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ATTEGGIAMENTO		E		RITUALITA’		NELLA		PRESA		IN		CARICO		DEI		NEONATI	
																																								sintesi		di	una	relazione	di	Arnaud	Laforge	
	
Per	dialogare	con	i	tessuti	dei	neonati	è	necessario	ottimizzare	le	sensazioni	percepite.	Prima	
di	dialogare	con	i	tessuti,	è	preferibile	che	il	terapeuta	imposti	una	routine	per	ottimizzare	la	
qualità	della	relazione.	
Questi	atteggiamenti	e	questa	routine	sono	parte	di	un	processo	terapeutico	che	aiuta	la	
visualizzazione:	sono	uno	strumento	mentale	nelle	mani	del	terapeuta.	
			
																																														
	
I.		POSIZIONAMENTO		DEL	TERAPEUTA			RISPETTO		A		SE’		STESSO	
	
	
	Centraggio	o	ancoraggio	
	
Una	volta	che	l’operatore	contatta		il	bambino,	sia	con	lo	sguardo	che	con	il	tatto	o	il	pensiero,	
il	bambino	analizza	istantaneamente	il	nostro	stato	d’animo.	Questa	constatazione	la	viviamo	
ogni	giorno,	ma	spesso	succede	che		l'ambiente		sia	"rumoroso"		e		“distraente”	e	questo	rischia	
di		fare	perdere	efficienza	nel	lavoro.	L'ascolto	"neutrale	e	benevolo"	è	efficace	se	si	è	calmi	e	
in	grado	di	essere	aperti	verso	l'altro.	Facile	a	dirsi,	ma	come?	
	
Osservazioni	e	consigli	
	
- I	bambini	fanno	scuola,	nel	senso	che	brontolano	se	non	sono	soddisfatti.	Il	lato	
positivo	è	che	la	loro	intransigenza	istintiva	-	ed	ereditaria	-	guida	il	terapeuta	a	
trovare	un	buon	posizionamento.	L'esperienza	è	la	migliore	"medicina"	per	accedere	
alla	serenità	terapeutica,	non	scoraggiatevi,	la	perseveranza	paga.	
- Vi	suggerisco	di	fare	tutto	il	possibile	per	non	soffrire	fisicamente;	una	struttura	rigida	
e	dolorosa	è	una	cattiva	compagnia		nel	trattamento	di	neonati	o	bambini	.	E’	
necessario	che	la	vostra	“struttura”	goda		di	una	buona	libertà	articolare,	muscolare	e	
di	fluidità.	Fare	yoga,	lavorare	al	vostro	stile	di	vita	e	alimentare,	sono	le	condizioni	che	
vi	porteranno	a	stare	bene	nel	corpo	e	nella	mente	,	un	connubio	ideale.	
- Quanto	alle	tecniche	di	centraggio,	sono	molto	personali	perché	io	possa	consigliarle.	
Così	come	la	struttura	fisica,	anche	quella	mentale	del	terapeuta	non	deve	interferire
nella	relazione.	Usate	il	vostro	buon	senso	o	fatevi	aiutare	(	psicologo,	coaching,	
meditazione	…etc.	Tricot	)	
	
	
Esempi	di	domande	frequenti	
	
- “io	temo	di	non	essere	capace	di	percepire	i	tessuti	perché	il	bambino	piange	molto,	si	
muove	o	sta	attaccato	al	collo	della	mamma”	
- “	io	temo	di	non	sentire	la	fiducia	della	mamma	quando	tratto	il	suo	bambino,	il	suo	
sguardo	inquisitore	mi	blocca”	
- “il	bambino	piange,	si	vede	che	lavoro	male	o	gli	faccio	male”	
	
