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Nella passeggiata di oggi visiteremo uno dei quartieri simbolo della c.d.
“architettura fascista”. Una delle cose più importanti che cercherò di trasmettervi è
che non esiste una “architettura fascista”, esiste architettura costruita durante il
periodo fascista:
 Alcune cose “di regime”, altre no
 In entrambi i casi, gli stili sono parte di tendenze internazionali di cui l’Italia fa parte, ma di
cui non ha il monopolio
Altra cosa importante, specificamente per l’EUR, è che quella che vedete realizzata è una delle
opzioni presentate. L’EUR poteva essere molto diverso da come fu realizzato (meglio: progettato
e avviato).
La “romanità” dell’EUR è un “fake” edilizio come fake del resto è il collegamento fra fascismo e
romanità (saluto, fascio littorio, amore per Roma).
Non può chiamarsi una “grande realizzazione” del regime, in quanto fu in parte predominante
costruito nel dopoguerra. Il fascismo costruì due o tre edifici, in modo incompleto, per causa della
guerra in cui si sono infilati.
Questi che seguono sono appunti ad uso personale, che ho compilato da diverse fonti come
traccia e “archivio” di dati, foto e informazioni.
Fascismo e Architettura
L’Italia fu relativamente estranea al rinnovamento dell’architettura che interessò l’Europa nei
primi decenni del XX secolo, perché non vi erano i presupposti economici, sociali e tecnici
per profondi rinnovamenti nel modo di costruire e di dare forma alla città. Tra le avanguardia
artistiche del primo Novecento, solo il Futurismo ebbe protagonisti italiani e fu quindi
soltanto ragioni culturali che alcuni giovani architetti si avvicinarono alle esperienze
costruttive del resto d’Europa.
Frattanto, mentre in Germania si sta vivendo, anche se fra mille contraddizioni, l’importante
esperienza della libera Repubblica di Weimar, l’Italia, all’indomani della Marcia su
Roma (28 ottobre 1922), approda subito a un regime totalitario cosicché, se il Razionalismo
tedesco (che fin dall’immediato dopoguerra costituiva il principale punto di riferimento per
ogni altro Paese europeo) era espressione di una società ancora democratica e desiderosa
di venire incontro ai bisogni delle masse popolari, il Razionalismo che incominciava a
diffondersi in Italia, si sviluppava già all’interno della dittatura fascista che intendeva
contrastare le tensioni al rinnovamento e tutelare gli interessi della nuova borghesia
industriale. Ciò nonostante, proponendosi come una forza giovane e rivoluzionaria che
asseriva di voler emancipare l’Italia in senso moderno -riallineandola anche
economicamente alle altre grandi nazioni europee- il fascismo lasciò un certo spazio
all’architettura moderna per rendersi più accettabile all’opinione pubblica internazionale e
agli intellettuali italiani. Nel 1928 il gruppo MIAR (movimento Italiano per l’architettura
razionale) organizzò a Roma una mostra della nuova cultura architettonica e, nel 1933, un
gruppo guidato da Giovanni Michelucci vinse il concorso per la nuova stazione di Santa
Maria Novella, prima affermazione dell’architettura moderna Italiana.
“Io sono per l’architettura moderna, per quella del nostro tempo[…]. È assurdo il non volere
un’architettura razionale e funzionale del nostro tempo”, diceva Mussolini nel ’34
riferendosi all’architettura di Sabaudia.
stazione di Santa Maria Novella, 1933-1935, vista aerea
stazione di Santa Maria Novella, 1933-1935, la facciata principale
Inizialmente, quindi, il Razionalismo sembrò trionfare; ovunque si innalzano edifici dai
volumi netti, con coperture piane e finestre rigorosamente prive di timpani e cornici, sulla
falsariga della miglior produzione del Bauhaus. Nel frattempo però, si andava affermando
anche una nuova tendenza monumentalista, portata avanti dall’architetto Marcello
Piacentini, che pretendeva di richiamarsi all’architettura imperiale romana e, per certi
aspetti, evocatrice della pittura metafisica di Giorgio de Chirico, che ben presto sarebbe
stata scelta per rappresentare il regime fascista nei più solenni edifici pubblici.
Il panorama culturale dell’architettura italiana tra le due guerre era quindi estremamente
complesso, effervescente e contraddittorio.
E42: Quadro di insieme
Il progetto che rappresenterà l’apogeo dell’architettura fascista segna anche la fine
dell’architettura moderna italiana.
La Roma fascista è stata oggetto di varie trasformazioni architettoniche e urbanistiche,
quasi tutte compiute in modo da valorizzare i siti archeologici esistenti e testimoniare la
grandezza del rinnovato impero. Se si esclude il progetto per il Palazzo Littorio, respinto
per la sua eccessiva modernità, vengono realizzate due assi di grande prestigio: via dei
Trionfi (via di San Gregorio) e via dell’Impero (via dei Fori Imperiali). La nuova città
universitaria viene portata a termine con successo, e così gli impianti sportivi del Foro
Mussolini. Per lo più si tratta però di interventi isolati all’interno del centro storico. Ciò che
manca è un’occasione di urbanistica e architettura che qualifichi l’espansione della città,
facendo della capitale l’immagine esemplare del regime fascista. Nel 1936, da questa
necessità, nasce l’idea di una Grande Esposizione, da tenersi nel 1942 per celebrare il
ventennale del fascismo. Al termine dell’esposizione il nuovo quartiere sarebbe dovuto
divenire il modello simbolo della Roma fascista e imperiale.
Dopo vari sopralluoghi Mussolini stabilisce l’ubicazione dell’Esposizione, rianimando con
la sua decisione le antiche aspirazioni di una Roma proiettata verso il mare e affermando
contemporaneamente l’idea dell’egemonia italiana sul Mediterraneo.
“La Terza Roma si dilaterà sopra altri colli lungo le rive del fiume sacro sino alle spiagge del
Tirreno” riporta ancora oggi la facciata del Palazzo degli Uffici dell’Eur. Una città simbolo
dell’antichità e del cristianesimo, che doveva divenire l’incarnazione della modernità e del
genio fascista. Mussolini aveva in mente di progettare e fondare una nuova Roma protesa
verso il futuro e verso il mare, un nuovo quartiere fascista che attraverso monumenti,
strade, edifici rappresentasse la proiezione di una romanità futuristica e moderna. La città
nuova non poteva soltanto essere opera di sventramenti e ricostruzioni all’interno dell’antica
cinta muraria, non poteva concludersi necessariamente entro il perimetro ristretto della
Roma di un tempo; doveva semmai espandersi, conquistare nuovo terreno e protendersi
verso il Tirreno.
Già nel ‘25 era stata avviata la costruzione della via dell’Impero con un colossale cantiere
archeologico che prevede la demolizione del tessuto storico e il taglio della collina Velia. È
la prima parte della Via Imperiale, il grande asse viario destinato a collegare Piazza Venezia
alla zona dell’E42, che la propaganda del regime annuncia come la strada più grande e più
lunga del mondo. La Via Imperiale diventa oggetto di una progettazione fortemente
moderna, è la premessa all’E42.
Per la realizzazione dell’Esposizione del 1942, la cui sigla ufficiale diventa presto “E 42”,
viene istituito un ente autonomo che incarica gli architetti, Giuseppe Pagano, Marcello
Piacentini, Luigi Piccinato, Ettore Rossi e Luigi Vietti, di progettare un piano generale. Tale
gruppo, anche se non omogeneo, è decisamente moderno, vale a dire vicino al
movimento razionalista. I suoi due personaggi decisivi, Marcello Piacentini e Giuseppe
Pagano, hanno già collaborato in diverse occasioni, come ad esempio per la città
universitaria, conciliando le loro posizioni di razionalista della prima ora (Pagano) e di
accademico “convertito” a un razionalismo di impronta classico-monumentale (Piacentini).
Nel marzo del 1937 i cinque architetti presentano un progetto di massima che verrà
approvato da Mussolini e pubblicato su diverse riviste d’architettura. Il nuovo quartiere si
innalza su una superficie di 400 ettari ed è “appeso” a via dell’Impero in modo tale che
quest’ultima faccia da asse specchiante per l’impostazione dell’impianto stradale quasi
perfettamente simmetrico e alleggerito ai margini da un andamento ondulatorio delle
strade, effetto che nasce dall’esigenza di adattabilità alle caratteristiche topografiche.
Osservando
gli schizzi
che
accompagnano il primo piano regolatore, si nota innanzitutto il sovradimensionamento del
piano generale; infatti, via dell’Impero si è ora trasformata in un’autostrada sopraelevata di
una larghezza di più di 100 metri, che attraversando un lago artificiale si dirige verso il
E42, prima ipotesi planimetrica, 1937
Palazzo della Luce, mentre i palazzi dell’Esposizione sono degli imponenti grattacieli di
vetro e acciaio di 35 piani.
L’intero scenario evoca le visioni urbanistiche di Hilbersheimer
o di Le Corbusier, ed è inutile dire che un tale piano non poteva essere realizzato, non
solo perché le condizioni economiche in tempo di guerra non avrebbero mai potuto
permettere costruzioni in acciaio (materiale raro e costoso), ma anche perché questo
primo piano regolatore non è in grado di soddisfare Mussolini nella sua ricerca di uno “stile
fascista”. In un rapporto dell’Ente dell’E 42 viene spiegato più esplicitamente il compito
che l’architettura avrebbe dovuto svolgere nel nuovo quartiere imperiale: “L’Esposizione di
Roma tenderà a creare lo stile definitivo della nostra epoca: quello dell’anno XX dell’era
fascista: lo stile ‘E 42’. Ubbidirà a criteri di grandiosità e monumentalità”.
Di conseguenza Marcello Piacentini, al vertice della sua potenza politica grazie alle sue
relazioni con il governo e con il sindacato degli architetti fascisti, viene incaricato della
revisione del piano presentato, divenendo così guida del gruppo, mentre prima tutti i
membri godevano di pari diritti. Il nuovo piano del 1938 si presenta in veste decisamente
diversa: lo schema si irrobustisce e dà spazio a una simmetria rigida basata sempre
sull’asse simmetrica di via dell’Impero, il cui compito però è cambiato. Se il primo progetto
prevedeva una gigantesca autostrada sopraelevata, un asse di scorrimento, ora questa si
trasforma in un asse di prestigio lungo il quale si sviluppa, successivamente, un sistema di
piazze gigantesche, pronte ad accogliere le parate militari fasciste. Il piano di Piacentini,
monumentale e accademico allo stesso tempo, assicura a ogni asse una prospettiva e a
ogni piazza un suo fondale. Queste caratteristiche dello schema revisionato conferiscono
al quartiere dell’esposizione la monumentalità necessaria e adatta alla rappresentazione
di un nuovo centro fascista di Roma.
Lessico più che architettura: l’omologazione
Per alcuni degli edifici espositivi vengono banditi dei concorsi nazionali, ai quali
partecipano i migliori architetti delle nuove generazioni. Il risultato è sorprendente, in
quanto tutti i progetti si somigliano in modo preoccupante: largo uso di archi e colonnati,
simmetrie e volumi chiusi degli edifici, rigorosamente rivestiti di marmo, travertino o
granito. Le torri di vetro del primo progetto spariscono e lasciano il posto a edifici pesanti
che ripetono gli stereotipi della classicità in chiave fascista. Piacentini, che assume la
totale responsabilità della progettazione architettonica e dunque è presente nelle giurie dei
concorsi, chiede agli architetti di costruire edifici “nelle masse e nelle linee ardite e
grandiose dell’architettura romana, in un sentimento classico e monumentale”. I progettisti
si piegano alle volontà di Piacentini e le diverse posizioni dell’architettura italiana
appaiono, così, ormai annullate.
Gli architetti italiani di ogni tendenza, impegnati nella ricerca dell’autentico stile fascista, si
lasciano alle spalle l’individualismo a favore di un’architettura in grande scala,
un’architettura di regime che si basa sul semplice ragionamento che colonne, archi,
simmetria e monumentalità, il tutto rigorosamente rivestito in materiali puramente “italiani”,
erano i soli elementi capaci di creare uno vero “stile E 42”, lo stile imperiale voluto da
Mussolini. L’architetto Ludovico Quaroni, anch’egli impegnato con archi e colonne nella
costruzione del centro imperiale di Roma, ricorda a proposito del nuovo conformismo
architettonico: “Il punto determinante è che s’era capito, da come andavano le faccende,
che qui o si faceva una cosa che piaceva a Mussolini, oppure non si vinceva. E siccome in
quel momento avevamo voglia di vincere, abbiamo scelto questa strada”.
Lo stile omologato degli architetti suscitava le polemiche di Giuseppe Pagano, membro del
gruppo per il primo progetto del quartiere espositivo, il quale critica duramente il
classicismo piacentiniano, consistente in “grandi spazi” e “grandi colonnati” che peccano
però in “chiarezza e onestà logica” della costruzione.
Nel gennaio 1938, due mesi prima dello scioglimento del gruppo di progettisti del piano dell’E 42
(Piacentini, Pagano, Piccinato, Rossi, Vietti), Giuseppe Pagano riceve da Cipriano Efisio Oppo la
proposta di consulenza per l’organizzazione della “mostra delle industrie” – il “Piano regolatore della Città
italiana dell’economia corporativa”, che presenterà nell’aprile 1939. Il progetto – sinora sconosciuto – è
documentato da una relazione manoscritta, tavole planimetriche che illustrano lo schema insediativo
generale, il numero e la destinazione dei padiglioni e da sei prospettive acquerellate autografe che
prefigurano gli spazi e gli edifici principali di una “realizzazione piena di vita”, “satura di quella moderna
ricerca di espressione plastica che permetta di creare un paesaggio di città veramente nuova e
perfettamente intonata alla novità del suo aggiornatissimo contenuto”. Una seconda relazione
dattiloscritta approfondisce il programma, indicando gli architetti e gli allestitori che Pagano intendeva
coinvolgere nell’impresa – poco meno di un centinaio, molti dei quali autori di progetti usciti sconfitti dai
concorsi banditi per le opere dell’E 42.
A partire dal 1938, avviata la costruzione degli edifici stabili e convocati gli artisti per la loro decorazione,
altre visioni concorrono ad arricchire l’utopia dell’EUR, sfaccettandone l’immagine. Tra queste, oltre alle
mostre previste, i progetti per le masse verdi dei giardini; o il ludico Parco dei divertimenti; o, ancora, i
modernissimi studi per l’illuminazione artificiale, che avrebbero conferito alla nuovissima città un “aspetto
notturno e fantasioso” vieppiù scenografico.
Pagano decide di porre fine alla collaborazione -non così numerosi architetti interessati ai
lavori che accetteranno il compromesso, e unico firmatario, insieme con l’Ufficio tecnico
dell’Ente organizzatore, resta Marcello Piacentini.
Nell’organizzazione della pianta e negli schizzi è evidente lo sforzo di imprimere plasticità
allo spazio urbano attraverso l’articolazione architettonica nonché l’equilibrio tra spazi
costruiti e spazi aperti. L’asse centrale è il cardine compositivo di un concatenarsi di scenari
che si susseguono con forte dinamismo. Senza i vincoli della simmetria, con la loro
continuità essi trovano negli stessi valori spaziali e architettonici la propria monumentalità.
E42, pianta definitiva di progetto
Al di là di ogni possibile lettura l’EUR di Piacentini si confermerà come il vero campionario
dello stile fascista e il massimo esperimento in campo urbano di perseguimento del
consenso politico; le premesse razionaliste si dissolveranno nella rappresentazione del
potere e della sua eloquenza formale-monumentale. Bloccato entro schemi rigidi e ripetitivi,
il nuovo piano esecutivo segue tracciati regolari e simmetrici. L’asse centrale, allargato a
dismisura, smarrisce la propria identità architettonica. Gli spazi verdi sono relegati nelle
zone periferiche. Il lago perde il suo ruolo di elemento naturale, sostituito da una serie di
grandi vasche rettangolari con funzione puramente scenografica. Con la cancellazione delle
relazioni tra gli spazi la città razionalista scompare per lasciare posto a una città
monumentale, scenografica, autoritaria, che riprende –in peggio– il modello della città
ottocentesca.
E42, vista a volo d'uccello del progetto definitivo, il sistema di piazze
EUR, vista aerea del nucelo monumentale oggi
L’impianto urbano riprende lo schema urbanistico tipico delle città romane: un ampio viale
centrale in direzione Nord Sud (cardo) –viale dell’Impero attuale via Cristoforo Colombo-
tagliato trasversalmente da strade secondarie (decumani) che dividono l’area in isolati.
Le origini classiche si ispirano anche agli archetipi delle Agorà e dei Fori con le architetture
dei propilei e delle esedre che dovevano inquadrare le viste e condurre agli edifici di
maggiore rappresentatività (come nella sequenza delle piazze e in particolare nella grande
piazza centrale con gli edifici dei musei oggi piazza Guglielmo Marconi).
L’ossatura generale del Piano si attestò sulla via Imperiale come cardo massimo, un nuovo
asse che avrebbe congiunto Roma al mare, dal significato rappresentativo che svolse il
compito di connessione tra la città storica e quella moderna, offrendo una visione simile a
quella dei Fori e dei mercati Traianei;
E42, i riferimenti spaziali. i mercati traianei
sull’asse che congiunge il Palazzo dei Congressi e il Palazzo della Civiltà e del Lavoro come
decumano massimo; all’incrocio tra queste due vie si innesta la Piazza Imperiale, ripartita
lungo i due assi (con a sinistra la Città della Scienza ed a destra la Città dell’Arte).
Il sistema del cardo e del decumano riconduce all’acropoli di Selinunte e all’agorà di Mileto,
Acropoli Selinunte
Agorà Mileto
E42, i riferimenti spaziali. ricostruzione del foro di Pompei
la forma pentagonale dell’impianto riprende la pianta di Versailles di Blondel,
Versailles
così come le aree verdi echeggiano Villa Aldobrandini a Frascati. Tuttora il Viale della Civiltà
e del Lavoro, che collega il Palazzo dei Congressi al Palazzo della Civiltà Italiana, ricorda il
quadro rinascimentale della Città Ideale in chiave razionalista.
E42, i riferimenti spaziali. la città ideale -tavola di Urbino, anonimo
Una città perfetta, ordinata e razionale, disegnata con riga e compasso, ispirata al mito
rinascimentale della città ideale ed evocativa di atmosfere metafisiche.
E42, i riferimenti spaziali. piazza d'Italia, Giorgio De Chirico, 1913
La struttura definitiva dell’Esposizione, redatta nel ’39, contemplò significative modifiche
nella sistemazione del primo piazzale d’ingresso con l’introduzione delle esedre dei due
edifici dell’INA e dell’INPS, nella zona del grande bacino artificiale del Lago e in quella
retrostante la sistemazione del giardino delle cascate.
I lavori (drasticamente rallentati dalla situazione bellica) si interruppero solo tre anni dopo,
proprio nell'anno 1942 nel quale, il complesso avrebbe dovuto essere inaugurato.
L'esposizione non ebbe mai luogo e il progetto originario non fu mai portato a termine.
L'area dell'E 42 alla fine della guerra
La costruzione del quartiere fu ultimata solo alla fine degli anni cinquanta, in preparazione
ai Giochi della XVII Olimpiade, che si sarebbero tenuti a Roma nel 1960: vi fu il
completamento di alcune infrastrutture, come il Palazzo dello Sport progettato da Pier Luigi
Nervi e Marcello Piacentini, il Velodromo Olimpico (demolito nel 2008), il Palazzo di vetro
dell'ENI, nonché con il conferimento dell'attuale impronta al Laghetto dell'EUR e alla zona
verde limitrofa.
Le Opere
Per realizzare le opere più importanti, che saranno sede delle esposizioni, vengono indetti
vari concorsi nazionali.
l'area dell'EUR nel 1960
Palazzo della Civiltà Italiana
Guerrini, La Padula, Mario Romano
Il Palazzo della Civiltà Italiana all’EUR è sicuramente “il monumento più discusso, meno
amato, ma anche più familiare e famoso della Roma moderna” (Sergio Poretti). Da un lato
la sua difficile identità funzionale lo ha reso sempre un oggetto misterioso e spesso
inutilizzato, al contrario la sua figura così perfetta ed inequivocabile ha trasformato il Palazzo
nel monumento simbolo di un quartiere e forse, impropriamente, di un preciso periodo
storico.
Nel Luglio del 1937 viene bandito un concorso nazionale per la seconda delle quattro
principali costruzioni permanenti dell’Esposizione universale di Roma in occasione del
ventennale fascista (il programma comprende, oltre al palazzo, quello dei Ricevimenti e dei
Congressi, la Piazza Imperiale e la Piazza ed Edifici delle Forze armate). Il palazzo deve
inizialmente ospitare la mostra della civiltà italiana, ed in seguito trasformarsi in museo
permanente della civiltà italiana.
Al termine del concorso vengono consegnati cinquantatre progetti. Tra i membri della
commissione, oltre a Marcello Piacentini, deus ex machina dell’architettura del ventennio,
figurano Giuseppe Pagano, Giovanni Michelucci e Piero Portaluppi.
I lavori della giuria si concludono il 16 Dicembre dello stesso anno. I cinque finalisti sono
Ugo Luccichenti, Mario Ridolfi, Umberto Nordio e due raggruppamenti, il primo formato da
Gian Luigi Banfi, Lodovico Barbiano di Belgioioso, Enrico Peressutti, Ernesto Nathan
Rogers e Gaetano Ciocca, il secondo da Giovanni Guerrini, Ernesto La Padula e Mario
Romano. La commissione, all’unanimità, assegna il primo premio al progetto del gruppo
Guerrini, La Padula, Romano.
G.L. Banfi, L. Barbiano di Belgioioso,G. Ciocca, E. Peressutti, E. Nathan Rogers
Ugo Luccichenti
Umberto Nordio
L.Baldessari E. Saliva
A.Bianchetti, C. Pea
I.Gardella, Giancarlo Palanti, G.Romano
D. Ortensi, C. Pascoletti, G.Santi
G. Samonà, G. Viola
I risultati del concorso mostrano il deciso trapasso del razionalismo europeo a favore di una
ricerca compositiva più figurativa e più direttamente legata all’antichità classica. Il progetto
vincitore, infatti, come molti altri progetti presentati, allude chiaramente ai grandi tempi del
passato, costruito su un alto basamento, in cui “l’elemento dell’arco romano […] è stato
adottato nei suoi classici rapporti e composto in un ritmo che si manifesta come massa
unitaria e modernissima” (dalla relazione di progetto). Come documentato nella fitta
corrispondenza epistolare, non poche sono le modifiche apportate da Piacentini al progetto
di concorso: non più otto piani con file di tredici archi, ma sei piani con 9 arcate per piano, il
coronamento è sormontato da un’ampia fascia piena, tuttavia la proposta piacentiniana di
inserire un grande portale centrale in corrispondenza dell’ingresso non viene recepita dai
progettisti, come quella di decorare le volte dei porticati.
Lo stile del regime impone all’edificio il suo rivestimento: dal 1938 vengono infatti banditi il
cemento ed il ferro per gli edifici, a favore dei tradizionali materiali lapidei italiani. Tuttavia
questo nuovo colosseo quadrato è un ibrido costruttivo “autarchicamente imperfetto […] in
esso convivono in modo apparentemente contraddittorio la muratura con lo scheletro di
cemento armato, il rivestimento lapideo con i grandi serramenti in acciaio, i solai
laterocementizi con i lucernarui di vetrocemento” (Rosalia Vittorini).
Progetto Vincente:
Giovanni Guerrini, Ernesto B. La Padula e Mario Romano
«un enorme cubo di circa sessanta metri di lato, le cui pareti verticali sono divise in otto
piani con tredici archi per ciascuno».
Palazzo della Civiltà Italiana, 1938-1953, disegno diprogetto
il Palazzo della Civiltà Italiana visto dal Palazzo dei Congressi
Architettura di pura forma, senza alcuna decorazione che ne denunci l’appartenenza
stilistica, il palazzo, decorato con 28 statue che rappresentano arti e mestieri della tradizione
italiana,è una vera e propria scultura all’aperto.
La forma semplice e perentoria del cubo rivestito di travertino, sommata all’enfatica
ripetizione degli archi a tutto sesto che si aprono sulle quattro facciate, rispondono
all’esasperata ricerca di un’immagine fortemente simbolica ed evocativa: una specie di
riproposizione in versione moderna del Colosseo.
Palazzo della Civiltà Italiana, 1938-1953, la dedica in facciata
Palazzo della Civiltà Italiana, 1938-1953, suggestioni metafisiche
Palazzo della Civiltà Italiana, 1938-1953, suggestioni metafisiche
La distribuzione interna prevede un singolare e innovativo percorso a ritroso, cioè dall’alto
verso il basso. I visitatori, infatti, salgono all’ultimo piano per mezzo di ascensori, da dove
poi intraprende il percorso espositivo scendendo a piedi ai vari piani inferiori, fino a ritornare
a terra.
