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studi e ricerche •                  35




Verso la Borsa Sociale
Davide Dal Maso e Davide Zanoni *




Introduzione: i bisogni e le opportunità
     Il presente articolo vuole dar seguito al tema introdotto in una precedente pub-
blicazione, dal titolo “Un mercato di capitali per imprese a scopo sociale” (“Areté”
3. 2008), che rappresentava l’inizio di un percorso di studio sulla Borsa Sociale. L’at-
tività di ricerca si è sviluppata nell’ambito dello studio di fattibilità affidato ad Avanzi
e alla Fondazione culturale responsabilità etica dall’Assessorato ai Servizi sociali della
Regione Toscana. Obiettivo di questo progetto è quello di verificare appunto la fat-
tibilità tecnica e la sostenibilità di un mercato per imprese a finalità sociale. Alla luce
degli approfondimenti che abbiamo svolto, presentiamo in questa sede alcuni svilup-
pi progettuali che rappresentano un ulteriore passo di avvicinamento alla costituzio-
ne della Borsa Sociale.
     La nostra proposta si fonda su alcuni presupposti che qui richiamiamo brevemen-
te. In primo luogo, l’idea secondo cui anche attraverso la libera iniziativa privata, rea-
lizzata nel mercato e non ai suoi margini, si possano produrre beni comuni. Dunque,
che anche un’impresa commerciale possa creare benefici sociali, non come sottopro-
dotto, ma come risultato voluto e perseguito di una missione dichiarata. E che, infi-
ne, questa idea sia perfettamente compatibile con le logiche del mercato, della con-
correnza e della efficienza gestionale. Stiamo tratteggiando le caratteristiche di quella
che chiamiamo impresa a finalità sociale (IFS), organizzazione che sintetizza le caratte-
ristiche tipiche della società commerciale for profit ma le orienta ad un fine che non
è la generazione del massimo ritorno sull’investimento, bensì del valore sociale e am-
bientale. Nell’impresa tradizionale, la funzione obiettivo è rappresentata dal profitto;
il rispetto delle norme giuridiche ed etiche costituiscono il vincolo cui è sottoposta.
Nell’IFS, al contrario, l’obiettivo è la creazione di valore sociale; l’equilibrio economi-
co-finanziario ne rappresenta il vincolo (1).

     * Partner di Avanzi, idee, ricerche e progetti per la sostenibilità.
     (1) La dottrina giuridica americana ha elaborato il modello della Low Profit Limited Liability Company, una socie-
tà di capitale cui è consentito emettere azioni trasferibili, cui però è posto per statuto un limite alla distribuzione
degli utili (nella misura del 4-5%). Questa forma d’impresa consentirebbe di accedere anche a finanziamenti pro-
venienti da organizzazioni non profit come le fondazioni o dallo Stato stesso –, oltre che dagli investitori “respon-
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          In secondo luogo, la constatazione che vi sia un ampio bacino di investitori respon-
     sabili che non trovano adeguati strumenti finanziari nel mercato tradizionale. Non
     stiamo parlando di donatori che offrono denaro senza aspettarsi la restituzione del
     capitale e il pagamento di un interesse, quanto di individui e investitori istituzionali
     che non hanno obiettivi puramente speculativi e che sono disposti ad investire in im-
     prese che hanno un impatto diretto sul contesto sociale anche a costo di un minore
     rendimento economico.
          Infine, la convinzione che esista una domanda ampia e crescente di beni e di servi-
     zi ad alto valore aggiunto ambientale e sociale, che spaziano dalla sanità ai servizi alla
     persona, dall’educazione alla cultura, dalla previdenza all’assistenza, dai servizi pubbli-
     ci locali alla finanza etica, dal commercio equo al turismo responsabile, dall’abbiglia-
     mento sostenibile all’alimentazione biologica e così via. Si va cioè formando un mer-
     cato, o meglio una pluralità di mercati, in forte espansione, che non risultano ancora
     adeguatamente presidiati perché i soggetti che potrebbero operarvi (quelle che noi
     chiamiamo IFS) non sono sufficientemente strutturate dal punto di vista finanziario e
     operativo. Il rischio è che vengano coperti da imprese capitalistiche tradizionali, il cui
     obiettivo di massimizzazione del profitto (che crea inevitabilmente forti conflitti tra
     gli interessi degli stakeholder) le mette però in contraddizione con la natura anche re-
     lazionale dei beni e dei servizi offerti.
          Quest’ultimo aspetto merita un approfondimento, che ci consente di spiegare,
     anche con degli esempi, a che cosa ci riferiamo. Si prenda il caso di un’impresa che
     gestisce una casa di cura o una residenza per anziani: è naturale che, se l’obiettivo
     è quello di ricavare da questa attività il massimo profitto possibile, chi ne ha la re-
     sponsabilità sia portato ad aumentare i ricavi, per esempio cercando di alzare le ta-
     riffe o forzando l’erogazione di prestazioni anche non necessarie; o a ridurre i costi,
     per esempio utilizzando materiali di scarsa qualità; o a contenere i rischi, per esem-
     pio evitando di accogliere ospiti con limitata capacità di reddito. Probabilmente,
     questa tensione finirà con l’influenzare anche la relazione con i dipendenti, che po-
     trebbero trasferire la loro insoddisfazione nel modo in cui, per esempio, si rappor-
     tano con i pazienti. E tutto questo, si badi, senza che ciò comporti una violazione
     esplicita di norme di legge o contrattuali. Semplicemente, il manager sarà inevita-
     bilmente portato a privilegiare gli interessi del gruppo cui sente di dover risponde-
     re in prima istanza, cioè gli azionisti. L’esperienza peraltro dimostra come, in una
     situazione del genere, la prevenzione di comportamenti opportunistici sia possibi-
     le solo a costo di un sistema di controllo non sempre efficace e comunque molto
     costoso. Solo il contenimento in origine della tensione verso il profitto può limita-


     sabili”, interessati all’output sociale implicito nello scopo di pubblica utilità. Queste organizzazioni possono gode-
     re di benefici fiscali.
studi e ricerche •           37




re questa deriva.
     Un altro caso che ben può rappresentare la potenzialità dello strumento di cui
parliamo è quello delle aziende di servizio pubblico locale. La fornitura di energia elet-
trica, di gas, di acqua, di servizi di trasporto, e, in qualche caso, d’altro, era stata ga-
rantita nel passato dalle amministrazioni locali stesse, in prima persona. Successiva-
mente, sono stati creati degli enti separati, ma sempre di natura pubblica, poi delle
società di diritto privato. In alcune situazioni, porzioni più o meno ampie delle azio-
ni di queste società sono state vendute a soggetti finanziari o industriali o addirittura
collocate sui mercati, attraverso la quotazione in borsa. In questa evoluzione c’è una
soluzione di continuità importante: mentre la trasformazione in società per azioni ha
probabilmente reso più efficienti le strutture, agendo sulle diverse procedure e sugli
stili manageriali, la privatizzazione del capitale ha inciso sulla missione, che è passa-
ta dal servizio al cittadino in condizioni di economicità alla creazione di valore per gli
azionisti attraverso la fornitura di servizi a dei cittadini. Cittadini qualsivoglia: queste
imprese, nel tentativo di sfruttare economie di scala e di scopo, si stanno consolidan-
do, finendo così col de-territorializzarsi e col perdere il legame col cliente-proprieta-
rio. Chi conosce il settore, poi, sa come il potere delle amministrazioni locali, spesso
ancora in maggioranza, non riesca a incidere davvero sulle scelte di strategia industria-
le una volta che siano entrati partner che siano detentori di forte know-how gestionale
e interessati al massimo ritorno sul loro investimento, non avendo da render conto
alle comunità di origine dell’impresa. Anche in questo caso, è evidente come questo
processo di trasformazione abbia influito negativamente sul rapporto con la comuni-
tà locale: il modello che punta allo shareholder value non può che confliggere con gli
interessi dei cittadini, al di là degli equilibrismi degli amministratori e dei manager: che
senso ha, per esempio, mantenere una linea di autobus per una contrada remota, la
cui gestione genera una perdita? Nessuno, se l’obiettivo è solo generare profitto; mol-
to, se è servire una comunità per cui quel collegamento è, magari, vitale.
     La domanda legittima è: chi mai investirebbe in una società che gestisce (anche,
non solo) una linea in perdita? La risposta: un investitore che sia interessato alla so-
pravvivenza di quella comunità per cui l’autobus è importante e che, a fronte di que-
sto beneficio sociale, sia disposto a rinunciare ad una quota (non necessariamente a
tutto) di ritorno finanziario.
     Va da sé che la limitazione della spinta verso il profitto, da un lato, deve essere
compensata da una produzione di valore sociale misurabile e, dall’altro, non deve di-
ventare un alibi per l’inefficienza gestionale. Si pone, tra l’altro, un problema di mer-
cato su cui torneremo più avanti.
     C’è, insomma, tutto un settore dell’economia in cui una nuova soggettività im-
prenditoriale potrebbe, se non risolvere completamente, certamente ridurre la que-
stione del conflitto di interesse tra gli stakeholder. L’impresa sociale tradizionale, in
38             • Davide Dal Maso e Davide Zanoni




     forma cooperativa, ha in parte questa potenzialità, ma – perlomeno per il modo in
     cui si è sviluppata fino ad oggi nel nostro Paese – manca di requisiti strutturali (orga-
     nizzazione, governance, capacità manageriale, capitali, ecc.) per diventare un sogget-
     to centrale nel mercato. Ecco quindi l’idea dell’impresa a finalità sociale, che prende il
     buono della società commerciale in termini di funzionalità e il buono dell’impresa so-
     ciale in termini di finalità.
         Questa sfida peraltro sembra essere lanciata anche dal fronte istituzionale. La Ri-
     soluzione del Parlamento europeo del 19 febbraio 2009 afferma che “l’economia so-
     ciale, unendo redditività e solidarietà, svolge un ruolo essenziale nell’economia europea per-
     mettendo la creazione di posti di lavoro di qualità e il rafforzamento della coesione sociale,
     economica e territoriale, generando capitale sociale, promuovendo la cittadinanza attiva e
     una visione dell’economia fatta di valori democratici che ponga in primo piano le persone,
     nonché appoggiando lo sviluppo sostenibile e l’innovazione sociale, ambientale e tecnologi-
     ca”. è chiaro in questa risoluzione il pieno riconoscimento del concetto di economia
     sociale che si distingue dal sistema economico tradizionale per l’attenzione delle im-
     prese alla creazione di valore sociale, ma anche dal modello non profit per l’esistenza
     di un’attività imprenditoriale (sia che si tratti di società commerciale che di organizza-
     zione in senso lato). Nel contesto italiano, pur ritardato da un quadro giuridico inca-
     pace di far fronte tempestivamente alle istanze e necessità che emergono da questo
     settore, stanno comunque emergendo soggetti di impresa che mostrano una strut-
     tura produttiva e organizzativa del tutto simile alle imprese tradizionali, ma che per-
     seguono interessi collettivi diversi dall’utile privato (es. cooperative sociali). La que-
     stione diventa, quindi, come stimolare lo sviluppo di questa economia in misura tale
     da portarla ad un livello di significatività che le dia maggiore dignità e riconoscimento,
     senza compromettere la qualità della sua natura. Uno degli elementi, certo non l’uni-
     co, necessari a questo scopo è il raggiungimento di una scala dimensionale sensibil-
     mente maggiore che comporti un rafforzamento dell’attività dispersa ma incisiva del-
     le piccole e medie imprese dell’economia sociale.
         Nell’ambito così definito, si inserisce l’idea progettuale di Borsa Sociale quale stru-
     mento finanziario alternativo per promuovere lo sviluppo e dare impulso ad un nuovo
     modello di imprenditoria responsabile. è chiaro, infatti, che a diversi modelli di eco-
     nomia debbano corrispondere diversi mercati finanziari. Le borse della grandi piazze
     finanziarie, da New York a Londra, da Hong Kong a Parigi, sono pensate per soddisfa-
     re le esigenze delle imprese capitalistiche da un lato e di investitori speculativi dall’al-
     tro. Lo scopo è quello di facilitare l’incontro tra domanda e offerta di capitale che vie-
     ne utilizzato per generarne il massimo plusvalore economico possibile. Non c’è spazio
     per altre dimensioni; anzi, aspetti diversi non possono che essere visti come fattori
     di inquinamento. In questo contesto, un’IFS non potrebbe risultare che perdente: se
     l’obiettivo è ottenere il più alto rendimento finanziario, perché qualcuno dovrebbe in-
studi e ricerche •          39




vestire in una società che promette un ROE del 5%, quando altre promettono il 15%?
Occorre perciò creare un canale alternativo, con regole proprie, dove le imprese che
concorrono per attirare gli investitori possano competere tra pari.
   è di tutta evidenza, e tuttavia vogliamo ribadire, come questi diversi mercati non
siano alternativi tra loro, bensì complementari: in una società aperta, c’è lo spazio per
pluralità di forme di esercizio della libertà economica. L’obiettivo di Borsa Sociale non
è certo quello di sostituirsi alle tradizionali borse di scambio, bensì quello di offrire
un’opportunità di scelta in più, sia alle imprese sia agli investitori.

