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Pionieri CRI – Sicilia – Attività Socio
Assistenziali – Assistenza al disabile
- Pionieri CRI – Sicilia – Attività
Socio
Assistenziali –
Assistenza al disabile -
Pionieri CRI – Sicilia –
Attività Socio
Assistenziali –
Assistenza al disabile - Pionieri CRI –
Sicilia – Attività Socio Assistenziali
– Assistenza al disabile - Pionieri
CRI – Sicilia – Attività Socio
Assistenziali – Assistenza al
Famiglia
Società Stato e Sanità
Servizi effettiviVolontariato
2 Attività Socio-Assistenziali
Assistenza al disabile
Disabile: si considerano tali tutti coloro che sono affetti da una minoranza di
natura congenita o acquisita, anche a carattere progressivo.
Portatore di handicap : si considera tale il disabile che subisce il peso emotivo
e psicologico della sua minorazione e non riesce a integrarsi con la società
avendone una ripercussione psico fisica
Il portatore di handicap è disabile
Il disabile non necessariamente è portatore di handicap
L’handicap non esiste in assoluto: esso è in rapporto a situazioni precise della
vita di tutti i giorni.
Questa constatazione dovrebbe guidare ogni approccio sociale, tecnico,
professionale ed anche politico.
Si scoprirebbe allora che:
“l’handicap non è sempre ciò che si può vedere, e gli
handicappati ciò che si pensa”.
3 Attività Socio-Assistenziali
4 Attività Socio-Assistenziali
SIGNIFICATO DEL
TERMINE
FATTORE FATTORE
INDIVIDUALE AMBIENTALE
ETICA:
il “bene” del disabile
Handicap come
“diversa abilità”
Il progresso
legislativo
Valorizzazione
delle funzionalità
residue
Verso la
cultura
dell’handicap
hand
Handicap La risposta della
icapcome società
compromissione
Tipi di disabilità
Disabilità fisica
• Sclerosi multipla
• Celebrolesi
• Malati cronici
• Malati oncologici terminali
• Sieropositivi; malati di Aids
Disabilità pschica
• Depressione
• Schizzofrenia
• Disturbi del comportamento
• Complesso d’inferiorità
Per il volontario di Croce Rossa, la persona che si trova in stato di
necessità, non va mai considerata come una persona lontana e staccata da
noi, DIVERSA in senso negativo o riduttivo.
Piuttosto la formazione del Pioniere deve dare al disabile la capacità
di provare stati d’animo e di acquisire atteggiamenti psicologici rispetto al
servizio, tali da non creare un distacco tra assistente volontario e assistito.
5 Attività Socio-Assistenziali
6 Attività Socio-Assistenziali
Le cause
dell’handicapCONGENITO ACQUISITO
►Periodo prenatale
fattori immunitari MEN
fattori genetici es. “trisomia 21”
fattori microbici infezioni virali rosolia morbillo
fattori ormonali madre diabetica
fattori chimici e meccanici
►Periodo perinatale
parto prematuro
sofferenza fetale
utilizzo del forcipe
►Periodo postnatale
disturbi della nutrizione
fattori traumatici
malattie infettive tipo meningite
malattie genetiche come la sclerosi multipla
7 Attività Socio-Assistenziali
Si considerano disabili ai fini dell’assistenza e dei riconoscimenti legali e sociali,
tutti coloro che sono affetti da una minorazione di natura congenita o acquisita, che
abbiano subito una riduzione della capacità lavorativa del 46% rispetto alla normalità
fisiologica.
Coloro che rientrano in questa fascia sociale hanno dei diritti garantiti dallo stato
quali:
assistenza sanitaria generica;
fornitura di protesi, tutori, etc.;
facilitazioni a livello scolastico e nella formazione professionale;
facilitazione negli spostamenti e nei viaggi;
assistenza economica sotto forma di pensione d’inabilità (se la percentuale
d’invalidità è superiore al 68%).
8 Attività Socio-Assistenziali
D I A G N O S I
CAUSE
PATOLOGICHE
PRENATALI POSTNATALIPERINATALI
Anomalie
comosomiche e
disturbi genetici
Malattie dell’infanzia
Emorragie
intracraniche
Forme infiammatorieMalformazioni
cerebrali
Encefalopatia
Anossica/ischemicaFetopatie Forme vascolariForme vascolari
Paralisi ostetricaAnomalie del tubo
neurale
Lesioni tossiche
Del plesso brachiale
Lesioni tumorali
traumi
Ripercussioni
sull’operatore
9 Attività Socio-Assistenziali
Appartengono a questa categoria i casi di autismo e psicosi infantile che
attualmente sono riuniti sotto la denominazione di disturbi generalizzati di
gruppo.
Sono sindromi che condividono alcuni aspetti clinici generali, ma riflettono
probabilmente patologie diverse. Hanno esordio nella prima infanzia e sono
caratterizzate da ritardate e ridotte capacità sociali, comunicative e cognitive.
Comprendono:
1. il distrubo autistico;
2. i disturbi generalizzati di sviluppo non autistici.
Il disturbo autistico
Ha una frequenza da due a cinque casi su 10.000 bambini. E’ quattro-
cinque volte più frequente nei maschi, ma le femmine vengono colpite più
gravemente.
Provengono da famiglie di ogni livello socio-economico. I genitori di
bambini autistici non differiscono dai genitori di bambini che presentano altri
disturbi di sviluppo.
La sindrome ha inizio più frequentemente nel primo anno si vita, tavolta
nel secondo o terzo. Sebbene i genitori siano spesso preoccupati nei primi mesi
di vita del bambino per il suo comportamento, di solito però le loro
preoccupazioni aumentano nel secondo-terzo anno se non compare il
linguaggio.
Inizialmente il bambino può non rispondere in modo differenziato ai
genitori, ma essere particolarmente attaccato ad un oggetto inanimato. E’ per lo
più interessato agli aspetti non funzionali degli oggetti, ma presta attenzione ad
alcune sue caratteristice, quali l’odore o il sapore. Non utilizza in modo adeguato
il materiale ludico. Presenta caratteristici manierismi motori, come battere le
mani, camminare in punta dei piedi, ecc.
Solo tardivamente può riconoscere le figure di accudimento. Lo sviluppo
sociale è ritardato e qualitativamente diverso da quello dei bambini molto piccoli
o dei bambini con ritardo mentale non associato ad autismo. Il volto umano
suscita uno scarso interesse; non vi è aggancio visivo; l’attaccamento è scarso o
assente; complessivamente è eclatante la generale mancanza di interesse
sociale. Possono non rispondere ai loro genitori in modo differenziato fino all’età
della scuola elementare.
Per quanto riguarda lo sviluppo della comunicazone, circa la metà dei
soggetti autistici non raggiunge un tipo di linguaggio significativo e quelli che
parlano esibiscono un linguaggio particolare, caratterizzato da ecolalie gravi,
inversione dei pronomi, uso inappropiato dell’intonazione, problemi dello
10 Attività Socio-Assistenziali
11 Attività Socio-Assistenziali
sviluppo semantico, linguaggio estremamente vuoto, fallimento nell’uso
pragmatico del linguaggio.
Sul piano cognitivo la maggior parte dei soggetti autistici ottiene, alle
prove di valutazione d’intelligenza, un punteggio che rientra nell’ambito del
ritardo mentale. Il quoziente intellettivo inoltre è un potente fattore predittivo
dell’esito definitivo. Questi bambini presentano deficit persistenti nel pensiero
astratto, nella programmazione, nella capacità di attribuire stati mentali ad altre
persone. Si possono riscontrare associazioni con altre patologie, quali rosolia
congenita, sclerosi tuberosa, sindrome X-fragile, ecc. Il 25% presenta
convulsioni. Non sono ancora stati identificati meccanismi genetici precisi e
testabili.
Nei bambini autistici è possibile osservare una varietà di stili interattivi,
dalla freddezza, alla passività, all’eccentricità.
Nel decorso le modalità d’interazione sociale rimangono piuttosto devianti.
Durante l’adolescenza alcuni subiscono un deterioramento comportamentale e
solo un numero ristretto migliora. Da adulti dimostrano marcata difficoltà
nell’interazione sociale. Forse solo un terzo, una volta adulto, è in grado di
raggiungere una certa autonomia a autosufficienza personale.
Il ritardo mentale
Senza entrare nella specificità della pedagogia speciale, è però importante
tenere presente che il disabile con il ritardo mentale ha modalità
d’apprendimento e comportamentali con caratteristiche particolari.
Sinteticamente ricordiamo che sono compromesse le capacità d’analisi selettiva
dei canali percettivi, l’integrazione delle informazioni e la loro possibilità di
astrazione, la capacità di progettazione.