Usato come museo solo in occasione dell’Esposizione internazionale dell’Agricoltura del
1953, l’edificio viene dato in uso dall’Ente Eur per circa tre decenni alla Federazione
nazionale dei Cavalieri del lavoro che vi colloca i suoi uffici. A fine anni ottanta si avvia una
riflessione sul suo stato di conservazione e sulla sua riconversione e, grazie a un accordo
tra l’Ente Eur e il Ministero per i Beni e le attività culturali, prende consistenza l’ipotesi di
destinarlo al MAV-Museo nazionale dell’audiovisivo, espletando nel 2002 anche
un concorso internazionale di idee vinto dallo studio francese Ibos & Vitart. Al centro di
approfonditi studi e sottoposto a tutela, tra il 2003 e il 2010 l’edificio è prima oggetto di
un «restauro monumentale» relativo alle superfici lapidee e poi di un intervento di
ristrutturazione e adeguamento normativo degli interni. Nel 2011 si delinea un’ulteriore
possibilità di valorizzazione, promossa dal Ministero per lo Sviluppo economico, che
affianca al MAV l’Esposizione permanente del Made in Italy e del design italiano.
Nel luglio 2013, in antitesi ai precedenti programmi di valorizzazione pubblica, un accordo
tra Eur spa e il polo francese Louis Vuitton Moët Hennessy prevede la locazione per 15
anni del palazzo e la sua trasformazione in casa del marchio Fendi. A tal fine sono stati
effettuati ulteriori lavori di ristrutturazione curati dall’architetto Marco Costanzi ed è
stata studiata dall’artista della luce Mario Nanni una nuova illuminazione. L’accordo
prevede di destinare l’intero piano terra del palazzo a spazio espositivo liberamente
fruibile per eventi legati al design, all’arte, alla creatività e artigianalità italiane. Purtroppo,
è preclusa al pubblico la terrazza che consente una delle più belle viste panoramiche sulla
città, mentre, almeno allo stato attuale, la fruibilità del basamento è limitata alla porzione
antistante il prospetto principale.
L’iniziativa targata Fendi rappresenta un’ulteriore occasione per riflettere sulla sinergia tra
pubblico e privato nella gestione e valorizzazione del patrimonio culturale e architettonico
collettivo.
E.D. Stone, Perpetual Savings and Loan Association
Office Building and Bank, Los Angeles, California, 1961
Arco degli Eroi, Mosca (non realizzato)
Giulio Iacchetti, Magis-2013
Suggestioni Romane
Palazzo dei Congressi
Adalberto Libera ( 1938-1954)
il Palazzo dei Congressi visto dal palazzo della civiltà italiana
In collegamento visivo con il palazzo della Civiltà italiana il Palazzodei Ricevimenti e delle
Feste (oggi palazzo dei congressi), realizzato dall’architetto razionalista Adalberto
Libera è una delle opere più significative dell’architettura italiana del Novecento.
Concepito sostanzialmente come un contenitore di spazio, è costituito da un blocco a pianta
rettangolare nel quale trovano posto, su lati contrapposti, gli spazi destinati alle due diverse
funzioni. Prospiciente la piazza monumentale, ora Piazza Kennedy, si trova la sala dei
ricevimenti, il cui padiglione si innalza con un volume cubico e coperto da una crociera di
archi ribassati che disegnano un’apertura a falce su ogni faccia. Sul lato opposto è collocata
la sala dei congressi, la cui copertura ospita invece un teatro all’aperto.
Il progetto è basato su una chiara modularità ed è costituito sostanzialmente da tre corpi:
– Il basamento, un parallelepipedo di 75×135 m in pianta e 15m in altezza, che
comprende il fronte colonnato principale, aperto verso l’attuale piazza Kennedy, il
fronte secondario (su Piazzale Arte) che è costituito da un’ampia vetrata arretrata
(alta 10 e larga 65 m) sorretta su pilastrini metallici fusiformi, e i volumi di servizio.
– Il salone della Cultura o Sala dei Ricevimenti, un cubo di 45 m per lato che emerge
per 27 m dal basamento. I corpi scala e i ballatoi sono adiacenti alle pareti interne e
questo definisce all’interno del cubo un volume libero. Questo spazio, che di fatto
costituisce l’elemento principale dell’intera composizione, presenta una copertura a
volta a crociera ribassata le cui nervature sono costituite da 2 travi metalliche
Vierendeel ad arco, incrociate a 90° e disposte lungo le diagonali del quadrato di
base del corpo di fabbrica.
– La Sala dei congressi, ristrutturata dall’Arch. Paolo Portoghesi e oggi denominata
Auditorium Capitalis, è posta sul retro dell’edificio, verso Piazzale Arte. Lo spazio
interno è scandito dalla successione di 13 telai in cemento armato ( con una luce di
28m) che sorreggono una soletta di cemento armato. Al secondo piano in
corrispondenza dell’auditorium, trovano spazio le gradinate del teatro all’aperto.
Palazzo dei Congressi, 1938-1954, il pronao di ingresso
Palazzo dei Congressi, 1938-1954, la facciata sul teatro all'aperto
Palazzo dei Congressi, 1938-1954, l'ingresso
Palazzo dei Congressi,1938-1954,interno
Il vincitore del concorso per il Palazzo dei Ricevimenti e Congressi sarà invece Adalberto
Libera il cui progetto si caratterizza per il fatto che avrebbe potuto “contenere esattamente
il Pantheon di Roma”, in un ideale rapporto con l’architettura romana.
Alla fine però si realizzerà un’altra versione dell’edificio, in cui l’architetto rinuncia alla
soluzione della pianta circolare a favore di un parallelepipedo.
Palazzo dei Congressi, 1938-1954, alzato di progetto
Nel nuovo Palazzo dei Ricevimenti e Congressi di Libera lo spirito moderno riesce
comunque a entrare, sebbene per così dire dalla porta posteriore, grazie all’uso di grandi
vetrate. Si tratta di due curtain wall che esprimono tutto il fascino del linguaggio del
movimento moderno internazionale, anche se per ovvie ragioni l’architetto credette
opportuno smussare in qualche modo la loro originalità. Così la vetrata anteriore, che
doveva affacciarsi sulla piazza antistante, verrà nascosta dietro a uno smisurato colonnato
improntato al più classico stile fascista.
Nonostante i vincoli imposti dal regime fascista, che nell'EUR vedeva la prima, vera grande
occasione di creare ex novo una propria cifra architettonica che richiamasse esplicitamente
i fasti imperiali di Roma[9], il progetto di Libera, pur se parzialmente sottostante alle direttive
governative, è anche quello che da esse figurò più intellettualmente indipendente[10]: Libera
infatti, evitando il monumentalismo accentuato del Palazzo della Civiltà Italiana[9] o della
citata esedra, riuscì a concepire un volume capace di sottrarsi alla datazione del proprio
tempo[10]; l'unica struttura che tradisce l'epoca di origine del manufatto è il colonnato frontale
che l'architetto, nel cambiato clima culturale del dopoguerra, affermò di non aver potuto
evitare di costruire nonostante i suoi tentativi[11]. Anche lì, tuttavia, Libera riuscì a elaborare
una soluzione che, se pur parzialmente compromissoria, tolse preminenza alla funzione
della colonna e la pose quasi in secondo piano, riducendo tale elemento a una specie di
pilastro rivestito in travertino con compiti più di sostegno che ornamentali[9]. In un suo studio
del 2002 Garofalo[12] rileva che la monumentalità del prospetto sarebbe stata accentuata
dall'eventuale posa in opera, mai realizzata, della scultura di una quadriga di Francesco
Messina sulla mensola in aggetto realizzata al centro della facciata[12]; per Quilici la
realizzazione, tuttavia, comprova l'inattualità del «tentativo di Libera di porre le basi di una
nuova, moderna, architettura di Stato»[13].
Arena cinematografica sulla terrazza (1959)
La realizzazione in cemento armato del palazzo è mascherata dal rivestimento
murale interamente in travertino, il che conferisce all'opera quel carattere di monumentalità
richiesto dalle direttive fasciste in fase di ideazione del quartiere. Dal punto di
vista urbanistico il Palazzo dei Congressi costituisce l'estremo sud-orientale di uno dei tre
assi trasversali che tagliavano la Via Imperiale (oggi via Cristoforo Colombo) e che
avrebbero dovuto marcare le varie sezioni tematiche dell'Esposizione[9]; più precisamente,
venendo da Roma, il Palazzo sorge sul primo di tali tre assi, quello che all'estremo opposto
si conclude con il Palazzo della Civiltà Italiana (gli altri due sono l'attuale viale della Civiltà
Romana, all'altezza di piazza Guglielmo Marconi, e viale Europa, dalla basilica di ss. Pietro
e Paolo all'Archivio Centrale dello Stato[9].
La costruzione del Palazzo dei Congressi, almeno nei suoi elementi fondamentali, nel 1943
era ultimata; tuttavia lo spostamento del fronte di guerra, che aveva lasciato Roma fuori
dagli eventi bellici fino all'Armistizio, fermò di fatto qualsiasi lavoro; in seguito gli edifici
dell'EUR all'epoca già completati servirono dapprima come accampamento per le
truppe tedesche, poi alleate e infine, nell'immediato dopoguerra, come rifugio di sfollati[15].
Dopo la guerra si dovette attendere la costituzione dell'Ente EUR che prendesse in carico
le infrastrutture esistenti e riqualificasse la zona, destinata a diventare il punto
d'aggregazione direzionale della Capitale. I lavori sul Palazzo dei Congressi ripresero nel
1952; all'epoca, sulla parete di sfondo dell'atrio, era già presente un affresco allegorico
di Roma trionfante, opera di Achille Funi[16]; durante i lavori successivi Gino
Severini realizzò un dipinto su masonite raffigurante momenti di vita agreste, in tema con la
mostra dell'Agricoltura che si tenne nel 1953 nei palazzi dell'EUR
I Progetti Alternativi
Il 20 giugno 1937 viene pubblicato il bando di concorso per il Palazzo dei Ricevimenti e
dei Congressi al quale partecipano 41 concorrenti. Tra i progetti presentati al concorso
figurava — oltre a quello vincitore di Adalberto Libera — quello dei comaschi Giuseppe
Terragni, Cesare Cattaneo e Pietro Lingeri, che si classificò al secondo posto; l'esclusione
di questi ultimi spinse Giuseppe Pagano a parlare nel 1941 di «occasione perduta» e a
criticare l'operato della commissione («…era così concorde il giudizio della maggioranza
sui progetti più vistosamente affidati al compromesso, che ogni lotta per salvare i migliori
poteva rasentare l'assurdo di una fissazione paranoica».
C.Cattaneo, P. Lingeri, G.Terragni
Cattaneo, Lingeri e Terragni consegneranno 15 tavole il 15 ottobre dello stesso anno. La
pianta del palazzo è un grande rettangolo aureo; nel gioco delle proporzioni sono coinvolte
anche il piazzale antistante e le rampe. "La sostanza profonda del classico, quella che
individua la nostra tradizione plastica e la sua continuità spirituale, e perciò deve
legittimamente entrare anche nelle moderne architetture, è, al di fuori di ogni formalismo,
nel sapere costantemente organizzare gli spazi e gli elementi espressivi in una disciplina
geometrica elementare, che seguendo le leggi matematiche sopravvive alla rovina della
materia". (estratto dalla Relazione al concorso di 1° grado).
Cattaneo, Lingeri e Terragni nei due progetti (1° e 2° grado) rispondono alle istanze di
monumentalità espresse dal regime con un volume di una semplicità, purezza, compattezza
ed omogeneità elementari, puntando su una forma elementare di straordinaria efficacia.
L'elementarismo come una delle chiavi della compatibilità tra classicismo mediterraneo e
modernità.
"... l'articolazione del volume di fonda su una formula tettonica ben definita: la pilastrata ....
all'italiana ... Si tratta di una griglia regolare di pilastri e travi che, da un lato, assume il
carattere strutturale del telaio in cemento armato o in acciaio, e in ciò consiste il suo tasso
di modernità; dall'altro però .... è prospettata come nuova edizione del sistema trabeato,
elemento caratterizzante del classicismo mediterraneo.... La pilastrata ... al gruppo comasco
appare suscettibile di essere strategicamente sviluppata e originalmente rielaborata per
rispondere anche alle esigenze dell'autarchia". (S.Poretti - T.Iori, "I progetti romani e
l'autarchia", in: Pietro Lingeri 1864-1968, 2005).
Il concorso di II grado viene espletato tra il novembre 1937 e il febbraio 1938. Proprio
l'argomento della pilastrata è oggetto delle principali modifiche nel progetto di II grado: due
modifiche efficaci per aumentare vistosamente il "grado autarchico" dell'edificio. Si rinuncia
alle grandi luci di circa 10 metri della maglia strutturale per adottare il ritmo alternato "abab"
(con il valore di a pari alla metà di b) per evitare che le luci superino i 6 metri. "Ma la vera
trovata ... su cui il gruppo insiste ... viene dallo sviluppo della soluzione del pilastro binato.
La scomposizione di ciascuno dei pilastri in due elementi .... viene adesso portata avanti
arrivando ad ipotizzare due pilastri di materiali diversi, staccati: un monolite di granito .... e,
distanziato di appena 10 centimetri, un pilastrino di cemento poco armato... Si tratta ... di
una strategica combinazione tra sistema architravato e sistema intelaiato". (S.Poretti - T.Iori,
opera citata).
Per il gruppo comasco le esigenze autarchiche devono dunque essere occasione di
sperimentazione e non di ritorno alla tradizione: il cemento debolmente armato e non la
costruzione muraria tradizionale. Ma ciò che manca alla proposta di Cattaneo, Lingeri e
Terragni è l'intento di celebrare in modo grandioso il legame tra fascismo e romanità: il
nuovo stile littorio imposto dal regime si scontra inevitabilmente con l'ennesima proposta
per una moderna architettura di Stato, determinando l'insuccesso del gruppo comasco e,
per usare le parole di Pagano, un ennesimo esempio di Occasioni perdute.
Progetto Cattaneo Lingeri Terragni
D. Bernardini, G. Peressutti
1° grado
2° grado
F. Fariello, S.Muratori, L.Quaroni
L.Franzi, P. Lombardi
1° Grado
2° grado
A. Adriani, L. Bellante, A. Luccichenti, V. Monaco
Mario Paniconi
Massimo Castellazzi, Pietro Morresi, Annibale Vitellozzi
Emanuele Mongiovì
Giulio Zappa
Il Palazzo dei Congressi sede olimpica
Nel 1955 il Comitato Olimpico Internazionale, nella sua cinquantesima sessione di Parigi,
assegnò a Roma l'organizzazione dei giochi della XVII Olimpiade del 1960[18]; ciò diede lo
spunto per completare opere già esistenti e avviare la costruzione di nuove. Furono
individuate due zone principali per le gare; una, la zona settentrionale presso il Foro Italico,
dove sorgono lo Stadio Olimpico, il Flaminio, quello dei Marmi e quello del Nuoto; l'altra,
quella meridionale con attrezzature tutte ancora da realizzare, localizzata proprio all'EUR;
di fianco alle strutture nuove progettate appositamente per l'appuntamento olimpico
(Palazzo dello Sport, Velodromo, Piscina delle Rose), si decise di utilizzare anche il Palazzo
dei Congressi, per usi sia cerimoniali che agonistici[19].
In fase di definizione del calendario degli eventi sportivi, in virtù delle caratteristiche
dell'edificio (come detto, ampi volumi e facilità di accesso), si decise di assegnare al Palazzo
dei Congressi lo svolgimento delle gare di scherma[20].
Fu quindi approntata un'area di servizio consistente in 20 spogliatoi per complessivi 380
atleti[21] e installata una tribuna mobile a cura dell'impresa Cucinotta[22]; furono installate 70
postazioni stampa[19] per complessivi 686 accrediti e, inoltre, la Banca Nazionale del Lavoro,
ufficialmente incaricata dei servizi di tesoreria per i Giochi, ivi installò un proprio sportello
temporaneo facente funzioni di cassa, ufficio di cambio e altri servizi finanziari[23].
Il 19 agosto 1960, inoltre, il Palazzo ospitò la cerimonia inaugurale della 57ª sessione
del Comitato Olimpico Internazionale[24].
Roma Convention Center
Studio Fuksas
Il Roma Convention Center - La Nuvola ha assunto la denominazione giornalistica di
"Nuvola di Fuksas", con riferimento al peculiare disegno dell'auditorium interno alla "teca"
in vetro e acciaio)
Progettato dallo Studio Fuksas e realizzato dalla società Condotte SpA a partire dal 2008,
consiste in un centro congressi in grado di ospitare eventi di varie tipologie, da convegni
ed esposizioni fino a mostre e spettacoli. Si sviluppa su un'ampiezza complessiva di circa
55 000 m², tra viale Cristoforo Colombo, viale Europa, viale Shakespeare e viale Asia.
I volumi principali del complesso sono costituiti dall'auditorium da 1.850 posti (1.900 m²),
dalle sale conferenze (1.330 m² totali), dal foyer dell'auditorium (3.500 m²), dal forum/foyer
di 5.580 m², da un'area commerciale di 3.300 m².
Nel 2012 ha ricevuto a Londra il premio Best Building Site del Royal Institute of British
Architects.
Nel giugno 1998 il comune di Roma (amministrato da Francesco Rutelli) e l'allora Ente
Eur (divenuto S.p.A. nel 2000) indissero un concorso internazionale di architettura per la
progettazione del nuovo Centro Congressi Italia.
La giuria internazionale, presieduta da Norman Foster, il 16 febbraio 2000 proclamò
vincitore il progetto presentato da Massimiliano Fuksas.
Il bando di gara per la progettazione, costruzione e gestione del centro congressi fu
indetto nel 2001. La gara fu vinta nel 2002 dalla Centro Congressi Italia Spa (CCI Spa)
che l'anno successivo firmò una concessione trentennale[1]. Il contratto tra la società
concessionaria e l'EUR Spa fu risolto nel 2005, dopo che la concessionaria aveva previsto
un aumento dei costi da 200 a 250 milioni di euro.
Il progetto esecutivo, redatto da Fuksas, fu approvato nel marzo 2007; allo stesso tempo
fu pubblicato il bando di gara per la sua costruzione.
Foyer del Centro Congressi
La posa della prima pietra avvenne l'11 dicembre 2007 alla presenza del
progettista Massimiliano Fuksas e di varie autorità, tra cui l'allora sindaco di Roma Walter
Veltroni[2]. I lavori iniziarono nel mese di febbraio 2008[1].
Il costo previsto all'inizio, di 275 milioni di euro (con l'appalto aggiudicato per 272
milioni[3]), il consuntivo finale risulterà poi essere di 238,9 milioni di euro[4].
Viene inaugurato il 29 ottobre 2016 alla presenza del presidente del consiglio Matteo
Renzi, del sindaco di Roma Virginia Raggi e dell'architetto Massimiliano Fuksas in una
diretta su Rai 1[8].
Il progetto del nuovo Centro Congressi si sviluppa in tre organismi distinti:
 La parte interrata, che comprende le sale auditorium/polivalenti minori, le sale meeting,
il concorse (spazio che mette in comunicazione le due entrate), i servizi annessi e un
parcheggio;
 La "teca", che ospita la cosiddetta "Nuvola", l'auditorium da 1850 posti;
 La "lama", un hotel di 441 stanze.
La teca
La teca è l'edificio poligonale in vetro, acciaio e pietra che contiene la "nuvola",
l'auditorium che caratterizza l'intero Centro Congressi. L'involucro è costituito da una
doppia parete-facciata e ha compiti isolanti e di protezione dai raggi solari e contiene zone
e percorsi d'emergenza, aerati da perforazioni della parete esterna.
La nuvola
La "nuvola" è la struttura caratteristica del progetto e contiene l'auditorium da 1.850 posti e
i relativi servizi (foyer, bar, guardaroba, bagni, camerini, sale traduzioni e deposito). È
collegata alla "teca" per mezzo di passerelle sospese e tramite lo "scafo", la struttura
portante principale. L'auditorium può costituire un sistema indipendente rispetto alle altre
attività congressuali. Il sistema di prevenzione incendi del Nuovo Centro Congressi di
Roma rappresenta un esempio importante di come possono essere affrontate
problematiche di edifici complessi con l’approccio ingegneristico alla sicurezza
antincendio[9].
La Lama
L'albergo con alti standard qualitativi è costituito da 449 stanze, divise in camere standard
e in suite negli ultimi due piani. L'edificio si sviluppa per un'altezza complessiva di 56
metri, composto da 17 piani esterni. L'ingresso principale è situato su viale Europa[9].
L'hotel è stato venduto il 15 dicembre 2017 alla società Icarus Spa per una cifra di poco
superiore ai 50 milioni di euro[10].
PALAZZO DELLE POSTE E TELEGRAFI
(BBPR 1939-42)
palazzo delle poste e telegrafi, 1939-1942, la facciata principale in una foto d'epoca
Il progetto dell'Edificio delle Poste dell'EUR 42, previsto nel Piano regolatore del 1937 e
confermato in quello del 1938, fu affidato allo studio milanese BBPR (Ernesto Nathan
Rogers, Gian Luigi Banfi, Enrico Peressutti e Lodovico Barbiano di Belgiojoso). La prima
stesura del progetto prevedeva tre corpi paralleli collegati tra loro, ipotesi variata poi in 2
corpi per intervento dell'Ente sui progettisti. Dopo l'estromissione di Ernesto Rogers, in
quanto ebreo, per effetto delle leggi razziali fasciste, e per l'assenza di Banfi e Belgiojoso
per ragioni belliche, rimase il solo Peressutti a occuparsi della costruzione dell'edificio.
Il 27 luglio 1938 fu ufficialmente ratificata la costruzione dell'edificio con una spesa di £
7.000.000. I lavori iniziano nel giugno del 1939 per terminare il 24 agosto 1942, con
inaugurazione nel settembre dello stesso anno, anche se, per alcuni particolari interni, si
continuerà a lavorare sino al 10 giugno 1943.
Dal 1943 al 1947 l'edificio fu occupato a vario titolo prima dalle truppe tedesche e poi da
quelle americane, che lo usarono come centro postale e telefonico della zona sud di Roma.
La costruzione, nel dopoguerra, e negli anni '50, fu sottoposta a diversi interventi di modifica.
Nel 1953, in occasione della Mostra internazionale dell'Agricoltura, l'Ufficio fu
definitivamente riaperto.
Il progetto del gruppo milanese BBPR (Banfi, Belgiojoso, Peressutti e Rogers),
testimonia le possibilità di quella che sarebbe potuta essere un’altra idea di EUR. Il fronte
principale si presenta come una superficie unitaria rivestita in travertino che si stacca dalle
pareti laterali.
palazzo delle poste e telegrafi, 1939-1942, l'ingresso
palazzo delle poste e telegrafi, 1939-1942, dettaglio
palazzo delle poste e telegrafi, 1939-1942, la facciata posteriore
La parete posteriore è invece caratterizzata dalla cadenza della maglia strutturale su tre
livelli e un basamento. La caratterizzazione della partizione orizzontale permette di
soddisfare l’esigenza di memoria classica che ritroviamo in forme più banali in tutti gli altri
edifici
Dalla fine della guerra (1945) e fino al 1955 l’EUR si avvia al consolidamento e al pieno
funzionamento del centro monumentale per poi iniziare la costruzione legate i particolar
modo ai lavori per le Olimpiadi di Roma.
PALAZZO DELLO SPORT
(NERVI, PIACENTINI 1958-1960)
Palazzo dello Sport. 1958-1960, sezione di progetto
Palazzo dello Sport. 1958-1960, in una foto d'epoca
Realizzato in occasione dell’Olimpiade di Roma, riprende la collocazione dell'Arco
dell’Acque e della Luce previsto per l’esposizione del 1942, ma mai realizzato. Nella sua
realizzazione definitiva il Palazzo dello Sport presenta due ordini di gradinate per un totale
di circa 12 000 posti. Capace di ospitare fino a 16.000 persone l’edificio è costituito da una
cupola sferica del diametro di circa 100 m e spessa solo 9 cm, che copre la sala centrale
ed è percorsa da 144 nervature di irrigidimento; in pianta l’edifico si sviluppa per cerchi
concentrici. La spinta della cupola e trasmessa a terra da pilastri inclinati a mascherare i
quali -e celare l’andamento curvilineo delle gradinate, una facciata continua completamente
vetrata conferisce al Palazzo la sua tipica forma cilindrica.
Palazzo dello Sport. 1958-1960,i pilastri inclinati nei percorsi perimetrali
PALAZZO ENI
(Bacigalupo, Ratti 1958-1961)
Il palazzo dell'ENI, 1958-1961 visto dal laghetto dell'EUR
Il palazzo ENI è uno degli edifici simbolo della nuova espansione dell’EUR negli anni
Sessanta. Nonostante la fredda esibizione tecnologica che rimanda alle architetture
dell’ultima fase creativa di Mies van der Rohe il valore di questo edifici, una semplice ed
elegante scatola di 21 piani, è nella proposizione di una estetica International Style che
rappresenta una ventata di novità, da città “americana”, con un forte effetto urbano; un
segno deciso e dirompente rispetto alla monotonia e al candore dell’EUR metafisico. In
particolare è da sottolineare anche la misura con cui questo oggetto architettonico si
inserisce nel contesto in rapporto alla depressione orografica e alla posizione ai margini del
laghetto.