I soggetti del mercato e l’oggetto delle transazioni
Forme di imprese a finalità sociale
     Borsa Sociale è un mercato organizzato di capitali per imprese a finalità sociale.
Con questo termine, ci riferiamo ad imprese esercitate sia in forma di società di ca-
pitali sia cooperativa, che perseguono allo stesso tempo obiettivi di generazione di
valore sociale e di valore economico. Le IFS non sono affatto organizzazioni non pro-
fit, quanto piuttosto imprese che offrono un dividendo misto, risultante di componen-
ti economiche (profitto calmierato), sociali e ambientali.
     La creazione della Borsa per IFS si basa su una definizione ampia della doman-
da di capitali che cerca di tenere insieme imprese profit a finalità sociale e orga-
nizzazioni non profit che sono in grado di produrre anche valore economico. Que-
sta definizione non coincide necessariamente con quella di impresa sociale ex d.lgs.
155/2006, ma si estende a tutte le realtà che a prescindere dalla natura e veste giu-
ridica esercitano un’attività a forte contenuto sociale e ambientale. Al momento le
IFS rappresentano più un riferimento a cui tendere che una realtà oggettiva, ma esi-
stono tuttavia diversi soggetti caratterizzati da un modello gestionale responsabile
e dall’esercizio di attività specifiche che possono in qualche modo rientrare in que-
sta definizione.
     La pretesa di tenere insieme realtà molto diverse si scontra con resistenze cultu-
rali e con difficoltà “tecniche” che complicano la costruzione di un mercato unico per
IFS. Le evidenze emerse sottolineano infatti l’esistenza di forti componenti identita-
rie che ostacolano l’idea di un mercato “misto” che includa profit e non profit. Alcuni
soggetti, per esempio, rivendicano la propria natura di attori non economici nel sen-
so di organizzazioni che non svolgono un’attività economica ma esclusivamente socia-
le e pertanto non assimilabili in alcun modo alle imprese commerciali. In questo caso,
l’accesso a forme dirette di finanziamento che non siano a fondo perduto non è ipo-
tizzabile, in quanto non esistono i presupposti per garantire una remunerazione di ta-
li finanziamenti. Inoltre, non si tratta solo di un problema di profitto, quanto di orga-
nizzazione e di gestione dell’attività secondo diversi criteri. In questi casi, si rischia,
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     quindi, di assistere ad una auto-selezione da parte di quei soggetti che non hanno in-
     teresse a trasformare in alcun modo la propria attività.
         Da un punto di vista tecnico, la questione è ancora più complicata. Oggi non esiste
     una sola tipologia di attori socio-economici per la quale ipotizzare un mercato di ti-
     toli quotabili ma piuttosto una serie di imprese/organizzazioni molto diverse tra loro
     con vincoli più o meno stringenti agli strumenti di finanziamento che possono emet-
     tere o utilizzare. è dunque necessario creare un mercato ad hoc, entro i limiti posti
     dalle normative vigenti, che possa offrire nuove opportunità di finanziamento ad alcu-
     ne categorie di imprese e organizzazioni dell’economia sociale.
         Il mercato di Borsa Sociale è rivolto in particolare a tre tipologie di imprese: IFS di
     capitali, IFS cooperative, IFS derivate da ONP (Libro I cod. civile).
         La prima componente della domanda è rappresentata da imprese a finalità socia-
     le strutturate come società per azioni che possono accedere al mercato delle parte-
     cipazioni al capitale. Le azioni emesse da imprese sociali devono avere caratteristiche
     uniformi e standardizzate e soprattutto non avere formalità di cessione che ne im-
     pediscano il trasferimento in modo efficiente e immediato. Le quote di società a re-
     sponsabilità limitata non sono quotabili, in quanto non sono rappresentate da titoli
     di credito e potenzialmente sono diverse tra di loro, dato che le caratteristiche ven-
     gono decise volta per volta dai soci, e non sono scambiabili liberamente a causa delle
     formalità richieste per la loro cessione.
         Stiamo parlando dunque di piccole e medie imprese che possono ottenere acces-
     so al mercato solo a seguito di una valutazione rigorosa del modello gestionale e de-
     gli impatti socio-ambientali generati dall’attività. Le azioni emesse da queste società
     hanno un valore economico che rispecchia il valore attuale scontato dei ricavi futuri
     ma anche il valore degli impatti sociali attesi.
         Le IFS cooperative sono società cooperative che svolgono attività ad alto valore
     sociale e cooperative sociali di categoria A e B che nel proprio statuto non hanno sta-
     bilito il divieto alla distribuzione degli utili ai soci. In linea di principio le cooperative
     sociali, istituite dalla legge 391/1991, sono enti non profit che non hanno come obietti-
     vo la distribuzione del reddito ai soci quanto il perseguimento dell’interesse generale
     della comunità attraverso la realizzazione della missione produttiva. Tuttavia, al pari
     delle cooperative ordinarie, una cooperativa sociale può prevedere entro certi limi-
     ti la distribuzione di una quota di utili ai propri soci (art. 8, legge 59/1992).Nelle coo-
     perative è prevista poi la figura del socio sovventore i cui conferimenti sono rappresen-
     tati da azioni trasferibili e il cui trattamento in sede di distribuzione o di liquidazione degli
     utili può essere favorito dallo statuto (remunerazione superiore agli altri soci fino al 2%).
     Lo stesso trattamento spetta ai possessori delle azioni di partecipazione cooperative
     che possono essere emesse per finanziare progetti di sviluppo ed investimento plu-
     riennali. Tali azioni sono offerte anche al pubblico e anch’esse garantiscono al porta-
studi e ricerche •           41




tore una remunerazione maggiorata del 2% rispetto a quella delle quote o delle azio-
ni dei soci della cooperativa.
    Grazie a queste caratteristiche, le cooperative sociali sono l’unico soggetto del
Terzo settore a poter accedere direttamente al mercato azionario, almeno da un
punto di vista teorico.
    Per tutte le organizzazioni senza scopo di lucro e tutte le imprese del mondo non
profit che svolgono attività commerciale o non commerciale ma che sono accomuna-
te dal divieto di distribuzione dell’utile, l’accesso diretto al mercato “azionario” di ca-
pitale sociale rimane precluso. Per le associazioni e le fondazioni che non sono costi-
tuite in forma societaria o che comunque non possono ripartire il capitale sociale in
quote alienabili e negoziabili, l’accesso è negato per definizione. Per le imprese sociali
ex lege, invece, il divieto assoluto alla distribuzione degli utili tende ad azzerare il valo-
re economico dell’azione detenuta dall’investitore, in quanto il capitale investito non
sarebbe remunerativo. Potrebbe esserci un valore socio-ambientale che dia comun-
que la possibilità di vendere il titolo in un momento futuro, ma questa ipotesi è tut-
ta da verificare. Se infatti nella fase di collocamento (mercato primario) l’esistenza di
investitori istituzionali può garantire il sostegno alle imprese che emettono azioni sul
mercato, pur in assenza di utile atteso, nel medio termine la probabilità di rivendere
nel mercato secondario è collegata alla presenza di acquirenti interessati alla dimen-
sione extra-economica dell’investimento.
    Una terza tipologia di IFS è quella che immaginiamo possa derivare da una ONP.
Nel disegno che abbiamo tratteggiato, infatti, associazioni e fondazioni, pur essendo
attori importanti dell’economa civile, rimarrebbero escluse dal mercato dei capitali
responsabili. Una soluzione che potrebbe essere approfondita è quella della società-
veicolo, cioè di un’impresa di capitali, le cui quote o azioni siano in maggioranza della
ONP. In questo quadro, la società diventa lo strumento operativo per le attività eco-
nomiche promosse dall’ONP. Per non incorrere nei limiti posti all’attività commercia-
le delle Onlus, il capitale della società potrebbe essere aperto anche alla partecipazio-
ne di altri investitori, fermo restando che opportune previsioni statutarie assicurino
alla ONP il controllo sulla strategia e sulle scelte operative fondamentali. La società-
veicolo così formata avrebbe le caratteristiche per accedere al mercato dei capitali, e
quindi rientrare nel percorso virtuoso che abbiamo identificato per le IFS.
    Non c’è dubbio sul fatto che questo tipo di operazioni possa presentare profili di
una certa problematicità per le ONP più piccole: lo sforzo ed il costo per mettere in
moto un processo di tale complessità, infatti, si giustificano solo nel caso di iniziati-
ve di una consistente portata economica. Questo ostacolo potrebbe essere superato
attraverso la creazione di consorzi di ONP prossime per scopo o per natura; così fa-
cendo, ciascuna, in proporzione al proprio impegno, potrebbe poi utilizzare la socie-
tà-veicolo come strumento per le proprie attività e per l’approvvigionamento di capi-
42              • Davide Dal Maso e Davide Zanoni




     tale. Non va nascosto il rischio che si creino le condizioni, se le cose non vanno per il
     verso giusto, di conflitto tra le ONP partner, che potrebbero riflettersi negativamen-
     te sulla governance e, alla fine, sull’operatività della IFS di cui sono socie.

     Gli investitori
         Sul fronte dell’offerta di capitale, ai fini di un corretto funzionamento del merca-
     to è necessario prevedere l’intervento di due categorie di soggetti: gli investitori isti-
     tuzionali da un lato e i privati dall’altro. Essi intervengono in due momenti distinti del
     processo di quotazione del titolo sul mercato. In particolare, l’investitore istituzio-
     nale, in virtù della sua maggiore capacità di svolgere un’analisi esperta della qualità
     dell’azione che viene proposta sul mercato in sede di offerta iniziale, è il protagonista
     del mercato primario. Riservare il primo investimento a soggetti qualificati permette
     altresì di semplificare gli oneri informativi in fase di prima quotazione, che potrebbe-
     ro incidere significativamente sul costo dell’operazione e quindi scoraggiare le impre-
     se dall’intraprendere il percorso. I risparmiatori privati operano invece sul mercato
     secondario, una volta che il titolo è già stato oggetto di transazione. Nel nostro Pa-
     ese, caratterizzato dalla modesta dimensione delle masse investite dagli istituzionali,
     l’intervento del retail è necessario per garantire un sufficiente apporto di risparmi sul
     mercato. Anche sul mercato borsistico tradizionale la quota di titoli sottoscritti dalle
     famiglie è largamente predominante.
         In ordine all’identità degli investitori istituzionali riteniamo che un ruolo im-
     portante lo possano avere soggetti che, per la propria natura, siano orientati al
     perseguimento di fini non speculativi. In particolare, le fondazioni di origine ban-
     caria. Per loro, ma non solo per loro, è possibile immaginare la forma dei cosid-
     detti mission-related investment. Si tratta di investimenti finanziari (realizzati quin-
     di attraverso l’allocazione del patrimonio stabile, non della quota dei proventi da esso
     generati dedicati all’attività erogatoria) il cui obiettivo non è solo quello di un ritor-
     no economico, ma anche di un ritorno sociale coerente con la missione della fonda-
     zione. Questo tipo di investimenti è più complicato, perché, proprio per il fatto che
     si pone obiettivi “misti”, richiede professionalità ibride. La logica dei due tempi (gene-
     razione del valore economico secondo logiche di massimizzazione del profitto e suc-
     cessiva redistribuzione) è invece relativamente semplice, nel senso che il mestiere di
     chi si occupa di money in e quello di chi si occupa di money out sono chiaramente di-
     stinti e rispondono a requisiti riconosciuti e consolidati.
         Altri soggetti che potrebbero intervenire sul primario sono le finanziarie regio-
     nali. Esse sono certamente società con obiettivi economici, che tuttavia dipendono
     dall’amministrazione regionale per la definizione delle proprie strategie e a queste, in
     ultima istanza, rispondono. Se si presentassero occasioni di investimento in IFS i cui
     output sociali o ambientali sono coerenti con gli obiettivi delle politiche pubbliche,
studi e ricerche •                  43




sarebbe del tutto naturale immaginare che le regioni possano sostenerle anche attra-
verso mirate iniezioni di capitale. Viceversa, i gestori di fondi potrebbero avere solo
un ruolo più sfumato: non c’è dubbio sul fatto che, in assenza di un mandato esplici-
to (come potrebbe essere per un fondo di investimento socialmente responsabile), il
dovere fiduciario del gestore sia quello di ottimizzare il rapporto rischio/rendimento;
qualsiasi considerazione di ordine diverso sarebbe impropria. Quindi, non è pensabi-
le che fondi “normali” possano impegnare quote anche minime dei propri patrimoni
nell’investimento in IFS. Invece, le società di gestione del risparmio potrebbero met-
tere a disposizione la loro capacità e la loro struttura per creare dei fondi dedicati, in
cui la proposizione di valore offerta al pubblico sia dichiaratamente orientata alla ri-
cerca di valore sociale. Questo strumento faciliterebbe la partecipazione al mercato
da parte dei privati, che, utilizzando il fondo come strumento, avrebbero la possibili-
tà di vedere fortemente diversificato il rischio e godrebbero della possibilità di liqui-
dare più facilmente i propri investimenti. L’unica controindicazione potrebbe essere
rappresentata dalla perdita di un rapporto diretto tra l’IFS che operi in un territorio
specifico e l’investitore che, risiedendo in quello stesso territorio, esprima nell’inve-
stimento la volontà di alimentare un legame fiduciario.

