maggiordomo, “questo alla proprietaria non piace”, indicando, con la sua mano avvolta da un morbido guanto bianco, una signora dai capelli corti biondo-cenere, elegante che, ben lontana dai campi dove gli operai faticavano e sudavano sotto al sole cocente, stava sorbendo un tè nel patio ombreggiato di una bella casa coloniale, circondata di servitori e in compagnia di alcuni signori ben vestiti, ma dall’aspetto poco raccomandabile. “E poi”, soggiungeva il maggiordomo, “lei è anche onesto! Si vergogni!”; e a queste parole due energumeni mi buttavano fuori dalla tenuta. Dovrò consultare qualche esperto per capire il significato di quanto ho sognato… ma forse tutto è dovuto al fatto che faccio le ore piccole a scrivere comunicati, lettere e proteste varie contro quella che è (per me) un’evidente manovra di dismissione (svendita?) della sanità pubblica in generale e del territorio in particolare. Durante la giornata di ieri, parlando con un autorevole collega, enumeravo una serie di fatti che, a mia interpretazione, vanno tutti nello stesso senso; e forse questa è anche la ragione dell’incubo che ha scosso la mia nottata. Vi voglio fare partecipi delle mie riflessioni. Innanzitutto, numerosi politici sono intervenuti sui media, negli ultimi anni, al fine di denigrare i medici convenzionati. Chi dice che “sono pagati come un cardiochirurgo” per far nulla, chi dice “ma chi ci va ancora dal medico di famiglia?”, chi dice “lavorano solo tre ore al giorno”. Inoltre, alcune pseudo-inchieste sui maggiori quotidiani e sui maggiori settimanali del paese hanno falsamente affermato che il medico di assistenza primaria prende un sacco di soldi e lavora pochissimo. Tra l’altro, questi sottoprodotti simil-giornalistici non riescono a spiegare come mai posti tanto remunerativi e appetibili vengano oramai lasciati scoperti a centinaia (in Lombardia si va verso le 900 zone carenti lasciate cronicamente vacanti) perché non c’è più nessun medico disposto a sacrificare la propria professionalità e la propria vita (è proprio il caso di dirlo!) per un lavoro mal pagato, oberato di obblighi burocratici e scarsamente considerato da un punto di vista sociale. Nella nostra regione, poi, il de-finanziamento di tutto il territorio è lampante: servizi di epidemiologia e sanità pubblica lasciati con pochi medici a coprire territori immensi, totale chiusura della medicina scolastica, una rete informatica ROBERTO CARLO ROSSI Occhi ben aperti
  • 6. 4 INFORMAMI EDITORIALE che fa acqua da tutte le parti, lenta, obsoleta e incapace di interconnettere tutti gli attori della sanità. E ancora: specialisti ambulatoriali in numero sempre più ridotto e, ciliegina sulla torta, gli accordi regionali per la Medicina generale meno remunerativi d’Italia. In merito alla formazione dei futuri medici di famiglia, le cose non vanno meglio: in Lombardia vengono messe a concorso, da sempre, un numero di borse di studio largamente insufficiente per coprire i fabbisogni del territorio e il valore delle borse è la metà di quello degli altri specializzandi (ma questo è un problema nazionale); e non che la pandemia abbia cambiato le cose! Infatti, il numero di borse per gli specializzandi quest’anno è enormemente aumentato (e meno male!), ma quello per la Medicina generale, pur se maggiore di un tempo, è ancora del tutto carente. Ebbene, in questo panorama devastato e desertificato, che l’avvento di COVID-19 ha reso ancora più aspro, alcuni gruppi privati hanno cominciato a offrire visite di medicina generale a tariffe abbordabili e si programma di dare le nuove case della salute (o case di comunità) anche al privato. D’altra parte, pur avendo un servizio sanitario regionale che può contare ottime eccellenze in campo ospedaliero, anche nelle ASST pubbliche il tema del de- finanziamento è sotto gli occhi di tutti e, oltre agli stipendi inadeguati, per dieci medici che vanno in pensione se ne assumono tre o quattro al massimo. Beh, sia chiaro, io non ho nulla contro il privato accreditato o il privato puro in sanità, ma all’interno di regole chiare e soprattutto all’interno di un servizio sanitario universalistico. Pavento invece, in questo panorama che ho descritto per sommi capi, una pericolosa deriva; e, d’altra parte, fa anche riflettere il fatto che, negli ultimi tempi, gli “aumenti” i lavoratori dell’industria e di altri comparti li hanno sempre di meno in termini economici e sempre di più in termini di benefit sanitari. Così le mutue private stanno acquistando sempre più vigore; e questo non mi piace. Si apre, infatti, uno scenario in cui la regione (e l’erario) de-finanzia, e le famiglie devono compensare o con i loro danari o attraverso assicurazioni private, se lavorano; ma nessuno di noi è stato abituato a programmare una parte consistente del budget familiare per le spese concernenti la salute. Vabbè, l’incubo è finito. Magari mi sbagliavo. Domani è un altro giorno… Ma io cercherò di tenere gli occhi sempre bene aperti! I videomessaggi del Presidente Chi non abbia ancora preso visione dell’ultimo videomessaggio o voglia riguardare i precedenti può collegarsi alla playlist.
  • 7. 5 2. 2021 360° La prevenzione, un’occasione per “ricucire” centro e territorio STEFANO MENNA È LA CORNICE di riferimento e lo strumento di governo indispensabile per programmare a livello centrale gli interventi di prevenzione e promozione della salute da declinare sul territorio, nelle diverse regioni. Approvato il 6 agosto 2020 tramite intesa in Conferenza stato-regioni,1 il nuovo Piano nazionale della prevenzione (PNP) 2020-20252 delinea la road map per riportare al centro le politiche di prevenzione basate su prove di efficacia, equità e sostenibilità che devono accompagnare il cittadino in tutte le fasi della vita, nei luoghi in cui vive e negli ambienti in cui lavora. L’obiettivo generale è garantire la salute individuale e collettiva, ma anche la tenuta del Servizio sanitario nazionale (SSN) e dei Livelli essenziali di assistenza (LEA), messi a dura prova dalle conseguenze della pandemia. Efficacia, equità, sostenibilità. Il Piano nazionale della prevenzione 2020-2025 rappresenta la bussola per orientare le prossime scelte di salute dei cittadini. Si tratta di garantire l’applicazione dei Livelli essenziali di assistenza, ma anche di ricostruire quella trama di servizi sul territorio compromessi da crisi, tagli, risparmi. E sui quali è piombata infine l’emergenza pandemica, con le sue conseguenze drammatiche PIANO NAZIONALE DELLA PREVENZIONE 2020-2025
  • 8. LA SALUTE IN TUTTE LE POLITICHE Per agire efficacemente su tutti i determinanti di salute, il Piano punta su alleanze e sinergie tra forze diverse, secondo il principio Health in all policies (la salute in tutte le politiche).3 A partire dal 2006, anno del varo della strategia elaborata dall’Unione europea durante la presidenza finlandese, la “salute in tutte le politiche” costituisce una nuova e più ampia visione di sanità pubblica che coinvolge, in modo sinergico e interdisciplinare, settori diversi della società, istituzioni e portatori di interesse: educazione, politiche fiscali, agricoltura, ambiente, trasporti, comunicazione, organizzazioni di volontariato, industria, autorità locali. Perché la salute è fortemente influenzata da fattori esterni a quelli propri del sistema sanitario: modificare gli stili di vita delle persone, orientandoli al benessere, richiede non solo interventi rivolti al singolo individuo, ma anche il cambiamento strutturale delle condizioni sociali e dell’ambiente di vita e di lavoro (vedi anche articolo a pagina 10). LA PREVENZIONE DOPO LA PANDEMIA Da questo punto di vista, SARS-CoV-2 ci ha impartito una lezione drammatica. Ha evidenziato come gli interventi di sanità pubblica siano fondamentali per lo sviluppo economico e sociale di un paese e che la salute di tutti dipende dalla salute di ciascuno. Ma ci ha ricordato anche come uomo, animali e ambiente siano connessi in una relazione di stretta interdipendenza, nella quale le fasce più deboli della popolazione (anziani e malati cronici) rischiano di pagare il conto più salato. In barba al principio di equità che un sistema sanitario come il nostro dovrebbe sempre garantire. Uno dei principali elementi di innovazione del PNP 2020-2025 è proprio l’intento di riorientare l’intero sistema della prevenzione verso un approccio più organico: il documento è in linea con la visione One Health (vedi InFormaMi 2021;1) che vede la salute come il risultato di uno 360° PIANO NAZIONALE DELLA PREVENZIONE 2020-2025 sviluppo armonico e sostenibile dell’essere umano e della natura. Riconoscendo che la salute di persone, animali ed ecosistemi sono interconnesse, punta su un approccio multidisciplinare e intersettoriale per affrontare i rischi potenziali o già esistenti, come le epidemie scaturite dalla manomissione e dal degrado degli ecosistemi, che favoriscono il salto di specie (spillover) di nuovi patogeni dalla fauna selvatica a quella domestica e all’uomo. Il Piano può così dare un contributo al raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda 2030,4 adottata dalle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile del pianeta: una spinta verso un approccio di promozione della salute, che tenga conto degli aspetti economici, sociali e ambientali. DALLA CENTRALITÀ DELLA PERSONA… Il nuovo PNP rilancia azioni volte a incrementare l’alfabetizzazione sanitaria (health literacy) e potenziare la capacità degli individui di interagire con il sistema sanitario (engagement) tramite relazioni basate su fiducia e agire responsabile. Affermare la centralità della persona significa riconoscere che la salute (individuale e pubblica) è un processo determinato da fattori sociali ed economici, oltre che biologici. Non si tratta soltanto di un cambio di paradigma culturale: la finalità delle politiche sanitarie di cui il nuovo PNP si fa espressione è prevenire le malattie, ma anche creare nella comunità e nei suoi membri un livello di competenza, resilienza, consapevolezza e 6 INFORMAMI
  • 9. 7 2. 2021 capacità di controllo (empowerment) che mantenga il capitale di salute e migliori la qualità della vita. … AI SERVIZI SUL TERRITORIO Il nuovo Piano disegna i servizi essenziali attorno al “cittadino consapevole” e mette in risalto l’importanza di costruire una cerniera tra i grandi centri di cura e le strutture presenti sul territorio perché i poli ospedalieri, soprattutto se isolati e separati dal contesto che li circonda, non possono essere l’unica risposta ai bisogni sanitari crescenti. Si tratta di uno degli elementi che più è mancato nelle prime fasi dell’emergenza COVID-19: un sistema rapido e flessibile, capace di reagire con tempestività alle richieste della popolazione. Un sistema che “in tempo di pace”deve tornare a garantire il funzionamento di programmi di prevenzione come gli screening oncologici o le vaccinazioni. È un punto cruciale, questo, sul quale molto ci sarà da fare: risanare le ferite che la pandemia ha in parte provocato e in parte portato alla luce, sul “corpo” di un SSN già fiaccato da anni di tagli, mancati investimenti e risparmi che ne hanno messo a rischio la tenuta (vedi articolo a pagina 28). È allora indispensabile rafforzare le aziende sanitarie nelle attività di prevenzione, medicina di base e attività distrettuale, garantendo i processi di integrazione e continuità assistenziale tra area sociale e sociosanitaria, tra territorio e ospedale anche facilitando lo scambio di competenze e informazioni tra tutti gli attori del sistema, compresi i medici di medicina generale e i pediatri di libera scelta. Per loro il Piano prevede un coinvolgimento attivo e auspica il superamento dell’assistenza primaria basata sullo studio medico individuale, a favore di forme aggregate di organizzazione: alla salute dei cittadini bisogna rispondere in maniera organica e multidisciplinare, 24 ore su 24 e sette giorni su sette. Un modello già attivo in alcune regioni, capace di ridurre gli accessi impropri al Pronto soccorso, accorciare le liste di attesa, migliorare l’appropriatezza delle prescrizioni e l’adesione alle terapie da parte del paziente (compliance).5 OBIETTIVI, VALUTAZIONE E CRONOPROGRAMMA Rispetto ai sei macro obiettivi previsti (malattie croniche non trasmissibili, dipendenze e problemi correlati; incidenti stradali e domestici; infortuni e Bibliografia 1 Conferenza stato-regioni 2020. Atto n. 127/CSR. 2 Piano nazionale della prevenzione 2020-2025. 3 WHO 2006. 4 Nazioni Unite. Agenda 2030. incidenti sul lavoro; malattie professionali; ambiente, clima e salute; malattie infettive prioritarie), il Piano persegue l’approccio di genere come un cambio di prospettiva trasversale, da sostenere per evitare stereotipi e orientare all’equità le scelte di salute. Rafforza l’approccio life course, finalizzato al mantenimento del benessere in ciascuna fase dell’esistenza, e per setting – cioè i luoghi o i contesti dove è più facile raggiungere gli individui e i gruppi prioritari su cui intervenire: scuola, lavoro, comunità, servizi sanitari, città. Il nuovo PNP adotta infine un sistema di valutazione basato su indicatori che permettono di misurare nel tempo, in coerenza con il monitoraggio dell’applicazione dei LEA, lo stato di attuazione dei programmi. Si tratta di un sistema flessibile e dinamico, utile per intervenire in corso d’opera per raggiungere i risultati di salute ed equità attesi. Infine, il calendario delle attività: ogni regione deve predisporre un proprio piano declinando contenuti, obiettivi, linee di azione e indicatori del Piano nazionale nei contesti regionali e locali. Appuntamento poi a marzo 2022 per rendicontare quanto realizzato nel corso dell’anno precedente. Da parte sua, il Ministero della Salute è tenuto a mettere in campo le linee di supporto centrale, la cosiddetta stewardship, per contribuire al raggiungimento degli obiettivi garantendo la coesione generale del sistema. Assistenza territoriale: che cosa cambia In base alla prima bozza di riforma, redatta da un Gruppo di lavoro Agenas, a livello territoriale ci sarà un Distretto socio-sanitario ogni 100.000 abitanti per programmare, organizzare ed erogare i servizi. Al suo interno sono previste un minimo di quattro “Case della comunità” con équipe multidisciplinari, per favorire la capillarità dei servizi e una maggiore equità di accesso nelle aree interne e rurali; un’Unità speciale di continuità assistenziale (USCA, cioè un’équipe mobile distrettuale per la gestione di situazioni clinico-assistenziali di particolare complessità e di comprovata difficoltà operativa); due Ospedali di comunità; un hospice dedicato a persone affette da patologie oncologiche, croniche, neurodegenerative, irreversibili e in stadi avanzati) e una Centrale operativa territoriale. Il documento dedica grande spazio anche alla telemedicina e alla digitalizzazione della pubblica amministrazione, nonché all’attivazione di un numero verde che consentirà di gestire l’assistenza domiciliare.