In rapporto a ciò è necessario che l’operatore durante le attività cerchi di
ridurre al massimo le difficoltà concettuali, si affidi fondamentalmente alla
concretezza dell’esperienza e abbia la costanza della ripetitività affinchè le
situazioni e i procedimenti vengono interiorizzati.
Per il ritardato mentale non è tanto importante la produttività quanto il
contenuto emotivo dell’esperienza, perciò è più interessato a operare in funzione
della relazione con l’operatore che essere attento al risultato dell’attività.
Particolare impegno deve essere rivolto all’acquisizione delle autonomie
personali e al rispetto delle regole sociali che possono risultare meno gradite
delle attività occupazionali. In questo caso la metodologia non potrà fare
affidamento su strumenti particolari ma sarà tutta nelle capacità di
coinvolgimento emotivo e relazionale dell’operatore.
12 Attività Socio-Assistenziali
L’epilessia
Nell’ambito dei soggetti con disabilità è piuttosto alta la frequenza
dell’epilessia. Senza entrare nel campo di competenza sanitaria, l’operatore
deve conoscere alcuni aspetti inerenti ai fattori scatenanti; al comportamento da
assumere durante e dopo le crisi. Innanzitutto è bene tenere presente che
spesso le crisi epilettiche si verificano senza segni premonitori: quest’elemento
va considerato nella scelta di evitare attività o situazioni che in caso di crisi
risulterebbero particolarmente pericolose o per lo meno a predisporre strumenti
atti ad assicurare una maggiore assistenza in queste circostanze da parte
dell’operatore.
13 Attività Socio-Assistenziali
Trattamento sanitario obbligatorio
Ricovero ospedaliero effettuato contro la volontà del paziente, condizione
regolamentata in Italia dalla legge 180/78. La procedura scatta di solito nei
confronti di soggetti che manifestano la riacutizzazione di un disturbo psichico,
attraverso il compimento di azioni clamorose e pericolose ( minaccia di suicidio,
violenza verso persone o cose) oppure negative ( rifiuto di comunicare, di
terapie essenziali o di acqua e cibo).
La richiesta può partire dai parenti o da chiunque ne intraveda la necessità,
ma è sempre finalizzata alla salvaguardia dei diritti civili del paziente, per cui il
ricovero deve essere proposto e motivato da un medico (p. es. quello di
famiglia), convalidato da un secondo dottore (in genere uno psichiatra o un
medico dei Servizi di igiene della A.S.L.) e controfirmato dal sindaco o da un suo
sostituto. In casi particolari (p. es. se il soggetto presenta comportamenti molto
violenti) può essere richiesto l’intervento della forza pubblica (Vigili Urbani o
Carabinieri).
14 Attività Socio-Assistenziali
15 Attività Socio-Assistenziali
Adesso che abbiamo ultimato i chiarimenti per affrontare gli argomenti
base del lavoro, iniziamo ad esaminarli a partire dal primo punto:
La figura del disabile
Ai fini dell’assistenza e dei riconoscimenti legali e sociali, si considerano
disabili tutti coloro che sono affetti da una minorazione di natura congenita o
acquisita, anche a carattere progressivo, che abbiano subito una riduzione delle
capacità lavorative del 46% rispetto alla normalità fisiologica, e che, per i minori,
comporti delle difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della
loro età.
Coloro che rientrano in questa fascia sociale hanno diritto da parte dello
Stato a:
assistenza sanitaria generica e specifica da parte delle A.S.L. di
competenza territoriale;
forniture di protesi, tutori ortopedici, scarpe ortopediche (a scadenze
stabilite dallo Stato);
facilitazione nella frequenza scolastica e nello studio in genere (ad
esempio presenza dell’insegnante di sostegno);
assistenza economica sotto forma di pensione d’inabilità (superato
una certa percentuale), assegno mensile d’accompagnamento;
facilitazione nei viaggi e negli spostamenti (mezzi pubblici idonei per
il trasporto, sia via terra, che sui treni o aerei o servizi di assistenza
presso stazioni e aeroporti).
Considerata la “figura” del disabile secondo i canoni di legge stabiliti
dallo Stato italiano, adesso tracciamo un nostro profilo di quello che,
per gli operatori di Croce Rossa, significa essere “disabile”, ed entriamo
quindi nel secondo argomento.
Rapporti tra l’operatore di Croce Rossa ed il disabile
Prima di entrare nello specifico, facciamo una breve considerazione sugli
aspetti fondamentale della formazione professionale dell’operatore di Croce
Rossa, sia per una crescita sociale del volontario in genere, che per una
migliore opera assistenziale nei confronti dell’utente.
Per l’operatore di Croce Rossa, la persona che si trova in stato di
necessità, non va mai considerata come una persona lontana e staccata da noi,
diversa in senso negativo o riduttivo.
P
A
iuttosto la formazione dell’operatore CRI devev dare a quest’ultimo
la capacità di provare stati d’animo e di acquisire atteggiamenti
psicologici rispetto al servizio, tali da non creare un distacco tra “assistente” e
“assistito”.
Un rapporto istituzionale di questo tipo è purtroppo caratteristico del
servizio statale (quando e dove c’è), e si configura come quel genere di
colloquio sterile tra chi è là, solo per “lavorare e rendere un servizio”, e chi è
l’utente che ha dei diritti da soddisfare.
l contrario, l’operatore volontario di Croce Rossa, in quanto tale,
non ha nè diritti nè doveri verso chi in quel momento gli è vicino per
avere un aiuto, ma deve semplicemente rapportarsi da essere umano munito di
buona volontà e buon cuore. Deve esistere, insomma, un rapporto franco in cui
chi non può camminare o vedere ha bisogno dell’aiuto dell’altro che,
gratuitamente, si mette a disposizione, e nello stesso tempo, rifletta sulla
“fortuna” che ha nel poter aiutare e non aver bisogno d’aiuto.
Quello che gli anni d’esperienza ha fatto maturare nella coscienza degli
operatori CRI, è che spesso non ci si rende conto di come sono proprio coloro
che assistiamo che ci fanno capire le problematiche della vita vista da un’ottica
di chi le vive con maggiori difficoltà, siano essere fisiche o psichiche.
16 Attività Socio-Assistenziali
Abbiamo imparato che l ruolo umano di chi ha la fortuna di stare in buona
salute, è quello di inserirsi in questi problemi, per offrire un aiuto puro, senza
contropartite, acquisendo una più lucida conoscenza della condizione umana.
Il rapporto tra l’operatore CRI ed il disabile va visto come uno
scambio di valori umani dove non devono esistere vergogne, pregiudizi e
paure da una parte e dall’altra, poichè il pietismo emargina e l’indifferenza
uccide. Naturalmente, tutti sono in grado di affrontare un rapporto così
complesso e delicato, ma rinunciarci a priori è certamente errato.
Esiste un approccio cordiale in cui si comincia a dare ciò che si sente di
dare; avendo il coraggio di farsi ripetere una parola non capita, di tendere la
mano per salire un gradino, senza sostituirsi o strafare o volere a tutti i costi
aiutare più di quanto, in effetti, ce ne sia bisogno. In fondo i disabili stessi sono i
migliori istruttori che ci guidano, e sicuramente quando hanno delle necessità
particolari non avranno paura a farcelo capire, per cui uno degli slogan per
l’operatore di Croce Rossa è:
CORAGGIO, NON AVER PAURA, AVVICINATI E TENDI LA MANO!
L’operatore deve dare particolari riguardi ai rapporti con la famiglia del
disabile. Essa spesso è il primo luogo in cui l’emarginazione e la vergogna
prendono il posto della solidarietà e dell’ottimismo. I fatti di cronaca che spesso
vengono alla luce non sono altro che la punta di un iceberg sommerso.
17 Attività Socio-Assistenziali
18 Attività Socio-Assistenziali
Possibilità d’inserimento nel contesto della vita sociale
del disabile.
Entrando nel terzo punto da trattare, possiamo renderci conto di quanto
sia fondamentale, ed oggetto di completamento della vita da relazione propria
del disabile, un possibile ed “umano” inserimento nei normali ruoli quotidiani di
persone appartenenti alla società.
Nel primo argomento trattato abbiamo tracciato un profilo di quella che è
la figura del disabile in relazione al tipo di handicap; adesso ci renderemo conto
dell’importanza dell’inserimento nella vita comune di un soggetto svantaggiato,
cominciando dall’abbattimento delle barriere architettoniche e sociali.
Naturalmente nella fase di crescita evolutiva dell’uomo, dopo la scuola
subentra l’inserimento nel mondo del lavoro, da ciò scaturisce la realizzazione
personale e l’indipendenza economica.