Caratteristiche del mercato
Ruoli dei diversi soggetti coinvolti
    Il mercato dedicato alle IFS si configura come un sistema di scambio organizza-
to, ma non regolamentato (2), gestito da un operatore specializzato. La struttura del-
la Borsa Sociale ricalca il modello AIM Italia, ovvero il mercato alternativo di investi-
mento di Borsa Italiana, progettato per offrire un percorso semplice e flessibile alla
quotazione delle piccole e medie imprese. Si configura dunque come un MTF (Multi-
lateral Trading Facilities), ovvero una delle fattispecie di sistema multilaterale di scam-
bio previste dalla direttiva 2004/39/CE sui mercati degli strumenti finanziari, cono-
sciuta con l’acronimo inglese MiFID (Market in Financial Instruments Directive) (3). Per
le MTF esiste una certa flessibilità regolamentare che può consentire di creare le mi-
gliori condizioni di accesso al mercato dei capitali in modo rapido e a costi contenu-

     (2) L’assenza di regolamentazione riguarda il fatto che il funzionamento di tale mercato, i titoli e gli operatori
ammessi non sono assoggettati alla disciplina specifica e alla autorizzazione delle Autorità di Vigilanza in materia di
Mercati Regolamentati e non sono iscritti nell’apposito albo.
     (3) Tale direttiva, approvata dal Parlamento e dal Consiglio Europeo il 20 aprile 2004, ha abrogato la prima di-
rettiva 93/22/CE sui servizi di investimento, detta ISD (Investment Services Directive). In Italia il Testo Unico della
Finanza è stato modificato con il d.lgs. 164 del 17 settembre 2007. Inoltre, nel mese di ottobre 2007 la CONSOB
ha provveduto ad aggiornare la propria regolamentazione secondaria (Regolamento Mercati ed Intermediari). In-
fine, a partire dal 1° novembre 2007 (data di entrata della normativa MiFID) tutti gli operatori sono stati chiamati
ad applicare e rispettare la nuova disciplina.
44            • Davide Dal Maso e Davide Zanoni




     ti. I regolamenti dell’AIM Italia, che rispecchiano le principali caratteristiche dell’AIM
     inglese, con alcuni adattamenti appositamente studiati per rispondere alle peculiarità
     della realtà economica e imprenditoriale italiana, possono essere un punto di parten-
     za per un’apposita regolamentazione della Borsa Sociale.
          La struttura del mercato è composta da due soggetti principali intorno ai quali
     ruotano elementi esterni al sistema. Un soggetto Gestore, che deve avere le caratte-
     ristiche di società di investimento, e una società di Promozione, che assume l’obiet-
     tivo di promuovere la nascita e la crescita del mercato stesso. La costituzione di una
     nuova impresa di investimento quale soggetto Gestore del mercato presenterebbe
     pesanti oneri di natura legale, economica ed organizzativa, probabilmente insosteni-
     bili data la limitata dimensione stimata del mercato. Per questo motivo, abbiamo ipo-
     tizzato la definizione di un accordo tra un’impresa già abilitata alla gestione del mer-
     cato da un lato e una nuova società di promozione, che chiameremo di qui innanzi
     Pro-Borsa Sociale S.p.A. (PBS).
          La società di Promozione ne sostiene lo sviluppo e la conoscenza presso imprese
     e investitori, fornisce supporto agli operatori del mercato e organizza eventi per la
     promozione. Questo meccanismo permette ai promotori del mercato di assicurare
     il perseguimento degli obiettivi che si sono posti (tutelati da una serie di clausole ben
     definite nel rapporto con il gestore), senza doversi accollare gli oneri e i rischi colle-
     gati alla creazione di una società di investimento ad hoc. Il Gestore ha la responsabili-
     tà di ammettere le imprese alla negoziazione, di gestire le contrattazioni e vigilare sul
     corretto e regolare svolgimento delle operazioni.
          La relazione tra il promotore del mercato e il gestore dello stesso presenta profili
     di grande complessità e delicatezza, dato che gli obiettivi e la natura specifici dell’ini-
     ziativa richiedono una particolare cura degli aspetti relativi all’accesso e alla perma-
     nenza nel mercato, la cui sopravvivenza è legata alla credibilità che riuscirà a gua-
     dagnarsi presso gli operatori. Per questo motivo, il rapporto tra il promotore del
     mercato e il gestore dovrebbe essere maggiormente sbilanciato a favore del primo. è
     infatti PBS l’organizzazione che può farsi garante di fronte al vasto mondo dell’econo-
     mia civile e alla società in generale della genuinità della proposta politica e del rigore
     con cui verrà realizzata. Anche se, tecnicamente, sarà il Gestore del mercato il sog-
     getto con cui le IFS stringeranno i contratti che regolano la quotazione, occorrerà as-
     sicurare a PBS un ruolo e una visibilità maggiori rispetto a quelli che le derivano dalla
     posizione di mero soggetto promotore, riservandole alcuni reali poteri di intervento.
     PBS dovrà contribuire incisivamente alla definizione delle regole di quotazione (listing
     rules), anche se poi saranno trasferite in un atto del Gestore del mercato. Esse do-
     vranno prevenire comportamenti opportunistici da parte degli emittenti e degli inve-
     stitori, preservando il capitale di reputazione indispensabile per alimentare la fiducia
     degli attori coinvolti nel suo funzionamento, indispensabile per la continuità nel tem-
studi e ricerche •          45




po dell’impresa. PBS potrà intervenire nel merito della gestione del mercato indiret-
tamente, per esempio accreditando i soggetti specializzati nella valutazione e nell’ac-
compagnamento delle IFS alla quotazione, e quindi verificandone le competenze e la
credibilità, stabilendo quali metodologie debbano essere utilizzate allo scopo.
    Il problema che PBS dovrà affrontare e risolvere è, dunque, quello delle regole che
caratterizzano questo mercato come unico e ontologicamente diverso dai mercati fi-
nanziari tradizionali. Per coerenza, PBS dovrà costituirsi essa stessa come IFS, ponen-
dosi l’obiettivo di sostenibilità sia in termini economici (e quindi la generazione di un
plusvalore che remuneri l’investimento dei soci) sia sociali. Pur assumendo la natura
di società di capitali, si darà regole statutarie che ne determinino inequivocabilmen-
te la finalità sociale, anche attraverso la limitazione alla distribuzione degli utili. Do-
vrà dar conto, come le imprese che al suo mercato saranno quotate, dei benefici so-
ciali generati e misurare il dividendo sociale che offrirà agli azionisti e alla comunità
in generale.
    Intorno all’asse portante costituito dai due soggetti principali, si collocano gli al-
tri attori del mercato. In primo luogo le imprese a cui è rivolto il mercato, cioè quelle
imprese che risulteranno imprese a finalità sociale (IFS) a seguito di un rigoroso pro-
cesso di valutazione. Nel percorso di quotazione, l’IFS è assistita da una serie di sog-
getti che svolgono funzioni di accompagnamento e di garanzia. In particolare, ai fini
del funzionamento di BS, servirà l’intervento di un soggetto specializzato che si faccia
garante, di fronte alla comunità degli investitori, della solidità del progetto imprendi-
toriale e di un soggetto che accerti la capacità dell’impresa candidata alla quotazione
di produrre valore sociale in misura sufficiente a considerarla IFS. Nel medio termi-
ne queste funzioni dovrebbero essere svolte da un medesimo soggetto, che combini
le competenze necessarie per questo duplice fine. Ciò perché riteniamo che un’unica
analisi, che integri aspetti economici e socio-ambientali, sia da preferire rispetto a due
sistemi paralleli di valutazione, che non comunicano tra di loro e rimangono su piani
sostanzialmente diversi. In realtà, sappiamo che la sostenibilità è la risultante delle tre
dimensioni economica, ambientale e sociale, che però sono dipendenti l’una dall’altra
e che richiedono, per essere misurate correttamente, un approccio sistemico.
    La figura cui tendere è quella di un NomAd con anche competenze socio-am-
bientali, quella che in altri contesti è stata chiamata SNomAd, cioè Social Nomina-
ted Advisor. Ad oggi esistono pochissimi soggetti che abbiano queste caratteristiche
e capacità: da un lato ci sono le agenzie di rating sociale, che tendenzialmente non si
esprimono sugli aspetti di natura finanziaria, e dall’altro banche, SIM e altre organizza-
zioni simili che, viceversa, sanno poco o nulla di aspetti sociali e ambientali. In attesa
di un progresso della situazione (che, peraltro, non dovrebbe tardare ad arrivare), oc-
corre immaginare due percorsi valutativi indipendenti, e quindi l’intervento di un sog-
getto simil-sponsor e di un valutatore sociale. Gli uni e gli altri, in ogni caso, dovranno
46             • Davide Dal Maso e Davide Zanoni




     essere in qualche modo accreditati da PBS, al fine di assicurare che abbiano tutte le
     competenze e i requisiti necessari. I soggetti accreditati dovranno garantire la traspa-
     renza informativa nei confronti degli investitori, stimolare l’attenzione da parte della
     società al rispetto delle regole derivanti dall’essere quotata, massimizzandone i bene-
     fici, e – più in generale – mantenere la qualità e la reputazione del mercato sociale.
          Dal lato dell’offerta di capitale, i soggetti coinvolti potranno essere gli investitori
     istituzionali e gli investitori privati. Grazie alla borsa gli investitori amplieranno le lo-
     ro opportunità di investimento e potranno operare anche in società di natura diversa
     da quelle presenti sul mercato tradizionale ma con un alto potenziale di crescita. Gli
     investitori retail potranno acquistare titoli in fase di collocamento solo se l’impresa in
     questione deciderà di presentare il prospetto informativo, mentre potranno libera-
     mente negoziare titoli scambiati su BS attraverso il loro intermediario o la loro ban-
     ca sul mercato secondario dopo la quotazione del titolo.
          Tutti gli investitori istituzionali potranno negoziare i titoli attraverso il loro abi-
     tuale intermediario e la liquidità del mercato – in termini di numero di scambi gior-
     nalieri – sarà garantita da un operatore Specialista (così come definito nel modello
     AIM) che agirà come liquidity provider su ogni singolo titolo. Il ruolo di specialista (ne-
     goziatore sul mercato) può essere esercitato dalle banche e dalle imprese d’investi-
     mento italiane ed estere autorizzate alla prestazione del servizio di negoziazione per
     conto proprio e/o per conto terzi. Nella fase di negoziazione sul mercato, lo specia-
     lista faciliterà l’incontro tra domanda e offerta e la formazione dei prezzi esponen-
     do quotazioni in acquisto e in vendita per controvalori minimi determinati; promuo-
     verà l’attività di investimento raccogliendo e concentrando le proposte di acquisto e
     vendita; produrrà report periodici sulla società mettendoli a disposizione degli inve-
     stitori professionali.
          Gli scambi potranno essere gestiti su una piattaforma di trading elettronica che il
     soggetto gestore, essendo già operante nel settore dell’intermediazione, potrà met-
     tere a disposizione, con tutte le infrastrutture necessarie connesse. Le negoziazioni
     potranno avvenire mediante la modalità dell’asta, con frequenza da definire, ma ten-
     denzialmente quotidiana. Se così fosse, le proposte di negoziazione immesse dagli spe-
     cialisti nella fase d’asta verranno ordinate, in modo automatico, sulla base del prezzo,
     nonché, a parità di prezzo, in base alla priorità temporale determinata dall’orario di
     immissione. Il prezzo teorico d’asta è il prezzo al quale è negoziabile il maggiore quan-
     titativo di azioni. L’ultimo prezzo teorico di asta è considerato valido e viene assunto
     come prezzo d’asta per la conclusione dei contratti.

     Modello di business
         Le voci di ricavo e di costo che determineranno la sostenibilità del mercato e
     l’equilibrio dei bilanci di PBS sono rappresentate dai ricavi attesi per una percentua-
studi e ricerche •            47




le delle quote di ammissione (admission fees), dalle quote annuali (annual fees) e dalle
quote annuali accreditamento dei soggetti che affiancano l’IFS. I costi attesi sono rap-
presentati da costo del personale, sede e IT, comunicazione e marketing.
    In ordine ai ricavi derivanti dalle admission e dalle annual listing fees (che saranno
esatte dal Gestore del mercato e stornate in parte a PBS), stimiamo che il numero di
IFS quotate arriverà a circa 70 nel giro di sei anni, periodo entro il quale è previsto il
punto di pareggio di bilancio. Abbiamo previsto dei costi di quotazione sensibilmente
inferiori a quelli dei mercati tradizionali. Le quote sono state differenziate a seconda
della dimensione dell’IFS quotata, misurata in termini di capitalizzazione, arrivando a
definire tre gruppi (piccole, medie e grandi). Peraltro, il peso relativo dei costi di quo-
tazione sul valore dell’operazione dipende in larga parte dall’ammontare del flottante:
qualora l’IFS decida di mettere sul mercato una quota poco significativa del proprio
capitale, l’incidenza dei costi fissi sarà maggiore e quindi il vantaggio rispetto ad altre
forme di finanziamento inferiore.
    Questo numero di società ammesse appare sufficiente a garantire la copertura dei
costi anche del Gestore del mercato il quale, come detto, avendo già tutte le infra-
strutture materiali e immateriali necessarie, dovrà sostenere solo costi marginali, a
parte quelli tecnici e amministrativi connessi all’attivazione. Non abbiamo immagina-
to ricavi per il Gestore direttamente derivanti dalle negoziazioni, che non prevedia-
mo essere troppo frequenti: l’investimento in IFS non ha obiettivi speculativi e quindi
non si giustificano operazioni intra-day.
    L’altra fonte di ricavo per PBS è rappresentata dalla gestione del meccanismo di
accreditamento dei soggetti specializzati nella valutazione delle imprese candidate al-
la quotazione. Anche in questo caso, abbiamo stimato che possano essere interessa-
ti a partecipare un numero limitato di operatori (circa 20 nell’arco dei 6 anni oggetto
di previsione). Naturalmente, esso è fortemente correlato al numero di IFS quotate
e alla quota di mercato che riusciranno ad accaparrarsi e a mantenere i first mover. Se
il numero di questi soggetti accreditati fosse inferiore alle aspettative e quindi insuf-
ficiente a garantire adeguate entrate, potrebbe essere adottato un meccanismo che
preveda il pagamento a PBS di una quota variabile in relazione al numero di attesta-
zioni di conformità rilasciate alle IFS.