  • 10. 8 INFORMAMI UN’INDAGINE realizzata tra agosto e dicembre 2020 dalla sorveglianza di popolazione PASSI d’Argento (Progressi delle aziende sanitarie per la salute in Italia), su un campione di oltre 2.600 ultra 65enni, mostra il rallentamento di visite mediche ed esami diagnostici cui si è andati incontro a causa della pandemia. Il 44% degli intervistati ha dichiarato che nei 12 mesi precedenti ha rinunciato ad almeno una visita o a un esame di cui avrebbe avuto bisogno, il 28% si è visto cancellare la visita per la sospensione dei servizi, mentre il 15% ha rinunciato per paura del contagio. Disagi e ritardi che hanno riguardato soprattutto le persone con difficoltà economiche (52% vs 42% di chi non ha difficoltà economiche) e quelle tra i 65 e i 74 anni (45% vs 39% tra gli ultra 85enni).1 Inoltre nel 2020 quasi un milione di donne non ha ricevuto l’invito per lo screening mammografico (-947.322, pari a una contrazione del 34,5% rispetto allo stesso periodo del 2019), e quasi due milioni di persone (1.907.789, -42%) di entrambi i sessi non sono state chiamate per eseguire lo screening colorettale. I dati, raccolti dall’Osservatorio nazionale screening (ONS),2 descrivono con chiarezza l’impatto della pandemia di COVID-19 sul Sistema sanitario nazionale e sulla sua capacità di risposta a un evento inatteso. Non 360° L ’impatto di COVID-19 su stili di vita e screening Screening oncologici saltati, visite ed esami rinviati, aumento di fumatori e bevitori a rischio. I dati di sorveglianza epidemiologica lanciano l’allarme sull’impatto della pandemia sulla prevenzione. Le conseguenze di salute pubblica, già oggi significative, rischiano di trascinarsi anche nei prossimi anni PIANO NAZIONALE DELLA PREVENZIONE 2020-2025 DEBORA SERRA
  • 11. 9 2. 2021 solo: a livello europeo, secondo la European Cancer Organisation,3 la pandemia ha bloccato 100 milioni di screening oncologici e potrebbero non essere stati diagnosticati oltre un milione di casi di cancro (vedi anche l’articolo “Screening oncologici, una lenta ripartenza”, InFormaMi 2021;1). AUMENTANO I CONSUMI DI ALCOL E FUMO Sebbene questi dati forniscano un quadro pesante sull’impatto della COVID-19 in Italia, la maggior parte degli effetti della pandemia potrebbe verificarsi nei prossimi anni, come conseguenza sia delle mancate diagnosi precoci sia della recrudescenza di stili di vita insalubri. I dati a disposizione indicano infatti che la pandemia ha modificato alcune abitudini della popolazione che hanno un impatto sui fattori di rischio per le malattie croniche. Secondo uno studio dell’Istituto superiore di sanità (ISS) svolto in collaborazione con l’Istituto farmacologico Mario Negri,4 a maggio 2021 i fumatori erano il 24% in più rispetto a novembre 2020. Per Roberta Pacifici, direttrice del Centro nazionale dipendenze e doping dell’ISS “un ruolo chiave nell’aumento dei fumatori lo hanno avuto i nuovi prodotti del tabacco e le e-cig”. Infatti l’uso di sigarette a tabacco riscaldato ed e-cig “contribuisce all’iniziazione e alla ricaduta del consumo di sigarette tradizionali e ne ostacola la cessazione, alimentando l’epidemia tabagica”. Un destino comune è stato osservato anche per i consumi di alcol: nell’ultimo rapporto dell’ISS,5 si stima che l’anno scorso gli acquisti di bevande alcoliche siano aumentati di una percentuale compresa tra il 181% e il 250% con l’invio degli acquisti a casa (home delivery). Non è tuttavia ancora possibile quantificare l’impatto di questi dati e le loro ricadute sui servizi di alcologia e i dipartimenti per le dipendenze e la salute mentale (che hanno registrato e continuano a registrare l’aumento delle richieste). Una stima sui consumi alcolici la fornisce anche il sistema di sorveglianza PASSI1 secondo cui, nel periodo pandemico, il 17% degli intervistati ha fatto un consumo Bibliografia 1 Gruppo tecnico nazionale PASSI e PASSI d’Argento. ISS 2021. 2 ONS. 2020. 3 European Cancer Organisation, Time to act. 4 ISS 2021; 31. 5 Scafato E, et al. ISS 2021. di alcol rischioso per quantità e modalità di assunzione superando le soglie di consumo medio giornaliero indicate dalle linee guida internazionali, bevendo in modalità binge (cioè l’assunzione di sei o più bicchieri di alcolici e superalcolici in un solo momento in modo da avere un immediato effetto di “sballo”), consumando prevalentemente alcol fuori pasto. LA LUCE IN FONDO AL TUNNEL In controtendenza con la crescita della quota di sedentari che si andava delineando negli ultimi anni, PASSI ha evidenziato come tra marzo e dicembre 2020 sia stata registrata una riduzione del 10% di sedentari (rispetto agli stessi mesi del 2019). In particolare, sembra aumentare l’attività fisica nel tempo libero: la quota di persone che ha raggiunto i livelli di attività fisica raccomandati, con le sole attività svolte nel tempo libero, è passata dal 42% del 2019 al 45% del 2020 e si è ridotta la quota di chi non era attivo nel tempo libero (il 42% nel 2019 e il 39% nel 2020). Il 28% degli ultra 65enni intervistati da PASSI d’Argento da marzo a dicembre 2020 può considerarsi fisicamente attivo, il 28% parzialmente attivo, mentre il 43% risulta completamente sedentario. Contrariamente a quanto emerge dai dati sugli adulti, fra gli anziani si registra un aumento della quota di sedentari nel periodo pandemico rispetto agli stessi mesi del 2019, che sale dal 40% del 2019 al 43% nel 2020 su un trend di sostanziale stabilità osservato negli anni precedenti. +3% attività fisica svolta nel tempo libero nel 2020 +181%/250% acquisti di bevande alcoliche con invio a domicilio nel 2020
  • 12. 10 INFORMAMI 360° PIANO NAZIONALE DELLA PREVENZIONE 2020-2025 salute, come i consigli preventivi da parte dei medici di base”, sottolineano gli autori. “Benché questi approcci siano necessari, si sono rivelati insufficienti e in alcune situazioni hanno ampliato le differenze tra classi sociali per la maggiore adesione da parte degli strati sociali più istruiti”. La prevenzione delle malattie va invece attuata con una combinazione di interventi strutturali e di politica economica come la pianificazione urbana, la promozione di consumi sostenibili o forme di incentivazione fiscale. Interventi non semplici, anche alla luce delle politiche di mercato delle multinazionali spesso molto aggressive. Per esempio, in molti paesi i cibi ultraprocessati hanno visto una progressiva riduzione dei prezzi. In Gran Bretagna si calcola che, se le fasce sociali più basse (10% della popolazione) dovessero seguire le linee guida per un’alimentazione sana, ABBINARE alla promozione della salute politiche strutturali, per rendere più efficaci gli interventi di prevenzione individuale e ridurre le disuguaglianze. Un gruppo di lavoro interdisciplinare, coordinato dall’epidemiologo Paolo Vineis e istituito dal Consiglio superiore di sanità, ha elaborato un documento1 che si affianca al Piano nazionale della prevenzione 2020-2025 per rafforzarne alcuni aspetti Promozione della salute ed equità Oltre alle azioni individuali, per prevenire le malattie ci vogliono interventi strutturali e di politica economica. Servono visione, strategia, programmazione e soldi. I finanziamenti del Recovery Plan in arrivo da Bruxelles sono un’opportunità da cogliere STEFANO MENNA fondamentali. Focus sui principali obiettivi di salute e interventi di prevenzione – anche non strettamente sanitari – ispirati da alcuni concetti chiave: l’attenzione ai primi anni di vita, le disuguaglianze, le politiche orientate alla logica dei co-benefici ambiente e salute (vedi articolo a pagina 12). OLTRE GLI INTERVENTI INDIVIDUALI Il documento illustra le basi scientifiche che sostengono le attività di prevenzione, anche rispetto alla minaccia incombente del cambiamento climatico, e propone gli obiettivi prioritari (vedi tabella) da raggiungere grazie alla collaborazione tra comparti diversi: sanità, trasporti, scuola, alimentazione, agricoltura. Perché la prevenzione individuale da sola non basta. Anzi, rischia di ampliare ancor di più la forbice, a svantaggio dei gruppi meno abbienti e istruiti. “Il metodo fin qui adottato è basato sulla promozione individuale della