Quest’ultima assicura la possibilità della conduzione di un vita serena ed
orientata verso la formazione di una famiglia ed il raggiungimento di una serie di
obiettivi ed accorgimenti per una vita tanto più agiata quanto più alta è la
remunerazione lavorativa.
Purtroppo nella società odierna, dove il lavoro è diventato uno dei diritti più
“problematici”, è difficile entrare nell’ottica che anche un disabile ha diritto a
lavorare come gli altri. Non dimentichiamo che per la società un disabile è
sempre un assistito, qualcuno che ha bisogni particolari e che, sicuramente
secondo una mentalità efficientista, non potrà mai rendere quanto un soggetto
“normodotato”.
19 Attività Socio-Assistenziali
Quindi, il datore di lavoro privato, all’atto dell’assunzione del personale,
eccezione fatta per il 10% di personale disabile che le aziende con più di 10
impiegati sono obbligate ad assumere (D.L. 18/01/79), non andrà mai ad
assumere un dipendente che gli costerà quanto gli altri, ma che gli renderà (a
parere suo) di meno.
Questa logica è basata sul presupposto che non si può accettare una
persona che non può vivere una vita “normale”, poichè la società è pensata
come un grande ingranaggio in cui non possono essereci rotelle con i “dentini”
rotti.
Sorgono spontanei degli interrogativi:
che differenza c’è tra un operatore normodotato che si reca tutti i
giorni a lavoro, e svolge un’attività manuale, ed un soggetto in sedia
a rotelle che, se messo nelle condizioni di poter raggiungere il posto
di lavoro, senza dover affrontare “la giungla d’asfalto” di barriere
architettoniche, cone “INDIANA JONES”, può svolgere la stessa
attività manuale del soggetto normodotato?;
forse il problema è quello di dover adattare tutto e tutti per dare la
possibilità ad una persona “ruote dotata” di poter partecipare al
gioco con gli stessi diritti e le stesse opportunità?
E’ notevole l’asprezza delle espressioni contenute in quest’ultima parte,
ma è storia comune che parecchi disabili, pur avendo delle capacità al
di sopra della norma, solo perchè creano problemi di natura tecnica o
estetica per l’azienda, spesso non hanno trovato lavoro.
Affrontando l’argomento dal punto di vista scientifico, dobbiamo
affermare che l’inserimento nella vita professionale del disabile prevede
alcune tappe che elenchiamo nel seguente modo:
ORIENTAMENTO E FORMAZIONE PROFESSIONALE SPECIFICA
VALUTAZIONE DELLE CONSEGUENZE DELL’HANDICAP SULL’
ATTIVITA’ LAVORATIVA
ADATTAMENTO ALL’ ATTIVITA’ LAVORATIVA
CREAZIONE D’OPPORTUNITA’ LAVORATIVE SPECIFICHE.
Per valutare le conseguenze di un handicap di un soggetto, e quindi
orientarlo professionalmente, è necessario conoscere la causa e la prognosi
dell’handicap, poichè ciò che è fondamentale nella pratica non è capire quello
che gli manca o quello che non può fare, ma prendere atto di ciò che riesce a
fare valutandolo su tre criteri fondamentali:
• funzione locomotoria
• funzione di comunicazione
• funzione intellettiva
Acquisiti questi dati, si può tracciare un profilo pratico e psico-attitudinale
sul lavoro, basato sull’adattamento del lavoro alla persona e viceversa, al fine di
trovare un impiego che risponde alle capacità del soggetto, come succede, per i
normodotati.
In questo contesto l’intervento dell’operatore volontario CRI, è mirato a
fare passare il disabile attraverso le fasi prima descritte. Infatti, parecchie
persone handicappate non si pongono il problema del lavoro in quanto rifiutano
quasi totalmente di vivere.
20 Attività Socio-Assistenziali
21 Attività Socio-Assistenziali
Entrano in gioco fattori già citati nella definizione di handicap e quindi, il
rapporto con l’ambiente esterno, la famiglia, la crescita scolastico-culturale e tutti
quei momenti di crisi di rigetto della propria condizione rispetto alla vita
precedente.
Ovviamente, mentre per chi possiede un handicap fin dalla nascita, ed è
stato abituato a conviverci da sempre, l’adattamento alla vita sociale comporta
minori ostacoli (per modo di dire), una persona che ha già lavorato per molti anni,
possibilmente rivestendo un ruolo importante o una mansione qualificata,
trovandosi nelle condizioni di non poter più rendere come prima, non solo
diventerà un oggetto di compassione da parte dei colleghi, ma vivrà
continuamente un confronto che lo deprimerà.
Il nostro intervento, quindi, sarà quello di dare la speranza e la forza di
accettare la propria condizione, dimostrando che esiste una vita accettabile
anche per i disabili, e che il mondo non si ferma a causa dell’inabilità.
Tutto ciò si può anche dimostrare tramite incontri collettivi e seminari di
studio (organizzati dai Pionieri), i cui relatori sono gli stessi disabili (magari
persone affermate che hanno superato gli ostacoli e che siano esempio per noi
e da forte stimolo per gli stessi disabili), dove vengono raccontate le proprie
esperienze di vita mettendole a disposizione di tutti. Inoltre, all’interno dei centri
sociali dei comuni, bisogna creare dei laboratori sperimentali con una èquipe di
medici, psicologi, pedagogisti, assistenti sociali e operatori volontari, che
partecipano alla crescita psico-sociale dei soggetti opportunamente segnalati nei
vari quartieri (ciò che potremmo definire “scuole di vita”), preparandoli ad un
futuro o comunque dando a queste persone la possibilità di dire:
IO SONO DISABILE, HO IMPARATO A FARE QUESTO, SONO A TUA
DISPOSIZIONE, POSSO AIUTARTI?
LO SPORT ED IL DISABILE, TRA DIVERTIMENTO E
TERAPIA PSICOFISICA.
Ultimo, ma non meno importante degli argomenti da trattare, è lo sport per
i disabili. Prima di iniziare la parte pratica e testimoniale delle esperienze di
gruppi di operatori CRI, sembra doveroso tracciare un profilo storico-evolutivo
dello sport dalla nascita ai nostri tempi.
Lo sport per i disabili nasce nell’immediato dopoguerra, nel 1944
nell’ospedale di STOKE MANDEVILLE, in Inghilterra, il Dott. GUTTMAN
introdusse le tecniche della riabilitazione dei gravi lesionati midollari tramite
attività sportive, dove i disabili, grazie anche alla fisioterapia, acquisivano fiducia
in se stessi e spirito di competizione.
Nel 1948 ebbero luogo i primi giochi di STOKE MANDEVILLE che si sono
protratti di anno in anno fino a quando, nel 1960, si celebrò la prima “para-
olimpiade” per i disabili, che si svolge da allora, in concomitanza con le olimpiadi
dei normodotati ogni quattro anni.
In Italia esiste una branca del C.O.N.I. chiamata F.I.S.D. (Federazione
Italiana Sport Disabili) organizzata in un Comitato Nazionale, Comitati Regionali,
Provinciali e Comunali, che si occupa dello sport dei disabili, secondo una
classificazione per tipo di handicap, dell’organizzazione dei vari campionati locali,
dei concentramenti regionali ed interregionali e dei campionati nazionali.
Esiste naturalmente anche una nazionale dei disabili, che compete nelle
varie specialità, a livello internazionale nei meeting ed a livello mondiale nelle
paraolimpiadi.
22 Attività Socio-Assistenziali
23 Attività Socio-Assistenziali
I tre grandi settori nei quali è suddivisa la FISD sono:
SETTORE HANDICAP FISICO E MENTALE
SETTORE CIECHI SPORTIVI
SETTORI SILENZIOSI SPORTIVI
Le discipline praticate dagli atleti dei tre settori, sono quasi tutte quelle
praticate dai normodotati iscritti a società sportive del CONI. Citiamo le
maggiori solo per dare un’idea di quanto vasto sia il panorama sportivo e le
pratiche diffuse in tutta Italia:
ATLETICA LEGGERA (in tutte le sue discipline)
CICLISMO (in tandem per i non vedenti)
TENNIS TAVOLO (in piedi e in carrozzina)
BASKET (anche in carrozzina)
NUOTO
TIRO CON L’ARCO
TIRO CON LE ARMI
EQUITAZIONE
TORRBALL
AUTOMOBILISMO (con autovetture dotate di comandi manuali)
TENNIS
SOLLEVAMENTO PESI
SCI (anche per amputati e/o in carrozzina)
SLITTINO
VELA
SURF (anche per amputati)
Tracciato un profilo storico ed esplicativo dello sport dalle sue origini a
ciò che è la realtà odierna, considerando anche l’alto valore di solidarietà che
24 Attività Socio-Assistenziali
esso riveste, parliamo adesso dei vantaggi e degli aspetti riabilitativi e psico-
rieducativi.