Regole di ammissione e modello di valutazione
    In fase di ammissione, un’impresa candidata deve predisporre un documento che
riporti le informazioni utili per gli investitori relative all’attività della società, agli azio-
nisti, ai dati economico-finanziari, e soprattutto la valutazione di responsabilità socia-
le del modello di gestione e di efficacia nella creazione di valore sociale, elementi im-
prescindibili per qualificare un’impresa come IFS. Ai fini della partecipazione a BS e
dunque per essere riconosciuta come impresa a finalità sociale, un’impresa verrà in-
48             • Davide Dal Maso e Davide Zanoni




     fatti valutata attraverso una due diligence economico-sociale. I criteri per regolamen-
     tare l’accesso alla BS verranno definiti a partire da un modello di valutazione delle IFS
     che abbiamo sviluppato. A seconda delle dimensioni, caratteristiche e natura giuridi-
     ca, tali criteri potranno essere declinati in modo flessibile, ma dovranno comunque
     dare conto dell’efficienza del sistema di gestione e dell’efficacia nella produzione di va-
     lore sociale e ambientale.
          è questo un punto nodale del progetto. La creazione di BS non può prescindere
     da una chiara definizione della tipologia di imprese che possono essere quotate e da
     una rigorosa valutazione della performance economica e sociale attesa. Se l’IFS cui
     si rivolge questo mercato rappresenta un equilibrio virtuoso tra produzione di valo-
     re economico e creazione di valore sociale, è necessario garantire all’investitore tut-
     te le informazioni per misurarne la performance e l’efficacia. Inoltre, per come abbia-
     mo definito l’IFS, la valutazione deve estendersi al sistema di gestione e alla capacità
     dell’impresa di usare in modo efficiente le risorse di cui dispone. Naturalmente que-
     sto approccio è molto restrittivo, nel senso che si riferisce ad imprese strutturate
     con determinate caratteristiche gestionali, ma non preclude l’accesso ad altri soggetti
     che non hanno ancora una organizzazione così strutturata. L’idea è quella di definire
     un idealtipo che possa essere un riferimento per la crescita e l’evoluzione di imprese
     che si affacciano al mercato dell’economia sociale.
          Come detto, il modello di valutazione proposto è articolato su due livelli di ana-
     lisi:

         1. il sistema di gestione, che deve essere in grado soddisfare criteri di responsa-
     bilità sociale e di efficienza economica;
         2. la produzione di valore sociale e ambientale, che deve essere coerente con la
     missione e proporzionato alle risorse impiegate.

         Il primo livello è assimilabile ad un audit, ovvero ad un’analisi dei sistemi e dei pro-
     cessi interni secondo due chiavi di lettura. La prima è l’assunzione di responsabilità
     nei confronti di tutti gli attori interessati all’attività di impresa (stakeholder), la seconda
     è l’efficienza economica nella gestione delle attività. La valutazione del sistema di ge-
     stione si può articolare in sei ambiti di indagine: profilo di impresa, risorse umane, am-
     biente, clienti e qualità, trasparenza, performance economica. Ogni ambito di indagi-
     ne viene declinato in più criteri, ciascuno dei quali rappresentato da alcuni indicatori.
     A titolo di esempio, l’ambito Risorse Umane, che riguarda la responsabilità dell’im-
     presa nei confronti dei propri dipendenti e lavoratori, viene investigato prestando at-
     tenzione al tema delle pari opportunità, della formazione interna, della partecipazio-
     ne, delle condizioni di lavoro e remunerative, e infine della sicurezza. Agli indicatori
     corrispondenti a ciascun criterio viene attribuito un punteggio secondo uno schema
studi e ricerche •   49




predefinito. I sei ambiti vengono analizzati a prescindere dal settore di appartenen-
za e dalla natura giuridica dell’impresa a finalità sociale. Tuttavia prima della valutazio-
ne di ogni impresa, viene effettuato un rapido screening per identificare le questioni
chiave e la rilevanza dei criteri per ogni ambito di indagine. In questo modo si tiene
conto della natura giuridica, del settore di appartenenza e di altri valori.
    Le principali fonti di informazione per condurre l’analisi sono rappresentate da:
    •  documenti pubblici che sono stati prodotti dalle imprese e dagli stakeholder (Bi-
lancio, Bilancio sociale, ecc.);
    •  interviste dirette al personale delle imprese e agli stakeholder strutturate sulla
base dello schema di valutazione.
    L’elemento distintivo di un’IFS è certamente la capacità di produrre valore sociale
e ambientale, che si misura come il cambiamento indotto nel contesto di riferimento.
Come un’impresa profit viene valutata per la capacità di generare profitto così un’IFS
viene valutata per il grado di efficacia nel raggiungimento di un certo scopo. “La social
enterprise si configura come un processo innovativo votato esplicitamente alla crea-
zione di valore sociale, attraverso il miglioramento di una situazione di disequilibrio
sociale, e intrapreso all’interno di un’organizzazione imprenditoriale designata a con-
tribuire, a iniziare o determinare un cambiamento sociale” (4). La performance di im-
presa non è più solo economica ma anche socio-ambientale, misurata su più dimen-
sioni in modo quantitativo e prospettico. La valutazione quantitativa degli impatti che
l’impresa è in grado di generare è necessaria a stimare il social return, un rendimento
aggiuntivo rispetto al ritorno economico tradizionale. I valori numerici permettono
di calcolare degli indici di ritorno sociale dell’investimento e di riformulare il profilo
rischio/rendimento su più dimensioni.
    La metodologia di valutazione della performance sociale che proponiamo si ispira
alla teoria del cambiamento (5), ovvero al modo in cui l’organizzazione ha determinato
un cambiamento nella società. Un’IFS può creare valore in modo efficiente ed effica-
ce se utilizza al meglio i mezzi di produzione (input) e se genera dei risultati (output)
che determinano impatti positivi per i beneficiari (diretti) e per il resto della comuni-
tà (indiretti). Per misurare l’efficienza del processo, i risultati vengono valutati in rap-
porto alle risorse impiegate (tempo, denaro, lavoro, materiali), mediante il calcolo di
output/input ratio; per misurare l’efficacia dell’attività di impresa, gli impatti diretti e in-
diretti vengono rapportati agli obiettivi generali.
    Il criterio guida è la coerenza con la missione intesa come l’identificazione di un
problema sociale e ambientale cui cercare di porre rimedio mediante l’applicazione di
strumenti idonei o la produzione di determinati beni e servizi. I mezzi impiegati, i ri-


   (4) Perrini f., Social entrepreneurship: imprenditorialità per il cambiamento sociale.
   (5) Impact Value Chain, cLark et al., 2004.
50            • Davide Dal Maso e Davide Zanoni




     sultati e gli impatti sono espressi da indicatori che vengono misurati e riportati ad un
     valore monetario tramite l’uso di proxy. A titolo di esempio, una cooperativa socia-
     le, che ha come finalità l’inserimento lavorativo di determinati soggetti, impiega le ri-
     sorse misurabili in unità di tempo o costi (affitto sale, materiali, ecc.) per svolgere dei
     corsi di riqualificazione professionale; i risultati sono misurati dal numero di parteci-
     panti ai corsi, mentre gli impatti sono valutati in termini di posti di lavoro creati per i
     beneficiari. Per ottenere un valore monetario dell’impatto che indica il valore totale
     dei benefici generati, il numero di posti di lavoro viene moltiplicato per il costo uni-
     tario del lavoro. L’espressione degli indicatori in unità monetarie permette il calcolo
     di indici di rendimento sociale quali il Social Return on Investment della New Econo-
     mic Foundation (NEF), espressione del rapporto tra benefici totali e valore dell’inve-
     stimento. La performance sociale viene misurata dall’andamento di questi indici nel
     corso degli anni. I valori calcolati per un’impresa vengono confrontati con i valori in-
     dice di tutte le altre imprese che operano nel medesimo settore in modo da ottene-
     re un’indicazione comparata (benchmarking).

     Prospettive e implicazioni di policy
          La realizzazione di un mercato azionario per IFS pone delle sfide importanti al si-
     stema del Terzo settore così come al modello di impresa e di investimento tradizio-
     nale, inducendo alcune trasformazioni che potrebbero aprire un nuovo scenario. Al
     momento, lo scenario che si prospetta presenta alcuni elementi potenzialmente favo-
     revoli all’espansione (sia numerica che dimensionale) delle imprese a finalità sociale.
          Una crescente domanda di beni e servizi a contenuto sociale proveniente dai cam-
     biamenti in atto nel tessuto socioeconomico italiano si manifesta con evidenza sem-
     pre maggiore, come numerosi stimoli provengono dal mercato stesso caratterizzato
     da un’attenzione crescente alla dimensione etica e ambientale. Altri stimoli provengo-
     no dal mondo istituzionale, sia tramite l’introduzione di normative maggiormente at-
     tente a questi aspetti (in particolare in ambito ambientale), sia tramite la progressiva
     affermazione di orientamenti politici che contemplano una visione del welfare più fa-
     vorevole che in passato a delegare l’erogazione di beni e servizi di carattere sociale
     all’intervento di soggetti privati.
          è tuttavia grazie al concorso di alcune condizioni favorevoli, tra cui la revisione le-
     gislativa di vincoli di carattere normativo, che questo progetto potrà essere determi-
     nante in uno scenario futuro.
          Un primo elemento decisivo riguarda il costo/opportunità per gli operatori: dal
     lato della domanda rileva l’onere complessivo del processo di quotazione (sia per la
     prima ammissione che per il mantenimento) che deve essere tale da garantire alle im-
     prese emittenti la possibilità di accedere ai finanziamenti a costi comparabili a quelli
     del tradizionale indebitamento bancario; sul lato dell’offerta di capitale, un intervento
studi e ricerche •           51




legislativo di importanza determinante potrebbe essere il riconoscimento di sgravi fi-
scali all’investimento in titoli di imprese a finalità sociale. Tale strumento potrebbe ri-
ferirsi sia all’investimento tout court tramite il semplice acquisto dei titoli in questio-
ne, con modalità comparabili a quanto già avviene per le donazioni alle Onlus, sia alla
fiscalità dei profitti derivanti dall’investimento.
    Altro aspetto sensibile per l’accesso alla Borsa è il bilanciamento tra le aspirazio-
ni e attese degli investitori, in tema di potere decisionale e di remunerazione, e le re-
sistenze di molti operatori ad avere un approccio di mercato e soprattutto ad aprire
la compagine societaria per timore di vedere snaturati o comunque intaccati i prin-
cipi fondativi dell’impresa sociale. La questione potrebbe comporsi su diversi piani
di mediazione. Un primo, ad esempio, in capo alle IFS stesse, che potrebbero intro-
durre negli statuti clausole che sanciscano regole di governance tali da garantire le
istanze di investitori e fondatori, o ancora prevedere meccanismi di gestione del po-
tere decisionale con l’introduzione di strumenti di bilanciamento dei poteri. Un se-
condo piano di mediazione potrebbe essere un intervento legislativo che conferisca
agli strumenti di investimento stessi caratteristiche tali da scongiurarne gli aspetti più
speculativi: si pensi ad esempio ai già citati dividend caps e a tutti gli strumenti previsti
per le CIC del Regno Unito (tetto alla distribuzione di dividendi, limiti alla remunera-
zione del capitale, vincoli alla distribuzione del patrimonio), e per diversi titoli emes-
si dalle cooperative italiane. Da una parte è infatti necessario garantire le imprese so-
ciali contro il rischio di un’eccessiva e incontrollata apertura della compagine sociale
e soprattutto non costringere a distribuire fuori dal circuito di impresa tutto il valo-
re generato. Dall’altra si deve tenere conto della volontà degli investitori di ottenere
un rendimento se pur variabile o limitato, e di prendere parte direttamente alle ge-
stione dell’impresa.
    Sempre sul fronte normativo, un fattore vincolante per lo sviluppo della Borsa So-
ciale e più in generale dell’economia sociale è quello relativo al divieto assoluto per le
imprese sociali e per altri soggetti d’impresa del Terzo settore alla distribuzione degli
utili. L’opportunità di introdurre norme di attenuazione di tale vincolo, anche in for-
ma di tetto massimo di remunerazione del capitale, consentirebbe di aumentare in
modo significativo la domanda di capitale di rischio, ovvero il numero di soggetti che
potrebbero prendere parte al mercato. L’imposizione di un tetto alla distribuzione
dell’utile, come previsto per le cooperative sociali, permetterebbe di non stravolge-
re la ratio dell’Impresa sociale, cioè la conservazione di eventuali plusvalori all’inter-
no del circuito aziendale, e di fornire allo stesso tempo l’incentivo di una remunera-
zione economica oltre che sociale (social return).
    Questa proposta di revisione normativa si basa sulla convinzione che l’istitu-
to dell’Impresa sociale (d.lgs. 155/2006) sia in qualche modo incompiuto: a titolo di
esempio, basti pensare che se una cooperativa sociale vuole ottenere la veste giuridi-
52             • Davide Dal Maso e Davide Zanoni




     ca di impresa sociale deve rinunciare alla distribuzione degli utili nello statuto; lo stes-
     so dicasi per una Onlus che perderebbe i vantaggi fiscali di cui gode. Non ci sono poi
     indicazioni chiare di quali operazioni si configurino come distribuzione indiretta di uti-
     le, soprattutto se vi rientri la distribuzione dell’incremento del valore della quota al
     detentore. Se la vendita sul mercato di quote che hanno aumentato il proprio valore
     (anche solo per una migliore performance sociale o ambientale) si configura come di-
     stribuzione indiretta di utile – illegittima secondo l’attuale disciplina – non potrebbe
     esistere un mercato secondario per le imprese non profit.
         Il fatto è che l’innesto nel decreto sull’impresa sociale di parte della disciplina tipi-
     ca degli enti commerciali porta con sé molti dubbi in chiave interpretativa. Le due fi-
     losofie ispiratrici sono diverse, in quanto nella disciplina degli enti commerciali il fine
     ultimo è il godimento individuale da parte dei soci dei profitti generati, nel caso del-
     le Imprese sociali l’interesse a mantenere un equilibrio economico-finanziario si deve
     sposare con il perseguimento di un utile sociale. Ma il mantenimento di questo equi-
     librio può essere difficile senza la capacità di aumentare il capitale e reperire da ter-
     zi mezzi di finanziamento. Questi elementi di criticità portano ad escludere il ricor-
     so a questa veste giuridica, almeno fino a quando non verranno chiariti alcuni punti
     controversi.

