1. 12MESI
FEBBRAIO 2012
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OPINIONI
di ANTONIO PANIGALLI
S
arebbe davvero ora di ritor-
nare o meglio intraprendere
in via definitiva un percorso
che ci riporti a una visione
del welfare che, con efficienza e soste-
nibilità, si possa chiamare tale.
Questa tematica è molto ampia, ricom-
prendendo direttamente e indiretta-
mente una serie di argomenti, che van-
no dal lavoro all’equità sociale, dal fisco
alla dignità della persona, che sono, so-
prattutto in Italia e non solo per via del
nuovo Governo, di estrema attualità,
in quanto storicamente mal affrontati
e, ancor peggio, irrisolti. Sarà forse la
volta buona?
Uno spunto interessante può essere
tratto anche dalla lettura di un saggio,
“La mente liberal” (1963, ora disponi-
bile anche per i lettori Italiani) del neo-
zelandese Kenneth Minogue, nel quale
il professore trapiantato in Inghilterra
e docente di Scienze politiche presso
la London school of economics, accusa
il nostro modello sociale di provocare
enormi oneri economici e di infiacchire
i cittadini sul piano etico.
A distanza di quasi mezzo secolo,
il volume continua a rappresentare
una delle analisi più acute e sempre
attuali della deriva del liberalismo
classico verso un utopismo welfari-
stico compassionevole e statalista. Il
liberalismo liberal non ha fatto altro
che fare costantemente crescere nelle
mani dei sistemi di governo la leva del
potere (*vedasi in nota il crudo giudi-
zio espresso da Enrico Berlinguer in
tempi insospettabili e probabilmente
intorno a diversi valori politici), con
la conseguenza negativa di aver pro-
dotto una società costituita da indi-
vidui sempre meno responsabili e di
conseguenza meno liberi. Più welfare,
indiscriminato e clientelare, e più Sta-
to equivalgono a meno responsabilità,
meno meritocrazia e di conseguenza,
con molta probabilità, meno libertà.
In inglese liberalism è una parola am-
bigua, evoca per un certo verso l’ide-
ale di una tradizione politica e per un
altro il suo esatto contrario (il polito-
logo Giovanni Sartori sostiene infatti
che “un liberale americano non sareb-
be chiamato liberale in nessun Paese
europeo; lo chiameremmo un radicale
di sinistra”). Nella prefazione dell’e-
dizione italiana del saggio, lo stesso
Minogue scrive che la mente liberal
“è una forma di idealismo sentimen-
tale che incoraggia la dipendenza dal
governo e promuove l’autocommise-
razione e l’obbedienza, piuttosto che
virtù come la fiducia in se stessi”.
La dicotomia “liberalism” si eviden-
za anche negli altri contesti (lavoro,
fisco, ecc.) del perimetro sociale
italiano, e questo è molto più chia-
ro quando, parlando per esempio di
dati sul sistema del lavoro, gli esperti
(sindacati, associazioni di categoria,
docenti universitari, ecc.) compilano
statistiche che normalmente portano
alla drammatizzazione del problema
(almeno in termini mediatico/espo-
sitivi) che viene posto sempre nella
discutibile forma conservativa-inno-
vativa: da una parte la difesa di ciò che
già esiste, i diritti acquisiti, l’articolo
18, ecc.; dall’altra, il tentativo di recu-
perare posizioni sul senso e il valore
del lavoro in un mondo che cambia ra-
pidamente e che, oggi più mai e forse
sempre di più, non riconosce al lavoro
il valore che poteva avere fino a qual-
che anno fa.
Il welfare, il sistema pensionistico, il
lavoro, così come pure la conseguente
battaglia per la giusta fiscalità, diven-
tano un passaggio obbligato per ri-
conoscere la dignità della persona, la
sua tutela e la capacità dell’individuo
e quindi della società di generare fu-
turo per coloro che arriveranno dopo,
a condizione che ognuno faccia la sua
parte.
WELFARE
O ASSISTENZIALISMO?
* I Partiti «sono soprattutto macchine di potere e
di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della
vita e dei problemi della società e della gente,
idee, ideali, programmi pochi e vaghi, sentimen-
ti e passione civile zero. Gestiscono interessi, i
più disparati, i più contraddittori, talvolta anche
loschi, comunque senza alcun rapporto con le
esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure
distorcendoli, senza perseguire il bene comune.
La loro stessa struttura organizzativa si è ormai
conformata su questo modello, e non sono più
organizzatori del popolo, formazioni che ne pro-
muovono la maturazione civile e l’iniziativa: sono
piuttosto federazioni di correnti, di camarille,
ciascuna con un “boss” e dei “sotto-boss”».