2. Dal Regolamento
“L’INSERIMENTO DEI BAMBINI
DIVERSAMENTE ABILI RICHIEDE
L’AZIONE SINERGICA DEGLI
EDUCATORI, DEGLI OPERATORI SOCIO-
SANITARI CHE SEGUONO I BAMBINI E
DELL’ÉQUIPE PSICOPEDAGOGICA
MUNICIPALE, AL FINE DI PROGETTARE
UN’ACCOGLIENZA RISPONDENTE ALLE
RISORSE E AI BISOGNI DEL BAMBINO
E PER LA DEFINIZIONE DEL PIANO
EDUCATIVO.”
4. Il progetto di accoglienza nel
Nido
Deve essere costruito pensando che nella
relazione educativa sono coinvolte molte persone
quali gli educatori, gli operatori socio-sanitari e
l’équipe psicopedagogica.
È necessario che queste persone, pur ricoprendo
diversi ruoli, condividano, prima degli obiettivi del
progetto, quella cultura “altra” relativa
all’integrazione, che permette di “creare e di
approfondire le relazioni affettivo-cognitive con le
‘altre’ persone” (Sasso, 1995).
5. Dal Regolamento
“Il servizio si propone di svolgere un ruolo attivo per la
piena affermazione del significato e del valore
dell'infanzia secondo i principi di uguaglianza e pari
opportunità, rispetto della diversità, libertà e
solidarietà.
Nel rispetto dei diritti di tutte le bambine e i bambini e
nella prospettiva della prevenzione di ogni forma di
svantaggio e discriminazione, viene garantita la
frequenza e l'integrazione all'interno dei nidi dei
bambini portatori di handicap o che vivono in particolari
condizioni di disagio sociale ed economico.
L'attenzione ai bisogni di bambini arricchisce la
riflessione sul progetto educativo nel suo complesso”.
6. Prima riflessione
Quanto riportato presuppone che il Nido,
come istituzione educativa, formi le sue
sezioni eterogenee e composite.
Si può dire che accanto ai bambini
diversamente abili certificati ve ne sono
altri che, pur essendo “normodotati”,
possono presentare difficoltà
nell’attenzione, nella motricità fine e
globale, nelle abilità visuo-spaziali, nel
linguaggio, oppure appartenere a etnie
diverse.
7. …segue riflessione
In sostanza, tutti i bambini che hanno
qualche difficoltà di ordine cognitivo o affettivo
hanno la necessità di potere essere considerati
nella loro globalità, affinché le loro capacità
possano funzionare come elementi positivi per
supportare eventuali difficoltà nelle aree di cui
si è parlato.
Questi bisogni speciali devono ovviamente
trovare una risposta efficace ed efficiente nella
Qualità dell’educazione che viene offerta dal
Nido.
8. Il bambino con problemi
Svantaggio
Handicap
Deficit
Handicap: conseguenza di un deficit o di uno
svantaggio
9. Svantaggio
Somma di carenze
Socio-culturali “Nuove povertà”
•solitudine affettiva
•incomprensioni
•separazione dal mondo degli adulti
•Comunicative
•Affettive
rappresenta la
10. L’integrazione del bambino
diversamente abile
Il percorso di integrazione dei
bambini diversamente abili si realizza
innanzitutto attraverso
l’individuazione di norme che
forniscano precise indicazioni per la
sua realizzazione.