  • 13. 11 2. 2021 Proposta di obiettivi di promozione della salute 1 Promuovere l’attività fisica a tutte le età, in particolare per bambini e giovani; 2 proteggere i bambini dalla commercializzazione di cibi ricchi di zuccheri, sale e grassi; 3 introdurre una tassa del 20% su bevande e cibi zuccherati; 4 ridurre i consumi di sale attraverso accordi con i produttori; 5 limitare i danni da alcol con una tassazione adeguata; 6 limitare la pubblicità di tabacco e aumentare il prezzo delle sigarette; 7 stabilire un limite di velocità omogeneo nelle aree abitate, per ridurre gli incidenti; 8 alleviare la povertà con misure di sostegno alle famiglie in condizioni disagiate; 9 riaffermare l’impegno per un SSN universalistico, gratuito e finanziato dalla fiscalità generale; 10 investire in trasporti pubblici e trasporto attivo; 11 ridurre l’uso delle bottiglie di plastica; 12 limitare il consumo di biomasse, lo spargimento del letame in agricoltura e dei fanghi residui; 13 implementare una rete nazionale per gli obiettivi di mitigazione del cambiamento climatico: energie rinnovabili al 100% ed economia carbon free entro il 2050; 14 attuare il Piano nazionale di adattamento al cambiamento climatico. spenderebbero quasi il 70% del reddito in cibo.2 O ancora, si pensi al travagliato percorso della sugar tax, concepita per disincentivare il consumo di bevande gasate e zuccherate: ferma ai box da due anni, complice anche la crisi pandemica, grazie a un emendamento alla Legge di Bilancio la sua entrata in vigore è stata rinviata al 1° gennaio 2022. Eppure nel Regno Unito la Soft Drinks Industry Levy,3 introdotta nel 2018 per scoraggiare le industrie a riempire di zucchero i loro prodotti, sta funzionando: secondo uno studio pubblicato sul British Medical Journal,4 la leva fiscale non solo fa bene alla salute ma non danneggia nemmeno le vendite, rimaste stabili. RECOVERY PLAN, UN’OCCASIONE DA NON PERDERE Serve quindi un investimento da parte dello stato, che oggi spende per la sanità circa 120 miliardi all’anno.5 Ma solo il 5% di questa somma finanzia la prevenzione, a cui si aggiungono 200 milioni vincolati ai programmi regionali del PNP. “Riteniamo che questa cifra debba essere aumentata, dato che la prevenzione ha un impatto positivo sulla salute dei cittadini ma anche sull’economia. Inoltre, incoraggiamo fortemente l’inclusione della prevenzione primaria in tutte le politiche. Il PNP è un’importante occasione per stimolare l’intersettorialità (a partire dalla collaborazione tra i ministeri), iniettare innovazione per esempio tramite la digitalizzazione, e diffondere la pratica delle valutazioni degli esiti (non solo dei processi), ponendo obiettivi realistici e a breve termine”, ribadiscono gli autori del documento. Eppure non sembra questa l’intenzione dei decisori. Larga parte delle risorse stanziate dal Recovery Plan6 (oltre 15 miliardi sulla “missione” salute) sono destinate a migliorare le dotazioni infrastrutturali e tecnologiche, promuovere la ricerca, l’innovazione e lo sviluppo di competenze tecnico-professionali, digitali e manageriali del personale. Poco o nulla su prevenzione e sistemi di sorveglianza, nonostante la necessità di potenziare la resilienza del sistema Italia per rispondere in modo congruo ai nuovi bisogni di salute. Emblematico il caso del piano pandemico: più che la polemica sull’aggiornamento formale del testo, sarebbe stato importante verificare l’effettiva disponibilità delle risorse umane e materiali da mobilitare in caso di emergenza (personale, procedure e percorsi ospedalieri, unità intensive e ventilatori, dispositivi di protezione individuali eccetera). Tutte azioni che non si improvvisano, ma si programmano. E che hanno bisogno di sostegno, anche economico. La partita attuativa è appena iniziata: c’è ancora margine per aggiustare il tiro e definire la progettazione esecutiva del piano nei suoi dettagli, a tutti i livelli. Per questo, i medici hanno rivolto un appello7 al premier Mario Draghi e al ministro Roberto Speranza presentando le istanze, le proposte e le riforme che ritengono necessarie e urgenti per una rivalutazione del loro ruolo all’interno del SSN. Tutti concordi su un punto: il Recovery Plan è l’occasione per rivoluzionare la sanità e, di questa rivoluzione, i medici vogliono essere i protagonisti. Bibliografia 1 Scienzainrete. 2020. 2 Affordability of the UK’s Eatwell Guide. 2018. 3 Governo Regno Unito. 2018. 4 Jones A. Br Med J 2021. 5 Camera dei Deputati. 2021. 6 Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. 2021. 7 FNOMCeO. 2021.
  • 14. 12 INFORMAMI 360° naturali e promuovere misure di mitigazione con co- benefici per la salute”. Adottare politiche volte alla mitigazione del cambiamento climatico e alla prevenzione delle malattie può portare vantaggi economici e ridurre le disuguaglianze sociali. È infatti assodato che gli stessi fattori di rischio delle malattie croniche sono anche agenti dei cambiamenti climatici: ne sono un esempio i numerosi composti inquinanti che, una volta immessi nell’atmosfera, contribuiscono a modificare il clima e impattano negativamente sulla salute. Anche lavorare su modalità innovative di trasporto e pianificazione urbana comporta benefici per la salute. Gli interventi a favore della mobilità attiva (che predilige camminate e bici) hanno, da soli, un triplice effetto: mitigano le emissioni di gas serra, prevengono le malattie legate all’inquinamento atmosferico (come tumore polmonare, patologie cardiovascolari e neurologiche) e aumentano l’attività fisica, con ricadute positive sull’incidenza di obesità, diabete, cardiopatia ischemica e infarto.6 Se il trasporto attivo diventasse la norma, i sistemi sanitari di un paese come l’Italia potrebbero risparmiare tra i 15 e i 20 miliardi di euro in vent'anni. Ripensare le città può migliorare anche la capacità di risposta a eventi climatici estremi. In particolare, intervenire sul tessuto urbano può contrastare la formazione delle cosiddette isole di calore, il fenomeno per cui le zone centrali delle città possono raggiungere diversi gradi in più rispetto alle periferie. In questo caso l’attenzione va posta su fattori come la forma delle aree urbane, il rapporto tra lo spazio costruito e non costruito, la presenza e l’estensione di aree verdi, nonché i materiali che ricoprono le superfici impermeabilizzate. Il tema viene trattato nel libro Prevenire. Manifesto per una tecnopolitica7 di Luca Carra, Roberto Cingolani e Paolo Vineis: partendo dalla figura dell’attivista Greta Thunberg, si affrontano i temi delle disuguaglianze socio-economiche, della crisi ambientale e del debito, definito come “cognitivo” o “mentale”. Ancora una volta ricorre il concetto di prevenzione di pari passo con quello dei co-benefici: oggi più che mai elementi fondamentali per salvare il mondo e chi ci vive. Bibliografia 1 Re S. Scienzainrete 2019. 2 Whitmee S, et al. Lancet 2015; 14. 3 The Lancet Countdown. 4 Farchi S, et al. Plos 2017. 5 Piano nazionale della prevenzione 2020-2025. 6 Haines A. Lancet 2017;1. 7 Satolli R. Scienzainrete 2020. PIANO NAZIONALE DELLA PREVENZIONE 2020-2025 Salute, ambiente e co-benefici I temi dell’ambiente sono così intrecciati a quelli della salute da rientrare nel nuovo Piano nazionale della prevenzione 2020-2025 DEBORA SERRA ABBIAMO dovuto aspettare il 2019 perché la relazione tra alimentazione e ambiente mainstream, anche per merito del libro di Jonathan Safran Foer Possiamo salvare il mondo, prima di cena. Perché il clima siamo noi.1 Eppure, già nel 2015, una commissione scientifica indipendente, sotto l’egida della Rockefeller Foundation e della rivista Lancet, portava prove robuste2 che gran parte del cambiamento climatico (nonché della perdita di biodiversità, del consumo di acqua e dell’interferenza con il ciclo dell’azoto e del fosforo) fosse da imputare alla produzione di cibo a causa dell’emissione del 30% dei gas a effetto serra. Da allora, ogni anno The Lancet Countdown3 riporta i dati dell’interazione ambiente-salute e le risposte messe in campo per contrastare il fenomeno. Cambiare abitudini alimentari e ridurre la produzione e il consumo di carne aiuterebbe a prevenire molte patologie degenerative e infettive. Infatti, benché la carne sia un’importante fonte di proteine e contenga nutrienti essenziali, un elevato consumo di quella rossa contribuisce al carico di malattie croniche, in particolare cardiovascolari. E secondo uno studio4 del 2017 sostituire la carne con i legumi non migliorerebbe solo la salute ma mitigherebbe anche il cambiamento climatico. Infatti, in molte regioni (soprattutto quelle della pianura padana) le modalità di spargimento del letame derivante dagli allevamenti sono all’origine dell’inquinamento da ammoniaca e quindi della trasformazione in particolato (PM2,5), uno dei problemi ambientali più rilevanti di queste aree. I co-benefici salute e ambiente sono anche uno dei capisaldi del Piano nazionale della prevenzione 2020- 2025.5 In particolare fanno parte degli obiettivi della linea strategica,3 che si propone di “adottare interventi per la prevenzione e riduzione delle esposizioni ambientali (indoor e outdoor) e antropiche dannose per la salute”. Nel testo si ricorda la necessità di “rafforzare le capacità adattive e la risposta della popolazione e del sistema sanitario nei confronti dei rischi per la salute associati ai cambiamenti climatici, agli eventi estremi e alle catastrofi
  • 15. 13 2. 2021 ANGELICA GIAMBELLUCA PROFESSIONE Lavoro e studio da casa, le conseguenze per la salute DIFFICOLTÀ a dormire, a concentrarsi, indebolimento muscolare, stanchezza persistente, dolori lombari e cervicali. Stress, ansia, iperstimolazione o ipostimolazione, a seconda dei casi. Sono tra i possibili effetti negativi dello smart working in emergenza sanitaria. La Didattica a distanza (DaD), altra eredità della pandemia e del conseguente lockdown, ha a sua volta aumentato il rischio di depressione e ansia negli adolescenti, Lavorare e studiare via web per troppe ore senza interruzione può portare a conseguenze fisiche e mentali preoccupanti e può diventare un ostacolo, più che un potenziale, per il rendimento scolastico e la produttività lavorativa. Un uso appropriato degli strumenti informatici è indispensabile per poter usufruire dei vantaggi del lavoro agile difficoltà di concentrazione nei più piccoli, oltre ad avere compromesso lo sviluppo delle relazioni sociali così fondamentale nell’età evolutiva. Prima dell’avvento della pandemia, lo smart working, o lavoro agile, era un fenomeno di nicchia in Italia. Ma nel giro di pochi giorni, gli italiani si sono dovuti adattare. E con un cambiamento così drastico e repentino non si potevano evitare conseguenze anche in termini di salute mentale e fisica.