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Verso la Borsa Sociale

  • 1. studi e ricerche • 35 Verso la Borsa Sociale Davide Dal Maso e Davide Zanoni * Introduzione: i bisogni e le opportunità Il presente articolo vuole dar seguito al tema introdotto in una precedente pub- blicazione, dal titolo “Un mercato di capitali per imprese a scopo sociale” (“Areté” 3. 2008), che rappresentava l’inizio di un percorso di studio sulla Borsa Sociale. L’at- tività di ricerca si è sviluppata nell’ambito dello studio di fattibilità affidato ad Avanzi e alla Fondazione culturale responsabilità etica dall’Assessorato ai Servizi sociali della Regione Toscana. Obiettivo di questo progetto è quello di verificare appunto la fat- tibilità tecnica e la sostenibilità di un mercato per imprese a finalità sociale. Alla luce degli approfondimenti che abbiamo svolto, presentiamo in questa sede alcuni svilup- pi progettuali che rappresentano un ulteriore passo di avvicinamento alla costituzio- ne della Borsa Sociale. La nostra proposta si fonda su alcuni presupposti che qui richiamiamo brevemen- te. In primo luogo, l’idea secondo cui anche attraverso la libera iniziativa privata, rea- lizzata nel mercato e non ai suoi margini, si possano produrre beni comuni. Dunque, che anche un’impresa commerciale possa creare benefici sociali, non come sottopro- dotto, ma come risultato voluto e perseguito di una missione dichiarata. E che, infi- ne, questa idea sia perfettamente compatibile con le logiche del mercato, della con- correnza e della efficienza gestionale. Stiamo tratteggiando le caratteristiche di quella che chiamiamo impresa a finalità sociale (IFS), organizzazione che sintetizza le caratte- ristiche tipiche della società commerciale for profit ma le orienta ad un fine che non è la generazione del massimo ritorno sull’investimento, bensì del valore sociale e am- bientale. Nell’impresa tradizionale, la funzione obiettivo è rappresentata dal profitto; il rispetto delle norme giuridiche ed etiche costituiscono il vincolo cui è sottoposta. Nell’IFS, al contrario, l’obiettivo è la creazione di valore sociale; l’equilibrio economi- co-finanziario ne rappresenta il vincolo (1). * Partner di Avanzi, idee, ricerche e progetti per la sostenibilità. (1) La dottrina giuridica americana ha elaborato il modello della Low Profit Limited Liability Company, una socie- tà di capitale cui è consentito emettere azioni trasferibili, cui però è posto per statuto un limite alla distribuzione degli utili (nella misura del 4-5%). Questa forma d’impresa consentirebbe di accedere anche a finanziamenti pro- venienti da organizzazioni non profit come le fondazioni o dallo Stato stesso –, oltre che dagli investitori “respon-
  • 2. 36 • Davide Dal Maso e Davide Zanoni In secondo luogo, la constatazione che vi sia un ampio bacino di investitori respon- sabili che non trovano adeguati strumenti finanziari nel mercato tradizionale. Non stiamo parlando di donatori che offrono denaro senza aspettarsi la restituzione del capitale e il pagamento di un interesse, quanto di individui e investitori istituzionali che non hanno obiettivi puramente speculativi e che sono disposti ad investire in im- prese che hanno un impatto diretto sul contesto sociale anche a costo di un minore rendimento economico. Infine, la convinzione che esista una domanda ampia e crescente di beni e di servi- zi ad alto valore aggiunto ambientale e sociale, che spaziano dalla sanità ai servizi alla persona, dall’educazione alla cultura, dalla previdenza all’assistenza, dai servizi pubbli- ci locali alla finanza etica, dal commercio equo al turismo responsabile, dall’abbiglia- mento sostenibile all’alimentazione biologica e così via. Si va cioè formando un mer- cato, o meglio una pluralità di mercati, in forte espansione, che non risultano ancora adeguatamente presidiati perché i soggetti che potrebbero operarvi (quelle che noi chiamiamo IFS) non sono sufficientemente strutturate dal punto di vista finanziario e operativo. Il rischio è che vengano coperti da imprese capitalistiche tradizionali, il cui obiettivo di massimizzazione del profitto (che crea inevitabilmente forti conflitti tra gli interessi degli stakeholder) le mette però in contraddizione con la natura anche re- lazionale dei beni e dei servizi offerti. Quest’ultimo aspetto merita un approfondimento, che ci consente di spiegare, anche con degli esempi, a che cosa ci riferiamo. Si prenda il caso di un’impresa che gestisce una casa di cura o una residenza per anziani: è naturale che, se l’obiettivo è quello di ricavare da questa attività il massimo profitto possibile, chi ne ha la re- sponsabilità sia portato ad aumentare i ricavi, per esempio cercando di alzare le ta- riffe o forzando l’erogazione di prestazioni anche non necessarie; o a ridurre i costi, per esempio utilizzando materiali di scarsa qualità; o a contenere i rischi, per esem- pio evitando di accogliere ospiti con limitata capacità di reddito. Probabilmente, questa tensione finirà con l’influenzare anche la relazione con i dipendenti, che po- trebbero trasferire la loro insoddisfazione nel modo in cui, per esempio, si rappor- tano con i pazienti. E tutto questo, si badi, senza che ciò comporti una violazione esplicita di norme di legge o contrattuali. Semplicemente, il manager sarà inevita- bilmente portato a privilegiare gli interessi del gruppo cui sente di dover risponde- re in prima istanza, cioè gli azionisti. L’esperienza peraltro dimostra come, in una situazione del genere, la prevenzione di comportamenti opportunistici sia possibi- le solo a costo di un sistema di controllo non sempre efficace e comunque molto costoso. Solo il contenimento in origine della tensione verso il profitto può limita- sabili”, interessati all’output sociale implicito nello scopo di pubblica utilità. Queste organizzazioni possono gode- re di benefici fiscali.
  • 3. studi e ricerche • 37 re questa deriva. Un altro caso che ben può rappresentare la potenzialità dello strumento di cui parliamo è quello delle aziende di servizio pubblico locale. La fornitura di energia elet- trica, di gas, di acqua, di servizi di trasporto, e, in qualche caso, d’altro, era stata ga- rantita nel passato dalle amministrazioni locali stesse, in prima persona. Successiva- mente, sono stati creati degli enti separati, ma sempre di natura pubblica, poi delle società di diritto privato. In alcune situazioni, porzioni più o meno ampie delle azio- ni di queste società sono state vendute a soggetti finanziari o industriali o addirittura collocate sui mercati, attraverso la quotazione in borsa. In questa evoluzione c’è una soluzione di continuità importante: mentre la trasformazione in società per azioni ha probabilmente reso più efficienti le strutture, agendo sulle diverse procedure e sugli stili manageriali, la privatizzazione del capitale ha inciso sulla missione, che è passa- ta dal servizio al cittadino in condizioni di economicità alla creazione di valore per gli azionisti attraverso la fornitura di servizi a dei cittadini. Cittadini qualsivoglia: queste imprese, nel tentativo di sfruttare economie di scala e di scopo, si stanno consolidan- do, finendo così col de-territorializzarsi e col perdere il legame col cliente-proprieta- rio. Chi conosce il settore, poi, sa come il potere delle amministrazioni locali, spesso ancora in maggioranza, non riesca a incidere davvero sulle scelte di strategia industria- le una volta che siano entrati partner che siano detentori di forte know-how gestionale e interessati al massimo ritorno sul loro investimento, non avendo da render conto alle comunità di origine dell’impresa. Anche in questo caso, è evidente come questo processo di trasformazione abbia influito negativamente sul rapporto con la comuni- tà locale: il modello che punta allo shareholder value non può che confliggere con gli interessi dei cittadini, al di là degli equilibrismi degli amministratori e dei manager: che senso ha, per esempio, mantenere una linea di autobus per una contrada remota, la cui gestione genera una perdita? Nessuno, se l’obiettivo è solo generare profitto; mol- to, se è servire una comunità per cui quel collegamento è, magari, vitale. La domanda legittima è: chi mai investirebbe in una società che gestisce (anche, non solo) una linea in perdita? La risposta: un investitore che sia interessato alla so- pravvivenza di quella comunità per cui l’autobus è importante e che, a fronte di que- sto beneficio sociale, sia disposto a rinunciare ad una quota (non necessariamente a tutto) di ritorno finanziario. Va da sé che la limitazione della spinta verso il profitto, da un lato, deve essere compensata da una produzione di valore sociale misurabile e, dall’altro, non deve di- ventare un alibi per l’inefficienza gestionale. Si pone, tra l’altro, un problema di mer- cato su cui torneremo più avanti. C’è, insomma, tutto un settore dell’economia in cui una nuova soggettività im- prenditoriale potrebbe, se non risolvere completamente, certamente ridurre la que- stione del conflitto di interesse tra gli stakeholder. L’impresa sociale tradizionale, in
  • 4. 38 • Davide Dal Maso e Davide Zanoni forma cooperativa, ha in parte questa potenzialità, ma – perlomeno per il modo in cui si è sviluppata fino ad oggi nel nostro Paese – manca di requisiti strutturali (orga- nizzazione, governance, capacità manageriale, capitali, ecc.) per diventare un sogget- to centrale nel mercato. Ecco quindi l’idea dell’impresa a finalità sociale, che prende il buono della società commerciale in termini di funzionalità e il buono dell’impresa so- ciale in termini di finalità. Questa sfida peraltro sembra essere lanciata anche dal fronte istituzionale. La Ri- soluzione del Parlamento europeo del 19 febbraio 2009 afferma che “l’economia so- ciale, unendo redditività e solidarietà, svolge un ruolo essenziale nell’economia europea per- mettendo la creazione di posti di lavoro di qualità e il rafforzamento della coesione sociale, economica e territoriale, generando capitale sociale, promuovendo la cittadinanza attiva e una visione dell’economia fatta di valori democratici che ponga in primo piano le persone, nonché appoggiando lo sviluppo sostenibile e l’innovazione sociale, ambientale e tecnologi- ca”. è chiaro in questa risoluzione il pieno riconoscimento del concetto di economia sociale che si distingue dal sistema economico tradizionale per l’attenzione delle im- prese alla creazione di valore sociale, ma anche dal modello non profit per l’esistenza di un’attività imprenditoriale (sia che si tratti di società commerciale che di organizza- zione in senso lato). Nel contesto italiano, pur ritardato da un quadro giuridico inca- pace di far fronte tempestivamente alle istanze e necessità che emergono da questo settore, stanno comunque emergendo soggetti di impresa che mostrano una strut- tura produttiva e organizzativa del tutto simile alle imprese tradizionali, ma che per- seguono interessi collettivi diversi dall’utile privato (es. cooperative sociali). La que- stione diventa, quindi, come stimolare lo sviluppo di questa economia in misura tale da portarla ad un livello di significatività che le dia maggiore dignità e riconoscimento, senza compromettere la qualità della sua natura. Uno degli elementi, certo non l’uni- co, necessari a questo scopo è il raggiungimento di una scala dimensionale sensibil- mente maggiore che comporti un rafforzamento dell’attività dispersa ma incisiva del- le piccole e medie imprese dell’economia sociale. Nell’ambito così definito, si inserisce l’idea progettuale di Borsa Sociale quale stru- mento finanziario alternativo per promuovere lo sviluppo e dare impulso ad un nuovo modello di imprenditoria responsabile. è chiaro, infatti, che a diversi modelli di eco- nomia debbano corrispondere diversi mercati finanziari. Le borse della grandi piazze finanziarie, da New York a Londra, da Hong Kong a Parigi, sono pensate per soddisfa- re le esigenze delle imprese capitalistiche da un lato e di investitori speculativi dall’al- tro. Lo scopo è quello di facilitare l’incontro tra domanda e offerta di capitale che vie- ne utilizzato per generarne il massimo plusvalore economico possibile. Non c’è spazio per altre dimensioni; anzi, aspetti diversi non possono che essere visti come fattori di inquinamento. In questo contesto, un’IFS non potrebbe risultare che perdente: se l’obiettivo è ottenere il più alto rendimento finanziario, perché qualcuno dovrebbe in-