11. LO SFONDO LEGISLATIVO
DELL’INTEGRAZIONE
LEGGE N. 118 DEL 1971, ART. 28, COMMA 2 SANCIVA IL PRINCIPIO,
PER GLI ALUNNI IN SITUAZIONE DI HANDICAP, CHE
“L’ISTRUZIONE DELL’OBBLIGO DEVE AVVENIRE NELLE CLASSI
NORMALI DELLA SCUOLA PUBBLICA”
LEGGE N. 517 DEL1977, SANCISCE IL DIRITTO ALL’INSERIMENTO E
INTEGRAZIONE DEGLI ALUNNI PORTATORI DI HANDICAP NELLE
SCUOLE COMUNI, IMPONE LA PROGRAMMAZIONE E AVVIA NUOVE
MODALITA’ DI VALUTAZIONE
LEGGE N. 104 DEL 1992 – LEGGE-QUADRO PER L’ASSISTENZA,
L’INTEGRAZIONE SOCIALE E I DIRITTI DELLE PERSONE
HANDICAPPATE -
L’ART. 12 – GARANTISCE L’INSERIMENTO NELL’ ASILO NIDO DI
BAMBINI HANDICAPPATI DA 0 A 3 ANNI ED IL PROSEGUIMENTO
DEGLI STUDI ANCHE FINO ALL’UNIVERSITA’ -
12. Legge 104
La decisione del legislatore, riguardo
ai più piccoli, è rivoluzionaria e
consegue alla decisione presa dalla
Corte Costituzionale nella sentenza n.
215 del giugno 1987 (Sasso, 2003, p.
32).
13. Sentenza n. 215 del giugno 1987
della Corte Costituzionale
In questa si afferma principalmente che la
persona diversamente abile non è
irrecuperabile e dunque devono essere
favoriti sia la sua socializzazione, sia il
raggiungimento di adeguati livelli formativi.
Benché tale sentenza fosse riferita agli
alunni diversamente abili che non potevano
essere inseriti nella scuola superiore,
possiamo tranquillamente riportarla all’Asilo
Nido, tenendo in considerazione il livello del
deficit e l’età del bambino.
14. Legge 104
L’articolo 13 riguarda l’integrazione
nelle sezioni, attraverso la programmazione
coordinata dei servizi scolastici con quelli
sanitari, socio-assistenziali e culturali.
Sono decisivi gli accordi di programma, nel
nostro caso, tra municipalità, ASL e
strutture sul territorio.
In questo articolo è anche previsto il
contributo dell’insegnante di sostegno al
momento educativo in collaborazione con il
resto del Gruppo educativo.
15. Legge 104
Le modalità di attuazione dell’integrazione
sono inserite nell’articolo 15.
Ciò che viene ritenuto fondamentale è la
formazione degli insegnanti per
l’acquisizione di conoscenze in materia di
integrazione.
Dovrebbe divenire scrupoloso per le
istituzioni educative garantire la continuità
fra i diversi tipi e gradi di scuola,
prevedendo forme di consultazione tra gli
insegnanti e gli educatori.
16. Riflessioni Legge 104
Tutte queste condizioni favoriscono l’integrazione,
intesa come comprensione e accettazione dell’altro,
consentendo la piena accoglienza di ogni bambino dai
3 mesi ai 3 anni.
L’integrazione di un bambino diversamente abile,
come si è detto in precedenza, deve essere
considerata all’interno di un processo globale che
dinamicamente coinvolge tutto il nido dai bambini
agli educatori, al personale ausiliario, all’équipe
psicopedagogica.
A tale processo, devono collaborare, inoltre, sia la
famiglia che gli specialisti dei servizi socio-sanitari
territoriali.
17. Riflessioni Legge 104
Il processo integrativo deve essere
sorretto da un valido piano educativo a cui
si arriva dopo il riconoscimento del deficit
da parte delle strutture sanitarie.
Tale piano educativo rappresenta la
modalità di accoglienza del bambino, che
prevede inizialmente il suo inserimento e
via via la sua integrazione nella vita del
gruppo all’interno del Nido.
18. Il percorso di accoglienza
Per progettare un’accoglienza
rispondente alle risorse e ai bisogni del
bambino e definire il piano educativo, è
necessario che siano stati soddisfatti altri
passaggi istituzionali.
Infatti, il Piano Educativo può essere
organizzato solo dopo la certificazione
medica, la diagnosi funzionale e il profilo
dinamico funzionale.