Il palazzo dell'ENI, 1958-1961 dettaglio della facciata
Le due facciate principali sono in curtain-wall verde-azzurro con finestre non apribili perché
tutto l’edificio è areato artificialmente; la facciata esibisce anche la struttura portante un
lineare scheletro in acciaio formato da dodici telai e da travi trasversali.
Il rilancio del quartiere, portò l'EUR a svilupparsi, dopo le Olimpiadi, ben oltre i confini
dell'originale pentagono, ma ciò non ha impedito all'antico centro di mantenere il fascino di
scenografia perfetta per il cinema. Nell'immaginario di molti registi italiani, infatti,
l'EUR diventò uno spazio urbano dalle straordinarie potenzialità, primo fra tutti Federico
Fellini.
Piazza Imperiale
1937, Francesco Fariello, Saverio Muratori, Ludovico Quaroni
Cuore del sistema E.42, piazza Imperiale si presenta nel piano come un vasto foro
colonnato con quattro edifici baricentrici che ospitano i Musei delle scienze, etnografico,
dell’arte antica, dell’arte moderna ed un cinema teatro.
Nella prima versione del progetto del gruppo romano, che vincerà il concorso ex aequo con
Luigi moretti, i musei ai quattro lati della piazza si trovano ad una quota più elevata rispetto
al piano stradale: il collegamento fra i livelli è assicurato da scalee e l’uniformità delle
facciate dalla continuità dell’ordine gigante. Al centro della piazza era previsto un obelisco
sottile. La via Imperiale, arteria di scorrimento veloce che si snoda dal Circo Massimo al
mare, nella prima ipotesi del Piano dell’E.42 correva interrata al centro del quartiere,
attraversata da cavalcavia. I concorsi si succedono per l’impianto urbanistico della piazza e
per gli edifici dei musei e del cinema teatro, affidato nel progetto definitivo a Luigi Moretti.
Un bozzetto di fontana con le storie di Enea era stato richiesto da Ludovico Quaroni allo
scultore Fausto Melotti.
Primo Ex Aequo Luigi Moretti
La sintesi tra il progetto del gruppo Fariello Muratori Quaroni e quello di Moretti, pur
mantenendo la simmetrica costruzione di quattro musei, apporta agli alzati delle varianti
fondamentali. Per uniformarsi al doppio ordine del teatro il colonnato è sospeso su di un
porticato. L’ordine gigante si mantiene nel diaframma che garantisce trasparenza e
unitarietà della piazza. Persino l’obelisco non è più quello “sottile come un ago”, pensato da
Quaroni. I musei del gruppo Quaroni si differenziano in pianta dagli altri due, etnografico e
della scienza, progettati da architetti diversi. Tema della composizione, la simmetria dei
percorsi organizzati attorno allo spazio circolare centrale. Delle colonne e dei debiti con
l’architettura nordica, da Paul Bonatz a Gunnar Asplund, parlerà lo stesso Quaroni. (a g)
Altri Progetti
Luigi Brusa, Gino Cancellotti, Eugenio Montuori, F. Scalpelli
Massimo Castellazzi, Pietro Morresi, Annibale Vitellozzi
Mario Paniconi, Giulio Pediconi
F. Petrucci, E. Tedeschi
Claudio Longo Gerace
N. Berardi, I. Gamberini
C. Cocchia, G. De Luca
G. Torres, D. Wenter, Marini, F. Spellazon, M. Piovan
Palazzo dell’arte Antica (Spazio 900)
Progettisti: F.Fariello, S.Muratori, L.Quaroni.
Superficie coperta: mq 8.000; mc 163.000.
Inizio e fine lavori: 1939-1942
Il Palazzo è una delle quattro architetture (unitamente al Palazzo dell'Arte Moderna, al
Palazzo della Scienza Universale ed al Palazzo delle Arti e Tradizioni Popolari) previste e
progettate nel piano urbanistico dell'E42 (Esposizione Universale di Roma) per costituire il
nucleo centrale della rassegna espositiva, la Piazza Imperiale, che, nelle intenzioni dei
progettisti, doveva rappresentare una grande agorà, di chiara matrice classica, dalla forte
carica celebrativa.
Come per il complesso di edifici contrapposti, anche il Palazzo dell'Arte Antica avrebbe
dovuto trovare, quale collegamento architettonico con quello dell'Arte Moderna, il Teatro
Imperiale progettato dall'architetto Moretti e purtroppo mai realizzato - se non per la parte in
fondazione - a causa dell'interruzione dei lavori per lo scoppio della guerra.
Il Palazzo presenta un corpo di fabbrica con una grande corte interna al centro della quale,
in corrispondenza del piano terra, era originariamente previsto un grande spazio centrale,
un giardino d'inverno porticato, elemento di grande suggestione, originariamente aperto
nella parte superiore, oggi invece coperto e arricchito dalla presenza di un colonnato
rivestito in pregiato marmo verde chiaro. Come il prospiciente Palazzo dell’Arte Moderna, è
caratterizzato dalla presenza al primo piano di un grande salone monumentale a tutta
altezza, decorato da due coppie di colonne in pregiatissimo marmo di portoro.
Attualmente ospita, tra le altre cose, Spazio Novecento, locale “glamour” d'intrattenimento.
Palazzo dell’arte Moderna (Carabinieri, CED)
Progettisti: F. Fariello, S. Muratori, L.Quaroni.
Superficie coperta: mq 8.000; mc 145.000.
Inizio e fine lavori: 1939-1942.
Come per gli altri edifici anche il Palazzo dell'Arte Moderna avrebbe dovuto trovare, quale
collegamento architettonico con quello dell'Arte Antica, il Teatro Imperiale progettato
dall'architetto Moretti e purtroppo mai realizzato - se non per la parte in fondazione - a causa
dell'interruzione dei lavori per lo scoppio della guerra.
Il Palazzo si riconnette all'intero complesso edilizio con, al piano terra, il doppio ordine
porticato a pilastri quadrangolari rivestiti in travertino e con le colonne in cipollino che
svettano a tutta altezza nel loggiato superiore. Il fabbricato è articolato attorno ad una
grande corte interna su cui si affacciano i tre corpi principali ed altri due cortili di servizio
laterali, originariamente organizzati in funzione degli spazi espositivi. All'interno la sequenza
degli spazi è caratterizzata da tre grandi aree espositive rettangolari poste alla quota di
ingresso verso la piazza, che anticipano un secondo ambiente sempre rettangolare
caratterizzato da un armonioso pavimento e da sei colonne rifinite elegantemente in marmo
breccia violetta. La sequenza procede oltre con un'aula centrale circolare contraddistinta da
un impluvium e da un patio rettangolare, progettato con la funzione di illuminare alcuni
ambienti espositivi interni, ma oggi in realtà completamente oscurato. Il Salone del primo
piano è caratterizzato da una coppia contrapposta di colonne a tutta altezza rifinite in stucco
e da una pavimentazione con trama e disegno in marmi policromi. Analogamente al vicino
Palazzo dell'Arte Antica, un sistema porticato al piano terreno congiunge la parte centrale
dell'edificio ad un'altra ala con destinazione espositiva, che avrebbe dovuto rappresentare
l'elemento di chiusura spaziale verso il previsto Teatro Imperiale.
Attualmente ospita la sede dei Carabinieri Comando Compagnia Eur (Min. Interno), il CED
(Roma Capitale) e diverse attività commerciali.
L’ordine architettonico è semplificato rispetto all’antico, ma studiato con cura dai progettisti:
dalla proporzione classica dell’entasi e della rastremazione della colonna fino al disegno “al
vero” del capitello e della sua deformazione angolare. E’ costituito da un’ossatura portante
rivestita in marmo di Carrara; i ricorsi di altezza variabile sono composti da sei masselli
centinati disposti a giunti sfalsati che creano una singolare sovrapposizione tra l’immagine
della colonna e quella dell’opera muraria. Le colonne dei loggiati sono in rocchi monolitici di
cappellaccio cipollino Aprano (verde d’Alpi) oggetto di controversie in corso d’opera, sia per
i danni avuti durante la movimentazione da parte dell’impresa Serafini, sia per la bassa
qualità del materiale che si è degradato al punto che il grigio del cemento marmoreo risulta
prevalente rispetto alla venatura colorata. (a d f)
Palazzo della Civiltà Romana
Progettisti: P. Aschieri, D. Bernardini, C. Pascoletti, G. Peressutti.
Superficie coperta: mq 12.500; mc 250.000.
Inizio e fine dei lavori: 1939-1952.
Fu costruito per ospitare la Mostra della Romanità. A differenza degli altri edifici dell’E42, il
Palazzo presenta un'enorme massa muraria di rivestimento esterno, in bugnato di peperino
scuro, che avvolge la quasi totalità delle facciate dell’edificio. Come il vicino complesso
dell'Autarchia e del Corporativismo, anche questo Palazzo presenta un piazzale
monumentale arricchito in origine da una vasca rettangolare e da un monumento equestre
posto come fondale al porticato di collegamento tra i due corpi di fabbrica principali. Il
complesso è caratterizzato da due ingressi monumentali contraddistinti da un ordine gigante
di colonne e da un colonnato che collega le due parti di cui si compone l'edificio. Nella
composizione delle facciate, oltreché nella organizzazione delle sale espositive interne, è
evidente l’impostazione particolarmente scenografica che ha voluto conferire all'edificio
l’architetto Aschieri, riprendendo temi ed iconografie fortemente legate alla romanità.
Il Palazzo, progettato inizialmente con spirito altamente celebrativo, subì nel corso della sua
realizzazione sostanziali mutamenti soprattutto per quello che riguarda la composizione e
la distribuzione delle sale interne. Il sistema decorativo del grande piazzale interno avrebbe
previsto, oltre al citato gruppo equestre, anche la presenza di sculture contrapposte in
corrispondenza dei due monumentali ingressi sulla piazza interna. Anche in questo caso,
però, i noti eventi bellici provocarono notevoli ritardi nel completamento del fabbricato che
fu terminato soltanto nel 1952 ed aperto al pubblico nel 1955 come Museo della Civiltà
Romana, esponendo un'immensa raccolta di gessi e calchi delle grandi opere d'arte del
mondo greco-romano. Nell'estate del 2004 l'edificio ha accolto il Planetario di Roma,
precedentemente ospitato presso le Terme di Diocleziano, con il Museo Astronomico di
Roma. Tutte le strutture sono state temporaneamente chiuse nel marzo 2014 per lavori di
adeguamento (Leggi gli articoli sulla chiusura delle due strutture del 28 marzo 2014).
L’edificio, commissionato dalla FIAT del senatore Giovanni Agnelli, persegue il costante
richiamo alla Roma imperiale attraverso l’urbanistica (impianto viario a maglia ortogonale)
e l’architettura (forma e materiali degli edifici che costituiscono tutta l’area). Il complesso
architettonico del Museo della Civiltà Romana infatti si posiziona sull’asse ortogonale al
“decumano maggiore” (attuale Via Cristoforo Colombo), il quale incrocia la piazza Imperiale
(piazza Guglielmo Marconi). In questo modo l’opera si inserisce all’interno del tessuto
urbano generando a sua volta gli assi direzionali necessari allo sviluppo del suo impianto. Il
museo si compone di due corpi di fabbrica paralleli tra loro, i quali costituiscono un unico
piano espositivo con un’altezza che raggiunge i 10 metri, così da permettere la ricostruzione
al vero di parte del materiale della Mostra della Romanità: l’edificio viene infatti concepito
come la sede permanente del materiale già inventariato durante la Mostra Augustea della
Romanità, tenuta al Palazzo delle Esposizioni (1937-38).
L’assegnazione dell’opera ripete i criteri di assegnazione comuni ad altri edifici dell’E42 che
vengono ripartiti sapientemente tra i diversi progettisti che partecipano ai concorsi del 1937-
38. La scelta ricade sul gruppo Aschieri-Peressutti-Bernardini (che aveva ottenuto il
secondo premio al concorso per il Palazzo dei Ricevimenti e dei Congressi) e su Pascoletti
(che aveva ottenuto una segnalazione al concorso per il Palazzo della Civiltà Italiana).
Posto a collegamento in direzione ortogonale ai due blocchi speculari vi è un terzo corpo:
un colonnato rialzato di un piano e rivolto verso la zona delle Tre fontane. Il fondale scenico
così realizzato costituisce la nota che maggiormente caratterizza l’opera, poiché sottolinea
prepotentemente la linea di confine non solo dell’edificio ma anche dell’intera area nella
direzione Sud-Est, e poichè divide senza separare la piazza interna dal verde retrostante.
Le 36 colonne massicce che scandiscono la quinta sono in travertino e sono utilizzate anche
nei monumentali ingressi dei due corpi a lato. La funzione di questi elementi è chiaramente
una citazione stilistica dell’architettura scenografica di Pietro Aschieri, la cui opera ben
interpreta le forme del “classicismo semplificato” richiesto per la progettazione monumentale
dell’intero complesso: egli fonde insieme il geometrismo del razionalismo italiano, che
richiama in un certo senso al Movimento Moderno, ed il monumentalismo simbolico della
tradizione romana che qui viene reinterpretata dal regime in chiave
propagandistica. L’elevazione del piano del portico a colonne ha permesso lo sviluppo di un
piano seminterrato che è adibito esclusivamente all’esposizione dei calchi della Colonna
Traiana.
Destinazione durante l’Esposizione: Mostra della romanità
Destinazione prevista dopo l’Esposizione: Museo della romanità
Dati: superficie coperta mq 12.500, cubatura mc 250.000
Il progetto di massima Piano dell’Esposizione Universale di Roma 1941-42 del 1937 dava
maggior importanza al “cardo” della via Imperiale, ponendo ai margini degli assi trasversali
i padiglioni e le altre attrezzature minori. Successivamente nella versione definitiva del
1938-39 venne inserita la piazza della Romanità: due edifici simmetrici ed uguali ma non
paralleli, che si aprivano verso l’esterno. Il porticato posto a collegamento dei due blocchi
era parte della sezione V “Mostre varie” nello schema di zonizzazione.
Nel maggio del 1938 la FIAT accettò di finanziare l’operazione, non ponendo pregiudiziali
particolari per la progettazione e rimettendosi alle segnalazioni dell’Ente E42. La versione
quasi definitiva del progetto venne inviata a Torino nel dicembre del 1938 - la stessa
versione pubblicata nel numero di "Architettura" del 1938 -, dando il via alla stesura del
progetto esecutivo e strutturale. Le sostanziali differenze si riscontrano nello schema
planimetrico, poiché i due edifici non sono più uguali, ma quello di sinistra risulta
notevolmente più grande. Dai disegni prospettici sulla piazza della corte interna originali di
Aschieri si vedono una grande vasca circondata da gruppi di statue tra cui sarebbe dovuta
spiccare una mastodontica statua equestre, che però non vennero mai realizzati. I lavori
sull’edificio vennero portati a compimento per iniziativa del senatore Giovanni Agnelli
prima e del prof. Valletta poi, in collaborazione con il prof. Virgilio Testa, commissario
dell’ente EUR. Nel 1946 i materiali della Mostra augustea furono ceduti al comune di
Roma, costituendo un unico complesso con quelli del Museo dell’impero romano, così
come era già stato fatto dopo il 1911 per il materiale della Mostra archeologica. Il materiale
conservato nel Museo è in massima parte costituito da riproduzioni a partire dal plastico
delle provincie dell’impero romano. Sono conservate statue, busti, iscrizioni, rilievi, intere
facciate di edifici e tutta una serie di oggetti di uso quotidiano della civiltà dell’epoca. Il
Museo della civiltà romana fu aperto il 21 aprile del 1955 e dal 2004 è anche sede del
Planetario e del Museo Astronomico.
Il Museo della Civiltà Romana dell’EUR è chiuso dal gennaio del 2014 per «lavori di messa
a norma degli impianti». Una chiusura destinata a protrarsi alle calende greche: infatti la
gara d’appalto lanciata il 31 marzo 2014 per 2 milioni 150 mila euro è impantanata a causa
di svariati ricorsi al TAR.
Il Museo affonda le sue radici nelle varie mostre della Romanità che si sono tenute durante
le celebrazioni per il cinquantesimo dell’Unità […] Fin da principio il criterio della
«ricostruzione del passato» era ben presente negli organizzatori, che impostarono le mostre
della Romanità col criterio con cui in quegli anni si realizzavano le Esposizioni Universali.
Solo che anziché mostrare le nazioni viventi se ne mostrava una scomparsa, attraverso la
rievocazione e la ricostruzione di ciò che era andato distrutto coi secoli. Negli anni
successivi, e in particolare sotto il Fascismo le raccolte delle mostre realizzate per il
Cinquantenario dell’Unità d’Italia furono ampliate e riordinate. […] Con la mostra per il
Bimillenario di Augusto l’intera collezione viene costituita solo con copie, modellini,
ricostruzioni. I pezzi originali vengono esclusi, poiché lo scopo dell’esposizione era didattica
– «di studio» si diceva allora – non estetica, anche se la perfezione raggiunta dalle copie
era tale che anche visitatori qualificatissimi sentivano timore di toccare quelle copie. Tuttavia
l’intenzione di Giglioli non era realizzare semplici scenografie effimere da Cinecittà, ma
un’installazione permanente.
La mostra, in 12 mesi, venne visitata da oltre 700 mila persone – un record anche oggi – e
il successo consentì a Giglioli di proporre a Mussolini la realizzazione della tanto agognata
esposizione permanente della Civiltà Romana nel nuovo quartiere dell’E42. […] Poi, la
guerra, la disfatta, l’EUR in rovina. Finalmente nel 1952 il Museo della Civiltà Romana aprì
i battenti. Viene completato nel dopoguerra anche il pezzo forse più pregevole – e di sicuro
il piùfamoso – del museo: il plastico di Roma al tempo di Costantino in scala 1:250 realizzato
con un lavoro ultratrentennale dall’architetto Italo Gismondi (1887-1974). Iniziata nel 1935,
l’opera verrà completata solo nel 1971 e diventerà una delle icone del turismo romano,
rappresentata su migliaia di poster e cartoline. Il Museo riceverà in donazione anche un’altra
collezione di grande pregio, quella dei calchi della Colonna Traiana al Foro Romano: 125
pezzi fatti realizzare a metà Ottocento da Napoleone III e donati a papa Pio IX. […]
CURIOSITÀ
L'edificio che ospita il " Museo della Civiltà Romana" è di proprietà di EUR SpA, ed è frutto
di un accordo, tra 3 diversi soggetti: l'allora Ente EUR che deteneva la proprietà del terreno;
la Società Anonima Fiat di Torino di Giovanni Agnelli, che si impegnò a costruire il Palazzo
a condizione che fosse destinato al Museo della Civiltà Romana per i successivi 90 anni
(fino al 2042); e il Comune di Roma che si impegnò a sostenere, le spese di manutenzione
ordinaria e straordinaria del Palazzo, oltre al pagamento all'Ente EUR (oggi EUR SpA) di un
simbolico "canone ricognitivo della proprietà" per la concessione in uso dell'edificio.
Palazzo Uffici dell’Ente Eur 42
Gaetano Minnucci
Via Ciro Il Grande, 16
Il Palazzo degli Uffici dell’Ente EUR, progettato dall’architetto Gaetano Minnucci alla fine del
1937, è l’unico edificio dell’EUR ad essere stato completamente realizzato prima dello
scoppio della Seconda guerra mondiale. Essendo situato presso l’ingresso dell’E42,
l’edificio doveva avere “carattere rappresentativo e però, entro certi limiti monumentale”.
Il complesso, con una superficie coperta di 5.932 mq e una cubatura di 104.656 mc, si
articola in due corpi di fabbrica perpendicolari, quello degli spazi di rappresentanza per i
dirigenti ed i funzionari, organizzato intorno ad un cortile quadrangolare e quello degli spazi
per il pubblico e il personale tecnico, sviluppato lungo l’asse nord.
La dialettica tra questi due nuclei funzionali, realizzati inoltre con strutture portanti differenti,
muratura tradizionale per la zona di rappresentanza e strutture in cemento armato per la
zona tecnica, è celata da un paramento continuo in travertino. Ad unire i due corpi è lo
scalone principale per il pubblico, “vero e proprio giunto volumetrico e spaziale”, un
ambiente luminosissimo dove convivono materiali classici e moderni, come il marmo e il
vetro temperato.
Il secondo corpo si articola nel salone per il pubblico, oggi salone delle Fontane e nella
grande sala per i disegnatori. Il salone delle Fontane, con accesso sotto il portico
monumentale a pilastrata, è un grande salone rettangolare a doppia altezza illuminato
grazie alle gigantesche porte finestre del fronte principale.
Il piano sovrastante è occupato dal salone dei disegnatori, caratterizzato da una copertura
di tipo industriale in voltine di cemento armato.
Oltre alla sperimentazione di nuove tecnologie, furono messi a punto dei brevetti per la
realizzazione dei numerosi impianti di servizio che costituiscono l’apparato nervoso del
palazzo. La progettazione degli elementi di arredo, conservati fino ad oggi, fu affidata agli
architetti Guglielmo Ulrich e Giuseppe Gori, insieme alla direzione artistica relativa alla loro
realizzazione. La facciata sul Viale della Civiltà del Lavoro è inquadrata da due gruppi
scultorei realizzati da Dino Basaldella, rappresentanti la Chimera che lotta con il Minotauro
e la Chimera che lotta con il Centauro. Nel piazzale antistante il Salone delle Fontane si
trova una fontana monumentale. Questa, decorata da Gino Severini, Giulio Rosso e
Giovanni Guerrini con diciotto mosaici in bianco e nero ad opera, costituisce l’opera più
importante di tutto il ciclo decorativo del palazzo.
Di tutta la decorazione esterna del palazzo, l’elemento scultoreo che resta invariato dalla
progettazione alla realizzazione dell’edificio è la statua-simbolo, collocata presso l’ingresso
del commissariato e rivolta verso l’ingresso dell’E42. Realizzato in bronzo da Italo Griselli,
il Genio del Fascismo, rappresenta un giovane con il braccio destro alzato in saluto romano
(nel Dopoguerra sulle sue mani sono stati applicati dei guanti da lottatore).
Sulla parete dell’ingresso al Commissariato si trova “La Storia di Roma”, bassorilievo in
travertino realizzato da Publio Morbiducci, nel quale è possibile riconoscere numerosi edifici
della Roma antica e moderna e alcuni protagonisti della storia romana.
Nella Sala delle Riunioni si trova l’affresco di Giorgio Quaroni raffigurante la fondazione di
Roma.
Considerando gli imminenti pericoli bellici del periodo, al secondo piano seminterrato si trova
un “Rifugio antiaereo”, realizzato sempre dall’architetto Minnucci e destinato ad ospitare i
dipendenti dell’allora Ente EUR in caso di attacco. Si tratta di un volume in cemento armato
completamente isolato dal resto dell’edificio e dotato di portelloni metallici antigas.
CURIOSITÀ
Con la caduta del Fascismo, i simboli più evidenti del regime furono sistematicamente
rimossi dal Palazzo. Scomparvero i sette fasci littori che affiancavano l'ingresso del
Commissariato e, presso il cortile interno, scomparvero sia le aquile che decoravano la
fontana, sia i simboli fascisti - opera di Andrea Spadini - che adornavano gli accessi
secondari.
Anche le opere scultoree che decoravano originariamente il Salone delle Fontane vennero
rimosse. Le teste bronzee di Vittorio Emanuele III e di Benito Mussolini, asportate dal Salone
delle Fontane all'indomani della caduta del regime e collocate nei seminterrati del Palazzo,
rividero la luce nel 2005. Dopo un attento restauro, due di esse sono oggi collocate
all'interno della Sala Quaroni; mentre altre tre sono custodite nei depositi della Società,
assieme ad una statua in bronzo di Fausto Coppi. Questa, di proprietà del CONI, verrà a
breve trasferita a Castellania, in provincia di Alessandria, città natale del ciclista, nella sede
dell'Associazione dedicata alla sua memoria.
Il complesso delle cinque teste bronzee venne esposto al pubblico, per la prima volta dopo
la guerra, nel 2009 dall'artista pugliese Rossella Biscotti, che ne ha fatto oggetto di una
mostra personale, presso la sede della Nomas Foundation, dal titolo Le Teste in Oggetto.
Palazzo dell'Archivio dello Stato
(Palazzo delle Forze Armate)
De Renzi, Figini, Pollini
Palazzo dell'Archivio dello Stato (1982)
Una genesi particolarmente tormentata tocca poi al progetto del Palazzo delle Forze
Armate. Destinato, in un primo tempo, ad ospitare la mostra omonima diventata
successivamente la sede della Mostra dell’Autarchia, del Corporativismo e della Previdenza
Sociale. La soluzione finale risulta da un compromesso tra l’ipotesi di De Renzi e Pollini,
due dei più interessanti Arch.tti del Modernismo Italiano, che tuttavia imprimono all’edificio
un’impostazione aulica. Si pensa di destinare il Palazzo, dopo l’esposizione, a sede della
Accademia di Belle Arti. Oggi ospita l’Archivio Centrale di Stato.