ASPETTO RIABILITATIVO
Senza ombre di dubbio la pratica sportiva offre il modo migliore di
sviluppare al meglio le funzioni neuro-muscolari residue, rieducando il
soggetto all’acquisizione di equilibrio, di stabilità sulla carrozzina o in piedi, il
soggetto impara a muoversi con destrezza sulla sedia a rotelle, facilitando
quella che è l’indipendenza negli spostamenti quotidiani.
Naturalmente la pratica dello sport non “risparmia” al disabile la
fisioterapia, ma deve essere un’attività in parallelo che completi la
rieducazione psicomotoria sfruttando la competizione e la voglia di migliorarsi.
Ovviamente la pratica sportiva inizia a piccoli passi cercando, prima di
recuperare i movimenti possibili e pian piano il miglioramento fino
all’acquisizione di vere e proprie competenze professionali.
ASPETTO PSICO-EDUCATIVO
Il disabile che pratica una disciplina sportiva, oltre ad acquisire quanto
detto nel punto precedente, entra automaticamente in competizione con se
stesso, allena il proprio corpo alla resistenza fisica, vince la paura del mondo
esterno sentendosi sicuro di poter affrontare qualsiasi ostacolo.
Nelle esperienze condotte con varie associazioni sportive di disabili, si
è avuto modo di vedere come si riesce a migliorare un soggetto disabile con
la vita in collettività, classica è la storia di un ragazzo che dovette affrontare
un banale intervento chirurgico per una scoliosi. L’operazione fu così tanto
banale che il ragazzo restò paralizzato dalle vertebre lombari in giù. Il
ragazzo dopo quest’esperienza, per un periodo si rifiutò di uscire da casa,
25 Attività Socio-Assistenziali
chiudendosi dentro un mondo suo e rifiutando qualunque confronto tra la sua
vita precedente e quell’attuale.
Un giorno, per caso, nella piazza del Paese in cui abita questo ragazzo,
un ‘Associazione Sportiva per disabili fece una dimostrazione sportiva di
varie discipline, e Franco, si trovava li; fu tale l’emozione e la voglia di
rinascere vedendo quei ragazzi nelle sue stesse condizioni, e alcuni anche in
condizioni peggiori, che in quel momento si sbloccò e ritornò a vivere,
cominciando ad avvicinarsi al campo scuola, iniziando a fare a piccoli passi, i
primi giri in pista con la carrozzina da corsa, ed oggi è un campione affermato
a livello regionale ed un’ottima promessa in campo nazionale.
Certo chissà quanti di questi spettacoli, purtroppo per ignoranza a volte
considerati come “fenomeni da baraccone”, dovranno svolgersi nelle varie
piazze e città, ma anche qui sta il nostro impegno nella divulgazione e nella
continua crescita sociale della popolazione, ai fini di restituire a tante persone
che credono di essere arrivate al capolinea, una nuova vita.
Tutto ciò rimarca, ancora una volta il grande confronto tra la nostra
realtà e quella del mondo dell’handicap, tanto duro e crudele ma altrettanto
pieno di significativi esempi di dignità e di insegnamenti di vita.
METODICHE ED AUSILI PER LA PRATICA
DELL’ASSISTENZA AL DISABILE
In quest’appendice allegata alla dispensa daremo alcuni esempi
d’assistenza ed in allegato, anche dei modelli di come impostare la
corrispondenza in occasioni di manifestazioni, gite, etc.
Queste possiamo riassumerle in:
BUONA VOLONTA’ SINCERITA’ AMORE PER LA VITA SOLIDARIETA’ PAZIENZA
- creare un rapporto con il disabile;
- vincere le paure e i pregiudizi;
- aiutare a inserire il disabile nella vita sociale.
26 Attività Socio-Assistenziali
ESEMPI DI ATTIVITA’ DA SVOLGERE CON I DISABILI
partecipare alla creazione di laboratori in èquipe con i medici per
l’avviamento al lavoro e il superamento della prima fase d’isolamento ed
emarginazione;
svolgere periodicamente dei seminari di studio con i relatori disabili e non,
e fare partecipare oltre agli operatori CRI anche i disabili e le rispettive
famiglie;
incrementare la pratica dello sport, l’ippoterapia, la pet-terapia, con
manifestazione ed opere di convincimento presso i grandi centri di
riabilitazione, case famiglia, organizzare pubbliche manifrstazioni
sportive,etc;
coinvolgere nelle attività di Croce Rossa anche i disabili rendendoli
edotti di come anche loro possono essere d’aiuto per la società;
svolgere attività di assistenza domiciliare presso le abitazioni o le case
famiglia, accompagnamento scolastico o accompagnamento ai centri di
rieducazione;
organizzare gite a carattere comunale o regionale curando i minimi
particolari per non creare problemi di carattere architettonico o fisiologico;
inserire anche ciò che non è stato citato, ma che è svolto anche a regime
di convenzione con AA.SS.LL, Comune, Distretti Sanitari, etc.
27 Attività Socio-Assistenziali
PROGETTO EDUCATIVO
PROGRAMMAZIONE
ATTUAZIONE
PREPARAZIONE METODOLOGICA
CONTESTO AMBIENTALE
ASPETTI TECNICI METODOLOGIE INTERAZIONE
OPERATORE
DISABILE
idea Disabilità Senso percettive
sorveglianza
materiali Disabilità motorie
preparazione
Disturbi Pratto-gnosiciSuccessione delle
Fasi esecutive
facilitazioni
Ritardo mentale
risultato
sostegno
epilessia
Assistenza
integrata
Disturbi della personalità
Assistenza
sostitutivaComportamenti aggressivi
I servizi per le persone disabili
28 Attività Socio-Assistenziali
Senza approfondire la diversificazione delle singole leggi regionali, in
generale il compito dell’integrazione delle persone handicappate nell’ambito
sociale di appartenenza è affidato ai comuni e realizzato direttamente o
tramite servizi gestiti dalle aziende socio-sanitarie locali.
Prenderemo in esame, per il successivo riferimento alle ripercussioni
pratiche, i servizi nei quali viene impiegata la figura dell’operatore socio-
sanitario.
L’organizzazione dei servizi per l’handicap
La presa in carico dei soggetti disabili minori e adulti avviene da parte
dei servizi dell’Area Handicap dell’ASL.
Per il disabile adulto il servizio di riferimento è l’Unita
valutativa/operativa distrettuale (o Nucleo operativo disabili a seconda della
regione) che svolge funzioni di definizione diagnostica e predispone soluzioni
di interventi in rapporto alla tipologia e gravità della disabilità e alle condizioni
socio-familiari. Pertanto i rapporti che l’Unita valutativa/operativa intrattiene
sono con il servizio per la formazione professionale, con il servizio per
l’inserimento lavorativo, con i servizi residenziali, con i servizi educati diurni
per disabili, con i servizi sociali per gli interventi domiciliari.
Le soluzioni coprono un ventaglio assai ampio di offerte per dare
risposte differenziate a bisogni estremamente diversificati di tipo riabilitativo,
educativo, assistenziale, sociale, familiare. Le soluzioni possono vedere
interessati servizi diversi in una programmazione di integrazione.
29 Attività Socio-Assistenziali
La diversificazione dei servizi per disabili adulti in rapporto
alle caratteristiche dei bisogni.
Nell’ambito dell’età evolutiva l’Unità valutativa/operativa distrettuale fa
riferimento fondamentalmente all’Unità operativa di neuropsichiatria infantile che,
oltre il compito diagnostico, deve coordinare gli interventi da attuare sul bambino
disabile inerenti ai problemi riabilitativi, scolastici e d’integrazione sociale.
Per quanto riguarda la riabilitazione i riferimenti sono le strutture che
operano in regime di trattenimento ambulatoriale, di trattamento diurno o di
trattamento residenziale. Nelle strutture ambulatoriali svolgono attività figure
professionali di tipo riabilitativo sanitario, mentre nelle strutture a trattamento
diurno o residenziale, accanto a figure riabilitative, operano anche figure
educative e assistenziali.
Per l’integrazione scolastica vengono utilizzate figure specifiche
(insegnanti specializzate per il sostegno scolastico), ma anche operatori addetti
all’assistenza. Per quanto riguarda l’integrazione sociale possono essere
predisposti progetti domiciliari da affidare a figure sia riabilitative che educative e
assistenziali.