20. Il percorso di accoglienza
La legge-quadro e l’atto di
indirizzo e coordinamento relativo ai
compiti delle A.S.L. (DPR 24/2/’94)
prospettano una strategia operativa
finalizzata all’integrazione dei
bambini diversamente abili,
“integrando” i vari documenti e le
Persone/istituzioni incaricate per la
loro compilazione.
21. D.P.R. 24/2/94
Atto di indirizzo e coordinamento
Compiti ASL:
Identificazione e riconoscimento handicap
Garanzia esercizio (salute, assistenza,
educazione)
Strumenti:
Certificazione medica
Diagnosi funzionale
Profilo dinamico funzionale
PEI
22. La certificazione medica
La certificazione medica attesta, dunque, la
presenza di un deficit fisico, psichico o sensoriale.
La richiesta della certificazione parte dalla famiglia
L’articolo 2 della legge 104/92 recita che
all’individuazione del bambino come persona
diversamente abile, nel rispetto degli articoli 12 e 13
(quelli di cui abbiamo parlato più sopra), al fine di
assicurare il diritto all’educazione, provvede lo
specialista in servizio presso una struttura sanitaria
pubblica.
Il nostro bambino, quindi, vedrà riconosciuto il suo
deficit, inizialmente, solo dal punto di vista medico.
23. La diagnosi funzionale
Alla certificazione, segue la diagnosi
funzionale, quel documento in cui gli
specialisti appartenenti all’unità
multidisciplinare, composta dal medico
specialista nella patologia segnalata, dal
neuropsichiatra infantile, dal terapista
della riabilitazione e dagli operatori sociali
pubblici o convenzionati, descrivono la
compromissione funzionale dello stato
psico-fisico del bambino in situazione di
deficit, raccogliendo sistematicamente
tutti gli elementi clinici e psicosociali.
24. Diagnosi funzionale
Comprende la conoscenza biografica del bambino
Indica le sue possibilità di accesso:
•alla conoscenza;
•alla comunicazione;
•alla relazione.
Segue l’accertamento del deficit.
È redatta dalla équipe socio-sanitaria
25. La diagnosi funzionale
Gli elementi clinici si acquisiscono
tramite la visita medica diretta o con
l’eventuale documentazione medica
preesistente, mentre gli elementi
psico-sociali comprendono sia i dati
anagrafici del soggetto, sia quelli
relativi alle caratteristiche del nucleo
familiare.
26. La diagnosi funzionale
Dopo la definizione del quadro clinico
è viva l’esigenza del recupero delle
difficoltà e, quindi, l’individuazione
delle potenzialità residue presenti nel
soggetto nell’area cognitiva,
affettivo-relazionale, linguistica,
sensoriale, motorio-prassica,
neuropsicologica e dell’autonomia.
27. La diagnosi funzionale
La diagnosi funzionale rimane uno
strumento che permette l’inizio di un lavoro
diagnostico che accompagnerà il bambino
durante il suo percorso a livello
riabilitativo, didattico e sociale, ma mai
dovrà consentire il minimo etichettamento
del bambino.
Essa risulta indispensabile per la richiesta
di assegnazione di un docente aggiuntivo
per le attività di sostegno.
28. Gli aspetti del soggetto
osservati
La diagnosi funzionale, essendo quindi finalizzata
al recupero del soggetto diversamente abile,
deve tenere particolarmente conto, secondo
l’articolo 5 della legge 104/92, delle potenzialità
registrabili in ordine ai seguenti aspetti:
a) cognitivo, esaminato nelle componenti: livello di
sviluppo raggiunto e capacità di integrazione
delle competenze;
b) affettivo-relazionale, esaminato nelle
componenti: livello di autostima e rapporto con
gli altri;
29. Gli aspetti del soggetto
osservati
c) linguistico, esaminato nelle componenti:
comprensione, produzione e linguaggi alternativi;
d) sensoriale, esaminato nella componente: tipo
e grado di deficit con particolare riferimento
alla vista, all'udito e al tatto;
e) motorio-prassico, esaminato nelle
componenti: motricità globale e motricità fine;
f) neuropsicologico, esaminato nelle componenti:
memoria, attenzione e organizzazione spazio
temporale;
g) autonomia personale e sociale.