Il bando di concorso per i progetti venne emesso nel novembre del 1937 rinnovato nel
giugno del 1938 in quanto la commissione giudicatrice non aveva ritenuto i progetti iniziali
meritevoli di essere realizzati, nella seconda gara vennero scelti gli elaborati di De Renzi e
Pollini vincitori ex aequo. I lavori di costruzione iniziarono nel settembre 1939 con lo scavo
delle fondamenta.
L'edificio, di cui prima della guerra erano state eseguite solo le fondamenta e le strutture
portanti, fu portato a termine negli anni cinquanta su iniziativa di Virgilio Testa, commissario
straordinario dell'Ente EUR, apportando le modifiche necessarie per adattare il palazzo alle
esigenze dell'Istituto. Gli ambienti, valorizzati da opere pittoriche e scultoree di Angelo
Cucciarelli, Piero D'Orazio, Carlo Lorenzetti, Paolo Pasticci, si sono ulteriormente arricchiti
negli ultimi anni grazie a donazioni di altri artisti contemporanei, andando a costituire un
piccolo ma significativo nucleo museale.
Progetti
Mario De Renzi
Luigi Figini
Plinio Marconi
Giulio Pediconi
Giuseppe Vaccaro
Piero Bottoni, Gabriele Mucchi, Mario Pucci
E.Puppo G.Aliotta
Giorgio Cavaglieri Gualtiero Galmanini, Antonio Mauri
Amedeo Luccichenti, Sergio Mezzina, Vincenzo Monaco
Porta Imperiale
Muzio, Paniconi e Pediconi
A Muzio, Paniconi e Pediconi è affidata anche la soluzione architettonica della Porta
Imperiale, ovvero l’accesso da Roma al Quartiere Espositivo che doveva comprendere
anche i volumi tecnici delle biglietterie. Inizialmente gli Arch.tti pensano a una sequenza
allineata di grandi torri, ma poi questa soluzione viene scartata e sostituita da una fascia di
fontane.
Secondo la prima stesura del Piano dell'E42 la porta Imperiale doveva scavalcare la via
Imperiale, segnando l'accesso da nord, e collegarsi ad un sistema porticato, lungo l'asse
stradale, che si sarebbe concluso sulla piazza Imperiale. Successivamente, nel Piano del
1938, vennero indicati due edifici, ai lati del viale monumentale, con due porticati
semicircolari rivolti verso i palazzi della Civiltà e dei Congressi.
Il gruppo di progettisti propose, invece, di far aprire le due esedre porticate verso l'asse
monumentale a creare uno spazio racchiuso, di chiara ispirazione romana, basti pensare ai
mercati Traianei, che fungesse da vero e proprio atrio alle scenografie che si sarebbero
presentate successivamente al visitatore nell'attraversare l'Esposizione. I due edifici erano
di proprietà dell'INA, ad est, e dell'INFPS, a ovest e avrebbero dovuto, per la durata dell'
Esposizione, ospitare spazi per mostre ed esibizioni, solo in seguito se ne sarebbe deciso
l'uso specifico.
La costruzione dei due palazzi iniziò nel 1940, ma fu possibile ultimarli solo nel dopoguerra.
Piuttosto impegnativa fu la definizione di un disegno soddisfacente per la porta Imperiale,
elemento mpuramente celebrativoavrebbe dovuto coprire il lungo fronte dell'accesso da
Roma. Furono ipotizzate una serie di diverse soluzioni più o meno spettacolari con
riferimenti, di volta in volta a linguaggi architettonici di epoche diverse, dal modernismo al
romano.
La versione definitiva prevedeva una serie di fontane con sei altissime torri a pianta ondulata
che, pur nascondendo il sistema delle biglietterie, rimandavano otticamente alla centralità
dell'obelisco della piazza Imperiale e del gigantesco arco, simbolo dell'E42.
Esedre INA e INPS
Muzio, Paniconi e Pediconi
La Piazza delle esedre è il primo dei grandi spazi scenografici che punteggiano il tracciato
rettilineo della ex Via Imperiale, oggi Via C. Colombo, che si apriva, per chi veniva da Roma,
con l'ingresso dalla porta Imperiale.
I Palazzi dell’INA e dell’INPS di Roma sono siti nel quartiere EUR, in Piazza delle Nazioni
Unite. I due Palazzi sono stati progettati dagli architetti Muzio, Paniconi e Pediconi, definiti
come quinte architettoniche per la porta imperiale. Le due costruzioni sono state costruite
col cemento armato e ricoperti di marmo proveniente dalle Alpi Apuane. La facciata dei due
edifici si sviluppa su tre livelli; al pianterreno sono presenti pilastri in due ordini. I Palazzi
dell’INA e dell’INPS formano alla base dei bacini semicircolari all’interno dei quali sono
presenti dei giochi d’acqua. I rilievi sulle testate dei palazzi sono del 1941. Il Palazzo dell’INA
è sito sul lato sinistro di via Cristoforo Colombo. I due altorilievi sul palazzo sono in travertino
romano. Le sculture degli altorilievi sono opera di Oddo Alivneri e Ruggero Ruggeri. Il
Palazzo dell’INPS è sull’altro lato della piazza; i due altorilievi su questo edificio sono opera
di Giuseppe Marzullo e Mirko Basadella. Tutti gli altorilievi si richiamano alla retorica
fascista.
Portico del Palazzo INPS
Sotto queste testate erano previste delle fontane che dovevano essere composte da dei
"pili" (da alcune foto dell'archivio dell'Ente EUR erano a forma di tronchi di cono) e delle
sculture a sfondo mitologico e naturalistico, per le realizzazioni furono incaricati i medesimi
artisti che realizzarono gli altorilievi. Delle fontane ne rimangono le tracce in quattro vasche
oggi utilizzate come vasi per fiori
Gli altorilievi delle testate sono
 Le repubbliche marinare, di Mirko Basaldella, in cui sono raffigurate Genova (attraverso il patrono
San Giorgio) e Venezia (attraverso il patrono San Marco);
 Roma contro Cartagine, di Giuseppe Marzullo.
Nel dopoguerra agli architetti Giulio Pediconi e Mario Paniconi viene commissionato un ampliamento,
ultimato nel 1967. In questo contesto il palazzo si arricchisce delle opere di artisti quali Alfio
Castelli, Antonio Cocchioni, Pietro De Laurentiis, Luigi Montanarini e altri.
Chiesa di Santi Pietro e Paolo
Arnaldo Foschini, 1938
La Basilica dei Santi Pietro e Paolo all’EUR ha una storia che, sebbene recente, è ricca di
eventi straordinari sia per i fedeli residenti nel quartiere, sia per tutti quelli provenienti da
altre zone di Roma. È senza dubbio una delle chiese più note tra quelle della “Roma
moderna”, contraddistinta dalla grande cupola che si staglia nel cielo dell’EUR.
Disposta su di un colle nella zona più elevata dell’EUR, si distingue in lontananza e, insieme
al “Colosseo quadrato”, è uno degli edifici più riconoscibili di tutta l’Esposizione. Una scelta
non casuale: il Palazzo della Civiltà Italiana e la Basilica di SS Pietro e Paolo, simboli dello
stato laico e della religione cattolica, volevano dimostrare, con la loro vicinanza, il pacifico
dialogo tra Fascismo e Vaticano sancito dai Patti Lateranensi del 1929. La Basilica è posta
in asse lungo il viale diretto all’Archivio Centrale dello Stato, costruito all’epoca per ospitare
la mostra delle corporazioni e dell’autarchia. L’edificio, progettato dall’architetto Arnaldo
Foschini nel 1938, è a croce greca (atipica per i progetti legati al culto dell’epoca, tutti a
croce latina) ed è caratterizzata da una struttura in cemento armato sormontata da una
cupola di notevoli dimensioni, con un diametro di 31 metri. Il progetto iniziale prevedeva che
la cupola assumesse una colorazione giallo oro affinché avesse maggiormente risalto, ma
progettisti e costruttori, costretti da alcune difficoltà riscontrate durante i lavori, optarono per
una copertura di elementi in ardesia di colore grigio che si adattava maggiormente al resto
dell’edificio. Pietra di “Chiampo paglierino di Vicenza” e travertino romano rivestono le pareti
della Basilica all’estradosso. Le pitture variopinte della cappella, le vetrate degli occhialoni
e il pavimento di marmo colorato fungono da contrasto alle pareti bianche nell’intradosso.
Solamente il 29 giugno del 1955 fu aperta ufficialmente al culto, sebbene agli inizi del
secondo conflitto mondiale la basilica fosse già in uno stato di realizzazione avanzato. Le
due colossali statue di S.Pietro e S.Paolo poste nel piazzale prospiciente l’edificio sin dai
primi mesi del 1942, sono due degli elementi che rappresentano maggiormente la basilica.
Oggi, nonostante l’intero quartiere abbia subito modifiche e integrazioni costituite da edifici
residenziali e da moderni uffici, la Basilica domina ancora il cielo dell’EUR.
Ristorante Ufficiale
Ettore De Rossi
Ettore De Rossi riceve nel ‘39 l’incarico di progettare la sede del Ristorante Ufficiale.
L’architetto si trova a dover fare i conti con una sagoma già in parte delineata: l’edificio deve
assolvere il ruolo di quinta monumentale destra del Palazzo della Civiltà Italiana. Il progetto
tra i più raffinati dell’E42 viene risolto con un organismo strutturale a maglia quadrata in
cemento armato. Il corpo centrale dell’edificio si sviluppa su tre piani ed è interamente
rivestito in travertino; il porticato a doppia altezza, che lo circonda su tre lati, gli conferisce
un senso di leggerezza e trasparenza che è accentuato da un ampio atrio di accesso. Il
ristorante è tra i primi edifici dell’E42 ad essere ultimato e avrebbe dovuto ospitare un bar,
un ristorante per i visitatori e degli uffici.
L'edificio occupa una delle due aree ai lati della piazza al terminale di Via Civiltà del Lavoro.
I progettisti dell'omonimo palazzo (Guerrini, La Padula e Romano) avevano, già in fase di
studio preliminare del progetto, dato un'indicazione schematica dello sviluppo architettonico
e della sistemazione della piazza, indicando uno spazio delimitato da due bassi corpi di
fabbrica simmetrici le cui facciate, modulate da doppi colonnati, avrebbero dovuto
sottolineare la modularità dei prospetti del palazzo della Civiltà, che doveva sorgere al
centro di queste due quinte architettoniche. Questo probabilmente condizionò le scelte di
Rossi, il quale si trovò ad operare in un contesto, in qualche modo, già vincolato dal punto
di vista planivolumetrico.
Un secondo vincolo progettuale, senza dubbio imposto al progettista, fu la
"gerarchizzazione" degli spazi interni in base all'utenza. Infatti, non solo i dipendenti
dell'Ente dovevano fruire di spazi differenziati rispetto ai visitatori esterni, ma avrebbero
dovuto disporre di ambienti separati, anche in base ai diversi livelli funzionali. Questo fece
sì che tutte le sale e i relativi ambienti di servizio venissero progettati seguendo le logiche
di una sorta di "gerarchia sociale", il che spiega il ripetersi di funzioni analoghe su tutti e tre
i piani dell'edificio: al piano terra il bar e le due sale ristorante, una per gli esterni e una per
il personale di livello "minore"; al primo piano il grande salone ristorante con ampie porte
finestre, che davano accesso alla terrazza esterna, destinato ai funzionari dell'Ente; al
secondo piano, infine, un'altra sala ristorante, più piccola e riservata, ad uso esclusivo dei
dirigenti e dei commissari italiani e stranieri, più alcune stanze per agli uffici amministrativi.
Le due sale ristorante dei funzionari, esposte a sud e quindi nella parte più soleggiata
dell'edificio, erano dotate di grandi vetrate panoramiche, che affacciavano sulla piazza o sul
viale principale, schermate dal porticato a doppia altezza che avvolgeva il volume
dell'edificio su tre lati. Il piano terra è racchiuso da un basamento di altezza variabile, che si
adatta alla pendenza della strada, in salita verso il Palazzo della Civiltà.
Per esigenze di prospetto su Viale della Civiltà durante i lavori il porticato fu ampliato di
cinque campate rispetto al corpo edilizio originale, consentendo l'inserimento di una vasca
d'acqua, decorata a mosaico, come elemento d'arredo all'ingresso del primo piano dalla
piazza. Furono progettate, dallo stesso Rossi, tutte le attrezzature e gli impianti, così come
gli arredi del bar e delle sale ristorante, il progettista dette, inoltre, precise indicazioni sulle
scelte dei materiali e degli elementi decorativi, operando uno stretto controllo anche sulla
realizzazione delle opere sia esterne sia di arredo. Il risultato fu di estrema coerenza
compositiva e di singolare eleganza per un edificio incui, pur rispondendo a tutte le esigenze
di carattere funzionale, non venne trascurato l'amore per il dettaglio architettonico, studiato
in ogni suo elemento, e per l'uso di soluzioni tecniche assolutamente originali.
Purtroppo nel dopoguerra l'edificio subì pesanti trasformazioni, che ne stravolsero
completamente la logica compositiva a livello distributivo e di disegno delle facciate.
In parte l'edificio è occupato dagli uffici del Comune di Roma. Il piano terra è destinato ad
attività commerciali
Porta del Mare
Un arco monumentale avrebbe dovuto attraversare la Via Imperiale, a sud del lago
artificiale, costituendo uno dei principali elementi di richiamo dell’E42. La storia dell’arco è
resa complessa dalla circostanza che, nell’estate del 1937, a poche settimane di distanza
uno dall’altro, due diversi gruppi di professionisti Ortensi, Pascoletti, Cirella, Covre, Libera
e Di Berardino presentavano all’Ente il progetto di un arco spettacolare, il primo in
materiale metallico, il secondo in calcestruzzo. Nel marzo del ‘38 Libera e Di Berardino
sottopongono il progetto esecutivo di un arco in calcestruzzo con una luce di 200 m, per il
quale Pierluigi Nervi propone due soluzione tecniche: una in calcestruzzo e una in
cemento armato. Infine nel maggio 1939 l’Ingegnere Covre presenta il progetto di
massima di due archi in lega di alluminio, rispettivamente di 200 e 320 m di luce.
Quest’ultima arditissima soluzione portata a 330 m di ampiezza e a 171 di freccia, vale a
dire più della metà dell’altezza della Tour Eiffel, sarà quella approvata. Si decide infine che
l’arco sarà in alluminio e acciaio, il progetto definitivo viene completato nel marzo 1941,
ormai troppo tardi per cominciare i lavori.
Il Gateway to the West, Saint Louis, Missouri (1947) – Eero Saarinen
Laghetto
Raffaele De Vico
Nel febbraio del 1937 una Commissione, appositamente istituita, definì il programma di
massima per le sistemazioni a verde dei 400 ettari del nuovo quartiere espositivo. Nel
gennaio del 1938, sotto la direzione di Marcello Piacentini, fu redatta una variante del
piano originale con modifiche riguardanti la zona centrale e in particolare il disegno del
lago irregolare che assunse le forme di un bacino regolare.
Il progetto definitivo venne presentato nel 1938. Nel 1939 fu nominato, come consulente
per la progettazione dei parchi e dei giardini dell'EUR, l'architetto Raffaele de Vico. Nel
1943, a seguito della occupazione tedesca e dei danni subiti dal complesso vegetale, i
lavori furono sospesi e anche de Vico interruppe la sua collaborazione per riprenderla nel
1951. Tra il 1951 e il 1961, de Vico progettò e diresse i lavori di completamento del verde;
a lui si deve perciò la maggior parte delle sistemazioni come si ammirano oggi. Il verde
dell'EUR è oggi aticolato in un sistema di cinque grandi parchi, oltre a numerose aiuole e
giardini che fanno di questo quartiere uno dei più dotati di verde pubblico a Roma. Il Parco
Centrale è caratterizzato da grandi giardini che circondano il lago artificiale, meta di
attività sportive e culturali, tra cui si notano il Giardino delle Cascate realizzato con
scogliere, pietre naturali e piante lasciate crescere in forma spontanea e il Teatro
Verde dal quale si possono ammirare gli spettacoli di suoni, luci ed acqua che si svolgono
le sere d'estate nel Giardino delle Cascate. Immersa nel verde, tra Via America e Via
Tupini, si trova la Piscina delle Rose. Il Parco del Turismo è situato sul lato ovest della
Via Cristoforo Colombo ed è arredato con la grande stele-fontana dei Drei e i bassorilievi
del Bellini, originariamente destinati alla Mostra dell'Agricoltura e che ora decorano i viali
del parco. Il Parco del Ninfeo, separato dal Parco del Turismo da Viale Romolo Murri,
strada carrabile delimitata da un doppio filare di platani e da una siepe geometrica di
ligustro, è caratterizzato e prende il nome dalla fontana del Ninfeo, realizzata nel 1940 e
posta a ridosso del palazzo degli Uffici. E' un parco molto frequentato perché ospita la
scuola guida automobilistica per bambini. Il Parco degli Eucalipti, che era il grande bosco
piantato nell'Ottocento dai Frati Trappisti dell'Abbazia delle Tre Fontane allo scopo di
migliorare la salubrità dell'aria e fabbricare elisir medicinali, si sviluppa su un lato della Via
Laurentina. La sistemazione di questo parco in cui si contano circa 1500 piante,
comprende un'insieme di terrazze, belvedere, vialetti e passaggi sopraelevati. E infine il
Parco dei divertimenti che si trova tra Via delle Tre Fontane, Viale dell'Industria e Viale
dell'Artigianato. Nel piano generale questo parco era destinato a svolgere un ruolo
primario per le attrazioni dell'E42 ed avrebbe dovuto occupare una zona molto estesa con
un ampio lago irregolare con al centro "L'isola incantata". I progetti elaborati tra il 1937 e il
1940 non furono mai realizzati. Nel 1960, nell'area tra via Cristoforo Colombo e il parco
degli Eucalipti, fu realizzato l'attuale Luneur, il luna park di Roma.
Il Laghetto dell'Eur è un bacino artificiale con una superficie di ben 85.120 metri quadrati e
con una profondità massima di circa 3 metri.
L'acqua viene immessa dal "Giardino delle Cascate", che si trova nel lato sud, mentre
fuoriesce da sbocchi che si trovano principalmente nel lato nord.
Ospita una ricchissima quantità e varietà di flora e fauna. In particolare sono presenti pini,
plame, pitsporo, cedri del Libano, sipei, lecci, taxus disticum e lauroceraso. Lungo la
passeggiata del Giappone sono presenti i magnifici cieligi del Giappone, donati dalla città
di Tokyo. Tra la fauna sono presenti numerose specie ittiche come persico sole, carpa e
carassio, ma anche uccelli come gabbiani e anatidi, oltre a una nutrita presenza di
tartarughe. Dal 1970 circa, inoltre, sono state effettuate ripetute immissioni di trota, tinca e
scardola. Oggi nel laghetto dell'Eur si svolgono alcune attività sportive, soprattutto
canottaggio.
Villaggio Operaio
Gaetano Minnucci
Su progetto dell’ufficio tecnico dell’Ente, tra il ‘38 e il ‘40 viene costruito il Villaggio
Operaio, una serie di alloggi che dispongono di 1500 posti letto, destinati ad ospitare gli
operai senza famiglia. Sono previsti tre edifici di carattere generale e alcuni nuclei
dormitorio, formati da padiglioni contenenti stanze con 30 letti, servizi igienici, guardaroba
e spogliatoi. Durante l’Esposizione avrebbe dovuto svolgere funzione di albergo per le
masse ma con lo scoppio della guerra gli operai abbandonarono le loro case che, dopo
una breve occupazione anglo-americana, rimasero abbandonate. Nel 1947, dodici famiglie
di profughi giuliani si insediarono nel villaggio, ribattezzandolo Villagio Giuliano.
Nel ’48, con la trasformazione dei padiglioni in circa 150 appartamenti provvisori, venne
inaugurato ufficialmente il Villaggio Giuliano-Dalmata in Roma, alla presenza di Giulio
Andreotti, della signora De Gasperi e di numerose altre personalità.
Negli anni seguenti il quartiere vide un rapido sviluppo. Gli abitanti diedero vita non
solo ad esercizi commerciali, ma anche a botteghe artigianali ed attività industriali, a scuole,
ad un museo, a monumenti dedicati all’Esodo ed al sacrificio di quelle cinque Province del
Confine Orientale d’Italia, alla chiesa parrocchiale ed a punti di aggregazione quali trattorie,
bar ed associazioni sportive.
Oggi il Quartiere Giuliano-Dalmata è il simbolo in Roma della triste storia dell’Esodo e
delle atrocità perpetrate nei confronti di quelle popolazioni. Ma è anche testimonianza di
una rinascita di persone tenacemente attaccate alle proprie radici ed alla vita.
Zone Residenziali
Edifici Esso all’Eur
Luigi Moretti, Vittorio Ballio Morpurgo, Giovanni Quadrella, Giorgio Santoro
Piazzale dell'Agricoltura, 1961-1966
Nel 1960 fu affidata a Luigi Moretti e a Vittorio Ballio Morpurgo la progettazione all’Eur
dei palazzi per uffici delle due diverse società Esso e Sgi.
Due lotti speculari tra loro con rispettivi edifici distanti 50 metri ciascuno dall’asse d’accesso
alla città, che si sviluppano in lunghezza di 150 metri ed in altezza di 27 metri ciascuno, e
che furono inequivocabilmente chiamati “edifici gemelli”.
Attraverso numerosi schizzi preliminari di Moretti si evince la volontà da parte dell’architetto
di attribuire ai due edifici il ruolo di ingresso monumentale all’Eur. “Ortogonali al tracciato di
via Cristoforo Colombo, i due palazzi gemelli offrono una elegante immagine di modernità
anche se rimandano vistosamente all’architettura delle città antiche creando una sorta di
varco murario di ingresso.” (G-R, 2006, D40)
Entrambi presentano una pianta a T (i cui lati corti costituiscono, secondo Moretti, le
fortificazioni delle mura che racchiudevano le città antiche), entrambi progettati con un
modulo base di 1,5×1,5m. Ogni edificio è composto da due volumi, ortogonali tra loro, di
diversa altezza e che orizzontalmente sono scanditi da tre fasce.
La prima fascia è costituita dal piano terra il quale nell’insieme dell’edificio appare come un
vuoto che separa i livelli superiori dai piani interrati. Contiene l’area vetrata dell’atrio
d’ingresso immersa in un grande portico completamente libero (ad eccezione delle torri dei
collegamenti verticali) al quale corrispondono in altezza piani altrettanto liberi sorretti dai
piloties.
La seconda fascia è costituita dai piani intermedi, i quali ospitano gli uffici, le sale d’attesa,
le sale conferenze, gli archivi e i relativi servizi. Essi si differenziano esternamente dal resto
dell’edificio per il rivestimento, ovvero pareti a facciate vetrate chiuse da curtain-wall color
bronzo e protette da una fitta serie di lamine frangisole, fortemente aggettanti, che ritmano
l’intera fascia centrale. La flessibilità dei locali è garantita dalla struttura portante in acciaio
avente una maglia di m 9×9.
La terza fascia è costituita dagli ultimi piani che completano l’edificio con una muratura
continua bianca e priva di aperture che si distacca visivamente dai piani inferiori vetrati e
dal cielo. Questi ultimi piani ospitano le torri di raffreddamento dell’impianto di
condizionamento e le macchine degli ascensori.
I tre piani interrati, divisi dal resto dell’edificio dal vuoto del porticato al piano terra, sono
costituiti da una struttura portante in cemento armato. Ospitano le aree destinate al
parcheggio (per entrambi gli edifici circa mille posti macchina), i locali di servizio (mense,
tipografie, centrale telescriventi) e i locali per il condizionamento e il riscaldamento.
La relazione con lo spazio esterno è visibile proprio al livello del terreno. Infatti i volumi per
la mensa, la sala assemblee e il parcheggio sono ospitati da un piano che fuoriesce
parzialmente dal terreno a livello del parco adiacente al fabbricato e presentano forme
curvilinee che si rapportano alla natura circostante. L’integrazione architettura-natura è
garantita inoltre da scalee, murature di sostegno e terrazze, tutte in travertino, che si
collegano agli spazi verdi del parco.
Alle forme curvilinee dei volumi che fuoriescono da terra si contrappongono i volumi netti e
geometrici dell’alzato; in questo modo Moretti ha voluto creare un contrasto tra la severa
geometria degli elemen ti destinati agli uffici e la libertà organica dei corpi destinati ai servizi.
WELTHAUPTSTADT GERMANIA
Dopo una seconda guerra mondiale che Hitler era abbastanza fiducioso di vincere
rapidamente, il Fuher prevede di ridisegnare Berlino come la nuova Capitale Mondiale (in
tedesco Welthauptstadt) della Germania; una metropoli con strutture gigantesche che
avrebbero rappresentato lo spirito del Terzo Reich e intimorito i nemici, così come i suoi
stessi abitanti. A sovrintendere al progetto Hitler nominò l’architetto Albert Speer, suo
consigliere di fiducia e primo architetto del Terzo Reich.