Unità
valutativa/operativa
distrettuale
(nucleo operativo disabili)
Centro formativo professionale
Servizio integrazione lavoro
Servizio integrativo territoriale
Servizi residenziali: centri
riabilitativi assistenziali
Comunità alloggio
Servizi diurni: Centro socio
educativo o Centro educativo
occupazionale diurno
Servizio formativo dell’autonomia
Servizi domiciliari
30 Attività Socio-Assistenziali
31 Attività Socio-Assistenziali
Realizzato da:
Roberto Russo
Delegato Tecnico Regionale Attività Socio-
Assistenziali
Pionieri C.R.I. – Sicilia

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Assistenza al disabile

  • 1. Pionieri CRI – Sicilia – Attività Socio Assistenziali – Assistenza al disabile - Pionieri CRI – Sicilia – Attività Socio Assistenziali – Assistenza al disabile - Pionieri CRI – Sicilia – Attività Socio Assistenziali – Assistenza al disabile - Pionieri CRI – Sicilia – Attività Socio Assistenziali – Assistenza al disabile - Pionieri CRI – Sicilia – Attività Socio Assistenziali – Assistenza al
  • 2. Famiglia Società Stato e Sanità Servizi effettiviVolontariato 2 Attività Socio-Assistenziali
  • 3. Assistenza al disabile Disabile: si considerano tali tutti coloro che sono affetti da una minoranza di natura congenita o acquisita, anche a carattere progressivo. Portatore di handicap : si considera tale il disabile che subisce il peso emotivo e psicologico della sua minorazione e non riesce a integrarsi con la società avendone una ripercussione psico fisica Il portatore di handicap è disabile Il disabile non necessariamente è portatore di handicap L’handicap non esiste in assoluto: esso è in rapporto a situazioni precise della vita di tutti i giorni. Questa constatazione dovrebbe guidare ogni approccio sociale, tecnico, professionale ed anche politico. Si scoprirebbe allora che: “l’handicap non è sempre ciò che si può vedere, e gli handicappati ciò che si pensa”. 3 Attività Socio-Assistenziali
  • 4. 4 Attività Socio-Assistenziali SIGNIFICATO DEL TERMINE FATTORE FATTORE INDIVIDUALE AMBIENTALE ETICA: il “bene” del disabile Handicap come “diversa abilità” Il progresso legislativo Valorizzazione delle funzionalità residue Verso la cultura dell’handicap hand Handicap La risposta della icapcome società compromissione
  • 5. Tipi di disabilità Disabilità fisica • Sclerosi multipla • Celebrolesi • Malati cronici • Malati oncologici terminali • Sieropositivi; malati di Aids Disabilità pschica • Depressione • Schizzofrenia • Disturbi del comportamento • Complesso d’inferiorità Per il volontario di Croce Rossa, la persona che si trova in stato di necessità, non va mai considerata come una persona lontana e staccata da noi, DIVERSA in senso negativo o riduttivo. Piuttosto la formazione del Pioniere deve dare al disabile la capacità di provare stati d’animo e di acquisire atteggiamenti psicologici rispetto al servizio, tali da non creare un distacco tra assistente volontario e assistito. 5 Attività Socio-Assistenziali
  • 6. 6 Attività Socio-Assistenziali Le cause dell’handicapCONGENITO ACQUISITO ►Periodo prenatale fattori immunitari MEN fattori genetici es. “trisomia 21” fattori microbici infezioni virali rosolia morbillo fattori ormonali madre diabetica fattori chimici e meccanici ►Periodo perinatale parto prematuro sofferenza fetale utilizzo del forcipe ►Periodo postnatale disturbi della nutrizione fattori traumatici malattie infettive tipo meningite malattie genetiche come la sclerosi multipla
  • 7. 7 Attività Socio-Assistenziali Si considerano disabili ai fini dell’assistenza e dei riconoscimenti legali e sociali, tutti coloro che sono affetti da una minorazione di natura congenita o acquisita, che abbiano subito una riduzione della capacità lavorativa del 46% rispetto alla normalità fisiologica. Coloro che rientrano in questa fascia sociale hanno dei diritti garantiti dallo stato quali: assistenza sanitaria generica; fornitura di protesi, tutori, etc.; facilitazioni a livello scolastico e nella formazione professionale; facilitazione negli spostamenti e nei viaggi; assistenza economica sotto forma di pensione d’inabilità (se la percentuale d’invalidità è superiore al 68%).
  • 8. 8 Attività Socio-Assistenziali D I A G N O S I CAUSE PATOLOGICHE PRENATALI POSTNATALIPERINATALI Anomalie comosomiche e disturbi genetici Malattie dell’infanzia Emorragie intracraniche Forme infiammatorieMalformazioni cerebrali Encefalopatia Anossica/ischemicaFetopatie Forme vascolariForme vascolari Paralisi ostetricaAnomalie del tubo neurale Lesioni tossiche Del plesso brachiale Lesioni tumorali traumi Ripercussioni sull’operatore
  • 9. 9 Attività Socio-Assistenziali Appartengono a questa categoria i casi di autismo e psicosi infantile che attualmente sono riuniti sotto la denominazione di disturbi generalizzati di gruppo. Sono sindromi che condividono alcuni aspetti clinici generali, ma riflettono probabilmente patologie diverse. Hanno esordio nella prima infanzia e sono caratterizzate da ritardate e ridotte capacità sociali, comunicative e cognitive. Comprendono: 1. il distrubo autistico; 2. i disturbi generalizzati di sviluppo non autistici.
  • 10. Il disturbo autistico Ha una frequenza da due a cinque casi su 10.000 bambini. E’ quattro- cinque volte più frequente nei maschi, ma le femmine vengono colpite più gravemente. Provengono da famiglie di ogni livello socio-economico. I genitori di bambini autistici non differiscono dai genitori di bambini che presentano altri disturbi di sviluppo. La sindrome ha inizio più frequentemente nel primo anno si vita, tavolta nel secondo o terzo. Sebbene i genitori siano spesso preoccupati nei primi mesi di vita del bambino per il suo comportamento, di solito però le loro preoccupazioni aumentano nel secondo-terzo anno se non compare il linguaggio. Inizialmente il bambino può non rispondere in modo differenziato ai genitori, ma essere particolarmente attaccato ad un oggetto inanimato. E’ per lo più interessato agli aspetti non funzionali degli oggetti, ma presta attenzione ad alcune sue caratteristice, quali l’odore o il sapore. Non utilizza in modo adeguato il materiale ludico. Presenta caratteristici manierismi motori, come battere le mani, camminare in punta dei piedi, ecc. Solo tardivamente può riconoscere le figure di accudimento. Lo sviluppo sociale è ritardato e qualitativamente diverso da quello dei bambini molto piccoli o dei bambini con ritardo mentale non associato ad autismo. Il volto umano suscita uno scarso interesse; non vi è aggancio visivo; l’attaccamento è scarso o assente; complessivamente è eclatante la generale mancanza di interesse sociale. Possono non rispondere ai loro genitori in modo differenziato fino all’età della scuola elementare. Per quanto riguarda lo sviluppo della comunicazone, circa la metà dei soggetti autistici non raggiunge un tipo di linguaggio significativo e quelli che parlano esibiscono un linguaggio particolare, caratterizzato da ecolalie gravi, inversione dei pronomi, uso inappropiato dell’intonazione, problemi dello 10 Attività Socio-Assistenziali
  • 11. 11 Attività Socio-Assistenziali sviluppo semantico, linguaggio estremamente vuoto, fallimento nell’uso pragmatico del linguaggio. Sul piano cognitivo la maggior parte dei soggetti autistici ottiene, alle prove di valutazione d’intelligenza, un punteggio che rientra nell’ambito del ritardo mentale. Il quoziente intellettivo inoltre è un potente fattore predittivo dell’esito definitivo. Questi bambini presentano deficit persistenti nel pensiero astratto, nella programmazione, nella capacità di attribuire stati mentali ad altre persone. Si possono riscontrare associazioni con altre patologie, quali rosolia congenita, sclerosi tuberosa, sindrome X-fragile, ecc. Il 25% presenta convulsioni. Non sono ancora stati identificati meccanismi genetici precisi e testabili. Nei bambini autistici è possibile osservare una varietà di stili interattivi, dalla freddezza, alla passività, all’eccentricità. Nel decorso le modalità d’interazione sociale rimangono piuttosto devianti. Durante l’adolescenza alcuni subiscono un deterioramento comportamentale e solo un numero ristretto migliora. Da adulti dimostrano marcata difficoltà nell’interazione sociale. Forse solo un terzo, una volta adulto, è in grado di raggiungere una certa autonomia a autosufficienza personale.