30. Il profilo dinamico funzionale
Il Profilo dinamico funzionale (Milito, 2002, p.
217), atto successivo alla diagnosi funzionale,
indica, dopo un periodo di inserimento al Nido,
il prevedibile livello di sviluppo che l’alunno in
situazione di deficit dimostra di possedere nei
tempi brevi (6 mesi) e nei tempi medi (2 anni).
Alla sua elaborazione provvede l’unità
multidisciplinare che ha redatto la diagnosi
funzionale a cui si aggiungono gli educatori,
l’insegnante specializzato, o di sostegno, e la
famiglia dell’alunno.
31. Profilo dinamico-funzionale
Organizzazione e sintesi delle diverse informazioni
in un quadro generale.
In esso vengono presi in esame:
•i livelli di autonomia individuale
•i livelli di crescita cognitiva
•i livelli e le modalità operative di funzionamento in varie aree
•i livelli e gli aspetti della socializzazione
•i livelli della comunicazione con il linguaggio verbale e non
•le modalità di interazione (oculo-motoria, mimico-gestuale,
mimico-facciale, verbale)
•i livelli di abilità (motorie, sensoriali/prassiche, percettive)
È elaborato da tutti gli operatori, del nido, sanitari e dalla famiglia
32. Il profilo dinamico funzionale
Il profilo dinamico funzionale comprende:
- la descrizione delle funzioni del bambino in
relazione alle difficoltà e alle potenzialità che
il soggetto dimostra di incontrare nei diversi
settori di attività descritte nella diagnosi
funzionale;
- l’analisi dello sviluppo potenziale del bambino
a breve e medio termine desunto
dall’osservazione di alcuni assi che ricalcano le
aree già individuate nel definire la diagnosi
funzionale.
34. Il profilo dinamico funzionale
Il profilo dinamico funzionale non è
altro che una diagnosi di sviluppo che
è definita dalle aree che possono
essere “educate” e che, nel corso
delle verifiche sistematiche, possono
anche subire modificazioni.
35. Il piano educativo
individualizzato
Il Piano educativo individualizzato o
personalizzato (Milito, 2002, p. 217) è
redatto congiuntamente dagli
operatori della A.S.L., dall’educatore
e dall’insegnante di sostegno del Nido,
dall’équipe psicopedagogica municipale
e dalla famiglia
36. Piano educativo individualizzato
Rappresenta la pianificazione di tutti gli interventi fra
di loro integrati.
È un documento costantemente verificabile e aggiornabile.
Deve far emergere le connessioni tra i piani:
•rieducativi
•riabilitativi
•formativi
È elaborato da tutti gli operatori, scolastici, socio-sanitari,
extrascolastici.
37. Il piano educativo
individualizzato
Il piano educativo, predisposto per un
determinato periodo di tempo, deve essere
correlato e integrato con gli interventi
riabilitativi e di socializzazione e con alcune
forme di integrazione tra attività che
vengono svolte al Nido ed altre fuori da
questo, affinché, per il superamento delle
difficoltà del soggetto, possano essere
utilizzate tutte le sue potenzialità
comunque disponibili.
38. Il piano educativo
individualizzato
La caratteristica del piano educativo è di essere un
progetto unitario in cui sono inseriti tutti gli interventi e
la pluralità degli apporti degli operatori che fissano
obiettivi, tempi, modalità e procedure.
L’integrazione del team, a livello operativo, deve tener
conto quindi della specifica formazione professionale degli
operatori e del diverso grado di conoscenza del bambino
da parte di ognuno di loro.
Anche il Piano educativo, come la diagnosi e il profilo, deve
avere un carattere dinamico, ossia regolarmente
verificato e adeguato ai possibili cambiamenti del piccolo
bambino.
39. Il piano educativo
individualizzato
A tal fine, possono essere di grande aiuto sia il
coordinatore educativo che l’équipe psico-
pedagogica.