Albert Speer presenta ad Hitler il padiglione tedesco per l'esposizione universale di Parigi del 1937
il padiglione tedesco per l'esposizione universale di Parigi del 1937
Il nome Welthauptstadt Germania venne scelto poiché l'architettura di Berlino all'epoca
era considerata troppo legata agli stili e alle convenzioni prevalenti di fine Ottocento (quando
si era formato l'impero tedesco) e si sentiva quindi la necessità di porre la nuova capitale
tedesca al di sopra delle altre capitali mondiali, come Roma, Londra, Parigi, Mosca e
Washington. In realtà, poiché non esistono altri riferimenti al termine di Welthauptstadt
Germania tranne che nell'autobiografia di Albert Speer (pubblicata dopo la sua detenzione),
l'uso di questo nome da parte di Hitler è oggetto di controversie tra gli storici.
La prima fase del progetto fu la costruzione dello Stadio Olimpico per le Olimpiadi del 1936
che avrebbe celebrato l'ascesa del governo nazista. Uno stadio ancora più grande, per una
capienza di 400.00 spettatori, venne progettato dal governo nazista per la città di
Norimberga, ma si fece in tempo a realizzare le sole fondazioni prima che i lavori venissero
interrotti a seguito dello scoppio della Seconda Guerra mondiale.
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Passeggiata eur-17-11-19

  • 1. Nella passeggiata di oggi visiteremo uno dei quartieri simbolo della c.d. “architettura fascista”. Una delle cose più importanti che cercherò di trasmettervi è che non esiste una “architettura fascista”, esiste architettura costruita durante il periodo fascista:  Alcune cose “di regime”, altre no  In entrambi i casi, gli stili sono parte di tendenze internazionali di cui l’Italia fa parte, ma di cui non ha il monopolio Altra cosa importante, specificamente per l’EUR, è che quella che vedete realizzata è una delle opzioni presentate. L’EUR poteva essere molto diverso da come fu realizzato (meglio: progettato e avviato). La “romanità” dell’EUR è un “fake” edilizio come fake del resto è il collegamento fra fascismo e romanità (saluto, fascio littorio, amore per Roma). Non può chiamarsi una “grande realizzazione” del regime, in quanto fu in parte predominante costruito nel dopoguerra. Il fascismo costruì due o tre edifici, in modo incompleto, per causa della guerra in cui si sono infilati. Questi che seguono sono appunti ad uso personale, che ho compilato da diverse fonti come traccia e “archivio” di dati, foto e informazioni.
  • 2. Fascismo e Architettura L’Italia fu relativamente estranea al rinnovamento dell’architettura che interessò l’Europa nei primi decenni del XX secolo, perché non vi erano i presupposti economici, sociali e tecnici per profondi rinnovamenti nel modo di costruire e di dare forma alla città. Tra le avanguardia artistiche del primo Novecento, solo il Futurismo ebbe protagonisti italiani e fu quindi soltanto ragioni culturali che alcuni giovani architetti si avvicinarono alle esperienze costruttive del resto d’Europa. Frattanto, mentre in Germania si sta vivendo, anche se fra mille contraddizioni, l’importante esperienza della libera Repubblica di Weimar, l’Italia, all’indomani della Marcia su Roma (28 ottobre 1922), approda subito a un regime totalitario cosicché, se il Razionalismo tedesco (che fin dall’immediato dopoguerra costituiva il principale punto di riferimento per ogni altro Paese europeo) era espressione di una società ancora democratica e desiderosa di venire incontro ai bisogni delle masse popolari, il Razionalismo che incominciava a diffondersi in Italia, si sviluppava già all’interno della dittatura fascista che intendeva contrastare le tensioni al rinnovamento e tutelare gli interessi della nuova borghesia industriale. Ciò nonostante, proponendosi come una forza giovane e rivoluzionaria che asseriva di voler emancipare l’Italia in senso moderno -riallineandola anche economicamente alle altre grandi nazioni europee- il fascismo lasciò un certo spazio all’architettura moderna per rendersi più accettabile all’opinione pubblica internazionale e agli intellettuali italiani. Nel 1928 il gruppo MIAR (movimento Italiano per l’architettura razionale) organizzò a Roma una mostra della nuova cultura architettonica e, nel 1933, un gruppo guidato da Giovanni Michelucci vinse il concorso per la nuova stazione di Santa Maria Novella, prima affermazione dell’architettura moderna Italiana. “Io sono per l’architettura moderna, per quella del nostro tempo[…]. È assurdo il non volere un’architettura razionale e funzionale del nostro tempo”, diceva Mussolini nel ’34 riferendosi all’architettura di Sabaudia.
  • 3. stazione di Santa Maria Novella, 1933-1935, vista aerea stazione di Santa Maria Novella, 1933-1935, la facciata principale Inizialmente, quindi, il Razionalismo sembrò trionfare; ovunque si innalzano edifici dai volumi netti, con coperture piane e finestre rigorosamente prive di timpani e cornici, sulla falsariga della miglior produzione del Bauhaus. Nel frattempo però, si andava affermando
  • 4. anche una nuova tendenza monumentalista, portata avanti dall’architetto Marcello Piacentini, che pretendeva di richiamarsi all’architettura imperiale romana e, per certi aspetti, evocatrice della pittura metafisica di Giorgio de Chirico, che ben presto sarebbe stata scelta per rappresentare il regime fascista nei più solenni edifici pubblici. Il panorama culturale dell’architettura italiana tra le due guerre era quindi estremamente complesso, effervescente e contraddittorio. E42: Quadro di insieme Il progetto che rappresenterà l’apogeo dell’architettura fascista segna anche la fine dell’architettura moderna italiana. La Roma fascista è stata oggetto di varie trasformazioni architettoniche e urbanistiche, quasi tutte compiute in modo da valorizzare i siti archeologici esistenti e testimoniare la grandezza del rinnovato impero. Se si esclude il progetto per il Palazzo Littorio, respinto per la sua eccessiva modernità, vengono realizzate due assi di grande prestigio: via dei Trionfi (via di San Gregorio) e via dell’Impero (via dei Fori Imperiali). La nuova città universitaria viene portata a termine con successo, e così gli impianti sportivi del Foro Mussolini. Per lo più si tratta però di interventi isolati all’interno del centro storico. Ciò che manca è un’occasione di urbanistica e architettura che qualifichi l’espansione della città, facendo della capitale l’immagine esemplare del regime fascista. Nel 1936, da questa necessità, nasce l’idea di una Grande Esposizione, da tenersi nel 1942 per celebrare il ventennale del fascismo. Al termine dell’esposizione il nuovo quartiere sarebbe dovuto divenire il modello simbolo della Roma fascista e imperiale. Dopo vari sopralluoghi Mussolini stabilisce l’ubicazione dell’Esposizione, rianimando con la sua decisione le antiche aspirazioni di una Roma proiettata verso il mare e affermando contemporaneamente l’idea dell’egemonia italiana sul Mediterraneo. “La Terza Roma si dilaterà sopra altri colli lungo le rive del fiume sacro sino alle spiagge del Tirreno” riporta ancora oggi la facciata del Palazzo degli Uffici dell’Eur. Una città simbolo dell’antichità e del cristianesimo, che doveva divenire l’incarnazione della modernità e del genio fascista. Mussolini aveva in mente di progettare e fondare una nuova Roma protesa verso il futuro e verso il mare, un nuovo quartiere fascista che attraverso monumenti, strade, edifici rappresentasse la proiezione di una romanità futuristica e moderna. La città nuova non poteva soltanto essere opera di sventramenti e ricostruzioni all’interno dell’antica cinta muraria, non poteva concludersi necessariamente entro il perimetro ristretto della Roma di un tempo; doveva semmai espandersi, conquistare nuovo terreno e protendersi verso il Tirreno. Già nel ‘25 era stata avviata la costruzione della via dell’Impero con un colossale cantiere archeologico che prevede la demolizione del tessuto storico e il taglio della collina Velia. È la prima parte della Via Imperiale, il grande asse viario destinato a collegare Piazza Venezia alla zona dell’E42, che la propaganda del regime annuncia come la strada più grande e più lunga del mondo. La Via Imperiale diventa oggetto di una progettazione fortemente moderna, è la premessa all’E42.
  • 5. Per la realizzazione dell’Esposizione del 1942, la cui sigla ufficiale diventa presto “E 42”, viene istituito un ente autonomo che incarica gli architetti, Giuseppe Pagano, Marcello Piacentini, Luigi Piccinato, Ettore Rossi e Luigi Vietti, di progettare un piano generale. Tale gruppo, anche se non omogeneo, è decisamente moderno, vale a dire vicino al movimento razionalista. I suoi due personaggi decisivi, Marcello Piacentini e Giuseppe Pagano, hanno già collaborato in diverse occasioni, come ad esempio per la città universitaria, conciliando le loro posizioni di razionalista della prima ora (Pagano) e di accademico “convertito” a un razionalismo di impronta classico-monumentale (Piacentini). Nel marzo del 1937 i cinque architetti presentano un progetto di massima che verrà approvato da Mussolini e pubblicato su diverse riviste d’architettura. Il nuovo quartiere si innalza su una superficie di 400 ettari ed è “appeso” a via dell’Impero in modo tale che quest’ultima faccia da asse specchiante per l’impostazione dell’impianto stradale quasi perfettamente simmetrico e alleggerito ai margini da un andamento ondulatorio delle strade, effetto che nasce dall’esigenza di adattabilità alle caratteristiche topografiche. Osservando gli schizzi che accompagnano il primo piano regolatore, si nota innanzitutto il sovradimensionamento del piano generale; infatti, via dell’Impero si è ora trasformata in un’autostrada sopraelevata di una larghezza di più di 100 metri, che attraversando un lago artificiale si dirige verso il E42, prima ipotesi planimetrica, 1937
  • 6. Palazzo della Luce, mentre i palazzi dell’Esposizione sono degli imponenti grattacieli di vetro e acciaio di 35 piani. L’intero scenario evoca le visioni urbanistiche di Hilbersheimer o di Le Corbusier, ed è inutile dire che un tale piano non poteva essere realizzato, non solo perché le condizioni economiche in tempo di guerra non avrebbero mai potuto permettere costruzioni in acciaio (materiale raro e costoso), ma anche perché questo primo piano regolatore non è in grado di soddisfare Mussolini nella sua ricerca di uno “stile fascista”. In un rapporto dell’Ente dell’E 42 viene spiegato più esplicitamente il compito che l’architettura avrebbe dovuto svolgere nel nuovo quartiere imperiale: “L’Esposizione di
  • 7. Roma tenderà a creare lo stile definitivo della nostra epoca: quello dell’anno XX dell’era fascista: lo stile ‘E 42’. Ubbidirà a criteri di grandiosità e monumentalità”. Di conseguenza Marcello Piacentini, al vertice della sua potenza politica grazie alle sue relazioni con il governo e con il sindacato degli architetti fascisti, viene incaricato della revisione del piano presentato, divenendo così guida del gruppo, mentre prima tutti i membri godevano di pari diritti. Il nuovo piano del 1938 si presenta in veste decisamente diversa: lo schema si irrobustisce e dà spazio a una simmetria rigida basata sempre sull’asse simmetrica di via dell’Impero, il cui compito però è cambiato. Se il primo progetto prevedeva una gigantesca autostrada sopraelevata, un asse di scorrimento, ora questa si trasforma in un asse di prestigio lungo il quale si sviluppa, successivamente, un sistema di piazze gigantesche, pronte ad accogliere le parate militari fasciste. Il piano di Piacentini, monumentale e accademico allo stesso tempo, assicura a ogni asse una prospettiva e a ogni piazza un suo fondale. Queste caratteristiche dello schema revisionato conferiscono al quartiere dell’esposizione la monumentalità necessaria e adatta alla rappresentazione di un nuovo centro fascista di Roma. Lessico più che architettura: l’omologazione Per alcuni degli edifici espositivi vengono banditi dei concorsi nazionali, ai quali partecipano i migliori architetti delle nuove generazioni. Il risultato è sorprendente, in quanto tutti i progetti si somigliano in modo preoccupante: largo uso di archi e colonnati, simmetrie e volumi chiusi degli edifici, rigorosamente rivestiti di marmo, travertino o granito. Le torri di vetro del primo progetto spariscono e lasciano il posto a edifici pesanti che ripetono gli stereotipi della classicità in chiave fascista. Piacentini, che assume la totale responsabilità della progettazione architettonica e dunque è presente nelle giurie dei concorsi, chiede agli architetti di costruire edifici “nelle masse e nelle linee ardite e grandiose dell’architettura romana, in un sentimento classico e monumentale”. I progettisti si piegano alle volontà di Piacentini e le diverse posizioni dell’architettura italiana appaiono, così, ormai annullate. Gli architetti italiani di ogni tendenza, impegnati nella ricerca dell’autentico stile fascista, si lasciano alle spalle l’individualismo a favore di un’architettura in grande scala, un’architettura di regime che si basa sul semplice ragionamento che colonne, archi, simmetria e monumentalità, il tutto rigorosamente rivestito in materiali puramente “italiani”, erano i soli elementi capaci di creare uno vero “stile E 42”, lo stile imperiale voluto da Mussolini. L’architetto Ludovico Quaroni, anch’egli impegnato con archi e colonne nella costruzione del centro imperiale di Roma, ricorda a proposito del nuovo conformismo architettonico: “Il punto determinante è che s’era capito, da come andavano le faccende, che qui o si faceva una cosa che piaceva a Mussolini, oppure non si vinceva. E siccome in quel momento avevamo voglia di vincere, abbiamo scelto questa strada”. Lo stile omologato degli architetti suscitava le polemiche di Giuseppe Pagano, membro del gruppo per il primo progetto del quartiere espositivo, il quale critica duramente il classicismo piacentiniano, consistente in “grandi spazi” e “grandi colonnati” che peccano però in “chiarezza e onestà logica” della costruzione. Nel gennaio 1938, due mesi prima dello scioglimento del gruppo di progettisti del piano dell’E 42 (Piacentini, Pagano, Piccinato, Rossi, Vietti), Giuseppe Pagano riceve da Cipriano Efisio Oppo la proposta di consulenza per l’organizzazione della “mostra delle industrie” – il “Piano regolatore della Città
  • 8. italiana dell’economia corporativa”, che presenterà nell’aprile 1939. Il progetto – sinora sconosciuto – è documentato da una relazione manoscritta, tavole planimetriche che illustrano lo schema insediativo generale, il numero e la destinazione dei padiglioni e da sei prospettive acquerellate autografe che prefigurano gli spazi e gli edifici principali di una “realizzazione piena di vita”, “satura di quella moderna ricerca di espressione plastica che permetta di creare un paesaggio di città veramente nuova e perfettamente intonata alla novità del suo aggiornatissimo contenuto”. Una seconda relazione dattiloscritta approfondisce il programma, indicando gli architetti e gli allestitori che Pagano intendeva coinvolgere nell’impresa – poco meno di un centinaio, molti dei quali autori di progetti usciti sconfitti dai concorsi banditi per le opere dell’E 42. A partire dal 1938, avviata la costruzione degli edifici stabili e convocati gli artisti per la loro decorazione, altre visioni concorrono ad arricchire l’utopia dell’EUR, sfaccettandone l’immagine. Tra queste, oltre alle mostre previste, i progetti per le masse verdi dei giardini; o il ludico Parco dei divertimenti; o, ancora, i modernissimi studi per l’illuminazione artificiale, che avrebbero conferito alla nuovissima città un “aspetto notturno e fantasioso” vieppiù scenografico. Pagano decide di porre fine alla collaborazione -non così numerosi architetti interessati ai lavori che accetteranno il compromesso, e unico firmatario, insieme con l’Ufficio tecnico dell’Ente organizzatore, resta Marcello Piacentini.
  • 9. Nell’organizzazione della pianta e negli schizzi è evidente lo sforzo di imprimere plasticità allo spazio urbano attraverso l’articolazione architettonica nonché l’equilibrio tra spazi costruiti e spazi aperti. L’asse centrale è il cardine compositivo di un concatenarsi di scenari che si susseguono con forte dinamismo. Senza i vincoli della simmetria, con la loro continuità essi trovano negli stessi valori spaziali e architettonici la propria monumentalità. E42, pianta definitiva di progetto Al di là di ogni possibile lettura l’EUR di Piacentini si confermerà come il vero campionario dello stile fascista e il massimo esperimento in campo urbano di perseguimento del consenso politico; le premesse razionaliste si dissolveranno nella rappresentazione del potere e della sua eloquenza formale-monumentale. Bloccato entro schemi rigidi e ripetitivi, il nuovo piano esecutivo segue tracciati regolari e simmetrici. L’asse centrale, allargato a dismisura, smarrisce la propria identità architettonica. Gli spazi verdi sono relegati nelle zone periferiche. Il lago perde il suo ruolo di elemento naturale, sostituito da una serie di grandi vasche rettangolari con funzione puramente scenografica. Con la cancellazione delle relazioni tra gli spazi la città razionalista scompare per lasciare posto a una città monumentale, scenografica, autoritaria, che riprende –in peggio– il modello della città ottocentesca.
  • 10. E42, vista a volo d'uccello del progetto definitivo, il sistema di piazze EUR, vista aerea del nucelo monumentale oggi L’impianto urbano riprende lo schema urbanistico tipico delle città romane: un ampio viale centrale in direzione Nord Sud (cardo) –viale dell’Impero attuale via Cristoforo Colombo- tagliato trasversalmente da strade secondarie (decumani) che dividono l’area in isolati. Le origini classiche si ispirano anche agli archetipi delle Agorà e dei Fori con le architetture dei propilei e delle esedre che dovevano inquadrare le viste e condurre agli edifici di maggiore rappresentatività (come nella sequenza delle piazze e in particolare nella grande piazza centrale con gli edifici dei musei oggi piazza Guglielmo Marconi). L’ossatura generale del Piano si attestò sulla via Imperiale come cardo massimo, un nuovo asse che avrebbe congiunto Roma al mare, dal significato rappresentativo che svolse il
  • 11. compito di connessione tra la città storica e quella moderna, offrendo una visione simile a quella dei Fori e dei mercati Traianei; E42, i riferimenti spaziali. i mercati traianei sull’asse che congiunge il Palazzo dei Congressi e il Palazzo della Civiltà e del Lavoro come decumano massimo; all’incrocio tra queste due vie si innesta la Piazza Imperiale, ripartita lungo i due assi (con a sinistra la Città della Scienza ed a destra la Città dell’Arte). Il sistema del cardo e del decumano riconduce all’acropoli di Selinunte e all’agorà di Mileto, Acropoli Selinunte
  • 12. Agorà Mileto E42, i riferimenti spaziali. ricostruzione del foro di Pompei la forma pentagonale dell’impianto riprende la pianta di Versailles di Blondel,
  • 13. Versailles così come le aree verdi echeggiano Villa Aldobrandini a Frascati. Tuttora il Viale della Civiltà e del Lavoro, che collega il Palazzo dei Congressi al Palazzo della Civiltà Italiana, ricorda il quadro rinascimentale della Città Ideale in chiave razionalista. E42, i riferimenti spaziali. la città ideale -tavola di Urbino, anonimo Una città perfetta, ordinata e razionale, disegnata con riga e compasso, ispirata al mito rinascimentale della città ideale ed evocativa di atmosfere metafisiche.
  • 14. E42, i riferimenti spaziali. piazza d'Italia, Giorgio De Chirico, 1913 La struttura definitiva dell’Esposizione, redatta nel ’39, contemplò significative modifiche nella sistemazione del primo piazzale d’ingresso con l’introduzione delle esedre dei due edifici dell’INA e dell’INPS, nella zona del grande bacino artificiale del Lago e in quella retrostante la sistemazione del giardino delle cascate. I lavori (drasticamente rallentati dalla situazione bellica) si interruppero solo tre anni dopo, proprio nell'anno 1942 nel quale, il complesso avrebbe dovuto essere inaugurato. L'esposizione non ebbe mai luogo e il progetto originario non fu mai portato a termine.
  • 15. L'area dell'E 42 alla fine della guerra La costruzione del quartiere fu ultimata solo alla fine degli anni cinquanta, in preparazione ai Giochi della XVII Olimpiade, che si sarebbero tenuti a Roma nel 1960: vi fu il completamento di alcune infrastrutture, come il Palazzo dello Sport progettato da Pier Luigi Nervi e Marcello Piacentini, il Velodromo Olimpico (demolito nel 2008), il Palazzo di vetro dell'ENI, nonché con il conferimento dell'attuale impronta al Laghetto dell'EUR e alla zona verde limitrofa. Le Opere Per realizzare le opere più importanti, che saranno sede delle esposizioni, vengono indetti vari concorsi nazionali. l'area dell'EUR nel 1960
  • 16. Palazzo della Civiltà Italiana Guerrini, La Padula, Mario Romano Il Palazzo della Civiltà Italiana all’EUR è sicuramente “il monumento più discusso, meno amato, ma anche più familiare e famoso della Roma moderna” (Sergio Poretti). Da un lato la sua difficile identità funzionale lo ha reso sempre un oggetto misterioso e spesso inutilizzato, al contrario la sua figura così perfetta ed inequivocabile ha trasformato il Palazzo nel monumento simbolo di un quartiere e forse, impropriamente, di un preciso periodo storico. Nel Luglio del 1937 viene bandito un concorso nazionale per la seconda delle quattro principali costruzioni permanenti dell’Esposizione universale di Roma in occasione del ventennale fascista (il programma comprende, oltre al palazzo, quello dei Ricevimenti e dei Congressi, la Piazza Imperiale e la Piazza ed Edifici delle Forze armate). Il palazzo deve inizialmente ospitare la mostra della civiltà italiana, ed in seguito trasformarsi in museo permanente della civiltà italiana. Al termine del concorso vengono consegnati cinquantatre progetti. Tra i membri della commissione, oltre a Marcello Piacentini, deus ex machina dell’architettura del ventennio, figurano Giuseppe Pagano, Giovanni Michelucci e Piero Portaluppi. I lavori della giuria si concludono il 16 Dicembre dello stesso anno. I cinque finalisti sono Ugo Luccichenti, Mario Ridolfi, Umberto Nordio e due raggruppamenti, il primo formato da Gian Luigi Banfi, Lodovico Barbiano di Belgioioso, Enrico Peressutti, Ernesto Nathan Rogers e Gaetano Ciocca, il secondo da Giovanni Guerrini, Ernesto La Padula e Mario
  • 17. Romano. La commissione, all’unanimità, assegna il primo premio al progetto del gruppo Guerrini, La Padula, Romano. G.L. Banfi, L. Barbiano di Belgioioso,G. Ciocca, E. Peressutti, E. Nathan Rogers Ugo Luccichenti
  • 20.
  • 21. I.Gardella, Giancarlo Palanti, G.Romano D. Ortensi, C. Pascoletti, G.Santi
  • 22. G. Samonà, G. Viola I risultati del concorso mostrano il deciso trapasso del razionalismo europeo a favore di una ricerca compositiva più figurativa e più direttamente legata all’antichità classica. Il progetto vincitore, infatti, come molti altri progetti presentati, allude chiaramente ai grandi tempi del
  • 23. passato, costruito su un alto basamento, in cui “l’elemento dell’arco romano […] è stato adottato nei suoi classici rapporti e composto in un ritmo che si manifesta come massa unitaria e modernissima” (dalla relazione di progetto). Come documentato nella fitta corrispondenza epistolare, non poche sono le modifiche apportate da Piacentini al progetto di concorso: non più otto piani con file di tredici archi, ma sei piani con 9 arcate per piano, il coronamento è sormontato da un’ampia fascia piena, tuttavia la proposta piacentiniana di inserire un grande portale centrale in corrispondenza dell’ingresso non viene recepita dai progettisti, come quella di decorare le volte dei porticati. Lo stile del regime impone all’edificio il suo rivestimento: dal 1938 vengono infatti banditi il cemento ed il ferro per gli edifici, a favore dei tradizionali materiali lapidei italiani. Tuttavia questo nuovo colosseo quadrato è un ibrido costruttivo “autarchicamente imperfetto […] in esso convivono in modo apparentemente contraddittorio la muratura con lo scheletro di cemento armato, il rivestimento lapideo con i grandi serramenti in acciaio, i solai laterocementizi con i lucernarui di vetrocemento” (Rosalia Vittorini). Progetto Vincente: Giovanni Guerrini, Ernesto B. La Padula e Mario Romano «un enorme cubo di circa sessanta metri di lato, le cui pareti verticali sono divise in otto piani con tredici archi per ciascuno». Palazzo della Civiltà Italiana, 1938-1953, disegno diprogetto
  • 24. il Palazzo della Civiltà Italiana visto dal Palazzo dei Congressi Architettura di pura forma, senza alcuna decorazione che ne denunci l’appartenenza stilistica, il palazzo, decorato con 28 statue che rappresentano arti e mestieri della tradizione italiana,è una vera e propria scultura all’aperto. La forma semplice e perentoria del cubo rivestito di travertino, sommata all’enfatica ripetizione degli archi a tutto sesto che si aprono sulle quattro facciate, rispondono all’esasperata ricerca di un’immagine fortemente simbolica ed evocativa: una specie di riproposizione in versione moderna del Colosseo. Palazzo della Civiltà Italiana, 1938-1953, la dedica in facciata
  • 25. Palazzo della Civiltà Italiana, 1938-1953, suggestioni metafisiche Palazzo della Civiltà Italiana, 1938-1953, suggestioni metafisiche La distribuzione interna prevede un singolare e innovativo percorso a ritroso, cioè dall’alto verso il basso. I visitatori, infatti, salgono all’ultimo piano per mezzo di ascensori, da dove poi intraprende il percorso espositivo scendendo a piedi ai vari piani inferiori, fino a ritornare a terra.