  • 16. 14 INFORMAMI SMART WORKING… O HOME WORKING? All’estero lo chiamano soprattutto home working. In Italia continuiamo a parlare di smart working, lavoro agile, ma al momento di agile ha ben poco. Soprattutto perché nel lockdown si è trattato di una imposizione tanto rapida quanto difficile da organizzare tra lavoro, famiglia, bambini. Davide Baventore, vicepresidente del Consiglio dell’Ordine degli psicologi della Lombardia, sottolinea soprattutto la perdita della parte sociale del lavoro: “Non parlo solo della pausa caffè che sicuramente è un momento prezioso nella giornata lavorativa, ma anche di tutte quelle attività di coordinamento che si fanno in ufficio, come fare due passi fino alla scrivania del collega per chiedere un’informazione. Con lo smart working il collega a cui vorresti chiedere velocemente una cosa è sempre difficile da reperire. Per chi non ha famiglia, lavorare da casa in questo periodo pandemico ha portato a una certa ipostimolazione e ipomotivazione e a un crescente senso di solitudine. Al contrario, chi vive con coniuge e figli si è ritrovato in un ambiente ricco di stimoli e distrazioni che non permettono di essere produttivi e continuativi nel lavoro”. Se la salute mentale è stata messa a dura prova, non è andata meglio a quella fisica. Donatella Bonaiuti, medico fisiatra, membro del Consiglio direttivo della SIMFER (Società italiana di medicina fisica e riabilitativa) e già medico del lavoro, ogni giorno visita professionisti che lamentano dolori muscolari che non avevano prima della pandemia: “Ho assistito a un aumento significativo di casi di rachialgia cervicale di origine contratturale – spiega – a peggioramento di dolori lombari e in alcuni casi ho verificato anche protrusioni discali, probabilmente preesistenti allo smart working, ma che di certo sono peggiorate in questo periodo”, con posture obbligate al computer senza avere sedie e tavoli di lavoro adeguati. “E sono persone giovani, con meno di 40 anni, spesso donne. Ho notato anche un maggiore affaticamento muscolare e una minore tolleranza allo sforzo, e per sforzo intendo fare un paio di rampe di scale”. La tutela della salute del lavoratore regolamentata dalla Legge n. 81 del 22 maggio 2017 diventa quindi un nodo centrale dello smart working. Il datore di lavoro è il responsabile della tutela della sicurezza anche nei confronti del dipendente che lavora da casa ma vengono dati risalto e centralità al ruolo del lavoratore che deve cooperare col datore di lavoro e col medico competente a tutela della propria sicurezza (vedi box). LA DaD NON S’HA DA FARE? La DaD potrebbe essere utile come strumento complementare alla didattica in presenza o per quelle situazioni particolari in cui i bambini non possono recarsi a scuola. È certo che in condizioni normali la DaD non può sostituire la scuola in presenza. A ribadirlo sono i pediatri stessi, come Rino Agostiniani, vice presidente della Società italiana di pediatria (SIP): “Affermare che la DaD e le lezioni in classe siano equivalenti significa non conoscere la realtà dei fatti. La scuola in presenza non serve solo per apprendere nozioni, ma anche per imparare a relazionarsi con gli PROFESSIONE Che cos’è lo smart working Lo smart working è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali e un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro. La definizione di lavoro agile, contenuta nella Legge n. 81/2017, pone l’accento sulla flessibilità organizzativa, sulla volontarietà delle parti che sottoscrivono l’accordo individuale e sull’utilizzo di strumentazioni che consentano di lavorare da remoto (per esempio: pc portatili, tablet e smartphone). Prima del lockdown veniva praticato in poche realtà aziendali mentre era già in uso tra i liberi professionisti. Con la pandemia stiamo assistendo a un vero cambiamento culturale con una progressiva dematerializzazione del luogo di lavoro che non è più un posto preciso ma qualsiasi luogo scelto dal lavoratore.
  • 17. 15 2. 2021 altri. I giovani devono confrontarsi, in presenza. Ad esempio, online si perde il linguaggio non verbale, così importante nella comunicazione e nella relazione”. A differenza degli adulti, bambini e adolescenti non hanno accusato pesanti ripercussioni sulla salute fisica, ma nella sfera psicologica hanno pagato il prezzo più caro, fino ad avvertire veri disturbi comportamentali: “Sono aumentati i ricoveri dovuti a disagi comportamentali – aggiunge il vicepresidente SIP – disturbi che si manifestano spesso in modo organico, come mal di pancia, mal di gambe, sintomi che in realtà hanno cause psicologiche”. L’eccessivo utilizzo della DaD nella scuola dell’infanzia e nella primaria può limitare l’apprendimento e ostacolare lo sviluppo emotivo, cognitivo e comportamentale, favorendo difficoltà di concentrazione, ma anche minore curiosità e voglia di apprendere. I bambini non sono abituati a imparare da soli: quei momenti in cui si lavora a fianco di un amico o si chiede consiglio a un insegnante consentono agli studenti di sentirsi connessi agli altri e questo senso di appartenenza influenza il coinvolgimento degli studenti in classe. C’è poi tutto il mondo della disabilità, giovani e bambini che nella scuola fisica, con compagni e insegnanti di sostegno, trovano una dimensione per superare o convivere meglio con la patologia. La DaD ha cancellato i passi in avanti che questi ragazzi avevano conquistato. “Quelli più colpiti sono stati i bambini con disturbi dello spettro autistico – ribadisce Agostiniani – perché per loro è importante avere la giornata organizzata in modo definito, con la scuola, la piscina e altri appuntamenti fissi e ripetitivi. In un attimo, sono venuti meno tutti i riferimenti e molti hanno accusato delle ripercussioni”. NON SOLO EFFETTI NEGATIVI Tuttavia se usati in modo corretto, lo smart working e la didattica a distanza possono portare benefici. Sono molti infatti i lavoratori che hanno apprezzato il lavoro agile e non lo vorrebbero abbandonare: secondo un sondaggio pubblicato sul Sole 24 ore a luglio 2020 quasi un dipendente su due vuole continuare a lavorare da casa. La tranquillità, il risparmio di tempo e di denaro per gli spostamenti sono i principali vantaggi rimarcati, e il guadagno dello smart working, nel giudizio di questi lavoratori, vale per tutti: per il lavoratore, per l’impresa, per la qualità complessiva del lavoro e per l’ambiente visto che stando in casa si riducono i consumi e il traffico. Più complesso invece trovare ricadute positive per la DaD, tuttavia in alcuni casi sembra che seguire le lezioni via web possa aiutare il bambino ad autoregolarsi e a essere più disciplinato per raggiungere certi obiettivi, ma deve trattarsi di un’integrazione, non di una sostituzione della didattica tradizionale in presenza. Bibliografia Oakman, J, et al.  BMC Public Health, 2020. Xiao Y, et al. J Occup Environ Med 2021; 63: 181-90. Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Pagine/default.aspx Royal Society of Public Health. Stringer H. American Psychological Association 2020. Sole24ore 2020. Sicurezza dello smart worker La tutela della sicurezza del lavoratore in regime di smart working è presa in esame dalla Legge n. 81 del 22 maggio 2017. Il datore di lavoro deve garantire la salute e la sicurezza del lavoratore, ma è compito del lavoratore cooperare con il titolare dell’azienda nell’attuare le misure di prevenzione dei rischi. Il medico competente, quindi, effettua una valutazione dei rischi generali e specifici del lavoratore e definisce una attività formativa dedicata alla sicurezza dell’ambiente di lavoro e ai rischi per la salute (in particolare vista, postura, affaticamento fisico e mentale). La tutela della sicurezza fuori dai locali aziendali può vedere accentuati molteplici aspetti: dalla ridotta attenzione ai principi ergonomici all’ambiente inadeguato dal punto di vista climatico e illuminotecnico e alla carente organizzazione del lavoro. In particolare l’ergonomia dovrebbe essere il criterio guida nella predisposizione degli elementi dell’ambiente: consente infatti di ridurre gli effetti stancanti del lavoro dovuti alla fatica fisica e mentale, intervenendo allo stesso tempo sui fattori di contesto che provocano stress, con conseguenze negative sul benessere dei lavoratori.
  • 18. 16 INFORMAMI PROFESSIONE SECONDO i recenti report dell’Associazione italiana di oncologia medica (AIOM) negli ultimi decenni la prevalenza, cioè il numero di persone che vive dopo una diagnosi di tumore, è aumentata di circa il 3% l’anno.1 Come si vede dalla figura 1, nel periodo tra il 2006 e il 2020 si è passati da due milioni e mezzo a oltre 3,6 milioni, pari al 5,7% della popolazione, con un incremento della sopravvivenza particolarmente marcato tra le persone che hanno avuto la diagnosi da più di 10 anni. Sempre secondo il report dell’AIOM nel 2020 in Italia circa un terzo dei sopravvissuti al tumore può essere considerato guarito. Ma quando si può parlare di guarigione? Questo concetto nel Figura 1. Numero di persone che vivono dopo una diagnosi di tumore per tempo dalla diagnosi. Fonte: Scienza in rete paziente oncologico è complesso. Tra i sopravvissuti infatti ci sono pazienti in trattamento che sebbene non presentino sintomi o segni della malattia hanno però ancora un rischio non trascurabile di recidiva. C’è chi sostiene che questo rischio non possa essere eliminato del tutto e di conseguenza non si possa mai parlare di guarigione nel paziente oncologico. Resta il fatto che rispetto al passato dopo una diagnosi di tumore oggi si muoia meno. Una revisione pubblicata su Nature a dicembre 2020 mostra infatti che in Italia la mortalità da cancro standardizzata per età si è ridotta del 28% nel periodo tra il 1990 e il 2017.2 Studiando la sopravvivenza dei pazienti con tumore si è arrivati alla conclusione che, a differenza di altre patologie, in oncologia la guarigione deve essere considerata in senso statistico, cioè osservata mediamente su un ampio numero di pazienti seguiti nel tempo e sotto certe approssimazioni semplificative. Capire quando si può parlare di guarigione ha ricadute pratiche importanti per il singolo, in quanto consente di avere un parametro per la definizione dei programmi di sorveglianza oncologica a medio e a lungo termine. Nel momento in cui il paziente ottiene l’etichetta di “guarito” infatti non è più necessario che si sottoponga a controlli medici, evitando medicalizzazioni inutili con un risparmio per il Servizio sanitario nazionale. Un gruppo di ricercatori, sulla base dei dati dei registri tumori italiani, ha cercato di rispondere alle principali domande dei clinici: quante persone guariscono dal cancro? Dopo quanti anni un paziente può considerarsi guarito? Quante persone vivono dopo una diagnosi di tumore in Italia? Sono stati così definiti i principali indicatori di guarigione e il metodo di calcolo da utilizzare.3,4 I risultati sono in linea con quanto accade nel resto dell’Europa, come Sebbene il cancro sia la seconda causa di morte dopo le patologie cardiovascolari, si sono prese le distanze dai tempi in cui era definito “male incurabile”. I progressi medici e tecnologici sono tali per cui oggi sempre più persone convivono con la malattia per diversi anni e in molti casi riescono a guarire Tumori e guarigione, un concetto statistico REDAZIONE 4.000.000 3.500.000 3.000.000 2.500.000 2.000.000 1.500.000 1.000.000 500.000 0 Anno Persone 2006 2007 2019 2008 2018 2009 2017 2010 2016 2011 2015 2012 2014 2013 2020 Anni dalla diagnosi 10 tra 5 e ≤ 10 ≤ 5 2006 2,5 milioni 2020 3,6 milioni 2010 2,6 milioni 2015 3,1 milioni