Infatti queste figure possono supportare
l’educatore e l’insegnante di sostegno per avere a
disposizione quegli aspetti delle teorie dello
sviluppo, attraverso i quali esaminare le
potenzialità dell’alunno all’interno dei vari settori
dell’apprendimento e della vita di relazione.
Sarà indispensabile procedere all’osservazione e
alla valutazione delle competenze possedute dal
bambino.
40. Il significato dell’accoglienza
Progettare un lavoro didattico per i
bambini dai tre mesi ai tre anni
significa, secondo Tiziano Loschi
(2003), programmare una sequenza
razionale e consapevole di interventi
che tenga conto delle loro potenzialità
per promuoverne lo sviluppo e gli
apprendimenti.
41. Il significato dell’accoglienza
In particolar modo, per un bambino
diversamente abile, il contesto ambientale
del Nido va preparato in modo che egli
possa continuare la sua storia, utilizzando
competenze e conoscenze già acquisite.
La presenza nella scuola di bambini con
difficoltà è fonte di una preziosa dinamica
di rapporti e di interazioni che, a sua volta,
è occasione di maturazione per tutti.
42. Finalità del Piano educativo
Il piano educativo curato dall’educatore,
con l’aiuto del coordinatore del Nido e la
supervisione dell’équipe psicopedagogia,
deve avere come finalità:
l’attenzione e la disponibilità dell’adulto;
la flessibilità e la dinamicità delle
situazioni;
la possibilità di ricche interazioni sociali;
la possibilità di esplorare, partecipare e
comunicare;
la conquista dell’autonomia.
43. Piano educativo
Bisogna considerare, inoltre, anche il
tipo di deficit del bambino e se, nel
corso del tempo, dovrà stare seduto
molto in carrozzina.
44. I deficit sensoriali
I deficit sensoriali sono delle compromissioni
importanti della funzionalità di uno o più organi
di senso: ad esempio, l’ipovisione, la cecità, la
sordità.
Un modo di classificare i vari tipi di deficit è
quella che li distingue in sensoriali, motori (cioè
che compromettono la funzionalità locomotoria),
e neuropsichici (cioè che compromettono la
funzionalità neurologica e cerebrale).
Spesso, purtroppo, questi deficit possono
presentarsi insieme: in questo caso si parla di
pluriminorazioni.
45. La sindrome di Down
La sindrome di Down prende il nome dal
medico inglese Langdon Down che, nel
1866, ne diede una prima descrizione
scientifica.
È una anomalia genetica causata da una
non corretta divisione cromosomica al
momento del concepimento che dà luogo,
nel corredo genetico dell’embrione, ad una
alterazione del cromosoma 21: da qui il
nome, scientificamente più adeguato, di
Trisomia 21.
46. La sindrome di Down
I bambini portatori di questa
sindrome sono caratterizzati da un
carattere affettuoso, partecipativo e
socievole.
La sindrome è associata a ritardo
mentale di grado variabile e, inoltre, a
problematiche cardiache, polmonari e
dell’apparato uditivo.
47. La sindrome di Down
L’ aspettativa di vita per queste persone
oggi è molto cresciuta, superando i
cinquant’anni: all’epoca in cui questi bambini
venivano abbandonati negli “istituti”
raramente arrivavano a compiere i vent’ anni!
Questo traguardo è stato possibile grazie
allo sviluppo delle cure mediche e ad una
maggiore sensibilità collettiva che ha
condotto ad una migliore integrazione
sociale e lavorativa delle persone portatrici
di questa sindrome.
48. La sindrome di Down
Come tutte le sindromi riconducibili ad una
alterazione genetica essa non è ovviamente
contagiosa: non è da considerare neanche una
“malattia” da cui guarire, bensì una condizione
genetica.
Le persone che ne sono portatrici hanno in
comune solo certe caratteristiche fisiche e
alcune difficoltà di apprendimento, che
comunque variano da persona a persona: tra le
persone con sindrome di Down, infatti, sono
molto di più le differenze che non le
somiglianze!