Consigli	
	
- “Centrarsi”	ha	come	obiettivo	di	mettere	in	modalità	“pausa”	le	vostre	turbe	emotive	
coscienti	e	di	mettere	i	vostri	sensi	più	sottili	al	servizio	della	vostra	arte	al	fine	di	
ottimizzare	la	visualizzazione	del	bambino.	Ancora	una	volta	il	rischio	potrebbe	essere	
che	voi	“inquiniate”	il	piccolo	paziente	con	le	vostre	domande	che	non	hanno	niente	a	
che	fare	con	la	sua	storia	e	il	suo	trattamento.	Il	rischio	è	di	metterlo	sulla	difensiva,	il	
che	offusca	la	lettura	tissutale.	
- Trovate	una	buona	routine	psichica	al	fine	di	proteggervi	da	input	emotivi	scatenati	o	
dal	contatto	con	il	bambino	(pianti,	comportamento	del	bambino	durante	la	seduta	…)	
o	con	i	genitori	(anamnesi	di	una	gravidanza	o	di	un	parto	particolarmente	
impegnativi)	
	
Con	l’abitudine,	la	semplice	intenzione	può	essere	sufficiente	ad	eliminare	i	pensieri	
“fastidiosi”.	La	cosa	più	importante	è	avere	coscienza	che,		al	di	là	dei	problemi	relativi	al	
bambino,	noi	potremmo,	in	quanto	terapeuti,	essere	un	elemento	ambientale	sfavorevole	per	
il	suo	rilassamento.	
	
II.	POSIZIONAMENTO	DEL	TERAPEUTA	RISPETTO	AL	SUO	PICCOLO	PAZIENTE	
	
						Appoggio	del	terapeuta	
	Il	terapeuta	fa	sedere	o	mette	coricato	il	bambino	e,	in	un	primo	momento,	lo	include	nella	
sua	presenza	fisica	e	mentale.	
Dovete	intendere	per	“appoggio”,	una	presenza	che	non	è	mai	fissata	e	statica.	Come	dice	
bene	Rousse	,	questo	appoggio	deve	rimanere	“pneumatico”	anche	in	strutturale,	
altrimenti	il	rischio	è	di	diventare	insostenibile	per	il	bambino	,	cioè	la	vostra	presenza	
può	essere	vissuta	dal	bambino	come	una	aggressione	supplementare.	
	
									Osservazione:	il	contatto	è	accettato	bene	quando	è	giusto:	al	posto	giusto	(porta	di	
entrata	nel	sistema	“aurico”	)	e	al	momento	giusto	(“io	ho	bisogno	di	aiuto	in	questo	posto	
ma	dovresti	cominciare	da	un’altra	parte	perché	io	non	posso	aprirmi	là	dove	mi	tocchi.	Sono	
talmente	pieno	a	questo	livello	che	non	sopporto	le	tue	mani”	)	
	
	
								a)		rassicurazione	
							Io	vi	consiglio	di	mettere	in	pratica,	prima	di	toccare	il	bambino,	una	routine	di	
approccio.	Questo	protocollo	è	molto	importante	per	entrare	in	contatto	con	il	bambino,	
senza	aggredirlo	malgrado	le	vostre	buone	intenzioni,	e	per	ottimizzare	l’alchimia	di	una
buona	relazione.	La	costruzione	della	fiducia	con	il	bambino	passa	attraverso	alcune	
strategie	che	sono	forse	già	spontanee	per	voi	:	rassicurare	con	la	voce,	il	pensiero,	il	
gesto	e	lo	sguardo.	Lo	scopo	di	queste	attenzioni	è	quello	di	rilassare	il	bambino	al	punto	
che	lui	abbia	voglia	di	raccontarvi	le	sue	peripezie	e	,	soprattutto,	di	aprire	alle	vostre	mani	
delle	zone	che	egli	ha	protetto	in	modo	riflesso	,	delle	zone	che	lui	ha	messo	in	“prigione”	
per	qualche	urgenza	situazionale.																																						
	