  • 26. Usato come museo solo in occasione dell’Esposizione internazionale dell’Agricoltura del 1953, l’edificio viene dato in uso dall’Ente Eur per circa tre decenni alla Federazione nazionale dei Cavalieri del lavoro che vi colloca i suoi uffici. A fine anni ottanta si avvia una riflessione sul suo stato di conservazione e sulla sua riconversione e, grazie a un accordo tra l’Ente Eur e il Ministero per i Beni e le attività culturali, prende consistenza l’ipotesi di destinarlo al MAV-Museo nazionale dell’audiovisivo, espletando nel 2002 anche un concorso internazionale di idee vinto dallo studio francese Ibos & Vitart. Al centro di approfonditi studi e sottoposto a tutela, tra il 2003 e il 2010 l’edificio è prima oggetto di un «restauro monumentale» relativo alle superfici lapidee e poi di un intervento di ristrutturazione e adeguamento normativo degli interni. Nel 2011 si delinea un’ulteriore possibilità di valorizzazione, promossa dal Ministero per lo Sviluppo economico, che affianca al MAV l’Esposizione permanente del Made in Italy e del design italiano. Nel luglio 2013, in antitesi ai precedenti programmi di valorizzazione pubblica, un accordo tra Eur spa e il polo francese Louis Vuitton Moët Hennessy prevede la locazione per 15 anni del palazzo e la sua trasformazione in casa del marchio Fendi. A tal fine sono stati effettuati ulteriori lavori di ristrutturazione curati dall’architetto Marco Costanzi ed è stata studiata dall’artista della luce Mario Nanni una nuova illuminazione. L’accordo prevede di destinare l’intero piano terra del palazzo a spazio espositivo liberamente fruibile per eventi legati al design, all’arte, alla creatività e artigianalità italiane. Purtroppo, è preclusa al pubblico la terrazza che consente una delle più belle viste panoramiche sulla città, mentre, almeno allo stato attuale, la fruibilità del basamento è limitata alla porzione antistante il prospetto principale. L’iniziativa targata Fendi rappresenta un’ulteriore occasione per riflettere sulla sinergia tra pubblico e privato nella gestione e valorizzazione del patrimonio culturale e architettonico collettivo.
  • 27.
  • 28. E.D. Stone, Perpetual Savings and Loan Association
  • 29. Office Building and Bank, Los Angeles, California, 1961 Arco degli Eroi, Mosca (non realizzato)
  • 31. Palazzo dei Congressi Adalberto Libera ( 1938-1954) il Palazzo dei Congressi visto dal palazzo della civiltà italiana In collegamento visivo con il palazzo della Civiltà italiana il Palazzodei Ricevimenti e delle Feste (oggi palazzo dei congressi), realizzato dall’architetto razionalista Adalberto Libera è una delle opere più significative dell’architettura italiana del Novecento. Concepito sostanzialmente come un contenitore di spazio, è costituito da un blocco a pianta rettangolare nel quale trovano posto, su lati contrapposti, gli spazi destinati alle due diverse funzioni. Prospiciente la piazza monumentale, ora Piazza Kennedy, si trova la sala dei ricevimenti, il cui padiglione si innalza con un volume cubico e coperto da una crociera di archi ribassati che disegnano un’apertura a falce su ogni faccia. Sul lato opposto è collocata la sala dei congressi, la cui copertura ospita invece un teatro all’aperto. Il progetto è basato su una chiara modularità ed è costituito sostanzialmente da tre corpi: – Il basamento, un parallelepipedo di 75×135 m in pianta e 15m in altezza, che comprende il fronte colonnato principale, aperto verso l’attuale piazza Kennedy, il fronte secondario (su Piazzale Arte) che è costituito da un’ampia vetrata arretrata (alta 10 e larga 65 m) sorretta su pilastrini metallici fusiformi, e i volumi di servizio. – Il salone della Cultura o Sala dei Ricevimenti, un cubo di 45 m per lato che emerge per 27 m dal basamento. I corpi scala e i ballatoi sono adiacenti alle pareti interne e questo definisce all’interno del cubo un volume libero. Questo spazio, che di fatto costituisce l’elemento principale dell’intera composizione, presenta una copertura a volta a crociera ribassata le cui nervature sono costituite da 2 travi metalliche Vierendeel ad arco, incrociate a 90° e disposte lungo le diagonali del quadrato di base del corpo di fabbrica.
  • 32. – La Sala dei congressi, ristrutturata dall’Arch. Paolo Portoghesi e oggi denominata Auditorium Capitalis, è posta sul retro dell’edificio, verso Piazzale Arte. Lo spazio interno è scandito dalla successione di 13 telai in cemento armato ( con una luce di 28m) che sorreggono una soletta di cemento armato. Al secondo piano in corrispondenza dell’auditorium, trovano spazio le gradinate del teatro all’aperto. Palazzo dei Congressi, 1938-1954, il pronao di ingresso Palazzo dei Congressi, 1938-1954, la facciata sul teatro all'aperto
  • 33. Palazzo dei Congressi, 1938-1954, l'ingresso
  • 34. Palazzo dei Congressi,1938-1954,interno Il vincitore del concorso per il Palazzo dei Ricevimenti e Congressi sarà invece Adalberto Libera il cui progetto si caratterizza per il fatto che avrebbe potuto “contenere esattamente il Pantheon di Roma”, in un ideale rapporto con l’architettura romana.
  • 35. Alla fine però si realizzerà un’altra versione dell’edificio, in cui l’architetto rinuncia alla soluzione della pianta circolare a favore di un parallelepipedo. Palazzo dei Congressi, 1938-1954, alzato di progetto Nel nuovo Palazzo dei Ricevimenti e Congressi di Libera lo spirito moderno riesce comunque a entrare, sebbene per così dire dalla porta posteriore, grazie all’uso di grandi vetrate. Si tratta di due curtain wall che esprimono tutto il fascino del linguaggio del movimento moderno internazionale, anche se per ovvie ragioni l’architetto credette opportuno smussare in qualche modo la loro originalità. Così la vetrata anteriore, che doveva affacciarsi sulla piazza antistante, verrà nascosta dietro a uno smisurato colonnato improntato al più classico stile fascista. Nonostante i vincoli imposti dal regime fascista, che nell'EUR vedeva la prima, vera grande occasione di creare ex novo una propria cifra architettonica che richiamasse esplicitamente i fasti imperiali di Roma[9], il progetto di Libera, pur se parzialmente sottostante alle direttive
  • 36. governative, è anche quello che da esse figurò più intellettualmente indipendente[10]: Libera infatti, evitando il monumentalismo accentuato del Palazzo della Civiltà Italiana[9] o della citata esedra, riuscì a concepire un volume capace di sottrarsi alla datazione del proprio tempo[10]; l'unica struttura che tradisce l'epoca di origine del manufatto è il colonnato frontale che l'architetto, nel cambiato clima culturale del dopoguerra, affermò di non aver potuto evitare di costruire nonostante i suoi tentativi[11]. Anche lì, tuttavia, Libera riuscì a elaborare una soluzione che, se pur parzialmente compromissoria, tolse preminenza alla funzione della colonna e la pose quasi in secondo piano, riducendo tale elemento a una specie di pilastro rivestito in travertino con compiti più di sostegno che ornamentali[9]. In un suo studio del 2002 Garofalo[12] rileva che la monumentalità del prospetto sarebbe stata accentuata dall'eventuale posa in opera, mai realizzata, della scultura di una quadriga di Francesco Messina sulla mensola in aggetto realizzata al centro della facciata[12]; per Quilici la realizzazione, tuttavia, comprova l'inattualità del «tentativo di Libera di porre le basi di una nuova, moderna, architettura di Stato»[13]. Arena cinematografica sulla terrazza (1959) La realizzazione in cemento armato del palazzo è mascherata dal rivestimento murale interamente in travertino, il che conferisce all'opera quel carattere di monumentalità richiesto dalle direttive fasciste in fase di ideazione del quartiere. Dal punto di vista urbanistico il Palazzo dei Congressi costituisce l'estremo sud-orientale di uno dei tre assi trasversali che tagliavano la Via Imperiale (oggi via Cristoforo Colombo) e che avrebbero dovuto marcare le varie sezioni tematiche dell'Esposizione[9]; più precisamente, venendo da Roma, il Palazzo sorge sul primo di tali tre assi, quello che all'estremo opposto si conclude con il Palazzo della Civiltà Italiana (gli altri due sono l'attuale viale della Civiltà Romana, all'altezza di piazza Guglielmo Marconi, e viale Europa, dalla basilica di ss. Pietro e Paolo all'Archivio Centrale dello Stato[9]. La costruzione del Palazzo dei Congressi, almeno nei suoi elementi fondamentali, nel 1943 era ultimata; tuttavia lo spostamento del fronte di guerra, che aveva lasciato Roma fuori dagli eventi bellici fino all'Armistizio, fermò di fatto qualsiasi lavoro; in seguito gli edifici dell'EUR all'epoca già completati servirono dapprima come accampamento per le truppe tedesche, poi alleate e infine, nell'immediato dopoguerra, come rifugio di sfollati[15]. Dopo la guerra si dovette attendere la costituzione dell'Ente EUR che prendesse in carico le infrastrutture esistenti e riqualificasse la zona, destinata a diventare il punto d'aggregazione direzionale della Capitale. I lavori sul Palazzo dei Congressi ripresero nel 1952; all'epoca, sulla parete di sfondo dell'atrio, era già presente un affresco allegorico di Roma trionfante, opera di Achille Funi[16]; durante i lavori successivi Gino Severini realizzò un dipinto su masonite raffigurante momenti di vita agreste, in tema con la mostra dell'Agricoltura che si tenne nel 1953 nei palazzi dell'EUR
  • 37. I Progetti Alternativi Il 20 giugno 1937 viene pubblicato il bando di concorso per il Palazzo dei Ricevimenti e dei Congressi al quale partecipano 41 concorrenti. Tra i progetti presentati al concorso figurava — oltre a quello vincitore di Adalberto Libera — quello dei comaschi Giuseppe Terragni, Cesare Cattaneo e Pietro Lingeri, che si classificò al secondo posto; l'esclusione di questi ultimi spinse Giuseppe Pagano a parlare nel 1941 di «occasione perduta» e a criticare l'operato della commissione («…era così concorde il giudizio della maggioranza sui progetti più vistosamente affidati al compromesso, che ogni lotta per salvare i migliori poteva rasentare l'assurdo di una fissazione paranoica». C.Cattaneo, P. Lingeri, G.Terragni Cattaneo, Lingeri e Terragni consegneranno 15 tavole il 15 ottobre dello stesso anno. La pianta del palazzo è un grande rettangolo aureo; nel gioco delle proporzioni sono coinvolte anche il piazzale antistante e le rampe. "La sostanza profonda del classico, quella che individua la nostra tradizione plastica e la sua continuità spirituale, e perciò deve legittimamente entrare anche nelle moderne architetture, è, al di fuori di ogni formalismo, nel sapere costantemente organizzare gli spazi e gli elementi espressivi in una disciplina geometrica elementare, che seguendo le leggi matematiche sopravvive alla rovina della materia". (estratto dalla Relazione al concorso di 1° grado). Cattaneo, Lingeri e Terragni nei due progetti (1° e 2° grado) rispondono alle istanze di monumentalità espresse dal regime con un volume di una semplicità, purezza, compattezza ed omogeneità elementari, puntando su una forma elementare di straordinaria efficacia. L'elementarismo come una delle chiavi della compatibilità tra classicismo mediterraneo e modernità. "... l'articolazione del volume di fonda su una formula tettonica ben definita: la pilastrata .... all'italiana ... Si tratta di una griglia regolare di pilastri e travi che, da un lato, assume il carattere strutturale del telaio in cemento armato o in acciaio, e in ciò consiste il suo tasso di modernità; dall'altro però .... è prospettata come nuova edizione del sistema trabeato, elemento caratterizzante del classicismo mediterraneo.... La pilastrata ... al gruppo comasco appare suscettibile di essere strategicamente sviluppata e originalmente rielaborata per rispondere anche alle esigenze dell'autarchia". (S.Poretti - T.Iori, "I progetti romani e l'autarchia", in: Pietro Lingeri 1864-1968, 2005). Il concorso di II grado viene espletato tra il novembre 1937 e il febbraio 1938. Proprio l'argomento della pilastrata è oggetto delle principali modifiche nel progetto di II grado: due modifiche efficaci per aumentare vistosamente il "grado autarchico" dell'edificio. Si rinuncia alle grandi luci di circa 10 metri della maglia strutturale per adottare il ritmo alternato "abab" (con il valore di a pari alla metà di b) per evitare che le luci superino i 6 metri. "Ma la vera trovata ... su cui il gruppo insiste ... viene dallo sviluppo della soluzione del pilastro binato. La scomposizione di ciascuno dei pilastri in due elementi .... viene adesso portata avanti arrivando ad ipotizzare due pilastri di materiali diversi, staccati: un monolite di granito .... e, distanziato di appena 10 centimetri, un pilastrino di cemento poco armato... Si tratta ... di una strategica combinazione tra sistema architravato e sistema intelaiato". (S.Poretti - T.Iori, opera citata).
  • 38. Per il gruppo comasco le esigenze autarchiche devono dunque essere occasione di sperimentazione e non di ritorno alla tradizione: il cemento debolmente armato e non la costruzione muraria tradizionale. Ma ciò che manca alla proposta di Cattaneo, Lingeri e Terragni è l'intento di celebrare in modo grandioso il legame tra fascismo e romanità: il nuovo stile littorio imposto dal regime si scontra inevitabilmente con l'ennesima proposta per una moderna architettura di Stato, determinando l'insuccesso del gruppo comasco e, per usare le parole di Pagano, un ennesimo esempio di Occasioni perdute.
  • 39. Progetto Cattaneo Lingeri Terragni D. Bernardini, G. Peressutti 1° grado
  • 40. 2° grado F. Fariello, S.Muratori, L.Quaroni
  • 42. 2° grado A. Adriani, L. Bellante, A. Luccichenti, V. Monaco
  • 44. Massimo Castellazzi, Pietro Morresi, Annibale Vitellozzi
  • 45. Emanuele Mongiovì Giulio Zappa Il Palazzo dei Congressi sede olimpica Nel 1955 il Comitato Olimpico Internazionale, nella sua cinquantesima sessione di Parigi, assegnò a Roma l'organizzazione dei giochi della XVII Olimpiade del 1960[18]; ciò diede lo spunto per completare opere già esistenti e avviare la costruzione di nuove. Furono individuate due zone principali per le gare; una, la zona settentrionale presso il Foro Italico, dove sorgono lo Stadio Olimpico, il Flaminio, quello dei Marmi e quello del Nuoto; l'altra, quella meridionale con attrezzature tutte ancora da realizzare, localizzata proprio all'EUR; di fianco alle strutture nuove progettate appositamente per l'appuntamento olimpico (Palazzo dello Sport, Velodromo, Piscina delle Rose), si decise di utilizzare anche il Palazzo dei Congressi, per usi sia cerimoniali che agonistici[19]. In fase di definizione del calendario degli eventi sportivi, in virtù delle caratteristiche dell'edificio (come detto, ampi volumi e facilità di accesso), si decise di assegnare al Palazzo dei Congressi lo svolgimento delle gare di scherma[20].
  • 46. Fu quindi approntata un'area di servizio consistente in 20 spogliatoi per complessivi 380 atleti[21] e installata una tribuna mobile a cura dell'impresa Cucinotta[22]; furono installate 70 postazioni stampa[19] per complessivi 686 accrediti e, inoltre, la Banca Nazionale del Lavoro, ufficialmente incaricata dei servizi di tesoreria per i Giochi, ivi installò un proprio sportello temporaneo facente funzioni di cassa, ufficio di cambio e altri servizi finanziari[23]. Il 19 agosto 1960, inoltre, il Palazzo ospitò la cerimonia inaugurale della 57ª sessione del Comitato Olimpico Internazionale[24]. Roma Convention Center Studio Fuksas Il Roma Convention Center - La Nuvola ha assunto la denominazione giornalistica di "Nuvola di Fuksas", con riferimento al peculiare disegno dell'auditorium interno alla "teca" in vetro e acciaio) Progettato dallo Studio Fuksas e realizzato dalla società Condotte SpA a partire dal 2008, consiste in un centro congressi in grado di ospitare eventi di varie tipologie, da convegni ed esposizioni fino a mostre e spettacoli. Si sviluppa su un'ampiezza complessiva di circa 55 000 m², tra viale Cristoforo Colombo, viale Europa, viale Shakespeare e viale Asia. I volumi principali del complesso sono costituiti dall'auditorium da 1.850 posti (1.900 m²), dalle sale conferenze (1.330 m² totali), dal foyer dell'auditorium (3.500 m²), dal forum/foyer di 5.580 m², da un'area commerciale di 3.300 m². Nel 2012 ha ricevuto a Londra il premio Best Building Site del Royal Institute of British Architects. Nel giugno 1998 il comune di Roma (amministrato da Francesco Rutelli) e l'allora Ente Eur (divenuto S.p.A. nel 2000) indissero un concorso internazionale di architettura per la progettazione del nuovo Centro Congressi Italia. La giuria internazionale, presieduta da Norman Foster, il 16 febbraio 2000 proclamò vincitore il progetto presentato da Massimiliano Fuksas.
  • 47. Il bando di gara per la progettazione, costruzione e gestione del centro congressi fu indetto nel 2001. La gara fu vinta nel 2002 dalla Centro Congressi Italia Spa (CCI Spa) che l'anno successivo firmò una concessione trentennale[1]. Il contratto tra la società concessionaria e l'EUR Spa fu risolto nel 2005, dopo che la concessionaria aveva previsto un aumento dei costi da 200 a 250 milioni di euro. Il progetto esecutivo, redatto da Fuksas, fu approvato nel marzo 2007; allo stesso tempo fu pubblicato il bando di gara per la sua costruzione. Foyer del Centro Congressi La posa della prima pietra avvenne l'11 dicembre 2007 alla presenza del progettista Massimiliano Fuksas e di varie autorità, tra cui l'allora sindaco di Roma Walter Veltroni[2]. I lavori iniziarono nel mese di febbraio 2008[1]. Il costo previsto all'inizio, di 275 milioni di euro (con l'appalto aggiudicato per 272 milioni[3]), il consuntivo finale risulterà poi essere di 238,9 milioni di euro[4]. Viene inaugurato il 29 ottobre 2016 alla presenza del presidente del consiglio Matteo Renzi, del sindaco di Roma Virginia Raggi e dell'architetto Massimiliano Fuksas in una diretta su Rai 1[8]. Il progetto del nuovo Centro Congressi si sviluppa in tre organismi distinti:  La parte interrata, che comprende le sale auditorium/polivalenti minori, le sale meeting, il concorse (spazio che mette in comunicazione le due entrate), i servizi annessi e un parcheggio;  La "teca", che ospita la cosiddetta "Nuvola", l'auditorium da 1850 posti;  La "lama", un hotel di 441 stanze. La teca La teca è l'edificio poligonale in vetro, acciaio e pietra che contiene la "nuvola", l'auditorium che caratterizza l'intero Centro Congressi. L'involucro è costituito da una doppia parete-facciata e ha compiti isolanti e di protezione dai raggi solari e contiene zone e percorsi d'emergenza, aerati da perforazioni della parete esterna.
  • 48. La nuvola La "nuvola" è la struttura caratteristica del progetto e contiene l'auditorium da 1.850 posti e i relativi servizi (foyer, bar, guardaroba, bagni, camerini, sale traduzioni e deposito). È collegata alla "teca" per mezzo di passerelle sospese e tramite lo "scafo", la struttura portante principale. L'auditorium può costituire un sistema indipendente rispetto alle altre attività congressuali. Il sistema di prevenzione incendi del Nuovo Centro Congressi di Roma rappresenta un esempio importante di come possono essere affrontate problematiche di edifici complessi con l’approccio ingegneristico alla sicurezza antincendio[9]. La Lama L'albergo con alti standard qualitativi è costituito da 449 stanze, divise in camere standard e in suite negli ultimi due piani. L'edificio si sviluppa per un'altezza complessiva di 56 metri, composto da 17 piani esterni. L'ingresso principale è situato su viale Europa[9]. L'hotel è stato venduto il 15 dicembre 2017 alla società Icarus Spa per una cifra di poco superiore ai 50 milioni di euro[10]. PALAZZO DELLE POSTE E TELEGRAFI (BBPR 1939-42) palazzo delle poste e telegrafi, 1939-1942, la facciata principale in una foto d'epoca Il progetto dell'Edificio delle Poste dell'EUR 42, previsto nel Piano regolatore del 1937 e confermato in quello del 1938, fu affidato allo studio milanese BBPR (Ernesto Nathan Rogers, Gian Luigi Banfi, Enrico Peressutti e Lodovico Barbiano di Belgiojoso). La prima stesura del progetto prevedeva tre corpi paralleli collegati tra loro, ipotesi variata poi in 2 corpi per intervento dell'Ente sui progettisti. Dopo l'estromissione di Ernesto Rogers, in quanto ebreo, per effetto delle leggi razziali fasciste, e per l'assenza di Banfi e Belgiojoso per ragioni belliche, rimase il solo Peressutti a occuparsi della costruzione dell'edificio. Il 27 luglio 1938 fu ufficialmente ratificata la costruzione dell'edificio con una spesa di £ 7.000.000. I lavori iniziano nel giugno del 1939 per terminare il 24 agosto 1942, con inaugurazione nel settembre dello stesso anno, anche se, per alcuni particolari interni, si continuerà a lavorare sino al 10 giugno 1943. Dal 1943 al 1947 l'edificio fu occupato a vario titolo prima dalle truppe tedesche e poi da quelle americane, che lo usarono come centro postale e telefonico della zona sud di Roma. La costruzione, nel dopoguerra, e negli anni '50, fu sottoposta a diversi interventi di modifica.
  • 49. Nel 1953, in occasione della Mostra internazionale dell'Agricoltura, l'Ufficio fu definitivamente riaperto. Il progetto del gruppo milanese BBPR (Banfi, Belgiojoso, Peressutti e Rogers), testimonia le possibilità di quella che sarebbe potuta essere un’altra idea di EUR. Il fronte principale si presenta come una superficie unitaria rivestita in travertino che si stacca dalle pareti laterali.
  • 50. palazzo delle poste e telegrafi, 1939-1942, l'ingresso palazzo delle poste e telegrafi, 1939-1942, dettaglio
  • 51. palazzo delle poste e telegrafi, 1939-1942, la facciata posteriore La parete posteriore è invece caratterizzata dalla cadenza della maglia strutturale su tre livelli e un basamento. La caratterizzazione della partizione orizzontale permette di soddisfare l’esigenza di memoria classica che ritroviamo in forme più banali in tutti gli altri edifici Dalla fine della guerra (1945) e fino al 1955 l’EUR si avvia al consolidamento e al pieno funzionamento del centro monumentale per poi iniziare la costruzione legate i particolar modo ai lavori per le Olimpiadi di Roma. PALAZZO DELLO SPORT (NERVI, PIACENTINI 1958-1960) Palazzo dello Sport. 1958-1960, sezione di progetto
  • 52. Palazzo dello Sport. 1958-1960, in una foto d'epoca Realizzato in occasione dell’Olimpiade di Roma, riprende la collocazione dell'Arco dell’Acque e della Luce previsto per l’esposizione del 1942, ma mai realizzato. Nella sua realizzazione definitiva il Palazzo dello Sport presenta due ordini di gradinate per un totale di circa 12 000 posti. Capace di ospitare fino a 16.000 persone l’edificio è costituito da una cupola sferica del diametro di circa 100 m e spessa solo 9 cm, che copre la sala centrale ed è percorsa da 144 nervature di irrigidimento; in pianta l’edifico si sviluppa per cerchi concentrici. La spinta della cupola e trasmessa a terra da pilastri inclinati a mascherare i quali -e celare l’andamento curvilineo delle gradinate, una facciata continua completamente vetrata conferisce al Palazzo la sua tipica forma cilindrica. Palazzo dello Sport. 1958-1960,i pilastri inclinati nei percorsi perimetrali
  • 53. PALAZZO ENI (Bacigalupo, Ratti 1958-1961) Il palazzo dell'ENI, 1958-1961 visto dal laghetto dell'EUR Il palazzo ENI è uno degli edifici simbolo della nuova espansione dell’EUR negli anni Sessanta. Nonostante la fredda esibizione tecnologica che rimanda alle architetture dell’ultima fase creativa di Mies van der Rohe il valore di questo edifici, una semplice ed elegante scatola di 21 piani, è nella proposizione di una estetica International Style che rappresenta una ventata di novità, da città “americana”, con un forte effetto urbano; un segno deciso e dirompente rispetto alla monotonia e al candore dell’EUR metafisico. In particolare è da sottolineare anche la misura con cui questo oggetto architettonico si inserisce nel contesto in rapporto alla depressione orografica e alla posizione ai margini del laghetto.