49. L’autismo
La natura dell’autismo non è ancora molto
chiara.
Da un punto di vista psichiatrico, essa è
classificabile come una forma di psicosi,
ossia di una profonda alterazione della
mente la cui cause sono probabilmente da
ricercare in una disfunzione biologica del
cervello ancora, però, non chiaramente
individuata.
50. L’autismo
L’ipotesi che questo disturbo sia
riconducibile, invece, a problematiche di
tipo psicologico non viene più considerata
praticabile: questo tipo di approccio viene
più ragionevolmente riservato per la
gestione della situazione che si viene a
creare, a livello familiare e sociale, in
presenza di un bambino portatore di tale
disturbo.
51. L’autismo
L’ autismo, generalmente, si manifesta nei
suoi tratti caratteristici fin dalla prima
infanzia: il bambino si presenta agli occhi
dell’osservatore come distaccato, tendente
all’isolamento, con linguaggio non
comunicativo, voce inespressiva,
meccanicità e ossessività nel gioco,
comportamenti autolesionisti.
Specifici programmi riabilitativi, gestiti da
personale altamente specializzato, sono
oggi in grado di portare a risultati
incoraggianti
52. Le discinesie
in ambito neurologico, le discinesie indicano
la perdita della coordinazione dei
movimenti, spasmi, irregolarità, anomalie,
che appaiono in associazione a danni del
sistema nervoso centrale.
Qualora i danni avvengano durante la
gestazione o subito dopo la nascita si parla
di paralisi cerebrali infantili: sintomi
caratteristici sono disturbi cronici della
motricità, epilessia e, spesso, insufficienza
mentale.
53. L’afasia
L’afasia è un disturbo del linguaggio
che consiste nella perdita della
capacità di parlare o di comprendere
le parole.
Le cause sono di origine neurologica e
sono ascrivibili a danni corticali
prevalentemente subiti dall’emisfero
cerebrale sinistro.
54. Ruolo del coordinatore
La leadership del coordinatore faciliterà il
lavoro del gruppo, se lui non avrà “paura di
perdere autorità e potere” e se sarà capace
di “delegare le responsabilità” ad ognuno
dei partecipanti.
Sarà anche importante che allarghi
l’integrazione del bambino a tutto il gruppo
educativo, fornendo materiale adeguato alle
situazioni di deficit
55. Valore del Piano educativo
Il piano educativo dovrà essere
costruito e sviluppato partendo
dall’osservazione del bambino riguardo
la sua partecipazione attiva e le sue
strategie sociali, cognitive e
affettive.
56. Valore del Piano educativo
Una considerazione da tener presente, al momento
in cui si ci prepara per il lavoro di progettazione
del piano educativo, riguarda il fatto che il
bambino, anche se diversamente abile, deve essere
comunque protagonista del suo apprendimento.
Ci si deve dunque attenere all’idea che un
intervento educativo consiste nell’attivazione di un
processo di costruzione, sempre più articolato –
ovviamente in funzione di obiettivi a medio e lungo
termine-, in riferimento allo sviluppo dei linguaggi,
alle modalità comunicative, alla strutturazione
dello spazio e del tempo, alle rappresentazioni
simboliche (Loschi, pag. 28).
57. Valore del Piano educativo
La flessibilità dell’azione educativa,
soprattutto nel caso del bambino
diversamente abile, implica che si
offrano ai bambini diverse possibilità
di apprendere in considerazione degli
stili cognitivi e operativi propri di quel
bambino.
58. Le fasi per l’elaborazione del
Piano educativo personalizzato
Si possono prospettare quattro fasi per
l’elaborazione del piano educativo
personalizzato.
Nella prima fase, terremo conto di alcune
conoscenze del bambino che ci sono state
comunicate dalla famiglia, in un incontro
preliminare, al momento dell’iscrizione, e di
quanto possono averci riferito i membri
dell’équipe psicopedagogica riguardo al tipo di
deficit e alla sua eventuale gravità.