La	voce:		deve	essere	dolce,	le	parole	sono	scelte	per	rassicurare,	sono	destinate	al	
bambino	ma	anche	ai	genitori	che	non	perdono	neanche	una	virgola	del	modo	in	cui	vi	
avvicinate	al	loro	bambino.	Voi	dovete	domandare	verbalmente	o	in	modo	infra	verbale,	
l’autorizzazione	a	toccarlo	specificando	che	lo	fate	per	aiutarlo.	Una	volta	che	la	
comunicazione	è	stabilita,	il	contatto	deve	essere	mantenuto	con	la	voce,	lo	sguardo,	il	
tocco	e	l’attenzione,	per	tutta	la	durata	della	seduta.	Fate	attenzione	a	quello	che	dite	
perché	potrebbe	scatenare	l’inquietudine	dei	genitori	o	i	loro	sensi	di	colpa	e	questo	
avrebbe	un	cattivo	effetto		sul	benessere	del	bambino	e	allora	potete	dire	addio	al	
rilassamento	tanto	conseguito	!	
	
																		E’	evidente	che	il	bambino	non	capisce	quello	che	dite	con	le	parole.	Il	bambino	è	
"collegato"	all'emozione	che	accompagna	ciò	che	viene	detto.	Le	parole	hanno	un	senso	per	
l’adulto	ma	per	il	bambino	non	sono	che	il	vettore	del	vostro	stato	d’animo:	per	esempio	se	
voi	vi	rivolgete	al	bambino		e	siete	preoccupati,	non	stupitevi	di	scatenare	rapidamente	il	
pianto	!	
	
Lo	sguardo	:	il	bambino	comunica	soprattutto	con	gli	occhi	nei	primi	due	mesi	di	vita.	Voi		
avrete	certamente	notato	degli	sguardi	spenti,	occhi	opachi	che	guardano	lontano	,	oppure,	
al	contrario,	occhi	vivaci	con	una	grande	“scintilla”.	Gli	occhi	sono	una	via	di	accesso	che	la		
dicono	lunga	sullo	stato	generale	del	piccolo	paziente.				
	
																															 	
	
Nei	primi	giorni,	quando	la	sua	visione	non	è	ancora	perfetta,	il	bambino	segue	sua	madre	
con	lo	sguardo.	La	riconosce	anche	se	non	l’ha	mai	vista	veramente.		
Il	dialogo	con	gli	occhi	è	un	momento	di	intimità	particolare.	Se	voi	volete	entrare	in	
questa	intimità	dovrete	dimostrare	di	avere	determinate	"credenziali",	perché	ciò		che	il	
bambino	protegge		è	tenuto	nascosto		e	sepolto	:	si	tratta	di	segreti	spesso	molto	dolorosi	
sia	sul	piano	fisico	che	su	quello	emozionale.	Ancora	una	volta	è	importante	mettere	in	
atto	tutte	le	vostre	capacità	per	evitare	di	scivolare	a	lato	del	dialogo.	Vi	consiglio	di	
preparare	con	il	vostro	cuore		questo	incontro.	
	
Il	gesto:	parliamo	del	gesto	familiare	e	tenero,	adattato	all’età	del	bambino,	che	dice	che	
gli	volete	bene.	Il	gesto	deve	però	stare	a	distanza	dalle	zone	suscettibili	a	scatenare	delle
reazioni	di	difesa.	Le	zone	da	evitare,	in	un	primo	approccio,	sono	quelle	che	potrebbero	
essere	state	sede	di	aggressione	traumatica	come	ad	esempio	la	pianta	dei	piedi,	la	regione	
ombelicale,	la	regione	vertebrale	dorsale,	la	regione	anteriore	del	collo,	lo	stretto	toracico	
superiore	e	il	cranio.	
Dopo	queste	raccomandazioni	sta	a	voi	scegliere	i	gesti	adatti	a	rassicurarlo	(	carezze,	
parole…)	che	dovranno	essere	certamente	misurati	per	evitare	di	infastidire	i	familiari.	
	