  • 54. Il palazzo dell'ENI, 1958-1961 dettaglio della facciata Le due facciate principali sono in curtain-wall verde-azzurro con finestre non apribili perché tutto l’edificio è areato artificialmente; la facciata esibisce anche la struttura portante un lineare scheletro in acciaio formato da dodici telai e da travi trasversali. Il rilancio del quartiere, portò l'EUR a svilupparsi, dopo le Olimpiadi, ben oltre i confini dell'originale pentagono, ma ciò non ha impedito all'antico centro di mantenere il fascino di scenografia perfetta per il cinema. Nell'immaginario di molti registi italiani, infatti, l'EUR diventò uno spazio urbano dalle straordinarie potenzialità, primo fra tutti Federico Fellini. Piazza Imperiale 1937, Francesco Fariello, Saverio Muratori, Ludovico Quaroni Cuore del sistema E.42, piazza Imperiale si presenta nel piano come un vasto foro colonnato con quattro edifici baricentrici che ospitano i Musei delle scienze, etnografico, dell’arte antica, dell’arte moderna ed un cinema teatro. Nella prima versione del progetto del gruppo romano, che vincerà il concorso ex aequo con Luigi moretti, i musei ai quattro lati della piazza si trovano ad una quota più elevata rispetto al piano stradale: il collegamento fra i livelli è assicurato da scalee e l’uniformità delle facciate dalla continuità dell’ordine gigante. Al centro della piazza era previsto un obelisco sottile. La via Imperiale, arteria di scorrimento veloce che si snoda dal Circo Massimo al mare, nella prima ipotesi del Piano dell’E.42 correva interrata al centro del quartiere, attraversata da cavalcavia. I concorsi si succedono per l’impianto urbanistico della piazza e per gli edifici dei musei e del cinema teatro, affidato nel progetto definitivo a Luigi Moretti. Un bozzetto di fontana con le storie di Enea era stato richiesto da Ludovico Quaroni allo scultore Fausto Melotti.
  • 55. Primo Ex Aequo Luigi Moretti
  • 56.
  • 57. La sintesi tra il progetto del gruppo Fariello Muratori Quaroni e quello di Moretti, pur mantenendo la simmetrica costruzione di quattro musei, apporta agli alzati delle varianti fondamentali. Per uniformarsi al doppio ordine del teatro il colonnato è sospeso su di un porticato. L’ordine gigante si mantiene nel diaframma che garantisce trasparenza e unitarietà della piazza. Persino l’obelisco non è più quello “sottile come un ago”, pensato da Quaroni. I musei del gruppo Quaroni si differenziano in pianta dagli altri due, etnografico e della scienza, progettati da architetti diversi. Tema della composizione, la simmetria dei percorsi organizzati attorno allo spazio circolare centrale. Delle colonne e dei debiti con l’architettura nordica, da Paul Bonatz a Gunnar Asplund, parlerà lo stesso Quaroni. (a g) Altri Progetti Luigi Brusa, Gino Cancellotti, Eugenio Montuori, F. Scalpelli Massimo Castellazzi, Pietro Morresi, Annibale Vitellozzi
  • 59.
  • 60. F. Petrucci, E. Tedeschi Claudio Longo Gerace N. Berardi, I. Gamberini
  • 61. C. Cocchia, G. De Luca
  • 62. G. Torres, D. Wenter, Marini, F. Spellazon, M. Piovan
  • 63. Palazzo dell’arte Antica (Spazio 900) Progettisti: F.Fariello, S.Muratori, L.Quaroni. Superficie coperta: mq 8.000; mc 163.000. Inizio e fine lavori: 1939-1942 Il Palazzo è una delle quattro architetture (unitamente al Palazzo dell'Arte Moderna, al Palazzo della Scienza Universale ed al Palazzo delle Arti e Tradizioni Popolari) previste e progettate nel piano urbanistico dell'E42 (Esposizione Universale di Roma) per costituire il nucleo centrale della rassegna espositiva, la Piazza Imperiale, che, nelle intenzioni dei progettisti, doveva rappresentare una grande agorà, di chiara matrice classica, dalla forte carica celebrativa. Come per il complesso di edifici contrapposti, anche il Palazzo dell'Arte Antica avrebbe dovuto trovare, quale collegamento architettonico con quello dell'Arte Moderna, il Teatro Imperiale progettato dall'architetto Moretti e purtroppo mai realizzato - se non per la parte in fondazione - a causa dell'interruzione dei lavori per lo scoppio della guerra. Il Palazzo presenta un corpo di fabbrica con una grande corte interna al centro della quale, in corrispondenza del piano terra, era originariamente previsto un grande spazio centrale, un giardino d'inverno porticato, elemento di grande suggestione, originariamente aperto nella parte superiore, oggi invece coperto e arricchito dalla presenza di un colonnato rivestito in pregiato marmo verde chiaro. Come il prospiciente Palazzo dell’Arte Moderna, è caratterizzato dalla presenza al primo piano di un grande salone monumentale a tutta altezza, decorato da due coppie di colonne in pregiatissimo marmo di portoro. Attualmente ospita, tra le altre cose, Spazio Novecento, locale “glamour” d'intrattenimento.
  • 64. Palazzo dell’arte Moderna (Carabinieri, CED) Progettisti: F. Fariello, S. Muratori, L.Quaroni. Superficie coperta: mq 8.000; mc 145.000. Inizio e fine lavori: 1939-1942. Come per gli altri edifici anche il Palazzo dell'Arte Moderna avrebbe dovuto trovare, quale collegamento architettonico con quello dell'Arte Antica, il Teatro Imperiale progettato dall'architetto Moretti e purtroppo mai realizzato - se non per la parte in fondazione - a causa dell'interruzione dei lavori per lo scoppio della guerra. Il Palazzo si riconnette all'intero complesso edilizio con, al piano terra, il doppio ordine porticato a pilastri quadrangolari rivestiti in travertino e con le colonne in cipollino che svettano a tutta altezza nel loggiato superiore. Il fabbricato è articolato attorno ad una grande corte interna su cui si affacciano i tre corpi principali ed altri due cortili di servizio laterali, originariamente organizzati in funzione degli spazi espositivi. All'interno la sequenza degli spazi è caratterizzata da tre grandi aree espositive rettangolari poste alla quota di ingresso verso la piazza, che anticipano un secondo ambiente sempre rettangolare caratterizzato da un armonioso pavimento e da sei colonne rifinite elegantemente in marmo breccia violetta. La sequenza procede oltre con un'aula centrale circolare contraddistinta da un impluvium e da un patio rettangolare, progettato con la funzione di illuminare alcuni ambienti espositivi interni, ma oggi in realtà completamente oscurato. Il Salone del primo piano è caratterizzato da una coppia contrapposta di colonne a tutta altezza rifinite in stucco e da una pavimentazione con trama e disegno in marmi policromi. Analogamente al vicino Palazzo dell'Arte Antica, un sistema porticato al piano terreno congiunge la parte centrale dell'edificio ad un'altra ala con destinazione espositiva, che avrebbe dovuto rappresentare l'elemento di chiusura spaziale verso il previsto Teatro Imperiale.
  • 65. Attualmente ospita la sede dei Carabinieri Comando Compagnia Eur (Min. Interno), il CED (Roma Capitale) e diverse attività commerciali. L’ordine architettonico è semplificato rispetto all’antico, ma studiato con cura dai progettisti: dalla proporzione classica dell’entasi e della rastremazione della colonna fino al disegno “al vero” del capitello e della sua deformazione angolare. E’ costituito da un’ossatura portante rivestita in marmo di Carrara; i ricorsi di altezza variabile sono composti da sei masselli centinati disposti a giunti sfalsati che creano una singolare sovrapposizione tra l’immagine della colonna e quella dell’opera muraria. Le colonne dei loggiati sono in rocchi monolitici di cappellaccio cipollino Aprano (verde d’Alpi) oggetto di controversie in corso d’opera, sia per i danni avuti durante la movimentazione da parte dell’impresa Serafini, sia per la bassa qualità del materiale che si è degradato al punto che il grigio del cemento marmoreo risulta prevalente rispetto alla venatura colorata. (a d f)
  • 66. Palazzo della Civiltà Romana Progettisti: P. Aschieri, D. Bernardini, C. Pascoletti, G. Peressutti. Superficie coperta: mq 12.500; mc 250.000. Inizio e fine dei lavori: 1939-1952.
  • 67. Fu costruito per ospitare la Mostra della Romanità. A differenza degli altri edifici dell’E42, il Palazzo presenta un'enorme massa muraria di rivestimento esterno, in bugnato di peperino scuro, che avvolge la quasi totalità delle facciate dell’edificio. Come il vicino complesso dell'Autarchia e del Corporativismo, anche questo Palazzo presenta un piazzale monumentale arricchito in origine da una vasca rettangolare e da un monumento equestre posto come fondale al porticato di collegamento tra i due corpi di fabbrica principali. Il complesso è caratterizzato da due ingressi monumentali contraddistinti da un ordine gigante di colonne e da un colonnato che collega le due parti di cui si compone l'edificio. Nella composizione delle facciate, oltreché nella organizzazione delle sale espositive interne, è evidente l’impostazione particolarmente scenografica che ha voluto conferire all'edificio l’architetto Aschieri, riprendendo temi ed iconografie fortemente legate alla romanità. Il Palazzo, progettato inizialmente con spirito altamente celebrativo, subì nel corso della sua realizzazione sostanziali mutamenti soprattutto per quello che riguarda la composizione e la distribuzione delle sale interne. Il sistema decorativo del grande piazzale interno avrebbe previsto, oltre al citato gruppo equestre, anche la presenza di sculture contrapposte in corrispondenza dei due monumentali ingressi sulla piazza interna. Anche in questo caso, però, i noti eventi bellici provocarono notevoli ritardi nel completamento del fabbricato che fu terminato soltanto nel 1952 ed aperto al pubblico nel 1955 come Museo della Civiltà
  • 68. Romana, esponendo un'immensa raccolta di gessi e calchi delle grandi opere d'arte del mondo greco-romano. Nell'estate del 2004 l'edificio ha accolto il Planetario di Roma, precedentemente ospitato presso le Terme di Diocleziano, con il Museo Astronomico di Roma. Tutte le strutture sono state temporaneamente chiuse nel marzo 2014 per lavori di adeguamento (Leggi gli articoli sulla chiusura delle due strutture del 28 marzo 2014). L’edificio, commissionato dalla FIAT del senatore Giovanni Agnelli, persegue il costante richiamo alla Roma imperiale attraverso l’urbanistica (impianto viario a maglia ortogonale) e l’architettura (forma e materiali degli edifici che costituiscono tutta l’area). Il complesso architettonico del Museo della Civiltà Romana infatti si posiziona sull’asse ortogonale al “decumano maggiore” (attuale Via Cristoforo Colombo), il quale incrocia la piazza Imperiale (piazza Guglielmo Marconi). In questo modo l’opera si inserisce all’interno del tessuto urbano generando a sua volta gli assi direzionali necessari allo sviluppo del suo impianto. Il museo si compone di due corpi di fabbrica paralleli tra loro, i quali costituiscono un unico piano espositivo con un’altezza che raggiunge i 10 metri, così da permettere la ricostruzione al vero di parte del materiale della Mostra della Romanità: l’edificio viene infatti concepito come la sede permanente del materiale già inventariato durante la Mostra Augustea della Romanità, tenuta al Palazzo delle Esposizioni (1937-38). L’assegnazione dell’opera ripete i criteri di assegnazione comuni ad altri edifici dell’E42 che vengono ripartiti sapientemente tra i diversi progettisti che partecipano ai concorsi del 1937- 38. La scelta ricade sul gruppo Aschieri-Peressutti-Bernardini (che aveva ottenuto il secondo premio al concorso per il Palazzo dei Ricevimenti e dei Congressi) e su Pascoletti (che aveva ottenuto una segnalazione al concorso per il Palazzo della Civiltà Italiana). Posto a collegamento in direzione ortogonale ai due blocchi speculari vi è un terzo corpo: un colonnato rialzato di un piano e rivolto verso la zona delle Tre fontane. Il fondale scenico così realizzato costituisce la nota che maggiormente caratterizza l’opera, poiché sottolinea prepotentemente la linea di confine non solo dell’edificio ma anche dell’intera area nella direzione Sud-Est, e poichè divide senza separare la piazza interna dal verde retrostante. Le 36 colonne massicce che scandiscono la quinta sono in travertino e sono utilizzate anche nei monumentali ingressi dei due corpi a lato. La funzione di questi elementi è chiaramente una citazione stilistica dell’architettura scenografica di Pietro Aschieri, la cui opera ben interpreta le forme del “classicismo semplificato” richiesto per la progettazione monumentale dell’intero complesso: egli fonde insieme il geometrismo del razionalismo italiano, che richiama in un certo senso al Movimento Moderno, ed il monumentalismo simbolico della tradizione romana che qui viene reinterpretata dal regime in chiave propagandistica. L’elevazione del piano del portico a colonne ha permesso lo sviluppo di un piano seminterrato che è adibito esclusivamente all’esposizione dei calchi della Colonna Traiana. Destinazione durante l’Esposizione: Mostra della romanità Destinazione prevista dopo l’Esposizione: Museo della romanità Dati: superficie coperta mq 12.500, cubatura mc 250.000 Il progetto di massima Piano dell’Esposizione Universale di Roma 1941-42 del 1937 dava maggior importanza al “cardo” della via Imperiale, ponendo ai margini degli assi trasversali i padiglioni e le altre attrezzature minori. Successivamente nella versione definitiva del 1938-39 venne inserita la piazza della Romanità: due edifici simmetrici ed uguali ma non paralleli, che si aprivano verso l’esterno. Il porticato posto a collegamento dei due blocchi era parte della sezione V “Mostre varie” nello schema di zonizzazione.
  • 69. Nel maggio del 1938 la FIAT accettò di finanziare l’operazione, non ponendo pregiudiziali particolari per la progettazione e rimettendosi alle segnalazioni dell’Ente E42. La versione quasi definitiva del progetto venne inviata a Torino nel dicembre del 1938 - la stessa versione pubblicata nel numero di "Architettura" del 1938 -, dando il via alla stesura del progetto esecutivo e strutturale. Le sostanziali differenze si riscontrano nello schema planimetrico, poiché i due edifici non sono più uguali, ma quello di sinistra risulta notevolmente più grande. Dai disegni prospettici sulla piazza della corte interna originali di Aschieri si vedono una grande vasca circondata da gruppi di statue tra cui sarebbe dovuta spiccare una mastodontica statua equestre, che però non vennero mai realizzati. I lavori sull’edificio vennero portati a compimento per iniziativa del senatore Giovanni Agnelli prima e del prof. Valletta poi, in collaborazione con il prof. Virgilio Testa, commissario dell’ente EUR. Nel 1946 i materiali della Mostra augustea furono ceduti al comune di Roma, costituendo un unico complesso con quelli del Museo dell’impero romano, così come era già stato fatto dopo il 1911 per il materiale della Mostra archeologica. Il materiale conservato nel Museo è in massima parte costituito da riproduzioni a partire dal plastico delle provincie dell’impero romano. Sono conservate statue, busti, iscrizioni, rilievi, intere facciate di edifici e tutta una serie di oggetti di uso quotidiano della civiltà dell’epoca. Il Museo della civiltà romana fu aperto il 21 aprile del 1955 e dal 2004 è anche sede del Planetario e del Museo Astronomico. Il Museo della Civiltà Romana dell’EUR è chiuso dal gennaio del 2014 per «lavori di messa a norma degli impianti». Una chiusura destinata a protrarsi alle calende greche: infatti la gara d’appalto lanciata il 31 marzo 2014 per 2 milioni 150 mila euro è impantanata a causa di svariati ricorsi al TAR. Il Museo affonda le sue radici nelle varie mostre della Romanità che si sono tenute durante le celebrazioni per il cinquantesimo dell’Unità […] Fin da principio il criterio della «ricostruzione del passato» era ben presente negli organizzatori, che impostarono le mostre della Romanità col criterio con cui in quegli anni si realizzavano le Esposizioni Universali. Solo che anziché mostrare le nazioni viventi se ne mostrava una scomparsa, attraverso la rievocazione e la ricostruzione di ciò che era andato distrutto coi secoli. Negli anni successivi, e in particolare sotto il Fascismo le raccolte delle mostre realizzate per il Cinquantenario dell’Unità d’Italia furono ampliate e riordinate. […] Con la mostra per il Bimillenario di Augusto l’intera collezione viene costituita solo con copie, modellini, ricostruzioni. I pezzi originali vengono esclusi, poiché lo scopo dell’esposizione era didattica – «di studio» si diceva allora – non estetica, anche se la perfezione raggiunta dalle copie era tale che anche visitatori qualificatissimi sentivano timore di toccare quelle copie. Tuttavia l’intenzione di Giglioli non era realizzare semplici scenografie effimere da Cinecittà, ma un’installazione permanente. La mostra, in 12 mesi, venne visitata da oltre 700 mila persone – un record anche oggi – e il successo consentì a Giglioli di proporre a Mussolini la realizzazione della tanto agognata esposizione permanente della Civiltà Romana nel nuovo quartiere dell’E42. […] Poi, la guerra, la disfatta, l’EUR in rovina. Finalmente nel 1952 il Museo della Civiltà Romana aprì i battenti. Viene completato nel dopoguerra anche il pezzo forse più pregevole – e di sicuro il piùfamoso – del museo: il plastico di Roma al tempo di Costantino in scala 1:250 realizzato con un lavoro ultratrentennale dall’architetto Italo Gismondi (1887-1974). Iniziata nel 1935, l’opera verrà completata solo nel 1971 e diventerà una delle icone del turismo romano, rappresentata su migliaia di poster e cartoline. Il Museo riceverà in donazione anche un’altra collezione di grande pregio, quella dei calchi della Colonna Traiana al Foro Romano: 125 pezzi fatti realizzare a metà Ottocento da Napoleone III e donati a papa Pio IX. […]
  • 70. CURIOSITÀ L'edificio che ospita il " Museo della Civiltà Romana" è di proprietà di EUR SpA, ed è frutto di un accordo, tra 3 diversi soggetti: l'allora Ente EUR che deteneva la proprietà del terreno; la Società Anonima Fiat di Torino di Giovanni Agnelli, che si impegnò a costruire il Palazzo a condizione che fosse destinato al Museo della Civiltà Romana per i successivi 90 anni (fino al 2042); e il Comune di Roma che si impegnò a sostenere, le spese di manutenzione ordinaria e straordinaria del Palazzo, oltre al pagamento all'Ente EUR (oggi EUR SpA) di un simbolico "canone ricognitivo della proprietà" per la concessione in uso dell'edificio. Palazzo Uffici dell’Ente Eur 42 Gaetano Minnucci Via Ciro Il Grande, 16 Il Palazzo degli Uffici dell’Ente EUR, progettato dall’architetto Gaetano Minnucci alla fine del 1937, è l’unico edificio dell’EUR ad essere stato completamente realizzato prima dello scoppio della Seconda guerra mondiale. Essendo situato presso l’ingresso dell’E42, l’edificio doveva avere “carattere rappresentativo e però, entro certi limiti monumentale”. Il complesso, con una superficie coperta di 5.932 mq e una cubatura di 104.656 mc, si articola in due corpi di fabbrica perpendicolari, quello degli spazi di rappresentanza per i dirigenti ed i funzionari, organizzato intorno ad un cortile quadrangolare e quello degli spazi per il pubblico e il personale tecnico, sviluppato lungo l’asse nord. La dialettica tra questi due nuclei funzionali, realizzati inoltre con strutture portanti differenti,
  • 71. muratura tradizionale per la zona di rappresentanza e strutture in cemento armato per la zona tecnica, è celata da un paramento continuo in travertino. Ad unire i due corpi è lo scalone principale per il pubblico, “vero e proprio giunto volumetrico e spaziale”, un ambiente luminosissimo dove convivono materiali classici e moderni, come il marmo e il vetro temperato. Il secondo corpo si articola nel salone per il pubblico, oggi salone delle Fontane e nella grande sala per i disegnatori. Il salone delle Fontane, con accesso sotto il portico monumentale a pilastrata, è un grande salone rettangolare a doppia altezza illuminato grazie alle gigantesche porte finestre del fronte principale. Il piano sovrastante è occupato dal salone dei disegnatori, caratterizzato da una copertura di tipo industriale in voltine di cemento armato. Oltre alla sperimentazione di nuove tecnologie, furono messi a punto dei brevetti per la realizzazione dei numerosi impianti di servizio che costituiscono l’apparato nervoso del
  • 72. palazzo. La progettazione degli elementi di arredo, conservati fino ad oggi, fu affidata agli architetti Guglielmo Ulrich e Giuseppe Gori, insieme alla direzione artistica relativa alla loro realizzazione. La facciata sul Viale della Civiltà del Lavoro è inquadrata da due gruppi scultorei realizzati da Dino Basaldella, rappresentanti la Chimera che lotta con il Minotauro e la Chimera che lotta con il Centauro. Nel piazzale antistante il Salone delle Fontane si trova una fontana monumentale. Questa, decorata da Gino Severini, Giulio Rosso e Giovanni Guerrini con diciotto mosaici in bianco e nero ad opera, costituisce l’opera più importante di tutto il ciclo decorativo del palazzo. Di tutta la decorazione esterna del palazzo, l’elemento scultoreo che resta invariato dalla progettazione alla realizzazione dell’edificio è la statua-simbolo, collocata presso l’ingresso del commissariato e rivolta verso l’ingresso dell’E42. Realizzato in bronzo da Italo Griselli, il Genio del Fascismo, rappresenta un giovane con il braccio destro alzato in saluto romano (nel Dopoguerra sulle sue mani sono stati applicati dei guanti da lottatore). Sulla parete dell’ingresso al Commissariato si trova “La Storia di Roma”, bassorilievo in travertino realizzato da Publio Morbiducci, nel quale è possibile riconoscere numerosi edifici della Roma antica e moderna e alcuni protagonisti della storia romana.
  • 73. Nella Sala delle Riunioni si trova l’affresco di Giorgio Quaroni raffigurante la fondazione di Roma. Considerando gli imminenti pericoli bellici del periodo, al secondo piano seminterrato si trova un “Rifugio antiaereo”, realizzato sempre dall’architetto Minnucci e destinato ad ospitare i dipendenti dell’allora Ente EUR in caso di attacco. Si tratta di un volume in cemento armato completamente isolato dal resto dell’edificio e dotato di portelloni metallici antigas. CURIOSITÀ Con la caduta del Fascismo, i simboli più evidenti del regime furono sistematicamente rimossi dal Palazzo. Scomparvero i sette fasci littori che affiancavano l'ingresso del Commissariato e, presso il cortile interno, scomparvero sia le aquile che decoravano la fontana, sia i simboli fascisti - opera di Andrea Spadini - che adornavano gli accessi secondari. Anche le opere scultoree che decoravano originariamente il Salone delle Fontane vennero rimosse. Le teste bronzee di Vittorio Emanuele III e di Benito Mussolini, asportate dal Salone delle Fontane all'indomani della caduta del regime e collocate nei seminterrati del Palazzo, rividero la luce nel 2005. Dopo un attento restauro, due di esse sono oggi collocate all'interno della Sala Quaroni; mentre altre tre sono custodite nei depositi della Società, assieme ad una statua in bronzo di Fausto Coppi. Questa, di proprietà del CONI, verrà a breve trasferita a Castellania, in provincia di Alessandria, città natale del ciclista, nella sede dell'Associazione dedicata alla sua memoria. Il complesso delle cinque teste bronzee venne esposto al pubblico, per la prima volta dopo la guerra, nel 2009 dall'artista pugliese Rossella Biscotti, che ne ha fatto oggetto di una mostra personale, presso la sede della Nomas Foundation, dal titolo Le Teste in Oggetto.
  • 74. Palazzo dell'Archivio dello Stato (Palazzo delle Forze Armate) De Renzi, Figini, Pollini Palazzo dell'Archivio dello Stato (1982) Una genesi particolarmente tormentata tocca poi al progetto del Palazzo delle Forze Armate. Destinato, in un primo tempo, ad ospitare la mostra omonima diventata successivamente la sede della Mostra dell’Autarchia, del Corporativismo e della Previdenza Sociale. La soluzione finale risulta da un compromesso tra l’ipotesi di De Renzi e Pollini, due dei più interessanti Arch.tti del Modernismo Italiano, che tuttavia imprimono all’edificio un’impostazione aulica. Si pensa di destinare il Palazzo, dopo l’esposizione, a sede della Accademia di Belle Arti. Oggi ospita l’Archivio Centrale di Stato. Il bando di concorso per i progetti venne emesso nel novembre del 1937 rinnovato nel giugno del 1938 in quanto la commissione giudicatrice non aveva ritenuto i progetti iniziali meritevoli di essere realizzati, nella seconda gara vennero scelti gli elaborati di De Renzi e Pollini vincitori ex aequo. I lavori di costruzione iniziarono nel settembre 1939 con lo scavo delle fondamenta. L'edificio, di cui prima della guerra erano state eseguite solo le fondamenta e le strutture portanti, fu portato a termine negli anni cinquanta su iniziativa di Virgilio Testa, commissario straordinario dell'Ente EUR, apportando le modifiche necessarie per adattare il palazzo alle esigenze dell'Istituto. Gli ambienti, valorizzati da opere pittoriche e scultoree di Angelo Cucciarelli, Piero D'Orazio, Carlo Lorenzetti, Paolo Pasticci, si sono ulteriormente arricchiti negli ultimi anni grazie a donazioni di altri artisti contemporanei, andando a costituire un piccolo ma significativo nucleo museale.
