1. i nostri luoghi/compartimento polfer roma
G
li uffici del Compartimento della polizia ferro-
viaria di Roma sono ubicati in una vera e propria
“pietra (architettonica) dello scandalo” – l’ala su
via Giolitti della stazione Termini, la cosiddet-
ta “ala mazzoniana” – dal nome di Angiolo Mazzoni del
Grande, che elaborò il progetto di rinnovamento, pur-
troppo (o per fortuna, secondo certa critica...) realizza-
to solo in parte.
L’ala mazzoniana – pur essendo una delle architettu-
re dell’epoca fascista più vituperate nel dopoguerra – si
inserisce magistralmente nel contesto in cui è collocata,
unbranodicittàoggiinstatodifortedegradoecolpevole
abbandono, e tuttavia ancora ricco di fascino, grazie alle
emergenze archeologiche e architettoniche che lo carat-
terizzano: arcate superstiti dell’antico acquedotto roma-
no, la chiesa di Santa Bibiana del Bernini, brani delle mura
servianeeuntempioromano,iltempiodiMinervaMedica.
Mazzoni fa propri tutti i caratteri dei manufatti che cir-
condano il suo edificio, citandoli e proponendoli nella sua
opera. All’interno si susseguono spazi delimitati da arca-
te e coperti da volte a crociera, rivestite peraltro da mat-
toni a faccia vista, forte rimando alle murature romane!
Mentre all’esterno la succes-
sione degli archi sovrapposti, che caratterizzano la lun-
ga facciata rivestita da lastre di travertino, riportano al-
la memoria il vicino acquedotto. Conclude l’opera la puris-
sima forma della torre tecnica – anch’essa rivestita in tra-
vertino – perfettamente cilindrica e avvolta da una sinuo-
sa e visionaria scala elicoidale; un vero “landmark” che, in-
sieme alla torre quasi gemella su via Marsala, annuncia
l’arrivoincittàalviaggiatorecheraggiungeRomaintreno.
L’orizzontalità e la plasticità
della facciata contrapposta al-
la verticalità della torre, la purez-
za e la semplicità dei volumi conferisco-
no al manufatto un sapore di gusto novecenti-
sta e una classicità del tutto metafisica; l’opera archi-
tettonica sembra la trasposizione in pietra di un quadro
di De Chirico o, se vogliamo, la perfetta traduzione in ope-
ra del manifesto di Le Corbusier “l’Architettura è il gioco
corretto, sapiente e magnfico dei volumi puri sotto la lu-
ce”. E qui non possiamo esimerci da una riflessione un pò
beffardamadalgustoamaro:propriolostes-
so famoso critico –
Bruno Zevi – che ha celebrato come profeta del purismo il
mitico architetto e teorico francese, è stato capace di li-
quidareilprogettodiAngeloMazzoniperlaStazioneTer-
mini come “obbrobrio che, dopo i nauseanti fianchi di fal-
si archi, prevedeva un orrido portico con binati di colon-
ne” (Architettura della Modernità, 1994) a testimonianza
di quanto l’ideologia abbia – allora – potuto condizionare
il gusto della critica.
Mazzoni – ingegnere della Divisione lavori delle FFSS
– cominciò a occuparsi del progetto per la stazione Ter-
mini fin dal 1925; la vecchia stazione, costruita su pro-
getto di Salvatore Bianchi nel 1867 per la Roma
papalina, era divenuta oramai inadeguata al-
la nuova immagine moderna della Capi-
tale d’Italia.
L’impianto tipologico della
stazione di Mazzoni era ar-
ticolato su due ali pa-
rallele ai binari, al
cui interno era-
no inseriti
gli spazi
per
i servizi ai passeggeri, e da un edificio di testata, che nel-
leintenzionidelprogettistasarebbedovutorimanerepri-
vo di qualsiasi destinazione funzionale, eccettuata quella
rappresentativa e di passaggio dei viaggiatori.