Consigli		
- se,	malgrado	il	vostro	approccio	rispettoso	e	sincero,	il	bambino	ha	un	atteggiamento	
di	difesa,	ponetevi	la	domanda:”	perché	questa	mancanza	di	fiducia?	E’	colpa	mia,	di	un	
genitore,	è	in	rapporto	al	mio	atteggiamento	o	a	quello	del	bambino	?”	
- considerazioni	in	funzione	dell’età	:	normalmente	il	bambino	sino	a	4-5	mesi	è	
contento	che	ci	si	occupi	di	lui.	Dopo	questo	periodo,	la	sua	maturazione	psichica	passa	
attraverso	una	fase	di	<	paura	dell’estraneo>	che	può	durare	sino	a	3	anni.																								
In	effetti	la	durata	di	questa	fase	sembra	dipendere	dallo	stato	di	<fusione>	con	i	
genitori.	Più	la	mamma	è	<protettrice>	più	il	bambino	rischia	di	essere	molto	pauroso	
in	presenza	di	un	estraneo.	
	In	questo	caso	voi	dovete	preparare	dei	giochini	o	semplicemente	degli	oggetti	adatti	
all’età	che,	per	la	forma,	il	colore	e	la	consistenza	siano	capaci	di	distrarli.	E’	meglio	che	
sia	uno	dei	genitori	a	proporre	il	gioco.	Di	fatto	voi	cercate	un	oggetto	di	distrazione	del	
bambino,	ma	questo	non	deve	impedirvi	di	chiedere	la	loro	autorizzazione	per	toccarli	
fisicamente.	
	
			Il	pensiero	e	lo	spirito:	la	vostra	anima	di	terapeuta	si	materializza	attraverso	il	pensiero.	
					Se	il	pensiero	guida	la	voce,	lo	sguardo	e	il	gesto,	l’azione	terapeutica	avrà	degli	effetti		
					potenti.	
					Lo	spirito	è	il	“mezzo”	terapeutico	che	risponde	a	tutti	i	criteri	indispensabili		per	una	“bella		
					relazione”.	
	
		Consigli:	
- non	imponete	la	vostra	presenza	e	confidate	nella	potenza	del	vostro	spirito	che	sarà	
accolto	più	favorevolmente	rispetto	ad	un	gesto	imposto	per	forza	:	è	con	questo	
approccio	“omeopatico”	che	riuscirete	a	sconfiggere	quello	che	è	più	chiuso.	
- Lo	spirito	(	Spirito	di	Still	)	non	è	intellettivo.	Parte	da	una	zona	particolarmente	
energetica	del	nostro	essere	che	solo	voi	potete	localizzare.	Per	alcuni	questa	zona	è	là	
dove	si	trova	l”anima”,	il	“cuore	emozionale”	o	il	“chi”.	Essa	si	infiltra	nel	vostro	
paziente	attraverso	le	vostre	mani,	la	vostra	voce,	il	vostro	sguardo,	i	vostri	pensieri,	le	
vostre	intenzioni.	
	
	
	