  • 12. Il ritardo mentale Senza entrare nella specificità della pedagogia speciale, è però importante tenere presente che il disabile con il ritardo mentale ha modalità d’apprendimento e comportamentali con caratteristiche particolari. Sinteticamente ricordiamo che sono compromesse le capacità d’analisi selettiva dei canali percettivi, l’integrazione delle informazioni e la loro possibilità di astrazione, la capacità di progettazione. In rapporto a ciò è necessario che l’operatore durante le attività cerchi di ridurre al massimo le difficoltà concettuali, si affidi fondamentalmente alla concretezza dell’esperienza e abbia la costanza della ripetitività affinchè le situazioni e i procedimenti vengono interiorizzati. Per il ritardato mentale non è tanto importante la produttività quanto il contenuto emotivo dell’esperienza, perciò è più interessato a operare in funzione della relazione con l’operatore che essere attento al risultato dell’attività. Particolare impegno deve essere rivolto all’acquisizione delle autonomie personali e al rispetto delle regole sociali che possono risultare meno gradite delle attività occupazionali. In questo caso la metodologia non potrà fare affidamento su strumenti particolari ma sarà tutta nelle capacità di coinvolgimento emotivo e relazionale dell’operatore. 12 Attività Socio-Assistenziali
  • 13. L’epilessia Nell’ambito dei soggetti con disabilità è piuttosto alta la frequenza dell’epilessia. Senza entrare nel campo di competenza sanitaria, l’operatore deve conoscere alcuni aspetti inerenti ai fattori scatenanti; al comportamento da assumere durante e dopo le crisi. Innanzitutto è bene tenere presente che spesso le crisi epilettiche si verificano senza segni premonitori: quest’elemento va considerato nella scelta di evitare attività o situazioni che in caso di crisi risulterebbero particolarmente pericolose o per lo meno a predisporre strumenti atti ad assicurare una maggiore assistenza in queste circostanze da parte dell’operatore. 13 Attività Socio-Assistenziali
  • 14. Trattamento sanitario obbligatorio Ricovero ospedaliero effettuato contro la volontà del paziente, condizione regolamentata in Italia dalla legge 180/78. La procedura scatta di solito nei confronti di soggetti che manifestano la riacutizzazione di un disturbo psichico, attraverso il compimento di azioni clamorose e pericolose ( minaccia di suicidio, violenza verso persone o cose) oppure negative ( rifiuto di comunicare, di terapie essenziali o di acqua e cibo). La richiesta può partire dai parenti o da chiunque ne intraveda la necessità, ma è sempre finalizzata alla salvaguardia dei diritti civili del paziente, per cui il ricovero deve essere proposto e motivato da un medico (p. es. quello di famiglia), convalidato da un secondo dottore (in genere uno psichiatra o un medico dei Servizi di igiene della A.S.L.) e controfirmato dal sindaco o da un suo sostituto. In casi particolari (p. es. se il soggetto presenta comportamenti molto violenti) può essere richiesto l’intervento della forza pubblica (Vigili Urbani o Carabinieri). 14 Attività Socio-Assistenziali
  • 15. 15 Attività Socio-Assistenziali Adesso che abbiamo ultimato i chiarimenti per affrontare gli argomenti base del lavoro, iniziamo ad esaminarli a partire dal primo punto: La figura del disabile Ai fini dell’assistenza e dei riconoscimenti legali e sociali, si considerano disabili tutti coloro che sono affetti da una minorazione di natura congenita o acquisita, anche a carattere progressivo, che abbiano subito una riduzione delle capacità lavorative del 46% rispetto alla normalità fisiologica, e che, per i minori, comporti delle difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età. Coloro che rientrano in questa fascia sociale hanno diritto da parte dello Stato a: assistenza sanitaria generica e specifica da parte delle A.S.L. di competenza territoriale; forniture di protesi, tutori ortopedici, scarpe ortopediche (a scadenze stabilite dallo Stato); facilitazione nella frequenza scolastica e nello studio in genere (ad esempio presenza dell’insegnante di sostegno); assistenza economica sotto forma di pensione d’inabilità (superato una certa percentuale), assegno mensile d’accompagnamento; facilitazione nei viaggi e negli spostamenti (mezzi pubblici idonei per il trasporto, sia via terra, che sui treni o aerei o servizi di assistenza presso stazioni e aeroporti). Considerata la “figura” del disabile secondo i canoni di legge stabiliti dallo Stato italiano, adesso tracciamo un nostro profilo di quello che, per gli operatori di Croce Rossa, significa essere “disabile”, ed entriamo quindi nel secondo argomento.
  • 16. Rapporti tra l’operatore di Croce Rossa ed il disabile Prima di entrare nello specifico, facciamo una breve considerazione sugli aspetti fondamentale della formazione professionale dell’operatore di Croce Rossa, sia per una crescita sociale del volontario in genere, che per una migliore opera assistenziale nei confronti dell’utente. Per l’operatore di Croce Rossa, la persona che si trova in stato di necessità, non va mai considerata come una persona lontana e staccata da noi, diversa in senso negativo o riduttivo. P A iuttosto la formazione dell’operatore CRI devev dare a quest’ultimo la capacità di provare stati d’animo e di acquisire atteggiamenti psicologici rispetto al servizio, tali da non creare un distacco tra “assistente” e “assistito”. Un rapporto istituzionale di questo tipo è purtroppo caratteristico del servizio statale (quando e dove c’è), e si configura come quel genere di colloquio sterile tra chi è là, solo per “lavorare e rendere un servizio”, e chi è l’utente che ha dei diritti da soddisfare. l contrario, l’operatore volontario di Croce Rossa, in quanto tale, non ha nè diritti nè doveri verso chi in quel momento gli è vicino per avere un aiuto, ma deve semplicemente rapportarsi da essere umano munito di buona volontà e buon cuore. Deve esistere, insomma, un rapporto franco in cui chi non può camminare o vedere ha bisogno dell’aiuto dell’altro che, gratuitamente, si mette a disposizione, e nello stesso tempo, rifletta sulla “fortuna” che ha nel poter aiutare e non aver bisogno d’aiuto. Quello che gli anni d’esperienza ha fatto maturare nella coscienza degli operatori CRI, è che spesso non ci si rende conto di come sono proprio coloro che assistiamo che ci fanno capire le problematiche della vita vista da un’ottica di chi le vive con maggiori difficoltà, siano essere fisiche o psichiche. 16 Attività Socio-Assistenziali
  • 17. Abbiamo imparato che l ruolo umano di chi ha la fortuna di stare in buona salute, è quello di inserirsi in questi problemi, per offrire un aiuto puro, senza contropartite, acquisendo una più lucida conoscenza della condizione umana. Il rapporto tra l’operatore CRI ed il disabile va visto come uno scambio di valori umani dove non devono esistere vergogne, pregiudizi e paure da una parte e dall’altra, poichè il pietismo emargina e l’indifferenza uccide. Naturalmente, tutti sono in grado di affrontare un rapporto così complesso e delicato, ma rinunciarci a priori è certamente errato. Esiste un approccio cordiale in cui si comincia a dare ciò che si sente di dare; avendo il coraggio di farsi ripetere una parola non capita, di tendere la mano per salire un gradino, senza sostituirsi o strafare o volere a tutti i costi aiutare più di quanto, in effetti, ce ne sia bisogno. In fondo i disabili stessi sono i migliori istruttori che ci guidano, e sicuramente quando hanno delle necessità particolari non avranno paura a farcelo capire, per cui uno degli slogan per l’operatore di Croce Rossa è: CORAGGIO, NON AVER PAURA, AVVICINATI E TENDI LA MANO! L’operatore deve dare particolari riguardi ai rapporti con la famiglia del disabile. Essa spesso è il primo luogo in cui l’emarginazione e la vergogna prendono il posto della solidarietà e dell’ottimismo. I fatti di cronaca che spesso vengono alla luce non sono altro che la punta di un iceberg sommerso. 17 Attività Socio-Assistenziali
  • 18. 18 Attività Socio-Assistenziali Possibilità d’inserimento nel contesto della vita sociale del disabile. Entrando nel terzo punto da trattare, possiamo renderci conto di quanto sia fondamentale, ed oggetto di completamento della vita da relazione propria del disabile, un possibile ed “umano” inserimento nei normali ruoli quotidiani di persone appartenenti alla società. Nel primo argomento trattato abbiamo tracciato un profilo di quella che è la figura del disabile in relazione al tipo di handicap; adesso ci renderemo conto dell’importanza dell’inserimento nella vita comune di un soggetto svantaggiato, cominciando dall’abbattimento delle barriere architettoniche e sociali. Naturalmente nella fase di crescita evolutiva dell’uomo, dopo la scuola subentra l’inserimento nel mondo del lavoro, da ciò scaturisce la realizzazione personale e l’indipendenza economica. Quest’ultima assicura la possibilità della conduzione di un vita serena ed orientata verso la formazione di una famiglia ed il raggiungimento di una serie di obiettivi ed accorgimenti per una vita tanto più agiata quanto più alta è la remunerazione lavorativa. Purtroppo nella società odierna, dove il lavoro è diventato uno dei diritti più “problematici”, è difficile entrare nell’ottica che anche un disabile ha diritto a lavorare come gli altri. Non dimentichiamo che per la società un disabile è sempre un assistito, qualcuno che ha bisogni particolari e che, sicuramente secondo una mentalità efficientista, non potrà mai rendere quanto un soggetto “normodotato”.