  • 19. 17 2. 2021 confermato da uno studio condotto su oltre 7 milioni di pazienti in 17 paesi europei, seguiti per almeno 18 anni nell’ambito del progetto EUROCARE.5,6 Ma quali sono quindi i principali indicatori di guarigione dopo un tumore?7 LA FRAZIONE DI GUARIGIONE Questo indicatore rappresenta la percentuale di pazienti che a partire dalla diagnosi avrà nel tempo lo stesso tasso di morte delle persone che non hanno avuto un tumore, a parità di età e di genere. Nella figura 2 è illustrato il metodo di calcolo della “frazione di guarigione” attraverso un esempio relativo a uomini con diagnosi di tumore del colon-retto negli anni novanta. Come indicato dalla curva la sopravvivenza relativa, cioè la sopravvivenza osservata nei pazienti oncologici nei primi 5 anni dalla diagnosi, si riduce fino a raggiungere un valore costante circa 10 anni dopo la diagnosi. Quando la curva si appiattisce significa che non c’è più differenza in termini di aspettativa di vita tra chi ha avuto una diagnosi di tumore e chi non si è mai ammalato. La linea tratteggiata quindi stima che poco meno del 50% dei pazienti guarirà dal tumore. Figura 2. Percentuale di pazienti (uomini con tumore del colon-retto) con aspettativa di vita simile a quella delle persone che non ha avuto diagnosi di tumore, a parità di genere e di età. Fonte: AIRTUM Figura 3. Tempo per la guarigione dei pazienti (uomini con tumore del colon-retto) dopo una diagnosi di tumore in Italia. Fonte: AIRTUM Figura 4. Percentuale di persone già guarite tra i pazienti che vivono dopo una diagnosi di tumore. Fonte: AIRTUM Bibliografia 1 AIOM. 2 Bosetti C, et al. Nature 2020; 10: 22099. 3 Dal Maso L, et al. Cancer Med 2019; 8: 4497-07. 4 Tralongo P, et al. Eur J Canc Care 2019; 28: e13139. 5 Dal Maso L, et al. Int J Epid 2020; 5: 1517-25. 6 De Angelis R, et al. Lancet Oncol 2014; 15: 23-4. 7 Dal Maso L, et al. Scienza in rete 2021. IL TEMPO PER LA GUARIGIONE Si parla di guarigione quando la malattia non ha più rilevanza clinica, cioè quando la possibilità di sopravvivere per altri 5 anni dopo essere sopravvissuti un qualunque numero di anni dalla diagnosi, si avvicina al 100%. Il rischio di morte diventa paragonabile a quello della popolazione generale. Il tempo per la guarigione è l’indicatore che consente di definire quanti anni sono necessari dopo la diagnosi affinché la sopravvivenza condizionata sia superiore al 95%. La figura 3 considera sempre l’esempio di uomini di 60-74 anni che hanno avuto una diagnosi del cancro al colon-retto. In questi pazienti occorrono 9 anni dalla diagnosi per abbattere il rischio di morte da tumore e poter essere definiti guariti. LA PERCENTUALE DEI GUARITI Un ultimo parametro da considerare è la percentuale di persone che vive oltre il tempo di guarigione. Per calcolarla basta stimare quante sono le persone sopravvissute per numero di anni trascorsi dalla diagnosi e combinare questi dati con il tempo per la guarigione (9 anni per il tumore del colon-retto, vedi prima). Il numero e la proporzione dei guariti sono stati ottenuti per oltre 50 tipi di tumore per sesso ed età. Nella figura 4 sono riportati i risultati per i tumori più frequenti. La somma dei già guariti di tutte le sedi, sesso ed età, rivela che il 27% delle persone che ha avuto una diagnosi di tumore è di fatto guarito. 100% 90% 80% 70% 60% 50% 40% 30% 20% 10% 0% 0 6 2 8 4 10 14 18 22 12 16 20 24 Anni dalla diagnosi Sopravvivenza relativa Frazione di guarigione = 43% 100% 95% 90% 85% 80% 75% 70% 65% 60% 55% 50% 0 6 2 8 4 10 14 18 22 12 16 20 24 Anni dalla diagnosi Sopravvivenza relativa CRS 5 anni 95% tempo di cura = 9 anni Tipi di tumore Uomini Donne Stomaco 40% 45% Colon-retto 30% 44% Polmone 22% 18% Mammella 16% Cervice uterina 74% Testicolo 94% Vescica 1% 3% Tiroide 62% 81% Linfomi di Hodgkin 69% 75% Linfomi Non-Hodgkin 3% 1% PERSONE CHE VIVONO DOPO UNA DIAGNOSI DI TUMORE Già guariti 27%
  • 20. 18 INFORMAMI Post COVID-19: sintomi disabilitanti dopo l’infezione acuta COM’È ORMAI NOTO e diffusamente documentato dalla letteratura scientifica, COVID-19 non determina solo conseguenze a carico del sistema respiratorio ma ha anche ricadute disabilitanti multisistemiche, con interessamento di organi e apparati talvolta non direttamente coinvolti dalle fasi acute della malattia. Fin dai primi mesi dell’emergenza pandemica è stato evidente che i quadri di polmonite interstiziale virale avrebbero dato origine a esiti fibrotici persistenti, con ipotizzabili conseguenze funzionali, in particolar modo faticabilità e dispnea. L’evoluzione clinica di questi casi, la loro storia naturale e la risposta alle terapie farmacologiche e riabilitative sono ancora in fase di studio,1 ma l’esperienza clinica sta mostrando un’evoluzione favorevole dei quadri di fibrosi polmonare, con restitutio ad integrum del parenchima polmonare sovvertito nella fase acuta. LE POSSIBILI IMPLICAZIONI NEUROLOGICHE Le prime pubblicazioni sull’infezione da SARS-CoV-2 ponevano già l’attenzione sulle possibili manifestazioni neurologiche correlate. I primi studi retrospettivi condotti su pazienti ricoverati a Wuhan2 infatti riportavano sintomi neurologici in circa un terzo dei casi. Nei mesi successivi sono state descritte complicanze neurologiche e neuromotorie potenzialmente correlate alla fase acuta dell’infezione da SARS-CoV-2 o alla necessaria degenza in terapia intensiva. In particolare, sono stati descritti casi di ictus, sindrome di Guillain-Barré, encefaliti, paralisi del nervo facciale, cefalea, anosmia, ageusia, disturbi del sonno, calo del visus, ipostenia, disorientamento e disturbi del comportamento.3 Per quanto riguarda, invece, la fase post acuta sono stati descritti astenia cronica (fatigue), apatia, disfunzioni esecutive, deficit di PROFESSIONE FABRIZIO GERVASONI Componente del Consiglio direttivo OMCeOMI, medico fisiatra e giornalista pubblicista Si parla di long COVID-19 quando i sintomi permangono a distanza di tempo dall’infezione acuta. Inizialmente descritta in via non ufficiale dai pazienti, oggi è una sindrome documentata dagli studi anche se i meccanismi alla base non sono ancora completamente noti
  • 21. 19 2. 2021 forza (ipostenia), peggioramento della performance e moderati deficit cognitivi.3 Con il trascorrere dei mesi, sono stati confermati quadri di sofferenza a carico del sistema nervoso periferico (come polineuropatie o neuropatie periferiche da compressione estrinseca) ed è stato documentato il coinvolgimento del sistema muscolo-scheletrico (come mialgie e miopatie). È quindi cresciuta la consapevolezza che gli esiti di COVID-19 si possano presentare come una complessa ed eterogenea patologia multiorgano, simile ad altre sindromi virali post acute che hanno caratterizzato le precedenti epidemie da coronavirus (come SARS nel 2003 e MERS nel 2012). LA PRIMA SINDROME DESCRITTA SUI SOCIAL MEDIA Prima ancora che la letteratura internazionale diffondesse esperienze dirette delle équipe mediche, i pazienti condividevano già sui social media storie personali di malattia. Forse per la prima volta nella storia, un quadro sindromico multisistemico ha trovato una sua definizione innanzitutto sul web, grazie alla condivisione diretta delle esperienze dei pazienti. Inizialmente si definivano long haulers (ovvero “coloro che hanno sintomi a distanza di tempo”), poiché presentavano sintomi persistenti anche dopo la risoluzione della fase acuta di malattia oppure sintomi e complicanze a insorgenza ritardata.4 Con il tempo, anche le più autorevoli riviste scientifiche internazionali sono arrivate a descrivere COVID-19 subacuto (subacute o ongoing symptomatic COVID-19), la persistenza dei sintomi o l’insorgenza di sequele tre o quattro settimane dopo l’infezione acuta e la sindrome post COVID la presenza di sintomi e anomalie non attribuibili a diagnosi alternative dopo 12 settimane dalla malattia acuta.4,5 UNA SINDROME SISTEMICA MULTIORGANO La costellazione di sintomi che configurano la sindrome post COVID è stata quasi quotidianamente descritta e arricchita con nuovi dettagli. Le cause dell’astenia sono ancora oggetto di studio ma, oltre alle possibili implicazioni pneumologiche, può concorrere un coinvolgimento ipossico/ ischemico dei muscoli volontari, che giustificherebbe anche l’insorgenza e la persistenza di dolori muscolari, miopatie (documentabili con esami neurofisiologici) e fibrosi muscolare (riscontrabile ecograficamente). Le implicazioni muscolo-scheletriche potrebbero inoltre giustificare le frequenti artralgie (19%), il dolore toracico (16%) e i disturbi neuromotori (come deficit di equilibrio o vertigini). Anosmia, ageusia e cefalea, frequentemente riferite durante la fase acuta, possono persistere per mesi, così come disturbi di tipo psicologico, psichiatrico o dell’umore. A questi si associano i disturbi cognitivi attentivi (27%), mnesici (16%) e la difficoltà a concentrarsi, che è ormai diffusamente definita brain fog, termine che ben descrive la percezione di “annebbiamento” lamentata dai pazienti. Sono meritevoli di menzione i disturbi gastrointestinali (diarrea, vomito, nausea, dolori epigastrici e addominali, costipazione), dermatologici (come lesioni cutanee e alopecia) e oculari.6,7,8 Un corredo sintomatico così eterogeneo e complesso richiede un accurato inquadramento clinico e strumentale, al fine di descrivere segni e sintomi non attribuibili a diagnosi alternative e di impostare un appropriato trattamento farmacologico e riabilitativo personalizzato per ciascun paziente.5 Una commissione OMCeOMI per la sindrome post COVID L’Ordine provinciale dei medici chirurghi e degli odontoiatri di Milano ha istituito un’apposita commissione per lo studio e il monitoraggio della sindrome post COVID. La commissione è stata proposta ed è coordinata da Massimo Parise, consigliere OMCeOMI, che ha coinvolto colleghi specialisti in molte delle discipline impegnate nella cura degli esiti di COVID-19. Sono state raccolte da subito anche l’esperienza e l’opinione dei pazienti, con il coinvolgimento diretto dei responsabili del gruppo Facebook “Noi che il COVID lo abbiamo sconfitto. Sindrome post COVID. #LongCovid”, che oggi conta più di 18.000 iscritti. Grazie al diretto coinvolgimento di clinici e pazienti, sarà possibile descrivere in modo più approfondito la sindrome post COVID, individuando percorsi diagnostici e terapeutici appropriati, realizzabili ed efficaci. Bibliografia 1 Udwadia ZF, et al. Lung India 2021; 38: S41. 2 Pagani R. Medici Oggi 2020; published online March 24. 3 de Sire A, et al. Eur J Phys Rehabil Med 2021; 57: 181-8. 4 Nalbandian A, et al. Nat. Med. 2021; 27: 601-15. 5 Venkatesan P. Lancet Respir Med 2021; 9: 129. 6 Peghin M, et al. Clin Microbiol Infect 2021; DOI:10.1016/j.cmi.2021.05.033. 7 Gemelli Against COVID-19 Post-Acute Care Study Group. Aging Cin Exp Res 2020; 32: 1613-20. 8 Lopez-Leon S, et al. Prepr Serv Heal Sci 2021; DOI:10.1101/2021.01.27.21250617.