  • 80. Piero Bottoni, Gabriele Mucchi, Mario Pucci E.Puppo G.Aliotta
  • 81. Giorgio Cavaglieri Gualtiero Galmanini, Antonio Mauri Amedeo Luccichenti, Sergio Mezzina, Vincenzo Monaco
  • 82. Porta Imperiale Muzio, Paniconi e Pediconi A Muzio, Paniconi e Pediconi è affidata anche la soluzione architettonica della Porta Imperiale, ovvero l’accesso da Roma al Quartiere Espositivo che doveva comprendere anche i volumi tecnici delle biglietterie. Inizialmente gli Arch.tti pensano a una sequenza allineata di grandi torri, ma poi questa soluzione viene scartata e sostituita da una fascia di fontane. Secondo la prima stesura del Piano dell'E42 la porta Imperiale doveva scavalcare la via Imperiale, segnando l'accesso da nord, e collegarsi ad un sistema porticato, lungo l'asse stradale, che si sarebbe concluso sulla piazza Imperiale. Successivamente, nel Piano del 1938, vennero indicati due edifici, ai lati del viale monumentale, con due porticati semicircolari rivolti verso i palazzi della Civiltà e dei Congressi. Il gruppo di progettisti propose, invece, di far aprire le due esedre porticate verso l'asse monumentale a creare uno spazio racchiuso, di chiara ispirazione romana, basti pensare ai mercati Traianei, che fungesse da vero e proprio atrio alle scenografie che si sarebbero presentate successivamente al visitatore nell'attraversare l'Esposizione. I due edifici erano di proprietà dell'INA, ad est, e dell'INFPS, a ovest e avrebbero dovuto, per la durata dell' Esposizione, ospitare spazi per mostre ed esibizioni, solo in seguito se ne sarebbe deciso l'uso specifico. La costruzione dei due palazzi iniziò nel 1940, ma fu possibile ultimarli solo nel dopoguerra. Piuttosto impegnativa fu la definizione di un disegno soddisfacente per la porta Imperiale, elemento mpuramente celebrativoavrebbe dovuto coprire il lungo fronte dell'accesso da Roma. Furono ipotizzate una serie di diverse soluzioni più o meno spettacolari con riferimenti, di volta in volta a linguaggi architettonici di epoche diverse, dal modernismo al romano. La versione definitiva prevedeva una serie di fontane con sei altissime torri a pianta ondulata che, pur nascondendo il sistema delle biglietterie, rimandavano otticamente alla centralità dell'obelisco della piazza Imperiale e del gigantesco arco, simbolo dell'E42.
  • 83.
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  • 85. Esedre INA e INPS Muzio, Paniconi e Pediconi La Piazza delle esedre è il primo dei grandi spazi scenografici che punteggiano il tracciato rettilineo della ex Via Imperiale, oggi Via C. Colombo, che si apriva, per chi veniva da Roma, con l'ingresso dalla porta Imperiale. I Palazzi dell’INA e dell’INPS di Roma sono siti nel quartiere EUR, in Piazza delle Nazioni Unite. I due Palazzi sono stati progettati dagli architetti Muzio, Paniconi e Pediconi, definiti come quinte architettoniche per la porta imperiale. Le due costruzioni sono state costruite col cemento armato e ricoperti di marmo proveniente dalle Alpi Apuane. La facciata dei due edifici si sviluppa su tre livelli; al pianterreno sono presenti pilastri in due ordini. I Palazzi dell’INA e dell’INPS formano alla base dei bacini semicircolari all’interno dei quali sono presenti dei giochi d’acqua. I rilievi sulle testate dei palazzi sono del 1941. Il Palazzo dell’INA è sito sul lato sinistro di via Cristoforo Colombo. I due altorilievi sul palazzo sono in travertino romano. Le sculture degli altorilievi sono opera di Oddo Alivneri e Ruggero Ruggeri. Il Palazzo dell’INPS è sull’altro lato della piazza; i due altorilievi su questo edificio sono opera di Giuseppe Marzullo e Mirko Basadella. Tutti gli altorilievi si richiamano alla retorica fascista.
  • 86. Portico del Palazzo INPS Sotto queste testate erano previste delle fontane che dovevano essere composte da dei "pili" (da alcune foto dell'archivio dell'Ente EUR erano a forma di tronchi di cono) e delle sculture a sfondo mitologico e naturalistico, per le realizzazioni furono incaricati i medesimi artisti che realizzarono gli altorilievi. Delle fontane ne rimangono le tracce in quattro vasche oggi utilizzate come vasi per fiori Gli altorilievi delle testate sono  Le repubbliche marinare, di Mirko Basaldella, in cui sono raffigurate Genova (attraverso il patrono San Giorgio) e Venezia (attraverso il patrono San Marco);  Roma contro Cartagine, di Giuseppe Marzullo. Nel dopoguerra agli architetti Giulio Pediconi e Mario Paniconi viene commissionato un ampliamento, ultimato nel 1967. In questo contesto il palazzo si arricchisce delle opere di artisti quali Alfio Castelli, Antonio Cocchioni, Pietro De Laurentiis, Luigi Montanarini e altri.
  • 87.
  • 88. Chiesa di Santi Pietro e Paolo Arnaldo Foschini, 1938 La Basilica dei Santi Pietro e Paolo all’EUR ha una storia che, sebbene recente, è ricca di eventi straordinari sia per i fedeli residenti nel quartiere, sia per tutti quelli provenienti da altre zone di Roma. È senza dubbio una delle chiese più note tra quelle della “Roma moderna”, contraddistinta dalla grande cupola che si staglia nel cielo dell’EUR. Disposta su di un colle nella zona più elevata dell’EUR, si distingue in lontananza e, insieme al “Colosseo quadrato”, è uno degli edifici più riconoscibili di tutta l’Esposizione. Una scelta non casuale: il Palazzo della Civiltà Italiana e la Basilica di SS Pietro e Paolo, simboli dello stato laico e della religione cattolica, volevano dimostrare, con la loro vicinanza, il pacifico dialogo tra Fascismo e Vaticano sancito dai Patti Lateranensi del 1929. La Basilica è posta in asse lungo il viale diretto all’Archivio Centrale dello Stato, costruito all’epoca per ospitare la mostra delle corporazioni e dell’autarchia. L’edificio, progettato dall’architetto Arnaldo Foschini nel 1938, è a croce greca (atipica per i progetti legati al culto dell’epoca, tutti a croce latina) ed è caratterizzata da una struttura in cemento armato sormontata da una cupola di notevoli dimensioni, con un diametro di 31 metri. Il progetto iniziale prevedeva che la cupola assumesse una colorazione giallo oro affinché avesse maggiormente risalto, ma progettisti e costruttori, costretti da alcune difficoltà riscontrate durante i lavori, optarono per una copertura di elementi in ardesia di colore grigio che si adattava maggiormente al resto dell’edificio. Pietra di “Chiampo paglierino di Vicenza” e travertino romano rivestono le pareti della Basilica all’estradosso. Le pitture variopinte della cappella, le vetrate degli occhialoni e il pavimento di marmo colorato fungono da contrasto alle pareti bianche nell’intradosso. Solamente il 29 giugno del 1955 fu aperta ufficialmente al culto, sebbene agli inizi del secondo conflitto mondiale la basilica fosse già in uno stato di realizzazione avanzato. Le due colossali statue di S.Pietro e S.Paolo poste nel piazzale prospiciente l’edificio sin dai primi mesi del 1942, sono due degli elementi che rappresentano maggiormente la basilica. Oggi, nonostante l’intero quartiere abbia subito modifiche e integrazioni costituite da edifici residenziali e da moderni uffici, la Basilica domina ancora il cielo dell’EUR.
  • 89.
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  • 91.
  • 92. Ristorante Ufficiale Ettore De Rossi Ettore De Rossi riceve nel ‘39 l’incarico di progettare la sede del Ristorante Ufficiale. L’architetto si trova a dover fare i conti con una sagoma già in parte delineata: l’edificio deve assolvere il ruolo di quinta monumentale destra del Palazzo della Civiltà Italiana. Il progetto tra i più raffinati dell’E42 viene risolto con un organismo strutturale a maglia quadrata in cemento armato. Il corpo centrale dell’edificio si sviluppa su tre piani ed è interamente rivestito in travertino; il porticato a doppia altezza, che lo circonda su tre lati, gli conferisce un senso di leggerezza e trasparenza che è accentuato da un ampio atrio di accesso. Il ristorante è tra i primi edifici dell’E42 ad essere ultimato e avrebbe dovuto ospitare un bar, un ristorante per i visitatori e degli uffici. L'edificio occupa una delle due aree ai lati della piazza al terminale di Via Civiltà del Lavoro. I progettisti dell'omonimo palazzo (Guerrini, La Padula e Romano) avevano, già in fase di studio preliminare del progetto, dato un'indicazione schematica dello sviluppo architettonico e della sistemazione della piazza, indicando uno spazio delimitato da due bassi corpi di fabbrica simmetrici le cui facciate, modulate da doppi colonnati, avrebbero dovuto sottolineare la modularità dei prospetti del palazzo della Civiltà, che doveva sorgere al centro di queste due quinte architettoniche. Questo probabilmente condizionò le scelte di Rossi, il quale si trovò ad operare in un contesto, in qualche modo, già vincolato dal punto di vista planivolumetrico. Un secondo vincolo progettuale, senza dubbio imposto al progettista, fu la "gerarchizzazione" degli spazi interni in base all'utenza. Infatti, non solo i dipendenti dell'Ente dovevano fruire di spazi differenziati rispetto ai visitatori esterni, ma avrebbero dovuto disporre di ambienti separati, anche in base ai diversi livelli funzionali. Questo fece sì che tutte le sale e i relativi ambienti di servizio venissero progettati seguendo le logiche di una sorta di "gerarchia sociale", il che spiega il ripetersi di funzioni analoghe su tutti e tre i piani dell'edificio: al piano terra il bar e le due sale ristorante, una per gli esterni e una per il personale di livello "minore"; al primo piano il grande salone ristorante con ampie porte finestre, che davano accesso alla terrazza esterna, destinato ai funzionari dell'Ente; al secondo piano, infine, un'altra sala ristorante, più piccola e riservata, ad uso esclusivo dei dirigenti e dei commissari italiani e stranieri, più alcune stanze per agli uffici amministrativi. Le due sale ristorante dei funzionari, esposte a sud e quindi nella parte più soleggiata dell'edificio, erano dotate di grandi vetrate panoramiche, che affacciavano sulla piazza o sul viale principale, schermate dal porticato a doppia altezza che avvolgeva il volume dell'edificio su tre lati. Il piano terra è racchiuso da un basamento di altezza variabile, che si adatta alla pendenza della strada, in salita verso il Palazzo della Civiltà. Per esigenze di prospetto su Viale della Civiltà durante i lavori il porticato fu ampliato di cinque campate rispetto al corpo edilizio originale, consentendo l'inserimento di una vasca d'acqua, decorata a mosaico, come elemento d'arredo all'ingresso del primo piano dalla piazza. Furono progettate, dallo stesso Rossi, tutte le attrezzature e gli impianti, così come gli arredi del bar e delle sale ristorante, il progettista dette, inoltre, precise indicazioni sulle scelte dei materiali e degli elementi decorativi, operando uno stretto controllo anche sulla realizzazione delle opere sia esterne sia di arredo. Il risultato fu di estrema coerenza compositiva e di singolare eleganza per un edificio incui, pur rispondendo a tutte le esigenze
  • 93. di carattere funzionale, non venne trascurato l'amore per il dettaglio architettonico, studiato in ogni suo elemento, e per l'uso di soluzioni tecniche assolutamente originali. Purtroppo nel dopoguerra l'edificio subì pesanti trasformazioni, che ne stravolsero completamente la logica compositiva a livello distributivo e di disegno delle facciate. In parte l'edificio è occupato dagli uffici del Comune di Roma. Il piano terra è destinato ad attività commerciali
  • 94.
  • 95. Porta del Mare Un arco monumentale avrebbe dovuto attraversare la Via Imperiale, a sud del lago artificiale, costituendo uno dei principali elementi di richiamo dell’E42. La storia dell’arco è resa complessa dalla circostanza che, nell’estate del 1937, a poche settimane di distanza uno dall’altro, due diversi gruppi di professionisti Ortensi, Pascoletti, Cirella, Covre, Libera e Di Berardino presentavano all’Ente il progetto di un arco spettacolare, il primo in materiale metallico, il secondo in calcestruzzo. Nel marzo del ‘38 Libera e Di Berardino sottopongono il progetto esecutivo di un arco in calcestruzzo con una luce di 200 m, per il quale Pierluigi Nervi propone due soluzione tecniche: una in calcestruzzo e una in cemento armato. Infine nel maggio 1939 l’Ingegnere Covre presenta il progetto di
  • 96. massima di due archi in lega di alluminio, rispettivamente di 200 e 320 m di luce. Quest’ultima arditissima soluzione portata a 330 m di ampiezza e a 171 di freccia, vale a dire più della metà dell’altezza della Tour Eiffel, sarà quella approvata. Si decide infine che l’arco sarà in alluminio e acciaio, il progetto definitivo viene completato nel marzo 1941, ormai troppo tardi per cominciare i lavori.
  • 97. Il Gateway to the West, Saint Louis, Missouri (1947) – Eero Saarinen Laghetto Raffaele De Vico Nel febbraio del 1937 una Commissione, appositamente istituita, definì il programma di massima per le sistemazioni a verde dei 400 ettari del nuovo quartiere espositivo. Nel gennaio del 1938, sotto la direzione di Marcello Piacentini, fu redatta una variante del piano originale con modifiche riguardanti la zona centrale e in particolare il disegno del lago irregolare che assunse le forme di un bacino regolare. Il progetto definitivo venne presentato nel 1938. Nel 1939 fu nominato, come consulente per la progettazione dei parchi e dei giardini dell'EUR, l'architetto Raffaele de Vico. Nel 1943, a seguito della occupazione tedesca e dei danni subiti dal complesso vegetale, i lavori furono sospesi e anche de Vico interruppe la sua collaborazione per riprenderla nel 1951. Tra il 1951 e il 1961, de Vico progettò e diresse i lavori di completamento del verde; a lui si deve perciò la maggior parte delle sistemazioni come si ammirano oggi. Il verde
  • 98. dell'EUR è oggi aticolato in un sistema di cinque grandi parchi, oltre a numerose aiuole e giardini che fanno di questo quartiere uno dei più dotati di verde pubblico a Roma. Il Parco Centrale è caratterizzato da grandi giardini che circondano il lago artificiale, meta di attività sportive e culturali, tra cui si notano il Giardino delle Cascate realizzato con scogliere, pietre naturali e piante lasciate crescere in forma spontanea e il Teatro Verde dal quale si possono ammirare gli spettacoli di suoni, luci ed acqua che si svolgono le sere d'estate nel Giardino delle Cascate. Immersa nel verde, tra Via America e Via Tupini, si trova la Piscina delle Rose. Il Parco del Turismo è situato sul lato ovest della Via Cristoforo Colombo ed è arredato con la grande stele-fontana dei Drei e i bassorilievi del Bellini, originariamente destinati alla Mostra dell'Agricoltura e che ora decorano i viali del parco. Il Parco del Ninfeo, separato dal Parco del Turismo da Viale Romolo Murri, strada carrabile delimitata da un doppio filare di platani e da una siepe geometrica di ligustro, è caratterizzato e prende il nome dalla fontana del Ninfeo, realizzata nel 1940 e posta a ridosso del palazzo degli Uffici. E' un parco molto frequentato perché ospita la scuola guida automobilistica per bambini. Il Parco degli Eucalipti, che era il grande bosco piantato nell'Ottocento dai Frati Trappisti dell'Abbazia delle Tre Fontane allo scopo di migliorare la salubrità dell'aria e fabbricare elisir medicinali, si sviluppa su un lato della Via Laurentina. La sistemazione di questo parco in cui si contano circa 1500 piante, comprende un'insieme di terrazze, belvedere, vialetti e passaggi sopraelevati. E infine il Parco dei divertimenti che si trova tra Via delle Tre Fontane, Viale dell'Industria e Viale dell'Artigianato. Nel piano generale questo parco era destinato a svolgere un ruolo primario per le attrazioni dell'E42 ed avrebbe dovuto occupare una zona molto estesa con un ampio lago irregolare con al centro "L'isola incantata". I progetti elaborati tra il 1937 e il 1940 non furono mai realizzati. Nel 1960, nell'area tra via Cristoforo Colombo e il parco degli Eucalipti, fu realizzato l'attuale Luneur, il luna park di Roma. Il Laghetto dell'Eur è un bacino artificiale con una superficie di ben 85.120 metri quadrati e con una profondità massima di circa 3 metri. L'acqua viene immessa dal "Giardino delle Cascate", che si trova nel lato sud, mentre fuoriesce da sbocchi che si trovano principalmente nel lato nord.
  • 99. Ospita una ricchissima quantità e varietà di flora e fauna. In particolare sono presenti pini, plame, pitsporo, cedri del Libano, sipei, lecci, taxus disticum e lauroceraso. Lungo la passeggiata del Giappone sono presenti i magnifici cieligi del Giappone, donati dalla città di Tokyo. Tra la fauna sono presenti numerose specie ittiche come persico sole, carpa e carassio, ma anche uccelli come gabbiani e anatidi, oltre a una nutrita presenza di tartarughe. Dal 1970 circa, inoltre, sono state effettuate ripetute immissioni di trota, tinca e scardola. Oggi nel laghetto dell'Eur si svolgono alcune attività sportive, soprattutto canottaggio. Villaggio Operaio Gaetano Minnucci Su progetto dell’ufficio tecnico dell’Ente, tra il ‘38 e il ‘40 viene costruito il Villaggio Operaio, una serie di alloggi che dispongono di 1500 posti letto, destinati ad ospitare gli operai senza famiglia. Sono previsti tre edifici di carattere generale e alcuni nuclei dormitorio, formati da padiglioni contenenti stanze con 30 letti, servizi igienici, guardaroba e spogliatoi. Durante l’Esposizione avrebbe dovuto svolgere funzione di albergo per le masse ma con lo scoppio della guerra gli operai abbandonarono le loro case che, dopo
  • 100. una breve occupazione anglo-americana, rimasero abbandonate. Nel 1947, dodici famiglie di profughi giuliani si insediarono nel villaggio, ribattezzandolo Villagio Giuliano. Nel ’48, con la trasformazione dei padiglioni in circa 150 appartamenti provvisori, venne inaugurato ufficialmente il Villaggio Giuliano-Dalmata in Roma, alla presenza di Giulio Andreotti, della signora De Gasperi e di numerose altre personalità. Negli anni seguenti il quartiere vide un rapido sviluppo. Gli abitanti diedero vita non solo ad esercizi commerciali, ma anche a botteghe artigianali ed attività industriali, a scuole, ad un museo, a monumenti dedicati all’Esodo ed al sacrificio di quelle cinque Province del Confine Orientale d’Italia, alla chiesa parrocchiale ed a punti di aggregazione quali trattorie, bar ed associazioni sportive. Oggi il Quartiere Giuliano-Dalmata è il simbolo in Roma della triste storia dell’Esodo e delle atrocità perpetrate nei confronti di quelle popolazioni. Ma è anche testimonianza di una rinascita di persone tenacemente attaccate alle proprie radici ed alla vita.
  • 101.
  • 103. Edifici Esso all’Eur Luigi Moretti, Vittorio Ballio Morpurgo, Giovanni Quadrella, Giorgio Santoro Piazzale dell'Agricoltura, 1961-1966 Nel 1960 fu affidata a Luigi Moretti e a Vittorio Ballio Morpurgo la progettazione all’Eur dei palazzi per uffici delle due diverse società Esso e Sgi. Due lotti speculari tra loro con rispettivi edifici distanti 50 metri ciascuno dall’asse d’accesso alla città, che si sviluppano in lunghezza di 150 metri ed in altezza di 27 metri ciascuno, e che furono inequivocabilmente chiamati “edifici gemelli”. Attraverso numerosi schizzi preliminari di Moretti si evince la volontà da parte dell’architetto di attribuire ai due edifici il ruolo di ingresso monumentale all’Eur. “Ortogonali al tracciato di via Cristoforo Colombo, i due palazzi gemelli offrono una elegante immagine di modernità anche se rimandano vistosamente all’architettura delle città antiche creando una sorta di varco murario di ingresso.” (G-R, 2006, D40) Entrambi presentano una pianta a T (i cui lati corti costituiscono, secondo Moretti, le fortificazioni delle mura che racchiudevano le città antiche), entrambi progettati con un modulo base di 1,5×1,5m. Ogni edificio è composto da due volumi, ortogonali tra loro, di diversa altezza e che orizzontalmente sono scanditi da tre fasce. La prima fascia è costituita dal piano terra il quale nell’insieme dell’edificio appare come un vuoto che separa i livelli superiori dai piani interrati. Contiene l’area vetrata dell’atrio d’ingresso immersa in un grande portico completamente libero (ad eccezione delle torri dei collegamenti verticali) al quale corrispondono in altezza piani altrettanto liberi sorretti dai piloties.
  • 104. La seconda fascia è costituita dai piani intermedi, i quali ospitano gli uffici, le sale d’attesa, le sale conferenze, gli archivi e i relativi servizi. Essi si differenziano esternamente dal resto dell’edificio per il rivestimento, ovvero pareti a facciate vetrate chiuse da curtain-wall color bronzo e protette da una fitta serie di lamine frangisole, fortemente aggettanti, che ritmano l’intera fascia centrale. La flessibilità dei locali è garantita dalla struttura portante in acciaio avente una maglia di m 9×9. La terza fascia è costituita dagli ultimi piani che completano l’edificio con una muratura continua bianca e priva di aperture che si distacca visivamente dai piani inferiori vetrati e dal cielo. Questi ultimi piani ospitano le torri di raffreddamento dell’impianto di condizionamento e le macchine degli ascensori.
  • 105. I tre piani interrati, divisi dal resto dell’edificio dal vuoto del porticato al piano terra, sono costituiti da una struttura portante in cemento armato. Ospitano le aree destinate al parcheggio (per entrambi gli edifici circa mille posti macchina), i locali di servizio (mense, tipografie, centrale telescriventi) e i locali per il condizionamento e il riscaldamento. La relazione con lo spazio esterno è visibile proprio al livello del terreno. Infatti i volumi per la mensa, la sala assemblee e il parcheggio sono ospitati da un piano che fuoriesce parzialmente dal terreno a livello del parco adiacente al fabbricato e presentano forme curvilinee che si rapportano alla natura circostante. L’integrazione architettura-natura è garantita inoltre da scalee, murature di sostegno e terrazze, tutte in travertino, che si collegano agli spazi verdi del parco. Alle forme curvilinee dei volumi che fuoriescono da terra si contrappongono i volumi netti e geometrici dell’alzato; in questo modo Moretti ha voluto creare un contrasto tra la severa geometria degli elemen ti destinati agli uffici e la libertà organica dei corpi destinati ai servizi.
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  • 107. WELTHAUPTSTADT GERMANIA Dopo una seconda guerra mondiale che Hitler era abbastanza fiducioso di vincere rapidamente, il Fuher prevede di ridisegnare Berlino come la nuova Capitale Mondiale (in tedesco Welthauptstadt) della Germania; una metropoli con strutture gigantesche che avrebbero rappresentato lo spirito del Terzo Reich e intimorito i nemici, così come i suoi stessi abitanti. A sovrintendere al progetto Hitler nominò l’architetto Albert Speer, suo consigliere di fiducia e primo architetto del Terzo Reich. Albert Speer presenta ad Hitler il padiglione tedesco per l'esposizione universale di Parigi del 1937
  • 108. il padiglione tedesco per l'esposizione universale di Parigi del 1937 Il nome Welthauptstadt Germania venne scelto poiché l'architettura di Berlino all'epoca era considerata troppo legata agli stili e alle convenzioni prevalenti di fine Ottocento (quando si era formato l'impero tedesco) e si sentiva quindi la necessità di porre la nuova capitale tedesca al di sopra delle altre capitali mondiali, come Roma, Londra, Parigi, Mosca e Washington. In realtà, poiché non esistono altri riferimenti al termine di Welthauptstadt Germania tranne che nell'autobiografia di Albert Speer (pubblicata dopo la sua detenzione), l'uso di questo nome da parte di Hitler è oggetto di controversie tra gli storici. La prima fase del progetto fu la costruzione dello Stadio Olimpico per le Olimpiadi del 1936 che avrebbe celebrato l'ascesa del governo nazista. Uno stadio ancora più grande, per una capienza di 400.00 spettatori, venne progettato dal governo nazista per la città di Norimberga, ma si fece in tempo a realizzare le sole fondazioni prima che i lavori venissero interrotti a seguito dello scoppio della Seconda Guerra mondiale.