  • 19. 19 Attività Socio-Assistenziali Quindi, il datore di lavoro privato, all’atto dell’assunzione del personale, eccezione fatta per il 10% di personale disabile che le aziende con più di 10 impiegati sono obbligate ad assumere (D.L. 18/01/79), non andrà mai ad assumere un dipendente che gli costerà quanto gli altri, ma che gli renderà (a parere suo) di meno. Questa logica è basata sul presupposto che non si può accettare una persona che non può vivere una vita “normale”, poichè la società è pensata come un grande ingranaggio in cui non possono essereci rotelle con i “dentini” rotti. Sorgono spontanei degli interrogativi: che differenza c’è tra un operatore normodotato che si reca tutti i giorni a lavoro, e svolge un’attività manuale, ed un soggetto in sedia a rotelle che, se messo nelle condizioni di poter raggiungere il posto di lavoro, senza dover affrontare “la giungla d’asfalto” di barriere architettoniche, cone “INDIANA JONES”, può svolgere la stessa attività manuale del soggetto normodotato?; forse il problema è quello di dover adattare tutto e tutti per dare la possibilità ad una persona “ruote dotata” di poter partecipare al gioco con gli stessi diritti e le stesse opportunità? E’ notevole l’asprezza delle espressioni contenute in quest’ultima parte, ma è storia comune che parecchi disabili, pur avendo delle capacità al di sopra della norma, solo perchè creano problemi di natura tecnica o estetica per l’azienda, spesso non hanno trovato lavoro.
  • 20. Affrontando l’argomento dal punto di vista scientifico, dobbiamo affermare che l’inserimento nella vita professionale del disabile prevede alcune tappe che elenchiamo nel seguente modo: ORIENTAMENTO E FORMAZIONE PROFESSIONALE SPECIFICA VALUTAZIONE DELLE CONSEGUENZE DELL’HANDICAP SULL’ ATTIVITA’ LAVORATIVA ADATTAMENTO ALL’ ATTIVITA’ LAVORATIVA CREAZIONE D’OPPORTUNITA’ LAVORATIVE SPECIFICHE. Per valutare le conseguenze di un handicap di un soggetto, e quindi orientarlo professionalmente, è necessario conoscere la causa e la prognosi dell’handicap, poichè ciò che è fondamentale nella pratica non è capire quello che gli manca o quello che non può fare, ma prendere atto di ciò che riesce a fare valutandolo su tre criteri fondamentali: • funzione locomotoria • funzione di comunicazione • funzione intellettiva Acquisiti questi dati, si può tracciare un profilo pratico e psico-attitudinale sul lavoro, basato sull’adattamento del lavoro alla persona e viceversa, al fine di trovare un impiego che risponde alle capacità del soggetto, come succede, per i normodotati. In questo contesto l’intervento dell’operatore volontario CRI, è mirato a fare passare il disabile attraverso le fasi prima descritte. Infatti, parecchie persone handicappate non si pongono il problema del lavoro in quanto rifiutano quasi totalmente di vivere. 20 Attività Socio-Assistenziali
  • 21. 21 Attività Socio-Assistenziali Entrano in gioco fattori già citati nella definizione di handicap e quindi, il rapporto con l’ambiente esterno, la famiglia, la crescita scolastico-culturale e tutti quei momenti di crisi di rigetto della propria condizione rispetto alla vita precedente. Ovviamente, mentre per chi possiede un handicap fin dalla nascita, ed è stato abituato a conviverci da sempre, l’adattamento alla vita sociale comporta minori ostacoli (per modo di dire), una persona che ha già lavorato per molti anni, possibilmente rivestendo un ruolo importante o una mansione qualificata, trovandosi nelle condizioni di non poter più rendere come prima, non solo diventerà un oggetto di compassione da parte dei colleghi, ma vivrà continuamente un confronto che lo deprimerà. Il nostro intervento, quindi, sarà quello di dare la speranza e la forza di accettare la propria condizione, dimostrando che esiste una vita accettabile anche per i disabili, e che il mondo non si ferma a causa dell’inabilità. Tutto ciò si può anche dimostrare tramite incontri collettivi e seminari di studio (organizzati dai Pionieri), i cui relatori sono gli stessi disabili (magari persone affermate che hanno superato gli ostacoli e che siano esempio per noi e da forte stimolo per gli stessi disabili), dove vengono raccontate le proprie esperienze di vita mettendole a disposizione di tutti. Inoltre, all’interno dei centri sociali dei comuni, bisogna creare dei laboratori sperimentali con una èquipe di medici, psicologi, pedagogisti, assistenti sociali e operatori volontari, che partecipano alla crescita psico-sociale dei soggetti opportunamente segnalati nei vari quartieri (ciò che potremmo definire “scuole di vita”), preparandoli ad un futuro o comunque dando a queste persone la possibilità di dire: IO SONO DISABILE, HO IMPARATO A FARE QUESTO, SONO A TUA DISPOSIZIONE, POSSO AIUTARTI?
  • 22. LO SPORT ED IL DISABILE, TRA DIVERTIMENTO E TERAPIA PSICOFISICA. Ultimo, ma non meno importante degli argomenti da trattare, è lo sport per i disabili. Prima di iniziare la parte pratica e testimoniale delle esperienze di gruppi di operatori CRI, sembra doveroso tracciare un profilo storico-evolutivo dello sport dalla nascita ai nostri tempi. Lo sport per i disabili nasce nell’immediato dopoguerra, nel 1944 nell’ospedale di STOKE MANDEVILLE, in Inghilterra, il Dott. GUTTMAN introdusse le tecniche della riabilitazione dei gravi lesionati midollari tramite attività sportive, dove i disabili, grazie anche alla fisioterapia, acquisivano fiducia in se stessi e spirito di competizione. Nel 1948 ebbero luogo i primi giochi di STOKE MANDEVILLE che si sono protratti di anno in anno fino a quando, nel 1960, si celebrò la prima “para- olimpiade” per i disabili, che si svolge da allora, in concomitanza con le olimpiadi dei normodotati ogni quattro anni. In Italia esiste una branca del C.O.N.I. chiamata F.I.S.D. (Federazione Italiana Sport Disabili) organizzata in un Comitato Nazionale, Comitati Regionali, Provinciali e Comunali, che si occupa dello sport dei disabili, secondo una classificazione per tipo di handicap, dell’organizzazione dei vari campionati locali, dei concentramenti regionali ed interregionali e dei campionati nazionali. Esiste naturalmente anche una nazionale dei disabili, che compete nelle varie specialità, a livello internazionale nei meeting ed a livello mondiale nelle paraolimpiadi. 22 Attività Socio-Assistenziali
  • 23. 23 Attività Socio-Assistenziali I tre grandi settori nei quali è suddivisa la FISD sono: SETTORE HANDICAP FISICO E MENTALE SETTORE CIECHI SPORTIVI SETTORI SILENZIOSI SPORTIVI Le discipline praticate dagli atleti dei tre settori, sono quasi tutte quelle praticate dai normodotati iscritti a società sportive del CONI. Citiamo le maggiori solo per dare un’idea di quanto vasto sia il panorama sportivo e le pratiche diffuse in tutta Italia: ATLETICA LEGGERA (in tutte le sue discipline) CICLISMO (in tandem per i non vedenti) TENNIS TAVOLO (in piedi e in carrozzina) BASKET (anche in carrozzina) NUOTO TIRO CON L’ARCO TIRO CON LE ARMI EQUITAZIONE TORRBALL AUTOMOBILISMO (con autovetture dotate di comandi manuali) TENNIS SOLLEVAMENTO PESI SCI (anche per amputati e/o in carrozzina) SLITTINO VELA SURF (anche per amputati) Tracciato un profilo storico ed esplicativo dello sport dalle sue origini a ciò che è la realtà odierna, considerando anche l’alto valore di solidarietà che