b)	appoggio	fisico	e	mentale	per	la	visualizzazione
	
- Il	vostro	contatto	fisico	deve	essere		<<avvolgente>>	:	la	maggior	parte	dei	bambini	
ama	sentirsi	“contenuto”	e	così	voi	farete	un	“utero”	attorno	a	lui.	Voi	adatterete	la	
forza	del	vostro	<<avvolgimento>>	in	base	alla	reazione	del	bambino	(un	bambino	
preferirà,	per	rilassarsi,	un	contenimento	più	muscolare,	un	altro	la	dolcezza	di	un	
abbraccio	più	sottile	)	o	da	ciò	che	voi	volete	ottenere	(ad	esempio	la	vostra	strategia	
potrebbe	essere		di	ottenere	una	reazione	di	“spiccare	il	volo”	in	un	bambino	situato	
troppo	“confortevolmente”	nelle	sue	protezioni).
- La	vostra	presenza	mentale	è	<<infiltrativa>>.	Voi	vi	proiettate	all’interno	di	questo	
“utero”	e	vi	mescolate	al	liquido	amniotico	che	è	stato	attorno	e	all’interno	del	
bambino.	Fatelo	nel	modo	più	sottile	e	più	fluido	possibile	per	potere	attraversare	le	
barriere	tissutali.	Si	tratta	di	diventare	tutt’uno	con	i	liquidi	interni	del	vostro	piccolo	
paziente	(	80%	di	acqua	).	
Così	questa	energia	di	pensiero	che	il	bambino	accetta	(	se	può	e	se	vuole	)associata	al	
gesto	fisico	allo	stesso	tempo	molto	intimo	e	globale,	permettono	la	visualizzazione	di	
un	contenuto	fluido	e	trasparente	che,	vista	l’età	del	bambino,	dovrebbe	essere	
compressibile	ed	estensibile	senza	freni.	Questo	succede	però	raramente	!!	
	
(N.B.	ciò	che	mi	spinge	a	dire	che	tutti	i	bambini,	alla	nascita,	avrebbero	bisogno	di	una	
visita	di	controllo,	è	che	il	99%	di	loro	non	hanno	l’elasticità	tipica	di	una	fisarmonica	
dopo	la	nascita	appunto.	Proprio	per	la	loro	giovane	età	il	buon	senso	consiglierebbe	di	
ricercare	le	costrizioni	della	nascita	e	le	tensioni	intrauterine.)	
	
														L’atteggiamento	che	precede	il	trattamento	è	allo	stesso	tempo	“strutturale”	per	la	
														presenza	fisica		e	“funzionale”	per	la	presenza	mentale.	Io	vi	incoraggio	a				
														mantenere		un	equilibrio	tra	le	vostre	due	“presenze”	(	pensare	e	fare	oppure	fare		
														pensando	)	allo	scopo	di	sintonizzarvi	in	maniera	più	fine	alla	domanda	tissutale.	
	
	
c) Localizzazione	
	
È	spostando	le	vostre	mani,	assieme	alla	visualizzazione	e	ai	test	di	trazione	e	
compressione,	che	voi	troverete	una	o	più	zone	particolarmente	dense.			L’azione	
diagnostica	è	un	impulso		(	a	volte	solo	intenzionale	)		che	passa	attraverso	le	mani	del	
terapeuta	che	può	o	non	può	essere	assorbito	dal	tessuto	denso.				L’emissione	di	un’onda	
con	o	senza	espansione		dà	senso	a	questo	gesto/test,	la	mentalizzazione	visualizza	il	
distretto	della	zona	densa	se	siete	in	compressione	o	dell’ancoraggio			se	siete	in	
distrazione.	Ma	può	essere	che	non	possiate	né	comprimere	né	trazionare.					
	
	
	
Scopi				
	
										Gli	scopi	di	questa	routine		iniziale	,	degli	appoggi	specifici	e	globali,	di	tutta		
					l’attenzione	particolare	che	il	terapeuta	mette	a	disposizione	del	bambino,	sono	i	seguenti:	
- dare	al	bambino	la	possibilità	di	“rilassarsi”	malgrado	le	sue	paure,	per	accettare	
l’incontro	con	voi	
- favorire	l’espressione	della	potenza	della	salute	che	è	una	buona	strada	per	
l’autoguarigione	
- se	tutto	questo	non	è	possibile,	mettere	in	atto	una	strategia	terapeutica	modulabile	in	
base	alle	sue	reazioni.	Chi	altro	se	non	i	tessuti	sono	in	grado	di	sapere	ciò	di	cui	hanno	
bisogno	per	ritrovare	un	equilibrio?	
	
							…..e	poi	c’è	il	trattamento	in	senso	stretto.	
	
Buona	pratica.
ATTEGGIAMENTO E RITUALITA’ NELLA PRESA IN CARICO DEI NEONATI

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