L’ala prospettante su via Marsala doveva ospitare in
origine i servizi postali e di dogana, la sala Reale (mai rea-
lizzata) e i servizi bagagli in arrivo; quella su via Giolitti le
biglietterie, il locale bagagli in partenza e, al piano supe-
riore, il salone delle conferenze.
Secondo quanto prescritto dal Piano Regolatore del
1931 l’edificio di testa doveva essere arretrato rispetto al
filo della facciata precedente – per liberare l’Agger ser-
vianus in tutta la sua lunghezza e per lasciare in diretto
collegamento il mondo della ferrovia e quello della città.
La facciata non incontrò, però, il gradimento dei dirigen-
ti dell’epoca, i quali vollero che il progetto fosse inserito
“artisticamente nella millenaria tradizione architettonica
di Roma” e quindi nel 1938 il prospetto fu “arricchito” da
ungrandecolonnatomonumentale,decisamenteretorico.
Alla fine della guerra erano quasi terminate le due ali
laterali, erano iniziati i lavori per le fondazioni del fabbri-
catofrontaleederanoprontiimaterialiperlarealizzazio-
ne di parte del progetto, ma la soluzione di Mazzoni non
sembrava più adeguata alle esigenze della stazione né
dal punto di vista funzionale né da quello rappresenta-
tivo. Il ministero dei Trasporti nel 1947 decise quin-
di di indire un concorso ”per il progetto di com-
pletamento del fabbricato viaggiatori della
nuovaStazionediRomaTermini”,chefu
vinto dai gruppi di Eugenio Montuo-
ri e Annibale Vitellozzi, grazie
ad una scelta compositiva
tanto semplice quanto
diSimonetta Zanzottera eGiancarlo De Leo foto di Giancarlo De Leo
IlCompartimentopolferdiRoma,nellasuasedeallastazioneTermini
Archeologia
e metafisica
L’ala mazzoniana della Stazione Termini.
Ospita attualmente – oltre agli uffici della polizia ferroviaria –
spazi espositivi, esercizi commerciali e una palestra ai piani sotterranei.
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2. inostriluoghi/compartimentopolferroma
espressiva: da un gigantesco blocco prisma-
tico segnato da quelle finestre a nastro tan-
to care a Le Corbusier (ancora lui...) si slan-
cia un’ondulata pensilina neoespressionista
di cemento armato precompresso che pro-
ietta a terra l’area dell’atrio biglietteria e con-
temporaneamente, con ardito sbalzo, assicu-
ra riparo ai viaggiatori in attesa all’esterno; la
funzionediaframmaticadell’atrio,enfatizzata
dalleparetitotalmenteavetro,dovevaoffrire
ai viaggiatori in arrivo una visione panorami-
ca e immediata della città ancor prima di met-
ter piede fuori della stazione. Scriviamo “do-
veva” perché purtroppo oggi lo spazio lumi-
noso e unitario dell’atrio risulta frammenta-
to da allestimenti commerciali e oscurato da
innumerevoli pannellature e affissioni pubbli-
citarie. Addirittura, uno dei punti risolutivi del
progetto,lavista“dall’interno”dellemuraser-
viane (il cui profilo aveva sensibil-
mente condizionato quel-
lo della pensilina), al-
lo stato attuale risulta totalmente impedita.
Il progetto di Montuori e Vitellozzi trasferì
all’interno del nuovo fabbricato di testa le at-
tività originariamente previste nell’ala maz-
zoniana, i cui ambienti – perse le loro fun-
zioni – divennero oggetto di trasformazioni
casuali e incontrollate; per lunghi anni sop-
palchi, controsoffitti, pareti divisorie ave-
vano scempiato gli spazi. Nei primi anni
del 2000 un attento restauro ha recupe-
rato, per quanto possibile, i materiali ori-
ginali – marmo giallo sulle pareti inter-
ne e nero sul pavimento, mattoni nel-
le volte, vetri opalescenti e serramen-
ti di legno e bronzo nelle grandi ve-
trate – restituendo allo spazio gli ef-
fetti cromatici e luministici voluti dal
progettista; poi, attraverso l’elimina-
zione delle superfetazioni, ha rida-
to vita alla splendida e monumen-
tale spazialità originaria
dell’edificio. v
Prospetto laterale del cosiddetto “dinosauro”, la pensilina a sbalzo che si slancia da un blocco prismatico largo 232 metri.