  • 24. 24 Attività Socio-Assistenziali esso riveste, parliamo adesso dei vantaggi e degli aspetti riabilitativi e psico- rieducativi. ASPETTO RIABILITATIVO Senza ombre di dubbio la pratica sportiva offre il modo migliore di sviluppare al meglio le funzioni neuro-muscolari residue, rieducando il soggetto all’acquisizione di equilibrio, di stabilità sulla carrozzina o in piedi, il soggetto impara a muoversi con destrezza sulla sedia a rotelle, facilitando quella che è l’indipendenza negli spostamenti quotidiani. Naturalmente la pratica dello sport non “risparmia” al disabile la fisioterapia, ma deve essere un’attività in parallelo che completi la rieducazione psicomotoria sfruttando la competizione e la voglia di migliorarsi. Ovviamente la pratica sportiva inizia a piccoli passi cercando, prima di recuperare i movimenti possibili e pian piano il miglioramento fino all’acquisizione di vere e proprie competenze professionali. ASPETTO PSICO-EDUCATIVO Il disabile che pratica una disciplina sportiva, oltre ad acquisire quanto detto nel punto precedente, entra automaticamente in competizione con se stesso, allena il proprio corpo alla resistenza fisica, vince la paura del mondo esterno sentendosi sicuro di poter affrontare qualsiasi ostacolo. Nelle esperienze condotte con varie associazioni sportive di disabili, si è avuto modo di vedere come si riesce a migliorare un soggetto disabile con la vita in collettività, classica è la storia di un ragazzo che dovette affrontare un banale intervento chirurgico per una scoliosi. L’operazione fu così tanto banale che il ragazzo restò paralizzato dalle vertebre lombari in giù. Il ragazzo dopo quest’esperienza, per un periodo si rifiutò di uscire da casa,
  • 25. 25 Attività Socio-Assistenziali chiudendosi dentro un mondo suo e rifiutando qualunque confronto tra la sua vita precedente e quell’attuale. Un giorno, per caso, nella piazza del Paese in cui abita questo ragazzo, un ‘Associazione Sportiva per disabili fece una dimostrazione sportiva di varie discipline, e Franco, si trovava li; fu tale l’emozione e la voglia di rinascere vedendo quei ragazzi nelle sue stesse condizioni, e alcuni anche in condizioni peggiori, che in quel momento si sbloccò e ritornò a vivere, cominciando ad avvicinarsi al campo scuola, iniziando a fare a piccoli passi, i primi giri in pista con la carrozzina da corsa, ed oggi è un campione affermato a livello regionale ed un’ottima promessa in campo nazionale. Certo chissà quanti di questi spettacoli, purtroppo per ignoranza a volte considerati come “fenomeni da baraccone”, dovranno svolgersi nelle varie piazze e città, ma anche qui sta il nostro impegno nella divulgazione e nella continua crescita sociale della popolazione, ai fini di restituire a tante persone che credono di essere arrivate al capolinea, una nuova vita. Tutto ciò rimarca, ancora una volta il grande confronto tra la nostra realtà e quella del mondo dell’handicap, tanto duro e crudele ma altrettanto pieno di significativi esempi di dignità e di insegnamenti di vita.
  • 26. METODICHE ED AUSILI PER LA PRATICA DELL’ASSISTENZA AL DISABILE In quest’appendice allegata alla dispensa daremo alcuni esempi d’assistenza ed in allegato, anche dei modelli di come impostare la corrispondenza in occasioni di manifestazioni, gite, etc. Queste possiamo riassumerle in: BUONA VOLONTA’ SINCERITA’ AMORE PER LA VITA SOLIDARIETA’ PAZIENZA - creare un rapporto con il disabile; - vincere le paure e i pregiudizi; - aiutare a inserire il disabile nella vita sociale. 26 Attività Socio-Assistenziali
  • 27. ESEMPI DI ATTIVITA’ DA SVOLGERE CON I DISABILI partecipare alla creazione di laboratori in èquipe con i medici per l’avviamento al lavoro e il superamento della prima fase d’isolamento ed emarginazione; svolgere periodicamente dei seminari di studio con i relatori disabili e non, e fare partecipare oltre agli operatori CRI anche i disabili e le rispettive famiglie; incrementare la pratica dello sport, l’ippoterapia, la pet-terapia, con manifestazione ed opere di convincimento presso i grandi centri di riabilitazione, case famiglia, organizzare pubbliche manifrstazioni sportive,etc; coinvolgere nelle attività di Croce Rossa anche i disabili rendendoli edotti di come anche loro possono essere d’aiuto per la società; svolgere attività di assistenza domiciliare presso le abitazioni o le case famiglia, accompagnamento scolastico o accompagnamento ai centri di rieducazione; organizzare gite a carattere comunale o regionale curando i minimi particolari per non creare problemi di carattere architettonico o fisiologico; inserire anche ciò che non è stato citato, ma che è svolto anche a regime di convenzione con AA.SS.LL, Comune, Distretti Sanitari, etc. 27 Attività Socio-Assistenziali
  • 28. PROGETTO EDUCATIVO PROGRAMMAZIONE ATTUAZIONE PREPARAZIONE METODOLOGICA CONTESTO AMBIENTALE ASPETTI TECNICI METODOLOGIE INTERAZIONE OPERATORE DISABILE idea Disabilità Senso percettive sorveglianza materiali Disabilità motorie preparazione Disturbi Pratto-gnosiciSuccessione delle Fasi esecutive facilitazioni Ritardo mentale risultato sostegno epilessia Assistenza integrata Disturbi della personalità Assistenza sostitutivaComportamenti aggressivi I servizi per le persone disabili 28 Attività Socio-Assistenziali
  • 29. Senza approfondire la diversificazione delle singole leggi regionali, in generale il compito dell’integrazione delle persone handicappate nell’ambito sociale di appartenenza è affidato ai comuni e realizzato direttamente o tramite servizi gestiti dalle aziende socio-sanitarie locali. Prenderemo in esame, per il successivo riferimento alle ripercussioni pratiche, i servizi nei quali viene impiegata la figura dell’operatore socio- sanitario. L’organizzazione dei servizi per l’handicap La presa in carico dei soggetti disabili minori e adulti avviene da parte dei servizi dell’Area Handicap dell’ASL. Per il disabile adulto il servizio di riferimento è l’Unita valutativa/operativa distrettuale (o Nucleo operativo disabili a seconda della regione) che svolge funzioni di definizione diagnostica e predispone soluzioni di interventi in rapporto alla tipologia e gravità della disabilità e alle condizioni socio-familiari. Pertanto i rapporti che l’Unita valutativa/operativa intrattiene sono con il servizio per la formazione professionale, con il servizio per l’inserimento lavorativo, con i servizi residenziali, con i servizi educati diurni per disabili, con i servizi sociali per gli interventi domiciliari. Le soluzioni coprono un ventaglio assai ampio di offerte per dare risposte differenziate a bisogni estremamente diversificati di tipo riabilitativo, educativo, assistenziale, sociale, familiare. Le soluzioni possono vedere interessati servizi diversi in una programmazione di integrazione. 29 Attività Socio-Assistenziali
  • 30. La diversificazione dei servizi per disabili adulti in rapporto alle caratteristiche dei bisogni. Nell’ambito dell’età evolutiva l’Unità valutativa/operativa distrettuale fa riferimento fondamentalmente all’Unità operativa di neuropsichiatria infantile che, oltre il compito diagnostico, deve coordinare gli interventi da attuare sul bambino disabile inerenti ai problemi riabilitativi, scolastici e d’integrazione sociale. Per quanto riguarda la riabilitazione i riferimenti sono le strutture che operano in regime di trattenimento ambulatoriale, di trattamento diurno o di trattamento residenziale. Nelle strutture ambulatoriali svolgono attività figure professionali di tipo riabilitativo sanitario, mentre nelle strutture a trattamento diurno o residenziale, accanto a figure riabilitative, operano anche figure educative e assistenziali. Per l’integrazione scolastica vengono utilizzate figure specifiche (insegnanti specializzate per il sostegno scolastico), ma anche operatori addetti all’assistenza. Per quanto riguarda l’integrazione sociale possono essere predisposti progetti domiciliari da affidare a figure sia riabilitative che educative e assistenziali. Unità valutativa/operativa distrettuale (nucleo operativo disabili) Centro formativo professionale Servizio integrazione lavoro Servizio integrativo territoriale Servizi residenziali: centri riabilitativi assistenziali Comunità alloggio Servizi diurni: Centro socio educativo o Centro educativo occupazionale diurno Servizio formativo dell’autonomia Servizi domiciliari 30 Attività Socio-Assistenziali
  • 31. 31 Attività Socio-Assistenziali Realizzato da: Roberto Russo Delegato Tecnico Regionale Attività Socio- Assistenziali Pionieri C.R.I. – Sicilia