59. Prima fase
Al momento del suo ingresso al Nido, dopo
aver seguito i criteri di routine per
l’ambientazione del bambino, inizieremo ad
osservare, supportati dal coordinatore, di
che tipo è la sua relazione spontanea con il
contesto, dunque, con gli spazi e con i
materiali, con i suoi compagni e con gli
educatori.
Potremo utilizzare una scheda in cui, giorno
per giorno, riporteremo i suoi
comportamenti.
60. Seconda fase
Nella seconda fase, avremo cura di
considerare di che grado è la sua
intenzionalità nei confronti, come già detto,
degli spazi, dei materiali e di attività
strutturate.
Si potranno verificare anche
comportamenti messi in atto nel piccolo
gruppo. Su una scheda potranno essere
riportati dati riguardo il rapporto fra le
strategie metodologiche dell’educatore e
gli stili e atteggiamenti del bambino.
61. Terza fase
Nella terza fase, procederemo alla
costruzione della visione che il
bambino ha della sua realtà
circostante, indagando sulle modalità
attraverso cui arriva, se vi arriva, alla
sistematizzazione delle sue
conoscenze.
62. Quarta fase
Nella quarta fase, possono essere
osservati i linguaggi attraverso i quali
i bambini esprimono la realtà che li
circonda.
È sicuramente questo un passaggio
fondamentale perché possiamo
conoscere i codici che si sono
sviluppati dalle loro esperienze.
63. La supervisione dell’équipe
psicopedagogica
Il lavoro condotto sin qui ha bisogno
naturalmente della supervisione
dell’équipe psicopedagogica, poiché
può indirizzare l’attenzione
dell’educatore verso alcuni particolari
che talora, alla semplice osservazione,
possono essere sfuggiti e che, invece,
appaiono di un’importanza veramente
fondamentale.
64. Il progetto educativo
A questo punto, possono essere
individuati i traguardi di sviluppo, le
strategie per raggiungerli e
svilupparli, i relativi contenuti (le
routine, le esperienze da condividere
con altri ecc), le metodologie (attività
individualizzate o da sviluppare nel
piccolo gruppo).
65. Il progetto educativo
Il piano prevederà modalità
osservative per verificare non solo il
raggiungimento dei vari traguardi di
sviluppo, ma anche il modo il modo in
cui sono stati raggiunti (i processi di
apprendimento, di socializzazione e di
integrazione).
66. Il progetto educativo
La finalità principale non è la
semplificazione degli interventi educativi,
ossia la riduzione in quantità o qualità degli
obiettivi inseriti in un Piano educativo
organizzato per i “normodotati”. Al
contrario, il Piano educativo per un bambino
diversamente abile deve essere
scrupolosamente organizzato, tenendo
conto delle sue “limitazioni”, ma anche delle
sue potenzialità.
67. Il progetto educativo
Solo considerando ciò che il bambino
conosce, ciò che sa fare, come interagisce
con gli altri, il Piano potrà essere costruito
ed elaborato in maniera flessibile, con
obiettivi aderenti proprio a quel bambino,
nel rispetto della sua diversità.
Infine, bisogna sottolineare come
ognuno dei bambini presenti nel Nido sia
“diverso”, e come ogni diversità sia una
risorsa positiva per tutti: bambini e adulti
educatori.
68. Per individualizzare il progetto
Conoscere il bambino
Osservazione sistematica e partecipata
Attività di osservazione Attività di descrizione
e documentazione
caratterizzata da
attraverso una
bisogna
69. Bibliografia
Comune di Roma (1996), Regolamento degli Asili
Nido, Deliberazione del Consiglio Comunale
n. 45 del 25 marzo 1996.
Loschi, T. (2003), Benessere al nido, Nicola
Milano Editore
Milito, D. (2002), La didattica speciale, Anicia,
Roma.
Panier Bagat, M., Sasso, S. (1995), L’altra
crescita, Franco Angeli, Milano.
Sasso, S. (2003), Progettare e sostenere
l’integrazione, Edizioni Didattiche Gulliver,
Vasto (Ch).