  • 22. 20 INFORMAMI Trombosievaccini avettorevirale,rischioreale mamolto raro Sembra ormai accertato il nesso di causalità tra vaccini anti COVID-19 a vettore virale e trombosi trombocitopenica in sedi atipiche. Non è ancora completamente chiaro il meccanismo di questo effetto avverso, ma si ipotizza un processo analogo a quello descritto nella trombocitopenia indotta da eparina PROFESSIONE SIMONETTA PAGLIANI APPENA la vaccinazione di massa ha preso l’avvio sono emersi con i vaccini a vettore virale eventi trombotici in sedi atipiche (seni venosi cerebrali o distretto splancnico) associati a piastrinopenia, con comparsa tra quattro e 28 giorni dopo la vaccinazione. Gli studi clinici registrativi, per quanto condotti su coorti ampie, non avevano potuto rilevarli data la bassa incidenza. L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha scelto la definizione di trombosi con sindrome trombocitopenica (TTS), preferendola a quella precedente di trombosi trombocitopenica vaccino indotta (VITT) che suggeriva una relazione di causa-effetto con tutti i vaccini. In realtà, come rileva Marco Cattaneo, docente di medicina interna all’Università degli studi di Milano, non solo questa relazione causa-effetto non è dimostrata in modo inequivocabile ma riguarda solo i vaccini a vettore adenovirale. POSSIBILE MA MOLTO RARO In linea generale gli eventi tromboembolici occorsi in soggetti vaccinati con il vaccino Vaxzevria (AstraZeneca) o con Janssen (JohnsonJohnson) si collocano nell’ambito degli eventi molto rari. Per inquadrare la dimensione del problema è utile avere presente che per convenzione gli Eventi avversi post immunizzazione (AEFIs) sono definiti rari se si verificano in uno-dieci individui ogni 10.000 vaccinati, molto rari quando riguardano meno di un individuo su 10.000 vaccinati. La European Medicines Agency (EMA) stima infatti un caso di TTS ogni 100.000 vaccinati. In Italia, al 26 giugno erano riportate 55 segnalazioni di sospetta trombosi venosa cerebrale e/o in sede atipica con o senza piastrinopenia, dopo la prima dose di vaccino, in persone con meno di 65 anni. A marzo il Comitato di valutazione dei rischi per la farmacovigilanza dell’EMA (PRAC) aveva stimato che queste trombosi non fossero più frequenti di quanto
  • 23. 21 2. 2021 atteso nella popolazione generale, pur riconoscendo un eccesso di forme atipiche in donne giovani. Tuttavia Bernard Bégaud, farmacologo dell’Università di Bordeaux, in una conferenza organizzata dall’AIFA ha illustrato alcuni limiti metodologici che possono inficiare le stime. Innanzitutto il fenomeno della sottosegnalazione (under reporting) degli AEFI è così marcato che i numeri riportati andrebbero moltiplicati per cinque-dieci. Inoltre non è corretto confrontare gli eventi atipici riscontrati in un gruppo ristretto (donne giovani-adulte) con eventi “attesi” in tutta la popolazione, dove pesano le tromboembolie tipiche dell’età senile. Ancora, il tromboembolismo post vaccinale viene rilevato nell’arco di due settimane, mentre la stima degli eventi attesi nella popolazione generale è sull’arco di un anno. Uno studio condotto in Danimarca e Norvegia che ha quantificato per fasce di età gli AEFI dopo AstraZeneca conferma sia l’aumento del rischio di tromboembolismo venoso nei 28 giorni successivi alla prima dose sia il rapporto rischi-benefici ancora a favore del vaccino, soprattutto per l’età più avanzata, cui infatti AIFA ha risolto di destinare Vaxzevria. I MECCANISMI L’ipotesi più accreditata parte dall’osservazione che la TTS abbia un’analogia stretta con la trombocitopenia indotta da eparina (HIT), sia dal punto di vista clinico sia per la presenza di anticorpi contro il complesso fattore piastrinico 4 (PF4). Il DNA adenovirale agirebbe in modo simile all’eparina, come polianione, mediando l’attivazione di PF4 e la conseguente trombocitopenia. Inoltre, solo con i vaccini a vettore virale la sequenza genica codificante la proteina spike di SARS-CoV-2 sarebbe veicolata nel nucleo delle cellule dell’ospite dove, per meccanismi di splicing alternativo, verrebbero generate varianti solubili della proteina spike in grado di concentrarsi sulle cellule endoteliali che esprimono ACE2 e di attivare la reazione infiammatoria e il processo trombotico. La percentuale di TTS più bassa con le seconde dosi avvalora l’ipotesi della “deplezione dei suscettibili” cioè una selezione dei soggetti che sono più esposti all’azione di questi meccanismi protrombotici. Un meccanismo autoimmune, simil HIT, comporterebbe invece la possibilità di eventi trombotici anche nei soggetti che con la prima dose avevano attivato una risposta immunitaria clinicamente non evidente. LA PREVENZIONE Non è possibile prevenire la manifestazione di queste reazioni data l’incertezza sul meccanismo fisiopatologico. Né è appropriato applicare in misura estrema il principio di precauzione, per esempio con uno screening delle trombofilie ereditarie più comuni che sono presenti in almeno 5-6.000 soggetti ogni 100.000 vaccinati (una frequenza assai superiore a quella dell’AEFI indagato). Infine sarebbe inopportuno generalizzare una profilassi con eparine a basso peso molecolare (EBPM), che comporterebbe circa 3.000 emorragie maggiori per milione di vaccinati, senza la garanzia di prevenire la reazione trombotica. Non resta, dunque, che fare attenzione ai sintomi. In nove casi su dieci, le trombosi dei seni venosi cerebrali danno cefalea intensa ingravescente, talvolta con nausea e vomito, diplopia, riduzione del visus e sincope o dispnea; oppure convulsioni e deficit neurologici focali. Le trombosi delle vene addominali, sebbene spesso asintomatiche, possono causare in circa sei persone su dieci dolore addominale diffuso eventualmente associato a nausea, inappetenza o a proctorragia. “La terapia di una sospetta TTS – sottolinea Cattaneo – deve essere tempestiva e si basa, oltre che sulla terapia anticoagulante, sull’infusione di alte dosi di immunoglobuline endovena (2 grammi/kg di peso corporeo distribuiti in 2-5 infusioni giornaliere), che non solo aumentano la conta piastrinica, ma anche prevengono l’attivazione piastrinica da parte degli anticorpi anti-PF4. È sconsigliabile l’uso di eparine non frazionate e di eparine a basso peso molecolare. Può essere utile somministrare anticoagulanti orali diretti, purché le piastrine siano almeno 50.000/l. Nel caso la piastrinopenia non fosse corretta dall’infusione di immunoglobuline, si può ricorrere alla plasmaferesi”. Bibliografia AIFA. Anton Pottegård A, et al. Br Med J 2021; 373: n1114. ECDC. EMA. Pharmacovigilance. EMA. Annex to Vaxzevria Art.5.3. Visual risk contextualisation. Greinacher A, et al. N Engl J Med 2021; 384: 2092-101. Kowarz E, et al. Res Square 2021; DOI: 10.21203/rs.3.rs-558954/v1. Kupferschmidt K, et al.  Science 2021.
  • 24. 22 INFORMAMI PROFESSIONE SILVIA EMENDI È IL 1989 quando, nel corso di studi volti a sviluppare un test diagnostico per l’infezione da tripanosoma nei cammelli, la visione canonica degli anticorpi come molecole composte da due catene pesanti e due catene leggere cambia per sempre. Due studenti della Vrije Universiteit di Bruxelles, analizzando campioni di siero di cammello, osservano accanto agli anticorpi convenzionali anche un set secondario unico di anticorpi a sola catena pesante precursori dei nanocorpi.1 A partire da questa scoperta serendipica prende spazio una classe di frammenti leganti l’antigene a singolo dominio derivati da anticorpi a catena pesante presenti solo nel siero dei membri della famiglia dei Camelidi (cammello, dromedario, lama, alpaca): i nanocorpi.1,2 Prima di questa scoperta, in campo diagnostico e terapeutico venivano usati gli anticorpi per la loro ineguagliabile capacità di riconoscere e interferire con l’attività di determinati bersagli coinvolti nella patogenesi di diverse malattie. In particolare per il trattamento di patologie come l’artrite reumatoide e l’artrite psoriasica, la prevenzione del rigetto d’organo, la terapia antitumorale. Nonostante il rivoluzionario approccio terapeutico, sono emersi alcuni limiti legati alle caratteristiche chimico-fisiche degli anticorpi: grandi dimensioni molecolari (circa 150-160 kDa), ridotta stabilità, immunogenicità, proprietà farmacocinetiche sfavorevoli che ne consentono la sola somministrazione parenterale.2 I nanocorpi hanno da subito attirato notevole interesse sia in campo diagnostico sia terapeutico per la loro eccellente affinità di legame con l’antigene, l’elevata stabilità e solubilità in acqua, ma soprattutto il ridotto peso molecolare (pari a circa 15 kDa). Le piccole dimensioni li rendono da un lato accessibili a epitopi antigenici difficilmente raggiungibili da grandi molecole come gli anticorpi convenzionali, dall’altro potenzialmente somministrabili per vie diverse da quella endovenosa.2-4 Si è dovuto attendere il 2018 perché questa tecnologia raggiungesse il mercato con il primo nanocorpo anti fattore di Von Willebrand per il trattamento negli adulti con porpora trombotica trombocitopenica acquisita.3 Oggi con oltre 15 candidati attualmente in studio per il trattamento di un ampio spettro di malattie i nanocorpi sono la nuova frontiera della terapia mirata.3 Dai camelidi la nuova frontiera della terapia mirata: i nanocorpi Recentemente posti sotto i riflettori come potenziale trattamento per COVID-19, i nanocorpi in realtà sono oggetto di sperimentazione da oltre trent’anni in campo diagnostico e terapeutico Nanocorpi e COVID-19 I nanocorpi sono stati messi sotto i riflettori come potenziale trattamento anche per COVID-19. Immunizzando i lama con la proteina spike di SARS-CoV-2, sono stati isolati nanocorpi in grado di legare il dominio di legame del recettore del virus rendendolo incapace di innescare la fusione con la membrana della cellula ospite. Anche se lontani dall’applicazione clinica, sono potenzialmente un’alternativa agli anticorpi monoclonali convenzionali per l’immunizzazione passiva contro SARS-CoV-2.5-7 Un approccio analogo oggetto di sperimentazione è quello dei “nanodecoys”, ovvero nanoesche progettate per legare SARS- CoV-2, in quanto costellate di recettori ACE2, impedendogli di infettare le cellule bersaglio. Questa strategia si è dimostrata efficace contro SARS-CoV-2 sia in vitro sia in modelli animali.8-10 Bibliografia 1 Arbabi-Ghahroudi M. Front Immunol 2017; DOI:10.3389/fimmu.2017.01589. 2 Jovčevska I, et al. BioDrugs 2020; DOI:10.1007/s40259-019-00392-z. 3 Bathula NV, et al. Cancer Biother Radiopharm 2021; 36: 109-22. 4 Verhaar E, et al. Semin Immunol 2020; DOI:10.1016/j.smim.2020.101425. 5 Sasisekharan R. N Engl J Med 2021; 384: 1568-71. 6 Koenig P, et al. Science 2021; DOI:10.1126/science.abe6230. 7 Wrapp D, et al. Cell 2020; DOI:10.1016/j.cell.2020.04.031. 8 Chen M, et al. Matter 2021; DOI:10.1016/j.matt.2021.04.005. 9 Abbasi J. JAMA 2021; DOI:10.1001/jama.2021.8165. 10 Li Z, et al. Nat Nanotechnol 2021; DOI:10.1038/s41565-021-00923-2.