La torre tecnica che
affaccia su via Giolitti.
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3. inostriluoghi/compartimentopolferroma
ANGIOLO MAZZONI DEL GRANDE, UN ARCHITETTO DIVISO TRA FASCISMO E LIBERTÀ
«… Sono nato in Bologna il 21 maggio 1894, conseguentemente ho concepito Architettura e ho costruito edifici “anche” nel
periodo compreso fra il 28 ottobre 1922 e il luglio 1943. Per troppi ciò è colpa…» ha scritto Mazzoni nella sua autobiografia.
È forse per questo, o forse anche perché era un funzionario dello Stato (ingegnere capo delle Ferrovie dello Stato) – quindi
considerato più burocrate che architetto – che la figura di Angiolo Mazzoni è stata troppo spesso e per troppo tempo dimen-
ticata nel panorama dell’architettura italiana del Novecento.
“Epurato” e sospeso dal servizio negli anni immediatamente successivi alla caduta del Regime, emigrò in america latina – a
Bogotà – ma poi tornò a Roma, nella sua casa di via Savoia, negli Anni ’60 del secolo scorso. Ormai quasi cieco, spese gli ulti-
mi anni della sua vita dedicandosi al riordino del suo archivio – poi donato al MART di Rovereto – nel tentativo di riabilitare
la sua figura professionale, rivendicando un riconoscimento e una propria collocazione fra gli architetti che hanno animato il
dibattito architettonico del secolo scorso.
Ora, mettendo da parte qualsiasi dietrologia e qualsivoglia ideologia, vogliamo accendere i riflettori sulla sua ingente pro-
duzione architettonica.
Spesso troppo frettolosamente bollata in maniera semplicistica come architettura futurista – risale al 1933 l’adesione uffi-
ciale di Mazzoni al movimento fondato da Marinetti a cui seguirà, nel 1934, la sottoscrizione del Manifesto futurista dell’archi-
tettura aerea – quella di Mazzoni è, invece, un’architettura di sperimentazione, spesso ispirata a modelli europei coevi, carat-
terizzata peraltro da un sapiente uso dei materiali e delle tecniche costruttive.
Allora se nelle sue prime architetture degli Anni ’10 sono presenti elementi che si rifanno alla secessione viennese, alla fine
degli Anni ’20, realizza l’edificio tecnico della Stazione ferroviaria di Firenze, una delle sue opere più interessanti, con ogni
evidenza influenzata dal costruttivismo sovietico; negli anni successivi compaiono motivi di stampo novecentista, molto lon-
tani comunque dall’accademismo di Piacentini, si pensi al Dopolavoro ferroviario di Roma, oggi Teatro Italia.
Nel suo ruolo di funzionario pubblico ha realizzato in tutta Italia una serie di stazioni ferroviarie ed edifici postali con
una sola eccezione: la colonia marina di Calambrone per i figli dei dipendenti delle poste, progettata e realizza-
ta tra il 1925 e il 1935 che a spunti futuristi unisce caratteri metafisici. Dei suoi progetti, la cui realiz-
zazione era subordinata all’approvazione ministeriale, Mazzoni è stato spesso costretto a redi-
gere diverse versioni, subordinando la propria libertà progettuale alle esigenze rappre-
sentative del Regime; è forse anche per questo che la sua architettura risulta, a
volte, contraddittoria e confusa o poco genuina perché elaborata in ba-
se a scelte obbligate.
Resta il fatto che la sua opera merita obiettivamente un
proprio spazio nel quadro storico dell’architettu-
ra del Novecento.
“Muraglie”
a confronto:
le mura Serviane
incrociano prospetticamente
la testata della Stazione Termini.
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