  • 5. studi e ricerche • 39 vestire in una società che promette un ROE del 5%, quando altre promettono il 15%? Occorre perciò creare un canale alternativo, con regole proprie, dove le imprese che concorrono per attirare gli investitori possano competere tra pari. è di tutta evidenza, e tuttavia vogliamo ribadire, come questi diversi mercati non siano alternativi tra loro, bensì complementari: in una società aperta, c’è lo spazio per pluralità di forme di esercizio della libertà economica. L’obiettivo di Borsa Sociale non è certo quello di sostituirsi alle tradizionali borse di scambio, bensì quello di offrire un’opportunità di scelta in più, sia alle imprese sia agli investitori. I soggetti del mercato e l’oggetto delle transazioni Forme di imprese a finalità sociale Borsa Sociale è un mercato organizzato di capitali per imprese a finalità sociale. Con questo termine, ci riferiamo ad imprese esercitate sia in forma di società di ca- pitali sia cooperativa, che perseguono allo stesso tempo obiettivi di generazione di valore sociale e di valore economico. Le IFS non sono affatto organizzazioni non pro- fit, quanto piuttosto imprese che offrono un dividendo misto, risultante di componen- ti economiche (profitto calmierato), sociali e ambientali. La creazione della Borsa per IFS si basa su una definizione ampia della doman- da di capitali che cerca di tenere insieme imprese profit a finalità sociale e orga- nizzazioni non profit che sono in grado di produrre anche valore economico. Que- sta definizione non coincide necessariamente con quella di impresa sociale ex d.lgs. 155/2006, ma si estende a tutte le realtà che a prescindere dalla natura e veste giu- ridica esercitano un’attività a forte contenuto sociale e ambientale. Al momento le IFS rappresentano più un riferimento a cui tendere che una realtà oggettiva, ma esi- stono tuttavia diversi soggetti caratterizzati da un modello gestionale responsabile e dall’esercizio di attività specifiche che possono in qualche modo rientrare in que- sta definizione. La pretesa di tenere insieme realtà molto diverse si scontra con resistenze cultu- rali e con difficoltà “tecniche” che complicano la costruzione di un mercato unico per IFS. Le evidenze emerse sottolineano infatti l’esistenza di forti componenti identita- rie che ostacolano l’idea di un mercato “misto” che includa profit e non profit. Alcuni soggetti, per esempio, rivendicano la propria natura di attori non economici nel sen- so di organizzazioni che non svolgono un’attività economica ma esclusivamente socia- le e pertanto non assimilabili in alcun modo alle imprese commerciali. In questo caso, l’accesso a forme dirette di finanziamento che non siano a fondo perduto non è ipo- tizzabile, in quanto non esistono i presupposti per garantire una remunerazione di ta- li finanziamenti. Inoltre, non si tratta solo di un problema di profitto, quanto di orga- nizzazione e di gestione dell’attività secondo diversi criteri. In questi casi, si rischia,
  • 6. 40 • Davide Dal Maso e Davide Zanoni quindi, di assistere ad una auto-selezione da parte di quei soggetti che non hanno in- teresse a trasformare in alcun modo la propria attività. Da un punto di vista tecnico, la questione è ancora più complicata. Oggi non esiste una sola tipologia di attori socio-economici per la quale ipotizzare un mercato di ti- toli quotabili ma piuttosto una serie di imprese/organizzazioni molto diverse tra loro con vincoli più o meno stringenti agli strumenti di finanziamento che possono emet- tere o utilizzare. è dunque necessario creare un mercato ad hoc, entro i limiti posti dalle normative vigenti, che possa offrire nuove opportunità di finanziamento ad alcu- ne categorie di imprese e organizzazioni dell’economia sociale. Il mercato di Borsa Sociale è rivolto in particolare a tre tipologie di imprese: IFS di capitali, IFS cooperative, IFS derivate da ONP (Libro I cod. civile). La prima componente della domanda è rappresentata da imprese a finalità socia- le strutturate come società per azioni che possono accedere al mercato delle parte- cipazioni al capitale. Le azioni emesse da imprese sociali devono avere caratteristiche uniformi e standardizzate e soprattutto non avere formalità di cessione che ne im- pediscano il trasferimento in modo efficiente e immediato. Le quote di società a re- sponsabilità limitata non sono quotabili, in quanto non sono rappresentate da titoli di credito e potenzialmente sono diverse tra di loro, dato che le caratteristiche ven- gono decise volta per volta dai soci, e non sono scambiabili liberamente a causa delle formalità richieste per la loro cessione. Stiamo parlando dunque di piccole e medie imprese che possono ottenere acces- so al mercato solo a seguito di una valutazione rigorosa del modello gestionale e de- gli impatti socio-ambientali generati dall’attività. Le azioni emesse da queste società hanno un valore economico che rispecchia il valore attuale scontato dei ricavi futuri ma anche il valore degli impatti sociali attesi. Le IFS cooperative sono società cooperative che svolgono attività ad alto valore sociale e cooperative sociali di categoria A e B che nel proprio statuto non hanno sta- bilito il divieto alla distribuzione degli utili ai soci. In linea di principio le cooperative sociali, istituite dalla legge 391/1991, sono enti non profit che non hanno come obietti- vo la distribuzione del reddito ai soci quanto il perseguimento dell’interesse generale della comunità attraverso la realizzazione della missione produttiva. Tuttavia, al pari delle cooperative ordinarie, una cooperativa sociale può prevedere entro certi limi- ti la distribuzione di una quota di utili ai propri soci (art. 8, legge 59/1992).Nelle coo- perative è prevista poi la figura del socio sovventore i cui conferimenti sono rappresen- tati da azioni trasferibili e il cui trattamento in sede di distribuzione o di liquidazione degli utili può essere favorito dallo statuto (remunerazione superiore agli altri soci fino al 2%). Lo stesso trattamento spetta ai possessori delle azioni di partecipazione cooperative che possono essere emesse per finanziare progetti di sviluppo ed investimento plu- riennali. Tali azioni sono offerte anche al pubblico e anch’esse garantiscono al porta-
  • 7. studi e ricerche • 41 tore una remunerazione maggiorata del 2% rispetto a quella delle quote o delle azio- ni dei soci della cooperativa. Grazie a queste caratteristiche, le cooperative sociali sono l’unico soggetto del Terzo settore a poter accedere direttamente al mercato azionario, almeno da un punto di vista teorico. Per tutte le organizzazioni senza scopo di lucro e tutte le imprese del mondo non profit che svolgono attività commerciale o non commerciale ma che sono accomuna- te dal divieto di distribuzione dell’utile, l’accesso diretto al mercato “azionario” di ca- pitale sociale rimane precluso. Per le associazioni e le fondazioni che non sono costi- tuite in forma societaria o che comunque non possono ripartire il capitale sociale in quote alienabili e negoziabili, l’accesso è negato per definizione. Per le imprese sociali ex lege, invece, il divieto assoluto alla distribuzione degli utili tende ad azzerare il valo- re economico dell’azione detenuta dall’investitore, in quanto il capitale investito non sarebbe remunerativo. Potrebbe esserci un valore socio-ambientale che dia comun- que la possibilità di vendere il titolo in un momento futuro, ma questa ipotesi è tut- ta da verificare. Se infatti nella fase di collocamento (mercato primario) l’esistenza di investitori istituzionali può garantire il sostegno alle imprese che emettono azioni sul mercato, pur in assenza di utile atteso, nel medio termine la probabilità di rivendere nel mercato secondario è collegata alla presenza di acquirenti interessati alla dimen- sione extra-economica dell’investimento. Una terza tipologia di IFS è quella che immaginiamo possa derivare da una ONP. Nel disegno che abbiamo tratteggiato, infatti, associazioni e fondazioni, pur essendo attori importanti dell’economa civile, rimarrebbero escluse dal mercato dei capitali responsabili. Una soluzione che potrebbe essere approfondita è quella della società- veicolo, cioè di un’impresa di capitali, le cui quote o azioni siano in maggioranza della ONP. In questo quadro, la società diventa lo strumento operativo per le attività eco- nomiche promosse dall’ONP. Per non incorrere nei limiti posti all’attività commercia- le delle Onlus, il capitale della società potrebbe essere aperto anche alla partecipazio- ne di altri investitori, fermo restando che opportune previsioni statutarie assicurino alla ONP il controllo sulla strategia e sulle scelte operative fondamentali. La società- veicolo così formata avrebbe le caratteristiche per accedere al mercato dei capitali, e quindi rientrare nel percorso virtuoso che abbiamo identificato per le IFS. Non c’è dubbio sul fatto che questo tipo di operazioni possa presentare profili di una certa problematicità per le ONP più piccole: lo sforzo ed il costo per mettere in moto un processo di tale complessità, infatti, si giustificano solo nel caso di iniziati- ve di una consistente portata economica. Questo ostacolo potrebbe essere superato attraverso la creazione di consorzi di ONP prossime per scopo o per natura; così fa- cendo, ciascuna, in proporzione al proprio impegno, potrebbe poi utilizzare la socie- tà-veicolo come strumento per le proprie attività e per l’approvvigionamento di capi-
  • 8. 42 • Davide Dal Maso e Davide Zanoni tale. Non va nascosto il rischio che si creino le condizioni, se le cose non vanno per il verso giusto, di conflitto tra le ONP partner, che potrebbero riflettersi negativamen- te sulla governance e, alla fine, sull’operatività della IFS di cui sono socie. Gli investitori Sul fronte dell’offerta di capitale, ai fini di un corretto funzionamento del merca- to è necessario prevedere l’intervento di due categorie di soggetti: gli investitori isti- tuzionali da un lato e i privati dall’altro. Essi intervengono in due momenti distinti del processo di quotazione del titolo sul mercato. In particolare, l’investitore istituzio- nale, in virtù della sua maggiore capacità di svolgere un’analisi esperta della qualità dell’azione che viene proposta sul mercato in sede di offerta iniziale, è il protagonista del mercato primario. Riservare il primo investimento a soggetti qualificati permette altresì di semplificare gli oneri informativi in fase di prima quotazione, che potrebbe- ro incidere significativamente sul costo dell’operazione e quindi scoraggiare le impre- se dall’intraprendere il percorso. I risparmiatori privati operano invece sul mercato secondario, una volta che il titolo è già stato oggetto di transazione. Nel nostro Pa- ese, caratterizzato dalla modesta dimensione delle masse investite dagli istituzionali, l’intervento del retail è necessario per garantire un sufficiente apporto di risparmi sul mercato. Anche sul mercato borsistico tradizionale la quota di titoli sottoscritti dalle famiglie è largamente predominante. In ordine all’identità degli investitori istituzionali riteniamo che un ruolo im- portante lo possano avere soggetti che, per la propria natura, siano orientati al perseguimento di fini non speculativi. In particolare, le fondazioni di origine ban- caria. Per loro, ma non solo per loro, è possibile immaginare la forma dei cosid- detti mission-related investment. Si tratta di investimenti finanziari (realizzati quin- di attraverso l’allocazione del patrimonio stabile, non della quota dei proventi da esso generati dedicati all’attività erogatoria) il cui obiettivo non è solo quello di un ritor- no economico, ma anche di un ritorno sociale coerente con la missione della fonda- zione. Questo tipo di investimenti è più complicato, perché, proprio per il fatto che si pone obiettivi “misti”, richiede professionalità ibride. La logica dei due tempi (gene- razione del valore economico secondo logiche di massimizzazione del profitto e suc- cessiva redistribuzione) è invece relativamente semplice, nel senso che il mestiere di chi si occupa di money in e quello di chi si occupa di money out sono chiaramente di- stinti e rispondono a requisiti riconosciuti e consolidati. Altri soggetti che potrebbero intervenire sul primario sono le finanziarie regio- nali. Esse sono certamente società con obiettivi economici, che tuttavia dipendono dall’amministrazione regionale per la definizione delle proprie strategie e a queste, in ultima istanza, rispondono. Se si presentassero occasioni di investimento in IFS i cui output sociali o ambientali sono coerenti con gli obiettivi delle politiche pubbliche,
  • 9. studi e ricerche • 43 sarebbe del tutto naturale immaginare che le regioni possano sostenerle anche attra- verso mirate iniezioni di capitale. Viceversa, i gestori di fondi potrebbero avere solo un ruolo più sfumato: non c’è dubbio sul fatto che, in assenza di un mandato esplici- to (come potrebbe essere per un fondo di investimento socialmente responsabile), il dovere fiduciario del gestore sia quello di ottimizzare il rapporto rischio/rendimento; qualsiasi considerazione di ordine diverso sarebbe impropria. Quindi, non è pensabi- le che fondi “normali” possano impegnare quote anche minime dei propri patrimoni nell’investimento in IFS. Invece, le società di gestione del risparmio potrebbero met- tere a disposizione la loro capacità e la loro struttura per creare dei fondi dedicati, in cui la proposizione di valore offerta al pubblico sia dichiaratamente orientata alla ri- cerca di valore sociale. Questo strumento faciliterebbe la partecipazione al mercato da parte dei privati, che, utilizzando il fondo come strumento, avrebbero la possibili- tà di vedere fortemente diversificato il rischio e godrebbero della possibilità di liqui- dare più facilmente i propri investimenti. L’unica controindicazione potrebbe essere rappresentata dalla perdita di un rapporto diretto tra l’IFS che operi in un territorio specifico e l’investitore che, risiedendo in quello stesso territorio, esprima nell’inve- stimento la volontà di alimentare un legame fiduciario. Caratteristiche del mercato Ruoli dei diversi soggetti coinvolti Il mercato dedicato alle IFS si configura come un sistema di scambio organizza- to, ma non regolamentato (2), gestito da un operatore specializzato. La struttura del- la Borsa Sociale ricalca il modello AIM Italia, ovvero il mercato alternativo di investi- mento di Borsa Italiana, progettato per offrire un percorso semplice e flessibile alla quotazione delle piccole e medie imprese. Si configura dunque come un MTF (Multi- lateral Trading Facilities), ovvero una delle fattispecie di sistema multilaterale di scam- bio previste dalla direttiva 2004/39/CE sui mercati degli strumenti finanziari, cono- sciuta con l’acronimo inglese MiFID (Market in Financial Instruments Directive) (3). Per le MTF esiste una certa flessibilità regolamentare che può consentire di creare le mi- gliori condizioni di accesso al mercato dei capitali in modo rapido e a costi contenu- (2) L’assenza di regolamentazione riguarda il fatto che il funzionamento di tale mercato, i titoli e gli operatori ammessi non sono assoggettati alla disciplina specifica e alla autorizzazione delle Autorità di Vigilanza in materia di Mercati Regolamentati e non sono iscritti nell’apposito albo. (3) Tale direttiva, approvata dal Parlamento e dal Consiglio Europeo il 20 aprile 2004, ha abrogato la prima di- rettiva 93/22/CE sui servizi di investimento, detta ISD (Investment Services Directive). In Italia il Testo Unico della Finanza è stato modificato con il d.lgs. 164 del 17 settembre 2007. Inoltre, nel mese di ottobre 2007 la CONSOB ha provveduto ad aggiornare la propria regolamentazione secondaria (Regolamento Mercati ed Intermediari). In- fine, a partire dal 1° novembre 2007 (data di entrata della normativa MiFID) tutti gli operatori sono stati chiamati ad applicare e rispettare la nuova disciplina.