  • 25. 23 2. 2021 Ricorrere a un intervento di implantologia dentale può accadere di frequente nella vita e a partire da quando si è ancora giovani: un paziente su sei ha un’età media di 52 anni. Tra i fattori che contribuiscono al successo dell’operazione, il Ministero della Salute1 riconosce la completezza e la correttezza dell’informazione che il paziente riceve come base fondante del consenso consapevole e considera la relazione di fiducia tra paziente e odontoiatra propedeutica al trattamento PATRIZIA SALVATERRA NONOSTANTE l’implantologia registri un indice elevato di successo, talvolta l’intervento può fallire o avere esiti avversi. Il rischio di insuccesso di un impianto dentale si attesta infatti mediamente attorno al 6-7% dei casi.2 Tra le cause ci sono: la comparsa di complicanze come un afflusso sanguigno insufficiente alla sede dell’impianto, l’esposizione prolungata del paziente a radioterapia, la presenza di patologie metaboliche come il diabete che, in taluni casi, può impedire l’integrazione dell’impianto nell’osso. Ci sono poi gli errori umani: da parte del chirurgo, il mancato rispetto dei protocolli e delle linee guida – per esempio in materia di disinfezione e sterilizzazione – oppure una programmazione o un’esecuzione errata dell’intervento. Da parte del paziente, il non rispetto dei controlli dentistici periodici e uno stile di vita inadeguato – come la dipendenza da fumo e il consumo di quantità eccessive di zuccheri – spesso correlati a una scarsa igiene orale. È importante che il paziente conosca i benefici e i rischi dell’intervento. La “Scheda di informazione e di espressione del consenso al trattamento implanto- protesico”3 assolve proprio questa funzione: fornisce al paziente tutti i chiarimenti necessari per Informazione corretta e consenso del paziente in implantologia comprendere a fondo l’intervento a cui sarà sottoposto e soprattutto mira a renderlo consapevole circa il rischio operatorio, spiegando diritti e doveri di entrambe le parti e dando semplici istruzioni sui comportamenti corretti da seguire dopo l’intervento chirurgico. Non sempre però viene dedicato tempo sufficiente a informare il paziente e I dati dell’implantologia in Europa e negli Stati Uniti Europa Stati Uniti pazienti sottoposti a trattamenti di implantologia/ anno 1,8 milioni 800.000 spesa complessiva/ anno 2 miliardi di euro 3,8 miliardi di dollari Fonte: Dental Implants Markets to 2027 – Global Analysis and Forecast by Product
  • 26. 24 INFORMAMI PROFESSIONE Bibliografia 1 Ministero della Salute. Raccomandazioni cliniche in odontostomatologia, edizione 2017. 2 Moy PK, et al. 2005. Int J Oral Maxillofac Implants; 2005; 20: 569-77. 3 Scheda di informazione sul trattamento implanto-protesico. a compilare la scheda di consenso informato. Ha fatto clamore la recente sentenza emanata dalla Corte d’Appello de L’Aquila4 che ha condannato l’odontoiatra a pagare 9.000 euro perché non poteva provare con un documento sottoscritto dal paziente di averlo correttamente informato in merito all’importanza dell’igiene orale. Per Marco Scarpelli, odontoiatra forense di Milano, docente universitario e membro del comitato scientifico di ANDI (Associazione nazionale dentisti italiani) e della direzione scientifica “Denti e Salute” dell’Ospedale Humanitas, la scheda è un’occasione preziosa per consolidare la qualità della relazione con il paziente, determinante per l’esito dell’intervento: dei medici chirurghi e degli odontoiatri (FNOMCeO), con la collaborazione delle maggiori associazioni di implantologia, è il risultato di diverse edizioni. “La prima in Italia risale al 1995, tre anni dopo la presentammo a Londra in occasione di un convegno. La novità era aver capovolto la centralità del medico a favore del paziente. Oggi questa relazione vede entrambi al centro, con un equilibrio al 50% nelle responsabilità e nelle tutele. Un mutamento culturale di prospettiva, che in questo delicato rapporto oltre alla medicina vede in gioco la comunicazione e l’etica” – conclude Scarpelli. Implantologia dentale, un po’ di storia L’implantologia dentale, come la conosciamo oggi, è una tecnica relativamente recente che conta nella sua evoluzione alcuni passaggi significativi. Uno fra questi risale al 1964, quando un medico italiano – Stefano Tramonte – per primo utilizza le viti al titanio, un materiale biocompatibile che inserito nell’osso mascellare non viene riconosciuto come corpo estraneo, e dunque non provoca il rigetto. Una seconda innovazione arriva un decennio dopo per opera di un accademico svedese dell’Università di Göteborg, Per-Ingvar Brånemark, che negli anni settanta osserva e studia l’osteointegrazione, ovvero la tendenza dell’osso a fondersi con l’impianto dentale in titanio. Questa scoperta determina la raccomandazione di attendere alcuni mesi prima di caricare l’impianto con l’applicazione di una protesi, in modo che il processo di integrazione e saldatura della vite nell’osso si compia perfettamente, così da garantire la stabilità e la resistenza del nuovo impianto. Nel corso del ventennio successivo altri ricercatori, tra i quali il docente universitario portoghese Paulo Malo, proveranno invece che in determinate circostanze non è necessario attendere mesi per completare l’intervento: nel caso in cui l’impianto venga sottoposto a un carico immediato, il chirurgo deve poter disporre di un osso di ottima qualità, di materiali tecnologicamente adeguati e soprattutto deve possedere una buona esperienza così da saper valutare con precisione ogni singolo caso per operare in sicurezza. Negli ultimi anni l’innovazione tecnologica è andata oltre la tecnica operatoria, puntando la direzione della ricerca anche verso nuovi materiali e strumenti – basti pensare alle stampanti 3D che, con software sempre più sofisticati, sono in grado di supportare il chirurgo sia nella diagnosi sia nella pianificazione dell’intervento – dalla fase pre protesica a quella post operatoria. “L’espressione del consenso da parte del paziente è il risultato del dialogo e dell’ascolto. Il medico deve ascoltare i timori del paziente ed essere in grado di rispondere ai suoi dubbi. E se è vero che la firma sul documento è funzionale a definire le responsabilità e a prevenire i contenziosi legali, l’informazione corretta è il senso di tutto il documento. Un paziente informato sa ciò che può accadere, dà il giusto peso a un eventuale dolore o gonfiore post operatorio, si fida del medico che ha condiviso con lui procedimento, tempi, rischi dell’intervento e profilassi”. La scheda, oggi rivista e aggiornata dall’Italian Academy of Osseointegration (IAO) e da Federazione nazionale degli ordini L’impianto Tramonte (al centro) confrontato con le più note viti del tempo.
  • 27. I 2 . 2021 I COME ISCRIVERSI AL CORSO Partecipare al corso FAD è semplice. Una volta letto questo dossier, tutti gli iscritti all’OMCeO Milano, medici e odontoiatri, possono rispondere al questionario online e acquisire i crediti ECM. Ecco come fare: 1. se non si è già registrati, registrarsi sulla piattaforma www.saepe.it scegliendo un ID e PIN per l’accesso 2. entro 48 ore ricollegarsi alla piattaforma e inserire ID e PIN 3. cliccare al piede della pagina sul banner SmartFAD 4. cliccare il titolo del corso 5. cliccare sul questionario e rispondere alle domande ECM; si ricorda che le domande sono randomizzate, quindi variano nei tentativi successivi (non c’è un limite massimo) 6. rispondere al questionario di customer satisfaction 7. scaricare l’attestazione dei crediti cliccando in alto a sinistra su “Crediti” e quindi sul pdf Per qualunque dubbio o difficoltà scrivere a: gestione@saepe.it ANAFILASSI: DIAGNOSI E TRATTAMENTO 2.2021 Autore: Gian Galeazzo Riario Sforza, direttore dell’Unità operativa complessa di Medicina interna Ospedale “Città di Sesto S. Giovanni” ASST Nord Milano Revisore: Maria Grazia Manfredi, Consigliere OMCeOMI, Medico di Medicina Generale ATS Città Metropolitana di Milano Destinatari: medici e odontoiatri Durata prevista: 2 ore (compresa la lettura di questo dossier) Durata: dal 31 luglio 2021 al 30 luglio 2022 Evento ECM n. 329339 Provider Zadig (n. 103) L’anafilassi è una emergenza clinica potenzialmente pericolosa per la vita e tutti gli operatori sanitari devono essere in grado di riconoscerla e gestirla. La campagna vaccinale in atto comporta una probabilità bassa ma misurabile che gli operatori sanitari si trovino ad affrontare questa condizione. In particolare occorre effettuare un’anamnesi accurata per individuare i fattori predisponenti e stimare il livello di rischio individuale, individuare segni e sintomi utili alla diagnosi e alla diagnosi differenziale con altre emergenze cliniche, mettere in atto gli interventi di primo soccorso (manovre rianimatorie e trattamento farmacologico).
  • 28. II SmartFAD Sono quasi le sette di sera, è primavera inoltrata di una giornata calda e soleggiata. Arianna, avvo- cato di 34 anni, alza gli occhi dalla scrivania piena di carte su cui sta lavorando e improvvisamente ricorda che alle nove deve trovarsi a cena fuori con il fidanzato e con due amici che non vede da un po’. Dopo una lunga giornata passata in tribunale ha voglia di uscire, rilassarsi, chiacchierare perché si sente stanca e con un lieve mal di testa. Al locale tanta gente, i tavoli tutti pieni, persone in piedi che parlano tra loro. Vede gli amici e il fidanzato e il mal di testa passa come per incanto. Chiacchiera leggera e divertita, gustando il ritorno alla normalità. Si sente bene: “Finalmente liberi, io e il mio vestitino color vinaccia stasera non abbiamo pensieri” pensa la donna guardando il menù, attirata da un antipasto di pesce, che ordina assieme a un calice di vino bianco fresco. Tutto procede bene, bella serata, buon cibo, compagnia ottima. Ma d’improvviso Arianna sente un senso di nausea sempre più intenso. E poi dolori addominali, crampi che le stringono lo stomaco. Impallidisce, e senza avere il tempo di parlare né di alzarsi ha un episodio di vomito alimentare che lascia gli amici sorpresi e allarmati. “Arianna, che succede?” esclama Paolo, fidanzato con lei da quasi nove anni, sedutole accanto. Arianna lo guarda spaventata, con gli occhi spalancati, ma non riesce a parlare: dopo aver vomitato sente un senso di nodo in gola, le manca il fiato e le ronzano le orecchie. Soccorsa dagli amici, da un cameriere e dal proprietario del locale viene fatta delicatamente sdraiare su un paio di tovaglie stese a terra. Un medico seduto con la sua borsa due tavoli più in là, si accorge di quanto sta acca- dendo e corre ad assistere la donna. I parametri vitali sono: PA 90/60 mmHg, FC 120 bpm regolare, SatO2 92% in aria ambiente, frequenza respiratoria 25 atti/minuto. All’esame obiettivo si sente un respiro ridotto e gemiti sparsi da broncospasmo. I toni cardiaci sono tachicardici, niente soffi. L’addome è trattabile, dolente alla palpazione profonda in epigastrio. In cerca di indizi per capire l’accaduto il me- dico interroga il fidanzato: “Arianna soffre talvolta di cefalea e ha un raffreddore da fieno in primavera”. E quasi a sottolineare le parole di Paolo la fidanzata starnutisce più volte tirando su col naso. Riportando lo sguardo sulla donna sdraiata il medico si accorge che si sta grattando con insistenza il braccio dove ha ancora lo sfigmomanometro. E le sue labbra si gonfiano rapidamente. Nel frattempo il proprietario del locale chiama l’ambulanza: “Venite, presto, una cliente si è sentita male”. In lontananza si sente già la sirena. Il medico chiede ad Arianna se sa di essere allergica a qualche alimento e se episodi analoghi le erano capitati anche in passato. Lei, con voce flebile e un visibile sforzo nell’eloquio, risponde che le era già capitato mangiando un melone che le labbra pizzicassero e si gonfiassero un po’ ma era tutto passato in pochi minuti. Poi chiude gli occhi. “Mi gira la testa, mi sento svenire” dice con un filo di voce. In quel momento arriva l’ambulanza e ne escono due paramedici che portano correndo la borsa di pronto intervento. “È una reazione allergica, uno shock anafilattico” dice il medico. Un peccato di gola LA STORIA parte I LA STORIA parte II COMMENTO Lo shock anafilattico o anafilassi è una reazione allergica gra- ve e pericolosa per la vita che richiede un intervento medico in emergenza perché inizia all’improvviso (anche pochi minuti dopo l’esposizione all’allergene, in genere dopo 15-30 minuti) e peggiora molto rapidamente. La risposta fisiopatologica caratteristica è la liberazione massiva di istamina con effetto vasodilatatore. Il quadro clinico dell’anafilassi è caratterizzato da polso rapido, debole e irregolare, ipotensione con possibile evoluzione in sincope o ancora in collasso cardiocircolatorio, malessere generalizzato con capogiri, rinorrea, tosse, dispnea, sibilo o stridore toracico, prurito diffuso, orticaria o angioedema, nausea, vomito, dolore addominale o diarrea. La diagnosi differenziale si pone con diverse condizioni, in particola- re con una reazione vasovagale o una sindrome da iperventilazione. Cardona V, et al. World Allergy Organ J 2020; 13: 100472. Muraro A, et al. Eur An Allergy Clin Immunol 2014; 69: 1026-45.