  • 10. 44 • Davide Dal Maso e Davide Zanoni ti. I regolamenti dell’AIM Italia, che rispecchiano le principali caratteristiche dell’AIM inglese, con alcuni adattamenti appositamente studiati per rispondere alle peculiarità della realtà economica e imprenditoriale italiana, possono essere un punto di parten- za per un’apposita regolamentazione della Borsa Sociale. La struttura del mercato è composta da due soggetti principali intorno ai quali ruotano elementi esterni al sistema. Un soggetto Gestore, che deve avere le caratte- ristiche di società di investimento, e una società di Promozione, che assume l’obiet- tivo di promuovere la nascita e la crescita del mercato stesso. La costituzione di una nuova impresa di investimento quale soggetto Gestore del mercato presenterebbe pesanti oneri di natura legale, economica ed organizzativa, probabilmente insosteni- bili data la limitata dimensione stimata del mercato. Per questo motivo, abbiamo ipo- tizzato la definizione di un accordo tra un’impresa già abilitata alla gestione del mer- cato da un lato e una nuova società di promozione, che chiameremo di qui innanzi Pro-Borsa Sociale S.p.A. (PBS). La società di Promozione ne sostiene lo sviluppo e la conoscenza presso imprese e investitori, fornisce supporto agli operatori del mercato e organizza eventi per la promozione. Questo meccanismo permette ai promotori del mercato di assicurare il perseguimento degli obiettivi che si sono posti (tutelati da una serie di clausole ben definite nel rapporto con il gestore), senza doversi accollare gli oneri e i rischi colle- gati alla creazione di una società di investimento ad hoc. Il Gestore ha la responsabili- tà di ammettere le imprese alla negoziazione, di gestire le contrattazioni e vigilare sul corretto e regolare svolgimento delle operazioni. La relazione tra il promotore del mercato e il gestore dello stesso presenta profili di grande complessità e delicatezza, dato che gli obiettivi e la natura specifici dell’ini- ziativa richiedono una particolare cura degli aspetti relativi all’accesso e alla perma- nenza nel mercato, la cui sopravvivenza è legata alla credibilità che riuscirà a gua- dagnarsi presso gli operatori. Per questo motivo, il rapporto tra il promotore del mercato e il gestore dovrebbe essere maggiormente sbilanciato a favore del primo. è infatti PBS l’organizzazione che può farsi garante di fronte al vasto mondo dell’econo- mia civile e alla società in generale della genuinità della proposta politica e del rigore con cui verrà realizzata. Anche se, tecnicamente, sarà il Gestore del mercato il sog- getto con cui le IFS stringeranno i contratti che regolano la quotazione, occorrerà as- sicurare a PBS un ruolo e una visibilità maggiori rispetto a quelli che le derivano dalla posizione di mero soggetto promotore, riservandole alcuni reali poteri di intervento. PBS dovrà contribuire incisivamente alla definizione delle regole di quotazione (listing rules), anche se poi saranno trasferite in un atto del Gestore del mercato. Esse do- vranno prevenire comportamenti opportunistici da parte degli emittenti e degli inve- stitori, preservando il capitale di reputazione indispensabile per alimentare la fiducia degli attori coinvolti nel suo funzionamento, indispensabile per la continuità nel tem-
  • 11. studi e ricerche • 45 po dell’impresa. PBS potrà intervenire nel merito della gestione del mercato indiret- tamente, per esempio accreditando i soggetti specializzati nella valutazione e nell’ac- compagnamento delle IFS alla quotazione, e quindi verificandone le competenze e la credibilità, stabilendo quali metodologie debbano essere utilizzate allo scopo. Il problema che PBS dovrà affrontare e risolvere è, dunque, quello delle regole che caratterizzano questo mercato come unico e ontologicamente diverso dai mercati fi- nanziari tradizionali. Per coerenza, PBS dovrà costituirsi essa stessa come IFS, ponen- dosi l’obiettivo di sostenibilità sia in termini economici (e quindi la generazione di un plusvalore che remuneri l’investimento dei soci) sia sociali. Pur assumendo la natura di società di capitali, si darà regole statutarie che ne determinino inequivocabilmen- te la finalità sociale, anche attraverso la limitazione alla distribuzione degli utili. Do- vrà dar conto, come le imprese che al suo mercato saranno quotate, dei benefici so- ciali generati e misurare il dividendo sociale che offrirà agli azionisti e alla comunità in generale. Intorno all’asse portante costituito dai due soggetti principali, si collocano gli al- tri attori del mercato. In primo luogo le imprese a cui è rivolto il mercato, cioè quelle imprese che risulteranno imprese a finalità sociale (IFS) a seguito di un rigoroso pro- cesso di valutazione. Nel percorso di quotazione, l’IFS è assistita da una serie di sog- getti che svolgono funzioni di accompagnamento e di garanzia. In particolare, ai fini del funzionamento di BS, servirà l’intervento di un soggetto specializzato che si faccia garante, di fronte alla comunità degli investitori, della solidità del progetto imprendi- toriale e di un soggetto che accerti la capacità dell’impresa candidata alla quotazione di produrre valore sociale in misura sufficiente a considerarla IFS. Nel medio termi- ne queste funzioni dovrebbero essere svolte da un medesimo soggetto, che combini le competenze necessarie per questo duplice fine. Ciò perché riteniamo che un’unica analisi, che integri aspetti economici e socio-ambientali, sia da preferire rispetto a due sistemi paralleli di valutazione, che non comunicano tra di loro e rimangono su piani sostanzialmente diversi. In realtà, sappiamo che la sostenibilità è la risultante delle tre dimensioni economica, ambientale e sociale, che però sono dipendenti l’una dall’altra e che richiedono, per essere misurate correttamente, un approccio sistemico. La figura cui tendere è quella di un NomAd con anche competenze socio-am- bientali, quella che in altri contesti è stata chiamata SNomAd, cioè Social Nomina- ted Advisor. Ad oggi esistono pochissimi soggetti che abbiano queste caratteristiche e capacità: da un lato ci sono le agenzie di rating sociale, che tendenzialmente non si esprimono sugli aspetti di natura finanziaria, e dall’altro banche, SIM e altre organizza- zioni simili che, viceversa, sanno poco o nulla di aspetti sociali e ambientali. In attesa di un progresso della situazione (che, peraltro, non dovrebbe tardare ad arrivare), oc- corre immaginare due percorsi valutativi indipendenti, e quindi l’intervento di un sog- getto simil-sponsor e di un valutatore sociale. Gli uni e gli altri, in ogni caso, dovranno
  • 12. 46 • Davide Dal Maso e Davide Zanoni essere in qualche modo accreditati da PBS, al fine di assicurare che abbiano tutte le competenze e i requisiti necessari. I soggetti accreditati dovranno garantire la traspa- renza informativa nei confronti degli investitori, stimolare l’attenzione da parte della società al rispetto delle regole derivanti dall’essere quotata, massimizzandone i bene- fici, e – più in generale – mantenere la qualità e la reputazione del mercato sociale. Dal lato dell’offerta di capitale, i soggetti coinvolti potranno essere gli investitori istituzionali e gli investitori privati. Grazie alla borsa gli investitori amplieranno le lo- ro opportunità di investimento e potranno operare anche in società di natura diversa da quelle presenti sul mercato tradizionale ma con un alto potenziale di crescita. Gli investitori retail potranno acquistare titoli in fase di collocamento solo se l’impresa in questione deciderà di presentare il prospetto informativo, mentre potranno libera- mente negoziare titoli scambiati su BS attraverso il loro intermediario o la loro ban- ca sul mercato secondario dopo la quotazione del titolo. Tutti gli investitori istituzionali potranno negoziare i titoli attraverso il loro abi- tuale intermediario e la liquidità del mercato – in termini di numero di scambi gior- nalieri – sarà garantita da un operatore Specialista (così come definito nel modello AIM) che agirà come liquidity provider su ogni singolo titolo. Il ruolo di specialista (ne- goziatore sul mercato) può essere esercitato dalle banche e dalle imprese d’investi- mento italiane ed estere autorizzate alla prestazione del servizio di negoziazione per conto proprio e/o per conto terzi. Nella fase di negoziazione sul mercato, lo specia- lista faciliterà l’incontro tra domanda e offerta e la formazione dei prezzi esponen- do quotazioni in acquisto e in vendita per controvalori minimi determinati; promuo- verà l’attività di investimento raccogliendo e concentrando le proposte di acquisto e vendita; produrrà report periodici sulla società mettendoli a disposizione degli inve- stitori professionali. Gli scambi potranno essere gestiti su una piattaforma di trading elettronica che il soggetto gestore, essendo già operante nel settore dell’intermediazione, potrà met- tere a disposizione, con tutte le infrastrutture necessarie connesse. Le negoziazioni potranno avvenire mediante la modalità dell’asta, con frequenza da definire, ma ten- denzialmente quotidiana. Se così fosse, le proposte di negoziazione immesse dagli spe- cialisti nella fase d’asta verranno ordinate, in modo automatico, sulla base del prezzo, nonché, a parità di prezzo, in base alla priorità temporale determinata dall’orario di immissione. Il prezzo teorico d’asta è il prezzo al quale è negoziabile il maggiore quan- titativo di azioni. L’ultimo prezzo teorico di asta è considerato valido e viene assunto come prezzo d’asta per la conclusione dei contratti. Modello di business Le voci di ricavo e di costo che determineranno la sostenibilità del mercato e l’equilibrio dei bilanci di PBS sono rappresentate dai ricavi attesi per una percentua-
  • 13. studi e ricerche • 47 le delle quote di ammissione (admission fees), dalle quote annuali (annual fees) e dalle quote annuali accreditamento dei soggetti che affiancano l’IFS. I costi attesi sono rap- presentati da costo del personale, sede e IT, comunicazione e marketing. In ordine ai ricavi derivanti dalle admission e dalle annual listing fees (che saranno esatte dal Gestore del mercato e stornate in parte a PBS), stimiamo che il numero di IFS quotate arriverà a circa 70 nel giro di sei anni, periodo entro il quale è previsto il punto di pareggio di bilancio. Abbiamo previsto dei costi di quotazione sensibilmente inferiori a quelli dei mercati tradizionali. Le quote sono state differenziate a seconda della dimensione dell’IFS quotata, misurata in termini di capitalizzazione, arrivando a definire tre gruppi (piccole, medie e grandi). Peraltro, il peso relativo dei costi di quo- tazione sul valore dell’operazione dipende in larga parte dall’ammontare del flottante: qualora l’IFS decida di mettere sul mercato una quota poco significativa del proprio capitale, l’incidenza dei costi fissi sarà maggiore e quindi il vantaggio rispetto ad altre forme di finanziamento inferiore. Questo numero di società ammesse appare sufficiente a garantire la copertura dei costi anche del Gestore del mercato il quale, come detto, avendo già tutte le infra- strutture materiali e immateriali necessarie, dovrà sostenere solo costi marginali, a parte quelli tecnici e amministrativi connessi all’attivazione. Non abbiamo immagina- to ricavi per il Gestore direttamente derivanti dalle negoziazioni, che non prevedia- mo essere troppo frequenti: l’investimento in IFS non ha obiettivi speculativi e quindi non si giustificano operazioni intra-day. L’altra fonte di ricavo per PBS è rappresentata dalla gestione del meccanismo di accreditamento dei soggetti specializzati nella valutazione delle imprese candidate al- la quotazione. Anche in questo caso, abbiamo stimato che possano essere interessa- ti a partecipare un numero limitato di operatori (circa 20 nell’arco dei 6 anni oggetto di previsione). Naturalmente, esso è fortemente correlato al numero di IFS quotate e alla quota di mercato che riusciranno ad accaparrarsi e a mantenere i first mover. Se il numero di questi soggetti accreditati fosse inferiore alle aspettative e quindi insuf- ficiente a garantire adeguate entrate, potrebbe essere adottato un meccanismo che preveda il pagamento a PBS di una quota variabile in relazione al numero di attesta- zioni di conformità rilasciate alle IFS. Regole di ammissione e modello di valutazione In fase di ammissione, un’impresa candidata deve predisporre un documento che riporti le informazioni utili per gli investitori relative all’attività della società, agli azio- nisti, ai dati economico-finanziari, e soprattutto la valutazione di responsabilità socia- le del modello di gestione e di efficacia nella creazione di valore sociale, elementi im- prescindibili per qualificare un’impresa come IFS. Ai fini della partecipazione a BS e dunque per essere riconosciuta come impresa a finalità sociale, un’impresa verrà in-
  • 14. 48 • Davide Dal Maso e Davide Zanoni fatti valutata attraverso una due diligence economico-sociale. I criteri per regolamen- tare l’accesso alla BS verranno definiti a partire da un modello di valutazione delle IFS che abbiamo sviluppato. A seconda delle dimensioni, caratteristiche e natura giuridi- ca, tali criteri potranno essere declinati in modo flessibile, ma dovranno comunque dare conto dell’efficienza del sistema di gestione e dell’efficacia nella produzione di va- lore sociale e ambientale. è questo un punto nodale del progetto. La creazione di BS non può prescindere da una chiara definizione della tipologia di imprese che possono essere quotate e da una rigorosa valutazione della performance economica e sociale attesa. Se l’IFS cui si rivolge questo mercato rappresenta un equilibrio virtuoso tra produzione di valo- re economico e creazione di valore sociale, è necessario garantire all’investitore tut- te le informazioni per misurarne la performance e l’efficacia. Inoltre, per come abbia- mo definito l’IFS, la valutazione deve estendersi al sistema di gestione e alla capacità dell’impresa di usare in modo efficiente le risorse di cui dispone. Naturalmente que- sto approccio è molto restrittivo, nel senso che si riferisce ad imprese strutturate con determinate caratteristiche gestionali, ma non preclude l’accesso ad altri soggetti che non hanno ancora una organizzazione così strutturata. L’idea è quella di definire un idealtipo che possa essere un riferimento per la crescita e l’evoluzione di imprese che si affacciano al mercato dell’economia sociale. Come detto, il modello di valutazione proposto è articolato su due livelli di ana- lisi: 1. il sistema di gestione, che deve essere in grado soddisfare criteri di responsa- bilità sociale e di efficienza economica; 2. la produzione di valore sociale e ambientale, che deve essere coerente con la missione e proporzionato alle risorse impiegate. Il primo livello è assimilabile ad un audit, ovvero ad un’analisi dei sistemi e dei pro- cessi interni secondo due chiavi di lettura. La prima è l’assunzione di responsabilità nei confronti di tutti gli attori interessati all’attività di impresa (stakeholder), la seconda è l’efficienza economica nella gestione delle attività. La valutazione del sistema di ge- stione si può articolare in sei ambiti di indagine: profilo di impresa, risorse umane, am- biente, clienti e qualità, trasparenza, performance economica. Ogni ambito di indagi- ne viene declinato in più criteri, ciascuno dei quali rappresentato da alcuni indicatori. A titolo di esempio, l’ambito Risorse Umane, che riguarda la responsabilità dell’im- presa nei confronti dei propri dipendenti e lavoratori, viene investigato prestando at- tenzione al tema delle pari opportunità, della formazione interna, della partecipazio- ne, delle condizioni di lavoro e remunerative, e infine della sicurezza. Agli indicatori corrispondenti a ciascun criterio viene attribuito un punteggio secondo uno schema
  • 15. studi e ricerche • 49 predefinito. I sei ambiti vengono analizzati a prescindere dal settore di appartenen- za e dalla natura giuridica dell’impresa a finalità sociale. Tuttavia prima della valutazio- ne di ogni impresa, viene effettuato un rapido screening per identificare le questioni chiave e la rilevanza dei criteri per ogni ambito di indagine. In questo modo si tiene conto della natura giuridica, del settore di appartenenza e di altri valori. Le principali fonti di informazione per condurre l’analisi sono rappresentate da: •  documenti pubblici che sono stati prodotti dalle imprese e dagli stakeholder (Bi- lancio, Bilancio sociale, ecc.); •  interviste dirette al personale delle imprese e agli stakeholder strutturate sulla base dello schema di valutazione. L’elemento distintivo di un’IFS è certamente la capacità di produrre valore sociale e ambientale, che si misura come il cambiamento indotto nel contesto di riferimento. Come un’impresa profit viene valutata per la capacità di generare profitto così un’IFS viene valutata per il grado di efficacia nel raggiungimento di un certo scopo. “La social enterprise si configura come un processo innovativo votato esplicitamente alla crea- zione di valore sociale, attraverso il miglioramento di una situazione di disequilibrio sociale, e intrapreso all’interno di un’organizzazione imprenditoriale designata a con- tribuire, a iniziare o determinare un cambiamento sociale” (4). La performance di im- presa non è più solo economica ma anche socio-ambientale, misurata su più dimen- sioni in modo quantitativo e prospettico. La valutazione quantitativa degli impatti che l’impresa è in grado di generare è necessaria a stimare il social return, un rendimento aggiuntivo rispetto al ritorno economico tradizionale. I valori numerici permettono di calcolare degli indici di ritorno sociale dell’investimento e di riformulare il profilo rischio/rendimento su più dimensioni. La metodologia di valutazione della performance sociale che proponiamo si ispira alla teoria del cambiamento (5), ovvero al modo in cui l’organizzazione ha determinato un cambiamento nella società. Un’IFS può creare valore in modo efficiente ed effica- ce se utilizza al meglio i mezzi di produzione (input) e se genera dei risultati (output) che determinano impatti positivi per i beneficiari (diretti) e per il resto della comuni- tà (indiretti). Per misurare l’efficienza del processo, i risultati vengono valutati in rap- porto alle risorse impiegate (tempo, denaro, lavoro, materiali), mediante il calcolo di output/input ratio; per misurare l’efficacia dell’attività di impresa, gli impatti diretti e in- diretti vengono rapportati agli obiettivi generali. Il criterio guida è la coerenza con la missione intesa come l’identificazione di un problema sociale e ambientale cui cercare di porre rimedio mediante l’applicazione di strumenti idonei o la produzione di determinati beni e servizi. I mezzi impiegati, i ri- (4) Perrini f., Social entrepreneurship: imprenditorialità per il cambiamento sociale. (5) Impact Value Chain, cLark et al., 2004.
  • 16. 50 • Davide Dal Maso e Davide Zanoni sultati e gli impatti sono espressi da indicatori che vengono misurati e riportati ad un valore monetario tramite l’uso di proxy. A titolo di esempio, una cooperativa socia- le, che ha come finalità l’inserimento lavorativo di determinati soggetti, impiega le ri- sorse misurabili in unità di tempo o costi (affitto sale, materiali, ecc.) per svolgere dei corsi di riqualificazione professionale; i risultati sono misurati dal numero di parteci- panti ai corsi, mentre gli impatti sono valutati in termini di posti di lavoro creati per i beneficiari. Per ottenere un valore monetario dell’impatto che indica il valore totale dei benefici generati, il numero di posti di lavoro viene moltiplicato per il costo uni- tario del lavoro. L’espressione degli indicatori in unità monetarie permette il calcolo di indici di rendimento sociale quali il Social Return on Investment della New Econo- mic Foundation (NEF), espressione del rapporto tra benefici totali e valore dell’inve- stimento. La performance sociale viene misurata dall’andamento di questi indici nel corso degli anni. I valori calcolati per un’impresa vengono confrontati con i valori in- dice di tutte le altre imprese che operano nel medesimo settore in modo da ottene- re un’indicazione comparata (benchmarking). Prospettive e implicazioni di policy La realizzazione di un mercato azionario per IFS pone delle sfide importanti al si- stema del Terzo settore così come al modello di impresa e di investimento tradizio- nale, inducendo alcune trasformazioni che potrebbero aprire un nuovo scenario. Al momento, lo scenario che si prospetta presenta alcuni elementi potenzialmente favo- revoli all’espansione (sia numerica che dimensionale) delle imprese a finalità sociale. Una crescente domanda di beni e servizi a contenuto sociale proveniente dai cam- biamenti in atto nel tessuto socioeconomico italiano si manifesta con evidenza sem- pre maggiore, come numerosi stimoli provengono dal mercato stesso caratterizzato da un’attenzione crescente alla dimensione etica e ambientale. Altri stimoli provengo- no dal mondo istituzionale, sia tramite l’introduzione di normative maggiormente at- tente a questi aspetti (in particolare in ambito ambientale), sia tramite la progressiva affermazione di orientamenti politici che contemplano una visione del welfare più fa- vorevole che in passato a delegare l’erogazione di beni e servizi di carattere sociale all’intervento di soggetti privati. è tuttavia grazie al concorso di alcune condizioni favorevoli, tra cui la revisione le- gislativa di vincoli di carattere normativo, che questo progetto potrà essere determi- nante in uno scenario futuro. Un primo elemento decisivo riguarda il costo/opportunità per gli operatori: dal lato della domanda rileva l’onere complessivo del processo di quotazione (sia per la prima ammissione che per il mantenimento) che deve essere tale da garantire alle im- prese emittenti la possibilità di accedere ai finanziamenti a costi comparabili a quelli del tradizionale indebitamento bancario; sul lato dell’offerta di capitale, un intervento
  • 17. studi e ricerche • 51 legislativo di importanza determinante potrebbe essere il riconoscimento di sgravi fi- scali all’investimento in titoli di imprese a finalità sociale. Tale strumento potrebbe ri- ferirsi sia all’investimento tout court tramite il semplice acquisto dei titoli in questio- ne, con modalità comparabili a quanto già avviene per le donazioni alle Onlus, sia alla fiscalità dei profitti derivanti dall’investimento. Altro aspetto sensibile per l’accesso alla Borsa è il bilanciamento tra le aspirazio- ni e attese degli investitori, in tema di potere decisionale e di remunerazione, e le re- sistenze di molti operatori ad avere un approccio di mercato e soprattutto ad aprire la compagine societaria per timore di vedere snaturati o comunque intaccati i prin- cipi fondativi dell’impresa sociale. La questione potrebbe comporsi su diversi piani di mediazione. Un primo, ad esempio, in capo alle IFS stesse, che potrebbero intro- durre negli statuti clausole che sanciscano regole di governance tali da garantire le istanze di investitori e fondatori, o ancora prevedere meccanismi di gestione del po- tere decisionale con l’introduzione di strumenti di bilanciamento dei poteri. Un se- condo piano di mediazione potrebbe essere un intervento legislativo che conferisca agli strumenti di investimento stessi caratteristiche tali da scongiurarne gli aspetti più speculativi: si pensi ad esempio ai già citati dividend caps e a tutti gli strumenti previsti per le CIC del Regno Unito (tetto alla distribuzione di dividendi, limiti alla remunera- zione del capitale, vincoli alla distribuzione del patrimonio), e per diversi titoli emes- si dalle cooperative italiane. Da una parte è infatti necessario garantire le imprese so- ciali contro il rischio di un’eccessiva e incontrollata apertura della compagine sociale e soprattutto non costringere a distribuire fuori dal circuito di impresa tutto il valo- re generato. Dall’altra si deve tenere conto della volontà degli investitori di ottenere un rendimento se pur variabile o limitato, e di prendere parte direttamente alle ge- stione dell’impresa. Sempre sul fronte normativo, un fattore vincolante per lo sviluppo della Borsa So- ciale e più in generale dell’economia sociale è quello relativo al divieto assoluto per le imprese sociali e per altri soggetti d’impresa del Terzo settore alla distribuzione degli utili. L’opportunità di introdurre norme di attenuazione di tale vincolo, anche in for- ma di tetto massimo di remunerazione del capitale, consentirebbe di aumentare in modo significativo la domanda di capitale di rischio, ovvero il numero di soggetti che potrebbero prendere parte al mercato. L’imposizione di un tetto alla distribuzione dell’utile, come previsto per le cooperative sociali, permetterebbe di non stravolge- re la ratio dell’Impresa sociale, cioè la conservazione di eventuali plusvalori all’inter- no del circuito aziendale, e di fornire allo stesso tempo l’incentivo di una remunera- zione economica oltre che sociale (social return). Questa proposta di revisione normativa si basa sulla convinzione che l’istitu- to dell’Impresa sociale (d.lgs. 155/2006) sia in qualche modo incompiuto: a titolo di esempio, basti pensare che se una cooperativa sociale vuole ottenere la veste giuridi-
  • 18. 52 • Davide Dal Maso e Davide Zanoni ca di impresa sociale deve rinunciare alla distribuzione degli utili nello statuto; lo stes- so dicasi per una Onlus che perderebbe i vantaggi fiscali di cui gode. Non ci sono poi indicazioni chiare di quali operazioni si configurino come distribuzione indiretta di uti- le, soprattutto se vi rientri la distribuzione dell’incremento del valore della quota al detentore. Se la vendita sul mercato di quote che hanno aumentato il proprio valore (anche solo per una migliore performance sociale o ambientale) si configura come di- stribuzione indiretta di utile – illegittima secondo l’attuale disciplina – non potrebbe esistere un mercato secondario per le imprese non profit. Il fatto è che l’innesto nel decreto sull’impresa sociale di parte della disciplina tipi- ca degli enti commerciali porta con sé molti dubbi in chiave interpretativa. Le due fi- losofie ispiratrici sono diverse, in quanto nella disciplina degli enti commerciali il fine ultimo è il godimento individuale da parte dei soci dei profitti generati, nel caso del- le Imprese sociali l’interesse a mantenere un equilibrio economico-finanziario si deve sposare con il perseguimento di un utile sociale. Ma il mantenimento di questo equi- librio può essere difficile senza la capacità di aumentare il capitale e reperire da ter- zi mezzi di finanziamento. Questi elementi di criticità portano ad escludere il ricor- so a questa veste giuridica, almeno fino a quando non verranno chiariti alcuni punti controversi.