  • 29. III 2 . 2021 ANAFILASSI: DIAGNOSI E TRATTAMENTO Le linee guida sull’anafilassi della World Allergy Organization (WAO)1 e dell’European Academy of Allergy and Clinical Immunology (EAACI)2 hanno stabilito tre serie di criteri clinici per la diagnosi di anafilassi, confermando la proposta del Secondo simposio sulla definizione e gestione della relazione di sintesi sull’anafilassi.3 In breve, l’anafilassi è altamente probabile in caso di insorgenza acuta (da pochi minuti a diverse ore) di una patologia che colpisce almeno due organi diversi (pelle-mucosa, vie aeree, apparato gastrointestinale, sistema cardiovascolare) o in caso di riduzione della pressione arteriosa dopo esposizione all’allergene. Poiché l’anafilassi imita sindromi comuni come l’asma e l’orticaria, e può presentarsi senza ipotensione, la sua diagnosi viene spesso man- cata o ritardata. Recentemente il Comitato Anafilassi della WAO ha proposto di rivedere la definizione e i criteri clinici dell’anafilassi, al fine di sem- plificarne la diagnosi e migliorarne la gestione.4 Una minoranza di pazienti mostra reazioni allergiche bifasiche indotte da una varietà di cause, in cui segni e sintomi di anafilassi si ripresentano alcune ore dopo la risoluzione iniziale dell’anafilassi senza riesposizione al trigger.5 Oltre alle reazioni bifasiche, i pazienti che hanno IgE reattive all’oligosaccaride galattosio-alfa-1,3-galattosio, presente nella carne di mammifero e in alcuni anticorpi terapeutici, possono manifestare anafilassi dopo un ritardo di diverse ore in cui non si manifestano segni o sintomi.6 1 Cardona V, et al. World Allergy Organ J 2020; 13: 100472. 2 Muraro A, et al. Eur An Allergy Clin Immunol 2014; 69: 1026-45. 3 Sampson H, et al. J Allergy Clin Immunol 2006; 117: 391-7. 4 Turner P, et al. World Allergy Organ J 2019; 12: 100066. 5 Lee S, et al. Curr Opin Allergy Clin Immunol 2016; 16: 346-51. 6 Commins S, et al. Allergol Int 2016; 65: 16-20. “La pressione è in discesa. Ora è 80/50 mmHg e la frequenza cardiaca 130 bat- titi al minuto” dice il medico. A queste parole uno dei due apre la borsa e ne estrae quella che sembra una penna con una vistosa etichetta gialla. “Ah meno male, l'avete!” esclama il medico mentre l’infermiere svita il tappo di sicurez- za premendo la penna sulla coscia di Arianna. L’effetto dell’autoiniettore, che contiene adrenalina ed è dotato di un ago che fuoriesce al contatto con la pelle, è quasi immediato: Arianna riprende colore e le labbra si sgonfiano. LA STORIA parte III COMMENTO La gestione acuta dell’anafilassi dipende dal riconoscimento pre- coce dei sintomi e dall’uso tempestivo di adrenalina, trattamento di prima linea dell’anafilassi e salvavita. I pazienti con storia di anafilassi hanno un aumentato rischio di re- azioni gravi, cosa che rende fondamentali le misure di prevenzione secondaria. Le più importanti includono l’identificazione di fattori scatenanti, il riconoscimento dei primi sintomi di anafilassi da parte del paziente cui va consigliato di portare con sé un autoiniettore di adrenalina, la gestione delle comorbilità rilevanti, l’immunoterapia specifica, l’immunoterapia orale alimentare e la desensibilizzazione da farmaci se indicato. A tutti i pazienti con anamnesi di reazione anafilattica devono esse- re forniti autoiniettori di adrenalina da iniettare nel muscolo vasto laterale. Sono sei le indicazioni assolute alla prescrizione di un autoiniettore di adrenalina: • precedente anafilassi con cibo, lattice, aeroallergeni come animali o altri fattori scatenanti non evitabili; • anafilassi da esercizio; • pregressa anafilassi idiopatica; • coesistente asma instabile, con allergia alimentare; • allergia al veleno di imenotteri di adulti con precedenti reazioni sistemiche (a meno che non abbiano ricevuto immunoterapia specifica con veleno di imenotteri, di mantenimento) e bambini con reazioni cutanee estese; • presenza di mastocitosi nota. Muraro A, et al. Eur An Allergy Clin Immunol 2014; 69: 1026-45. COMMENTO Arianna riapre gli occhi: “Che guaio. Ho rovinato la serata a tutti…”. Paolo le prende la mano con le lacrime agli occhi mentre i paramedici la caricano in barella e chiudono le porte dopo averlo fatto salire assieme al medico che aveva prestato il primo aiuto e che si offre di accompagnarli, raccomandando per maggiore sicurezza un periodo di osservazione in Pronto soccorso. LA STORIA conclusione
  • 30. IV SmartFAD Piove. Gocce fitte picchiettano sul tetto del grosso hub vaccinale. Ombrelli aperti, la gente in coda si muove rapida. Sui cartelli appesi si legge che sono ammesse al vaccino anti COVID le persone nella fascia di età dai 50 ai 59 anni. L’accettazione procede veloce, efficiente. Le ragazze al desk prendono i dati e assegnano numeri che scorrono su grandi cartelloni luminosi. In un ordinato viavai i pa- zienti si siedono e aspettano di essere chiamati per poi avviarsi, eventualmente aiutati da uomini e donne della protezione civile, ai box dove il vaccino sarà somministrato. Ennio, muratore di 53 anni, numero 64, viene chiamato nel box 14, dove lo accolgono il medi- co e l’infermiere che gli inietterà la prima dose. Seguendo un modulo di domande precom- pilate il medico guarda lo schermo del computer chiedendo all’uomo se abbia malattie in atto o pregresse. “No, niente. Sono uno sportivo e non prendo farmaci” risponde l’uomo. Poi aggiunge: “Ho un po’ di raffreddore da fieno in primavera, ma niente di grave: passa con una pastiglia di antistaminico ogni tanto. Poi, pensandoci bene, una reazione allergica grave l’ho avuta: uno sciame di vespe mi ha aggredito 10 anni fa. Almeno 4 o 5 punture. Dopo poco mi sono sentito soffocare e mi prudeva la gola. Fortunatamente lavoravo in un cantiere edile e il capomastro incaricato del primo soccorso mi ha fatto un’iniezione e sono stato meglio”. Il medico, con espressione attenta, chiede se a parte il raffreddore e l’anafilassi al veleno di imenotteri abbia null’altro da riferire. “Beh, dato che lavoro spesso all’aperto, ho fatto per tre anni il vaccino per le vespe. Ho finito 4 anni fa. Da allora mi hanno punto ancora, ma non ho più avuto reazioni” spiega il muratore. “Devo preoccuparmi? Il vaccino potrebbe farmi venire un’allergia?” domanda il paziente. “Un evento come l’anafilassi che lei ha già avuto è molto raro, si parla di pochi casi per milione di persone vaccinate” risponde il medico. “Che vaccino mi fate?” domanda l’uomo. “Pfizer” risponde il medico, indicando all’infermiere di somministrare la dose. Avuta via libera, l’infermiere pratica l’iniezione nel deltoide sinistro del mura- tore dopo averlo fatto sedere. “Date le sue passate reazioni dopo brutti incontri con i pungiglioni delle vespe dovrà aspettare di là 60 minuti dopo l’iniezione” dice il medico con aria rassicurante, aggiungendo che la maggior parte delle reazioni anafilattiche si sono verificate entro 30 minuti dalla somministrazione della prima dose in persone con storia di allergie o precedenti anafilassi. LA STORIA parte I LA STORIA parte II Vaccinarsi è sempre bene COMMENTO COMMENTO Nel quinto Rapporto dell’AIFA sugli effetti avversi ai vaccini in Ita- lia, è descritto un tasso di anafilassi in seguito a vaccinazione anti SARS-CoV-2 pari a 3,9 per milione di dosi (4,7 per milione di prime dosi e 2,3 per milione di seconde dosi). In particolare i tassi sono di 4,4 per milione di dosi con il vaccino Comirnaty-Pfizer (5,7 e 2,3 per milione, rispettivamente), di 2,8 per milione (3,3 e 2,5 per milione, rispettivamente) con il vaccino Moderna, di 2,8 per milione (3 e 1,4 per milione, rispettivamente) con il vaccino Vaxzevria-Astra Zeneca. Il sesto Rapporto dell’AIFA conferma in generale la dimensione del fenomeno senza un’analisi per vaccino e per dose. In base ai dati dei CDC statunitensi, il tasso di anafilassi per i vaccini a mRNA è uguale a 4,7 casi per milione di somministrazioni per il vaccino Pfizer e a 2,5 casi per milione per il Moderna. La maggior parte si sono verificati entro 30 minuti dalla prima dose quasi total- mente in persone con storia di allergie o reazioni allergiche ad altre sostanze o precedenti di anafilassi. (AIFA). Rapporto sulla Sorveglianza dei vaccini COVID-19 n. 5 (27-12- 2020/26-5-2021) (AIFA). Rapporto sulla Sorveglianza dei vaccini COVID-19 n. 6 (27-12- 2020/26-6-2021) Shimabukuro T, et al. JAMA 2021; 325: 1101-2. Blumenthal K, et al. JAMA 2021; 325: 1562-5. I pazienti con storia di anafilassi grave con coinvolgimento cardio- vascolare e respiratorio da qualsiasi causa o da causa non nota, con asma non controllato, con mastocitosi, con storia di allergia a glicole polietilenico (PEG) o polisorbato devono preventivamente sottoporsi